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NAZIONALISMI, STORIA INTERNAZIONALE

E GEOPOLITICA
COLLANA DI STUDI STORICI E POLITICO–SOCIALI


Direttore
Antonello F B
Sapienza – Università di Roma

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Sapienza – Università di Roma
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Sapienza – Università di Roma Sapienza – Università di Roma
Roberto S
Sapienza – Università di Roma
NAZIONALISMI, STORIA INTERNAZIONALE
E GEOPOLITICA
COLLANA DI STUDI STORICI E POLITICO–SOCIALI

Stato, nazione e nazionalismo sono categorie che nascono nell’alveo della modernità
occidentale e caratterizzano la storia successiva anche del resto del mondo. Con
la fine della Guerra fredda, tuttavia, nel dibattito scientifico di sovente sono state
presentate come strumenti d’analisi superati dal tempo. A distanza di un quarto di
secolo, la verifica empirica ci dice che, nonostante alcune trasformazioni, rimangono
centrali nel vocabolario politico e si innestano all’interno di processi complessi che
abbracciano anche le sfere dell’economia, della società e della cultura. La sovrap-
posizione con le contemporanee dinamiche di integrazione sovranazionale e di
interdipendenza economica, infatti, non ne hanno segnato il tramonto. Piuttosto ne
hanno favorito un’evoluzione che assume caratteristiche e contenuti specifici nei dif-
ferenti quadranti geopolitici, rendendo inutilizzabile il concetto di “globalizzazione”
e favorendo il ricorso a quello di “regionalizzazione”.
La riflessione su questi temi non può prescindere da un’analisi storica delle
componenti strutturali e contingenti che influenzano la formazione delle identità
nazionali e da uno studio dei fattori politico–internazionali che ne determinano i
percorsi e le trasformazioni. La collana, quindi, si pone l’obiettivo di analizzare tali
tematiche attraverso un approccio multidisciplinare, che spazia dalla prospettiva della
storia internazionale, a quella della geopolitica, passando per gli studi di relazioni
internazionali e quelli sui nazionalismi.
I contributi scientifici sono realizzati con il supporto e il coordinamento del
CEMAS – Centro interdipartimentale di Ricerca “Cooperazione con l’Eurasia, il
Mediterraneo e l’Africa sub–sahariana” di Sapienza – Università di Roma. Ogni
opera è stata sottoposta a peer review.
Il volume è stato pubblicato con il contributo del progetto FIRB  “L’Europa
di Versailles (–). I nuovi equilibri europei tra le due guerre nelle fonti
dell’Archivio dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito”, unità di ricerca
del Dipartimento di Storia, Culture, Religioni della Sapienza – Università di Roma.
Alberto Becherelli
Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni
nell’Europa di Versailles (–)

Prefazione di
Alessandro Vagnini
Aracne editrice

www.aracneeditrice.it
info@aracneeditrice.it

Copyright © MMXVII
Gioacchino Onorati editore S.r.l. – unipersonale

www.gioacchinoonoratieditore.it
info@gioacchinoonoratieditore.it

via Vittorio Veneto, 


 Canterano (RM)
() 

 ----

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,


di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

Non sono assolutamente consentite le fotocopie


senza il permesso scritto dell’Editore.

I edizione: marzo 


per Anja
Indice

11 Prefazione
di Alessandro Vagnini

15 Introduzione

27 Capitolo I
Il Regno SHS e l’Alto Adriatico
1.1. La questione adriatica, 27 – 1.2. Obiettivi italiani, serbi e jugoslavi, 28 –
1.3. Dalla proclamazione del Regno SHS alla costituzione di San Vito, 38 –
1.4. Fedeltà jugoslava agli Asburgo?, 47 – 1.5. L’occupazione italiana di
Fiume e Dalmazia, 54 – 1.6. La delegazione jugoslava alla Conferenza della
Pace, 70 – 1.7. Verso Rapallo, 83.

93 Capitolo II
L’unione con il Montenegro
2.1. Una tradizione all’insegna dell’indipendenza, 93 – 2.2. La controversa
unione alla Serbia, 97 – 2.3. L’insurrezione del natale ortodosso, 101 – 2.4. Il
mancato accreditamento della delegazione montenegrina alla Conferenza
della Pace, 111 – 2.4.1. I memorandum del governo montenegrino del 5
marzo 1919, 114 – 2.4.2. La rivendicazione di Scutari, 117 – 2.4.3. Il
memorandum Popović e la mémoire Plamenac, 124 – 2.5. La presenza
militare interalleata nella primavera del 1919, 129 – 2.6. Conclusione della
questione montenegrina, 134.

145 Capitolo III


Nell’Europa di Versailles. La Piccola Intesa
3.1. Il nuovo equilibrio danubiano, 145 – 3.1.1. Il confine jugoslavo-
ungherese, 147 – 3.1.2. Obiettivi e timori francesi, 151 – 3.1.3. La Gran
Bretagna e i rapporti jugoslavo-ungheresi, 159 – 3.2. Plebiscito in Carinzia,
163 – 3.2.1. La questione del confine austro-sloveno alla Conferenza della
Pace, 166 – 3.2.2. Occupazione di Klagenfurt e reazione italiana, 169 –
3.2.3. Disposizioni del Trattato di Saint-Germain-en-Laye, 171 – 3.3.
L’accordo difensivo jugoslavo-cecoslovacco, 175 – 3.4. Belgrado dinanzi i
tentativi di restaurazione carlista, 184 – 3.5. La questione del Banato e

39
410 Indice

l’accordo difensivo jugoslavo-romeno, 192 – 3.5.1. A tutela del Trattato di Neuilly-


sur-Seine, 208.

217 Conclusioni

231 Bibliografia
Prefazione
di Alessandro Vagnini1

Il presente volume affronta le vicende del Regno dei Serbi,


Croati e Sloveni nel periodo 1918-1921. Si tratta di un tema di
grande interesse per la storia dei Balcani e della stessa Italia a
causa delle conseguenze politiche e strategiche dovute
all’emergere di questa nuova entità statale, che non solo racco-
glie il retaggio e le ambizioni del Regno di Serbia, ma vi unisce
le aspettative ideali e non solo degli slavi meridionali. Nelle pa-
gine che seguono l’autore cerca di rendere la complessità della
posizione politica e diplomatica del Regno SHS alla Conferen-
za della Pace così come l’intricata questione dei confini – con
l’Italia, ma anche con la Romania e l’Ungheria – senza dimen-
ticare che lo Stato jugoslavo incorpora anche territori caratte-
rizzati da una fiera e autonoma identità, come la Croazia e il
Montenegro, a cui non a caso è dedicata una parte consistente
del volume. In effetti, il nuovo Stato ha dispute territoriali aper-
te con tutti i suoi vicini ad eccezione della Grecia; un aspetto
che sicuramente merita di essere menzionato laddove si pensi al
crescente revisionismo del periodo interbellico, che non a caso
ha proprio nell’unione jugoslava uno dei suoi principali obbiet-
tivi.
Questo lavoro rappresenta uno dei risultati del progetto Fu-
turo in Ricerca 2010 intitolato L’Europa di Versailles (1919-
1939). I nuovi equilibri europei tra le due guerre nelle fonti
dell’Archivio dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore Eserci-
to, condotto da due unità di ricerca – presso La Sapienza e
l’Università di Teramo – con la costante ed essenziale collabo-
razione dell’AUSSME; un progetto al quale l’autore ha preso

1
Sapienza – Università di Roma.

5
11
612 Prefazione

parte in qualità di assegnista, contribuendo fin dal suo inizio al


costante lavoro di raccolta e studio dei materiali, concentrando
le proprie attività di ricerca sullo spazio jugoslavo. Il volume è
dunque uno dei risultati di un più ampio progetto che ha visto
coinvolti nel corso degli anni diversi colleghi. Il principale im-
pegno delle unità di ricerca come precedentemente accennato,
si è concentrato sullo studio dei fondi dell’AUSSME, successi-
vamente integrati con i risultati dell’analisi dei fondi di altri
importanti archivi italiani (Ministero Affari Esteri) e stranieri
(Archivio della Società delle Nazioni di Ginevra e gli archivi
dei diversi Paesi interessati dalla ricerca).
La ricerca ha analizzato i complessi mutamenti avvenuti in
Europa al termine della Grande Guerra, evidenziando in parti-
colare il ruolo svolto dai rappresentanti militari e diplomatici i-
taliani nel quadro delle iniziative prese dalle Potenze vincitrici
nel corso della Conferenza della Pace di Parigi. I trattati di pace
prevedevano infatti anche la supervisione del rispetto delle
clausole militari, il rispetto delle minoranze e la delimitazione
dei nuovi confini. Il trattato di Versailles regolava la questione
dei confini della Germania; il trattato di Saint Germain stabiliva
le frontiere della nuova repubblica austriaca; quelli di Neuilly e
Trianon sancivano rispettivamente i nuovi confini di Bulgaria e
Ungheria; mentre il trattato di Sèvres – di fatto inapplicato e so-
stituito da quello di Losanna – stabiliva i termini della pace con
la Turchia. I vincitori tentarono in questo modo di costruire un
nuovo sistema internazionale che tenesse conto delle speranze e
delle attese maturate nelle popolazioni fino ad allora sottomes-
se, direttamente o indirettamente, agli Imperi centrali. Al tempo
stesso erano però mossi da diverse preoccupazioni, in particolar
modo quella di contenere il doppio pericolo di una ripresa
dell’espansionismo tedesco e del diffondersi della rivoluzione
bolscevica, necessità queste che condizionarono diverse scelte
su questioni determinanti come i confini. La carta d’Europa fu
ridisegnata, dunque, tenendo conto di queste due priorità, e i
vuoti lasciati dal crollo dei tre grandi imperi plurinazionali fu-
rono occupati da una serie di nuovi Paesi – teoricamente su basi
etnico-linguistiche e nel rispetto del principio di autodetermina-
Prefazione
Prefazione 13
7

zione – in cui si affermarono di fatto diversi movimenti nazio-


nalisti, spesso in conflitto fra di loro. Su questa base, alcuni sta-
ti preesistenti allo scoppio del conflitto, come la Romania, vide-
ro allargati i propri confini, altri, come la Polonia, furono rico-
stituiti dopo secoli di assenza dalle carte geo-politiche europee,
altri ancora vennero creati ex novo senza tenere conto di alcuna
logica o di precedenti storici, come nel caso della Cecoslovac-
chia e della Jugoslavia. Si assistette di fatto alla creazione di
una serie di Stati multietnici e multinazionali quanto gli imperi
che avevano sostituito. In altre parole, ne derivò un sistema pro-
fondamente instabile.
Attraverso lo studio di verbali e risoluzioni della Conferenza
della Pace, della Conferenza degli Ambasciatori, del Comitato
militare alleato di Versailles è stato possibile delineare il quadro
complessivo del ruolo dell’Italia nel periodo in questione. A
questa fase si è aggiunta l’analisi dei fondi dedicati alle diverse
missioni e commissioni militari interalleate di controllo attive
nei Paesi dell’Europa centro-orientale e balcanica. Si tratta di
una ricca fonte documentaria sulla storia di Paesi quali Albania,
Austria, Belgio, Bulgaria, Cecoslovacchia, Germania, Grecia,
Italia, Jugoslavia, Montenegro, Paesi baltici, Polonia, Turchia,
Ungheria. Vi si trovano poi i documenti relativi alle missioni
militari in Grecia, Russia, Transcaucasia, Siberia e Polonia, così
come pure quelle relative alle missioni di armistizio di Vienna e
di controllo di Klagenfurt e Innsbruck, insieme alla missione
distaccata presso le forze serbe a Corfù. La documentazione ci-
tata è spesso integrata dalle carte dello Stato Maggiore e corre-
data da un prezioso materiale cartografico.
Il valore dei documenti in questione è evidente anche in
considerazione dell’impegno dei rappresentanti italiani per as-
sicurare a Roma un ruolo di rilievo nella regione danubiano-
balcanica e nel Mediterraneo orientale. Sono state analizzate le
dinamiche della politica italiana nei confronti dei diversi Paesi
interessati dai complessi mutamenti avvenuti in Europa al ter-
mine della Prima guerra mondiale. Questo non significa che
non ci si sia dedicati anche allo studio di fonti e temi legati alle
specificità degli altri Paesi coinvolti. Sotto questo punto di vista
814 Prefazione

il presente volume costituisce un chiaro esempio dell’interesse


del gruppo di ricerca nei confronti dell’intero scenario europeo
nel periodo trattato. L’autore si è infatti concentrato sul Regno
SHS in virtù della sua lunga esperienza e preparazione – anche
linguistica – sullo spazio jugoslavo, contribuendo ad arricchire
il progetto di ricerca nel suo complesso, grazie alla possibilità
di integrare questo specifico lavoro con quelli condotti da altri
colleghi sugli altri Paesi. Quest’ultimo aspetto rappresenta
l’elemento forse più interessante di questo lavoro, che appare di
conseguenza non solo un ottimo contributo alla storia dell’area
ex-jugoslava, ma anche un ulteriore e utile tassello della com-
plessa e tormentata storia dell’Europa del XX secolo.
Introduzione

Il 1° dicembre 1918 il principe reggente serbo Aleksandar


Karađorđević proclama a Belgrado, dinanzi la delegazione del
Consiglio nazionale di Zagabria giunta a chiedere ufficialmente
l’unione dei territori slavo-meridionali ex asburgici alla Serbia
e al Montenegro, la nascita del Regno dei Serbi, Croati e
Sloveni1. Fin dalla sua creazione il Regno SHS conosce
un’esistenza tormentata e una precaria stabilità interna,
scontentando sia i sostenitori di una “vera Jugoslavia”
favorevoli a un regime di ampie autonomie interne delle diverse
nazionalità jugoslave in un contesto monarchico-federale se non
addirittura repubblicano, sia i propugnatori di uno Stato
centralizzato di fatto equiparabile a una “Grande Serbia”. La
prima soluzione, che incontra il favore di gran parte delle
popolazioni dei territori dell’ex Impero austro-ungarico ed è so-
stenuta anche da taluni ambienti montenegrini, è ostacolata dal
ruolo preponderante assunto e mantenuto da Belgrado
nell’unione jugoslava.
Le cause della conflittualità interna al Regno SHS sono
serie e profonde. Le differenze culturali fra le varie regioni, le
diversità religiose tra la popolazione slovena e croata cattolica e
quella serba e montenegrina ortodossa – senza considerare
l’elemento musulmano sia slavo sia albanese –, le aspirazioni
regionali discordi (idea pan-serba e idea nazionale croata),
l’utilizzo degli alfabeti latino e cirillico, il sentimento dinastico
serbo, le tendenze repubblicane diffuse tra sloveni e croati,
rendono la compagine jugoslava profondamente instabile sin

1
Dal 1929 ufficialmente Regno di Jugoslavia come veniva chiamato indistintamente
in ambito internazionale fin dal 1918.

9
15
16
10 Introduzione
Introduzione

dalle origini. Serbi e croati, imprescindibilmente legati alle


rispettive tradizioni storiche, politiche, religiose e culturali
diventeranno il paradigma di tale instabilità. Nel 1919 l’unico
carattere comune alle diverse nazionalità presenti all’interno del
regno è quello prevalentemente rurale della popolazione, per
quattro quinti di estrazione contadina. Lo sviluppo economico
ha incontrato in passato innumerevoli ostacoli lasciando l’area
tra le più povere e meno industrializzate d’Europa. Le regioni
sotto il dominio ottomano hanno conosciuto scarse possibilità
di sviluppo e se gli sloveni soggetti agli austriaci hanno
conseguito un certo progresso industriale al contrario
l’economia croata è stata completamente subordinata agli
interessi ungheresi.
Se la frammentata composizione nazionale, unita allo spirito
di rivalsa sociale diffuso tra i contadini ed esteso a operai e
intellettuali sull’onda degli entusiasmi e della curiosità suscitati
dalla rivoluzione del 1917 in Russia, rappresentano le principali
insidie per l’unità jugoslava, l’instabilità interna del regno è
favorita anche da un’attesa di circa due anni per definire
chiaramente le sue frontiere, secondo un’influenza reciproca tra
questione nazionale e relazioni internazionali che rimarrà una
costante della Jugoslavia interbellica, capace di condizionarne
ininterrottamente la politica estera nel tentativo di
affrancamento da un’iniziale grave condizione di isolamento.
Come osserva Ivo Lederer in La Jugoslavia dalla Conferenza di
Pace al trattato di Rapallo 1919-1920, che rimane un testo
fondamentale per lo studio della nascita del Regno SHS e della
definizione dei suoi confini nel biennio 1919-1920, lo Stato
jugoslavo «mosaico di nazionalità, religioni, tradizioni culturali,
con vari livelli di progresso sociale ed economico, non ha mai
goduto di una grande stabilità interna, né di notevole sicurezza
in campo internazionale»2.

2
I.J. LEDERER, La Jugoslavia dalla Conferenza di Pace al trattato di Rapallo 1919-
1920, Il Saggiatore, Milano 1966, p. 3 [ed. originale: Yugoslavia at the Paris Peace
Conference: A Study in Frontier-Making, Yale University Press, New Haven and Lon-
don 1963].
Introduzione
Introduzione 17
11

Nel 1919 il governo di Belgrado per attenuare i dissidi na-


zionali interni alla nuova compagine statale, già evidenti, è co-
stretto a orientare la propria politica estera verso principi di
intransigenza assoluta. Su un’unica questione le nazionalità
jugoslave sembrano infatti concordi: il programma massimo
delle proprie rivendicazioni territoriali, nella convinzione che
solamente l’unione di intenti possa salvare gli slavi del sud
dalle minacce degli Stati limitrofi. La nuova compagine statale
si presenta pertanto alla Conferenza della Pace di Parigi con
dispute territoriali aperte con tutti i suoi vicini (se si esclude la
Grecia), senza particolari distinzioni tra Stati vincitori o vinti:
con l’Ungheria per Bačka, Baranja, Međimurje e Prekmurje;
con l’Austria per la bassa Stiria e la Carinzia; con la Bulgaria
per la zona da Vidin a Petrić lungo il confine serbo-bulgaro;
con la Romania per il Banato; con l’Italia per Trieste, l’Istria,
Fiume, la Dalmazia e le isole; con l’Albania per Scutari e la
regione a est del Drin. Come è noto il nuovo assetto europeo
scaturito dalla Conferenza della Pace, se sembrerà risolvere le
questioni confinarie aperte dal crollo delle compagini imperiali
nell’Europa danubiano-balcanica, inaugurerà in realtà un’epoca
di crescente revisionismo che – aggravata dal risorgere della
potenza tedesca negli anni Trenta – nel caso di Paesi come
Italia, Bulgaria e Ungheria avrà tra i principali obiettivi proprio
la riconsiderazione delle frontiere con lo Stato jugoslavo.
La questione adriatica è sicuramente tra le più complesse e
pericolose per il nuovo equilibrio e la pace in Europa (al mo-
mento della creazione del Regno SHS l’occupazione italiana si
estende sui territori adriatici contesi tra Roma e Belgrado), ma
per il Regno SHS risultano delicate anche la situazione del Ba-
nato e della Carinzia – regioni che gli jugoslavi contendono ri-
spettivamente a romeni e austriaci – così come quella di territo-
ri slavo-meridionali (Croazia e Montenegro) in cui l’unione con
il Regno di Serbia nel comune Stato jugoslavo non risulta così
semplice come probabilmente previsto. Tale condizione di “re-
gno senza frontiere” avrà importanti ripercussioni sulla «sicu-
rezza militare, la vitalità economica, la stabilità politica, la
18
12 Introduzione
Introduzione

tranquillità psicologica» del Regno SHS3. L’Italia, la Romania


e i trattati segreti con cui sono entrate in guerra – che ne soddi-
sfano determinate aspirazioni territoriali – rappresenteranno seri
ostacoli per le ambizioni jugoslave alla Conferenza della Pace.
Se le controversie confinarie con la Romania avranno buone
(seppure lente) prospettive di risoluzione, i contrasti italo-
jugoslavi si riveleranno talmente incompatibili – con le due par-
ti determinate nel mantenere le proprie posizioni – che non vi
sarà possibilità di soddisfare pienamente le rispettive esigenze
né probabilità di arrivare a un compromesso che non mantenga
vivo a lungo un forte antagonismo. La questione adriatica tra
l’altro non riguarda solamente le relazioni italo-jugoslave ma
coinvolge più in generale gli interessi economici e la stabilità
politica dell’intera Europa centrale, costretta a trovare vie
commerciali attraverso gli sbocchi adriatici.
Proprio a causa della disputa con l’Italia il Regno SHS si
presenta alle lunghe e difficili trattative di Parigi senza avere
ancora ottenuto il riconoscimento degli Alleati. La sua delega-
zione è composta di un centinaio di membri – tra plenipotenzia-
ri, delegati, addetti alle segreterie, esperti vari, sezione stampa e
missione militare – scelti tra le fila del Partito radicale di Nikola
Pašić ma anche tra le rappresentanze politiche di tutti i gruppi
nazionali e religiosi jugoslavi (esclusi il Partito comunista e
quello contadino croato di Stjepan Radić). Belgrado, tradizio-
nalmente rivolta alla Russia in ambito internazionale, con
l’uscita dalla scena diplomatica del “grande protettore dei popo-
li slavi ortodossi” in seguito alla rivoluzione bolscevica, si ri-
volgerà a Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti – appellandosi
alla dottrina dell’autodeterminazione dei popoli del presidente
americano Woodrow Wilson – per vedere soddisfatte le proprie
aspirazioni territoriali (anche se per i confini orientali con Ro-
mania e Bulgaria le rivendicazioni jugoslave saranno mosse più
da esigenze strategiche che ragioni etniche). In relazione a
quanto interessa lo Stato jugoslavo il Trattato di Saint Germain-
en-Laye (10 settembre 1919) imporrà la divisione del bacino di

3
Ivi, p. 100.
Introduzione
Introduzione 19
13

Klagenfurt la cui zona meridionale sottoposta a plebiscito ri-


marrà austriaca come la sua minoranza slovena; il Trattato di
Neuilly-sur-Seine (27 novembre 1919) stabilirà le frontiere del
Regno SHS con la Bulgaria assegnando agli jugoslavi rettifiche
territoriali lungo la valle della Struma e nei distretti di Vranje,
Carigrod e Negotin; il Trattato del Trianon con l’Ungheria (4
giugno 1920) dividerà il Banato fra Regno SHS e Romania
dando agli jugoslavi anche Bačka e Baranja. Per il confine con
l’Italia sarà invece necessario un trattato a sé siglato a Rapallo
nel novembre del 1920, che lascerà un’enclave italiana sulla
sponda dalmata a Zara (Zadar) e nelle isole vicine, mentre
Fiume, inizialmente sancita città libera, sarà assegnata all’Italia
con il Trattato di Roma del 1924, anno in cui è finalmente rego-
lato anche il confine albanese-jugoslavo. Se i trattati di pace
stabiliranno finalmente i confini del Regno SHS non ne risolve-
ranno tuttavia i contrasti con gli Stati limitrofi che continueran-
no a egemonizzare le relazioni internazionali jugoslave per
l’intero periodo interbellico minandone l’equilibrio interno.
Ciò nonostante il Regno SHS rappresenterà una colonna
fondamentale del sistema politico-territoriale dell’Europa di
Versailles – definizione che intende in senso più esteso l’intero
equilibrio stabilito nel continente dall’insieme dei trattati di pa-
ce che sanciscono la fine della Prima guerra mondiale. Da un
lato i popoli danubiano-balcanici – romeni, jugoslavi, cecoslo-
vacchi ma anche greci e albanesi – sembrano aver realizzato i
loro sogni unitari, secondo il modello francese dello Stato-
nazione, e ritengono in tal modo di aver concluso con successo
il processo rivoluzionario innescato dalle loro lotte nazionali.
Dall’altro tali “rivoluzioni” trionfano solamente grazie al con-
senso delle Potenze vincitrici e in favore di quanti hanno con-
cluso il conflitto dalla parte giusta. L’Europa di Versailles è
dunque risultato di un compromesso tra vincitori e volontà na-
zionale. Rispetto al XIX secolo cambiano i protagonisti: i gran-
di imperi multinazionali – asburgico, zarista e ottomano – che
hanno guidato le sorti dell’Europa danubiano-balcanica scom-
paiono per lasciare il passo a Francia, Gran Bretagna e nuovi
venuti come l’Italia. La Francia in particolare si impegnerà a
20
14 Introduzione
Introduzione

garantire il nuovo ordine con il sostegno alle rivendicazioni ju-


goslave contro Italia e Bulgaria e sostenendo la Piccola Intesa
costituita da Regno SHS, Cecoslovacchia e Romania (in fun-
zione anti-ungherese) grazie all’operato del ministro degli Este-
ri cecoslovacco Edvard Beneš.
In tale contesto l’unione degli slavi del sud appare come il
culmine di una lotta nazionale con una sua logica storica e con-
venienza politica; tuttavia, sebbene l’unione volontaria di terri-
tori e di popoli con tradizioni e tendenze diverse avvenga attra-
verso sforzi “autoctoni” e senza pressioni esterne, è indubbio
che senza la disfatta dell’Austria-Ungheria e il sostegno alleato
durante e dopo la guerra l’unità jugoslava – almeno così come è
stata storicamente conosciuta – non sarebbe stata possibile. A
ben vedere la creazione del Regno SHS può essere considerata
la conseguenza del convergere di quattro processi storici, dei
quali i primi due hanno origine nel XIX secolo e nella lotta de-
gli slavi del sud per l’affrancamento dal dominio ottomano e
asburgico e gli altri due prendono corpo e culminano solamente
con la Prima guerra mondiale.
Il primo processo storico riguarda l’ascesa della Serbia nella
regione balcanica e il ruolo progressivo da questa assunta quale
“Piemonte” dell’unificazione jugoslava: in tal senso l’assassinio
di Franz Ferdinand a Sarajevo il 28 giugno 1914 e la guerra che
ne sussegue diventano l’epilogo drammatico di un’insanabile
questione nazionale che nell’area slavo-meridionale ha visto
fronteggiarsi l’impegno unificante della Serbia – estensione di
un ben meno idealista espansionismo territoriale – e l’egemonia
dell’Austria-Ungheria sui propri sudditi slavi del sud, in una
crisi accelerata nel 1903 dall’ascesa al trono di Petar Karađor-
đević (dopo circa due decadi di predominio austriaco sul regno
serbo garantito dagli Obrenović) e solo in parte mitigata dalla
diffusione all’interno della Duplice Monarchia di un’idea triali-
sta per la creazione di una terza entità slava.
L’ipotesi trialista è solamente uno dei risultati dei tentativi
di Vienna di arginare la seconda ragione dell’unificazione jugo-
slava, ovvero la progressiva affermazione ideologica dello “ju-
goslavismo”, a partire dalle sue origini nell’illirismo croato per
Introduzione
Introduzione 21
15

approdare all’operato del vescovo Josip Juraj Strossmayer e del


canonico Franjo Rački, che nel 1867 fondano a Zagabria
l’Accademia jugoslava delle Scienze e delle Arti dando nuovo
impulso al processo di emancipazione nazionale che caratteriz-
za la storia degli slavi del sud asburgici nel XIX secolo. L’idea
jugoslava ancora all’inizio del secolo successivo rimane imma-
tura e incompleta – rimarrà un concetto fluido anche durante lo
Stato jugoslavo, interpretato differentemente dai diversi gruppi
e leader nazionali – ciò nonostante è presente e dominante co-
me ideologia nazionale in molti ambienti slavo-meridionali4.
Con l’inizio della Prima guerra mondiale l’unificazione ju-
goslava è accelerata dalla convergenza di intenti tra il governo
serbo e il Comitato jugoslavo creato all’estero dagli esuli slavi
del sud asburgici (terzo processo). L’ideale jugoslavo diventa
ora la legittima giustificazione ideologica alle aspirazioni di
Belgrado sui territori meridionali asburgici, la cui popolazione
slava del sud – o meglio la sua élite politica e intellettuale – a
causa dei rivolgimenti bellici intravede prima la possibilità di
avanzare il proprio status all’interno della compagine imperiale
e in un secondo tempo non ha altre alternative che accettare
l’egemonia del regno serbo nell’evoluzione dell’unificazione
jugoslava.
A tali dinamiche interne alla realtà jugoslava al termine del-
la guerra subentrerà infine il sostegno fornito – prima e dopo la
proclamazione del Regno SHS – dalle Potenze vincitrici che
vedranno nell’unione jugoslava una soluzione speculare ai pro-
pri interessi ideologici, politici, strategici ed economici garantiti
dal nuovo assetto europeo stabilito a Parigi (quarto processo).

4
Cfr. D. DJOKIĆ (ed.), Yugoslavism: Histories of a Failed Idea, 1918-1992, Hurst &
Co., London 2003, p. 4. L’esistenza stessa dello jugoslavismo come idea – al pari della
creazione dello Stato jugoslavo – negherebbe l’appellativo di “idea artificiale” ad esso
attribuito con sempre più insistenza negli ultimi anni. L’idea jugoslava in tal senso non
sarebbe stata meno “naturale” di altre ideologie nazionali incluse la serba e la croata. Si
veda D. RUSINOW, The Yugoslav Idea before Yugoslavia, ivi, pp. 11-26. Tra i più noti
studi in lingua inglese dedicati all’idea jugoslava si ricorda A.B. WACHTEL, Making a
Nation, Breaking a Nation. Literature and Cultural Politics in Yugoslavia, Stanford
University Press, Stanford 1998.
22
16 Introduzione
Introduzione

Le interpretazioni dell’unione jugoslava in sede storiografica


sono state condizionate da una serie di fattori, in primo luogo il
contesto storico-politico in cui sono state avanzate e per quanto
riguarda le più giovani generazioni di storici dell’area ex jugo-
slava la loro nazionalità di origine. In gran parte esse concorda-
no nel considerare il fenomeno come la conseguenza di un pro-
cesso nazionale – o di una fase di tale processo verrebbe da dire
oggi – il cui merito è ascrivibile esclusivamente al convergere
degli intenti delle nazionalità jugoslave, ma vi sono anche quel-
le che sottolineano il sostegno fondamentale fornito dalle Po-
tenze vincitrici. La seconda interpretazione ha ovviamente tro-
vato sempre più proseliti negli ultimi anni, in seguito alla disso-
luzione della Jugoslavia, senza tuttavia soppiantare la prima.
Nel 1963 Lederer scriveva che se la vittoria alleata era stata il
presupposto della fondazione del Regno SHS, essa non ne era
stata certo la causa, da ricercare nelle radici ideologiche
dell’unione jugoslava5. Se tale considerazione appare normale
in un’epoca in cui si era ancora nel pieno dell’esistenza della
Jugoslavia socialista, non va tralasciato come l’idea di un Re-
gno SHS creatura autonoma degli jugoslavi e non delle Potenze
vincitrici sia ampiamente condivisa in tutt’altra epoca e conte-
sto storico-politico da chi ha affrontato la questione più recen-
temente, sia nell’ambito dello studio delle relazioni internazio-
nali e delle decisioni prese alla Conferenza della Pace come
Margaret Macmillan,6 sia nell’ambito degli studi di area dedica-
ti allo Stato jugoslavo nel periodo interbellico come Elusive
Compromise di Dejan Djokić7. Entrambi sottolineano giusta-

5
I.J. LEDERER, op. cit., p. 13. Di tali radici, così come delle altre ideologie nazionali
alternative allo jugoslavismo sviluppatesi tra le popolazioni slave del sud prima del
1918, si ha un ampio resoconto in un testo altrettanto fondamentale per l’analisi della
situazione interna dello Stato jugoslavo delle origini (1918-1921): I. BANAC, The Na-
tional Question in Yugoslavia: Origins, History, Politics, Cornell University Press, I-
thaca 1984. Banac sostiene che le cause dell’instabilità jugoslava siano da ricercarsi
proprio nelle contrastanti ideologie nazionali serba e croata propagatesi prima dello
Stato comune jugoslavo e mai soppiantate anche dopo la sua fondazione.
6
M. MACMILLAN, Paris 1919: Six Months That Changed the World, Random House,
London 2001, p. 110.
7
D. DJOKIĆ, Elusive Compromise: A History of Interwar Yugoslavia, Columbia
University Press, New York and London 2007, p. 42. A confutare il “mito” del ruolo
Introduzione
Introduzione 23
17

mente come la Jugoslavia non sia stata una creazione della


Conferenza della Pace ma esistesse già per propria iniziativa al
momento dell’arrivo dei primi diplomatici a Parigi.
Nel suo studio dedicato alle posizioni britanniche nei con-
fronti della nascita dello Stato jugoslavo anche James Evans
concorda che gli studiosi abbiano respinto l’idea che l’Europa
del dopoguerra sia stata semplicemente creata dal Consiglio dei
Quattro a Versailles. Secondo Evans le cancellerie alleate a-
vrebbero “creato” la Jugoslavia nel senso di averne approvato
l’esistenza accordandole un riconoscimento legale e fornendo
un arbitrato alle sue controversie confinarie. Evans non manca
tuttavia di evidenziare come le Grandi Potenze non abbiano a-
vuto un ruolo puramente passivo nel processo di unificazione
jugoslava avviato durante la guerra. I promotori dell’unione ju-
goslava nel pieno dei rivolgimenti bellici seguono infatti con
grande attenzione le tendenze dell’opinione pubblica dei Paesi
dell’Intesa – e a loro volta lavorano per condizionarle in senso
favorevole al loro obiettivo – nella convinzione che la creazione
di uno Stato jugoslavo sarebbe stata possibile solamente con un
concreto sostegno internazionale8.
È difficile ignorare il ruolo avuto dalle Potenze vincitrici nel
ridisegnare la “nuova Europa” e dunque anche nell’influenzare
il processo di creazione dello Stato comune jugoslavo così co-
me storicamente conosciuto. A maggior ragione se si affronta la
storia dello Stato jugoslavo dal punto di vista delle sue relazioni
internazionali e non prettamente della questione nazionale inte-
stina. Sostiene Srdja Pavlović, proprio contestando la posizione

avuto dalla comunità internazionale nella creazione del Regno SHS Djokić chiama in
causa il ritardo di diversi mesi delle Grandi Potenze nel riconoscere l’unificazione del
1° dicembre 1918. Il concetto è ripreso da un contributo presente nel precedente volume
edito dall’Autore: A. MITROVIĆ, The Yugoslav Question, the First World War and the
Peace Conference, in D. DJOKIĆ (ed.), Yugoslavism: Histories of a Failed Idea, pp. 42-
56 (p. 56).
8
J. EVANS, Great Britain and the Creation of Yugoslavia. Negotiating Balkan
Nationality and Identity, Tauris Academic Studies, London-New York 2008, p. 1. Non
a caso Evans dedica un capitolo del suo lavoro all’incorporazione del Montenegro
nell’unione jugoslava in virtù delle particolari implicazioni diplomatiche assunte dalla
questione a livello internazionale.
24
18 Introduzione
Introduzione

della Macmillan, che senza le pressioni esercitate da Robert


William Seton-Watson – durante i primi due anni di guerra il
governo serbo fa circolare ampiamente in Montenegro la sua
pubblicazione pro-unione The Yugoslav Question – e dai circoli
inglesi e francesi nel mediare tra il governo di Belgrado e il
Comitato jugoslavo, non è detto che un solo Stato jugoslavo sa-
rebbe apparso al termine della guerra, con la probabile soprav-
vivenza dell’altro regno fino allora riconosciuto indipendente
nei territori abitati dagli slavi del sud, quello del Montenegro,
alla cui “annessione” alla Serbia (e non al Regno SHS) è dedi-
cato il suo studio Balkan Anschluss. The Annexation of Monte-
negro and the Creation of the Common South Slavic State9.
Il compromesso con cui la compagine statale jugoslava vie-
ne creata – nell’ordine di onorare sia il principio di auto-
determinazione dei popoli, sia gli interessi delle Potenze vinci-
trici, sia quelli della Serbia – viola inevitabilmente alcune aspi-
razioni nazionali lasciando nazionalità jugoslave “insoddisfat-
te”, come i croati fautori del federalismo e di ampie autonomie,
gli sloveni che nel plebiscito in Carinzia optano in buona parte
per l’Austria, parte dei montenegrini che vedono scomparire la
propria “indipendenza” dopo circa quattrocento anni, i macedo-
ni e la VMRO divisi tra rivendicazioni nazionali e aspirazioni
serbe, greche e bulgare, gli albanesi kosovari separati dalla ma-
drepatria.
Che ne sarebbe stato dell’Istria e della Dalmazia se le Poten-
ze vincitrici avessero assecondato le pretese italiane fin dai
tempi delle occupazioni del novembre 1918? E se avessero fatto
lo stesso con le ambizioni italiane e austriache sui territori abi-
tati da sloveni? Croati e sloveni si sarebbero affrettati a recarsi a
Belgrado per offrire il potere ad Aleksandar Karađorđević sen-
za il dovuto sostegno internazionale riconosciuto alla Serbia? E
che ne sarebbe stato del Montenegro se i francesi non avessero
assecondato l’occupazione serba? O della Macedonia se fossero
state prese in considerazione le aspirazioni nazionali della

9
S. PAVLOVIĆ, Balkan Anschluss. The Annexation of Montenegro and the Creation of
the Common South Slavic State, Purdue University Press, West Lafayette 2008, p. 23n.
Introduzione
Introduzione 25
19

VMRO? La successiva storia della Jugoslavia – a torto o a ra-


gione – sarà pesantemente condizionata da quanto rimasto di-
satteso a Versailles.
Capitolo I

Il Regno SHS e l’Alto Adriatico

1.1. La questione adriatica

La questione adriatica ha rappresentato una delle più importanti


e complesse affrontate alla Conferenza della Pace di Parigi del
1919. Al momento dell’armistizio Italia e Serbia sono intenzio-
nate a soddisfare le rispettive aspirazioni territoriali e
l’escalation di tensione arriverà al punto da prospettare il serio
pericolo di un conflitto armato, soprattutto in seguito
all’occupazione italiana dei territori di confine a popolazione
mista previsti per l’Italia dal Patto di Londra. In pochi giorni le
forze italiane conquisteranno le posizioni chiave istriane e dal-
mate per poi superare la linea di demarcazione stabilita a Villa
Giusti e dirigersi verso Fiume, esclusa dal trattato del 26 aprile
1915. Le manovre italiane allarmeranno il Consiglio Nazionale
(Narodno Vijeće) riunito a Zagabria nell’ottobre del 1918, che
vedrà nell’occupazione i preliminari dell’annessione dei territo-
ri contesi dagli jugoslavi asburgici all’Italia e chiederà pertanto
l’assistenza militare dello Stato Maggiore serbo e degli Alleati.
I francesi in particolare favoriranno la presenza sul territorio
dell’esercito serbo, nell’Alto Adriatico come nel Montenegro
unito alla Serbia dall’Assemblea di Podgorica del 26 novembre
1918, mentre il processo di unificazione jugoslava il 1° dicem-
bre porterà alla proclamazione del Regno dei Serbi, Croati e
Sloveni (Kraljevina Srba, Hrvata i Slovenaca, SHS).

21
27
28
22 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

La questione adriatica diventerà così una delle più comples-


se della nuova Europa. Il presidente americano Woodrow Wil-
son, l’unico esponente delle Grandi Potenze non vincolato agli
obblighi dei trattati intercorsi negli anni di guerra, sarà decisa-
mente contrario alle rivendicazioni territoriali italiane, mentre
Francia e Inghilterra, tenute a osservare il Patto di Londra, si ri-
fiuteranno di aggiungere Fiume (Rijeka) – richiesta dalla dele-
gazione italiana alla Conferenza della Pace – ai territori pro-
messi nell’aprile del 19151. Gli jugoslavi avranno inizialmente
un ruolo secondario nei negoziati sulle dispute territoriali, tute-
lati da Stati Uniti e in misura crescente Francia e Inghilterra.
Solamente dopo due anni di estenuanti trattative si arriverà a
una parziale soluzione della questione adriatica attraverso ne-
goziati diretti tra Roma e Belgrado, concretizzati con il Trattato
di Rapallo del 12 novembre 1920.

1.2. Obiettivi italiani, serbi e jugoslavi

Il principale obiettivo italiano nella guerra all’Austria-Ungheria


è ultimare il processo di emancipazione nazionale con
l’acquisizione dei territori irredenti al confine orientale e rende-
re l’Adriatico il proprio mare clausum. L’Adriatico ha per
l’Italia un valore strategico essenziale: in particolar modo la sua
costa orientale, irregolare e montuosa, protetta dalle numerose
piccole isole a formare una cortina perfetta di canali, porti e in-
senature, ripari impareggiabili per la difesa marittima e la guer-

1
Fiume, esclusa dalle concessioni all’Italia previste dal Patto di Londra, sarà rivendi-
cata dal governo di Roma al termine della guerra, in seguito alla dissoluzione
dell’Austria-Ungheria. Al momento dell’ingresso in guerra al fianco dell’Intesa l’Italia
aveva rivendicato il controllo dell’Adriatico con l’annessione di gran parte della Dal-
mazia; la Russia, tuttavia, in difesa degli interessi della Serbia e delle popolazioni slave
del sud, aveva insistito affinché le fossero concesse solamente Zara e Sebenico. Prima
tra le potenze dell’Intesa a sostenere l’importanza del contributo militare italiano allo
sforzo bellico alleato (soprattutto a causa delle sconfitte subite nel corso del 1915 per
mano tedesca), la Russia temeva al tempo stesso che l’Italia potesse rappresentare un
elemento di discordia all’interno della coalizione alleata e una complicazione per il fu-
turo assetto di pace. Cfr. R. ALBRECHT-CARRIÉ, Italy at the Paris Peace Conference,
Columbia University Press, New York 1938, p. 25.
Il Regno
Ii. Il Regno SHS
SHS ee l’Alto
l’Alto Adriatico 29
23

ra di agguato, in netto contrasto con la piatta sponda adriatica


occidentale, inadatta ad alcun tipo di difesa e impossibile da
fortificare o proteggere con basi navali nascoste – se si esclu-
dono i due estremi di Venezia e Brindisi2. Nell’aprile del 1915
la promessa della sponda orientale adriatica e di una posizione
chiave in Albania – a soddisfazione delle aspirazioni italiane di
completamento nazionale e di sicurezza strategico-marittima –
convincono l’Italia all’ingresso in guerra al fianco dell’Intesa. Il
Patto di Londra le assicura, in caso di vittoria, ampi territori ai
danni dell’Austria-Ungheria: il Trentino, la frontiera naturale
del Brennero, Trieste, le contee di Gorizia e Gradisca e l’Istria
fino al Quarnaro (Kvarner) comprese le isole Cherso (Cres),
Lussino (Lošinj) e altre più piccole3. Il trattato prevede inoltre
l’assegnazione all’Italia di parte della provincia della Dalmazia
comprese a nord Lisarica e Tribania (Tribanj) e a sud la linea
che da Capo Planka sulla costa segue a est le cime delle alture,
in modo da lasciare in territorio italiano le valli e i fiumi verso
Sebenico (Šibenik). L’Italia, infine, avrebbe avuto le isole nel
nord-ovest della Dalmazia (Lissa, Lesina, Curzola, Lagosta)4
oltre agli isolotti limitrofi e Pelagosa (Palagruža). A Croazia,
Serbia e Montenegro sarebbero state invece assegnate:
nell’Adriatico settentrionale l’intera costa dalla baia di Volosca
(Volosko) ai confini dell’Istria (fino alla frontiera settentrionale
della Dalmazia) inclusa la costa adriatica appartenente al Regno
d’Ungheria e l’intera costa della Croazia con il porto di Fiume e
le isole di Veglia (Krk) e Arbe (Rab); nell’Adriatico meridiona-
le – interesse della Serbia e del Montenegro – l’intera costa da
Capo Planka fino al fiume Drin, con Spalato (Split), Ragusa

2
Cfr. W. WARREN, The Just Claims of Italy. The Question of the Trentin, of Trieste
and of the Adriatic, n.p. 1917, pp. V-VI (Thaon di Revel) e 46-47. Sulla valenza geo-
grafica della questione adriatica si veda inoltre D. JOHNSON, Geographic Aspects of the
Adriatic Problem, in Proceedings of the American Philosophical Society, 59, 6, 1920,
pp. 512-516.
3
Per il testo del Patto di Londra si veda A. GIANNINI, Documenti per la storia dei
rapporti fra l’Italia e la Jugoslavia, Istituto per l’Europa orientale, Roma 1934, pp. 7-
12. Sui negoziati si veda M. TOSCANO, Il Patto di Londra. Storia diplomatica
dell’intervento italiano (1914-1915), Zanichelli, Bologna 1934.
4
Vis, Hvar, Korčula, Lastovo.
30
24 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

(Dubrovnik), Cattaro (Kotor) e le isole (Zirona Grande e Picco-


la, Bua, Solta, Brazza)5.
Il Regno di Serbia sin dal 1914 sostiene invece di rappresen-
tare gli interessi di tutti gli slavi del sud dinanzi gli Alleati spo-
sando l’ideologia dell’unità e dell’indipendenza jugoslava, an-
che se di fatto le aspirazioni serbe sembrano rispondere a logi-
che tradizionali di espansionismo e difesa territoriale piuttosto
che propositi di irredentismo nazionale. Nikola Pašić, ai vertici
della politica serba da circa trent’anni, si aspetta che la vittoria
bellica porti l’espansione della Serbia sui territori slavo-
meridionali dell’Austria-Ungheria6. Per tale ragione sin dal set-
tembre del 1914 delinea le rivendicazioni territoriali serbe: Bo-
snia-Erzegovina, Vojvodina, Dalmazia, Croazia-Slavonia, Istria
e Slovenia7. Segue poi la Dichiarazione di Niš del 7 dicembre
1914 con cui il governo serbo proclama formalmente la volontà
di lottare «per la liberazione e l’unione di tutti i nostri fratelli
serbi, croati e sloveni»8. Per Pašić “liberazione” e “unificazio-
ne” degli jugoslavi significa essenzialmente integrazione nel
regno serbo delle altre nazionalità senza rinunciare alla sovrani-
tà serba. In tal senso Stanoje Stanojević9 sostiene che la que-
stione nazionale slavo-meridionale all’interno dell’Impero a-

5
Drvenik, Mali Drvenik, Čiovo, Solta, Brač.
6
Sulla Serbia durante la Prima guerra mondiale si veda A. MITROVIĆ, Serbia’s Great
War 1914-1918, Purdue University Press, West Lafayette Indiana 2007. Sul periodo
bellico in relazione all’unificazione jugoslava: D. DJORDJEVIĆ (ed.), The Creation of
Yugoslavia, 1914-1918, Clio Books, Santa Barbara 1980. Sul pensiero politico di Pašić:
C. JELAVICH, Nikolas P. Pasic: Greater Serbia or Jugoslavia?, in Journal Of Central
European Affairs, XI, 1951, pp. 133-152.
7
Cfr. K.ST. PAVLOWITCH, The First World War and the Unification of Yugoslavia, in
D. DJOKIĆ, Yugoslavism: Histories of a Failed Idea, pp. 27-41 (p. 29); A. MITROVIĆ,
Serbia’s Great War 1914-1918, p. 89. Sugli obiettivi di guerra serbi si veda più in gene-
rale M. EKMEČIĆ, Ratni ciljevi Srbije 1914, Srpska književna zadruga, Beograd 1973.
8
Izjava kr. srpske vlade u Narodnoj Skupštini, Niš, 7. dec. (24. nov.) 1914, in F.
ŠIŠIĆ, Dokumenti o postanku Kraljevine Srba, Hrvata i Slovenaca 1914.-1919., Nakla-
da Matice Hrvatske, Zagreb 1920, p. 10. Si veda anche E.J. WOODHOUSE, C.G. WOO-
DHOUSE, Italy and the Jugoslavs, R.G. Badger The Gorham Press, Boston 1920, p. 69;
A. MITROVIĆ, Serbia’s Great War 1914-1918, p. 96; D. DJOKIĆ, Elusive Compromise,
p. 14.
9
Professore dell’università di Belgrado tra i principali teorici del programma jugosla-
vista serbo sarà membro della sezione etnografica e storica della delegazione SHS alla
Conferenza della Pace.
Il Regno
Ii. Il Regno SHS
SHS ee l’Alto
l’Alto Adriatico 31
25

sburgico altro non sia che parte, seppure essenziale, della più
vasta questione nazionale serba. E se l’interesse principale
dell’Intesa in quel momento è piegare la potenza tedesca – non
si pensa a una dissoluzione dell’Impero asburgico – dal 1916
diventerà sempre più concreta nell’Europa occidentale l’idea di
promuovere e incoraggiare la creazione, dall’unione della Ser-
bia e del Montenegro, di un grande Stato slavo-meridionale – o
al più una federazione di Stati – che possa arginare
l’espansionismo germanico verso l’Oriente europeo soddisfa-
cendo al tempo stesso i principi di nazionalità10.
L’espansionismo belgradese contrasta con la concezione di
jugoslavismo degli esuli croati e sloveni che dall’inizio della
guerra sostengono la causa jugoslava nei Paesi dell’Intesa. Cer-
to i successi nelle Guerre balcaniche del 1912-13 hanno guada-
gnato prestigio alla Serbia e non sono mancati i croati che fin
dal luglio 1914 si sono uniti all’esercito serbo; anche in questo
caso, tuttavia, ciò a cui non si è rinunciato è il rispetto
dell’identità nazionale croata, rivendicata attraverso la richiesta
dei volontari di introdurre le insegne croate nell’esercito serbo
già durante la guerra. La contrarietà di Pašić alla creazione di
alcun tipo di formazione legionaria che possa sminuire il suc-
cesso serbo sarà interpretato come un primo segnale dei reali
obiettivi egemonici di Belgrado inducendo molti volontari croa-
ti ad abbandonare l’esercito serbo, tacciato di propositi pan-
serbisti11.
Il Comitato jugoslavo (Jugoslavenski odbor) dei croato-
dalmati Ante Trumbić e Frano Supilo, costituito nell’aprile-
maggio del 1915 tra Parigi e Londra, non vuole una Serbia più
grande, ricompensa degli eventuali successi ottenuti nel conflit-
to, ma un’unione degli slavi meridionali in base al diritto di na-

10
Si veda I.J. LEDERER, op. cit., pp. 14-15, 32 e 59.
11
Si veda I. DESPOT, The Short Existence of the State of Slovenes, Croats, and Serbs
(From Late October to December 1st, 1918), in O. HRISIMOVA (ur.), Europe: Peoples
and Boundaries. The Treaty of Versailles and his heritage, Studia Balcanica 28, Para-
digma, Sofija 2010, pp. 34-55.
32
26 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

zionalità e alla volontà di autodeterminazione dei popoli12. È


vero che la Serbia sostiene moralmente ed economicamente la
creazione del comitato – ne faranno parte anche elementi legati
al governo serbo di Corfù13 – ma è altrettanto vero che Trumbić
e Supilo mantengono la propria indipendenza politica ed eco-
nomica garantita dai contributi degli emigrati jugoslavi in Ame-
rica e dalle simpatie di influenti circoli intellettuali e politici in-
glesi e francesi14. Quando alla fine del 1914 sono delineati gli
obiettivi del Comitato jugoslavo che va costituendosi è chiara-
mente affermata la volontà di preservare l’individualità storica
croata e slovena all’interno della futura unione. A Londra Supi-
lo15 vanta rapporti personali con i ministri Herbert Asquith ed
Edward Grey; Trumbić l’amicizia del professor Robert William
Seton-Watson, fondatore e editore del giornale The New Euro-
pe, e del redattore di politica estera del Times Henry Wickham
Steed, entrambi ardenti sostenitori delle piccole nazionalità,
come la jugoslava, la cecoslovacca o la polacca16. In Francia il
Comitato jugoslavo può contare sul sostegno di intellettuali

12
Trumbić era stato presidente del Partito nazionale croato nella dieta dalmata e un
attivo sostenitore dell’unione jugoslava. Sul Comitato jugoslavo si veda M. PAULOVA,
Jugoslavenski odbor (Povijest jugoslavenske emigracije za svjetskog rata 1914.-1918.),
Prosvjetna nakladna zadruga, Zagreb 1925; V. BOGDANOV, F. ČULINOVIĆ, M. KO-
STRENČIĆ (ur.), Jugoslavenski odbor u Londonu, Jugoslavenska akademija znanosti i
umjetnosti, Zagreb 1966; G. STOKES, The Role of the Yugoslav Committee in the For-
mation of Yugoslavia, in D. DJORDJEVIĆ (ed.), op. cit., pp. 51-67.
13
Dal gennaio del 1916 fino al termine della guerra, Corfù, sede del governo serbo,
dei membri della Skupština e degli elementi dell’esercito fuggiti alla disfatta militare
(ma riorganizzati nella primavera del 1916 per esser posti a disposizione del comando
alleato di Salonicco), è il centro dell’attività diplomatica e politica serba. Sull’epica riti-
rata serba verso l’Adriatico e le operazioni di salvataggio durate sino all’aprile del 1916
con circa 170.000 evacuati tra militari e civili si veda A. MITROVIĆ, Serbia’s Great
War, pp. 151-161.
14
Ivi, pp. 290-292; D. DJOKIĆ, Elusive Compromise, p. 16.
15
Supilo morirà nel 1917 dopo aver abbandonato il Comitato jugoslavo l’anno prece-
dente in seguito a contrasti sorti con Trumbić relativi alle relazioni da intrattenere con
Belgrado (Supilo voleva staccarsi da Pašić, Trumbić sosteneva si dovesse collaborare
con il governo serbo). D. DJOKIĆ, Elusive Compromise, p. 18.
16
Nel novembre del 1918, in una comunicazione al ministro degli Esteri Sidney Son-
nino, l’ambasciatore italiano a Parigi Lelio Bonin Longare definisce Steed “più jugosla-
vo dei (sic) jugoslavi”. Si vedano i Documenti Diplomatici Italiani (DDI), Sesta serie,
1918-1922, vol. I, doc. 23.
Il Regno
Ii. Il Regno SHS
SHS ee l’Alto
l’Alto Adriatico 33
27

quali Ernest Denis, Emile Haumant, Victor Bérard, Louis Lé-


ger17.
Comitato jugoslavo e governo serbo almeno inizialmente
perseguono i propri obiettivi indipendentemente l’uno
dall’altro. Pašić è incapace di accettare l’idea di un’unione ju-
goslava in cui la Serbia sia una delle tante componenti dello
Stato al pari delle altre. Solamente dalla fine del 1916 le due
parti comprendono la necessità di un progressivo avvicinamen-
to18. Dettaglio non trascurabile il Comitato jugoslavo non ha un
mandato ufficiale e rappresenta unicamente le aspirazioni di
un’élite intellettuale e politica non del tutto corrispondenti a
sentimenti e voleri dell’intera popolazione slavo-meridionale
asburgica, solo in parte favorevole all’unione con il Regno di
Serbia. Di fatto subito dopo la proclamazione del Regno SHS il
Comitato jugoslavo sarà sciolto.
A favorire l’unificazione jugoslava contribuiranno anche i
rivolgimenti bellici. Se gli jugoslavi guardano alla Russia per i
propri obiettivi, con la caduta dello zar e l’uscita russa dalla
guerra è l’ingresso americano, svincolato dai trattati segreti
stretti dall’Intesa, a fornire maggiori garanzie. Un primo impor-
tante segnale da parte degli Alleati avviene con la risposta a
Wilson del 10 gennaio 1917: la Sezione VII comprende tra gli
obiettivi di guerra la liberazione dalla dominazione straniera di
italiani, slavi, romeni e ceco-slovacchi, così come la restaura-
zione dei regni di Serbia e Montenegro19. Quattro mesi dopo
(30 maggio 1917) i membri slavo-meridionali del Reichsrat di

17
A Londra come a Parigi tali circoli intellettuali elogiano lo sforzo bellico serbo e
montenegrino nei rispettivi ambienti governativi e nell’opinione pubblica nazionale. Su
istruzione del Foreign Office Seton-Watson e lo storico George Trevelyan alla fine del
1914 viaggiano attraverso la Serbia per due mesi con il compito di riportare al governo
inglese quanto sta accadendo nel Paese. Cfr. A. MITROVIĆ, Serbia’s Great War 1914-
1918, p. 104. Su Seton-Watson si veda H. SETON-WATSON et. al. (eds), R.W. Seton-
Watson and the Yugoslavs: Correspondence, 1906-1941, I-II, British Academy and Za-
greb University Press, London-Zagreb 1976. Sulle posizioni di Trevelyan si veda G.M.
TREVELYAN, Austria-Hungary and Serbia, in The North American Review, 201, 715,
1915, pp. 860-868. Su Léger e Denis si veda F. FEJTŐ, Requiem per un impero defunto.
La dissoluzione del mondo austro-ungarico, Mondadori, Milano 1990, pp. 363-370.
18
Si veda I.J. LEDERER, op. cit., pp. 19 e 31-33.
19
Cfr. E.J. WOODHOUSE, C.G. WOODHOUSE, op. cit., pp. 71-72.
34
28 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

Vienna, costituitisi in gruppo nazionale (Club jugoslavo), al pa-


ri di quanto fatto dai deputati cechi e polacchi,20 auspicano in
nome del principio di nazionalità l’unificazione dei territori abi-
tati da croati, sloveni e serbi della Duplice Monarchia in uno
Stato indipendente e democratico, libero dalla dominazione
straniera ma sottoposto all’egida degli Asburgo21. La dichiara-
zione del Club jugoslavo guidato da monsignor Anton Korošec,
leader del Partito popolare sloveno (Slovenska ljudska stranka,
SLS), è accolta favorevolmente anche dal Sabor croato, dove
dal 1906 la coalizione dei principali partiti serbo-croati asburgi-
ci rappresenta la prima forza politica22. La dichiarazione è stata
spesso chiamata in causa quale prova dei sentimenti filo-
asburgici croati e sloveni, del loro desiderio di rimanere
all’interno della Duplice Monarchia qualora avessero potuto re-
alizzarvi le proprie rivendicazioni nazionali; nelle circostanze
belliche del 1917, tuttavia, è da ritenersi più correttamente un
atto coraggioso e un velato appello allo jugoslavismo,
nell’impossibilità di rivendicare apertamente la volontà di sepa-
razione dall’Impero asburgico – e tanto meno di unificazione
alla nemica Serbia – senza incorrere in un’accusa di alto tradi-
mento.
Il passo successivo verso l’unificazione jugoslava è rappre-
sentato dalla Dichiarazione di Corfù del 20 luglio 1917. Firmata
da Trumbić in qualità di presidente del Comitato jugoslavo e da
Pašić, capo del governo serbo, rappresentante della Skupština
(l’assemblea nazionale serba) e leader del Partito radicale (Na-
rodna radikalna stranka, NRS), la dichiarazione pone le basi
dell’unione della “nazione dai tre nomi” (troimeni naroda), u-
nica «per sangue, lingua parlata e scritta, sentimento di unità,
integrità e continuità di territorio», in Stato libero, nazionale e

20
Il Club jugoslavo invierà a Praga un telegramma che invoca la lotta fianco a fianco
di jugoslavi e cecoslovacchi per l’autodeterminazione nazionale. Ivi, p. 77.
21
Deklaracija Jugoslovenskoga kluba (Beč, 30. maja 1917.), in F. ŠIŠIĆ, op. cit., p.
94. Si veda anche E.J. WOODHOUSE, C.G. WOODHOUSE, op. cit., p. 75; D. DJOKIĆ, Elu-
sive Compromise, p. 24.
22
Vi aderiranno anche i clericali sloveni del vescovo Anton Jeglić, i cattolici e i fran-
cescani della Bosnia-Erzegovina, gli universitari di Zagabria, i deputati istriani e i serbi
del Partito radicale in Vojvodina. Si veda F. ŠIŠIĆ, op. cit., pp. 102-108 e 114-117.
Il Regno
Ii. Il Regno SHS
SHS ee l’Alto
l’Alto Adriatico 35
29

indipendente sotto la dinastia serba dei Karađorđević, secondo


il principio dell’autodeterminazione dei popoli. A differenza
della dichiarazione del 30 maggio del Club jugoslavo a Vienna,
quella di Corfù rivendica apertamente l’unione in uno Stato ju-
goslavo di territori asburgici, Serbia e Montenegro. Monarchia
costituzionale, democratica e parlamentare, il nuovo Stato a-
vrebbe riconosciuto i tre nomi nazionali (serbi, croati e sloveni),
i due alfabeti (cirillico e latino), le tre bandiere nazionali (pur
adottando un’unica bandiera e stemma di Stato) e le tre religio-
ni (cattolica, ortodossa e musulmana)23.
Il programma è immediatamente accettato dal Comitato na-
zionale montenegrino a Parigi24. La Dichiarazione di Corfù la-
scia però volutamente aperta la questione più delicata: lo Stato
comune sarebbe stato centralizzato o decentralizzato ed even-
tualmente federalista? Un potere centralizzato significava so-
stanzialmente l’estensione dell’organizzazione politica del Re-
gno di Serbia ai territori asburgici che a esso si fossero uniti; un
sistema decentralizzato e dotato di ampie autonomie regionali
come auspicato da Trumbić avrebbe invece assicurato, almeno
formalmente, maggiori diritti politici e civili alle diverse nazio-
nalità jugoslave. Da tale omissione tutti i limiti della Dichiara-
zione di Corfù e la stabilità jugoslava minata fin nelle sue fon-
damenta. Scrive Dejan Djokić che i croati, determinati a ottene-
re un’ampia autonomia per la Croazia, rifiuteranno le istituzioni

23
Per il testo della Dichiarazione di Corfù (Krfska Deklaracija, 20. jula 1917) si ve-
da: F. ŠIŠIĆ, op. cit., pp. 96-99; E.J. WOODHOUSE, C.G. WOODHOUSE, op. cit., pp. 72-
74; P.D. OSTOVIĆ, The Truth about Yugoslavia, Roy, New York 1952, pp. 275-276; B.
PETRANOVIĆ, M. ZEČEVIĆ, Jugoslavenski Federalizam, Ideje i Stvarnost. Tematska
zbirka Dokumenata, Prvi tom 1914-1943, Prosveta, Beograd 1987, pp. 36-38. Sui nego-
ziati per la dichiarazione si veda: F. ŠIŠIĆ, op. cit., pp. 306-314; A. SMITH-PAVELIĆ, Dr.
Ante Trumbić. Problemi Hrvatsko-Srpskih Odnosa, Knjižnica hrvatske revije, München
1959, pp. 73-91; D. JANKOVIĆ, Jugoslovensko pitanje i Krfska deklaracija 1917. godi-
ne, Savremena administracija, Beograd 1967. Sulle reazioni italiane si veda nella sto-
riografia jugoslava: D. ŠEPIĆ, Italija, Saveznici i Jugoslavensko Pitanje 1914-18, Škol-
ska knjiga, Zagreb 1970; D.R. ŽIVOJINOVIĆ, The War Aims Of Serbia And Italy (1917),
in V.G. PAVLOVIĆ (ed.), Italy’s Balkan Strategies 19th & 20th Century, Institute for Bal-
kan Studies, Belgrade 2014, pp. 137-158 (pubblicato originariamente in Istorija 20. ve-
ka, I, 1983).
24
Deklaracija crnogorskog odbora za nar. ujedinjenje, Pariz, 11. augusta (29. jula)
1917, Predsjednik Andrija Radović, in F. ŠIŠIĆ, op. cit., pp. 100-101.
36
30 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

centraliste dello Stato jugoslavo trasformando il dibattito politi-


co e costituzionale tra centralisti e anti-centralisti in un conflitto
nazionale tra serbi e croati. Essi saranno i principali oppositori
del potere di Belgrado in virtù del loro ruolo storico nello svi-
luppo dell’idea jugoslava e della loro forza numerica nel nuovo
Stato comune (la maggiore componente nazionale dopo quella
serba), nonostante il malcontento verso il regime centralizzato
avrebbe presto contraddistinto anche le altre nazionalità e la
gran maggioranza dei serbi fuori dai confini del vecchio Regno
di Serbia. Si trattava di conciliare due tradizioni istituzionali,
politiche e culturali – quella della Belgrado pre-bellica e quella
ex asburgica – separate da una distanza difficilmente colmabi-
le25. L’establishment politico del Regno di Serbia aveva idee
ben chiare per l’organizzazione del nuovo Stato sin dall’ottobre
del 1914: uguaglianza nelle singole peculiarità confessionali e
culturali ma nessuna autonomia. I croati sarebbero stati men-
zionati nel nome dello Stato, se necessario il sovrano jugoslavo
sarebbe stato investito della corona croata e l’individualità sto-
rica croata sarebbe stata rappresentata negli emblemi militari.
Finanche Belgrado era disposta a negoziare la costituzione di
un Sabor provinciale croato – un insieme di concessioni che
non erano ritenute un danno per l’unità dello Stato e della na-
zione. Lo stesso poteva essere offerto agli sloveni ma nulla che
potesse minare un potere centrale unitario garantito da una
grande assemblea nazionale dove tutte le nazionalità sarebbero
state rappresentate26.
Fondamentali nell’unificazione jugoslava risulteranno infine
le aspirazioni della limitrofa Italia. Nell’estate del 1918 le rela-
zioni tra italiani e jugoslavi sono ancora buone. Durante la
guerra l’opinione pubblica italiana ha spesso assunto posizioni
aggressive e oltranziste nei confronti della questione jugoslava;
ma dal marzo 1918 qualcosa è cambiato e si è affermata una
generale propensione al compromesso con i vicini slavi, contra-

25
D. DJOKIĆ, Elusive Compromise, pp. 1-4 e 43.
26
A. MITROVIĆ, Serbia’s Great War 1914-1918, p. 91.
Il Regno
Ii. Il Regno SHS
SHS ee l’Alto
l’Alto Adriatico 37
31

stante con le rivendicazioni del Patto di Londra27. Il cosiddetto


Patto di Roma ha concluso il Congresso delle Nazionalità Op-
presse tenuto nella capitale italiana nell’aprile 1918 da un comi-
tato presieduto dall’onorevole Andrea Torre, presidente
dell’associazione della stampa nazionale, e i rappresentanti del-
le nazionalità oppresse della monarchia austro-ungarica: jugo-
slavi, cechi, slovacchi, polacchi, romeni. Il Comitato jugoslavo
a Roma è stato rappresentato da Trumbić e Ivan Meštrović, ma
hanno presenziato anche esponenti del parlamento di Belgrado.
Italiani e slavi del sud riconoscono l’interesse reciproco nel
completare le rispettive unità nazionali e assumono l’impegno
di aiutarsi vicendevolmente nell’intento. Da parte italiana è
dunque riconosciuta la legittimità delle aspirazioni unitarie ju-
goslave, ma il patto oltre a non contenere alcuna clausola di ca-
rattere territoriale, poiché esplicitamente escluse dalla natura
dell’incontro, è firmato da un comitato italiano che non rappre-
senta ufficialmente il governo di Roma, il quale, dopo
l’armistizio, sconfesserà la politica del compromesso per riven-
dicare le aspirazioni nazionali e strategiche italiane28.

27
E.J. WOODHOUSE, C.G. WOODHOUSE, op. cit., p. 183.
28
Il Patto di Roma recita: «I rappresentanti dei due popoli s’impegnano a risolvere
amichevolmente le questioni territoriali sulla base del principio di nazionalità e del di-
ritto dei popoli a disporre del proprio destino nell’ottica di non pregiudicare gli interessi
vitali delle due nazioni, che dovranno essere definiti dal trattato di pace. Qualora gruppi
compatti di una delle due popolazioni dovessero venire a trovarsi inclusi nelle frontiere
dello Stato dell’altro, sarà riconosciuta e garantita a questa minoranza il diritto di vedere
rispettata la propria lingua, la propria civiltà nazionale, i propri interessi morali ed eco-
nomici”. Archivio dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito (AUSSME),
E-8, Commissioni interalleate di Parigi, Jugoslavia, b. 79, fasc. 9, La questione jugosla-
va e l’Italia, La question des frontières italo-yougoslaves, Première partie, II – Pro-
grammes italiens de conciliations, pp. 3-4. Si veda anche F. ŠIŠIĆ, Jadransko Pitanja na
Konferenciji Mira u Parizu. Zbirka akata i dokumenata, Izvanredno izdanje Matice
Hrvatske, Zagreb 1920, pp. 13-15; E.J. WOODHOUSE, C.G. WOODHOUSE, op. cit., p.
148.
38
32 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

1.3. Dalla proclamazione del Regno SHS alla costituzione di


San Vito

Il Congresso delle nazionalità oppresse segna un momento cru-


ciale nella lotta degli slavi per la liberazione e l’indipendenza
dagli Asburgo. Il congresso, cui tra gli altri prendono parte co-
me osservatori Steed e Seton-Watson, prefigura infatti il rico-
noscimento ufficiale da parte alleata dei diversi programmi na-
zionali e spinge ulteriormente le unità slave dell’esercito austro-
ungarico a sabotare la causa imperiale e regia29. La maggior
parte dei partiti politici jugoslavi, tra cui quelli sloveni, accette-
ranno i principi del Patto di Roma: la libertà delle nazioni di de-
terminare la propria unione politica e costituzione in Stato indi-
pendente, il diritto di disporre di scelte plebiscitarie e di rimet-
tere le regioni contestate al giudizio di un arbitrato internazio-
nale30.
L’unità di intenti degli slavi del sud asburgici l’8 ottobre
1918 porta alla costituzione del Consiglio nazionale (Narodno
vijeće) di Zagabria31. Il crollo militare dell’Austria-Ungheria sta
infatti provocando una serie di insurrezioni spontanee a sfondo
nazionale. I dirigenti croati e sloveni chiedono la formazione di
uno Stato indipendente di cui il Consiglio nazionale, presieduto
da Korošec, avrebbe rappresentato il massimo organo istituzio-
nale. Lo Stato degli Sloveni, Croati e Serbi (Država Slovenaca,
Hrvata i Srba, SHS) è proclamato il 29 ottobre, un giorno dopo
l’indipendenza cecoslovacca. Korošec, insieme al croato Ante
Pavelić e al serbo di Croazia Svetozar Pribićević, esponenti di
punta della coalizione serbo-croata di maggioranza al Sabor
croato e ora vice-presidenti del Consiglio nazionale SHS, si co-

29
I.J. LEDERER, op. cit., pp. 38-39.
30
AUSSME, E-8, b. 79, fasc. 9, La question des frontières italo-yougoslaves, Pre-
mière partie, III – Revendications Yougoslaves, p. 4.
31
Sulla costituzione del Consiglio nazionale SHS si veda J. HORVAT, Politička povi-
jest Hrvatske – drugi dio, August Cesarec, Zagreb 1990, pp. 72-78. E più in generale Z.
MATIJEVIĆ, Narodno vijeće Slovenaca, Hrvata i Srba u Zagrebu. Osnutak, djelovanje i
nestanak (1918/1919), in Fontes: izvori za hrvatsku povijest, 14, 2008, pp. 35-66.
Il Regno
Ii. Il Regno SHS
SHS ee l’Alto
l’Alto Adriatico 39
33

stituiscono in governo provvisorio32. La proclamazione è accol-


ta dall’acclamazione popolare, l’autorità del Consiglio naziona-
le SHS, composto di tutti i partiti croati e sloveni salvo quello
filo-asburgico “frankista” croato, è riconosciuta dai consigli
provinciali di Lubiana, Spalato, Sarajevo e Subotica33. Il 31 ot-
tobre il Consiglio nazionale indirizza una nota all’Intesa in cui
afferma che lo Stato SHS, pronto a congiungersi alla Serbia e al
Montenegro, controlla la marina da guerra austro-ungarica
nell’Adriatico, asserzione che inevitabilmente suscita le preoc-
cupazioni italiane34.
Le relazioni italo-jugoslave infatti a questo punto sono radi-
calmente cambiate. In seguito alla conclusione del conflitto –
l’armistizio di Villa Giusti è firmato il 3 novembre 1918 – e al
disfacimento dell’Impero austro-ungarico, le aspirazioni italia-
ne di completamento nazionale e sicurezza strategica
nell’Adriatico entrano in aperto contrasto con quelle nazionali
jugoslave. In Istria e Dalmazia già da tempo, tramontate le pos-
sibilità di successo austro-ungariche, le popolazioni slave so-
stengono apertamente l’unione jugoslava, estesa al di fuori dei
confini asburgici. Croati e sloveni, che la propaganda italiana
accusa di esser stati fino all’ultimo tra i più combattivi soldati
dell’esercito imperiale e regio e più in generale agenti di Vien-
na, si dimostrano ora disposti ad accettare le condizioni della
Serbia per l’unificazione jugoslava, al fine di ricevere da Bel-
grado le necessarie garanzie internazionali contro le rivendica-
zioni italiane sui territori di confine il cui destino è compromes-
so dalla disintegrazione dell’Austria-Ungheria35.
A Ginevra il 9 novembre 1918 Pašić e alcuni membri della
Skupština, insieme ai rappresentanti del Consiglio nazionale
SHS e del Comitato jugoslavo, fissano i termini dell’unione dei

32
Organizacija Narodnoga Vijeća, Zagreb, 29. oktobra 1918, in F. ŠIŠIĆ, Dokumenti,
p. 212. Ante Pavelić non va confuso con il più (tristemente) noto leader del movimento
ustaša croato.
33
I. BANAC, op. cit., pp. 128-129. I “frankisti” sono i seguaci di Ivo Frank, leader del
Partito del diritto croato (Hrvatska stranka prava, HSP).
34
Nota države Slovenaca, Hrvata i Srba Ententi, Zagreb, 31. oktobra 1918., in F.
ŠIŠIĆ, Dokumenti, pp. 216-217.
35
D. DJOKIĆ, Elusive Compromise, pp.12-13.
40
34 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

territori jugoslavi ex asburgici al Regno di Serbia. É stabilito


che sino alla formazione di un’assemblea costituente il governo
serbo avrebbe continuato ad amministrare i territori del regno,
mentre il Consiglio nazionale SHS da Zagabria avrebbe conser-
vato il potere sui territori ex asburgici. Un ministero di sei
membri, tre serbi e tre jugoslavi, avrebbe trattato gli affari co-
muni di politica estera, economica e difesa nazionale. Il Monte-
negro veniva invitato ad aderire all’unità nazionale36.
Due settimane dopo (23 novembre) il governo provinciale
della Dalmazia presenta al Consiglio nazionale SHS una propo-
sta – redatta da Josip Smodlaka e Ivan Krstelj – di immediata
unificazione della nazione serbo-croata-slovena nell’ordine di
garantirsi dalle aspirazioni dell’Italia, entrata in azione nei terri-
tori adriatici orientali di proprio interesse37. L’amministrazione
provvisoria del nuovo Stato sarebbe stata affidata al Regno di
Serbia, con governo e parlamento temporaneo a Sarajevo. Pro-
poste simili di immediata unificazione alla Serbia sulla base
della Dichiarazione di Corfù del 20 luglio 1917 sono avanzate
anche da altri esponenti politici croato-dalmati come Edo Luki-
nić, Grga Anđelinović e Ante Tresić-Pavičić. Tale insistenza
sarà decisiva nell’indurre il Consiglio Nazionale SHS

36
I. BANAC, op. cit., p. 134. Per la risoluzione di Ginevra (Ženevska deklaracija od 9.
nov. 1918.) si vedano F. ŠIŠIĆ, Dokumenti, pp. 236-241; B. PETRANOVIĆ, M. ZEČEVIĆ,
op. cit., pp. 59-64. La risoluzione rimarrà priva di ratifiche. In tale contesto si consuma
la rottura tra il reggente Aleksandar e Pašić, con le dimissioni del secondo da capo di
governo. A Ginevra è emersa infatti la necessità dei convenuti di isolare Pašić per la sua
attitudine reazionaria: il leader radicale serbo non accetta sia usato il termine “jugosla-
vo”, considerato dannoso all’individualità serba, né tantomeno intende ratificare la con-
venzione ginevrina ritenuta lesiva degli interessi politici di Belgrado. Pašić per invalida-
re la convenzione arriverà a sostenere, falsamente, la contrarietà di Aleksandar alla sua
ratifica. Gli intrighi dello statista serbo finiranno con il privarlo della fiducia del sovra-
no costandogli la leadership del primo governo jugoslavo: Aleksandar, che ha più volte
dichiarato non essere sua intenzione “serbizzare la Jugoslavia”, chiederà a Pašić di farsi
da parte in favore di Stojan Protić. Si veda E.J. WOODHOUSE, C.G. WOODHOUSE, op.
cit., pp. 120-121; I.J. LEDERER, op. cit., pp. 64-65.
37
Hrvatski Državni Arhiv (HDA), Narodno Vijeće Slovenaca, Hrvata i Srba (NV
SHS), fund 124, kut. 1., Središnji i Poslovni odbor, Kompromisni prijedlog Smodlake i
Krstelja za privremeno jedinstveno uređenje Države SHS, 2.7.15.1.
Il Regno
Ii. Il Regno SHS
SHS ee l’Alto
l’Alto Adriatico 41
35

all’approvazione dell’unificazione dei territori slavo-


meridionali asburgici alla Serbia (24 novembre 1918)38.
Se è vero che tra i leader politici jugoslavi le tendenze unita-
rie sono predominanti è altrettanto vero che queste non sono
unanimi e non mancano i contrari all’unione così concepita, ad
esempio nello stesso Comitato jugoslavo, dove c’è chi è favo-
revole alla repubblica anziché alla monarchia costituzionale. È
il caso del croato Hinko Hinković, rappresentante del Comitato
jugoslavo negli Stati Uniti, che già dopo l’accordo di Ginevra
del 9 novembre solleva una vera e propria tempesta ripudiando
la Dichiarazione di Corfù, considerata la sanzione di una
“Grande Serbia” contraria all’effettiva volontà jugoslava39. Ma
soprattutto è il caso di Stjepan Radić del Partito contadino croa-
to (Hrvatska seljačka stranka, HSS), forza politica che si im-
porrà come la più intransigente nell’opposizione al potere di
Belgrado40. Il 23 novembre al Consiglio Nazionale SHS Radić
sostiene per la nazione serbo-croata-slovena la necessità di
un’unione in Stato federale. Propone una triplice reggenza del
principe serbo, del bano croato e del presidente dell’assemblea
nazionale slovena, che avrebbe nominato tre ministeri: affari e-
steri, difesa e razionamento alimentare – le altre questioni sa-
rebbero state demandate alle amministrazioni regionali41. Radić
il 24 novembre finirà con il votare contro l’unificazione alla

38
II. Sjednica Narodnog Vijeća od 23. novembra 1918: a) Predlog zemaljske vlade za
Dalmaciju; b) Predlog dra Lukinića i drugova; c) Predlog dra Andjelinovića i drugova;
e) Predlog dra A. Tresića-Pavičića, in F. ŠIŠIĆ, Dokumenti, pp. 268-271; J. HORVAT,
op. cit., pp. 120-123. Si veda anche D. DJOKIĆ, Elusive Compromise, p. 28.
39
La posizione di Hinković riflette la natura del movimento jugoslavo negli Stati
Uniti, decisamente contrario all’unione dei territori slavo-meridionali della Duplice
Monarchia alla Serbia. Come accennato proprio il sostegno economico del movimento
statunitense aveva permesso al Comitato jugoslavo di mantenere una certa indipendenza
da Belgrado.
40
Su Radić e il Partito contadino croato si veda M. BIONDICH, Stjepan Radić, the
Croat Peasant Party, and the politics of mass mobilization, 1904-1928, University
Press, Toronto, 2000.
41
II Sjednica Narodnog Vijeća od 23. novembra 1918, d) Predlog Stjepana Radića,
in F. ŠIŠIĆ, Dokumenti, p. 271. Si veda anche I. BANAC, op. cit., p. 136; D. DJOKIĆ, Elu-
sive Compromise, p. 29.
42
36 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

Serbia, ritenuta affrettata e pericolosa. Ancora un mese prima


aveva salutato entusiasticamente la creazione dello Stato SHS42.
Il Consiglio nazionale SHS tre giorni dopo invierà una dele-
gazione di ventotto membri a Belgrado per offrire al principe
Aleksandar Karađorđević la reggenza. Il 26 novembre anche la
Skupština montenegrina a Podgorica proclama l’unione del
Montenegro alla Serbia e agli altri territori jugoslavi. É stabilito
che al principe Aleksandar siano affidati pieni poteri per gli af-
fari comuni (politica estera, difesa nazionale, marina), sino alla
convocazione dell’Assemblea costituente che sarebbe stata elet-
ta entro sei mesi dalla fine della guerra. La delegazione che
giunge nella capitale serba è guidata da Pavelić e Pribičević.
Alle ore 20.00 del 1° dicembre 1918 Aleksandar proclama for-
malmente l’unione dei serbi, croati e sloveni. Il discorso che
Pavelić indirizza al reggente fa esplicito riferimento alla neces-
sità di garantire al neo-Stato jugoslavo l’inclusione dell’intero
territorio nazionale e la difesa della Dalmazia occupata dalle
truppe italiane. Gli jugoslavi – proclama Pavelić – non sono di-
sposti a riconoscere la legittimità di alcun patto, nemmeno quel-
lo di Londra, che significhi cessione a uno Stato straniero di
parte della popolazione jugoslava ledendo il principio di nazio-
nalità e autodecisione. Il reggente promette che il primo compi-
to del governo sarà assicurare che confini statali ed etnici corri-
spondano. Sicurezza e buon vicinato – risponde Aleksandar –
sarebbero stati per il popolo italiano un bene maggiore che
l’applicazione del Patto di Londra «firmato senza di noi, da noi
giammai riconosciuto e concluso in un’epoca, in cui non si pre-
vedeva lo sfacelo dell’Austria-Ungheria […]»43.
Quello della delegazione inviata da Zagabria è un appello
disperato che rivela le speranze riposte nella Serbia dai notabili
serbi, croati e sloveni44. Tuttavia il ruolo guida riconosciuto alla

42
D. DJOKIĆ, Elusive Compromise, p. 32.
43
Adresa izaslanstva narodnog vijeća SHS prestolo-nasledniku Aleksandru i njegov
odgovor, Beograd 1. decembra/18. novembra 1918, in B. PETRANOVIĆ, M. ZEČEVIĆ,
op. cit., pp. 73-78. Riportato anche in E.J. WOODHOUSE, C.G. WOODHOUSE, op. cit., p.
172; J. HORVAT, op. cit., pp. 133-135.
44
D. DJOKIĆ, Elusive Compromise, p. 36.
Il Regno
Ii. Il Regno SHS
SHS ee l’Alto
l’Alto Adriatico 43
37

nazione serba – in virtù della sua tradizione indipendente, del


sacrificio sostenuto in guerra45 e della sua prevalenza numerica
sulle altre nazionalità jugoslave – si concretizzerà in un predo-
minio, all’interno dell’apparato istituzionale e burocratico dello
Stato, che si paleserà sin dalla costituzione del parlamento
provvisorio46.
Il primo governo jugoslavo entra in carica il 20 dicembre,
Aleksandar sceglie infine il serbo Stojan Protić del Partito radi-
cale quale primo ministro, Korošec è vicepresidente, Trumbić
ministro degli Affari Esteri e Pribićević ministro degli Interni47.
L’obiettivo è avere tutte le “province storiche” e i gruppi politi-
ci proporzionalmente rappresentati nelle istituzioni48. Ai vecchi
partiti del Regno di Serbia, in piena evoluzione, se ne sono ag-
giunti di nuovi e quelli sloveni e croati, che portano il loro atti-
vo contributo alla politica nazionale, costituendo tuttavia una
molteplicità di iniziative discordi e causa di scissioni e lotte in-
terne49. Molti partiti saranno rapidamente assorbiti in gruppi
45
La Serbia esce devastata dalla guerra, un milione di morti, totale distruzione delle
infrastrutture, paralisi dell’economia. Circa 370.000 soldati serbi, più della metà di tutti
i mobilitati (intorno ai 700.000), sono morti sul campo o per cause legate al conflitto,
cui si aggiungono i morti tra i civili (600.000). Complessivamente la Serbia tra il 1914 e
il 1918 perde più della metà della popolazione maschile compresa tra i quindici e i cin-
quantacinque anni di età. Cfr. A. MITROVIĆ, Serbia’s Great War 1914-1918, p. VII.
46
Il processo di centralizzazione riguarderà anche la sfera confessionale dove
l’ortodossia sarà di fatto considerata al pari di una religione di Stato. I. BANAC, op. cit.,
p. 220.
47
Nel febbraio 1919 Pribićević fonda a Sarajevo il Partito democratico (Demokratska
stranka, DS) che unisce membri dell’ex coalizione serbo-croata, liberali sloveni e due
mesi dopo radicali indipendenti e deputati dei partiti progressista e nazionale (liberale)
serbi. I. BANAC, op. cit., p. 173. Sul Partito democratico si veda B. GLIGORIJEVIĆ, De-
mokratska stranka i politički odnosi u Kraljevini Srba, Hrvata i Slovenaca, Institut za
savremenu istoriju, Beograd 1970.
48
I 294 deputati che costituiscono la rappresentanza parlamentare provvisoria in
attesa dell’elezione dell’assemblea costituente sono così ripartiti: Serbia 84 deputati,
Croazia-Slavonia-Medjumurje e Fiume 62 (ma due seggi sono rifiutati dal partito di
Radić), Bosnia-Erzegovina 42, Slovenia 32, Macedonia serba (incluso il Kosovo) 24,
Banato-Bačka-Baranja (Vojvodina) 24, Dalmazia 12, Montenegro 12, Istria 4. I. BA-
NAC, op. cit., p. 381n.; D. DJOKIĆ, Elusive Compromise, p. 42.
49
I partiti e le coalizioni politiche rappresentate nel governo sono la coalizione serbo-
croata (2 ministeri), il Partito del diritto di Starčević (1), il Partito social-democratico
(1), l’Unione nazionale croata (1), il Partito popolare sloveno (1), il Partito democratico
jugoslavo (liberali sloveni 1), il Partito radicale (3), il Partito radicale indipendente (2), i
progressisti (serbi conservatori e monarchici 1), i radicali indipendenti (gruppo dissi-
44
38 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

maggiori50. Il parlamento provvisorio risulta dominato da due


alleanze, il Blocco democratico-socialista e l’Unione parlamen-
tare – liberale il primo, conservatrice la seconda – che si alter-
nano al potere senza grandi differenze nel periodo delle istitu-
zioni temporanee51. La creazione di due blocchi parlamentari è
dovuta ai contrasti tra democratici e radicali relativi al tema del-
la riforma agraria e alla sopravvivenza anche nel nuovo Stato di
rivalità pre-esistenti, come quelle tra radicali e radicali indipen-
denti, sloveni liberali confluiti nel Partito democratico e quelli
che hanno seguito Korošec nel Club jugoslavo, o tra i membri
dell’ex coalizione serbo-croata asburgica confluiti nel Partito
democratico e nel Club nazionale. Al centro del dibattito, anche
nel parlamento provvisorio, rimarrà la questione del centrali-
smo politico, che trova favorevoli democratici e radicali, prin-
cipali partiti di governo, e contrari i deputati croati e sloveni52.
Dal dicembre 1918 al dicembre 1921 si susseguono otto go-
verni guidati da quattro persone: Protić, Ljubomir Davidović
(leader dei radicali indipendenti confluito nel Partito
democratico), Milenko Vesnić (radicale, già ministro serbo a
Parigi) e Pašić. La rivalità principale è tra l’elemento croato,
che in virtù del suo trascorso austro-ungarico per molti versi ri-
tenuto politicamente più evoluto, rivendica una più attiva parte-

dente guidato da Marko Trifković 1), i musulmani bosniaci (1). Cfr. D. DJOKIĆ, Elusive
Compromise, p. 42n. Sui partiti politici nel Regno SHS si veda B. GLIGORIJEVIĆ, Par-
lament i političke stranke u Jugoslaviji, 1919-1929, Institut za savremenu istoriju, Beo-
grad 1979.
50
È il caso del Partito del diritto di Starčević, dell’Unione nazionale croata,
dell’Unione musulmana di Bosnia e del Partito democratico progressista della Croazia,
che il 6 marzo 1919 danno vita al Club nazionale, partito croato che pur aderendo
all’idea di Stato unitario sostiene l’autonomia amministrativa per Croazia e Bosnia-
Erzegovina.
51
Il Blocco democratico-socialista è composto dal neo-costituito Partito democratico
(il principale con i suoi 115 deputati su 137 complessivi della coalizione) insieme al
Partito social-democratico della Croazia-Slavonia e un gruppo di montenegrini unioni-
sti. L’Unione parlamentare è invece composta dal Partito radicale, il Club nazionale
(croato), il Club jugoslavo (principalmente i clericali sloveni di Korošec) e undici depu-
tati di due piccoli gruppi di liberali serbi. In totale l’Unione parlamentare ha 130 depu-
tati: 74 radicali, 26 del Club nazionale e 19 del Club jugoslavo. Si veda I. BANAC, op.
cit., p. 383; D. DJOKIĆ, Elusive Compromise, pp. 42-45.
52
Ibidem.
Il Regno
Ii. Il Regno SHS
SHS ee l’Alto
l’Alto Adriatico 45
39

cipazione alla vita politica del Paese e l’elemento serbo che esi-
ge il diritto di governo. Il dissenso croato è rappresentato dal
Partito del diritto di Starčević (Starčevićeva stranka prava), dai
“frankisti” e – come detto – soprattutto dal Partito contadino di
Radić. I primi due sono partiti che nell’Austria-Ungheria hanno
sostenuto il diritto di Stato croato e la costituzione del triregno
di Croazia, Slavonia e Dalmazia – nei casi più estremi anche
l’idea “grande-croata”. Considerata la diffusione delle idee pan-
serbe non erano invisi alle autorità imperiali. Solamente in un
secondo tempo il Partito del diritto di Starčević abbraccia un
più ampio programma jugoslavo in conseguenza di una pro-
gressiva collaborazione con i clericali sloveni Korošec e Janez
Krek, culminata con l’adesione alla Dichiarazione del 30 mag-
gio 1917 del Club jugoslavo al Reichsrat di Vienna53. Il Partito
del diritto di Starčević accettato lo Stato unitario sostiene il de-
centramento amministrativo contro l’egemonia serba. I “franki-
sti” guidati da Vladimir Prebeg e Josip Pazman rappresentano
la frazione più estrema del nazionalismo croato, gli elementi
più irrequieti, avversi all’ortodossia serba e inclini al separati-
smo.
È tuttavia il Partito contadino a emergere come la formazio-
ne politica croata più forte dopo le elezioni alla costituente del
28 novembre 192054. Dal largo seguito popolare, bene organiz-
zato, avverso all’ortodossia serba, di tendenze repubblicane, è il
solo partito a non avere un esponente nel governo. Radić invie-
rà alla Conferenza della Pace un memorandum di denuncia con-
tro il governo di Belgrado: anche per questo, oltre che per gli
appelli in favore dell’autonomia regionale e del federalismo, il
25 marzo 1919 su ordine di Pribičević è arrestato a Zagabria in-
sieme a Pazman e Prebeg, con l’accusa di avere svolto
all’estero azione contraria agli interessi del Regno SHS e noci-
va alla sua situazione alla Conferenza della Pace. In un secondo

53
Deklaracija Starčevićeve stranke prava, Zagreb, 5. juna 1917., in F. ŠIŠIĆ, Doku-
menti, pp. 94-96. Si veda anche A. MITROVIĆ, Serbia’s Great War 1914-1918, p. 300.
54
Dal maggio 1921 il Partito contadino sarà a capo del Blocco croato comprendente
anche il Club croato (ex Club nazionale), il Partito del diritto e l’Unione dei lavoratori
croati. D. DJOKIĆ, Elusive Compromise, p. 52.
46
40 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

tempo ma sempre in relazione a tali fatti sono arrestati anche i


principali membri della direzione del Partito contadino (Vladko
Maček, Ljudevit Kežman, Ivan Pernar e Josip Predavec)55. In
Croazia gli arresti provocano violente proteste, con i contadini
riuniti in masse tumultuanti che giungono alle porte di Zaga-
bria, ove sono però fermati dalla forza pubblica.
Oltre al successo del Partito contadino croato le elezioni per
l’assemblea costituente del novembre 1920 vedono
l’affermazione dei democratici e dei radicali (a maggioranza re-
lativa nonostante le irregolarità elettorali perpetrate), che unici
sostenitori del centralismo formano una coalizione di governo56.
La costituzione sarà basata sulla vecchia serba del 1903 e riaf-
fermerà la formazione di uno Stato centralizzato – diviso in 33
ripartizioni amministrative (oblasti) – governato da Belgrado. Il
28 giugno 1921 (giorno di San Vito, Vidovdan, dal forte impat-
to emotivo per il richiamo alla battaglia di Kosovo Polje del
1389) i centralisti vincono grazie al suicidio astensionista del
Partito contadino croato – fanno altrettanto comunisti e popolari
sloveni del Club jugoslavo – e al sostegno di gruppi minori co-
me i musulmani bosniaci di Mehmed Spaho (Jugoslavenska
muslimanska organizacija, JMO) ottenuto grazie alla promessa
di concessioni culturali ed economiche – una strategia quella di

55
Si veda J. HORVAT, op. cit., p. 165; I. BANAC, op. cit., pp. 240-241 e 262; J. PIRJE-
VEC, Il Giorno di san Vito. Jugoslavia 1918-1992: storia di una tragedia, Nuova Eri,
Torino 1993, p. 20.
56
Il diritto di voto è riconosciuto alla popolazione maschile maggiorenne (21 anni) a
eccezione degli appartenenti alle forze armate. L’accesso alle urne è precluso alle donne
e alle minoranze: l’esclusione dei gruppi minoritari è giustificata sostenendo che queste
ultime possano ancora optare per la cittadinanza straniera (secondo quanto stabilito dal
trattato per la protezione delle minoranze firmato a Saint Germain). Democratici e radi-
cali ottengono poco più di 600.000 voti, i partiti sostenitori dell’autonomia 534.467.
Anche i comunisti (dal giugno 1920 Komunistička partija Jugoslavije, KPJ) ottengono
un buon risultato e con circa 200.000 voti si affermano come terza forza politica del Pa-
ese. Il Partito comunista, cui è proibito svolgere propaganda politica già nel dicembre
1920, sarà dichiarato illegale nell’estate del 1921 (decreto per la difesa dello Stato) in
seguito agli attentati ad Aleksandar (29 giugno, durante la cerimonia solenne di
promulgazione della costituzione) e al ministro degli Interni Milorad Drašković che vi
trova la morte per mano del giovane comunista bosniaco Alija Alijagić (Delnice, 21 lu-
glio 1921). I. BANAC, op. cit., pp. 387-389 e 392; J. PIRJEVEC, op. cit., pp. 35-36.
Sull’attentato a Drašković si veda E.S. OMEROVIĆ, Političko nasilje u Bosni i
Hercegovini (1918-1921), Institut za istoriju, Sarajevo 2015.
Il Regno
Ii. Il Regno SHS
SHS ee l’Alto
l’Alto Adriatico 47
41

cercare il sostegno delle minoranze in cambio di privilegi fi-


nanziari o amministrativi che l’establishment serbo utilizzerà
più volte nel corso degli anni Venti57.
Il 1921, infine, è anche l’anno del censimento (tenuto a gen-
naio), che fornisce un quadro della composizione nazionale e
confessionale del Regno SHS. Lo Stato conta circa dodici mi-
lioni di abitanti, gli slavi del sud rappresentano più dell’80%
della sua popolazione, cui si aggiungono minoranze italiana, te-
desca, magiara, albanese, romena, slovacca e altre. I serbi – tra
cui sono compresi i montenegrini – sono circa 4.800.000 costi-
tuendo il 40% della popolazione, i croati circa 2.800.000 (23%),
gli sloveni intorno al milione (8,5%), gli slavi musulmani circa
740.000 (6%), i macedoni 465.000 (4%). Nel Paese vi sono
5.600.000 ortodossi (46%), 4.700.000 cattolici (39%) e
1.350.000 musulmani (11%). Quasi 9.000.000 di abitanti
(74.4%) parlano il serbo-croato, un milione circa (8.5%) lo slo-
veno58.

1.4. Fedeltà jugoslava agli Asburgo?

La fedeltà slovena e croata all’Austria-Ungheria sarà in sede di


trattative territoriali una delle principali accuse rivolte dagli
italiani agli jugoslavi59. A tale attitudine non è indifferente la

57
La costituzione è approvata da 223 deputati con 35 contrari e 161 astenuti. Di colo-
ro che votano a favore 184 sono serbi, 18 musulmani, 11 sloveni e 10 croati. Cfr. I. BA-
NAC, op. cit., p. 403; A. PAVKOVIĆ, The Fragmentation of Yugoslavia. Nationalism and
War in the Balkans, Palgrave Macmillan, London 2000, p. 28; D. DJOKIĆ, Elusive
Compromise, p. 47. Il numero degli astenuti tende a variare in alcune fonti. Si veda ad
esempio A.N. DRAGNICH, The First Yugoslavia. Search for a Viable Political System,
Stanford University, Stanford 1983, p. 24; J. PIRJEVEC, op. cit., pp. 39-40.
58
Cfr. S. CLISSOLD (a cura di), Storia della Jugoslavia. Gli slavi del sud dalle origini
a oggi, Einaudi, Torino 1969, pp. 186-187 [edizione originale A Short History of
Yugoslavia, University Press, Cambridge 1966]; I. BANAC, op. cit., p. 58; D. DJOKIĆ,
op. cit., p. 38n.
59
Sulla questione delle fedeltà degli slavi del sud alle istituzioni imperiali durante la
guerra è ancora oggi difficile esprimere un giudizio univoco valido per l’insieme delle
realtà jugoslave all’interno dell’Austria-Ungheria. Il paragrafo intende illustrare breve-
mente tali realtà contrastanti in virtù dell’importanza assunta dalla questione – a livello
propagandistico – nell’ambito delle trattative territoriali che hanno riguardato il confine
48
42 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

volontà di confutare le affermazioni della stampa francese filo-


slava tendente a sminuire la vittoria italiana sostenendo che
nell’ultima fase della guerra l’Italia sarebbe stata agevolata
dall’ammutinamento delle unità slavo-meridionali dell’esercito
imperiale e regio. Gli italiani intendono dimostrare come queste
siano sempre state tra le migliori dell’esercito austro-ungarico:
ne sarebbe prova la composizione prevalentemente “etnica”
(segno inconfutabile della fiducia in esse riposta dalle autorità
militari e politiche austriache), le gravi perdite subite
(dimostrazione evidente dell’accanimento e dell’eroismo con
quale esse si sono battute), le onoreficenze e gli elogi concessi
ai reparti di tale nazionalità. La combattività di sloveni, croati,
bosniaci, dalmati e finanche serbi, secondo i vertici militari
italiani non sarebbe mai venuta meno, nelle grandi battaglie
(Caporetto, Piave, Vittorio Veneto) come nelle ricognizioni
offensive. Per tale ragione nonostante i ripetuti appelli del
Comitato jugoslavo, dei vertici serbi e degli stessi prigionieri di
guerra, l’Italia non consentirà l’inquadramento di slavi del sud
contro l’Austria-Ungheria – almeno a livello di vere e proprie
unità – come farà invece con i prigionieri cecoslovacchi costi-
tuitisi in legione. Secondo gli italiani l’ex monarchia austro-
ungarica avrebbe elogiato sino agli ultimi giorni il lealismo e
valore dei suoi sudditi slavi del sud: la distribuzione di elementi
nazionali “inaffidabili” in reparti fidati a prevalenza austro-
tedesca o magiara in tal senso avrebbe riguardato solamente
cechi e slovacchi ma non gli jugoslavi60.

tra l’Italia e il Regno SHS. A voler individuare una tendenza generale all’interno della
popolazione jugoslava si potrebbe sostenere che se i sentimenti jugoslavisti risultano
più forti tra determinate élite politiche e intellettuali urbane – a cui non mancano però in
opposizione tradizionali correnti lealiste – questi tendono a essere quasi completamente
assenti nella numericamente predominante società rurale.
60
Emblematiche delle opinioni italiane sulla condotta dei croati e degli sloveni duran-
te la guerra sono le affermazioni del tenente Consalvo Summonte – ufficiale di colle-
gamento presso l’esercito serbo che a Belgrado sarà anche incaricato d’affari – in una
relazione sui rapporti italo-serbo-francesi inviata il 5 dicembre 1918 al generale Ernesto
Mombelli, comandante il corpo di spedizione italiano: «[…] Cosa hanno fatto quegli
stessi ufficiali [croati] che ora girano sicuri ed insolenti per le vie di Belgrado, osten-
tando la coccarda serba, fino a qualche settimana addietro? Gli alleati sono giunti alle
sponde della Sava e del Danubio, gli italiani hanno liberato la loro terra a prezzo di san-
Il Regno
Ii. Il Regno SHS
SHS ee l’Alto
l’Alto Adriatico 49
43

Gli slavi del sud ex asburgici respingono le accuse italiane


di lealismo sostenendo di aver combattuto costretti da austriaci
e ungheresi, che parallelamente alla guerra al fronte ne avrebbe-
ro avviato una di persecuzione in patria contro i villaggi slavo-
meridionali, più dura di quella riservata ai cechi: case e fattorie
bruciate, presidi pronti a intervenire al minimo segnale di mal-
contento e a giustiziare per alto tradimento con sentenze som-
marie o senza processo.
L’inaffidabilità dei soldati slavi del sud nell’esercito austro-
ungarico è una questione che risale almeno al 1876, alla crisi
delle insurrezioni contadine in Bosnia-Erzegovina. È soltanto
un esempio ma nell’occasione il maggiore Gonne, addetto mili-
tare britannico a Vienna, constata come in caso di guerra consi-
stenti forze austro-ungariche sarebbero rimaste nelle aree abita-
te da slavi del sud al fine di garantire un servizio di sicurezza
interna. È anche vero che nel 1849 i graničari serbi e croati del
bano Josip Jelačić contribuiscono alla repressione austriaca del-
la rivoluzione nazionale ungherese – lo impongono gli equilibri
tra nazionalità interni all’impero – e che in seguito
all’occupazione della Bosnia-Erzegovina le truppe musulmane
bosniaken diventano in poco tempo tra le migliori e più affida-
bili dell’esercito imperiale e regio, al punto che unità bosno-
erzegovesi sono inviate a Vienna, Graz o Budapest quando i di-
sordini a sfondo nazionale o sociale necessitano il ricorso alla
forza. Ma è altrettanto vero che il loro dispiegamento contro au-
striaci e ungheresi, oltre a rispondere alla necessità in determi-
nati territori di soldati che per lingua, religione e abitudini non
solidarizzino con la popolazione locale, offre l’opportunità di

gue ma la rivoluzione, la vera, come quella che infiammò l’Italia al tempo del nostro ri-
sorgimento, quella rivoluzione mille volte annunziata che avrebbe dovuta provocare lo
sfacelo dell’Austria non è scoppiata mai, in Croazia né altrove […]». AUSSME, E-8, b.
79, fasc. 18, Incidenti tra jugoslavi e austro-tedeschi, fedeltà delle truppe jugoslave ver-
so la monarchia austro-ungarica 1919, R. Esercito Italiano, Comando Supremo Ufficio
Operazioni, Attestazioni ufficiali ed ufficiose (del Governo, dei Comandi e della stampa
a.u.) relative alla fedeltà delle truppe jugoslave, 24 gennaio 1919; ivi, Prove raccolte
dal Comando Supremo italiano circa la saldezza e la combattività delle truppe jugosla-
ve, 24 gennaio 1919. Si veda inoltre E.J. WOODHOUSE, C.G. WOODHOUSE, op. cit., p.
162.
50
44 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

allontanare i militi slavi del sud dalla propaganda pan-serba cui


sono soggetti nelle terre di origine che si presume non rimanga
inascoltata. Il problema principale dell’esercito austro-ungarico
– ancor più alla vigilia della Grande Guerra – rimane infatti la
sua composizione multinazionale. Quando il capo di Stato
Maggiore Conrad von Hötzendorf invoca la guerra preventiva
alla Serbia è consapevole che sulla lealtà degli jugoslavi si do-
vranno almeno porre delle riserve61. Nel tentativo di piegare i
sentimenti jugoslavisti lo Stato Maggiore austro-ungarico non si
risparmierà dal contrapporre l’uno all’altro gli slavi del sud in-
viando contro Serbia e Montenegro unità composte in largo
numero di serbi, croati e bosniaci musulmani62.
E se ancora è vero che l’assassinio di Sarajevo il 28 giugno
1914 e nei giorni successivi provoca violente dimostrazioni po-
polari anti-serbe sia in Croazia-Slavonia sia in Bosnia-
Erzegovina – agitate ad arte dagli ambienti reazionari slavi dei
“frankisti” e del clero cattolico e strumentalizzate a dovere da
autorità e servizi segreti asburgici63 – è lo stesso vero che in
Dalmazia l’ultimatum alla Serbia è reso noto solamente dodici
ore dopo il suo termine onde scongiurare la reazione degli jugo-
slavisti: i consigli cittadini dalmati sono sciolti rapidamente a

61
Sulla questione nazionale nell’esercito austro-ungarico alla vigilia e durante la
Grande Guerra si veda G.E. ROTHENBERG, L’esercito di Francesco Giuseppe, LEG,
Gorizia 2004. Sulle truppe bosniaken: W. SCHACHINGER, I Bosniaci sul fronte italiano
1915-1918, LEG, Gorizia 2008.
62
Le popolazioni slave del sud rispondono alla chiamata alle armi senza opporre resi-
stenza, non si registrano fenomeni diffusi di diserzione, sabotaggio o manifestazioni di
protesta. A.N. DRAGNICH, op. cit., p. 7. Durante i tre anni di occupazione della Serbia
(1915-18) le truppe imperiali e regie includono unità serbe, croate, slovene e bosniache.
La resistenza serba è spesso repressa dalla gendarmeria bosniaca, principalmente mu-
sulmana, e da uomini al comando di ufficiali serbi e croati. Al tempo stesso, però, molti
serbi, sloveni e croati combattono anche come volontari tra le fila dell’esercito serbo e
russo. Cfr. A. MITROVIĆ, The Yugoslav Question, the First World War and the Peace
Conference, p. 47.
63
Le dimostrazioni reazionarie di una parte della popolazione slava del sud non con-
dizioneranno il generale sentimento di solidarietà con la nazione serba diffuso
nell’opinione pubblica slavo-meridionale, che non manca al tempo stesso di condannare
l’assassinio di Franz Ferdinand. A. MITROVIĆ, Serbia’s Great War 1914-1918, pp. 17-
21. Sulle dimostrazioni anti-serbe successive all’attentato si veda anche J. LYON, Serbia
and the Balkan Front, 1914. The Outbreak of the Great War, Bloomsbury, London-
New York 2015, pp. 20-24.
Il Regno
Ii. Il Regno SHS
SHS ee l’Alto
l’Alto Adriatico 51
45

eccezione di quello di Zara a maggioranza italiana, mentre


stampa e società patriottiche slave sono prontamente soppres-
se64. Il 26 luglio duecento jugoslavisti o presunti tali sono arre-
stati a Spalato (tra cui Smodlaka, Anđelinović, Krstelj e Tresić
Pavičić), un numero destinato a crescere negli anni successivi,
fino a raggiungere nell’ottobre del 1917 – dichiara Ante Tresić
Pavičić – i cinquemila arresti solamente in Dalmazia, Istria e
Krajna65. Anche la Bosnia-Erzegovina e il Banato sono posti
sotto legge marziale, sono arrestati i serbi ritenuti inaffidabili
dalle autorità militari così come croati e musulmani filo-
jugoslavi o filo-serbi66. Agli arresti si aggiunge l’ampio numero
di giustiziati e internati a Arad, Doboj, Semizovci, Celebić, Ku-
pinovo, Trebinje, Foča e Tuzla67. Fonti slave affermano che nel
1918 le sentenze pubbliche per alto tradimento e crimini sotto-
posti a legge marziale in Croazia, Slavonia, Dalmazia, Bosnia-
Erzegovina contano 35.000 giustiziati. Le persecuzioni condot-
te dalle autorità austro-ungariche nelle province slavo-
meridionali, mirate a colpire la solidarietà jugoslava, finiscono
con il creare un più forte sentimento di coesione dato dalla co-
mune sofferenza e dall’individuazione di un comune nemico.
Nella primavera del 1915 anche il giornale croato Hrvat, di area
“starčevićeviana”, scrive «del glorioso passato e dell’ancora più
glorioso presente della nazione serba»68. Il progressivo allenta-
mento del vincolo tradizionale che lega i diversi gruppi nazio-
nali, inclusi gli slavi del sud, alle istituzioni asburgiche è acce-
lerato dalla morte di Francesco Giuseppe nel novembre del

64
E.J. WOODHOUSE, C.G. WOODHOUSE, op. cit., p. 64. Sulla repressione condotta
dalle autorità asburgiche nei territori slavo-meridionali alla deflagrazione della guerra si
veda anche J. LYON, op. cit., pp. 72-73.
65
All’inizio del luglio 1917 i prigionieri politici avranno la grazia da Carlo
d’Asburgo. Cfr. I. DESPOT, op. cit., p. 38. Nell’ottobre 1918 Tresić Pavičić denuncia il
trattamento riservato durante la guerra dalle autorità austro-ungariche alla popolazione
slava in Bosnia-Erzegovina e Istria. Il deputato sostiene di fornire le cifre esatte di giu-
stiziati e assassinati. E.J. WOODHOUSE, C.G. WOODHOUSE, op. cit., p. 65.
66
A. MITROVIĆ, Serbia’s Great War 1914-1918, pp. 63-64. Dalla primavera del 1915
con l’ingresso in guerra dell’Italia gli arresti iniziano anche nei territori sloveni con
l’accusa alla popolazione di essere filo-serba o anti-patriottica. Ivi, p. 66.
67
I. DESPOT, op. cit., p. 36.
68
A. MITROVIĆ, Serbia’s Great War 1914-1918, p. 75.
52
46 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

1916, figura considerata a torto o a ragione garante degli equili-


bri interni imperiali. Ciò nonostante la propaganda austriaca
continuerà a riportare al mondo intero il “galante coraggio” dei
suoi soldati serbi e croati, a mostrare quale entusiasta elemento
l’Austria-Ungheria abbia nei suoi sudditi jugoslavi. Secondo la
propaganda jugoslava quegli stessi elementi che sul fronte russo
sarebbero stati sicuri disertori, mossi dalle autorità austriache
sul fronte italiano a difesa delle terre di confine avrebbero com-
battuto tenacemente indotti dalle rivendicazioni italiane sulla
Dalmazia e dalla notizia del trattato segreto che prometteva
all’Italia i territori a est dell’Adriatico69. Dopo la sua pubblica-
zione da parte dei bolscevichi il testo del Patto di Londra sareb-
be stato affisso in evidenza dagli austriaci in ogni caserma con
truppe slave del sud, che avrebbero dunque combattuto in dife-
sa delle proprie terre70. Di qui l’equivoco cavalcato dalla propa-
ganda italiana, mentre – ironia della sorte – gli slavi del sud a-
vrebbero combattuto contro l’Intesa e i propri “fratelli” del Re-
gno di Serbia alleati con i turchi, loro secolari nemici71.
La questione della lealtà di sloveni e croati all’Austria-
Ungheria non riguarderà solamente la guerra o la propaganda
italiana alla Conferenza della Pace, ma rimarrà viva anche nel
Regno SHS, che all’inizio del 1919 è impegnato nella ridefini-
zione della propria forza militare. L’intenzione di Belgrado e
dei dirigenti jugoslavi è costituire un esercito alle dipendenze
del Comando Supremo serbo formato dalla fusione dell’esercito
serbo, degli elementi jugoslavi del disciolto esercito austro-
ungarico e dalla popolazione maschile dei nuovi territori jugo-
slavi che non ha ancora adempiuto agli obblighi di leva. Dal
giornale Obzor di Zagabria del 4 aprile 1919 si apprende che il
Ministero della Guerra intende organizzare l’esercito in modo

69
E.J. WOODHOUSE, C.G. WOODHOUSE, op. cit., p. 65.
70
Dopo il Patto di Roma l’aviazione dell’Intesa sorvolerà l’esercito austriaco lan-
ciando centinaia di opuscoli con i dettagli dell’accordo stretto al Congresso delle nazio-
nalità oppresse tra italiani e jugoslavi. L’accordo italo-jugoslavo è posto alla base
dell’intera propaganda che gli Alleati conducono vigorosa dall’estate del 1918 per
incoraggiare movimenti insurrezionali in Austria-Ungheria. Ivi, p. 184.
71
Cfr. M.A. MIHOLJEVIĆ, The Yugoslav Question with special regard to the Coasts of
the Adriatic, Hrvatski Stamparski zavod d.d., Zagreb 1919, pp. 10-11.
Il Regno
Ii. Il Regno SHS
SHS ee l’Alto
l’Alto Adriatico 53
47

da renderlo in tempi brevi «oltre che guardia della patria anche


palestra di educazione pubblica»72. La necessità che l’esercito
SHS sia reso efficiente in breve tempo – ribadito dalla Skupšti-
na come dalla stampa – è data dal fatto che la pronta organizza-
zione delle forze militari assicurerà l’integrità nazionale e per-
metterà al Regno SHS di trovarsi preparato a qualsiasi evenien-
za all’atto delle decisioni della Conferenza della Pace. Sono
pertanto rivolti frequenti appelli alla popolazione affinché col-
labori a tale organizzazione, in modo che lo Stato jugoslavo non
debba affidarsi all’intervento straniero per la difesa della causa
nazionale. L’organizzazione dell’esercito SHS avviene secondo
le direttive di tre gruppi che in un primo tempo agiscono indi-
pendentemente l’uno dall’altro: gli ex ufficiali austro-ungarici
che ridefiniscono i propri reparti su base nazionale, i nuovi uffi-
ciali jugoslavi che costituiscono battaglioni volontari di domo-
branci (“difensori della patria”) e gli ufficiali serbi che assor-
bono gli elementi jugoslavi ex austro-ungarici nei reggimenti
serbi. Tenendo conto delle perdite subite tanto dall’esercito ser-
bo che dalla popolazione croata e slovena e dalla necessità di
lasciare in congedo per un certo tempo le classi più anziane, gli
ambienti militari italiani calcolano che il Regno SHS nei primi
mesi del 1919 possa avvalersi di una forza di circa duecentomi-
la uomini,73 un potenziale in continua crescita che risulta più
che raddoppiato già al volgere della metà dell’anno, per poi ri-
dursi progressivamente in seguito all’assestarsi degli equilibri
politici e militari continentali, se non del tutto stabilizzati quan-
tomeno non così incerti come nell’immediato dopoguerra74.

72
AUSSME, E-8, b. 81, fasc. 11, Notizie militari-politiche sui Paesi serbo-croati-
sloveni (S.H.S.), 1919.
73
Ibidem.
74
Nel luglio del 1919 l’esercito SHS è infatti forte di 450.000 uomini. Cfr. J.P. NE-
WMAN, Yugoslavia in the Shadow of War Veterans and the Limits of State Building
1903-1945, Cambrige University Press, Cambridge 2015, p. 42. Anche lo Stato Mag-
giore Generale francese stima che la forza jugoslava in quel momento possa attestarsi
intorno ai 500.000 uomini. AUSSME, E-8, b. 79, fasc. 10, Relazioni italo-serbe frontie-
re e rivendicazioni jugoslave 1919, Yougo-Slavie. Nell’agosto del 1923 la legge sulla
struttura dell’esercito fisserà invece a 100.000 gli effettivi delle forze armate SHS. Cfr.
J.P. NEWMAN, op. cit., p. 43.
54
48 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

1.5. L’occupazione italiana di Fiume e Dalmazia

Le aspirazioni territoriali italiane e jugoslave si scontrano su


una serie di aree di confine a popolazione mista: la contea di
Gorizia e Gradisca, Trieste, la Carniola, l’Istria con le isole del
Quarnaro, Fiume e dintorni, la Dalmazia. Secondo il censimen-
to austriaco del 1910 l’area nel suo insieme presenta una netta
prevalenza di popolazione slava, la cui densità varia di regione
in regione: bassa a Trieste e dintorni ma crescente più a sud fi-
no a diventare predominante in Dalmazia75. Sia italiani che ju-
goslavi per giustificare le pretese sulle zone dove risultano esse-
re numericamente in minoranza sostengono che il censimento
austriaco sia inesatto e non corrisponda alla reale composizione
etnica delle regioni in questione: gli italiani accusano le autorità
austriache di aver deliberatamente aumentato le cifre relative
alla densità della popolazione slava in funzione anti-italiana; gli
jugoslavi fanno altrettanto sostenendo che i dati statistici uffi-
ciali austriaci e ungheresi non sarebbero affidabili e risultereb-
bero volutamente favorevoli a italiani e tedeschi a discapito del-
la popolazione slava.
Secondo gli italiani sarebbero invece attendibili le cifre for-
nite al termine della guerra dalle singole municipalità ad ammi-

75
La popolazione nei territori contesi secondo il censimento del 1910. Distretto di
Gorizia-Gradisca: 90.119 italiani (30%) e circa 155.000 sloveni (51%) su una popola-
zione totale di circa 300.000 abitanti. Trieste: 119.000 italiani (62%, cui è necessario
aggiungere altri 30.000 naturalizzati) e meno di 60.000 slavi (31%, 57.000 sloveni e
2.500 serbo-croati) su una popolazione totale di 190.000 abitanti. Istria (dove gli italiani
sono concentrati nelle città della costa occidentale e gran parte della popolazione slava
abita l’interno e la costa orientale): 147.000 italiani (37%) e 224.000 (58%) slavi tra
croati (168.000) e sloveni (55.000) su una popolazione di 382.652 abitanti. Dalmazia:
su una popolazione totale di 663.778 abitanti meno di 20.000 italiani (3%) e 612,669
(94%) tra serbi e croati. Tra le isole solamente Lussino (Lošinj) presenta una maggio-
ranza italiana mentre la città di Fiume conta circa 24.000 italiani (47%) e 15.000 slavi
non includendo però il sobborgo di Sušak, con cui i secondi raggiungono il numero di
26.000 (anche la campagna circostante è interamente slava). AUSSME, E-8, b. 79, fasc.
9, Précis statistiques sur les nationalités dans les territories contestés (memoriale redat-
to presso il Bureau de la Presse française di Berna da uno jugoslavo specialista in in-
dagini statistiche – sotto lo pseudonimo di “Heikis” – per incarico del governo france-
se). Per i dati del censimento del 1910 si veda anche E.J. WOODHOUSE, C.G.
WOODHOUSE, op. cit., pp. 187-188 e 192-193; P. ALATRI, Nitti, D’Annunzio e la que-
stione adriatica, Feltrinelli, Milano 1959, p. 41.
Il Regno
Ii. Il Regno SHS
SHS ee l’Alto
l’Alto Adriatico 55
49

nistrazione italiana, come nel caso di Trieste – dove le autorità


municipali affermano sia italiana il 74% della popolazione cit-
tadina anziché il 62% dichiarato dal censimento austriaco – o di
Fiume – dove il Consiglio nazionale italiano smentisce i dati
ungheresi contando 19.684 italiani, 6.576 slavi e 4.834 tra un-
gheresi, tedeschi e altri (senza includere il sobborgo slavo di
Sušak). Secondo la pubblicistica italiana o filo tale vi sarebbe
stato un vero e proprio piano da parte austriaca per alterare i va-
lori demografici delle località della costa colmando le città ita-
liane e i dintorni con popolazione tedesca e ancor più slava al
fine di delegittimare le aspirazioni irredentiste dell’Italia, «per
distorcere la verità etnica – scrive già nel 1917 il pubblicista
americano filo-italiano Whitney Warren – e sommergere gli a-
bitanti originari con un’ondata di spudorata immigrazione. Lo
slavismo, soprattutto dal 1866 in poi, aveva rappresentato un
grande strumento di denazionalizzazione per l’Austria, nelle
province della costa e in Istria, così come a Trieste e Gorizia»76.
Warren sostiene che il künstenland austriaco sia stato diviso vo-
lutamente in tre sezioni amministrative (Trieste, Gorizia e Gra-
disca, Istria) per annientarvi la preponderanza della nazionalità
italiana. In Dalmazia, invece, dove gli equilibri tra popolazioni
non giovano agli italiani Warren avanza principalmente riven-
dicazioni storiche e culturali per la più che millenaria “traccia
di civilizzazione” lasciata dalla latinità – prima romana, poi ve-
neziana – in quelle terre costiere e isolane. Anche qui, dove la
popolazione slava è triplicata nel corso degli ultimi cin-
quant’anni, l’Austria-Ungheria avrebbe costantemente favorito
lo slavismo, cui erano passate le municipalità dalmate, italiane
da tempo immemore. Solamente Zara sarebbe sopravvissuta fi-
no alla deflagrazione della guerra, di cui la Duplice Monarchia
aveva approfittato per dissolvere l’ultimo consiglio municipale
italiano. Ciò nonostante – conclude il pubblicista americano –
la città, insieme a Spalato, era rimasta bastione inattaccabile di
italianità, anche se l’elemento italiano della Dalmazia era stato

76
W. WARREN, op. cit., p. 31.
56
50 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

costretto ad assimilarsi alla popolazione slava e scomparire


quasi del tutto77.
La pubblicistica jugoslava avanza argomentazioni simili a
quelle italiane. Secondo il quadro etnico della costa orientale
fornito da Miholjević nel 1919, sebbene le città del litorale i-
striano (Capodistria, Pirano, Parenzo, Cittanova, Rovigno, Di-
gnano)78 siano da considerarsi de facto quasi esclusivamente i-
taliane, e Trieste, Gorizia, Gradisca, Pola (Pula), Fiume e Zara
presentino una popolazione mista, il circondario dell’intera area
sarebbe unicamente slavo. Il numero degli italiani in Istria, a
Gorizia, Gradisca e Trieste ammonterebbe a circa il 25% della
popolazione, in Dalmazia al 2%, mentre a Fiume e dintorni, a-
rea de jure e de facto appartenente alla Croazia, si stima il loro
numero intorno ai 15.000 individui, costituendo lo 0,60% della
popolazione79. Miholjević denuncia come a Fiume gli ungheresi
abbiano volutamente usato l’elemento italiano in funzione anti-
croata privilegiandone lo sviluppo culturale ed economico a di-
scapito delle istituzioni educative e culturali croate80. I croati in
tal senso avrebbero subìto un vero e proprio processo di snazio-
nalizzazione, al punto da renderne complicata l’individuazione
come evidenti elementi nazionali81.

77
Ivi, pp. 25 e 42-45.
78
Koper, Piran, Poreč, Novigrad, Rovinj, Vodnjan. Attenendosi al censimento del
1910 le singole località presentano comunque equilibri etnici peculiari che rendono dif-
ficile stabilire una netta identità nazionale nei singoli distretti. In tal senso risultano a
netta prevalenza italiana Rovigno, Pirano e Buie, a chiara maggioranza jugoslava Pisino
(Pazin) e Volosca e a popolazione mista con maggioranze meno evidenti Capodistria,
Parenzo e Pola. AUSSME, E-8, b. 79, fasc. 9, Précis statistiques sur les nationalités
dans les territories contestés.
79
M.A. MIHOLJEVIĆ, op. cit., p. 9.
80
Ivi, p. 7. Le medesime dinamiche sono denunciate dagli italiani per quanto riguarda
l’Istria, Trieste e la Dalmazia: il governo austriaco avrebbe qui sostenuto moralmente
ed economicamente lo sviluppo di scuole slave abbandonando a se stesse le istituzioni
educative italiane. W. WARREN, op. cit., pp. 31 e 45.
81
«Tutti coloro che parlavano o anche solo comprendevano l’italiano erano conside-
rati come italiani tra i più genuini! Nel corso di cinquanta anni crebbe una nuova gene-
razione educata in lingua italiana, che parlava il natìo croato solamente come forma di
illetterato dialetto locale. Dal momento che Rijeka è l’unico centro commerciale di que-
sta parte della nostra costa, i cacciatori di fortuna la invasero proveniendo (sic) da ogni
parte, e sentendosi sicuri e protetti dall’Italianità e perseguitati come croati, divennero
Il Regno
Ii. Il Regno SHS
SHS ee l’Alto
l’Alto Adriatico 57
51

Entrambi i contendenti tentano dunque di usare a proprio


vantaggio la controversa eredità del divide et impera austro-
ungarico82. La propaganda e le rivendicazioni tuttavia risultano
difficilmente efficaci senza un’effettiva presenza sul territorio.
Ne è pienamente consapevole il governo di Roma: per tale ra-
gione subito dopo l’armistizio il generale Armando Diaz, capo
di Stato Maggiore dell’Esercito, fa entrare le forze italiane nei
territori di diretto interesse nazionale secondo la linea di divi-
sione stabilita con gli Alleati nelle clausole di armistizio e cor-
rispondente in gran parte a quella del Patto di Londra del
191583.
A Trieste e Pola gli italiani fanno propria la flotta austro-
ungarica mentre la Regia Marina occupa le isole di Curzola,
Cherso, Lissa e le altre, dove in alcuni casi la bandiera jugosla-
va è già stata innalzata sugli edifici pubblici84. In pochi giorni
l’Italia raggiunge le posizioni chiave istriane e dalmate. Il 6 e 7
novembre è la volta di Sebenico e Zara, poi le truppe italiane
superano la linea di divisione stabilita a Villa Giusti e procedo-
no nel retroterra dalmata in direzione di Fiume e Lubiana85. Le
manovre italiane non possono non preoccupare gli jugoslavi,
che vedono nell’occupazione i preliminari dell’annessione dei
territori contesi e chiedono pertanto l’assistenza militare dello
Stato Maggiore serbo e degli Alleati, invitando la popolazione

anch’essi ‘italiani’, tanto più che sapevano di essere rinnegati». M.A. MIHOLJEVIĆ, op.
cit., p. 7.
82
C’è chi come Trumbić non sconfessa il censimento del 1910 utilizzandolo anzi per
avallare le rivendicazioni slovene e croate sulle località contese della costa adriatica. Se
infatti tali statistiche in località a popolazione mista italiana e slava – sosterrà Trumbić
alla Conferenza della Pace – sono state compilate sotto il governo austro-ungarico in al-
cuni casi persino da municipalità italiane, difficilmente potranno essere accusate di par-
zialità in favore degli jugoslavi.
83
I.J. LEDERER, op. cit., p. 78. Nel Quarnaro le clausole dell’armistizio prevedono
che l’occupazione italiana si estenda fino a Volosca lasciando fuori di pochi chilometri
Fiume, esclusa in conformità alla linea stabilita dal Patto di Londra. La demarcazione
va poi da Lisarica, sul canale della Morlacca, sino a Punta Planka; anche le isole sino a
Méleda e Làgosta a sud sono comprese nella zona italiana.
84
HDA, NV SHS, 124, kut. 2., Predsjedništvo, a) Opći spisi, god 1918., br. 192., 12.
studenoga 1918.
85
I.J. LEDERER, op. cit., pp. 72-73.
58
52 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

ad accoglierne benevolmente le truppe86. Quali che siano le di-


vergenze tra serbi, croati e sloveni, gli slavi del sud sono uniti
nella determinazione di opporsi all’avanzata italiana sulla spon-
da orientale adriatica87. Ancora impegnato contro l’Ungheria
che firmerà la resa a Belgrado il 13 novembre l’esercito serbo è
tuttavia in grado di intervenire tempestivamente in funzione an-
ti-italiana solamente in Slovenia evitando l’occupazione di Lu-
biana e inducendo le truppe italiane, giunte alla periferia della
capitale slovena, a ritirarsi dietro la linea di armistizio88.
La situazione sarà diversa a Fiume dove le sommosse della
popolazione croata nel sobborgo di Sušak si alternano alle di-
mostrazioni irredentiste italiane. In città l’amministrazione un-
gherese è di fatto cessata con la ribellione del 79° Reggimento
di fanteria “Jelačićevci” che ha innalzato la bandiera jugoslava
sul proprio presidio89. Alla proclamazione dello Stato SHS da
parte del Consiglio nazionale di Zagabria, accolta favorevol-
mente dalla popolazione croata, il 30 ottobre segue quella
dell’unione all’Italia da parte del Consiglio nazionale italiano di
Fiume, sciolto subito dopo. Il commissario Konstantin Rojčević
assume il potere in nome del Consiglio nazionale SHS con le
autorità croate che prendono possesso della capitaneria di porto,
della posta, delle ferrovie e del palazzo governativo dove si sta-

86
HDA, NV SHS, 124, kut. 2., Predsjedništvo, a) Opći spisi, god 1918., br. 111., 9.
studenoga 1918. Sull’occupazione militare italiana della costa orientale adriatica dopo
l’armistizio si veda B. KRIZMAN, Narodno vijeće Slovenaca, Hrvata i Srba u Zagrebu i
talijanska okupacija na Jadranu 1918. godine. Građa o vanjskoj politici Predsjedništva
Narodnog vijeća SHS od 29. X. do 1. XII. 1918., in Anali Jadranskog instituta, Zagreb,
I, 1956, pp. 83-116; ID., Građa o talijanskoj okupaciji Rijeke, Istre i Hrvatskog primor-
ja 1918. godine. Iz spisa Narodnog vijeća Slovenaca, Hrvata i Srba u Državnom arhivu
u Zagrebu, in Jadranski zbornik, Rijeka-Pula 1956, pp. 255-269.
87
Cfr. V. PAVLOVIĆ, Le conflit franco-italien dans les Balkans 1915-1935. Le rôle de
la Yougoslavie, in Balcanica, XXXVI, 2006, pp. 163-201 (p. 170).
88
I.J. LEDERER, op. cit., pp. 73-74. Le truppe italiane sono arrestate alle porte di
Vrhnika dalla formazione di prigionieri di guerra serbi di ritorno dai campi austriaci e
tedeschi al comando del colonnello Stevan Švabić. Il colonnello serbo informa gli ita-
liani che in nome dell’Intesa l’area di Lubiana è sotto il controllo delle proprie forze.
Cfr. A. MITROVIĆ, Serbia’s Great War 1914-1918, p. 324.
89
Si veda D. PATAFTA, Promjene u nacionalnoj strukturi stanovništva grada Rijeke
od 1918. do 1924. Godine, in Časopis za suvremenu povijest, 2, 36, 2004, pp. 683-700;
ID., Privremene vlade u Rijeci (listopad 1918. – siječanj 1924.), in Časopis za
suvremenu povijest, 1, 38., 2006, pp. 197-222.
Il Regno
Ii. Il Regno SHS
SHS ee l’Alto
l’Alto Adriatico 59
53

bilisce l’avvocato Rikard Lenac90. Le stesse autorità jugoslave


il 1° novembre annunciano che il Consiglio nazionale SHS ha
ricevuto in consegna da Vienna la flotta austro-ungarica or-
meggiata nel porto91.
In seguito alla richiesta di intervento indirizzata dal Consi-
glio nazionale italiano di Fiume alle truppe italiane per il pre-
sunto terrore disseminato dai soldati croati in città,92 le navi da
guerra della Regia Marina, che al di fuori delle indicazioni del
Patto di Londra hanno avuto modo di occupare anche Veglia e
Arbe, fanno la loro comparsa dinanzi Fiume (4 novembre). Pas-
seranno quasi due settimane prima che sia approvata
l’occupazione della città con il pretesto di garantire l’ordine
pubblico. Similmente il 14 novembre gli italiani tentano senza
successo l’ingresso a Spalato:93 la città rimarrà sotto la sorve-
glianza americana e degli uomini agli ordini del generale Miloš
Vasić consentendo alle locali autorità jugoslave di consolidare

90
AUSSME, E-3, Corpi di spedizione e occupazione, b. 143, Comando corpo di
occupazione interalleato di Fiume, fasc. 1, Carteggio di carattere informativo
riguardante le cause determinanti l’occupazione di Fiume – Accordi con i comandi
alleati per l’invio di truppe americane, britanniche e francesi (1918). Comando del
presidio interalleato di Fiume, Diario Storico (ottobre-novembre 1918), Cenno
cronologico degli avvenimenti politico-militari svoltisi in Fiume nel periodo 29 ottobre-
16 novembre 1918, f.to generale di San Marzano. Per la versione dei fatti secondo Ro-
jčević si veda H. MATKOVIĆ, Izvještaji Konstantina Rojčevića o događajima na Rijeci i
Sušaku 23. listopada 1918., in ID., Studije iz novije hrvatske povijesti, Tehnička knjiga,
Zagreb 2004, pp. 459-466.
91
E.J. WOODHOUSE, C.G. WOODHOUSE, op. cit., pp. 114.
92
La richiesta di Antonio Grossich, presidente del Consiglio nazionale italiano di
Fiume, giunge a Orlando attraverso la delegazione inviata a Venezia presso
l’ammiraglio Paolo Thaon di Revel, capo di Stato Maggiore della Regia Marina.
Orlando da Parigi assicurerà che non appena le condizioni dell’armistizio lo avessero
consentito si sarebbe provveduto a occupare la massima parte di territorio previsto. Cfr.
A. ERCOLANI, Da Fiume a Rijeka. Profilo storico-politico dal 1918 al 1947,
Rubbettino, Soveria Mannelli 2009, pp. 79-80. Il 4 novembre anche Lajos Egán, vice di
Zoltan Jekelfalussy, governatore ungherese di Fiume, avrebbe chiesto al
contrammiraglio Guglielmo Rainer protezione per i cittadini ungheresi di Fiume. Cfr.
W. KLINGER, Germania e Fiume. La questione fiumana nella diplomazia tedesca
(1921-1924), Deputazione di Storia Patria per la Venezia Giulia, Trieste 2011, p. 18.
93
Papers Relating to the Foreign Relations of the United States 1919 - The Paris
Peace Conference (FRUS-PPC), vol. II, US Government Printing Office, Washington
1942, p. 293.
60
54 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

le proprie istituzioni senza fornire alle navi italiane pretesti per


lo sbarco di unità94.
A Fiume accade invece che il 15 novembre le truppe italiane
siano precedute dall’ingresso in città di un battaglione serbo di
settecento uomini agli ordini del tenente colonnello Maksimo-
vić, poi prontamente ritirato a Portorè (Kraljevica). Gli italiani
sostengono il ritiro dei militari serbi avvenga alla comunicazio-
ne dell’accordo raggiunto con gli Alleati per
l’internazionalizzazione (sottoposta a comando italiano)
dell’occupazione della città, i serbi affermano invece di essere
stati ingannati dagli italiani che avrebbero loro assicurato di non
volervi entrare95. Sta il fatto che il 17 novembre le unità italiane
fanno il loro ingresso a Fiume con 16.000 uomini dalle limitro-
fe Abbazia (Opatija) e Volosca. Il generale Enrico Asinari di
San Marzano issa la bandiera italiana e si dirige seguito dagli
americani al palazzo governativo intimando al župan Lenac di
lasciare la sede governatoriale avendo egli occupato la città in
nome degli Alleati. Dopo alcune obiezioni Lenac lascia il pa-
lazzo con i suoi e si reca a Sušak. Il giorno seguente il tenente
colonnello Dušan Simović, al comando delle unità serbe tra
l’alto Adriatico e la Slovenia, tenta senza successo di convince-
re Di San Marzano a consentire il rientro in città di militari ser-
bi al seguito di una compagnia francese96. Secondo il principe
Aleksandar, infatti, le truppe franco-serbe dell’Armée d’Orient

94
Si veda D.R. ŽIVOJINOVIĆ, America, Italy and the Birth of Yugoslavia (1917-1919),
East European Quarterly, Columbia University Press, New York-Boulder 1972, pp.
245-246.
95
L’idea del raggiro italiano è sostenuta dalla storiografia jugoslava: I.J. LEDERER,
op. cit., p. 74; D.R. ŽIVOJINOVIĆ, America, Italy and the Birth of Yugoslavia, p. 270.
Per il punto di vista italiano si veda invece L.E. Longo, L’Esercito italiano e la
questione fiumana (1918-1921), Ufficio Storico SME, Roma 1996.
96
AUSSME, E-3, b. 143, fasc. 1. Si vedano le relazioni riassuntive: Relazione sugli
avvenimenti per l’occupazione di Fiume, per ordine pubblico, da parte delle truppe
alleate, al comando del XXVI C.d’A., f.to col. Gariboldi Farina, 18 novembre 1918;
Occupazione di Fiume – Sommario degli avvenimenti; Cenno cronologico degli
avvenimenti politico-militari svoltisi in Fiume nel periodo 29 ottobre-16 novembre
1918. Si tratta di quel Dušan Simović, successivamente generale, che la notte tra il 26 e
il 27 marzo del 1941 guiderà il colpo di Stato incruento che pone fine alla reggenza del
principe Pavle e destituisce il governo Cvetković che due giorni prima ha aderito al Pat-
to Tripartito.
Il Regno
Ii. Il Regno SHS
SHS ee l’Alto
l’Alto Adriatico 61
55

del generale Franchet d’Espèrey sarebbero le uniche legittimate


a sconfinare al di là della linea di armistizio in caso di necessità
di ordine pubblico97.
Come accade a Fiume anche nell’Istria sottoposta al gover-
natorato della Venezia Giulia retto dal generale Petitti di Roreto
le rappresentative del Consiglio nazionale SHS nelle principali
località sono sciolte e sostituite da quelle italiane. Quando poi
l’ammiraglio Enrico Millo assume il titolo di governatore della
Dalmazia (21 novembre) gli jugoslavi si convincono che il Pat-
to di Londra – e forse di più considerando l’occupazione di
Fiume – sia stato portato a compimento98. Il Consiglio naziona-
le SHS condanna l’occupazione dinanzi i governi alleati: in
Dalmazia la presenza italiana incontrerà una crescente resisten-
za da parte della popolazione slava con incidenti quotidiani e
continui sconfinamenti oltre la linea di armistizio da parte delle
truppe serbo-jugoslave. Una denuncia del 13 dicembre indiriz-
zata dal Consiglio nazionale SHS a Washington accusa le trup-
pe italiane di essersi impadronite degli edifici pubblici, di aver
disciolto i consigli nazionali slavi, sequestrato la flotta da guer-
ra e mercantile asburgica, chiuso le istituzioni educative slave,
oltre ad essersi impadroniti delle ferrovie e dei telegrafi e man-
tenere la popolazione slava nell’indigenza alimentare99. Millo
governa con il pugno di ferro, arresti e deportazioni, stampa e
libertà personali soppresse, società nazionali slave disciolte, in-
segnanti, dottori, prelati e leader politici rimossi, epidemie di
vaiolo prese a pretesto per allontanare la popolazione slava e
assicurarsi il controllo delle autorità locali100.
Pašić chiederà senza successo l’intervento di Wilson presso
gli italiani per porre termine a tali pratiche di governo nei terri-
tori occupati (aprile 1919), mentre Millo e l’Ufficio Informa-

97
L’affermazione è contenuta nella protesta inoltrata dal Karađorđević agli Alleati
per lo sconfinamento italiano e l’occupazione della città del Quarnaro. DDI, Sesta
Serie, 1918-1922, vol. I, doc. 221.
98
I.J. LEDERER, op. cit., p. 75.
99
E.J. WOODHOUSE, C.G. WOODHOUSE, op. cit., pp. 172-174.
100
D.R. ŽIVOJINOVIĆ, op. cit., p. 259. Curiosamente la stessa accusa di prendere a
pretesto epidemie per assicurarsi il controllo di determinate zone è mossa dagli italiani
ai serbi e ai francesi in Montenegro (vedi infra).
62
56 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

zioni dei Territori Occupati (ITO) di stanza a Trieste accuse-


ranno a loro volta il governo di Belgrado di voler intraprendere
un’avventura militare verso la frontiera italiana nella speranza
di risollevare il proprio prestigio dinanzi le popolazioni jugo-
slave (giugno 1919)101. Gli organi di informazione italiani e ju-
goslavi gareggeranno nel dimostrare la colpevolezza altrui e la
propria innocenza negli incidenti che si susseguiranno. La di-
slocazione di truppe e navi alleate lungo l’intera costa adriatica
fin giù nel Montenegro svolgerà una fondamentale funzione di
deterrente contro l’escalation delle ostilità.
Presumibilmente oltre alla campagna di stampa anti-alleata
che ha preso piede in Italia è quanto lamentato dagli jugoslavi a
diffondere tra gli Alleati una crescente irritazione verso gli ita-
liani. Gli americani sono convinti che l’intento italiano sulla co-
sta orientale adriatica sia provocare deliberatamente un clima di
tensione per creare i presupposti per l’allargamento del proprio
intervento militare, in un momento in cui le truppe italiane sono
le principali forze dell’Intesa sul territorio. In tal senso – sospet-
tano americani e jugoslavi – il trattamento discriminatorio ri-
servato alla popolazione slava nei territori occupati – a Trieste,
in Istria, a Zara, Sebenico, Curzola – sarebbe parte di un piano
premeditato volto a creare instabilità e incidenti per consolidare
l’occupazione102. I francesi intendono moderare la tensione tra
italiani e jugoslavi ma finiranno anch’essi con il propendere in
favore dei secondi sovrapponendo alla rivalità italo-jugoslava
una disputa italo-francese: se la nascita dello Stato jugoslavo
sarà la causa immediata di tale disputa sull’Adriatico, questa
non si limiterà alla sola area adriatica ma riguarderà l’intera ri-
organizzazione politica, territoriale e militare dell’Europa da-

101
L’impressione della preparazione di un intervento militare da parte jugoslava sa-
rebbe dovuta allo spostamento verso la frontiera istriana di artiglieria ceduta ai serbi dai
francesi, al transito per Zagabria di truppe e artiglieria serbe dirette verso la linea di
armistizio, all’arrivo a Dubrovnik di un transatlantico francese con trecento volontari
jugoslavi dall’America e alla chiamata alle armi dei profughi goriziani da parte del go-
verno di Belgrado. AUSSME, E-8, b. 82, fasc. 18, Esercito, concorso alleato 1919, De-
legazione Italiana per la Pace-Sezione Militare (D.I.P.-S.M.), Promemoria sull’attività
militare jugoslava, 3 giugno 1919.
102
D.R. ŽIVOJINOVIĆ, op. cit., pp. 240 e 258.
Il Regno
Ii. Il Regno SHS
SHS ee l’Alto
l’Alto Adriatico 63
57

nubiano-balcanica oggetto degli interessi economici sia italiani


sia francesi103.
I contrasti tra Italia e Alleati si palesano nella seconda metà
di novembre quando Orlando in un colloquio con
l’ambasciatore francese a Roma Camille Barrère, che in nome
di Clemenceau riporta al capo di governo italiano le proteste di
Aleksandar Karađorđević per le occupazioni italiane sulla costa
adriatica, rivendica la necessità dell’azione italiana a Fiume,
avvenuta a suo dire in seguito a notizie confermate di sopraffa-
zione della popolazione italiana. Aleksandar protesta sia per
l’estensione dell’occupazione oltre la delimitazione stabilita
dall’armistizio sia perchè quella effettuata nei limiti previsti è
avvenuta senza il concorso delle truppe alleate. Secondo Orlan-
do l’occupazione di Fiume non sarebbe in contrasto con le clau-
sole di armistizio, che ammetterebbero occupazioni per ragioni
di ordine pubblico al di là dei limiti assegnati. Sebbene il capo
di governo italiano riconosca legittimo il diritto degli Alleati a
inviare proprie truppe nei territori assegnati all’occupazione
italiana, afferma anche che pressioni in tal senso da parte alleata
non sarebbero state ritenute “amichevoli” dall’Italia. Orlando si
dichiara comunque disposto ad accettare che all’occupazione di
Fiume concorrano oltre al reparto americano sbarcato dalla Re-
gia Marina il 19 novembre altre truppe interalleate, unica ga-
ranzia contro il verificarsi di spiacevoli incidenti con gli jugo-
slavi104.
Altrettanto comprensivo che le dichiarazioni conclusive di
Orlando non si rivela un telegramma inviato qualche giorno
prima dall’ammiraglio Paolo Thaon di Revel all’ammiraglio in-
glese Wemyss nel quale il capo di Stato Maggiore della Marina
italiana esprime la propria ostilità all’arrivo nell’Alto Adriatico
di navi francesi e americane per l’esecuzione delle condizioni di
armistizio con l’Austria. L’affermazione infelice di Thaon di
Revel crea un vero e proprio caso diplomatico e costringe Or-
103
Sulla rivalità italo-francese nei Balcani si veda F. LE MOAL, La France et Italie
dans les Balkans 1914-1919. Le contentieux adriatique, Harmattan, Paris 2006.
104
DDI, Sesta Serie, 1918-1922, vol. I, doc. 221. Si veda anche I.J. LEDERER, op. cit.,
p. 80; D.R. ŽIVOJINOVIĆ, op. cit., p. 271; L.E. LONGO, op. cit., p. 41.
64
58 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

lando a riparare dinanzi Clemenceau e Lloyd George dando


«prova di spirito conciliante per uscire da questa incresciosa
questione»105.
Il 24 novembre una nuova questione si solleva quando al
comando italiano di Fiume giunge la notizia che le autorità mi-
litari francesi intendono istituire in città una base di rifornimen-
to per l’Armée d’Orient e per le popolazioni serbe e ungheresi
delle regioni oltre la linea di armistizio puntando al controllo
delle locali ferrovie106. Le autorità militari italiane ritengono la
proposta francese una minaccia per il controllo della città e del
porto e più in generale dell’intero Adriatico settentrionale107.
Due giorni dopo giunge a Fiume il generale Tranié, inviato da
Franchet d’Espèrey con l’ordine di costituire la base e richiama-
re in città un battaglione serbo. I serbi hanno infatti ottenuto da
Franchet d’Espèrey l’approvazione a partecipare con un batta-
glione all’occupazione di Fiume e Spalato. A Fiume tuttavia i
serbi incontrano l’opposizione italiana e ancora una volta è loro
negato l’ingresso in città, mentre il comando del presidio inte-
ralleato passa al generale Francesco Saverio Grazioli, superiore
in grado al generale Tranié108. Il giorno seguente anche il gene-
rale Pietro Badoglio, sottocapo di Stato Maggiore dell’esercito,
interviene presso Orlando affinché sia scongiurata l’ingerenza
di Franchet d’Espèrey nell’occupazione di Fiume, mentre il 29
novembre è il comandante della piazza di Pola a denunciare le
mire francesi sulla città del Quarnaro109.
Le autorità militari italiane accusano i francesi di aver as-
sunto anche in Dalmazia atteggiamenti apertamente filo-
jugoslavi e tenere verso la popolazione italiana – così come
verso le autorità italiane sul litorale e gli ufficiali della 35ª Divi-

105
DDI, Sesta Serie, 1918-1922, vol. I, docc. 71, 88, 105, 133, 135. Si veda anche
D.R. ŽIVOJINOVIĆ, op. cit., p. 241.
106
DDI, Sesta serie, 1918-1922, vol. I, doc. 407.
107
D.R. ŽIVOJINOVIĆ, op. cit., p. 271.
108
AUSSME, E-3, b. 143, fasc. 1, Occupazione di Fiume – Sommario degli
avvenimenti. Si veda anche L.E. LONGO, op. cit., p. 44.
109
DDI, Sesta serie, 1918-1922, vol. I, doc. 363 e 396.
Il Regno
Ii. Il Regno SHS
SHS ee l’Alto
l’Alto Adriatico 65
59

sione presenti a Belgrado – un contegno “poco simpatico”110. Il


capitano Riso, ufficiale di collegamento presso l’Armée
d’Orient nella capitale serba, il 10 dicembre commenta il con-
tegno dei francesi accusandoli di favorire in ogni modo i serbi
nella questione adriatica, facendo apparire gli italiani «come il
‘nemico’, come la Nazione che ha sostituito l’Austria nella sua
politica secolare di soffocare, comprimere, le aspirazioni di e-
spansione e di ingrandimento degli slavi dei Balcani»111. Dello
stesso tono la relazione sui rapporti italo-serbo-francesi inviata
pochi giorni prima (5 dicembre 1918) da Consalvo Summonte,
ufficiale di collegamento presso l’esercito serbo e in seguito in-
caricato d’affari a Belgrado, al generale Ernesto Mombelli, co-
mandante il corpo di spedizione italiano. Secondo Summonte
l’Italia sarebbe diventata per gli jugoslavi l’Austria di poco
tempo addietro. A Belgrado, dove la situazione sarebbe ogni
giorno più seria, agitata da continue influenze esterne e violente
divisioni interne, nessuna voce oserebbe levarsi contro Francia
e Inghilterra, “madrine” dello Stato nascente contro le “espan-
sioni imperialiste” italiane. Il fermento nel neo-costituito Regno
SHS sarebbe tutto contro l’Italia, alimentato dai nazionalisti, da
una frazione turbolenta della costa militare, dagli elementi croa-
ti e dalmati nella capitale, dal linguaggio violento dei giornali di
Zagabria per la situazione creata dagli italiani a Fiume e altro-
ve. Ma vi sarebbero a Belgrado anche ufficiali francesi in mis-
sione straordinaria con attribuzioni non ben definite, una mis-
110
AUSSME, E-8, b. 79, fasc. 19, Relazioni con Montenegro, 1919, Comando della
35ª Divisione di Fanteria, Stato Maggiore, al Comando Supremo Ufficio Operazioni, n.
prot. 104, oggetto: Rapporti italo-serbo-francesi, f.to Brigadiere Generale Comandante
Inter. della Divisione Orlando Freri, 3 gennaio 1919. Ufficialmente la carica di addetto
militare presso la Legazione di Serbia è ancora conservata dal generale Marro, di stanza
a Corfù.
111
Ivi, Capitano F. Riso, Belgrado 10 dicembre 1918. Nei mesi successivi Riso conti-
nuerà a lamentare l’atteggiamento dei francesi a Belgrado. Nel marzo del 1919 si op-
porrà alla vendita del giornale Les Libres Balkans diffuso dai soldati francesi nelle stra-
de della capitale jugoslava e secondo il capitano italiano “di sentimenti apertamente ita-
lofobi”. Diretto da un francese il giornale era finanziato dal Ministero degli Esteri jugo-
slavo. Il numero del 12 febbraio 1919 al centro delle proteste di Riso riportava tra le no-
tizie minori: «gli italiani non rispettano nemmeno i morti. A Trogir, in Dalmazia, hanno
aperto alcune tombe per procedere a misteriose ricerche». Ivi, fasc. 13, Relazioni italo-
serbe propaganda italo-foba 1919.
66
60 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

sione inglese con a capo il generale Wood Thompson, ufficiali


greci, austro-ungarici, russi, “agitatori di ogni risma”. «Questo
disparato e bizzarro mondo – scrive Summonte – se è diviso
dalla veste esteriore, dalla varietà di lingua o di religione, sem-
bra unito da un solo sentimento: quello di ostilità all’Italia»112.
L’unico a rappresentare un’eccezione nell’ostile ambiente
belgradese sarebbe secondo Summonte il vojvoda Živojin Mišić
– l’artefice dei principali successi serbi nelle recenti guerre in-
cluso lo sfondamento sul fronte di Salonicco nel settembre del
1918 – «che mostra di amare sempre il nostro Paese come pri-
ma». Durante un concerto organizzato in onore delle delegazio-
ni croate, dalmate e slovene giunte a chiedere l’unione alla Ser-
bia, Mišić si sarebbe soffermato a conversare con Summonte,
cosa da tutti notata e che «dato il momento – commenta
l’ufficiale italiano – la tensione degli animi, il luogo, lo scopo
stesso della festa» è un gesto che va «oltre i limiti di un sempli-
ce atto di cortesia» avendo «la portata di una vera e propria ma-
nifestazione di simpatia e di fiducia verso la nazione italiana».
Summonte stigmatizza in particolare l’atteggiamento del co-
mandante Carbonier, addetto militare francese a Belgrado,
giunto nella capitale con le prime truppe serbe dopo aver visita-
to diversi centri del Banato, Zagabria, Fiume e Lubiana. È con
le interviste rilasciate da Carbonier a Zagabria che secondo
Summonte avrebbe avuto inizio la vera campagna giornalistica
contro l’Italia. Carbonier non solo avrebbe accusato gli italiani
di vessare le popolazioni della Carniola ma avrebbe anche su-
scitato una generale indignazione sia presso i comandi militari
sia nei pubblici ritrovi belgradesi sostenendo i serbi siano stati
ingannati dagli italiani negli eventi fiumani del novembre 1918,
quando il battaglione serbo agli ordini del colonnello Maksi-
mović avrebbe abbandonato la città in seguito alla promessa
avuta dagli italiani di non sbarcarvi. Gli italiani avrebbero pure

112
Ivi, fasc. 19, al Signor Generale Cav. Ernesto Mombelli Comandante il Corpo di
Spedizione Italiano, Sofia, prot. n. 60, Relazione sulla situazione in Serbia considerata
specialmente nei riguardi dell’Italia, f.to tenente C. Summonte, Belgrado 5 dicembre
1918.
Il Regno
Ii. Il Regno SHS
SHS ee l’Alto
l’Alto Adriatico 67
61

estorto dichiarazioni di nazionalità distribuendo viveri e indu-


menti alle popolazioni slave della costa113.
L’Italia – conclude Summonte – troverebbe dunque degli al-
leati naturali negli Stati che gli jugoslavi percepiscono come
contrari alla loro unità nazionale: Bulgaria, Romania, Ungheria,
con cui Roma dovrebbe formare “un cerchio di ferro” che si
chiuda attorno alla nascente “Grande Serbia”. Pur non dando
adito ai presentimenti catastrofici di taluni che vedono la guerra
imminente tra l’Italia e il neo-costituito Regno SHS Summonte
non nasconde apprensione per il momento grave di incognite.
«L’abusata immagine dei Balcani somiglianti ad una polveriera
se è un luogo comune retorico, sarà ancora una volta, dal punto
di vista politico, una grande verità»114.
Anche la situazione a Fiume non migliora. Il generale Tranié
non intende rinunciare agli ordini ricevuti da Franchet
d’Espèrey, che il 30 novembre ha chiesto a Parigi che Fiume sia
posta direttamente sotto il suo comando. Il 4 dicembre Tranié
torna alla carica notificando a Grazioli l’ordine di avviare i la-
vori per la base francese asserendo di rispondere esclusivamen-
te ai voleri del comando dell’Armée d’Orient, che intende di-
sporre della città come meglio ritiene opportuno115.
A questo punto l’esame della situazione di Fiume – come
stabilito dalla Conferenza interalleata di Londra del 2 e 3 di-
cembre – viene rimessa a una commissione di quattro ammira-
gli (l’inglese Kiddle, il francese Ratyé, l’americano Boullard e
l’italiano Molà) incaricati di verificare che nell’intera costa a-
driatica siano rispettate le clausole dell’armistizio di Villa Giu-
sti116. I lavori della commissione in merito a Fiume si riveleran-
no inconcludenti, né attenueranno le tensioni italo-francesi. Il 7
dicembre Clemenceau in un acceso colloquio con

113
Ibidem.
114
Ibidem.
115
Ivi, E-3, b. 143, fasc. 1, Occupazione di Fiume – Sommario degli avvenimenti;
DDI, Sesta Serie, 1918-1922, vol. I, doc. 407. Si veda anche D.R. ŽIVOJINOVIĆ, op. cit.,
p. 272.
116
DDI, Sesta Serie, 1918-1922, vol. I, doc. 462; L.E. LONGO, op. cit., p. 49. La
commissione dei quattro ammiragli consentirà all’Italia di requisire le navi mercantili
asburgiche nell’Adriatico. E.J. WOODHOUSE, C.G. WOODHOUSE, op. cit., p. 176.
68
62 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

l’ambasciatore italiano nella capitale francese Lelio Bonin Lon-


gare – che scriverà a Orlando «ho avuto con lui [Clemenceau]
la discussione più tempestosa di cui abbia ricordo nella mia or-
mai non breve carriera» – rimprovera al governo di Roma
«d’andar dritti alla guerra colla futura Jugoslavia» e accusa gli
ammiragli e i generali italiani di offendere in continuazione la
Francia117. Le accuse di Clemenceau in effetti non sono smenti-
te dall’atteggiamento di Orlando, che una settimana più tardi af-
fermerà dinanzi al senato l’impossibilità per l’Italia di smobili-
tare anche un singolo uomo, dichiarazione che gli jugoslavi in-
terpretano a torto o a ragione direttamente rivolta contro di lo-
ro118.
Nel frattempo a Fiume sbarca un battaglione indocinese
facendo sospettare a Grazioli che si tratti di un espediente per
rafforzare la presenza francese a scapito del presidio italiano119.
L’interesse di Grazioli è limitare le forze francesi a duemila
uomini, Franchet d’Espèrey insiste che nessuna restrizione sia
posta al funzionamento della base francese. Franchet d’Espèrey
è particolarmente irritato con Grazioli a causa dei violenti
attacchi della stampa italiana di Fiume contro la Francia, di cui
il comandante francese ritiene responsabile il generale italiano.
Interviene anche Clemenceau, che si duole vivamente
dell’atteggiamento del comando militare navale italiano e
richiama l’attenzione di Roma sulle conseguenze di tale stato di
cose120. Urge un compromesso con i francesi, che il 22
dicembre arriva grazie all’arbitrato del maresciallo Ferdinand
Foch, comandante supremo delle forze interalleate, che
conferma l’occupazione italiana a Fiume concedendo al tempo
stesso una base rifornimenti autonoma al comando francese,
comprensiva di una parte del porto e del controllo della ferrovia
Rijeka-Zagabria-Zemun121. I contrasti tra italiani e francesi a
Fiume avrebbero perso di importanza con l’avvicinarsi della

117
DDI, Sesta Serie, 1918-1922, vol. I, doc. 484.
118
E.J. WOODHOUSE, C.G. WOODHOUSE, op. cit., p. 171.
119
DDI, Sesta Serie, 1918-1922, vol. I, doc. 623.
120
Ivi, doc. 656 e 676.
121
FRUS-PPC, vol. II, pp. 215-216; D.R. ŽIVOJINOVIĆ, op. cit., pp. 272-273.
Il Regno
Ii. Il Regno SHS
SHS ee l’Alto
l’Alto Adriatico 69
63

Conferenza della Pace e la volontà di allentare la tensione da


ambo le parti, per poi riaccendersi nell’estate del 1919, con la
ripresa degli incidenti in città dovuti ancora alla presenza
francese, percepita dagli italiani – militari e civili – come il
risultato di precise finalità politiche122.
Alla crisi italo-francese riguardo Fiume a metà dicembre si
aggiunge infine una tensione crescente anche nei rapporti italo-
inglesi, palesata come nel caso francese dagli atteggiamenti fi-
lo-jugoslavi assunti dagli ufficiali inglesi in loco e ancor più
dall’eco della stampa nazionale in patria. Il 24 dicembre
l’ambasciatore italiano a Londra Guglielmo Imperiali di Fran-
cavilla segnala a Sonnino la pubblicazione sul Manchester
Guardian di un articolo a due colonne di Evans che accusa i
comandi italiani di una serie di provocazioni, quali l’aver strap-
pato la bandiera jugoslava ad Abbazia e Cattaro,
l’appropriazione indebita di viveri della Croce Rossa america-
na, la proclamazione arbitraria dell’annessione dell’Istria e di
Pola, o ancora lo scioglimento dei consigli comunali e la chiu-
sura delle istituzioni educative ed ecclesiastiche slave123. Pochi
giorni prima un altro lungo articolo del Times di un corrispon-
dente da Parigi (forse Northcliffe o Steed) era tornato sulla que-
stione particolarmente viva del Patto di Londra del 1915, se-
condo inglesi e jugoslavi invalidato dal successivo Patto di
Roma dell’aprile 1918124. Sonnino ribadiva a Imperiali che
l’unico documento internazionale da ritenersi impegnativo e ir-
revocabile di fronte gli Alleati fosse il primo, in quanto il se-
condo non solo non era stato concordato né firmato da alcuna
autorità governativa, ma nemmeno comprendeva indicazioni
per le delimitazioni territoriali, che anzi escludeva esplicita-
mente125. Il Patto di Roma in alcun modo poteva alterare il va-

122
L’incidente più grave il 6 luglio 1919 con l’uccisione, in seguito a un attacco ita-
liano al presidio francese, di nove soldati del reparto coloniale franco-annamita (viet-
namita) e il ferimento di altri undici. Si veda P. ALATRI, op. cit., pp. 59-70; L.E. LON-
GO, op. cit., pp. 82-88; W. KLINGER, op. cit., p. 31.
123
DDI, Sesta serie, vol. I, doc. 641.
124
Ivi, doc. 596.
125
Ivi, doc. 657.
70
64 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

lore e la portata del Patto di Londra, né essere invocato per la


futura sistemazione territoriale dei territori contesi tra l’Italia e
il Regno SHS. Si entrava dunque nel vivo del clima della Con-
ferenza della Pace che un mese dopo sarebbe stata inaugurata a
Parigi.

1.6. La delegazione jugoslava alla Conferenza della Pace

Il Regno SHS e l’Italia giungono alla Conferenza della Pace di


Parigi con richieste territoriali divergenti ma teoricamente ri-
vendicate da entrambe le parti secondo il principio di autode-
terminazione delle nazionalità e i “Quattordici punti” di Wilson.
La delegazione SHS – gli jugoslavi firmano le proprie comuni-
cazioni Délégation du Royaume des Serbes, Croates et Slovènes
– è guidata da Pašić, che rimarrà lontano da Belgrado più di un
anno. Aleksandar Karađorđević ha escluso Pašić dal primo go-
verno jugoslavo e vuole il leader radicale serbo – incorso
nell’ostilità di gran parte della dirigenza politica indistintamente
serba o jugoslava nonché in quella del reggente per ragioni po-
litiche e di rivalità personale – lontano dalla capitale. Per alcuni
versi la scelta di Pašić alla guida della delegazione jugoslava è
anche logica e naturale. Pašić è il capo del maggiore partito po-
litico serbo, un eroe popolare personificazione della Serbia stes-
sa, noto all’estero agli Alleati. Altrettanto logica è la scelta di
Trumbić come ministro degli Affari Esteri e numero due della
delegazione a Parigi: la sua adesione al primo governo jugosla-
vo bilancia, in quanto croato, la nomina del serbo Protić a pri-
mo ministro e dello sloveno Korošec a vicepresidente, mentre
la presidenza del Comitato jugoslavo ha reso Trumbić cono-
sciuto a livello internazionale e in particolare nell’Europa occi-
dentale. Insieme a Pašić e Trumbić sono inviati a Parigi come
plenipotenziari della delegazione jugoslava Milenko Vesnić e il
giurista e professore universitario sloveno Ivan Žolger (princi-
pale sostenitore delle rivendicazioni su Stiria e Carinzia), e co-
me “delegati governativi” il croato-dalmata Smodlaka,
l’avvocato e deputato sloveno Otokar Ribarž e l’ex ambasciato-
Il Regno
Ii. Il Regno SHS
SHS ee l’Alto
l’Alto Adriatico 71
65

re serbo a Londra Mateja Bošković (radicale). La delegazione


SHS tra segretari, addetti ai lavori ed esperti vari conta com-
plessivamente un centinaio di componenti, tra gli altri anche
Tresić-Pavičić e il generale serbo Petar Pešić, capo della sezio-
ne militare126.
La Conferenza della Pace è inaugurata il 18 gennaio 1919, la
rappresentanza jugoslava al tavolo delle trattative è infine di tre
seggi. Gli Alleati, in seguito alle pressioni italiane, decidono di
rimandare il riconoscimento del Regno SHS e di tenere in con-
siderazione l’assegnazione di un seggio per il Montenegro127. I
delegati jugoslavi sono inizialmente ammessi come rappresen-
tanti della Serbia e quindi come delegazione “serba”128. Il rico-
noscimento del Regno SHS da parte degli Stati Uniti (lettera del
segretario di Stato Lansing, 6 febbraio 1919),129 della Norvegia,
della Grecia e della Svizzera non sarebbe comunque tardato ad
arrivare (gennaio-febbraio 1919). Gran Bretagna e Francia, in-
vece, riconosceranno ufficialmente il nuovo Stato solamente il
2 e il 5 giugno 1919130. Il 28 giugno, infine, l’esistenza del Re-
gno SHS è riconosciuta de facto da tutti gli Stati che a Versail-

126
I.J. LEDERER, op. cit., pp. 67 e 103-108. Sulla delegazione jugoslava alla
Conferenza della Pace si veda anche A. MITROVIĆ, Jugoslavija na Konferenciji mira,
1919-1920, Zavod za izdavanje udžbenika SR Srbije, Beograd 1969; L. KARDUM,
Problem istočnih i zapadnih granica Kraljevine Srba, Hrvata i Slovenaca na pariškoj
mirovnoj konferenciji, in Politička misao, XXVI, 4, 1989, pp. 128-140; D. DJOKIĆ, Ni-
kola Pašić and Ante Trumbić. The Kingdom of Serbs, Croats and Slovenes, Haus Publi-
shing, London 2010. Per i verbali delle riunioni della delegazione si veda B. KRIZMAN,
B. HRABAK, Zapisnici sa sednica delegacije kraljevine SHS na Mirovnoj konferenciji u
Parizu 1919-1920, Institut društvenih nauka, Odeljenje za istoriske nauke, Beograd
1960.
127
Sulla questione del riconoscimento del Regno SHS si veda L. KARDUM, Pitanje
međunarodnog priznanja Kraljevine Srba, Hrvata i Slovenaca, in Politička misao,
XXIII, 3, 1986, pp. 119-130.
128
I.J. LEDERER, op. cit., pp. 124-129; A. MITROVIĆ, The Yugoslav Question, the
First World War and the Peace Conference, p. 45; D. DJOKIĆ, Elusive Compromise, p.
42.
129
Arhiv Jugoslavije (AJ), Deklaracija Vlade Sjedinjenih Američkih Država, od
06.02.1919. godine, kojom se pozdravlja ujedinjenje Srba, Hrvata i Slovenaca.
130
A. MITROVIĆ, The Yugoslav Question, the First World War and the Peace
Conference, pp. 54-56.
72
66 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

les, insieme ai rappresentanti jugoslavi, firmano il trattato di


pace con la Germania (tra essi anche l’Italia)131.
Tra i problemi che la delegazione jugoslava si trova ad af-
frontare non è secondario quello di conciliare i diversi punti di
vista dei suoi componenti nella preparazione delle tesi territo-
riali e dei memorandum da presentare al tavolo delle trattative,
avvelenati come sono i rapporti all’interno della rappresentanza
jugoslava da contrasti personali – in primo luogo tra Pašić e
Trumbić – e divergenze nelle rispettive aspirazioni nazionali. I
delegati croati e sloveni rinfacciano a Pašić di non sostenere gli
interessi nazionali ai confini nord-occidentali, i serbi accusano
Trumbić di essere indifferente al conseguimento di soluzioni
favorevoli al Regno SHS al confine con Romania e Bulgaria,
verso cui Pašić avanza rivendicazioni di natura strategica piut-
tosto che etnica132.
Le tensioni esistenti all’interno della delegazione jugoslava
emergono già dalla conversazione tenuta nell’ufficio di Pinchon
al Quai d’Orsay il 18 febbraio 1919133. Quando Clemenceau
apre la seduta invitando la delegazione “serba” a esporre il pro-
prio punto di vista Vesnić si giustifica per il fatto che ancora
non è stato possibile porre a disposizione della conferenza un
memoriale completo. Sul momento era disponibile una relazio-
ne con considerazioni generali, approntata in attesa di memoria-
li di carattere più strettamente tecnico che sarebbero stati prepa-
rati quanto prima134. Vesnić richiama alla memoria le cause del

131
Il riconoscimento ufficiale da parte italiana avverrà solamente con il Trattato di
Rapallo del 12 novembre 1920. Cfr. J. PIRJEVEC, op. cit., pp. 30-31.
132
Ivi, p. 34.
133
Oltre ai delegati jugoslavi Pašić, Vesnić, Trumbić, Žolger e il prof. Bogumil Vošn-
jak come segretario, sono presenti: per gli Stati Uniti Lansing, White, il segretario Bar-
rison, Dulles e il maggiore Johnson; per la Gran Bretagna Balfour, Robert Borden, Eyre
Crowe, il colonnello Heywood, Leeper e i segretari Bankey e Norman; per la Francia
Clemenceau e Pinchon con il generale Alby e i segretari Berthelot e de Béarn; per
l’Italia Sonnino e il marchese Salvago Raggi con De Martino, Galli e i segretari conte
Aldovrandi e Bertelé; per il Giappone il barone Makino e Matsui. AUSSME, E-8, b. 79,
fasc. 10, Note del segretario intorno ad una conversazione tenuta nella stanza del sig.
Pinchon a Parigi martedì 18 gennaio 1919 [il documento riporta erroneamente il mese
di gennaio nella data].
134
Ibidem. Si veda anche D. DJOKIĆ, Pašić and Trumbić, pp. 115-116.
Il Regno
Ii. Il Regno SHS
SHS ee l’Alto
l’Alto Adriatico 73
67

conflitto sottolineando come le truppe jugoslave della monar-


chia austro-ungarica sin dai primi giorni di guerra avessero o-
stacolato gli Imperi centrali arrendendosi “in numero ragguar-
devole” sui fronti orientali e in un secondo tempo su quello ita-
liano (la controversa condotta delle truppe slavo-meridionali
dell’esercito imperiale e regio sul fronte italiano come detto è
una questione centrale nella disputa propagandistica italo-
jugoslava). Vesnić specifica come la delegazione da lui rappre-
sentata consideri inviolabile il diritto di autodecisione procla-
mato dagli Alleati e dagli Stati Uniti: pertanto non avrebbe ri-
conosciuto valido alcun trattato pubblico o segreto che avesse
violato tale principio e avesse disposto del popolo jugoslavo in-
dipendentemente dal suo consenso. É ovvio il riferimento al
Patto di Londra del 1915 e a quello di Bucarest del 1916. Il po-
polo jugoslavo – afferma Vesnić – ha sopportato il martirio del-
la guerra in sostegno agli Alleati, perché da questi aveva ricevu-
to assicurazione che tante sofferenze fossero necessarie per
soddisfare le proprie aspirazioni. Ora gli jugoslavi chiedono alle
Potenze alleate di non fare nulla che possa cagionare una delu-
sione delle legittime speranze fatte sorgere durante la guerra,
gettando “il seme di deplorevoli conflitti futuri”. Il problema
principale – continua Vesnić – è risolvere la vertenza confinaria
con l’Italia: la delegazione jugoslava auspica si possa trattare
sul “piede di uguaglianza” con l’alleato e vicino italiano. Ve-
snić illustra infine la propria proposta per la futura frontiera ju-
goslava, che a sud coincide con quella della Grecia (l’unico vi-
cino con cui gli jugoslavi non hanno controversie confinarie in
sospeso) secondo quanto stabilito dalla pace di Bucarest
dell’agosto 1913. Poi accenna alle recriminazioni territoriali ju-
goslave ai confini con la Bulgaria e l’Ungheria e nel Banato.
Dopo Vesnić prendono la parola Žolger e Trumbić, il primo il-
lustrando le rivendicazioni jugoslave al confine con l’Austria
(Stiria e Carinzia ma in un primo tempo anche Tirolo orientale
e Bassa Austria) e sostenendo l’importanza di creare un baluar-
do contro il germanesimo che sappia ricompensare le sofferen-
ze slovene subite nella lotta storica contro l’avanzata tedesca; il
secondo presentando le richieste jugoslave alla frontiera con
74
68 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

l’Italia. Trumbić rivendica come jugoslava l’intera costa adria-


tica precedentemente austriaca, da Monfalcone a Spizza (Spič,
oggi Sutomore) con le isole, e il retroterra con la sola eccezione
di cinque villaggi italiani a nord di Pola. L’elemento italiano
secondo Trumbić sarebbe prevalente a Gorizia, Trieste, nelle
città della sponda occidentale dell’Istria, a Lussino, Fiume e Za-
ra, che rappresenterebbero tuttavia delle enclavi circondate da
slavi, senza alcuna continuità nazionale con la penisola italiana.
Ovunque – continua Trumbić – la maggioranza slava era stata
oppressa. Tale era stato il suo destino durante più di quattro se-
coli di dominio veneto. Nondimeno la dominazione veneta non
era riuscita a italianizzare il territorio lasciando lungo la costa
adriatica poche famiglie e qualche vestigia del dialetto venezia-
no. In tali territori 1’Austria aveva continuato ad applicare il si-
stema che vi aveva trovato in vigore, un regime anti-
democratico basato sulla divisione di classe e nazionalità, con
l’elemento jugoslavo oppresso e quello italiano delle città privi-
legiato135.
I mesi che seguono vedono sia da parte italiana che jugosla-
va il proliferare di pubblicazioni che rivendicano i territori a-
driatici contesi. Sia italiani che jugoslavi avanzano ragioni sto-
riche, politiche, etnografiche, geografiche, strategiche, econo-
miche. Il programma massimo delle rivendicazioni italiane
formulato nel 1914 dai nazionalisti prevede il predominio
dell’Italia sull’intera costa orientale adriatica da Trieste a Valo-
na, a eccezione di un’enclave – oltre quella montenegrina di
Antivari (Bar) e Dulcigno (Ulcinj) – per lo sbocco al mare della
Serbia. Secondo tale programma la frontiera terrestre avrebbe
collegato le cime delle Alpi Giulie, del Carso, del monte Nevo-
so (Snežnik), della Kapela e delle Alpi Dinariche. Il Patto di
Londra dell’aprile 1915 in tal senso assicurava all’Italia
un’estensione territoriale che differiva da quanto richiesto dai

135
AUSSME, E-8, b. 79, fasc. 10, Note del segretario […]. In chiusura riprende la
parola Žolger che sostiene le regioni costiere siano inadatte a sviluppare la propria vita
nazionale, economica e commerciale separatamente dal retroterra jugoslavo. Per
l’intervento di Trumbić si veda ivi, Déclaration lue par M. Trumbic au cours de la réu-
nion de Mardi 18 Février 1919.
Il Regno
Ii. Il Regno SHS
SHS ee l’Alto
l’Alto Adriatico 75
69

nazionalisti poiché non comprendeva Fiume e la parte meridio-


nale della Dalmazia. Un programma di rivendicazioni più mo-
derato era suggerito anche dall’ammiraglio Thaon de Revel.
Secondo il capo di Stato Maggiore della Marina l’Italia avrebbe
dovuto annettere l’intera costa istriana assicurandosi il predo-
minio marittimo sulla costa opposta dell’Adriatico attraverso
l’appropriazione delle isole che sbarravano il Quarnaro, di quel-
le dalmate e delle curzolane. Era essenziale che nessuna unità
della flotta da guerra austriaca fosse lasciata agli jugoslavi136.
Anche il primo memorandum jugoslavo avanza un pro-
gramma di rivendicazioni massime in ogni settore, incluse le ri-
chieste improbabili di un arbitrato per Gorizia, Pola, Trieste e
l’Istria occidentale. Secondo gli italiani le rivendicazioni jugo-
slave sono dovute, tra l’altro, alle gravi condizioni in cui verte il
Regno SHS e alla necessità di attrarre l’attenzione dell’opinione
pubblica interna sulle rivendicazioni nazionali per attutire le
lotte intestine e arginare le tendenze repubblicano-federative.
La delegazione jugoslava chiede che il confine italo-jugoslavo
sia portato all’Isonzo (Soča), che l’Austria ceda agli jugoslavi
le regioni di Klagenfurt e Maribor (Marburg), che siano annes-
se al Regno SHS le regioni lungo la Drava abitate da genti sla-
ve, che sia spostata verso oriente la frontiera serbo-bulgara e
verso occidente quella serbo-ellenica-albanese137.
La proposta massima jugoslava, sostenuta da Žolger e dagli
sloveni, prevede un confine che parta dall’Adriatico tra San
Giovanni e Monfalcone e passi a ovest di Polazzo (Polace) per
incontrare prima l’Isonzo, poi i limiti tra il distretto di Gorizia e
Cormons e più a nord l’antica frontiera tra Austria e Italia. I pa-
trioti sloveni considerano la regione di Gorizia, Trieste, l’Istria

136
Ivi, fasc. 9, La question des frontieres italo-yougoslaves, 3) Programme nazionali-
ste modéré, p. 3.
137
Ivi, p. 31. Si legge nel memoriale jugoslavo: «Les régions habitées par notre
peuple comprennent les territoires situés dans les Alpes du Sud limitrophes de
l’Autriche allemande, sur les rives de la Sotcha, de la Mure, de la Drave, de la Save, du
Danube, de la Theiss, du Timok, du Vardar et de la Strouma, et sur les bords de la mer
Adriatique». Ivi, fasc. 2, Conferenza Pace – Memoriale della delegazione serba circa le
rivendicazioni 1919, Mémoire Présenté à la Conférence de la Paix, à Paris, concernant
les Revendications du Royaume des Serbes, Croate set Slovènes
76
70 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

e la parte della Carniola occupata dagli italiani un’entità geo-


grafica unica e indivisibile invocandone l’interesse vitale per
l’economia nazionale. Qualora fosse dato seguito al Patto di
Londra il 29% della popolazione slovena (circa 400.000 perso-
ne) sarebbe finita sotto dominazione italiana e solamente il 71%
degli sloveni (circa 980.000) avrebbe fatto parte dello Stato ju-
goslavo. In risposta alle polemiche della stampa nazionalista i-
taliana gli sloveni esigono «la liberazione di tutti gli sloveni che
abitano i paesi tra l’Isonzo e il Tagliamento»138.
Trumbić sostiene pienamente le rivendicazioni slovene: ri-
conosce che a Trieste due terzi della popolazione è italiana, ma
reclama la città al Regno SHS in virtù del suo hinterland slavo
e del valore che questo detiene per gli scambi commerciali del
porto triestino139. Per ragioni analoghe i croati rivendicano
l’intera costa adriatica e l’Istria con Fiume. Per ottenerle sareb-
bero disposti ad accettare un programma più moderato lascian-
do all’Italia Gorizia e Trieste; Trumbić, tuttavia, insiste su un
programma massimo che includa anche Trieste al fine di utiliz-
zare la città giuliana come oggetto di scambio e soddisfare inte-
gralmente le aspirazioni croate sull’Istria e la Dalmazia. Nel ca-
so di Gorizia, invece, Trumbić è convinto si possa anche riven-
dicare al Regno SHS la città e il circondario – nel quale gli slavi
sono numerosi – ma in tal caso sarebbe necessario acconsentire
a una serie di concessioni all’Italia: Pirano, Buje, Montona
(Motovun), Parenzo, Rovigno, Pola, l’intera Istria occidentale –
dove la popolazione è in maggioranza italiana – più garanzie
strategiche con la creazione di una zona neutra, accordi speciali

138
Ivi, fasc. 9, La question des frontieres italo-yougoslaves, III – Revendications
Yougoslaves, Programme yougoslave maximum, p. 5. A grandi linee la proposta
massima jugoslava rimane fedele alle prime delineazioni confinarie dello Stato unitario
contenute nelle mappe serbe o nelle dichiarazioni di Supilo del 1914. Secondo i serbi il
confine con l’Italia avrebbe dovuto correre lungo le valli di Pontebba e del Tarvisio (in
territorio italiano) e la riva sinistra dell’Isonzo incontrando l’Adriatico a Aquileia e se-
guendo la linea di confine tra Italia e Austria-Ungheria. Anche Supilo rivendicava allo
Stato jugoslavo il sud-est della Carinzia, la Stiria meridionale, Gorizia, Gradisca, Trie-
ste e l’Istria, Fiume e la Dalmazia. I serbi all’epoca consideravano la possibilità di ac-
cordarsi con l’Italia per i destini di Carniola, Tolmin, Gorizia, Trieste, Kopar, Poreč,
Rovinj e Pula. Si veda A. MITROVIĆ, Serbia’s Great War, pp. 97-100.
139
E.J. WOODHOUSE, C.G. WOODHOUSE, op. cit., p. 195.
Il Regno
Ii. Il Regno SHS
SHS ee l’Alto
l’Alto Adriatico 77
71

per la libertà di comunicazione, un sistema di fortificazioni di-


fensive che elimini gli inconvenienti economici frontalieri e la
neutralizzazione dell’Adriatico140.
In ultimo esiste un programma minimo attribuito a Pašić che
consiste nel soddisfare tutte le rivendicazioni italiane tranne la
Dalmazia; il governo di Protić sembra tuttavia orientarsi al pro-
gramma massimo sostenuto dagli sloveni. Del resto l’indirizzo
di saluto che il Consiglio nazionale SHS ha presentato al prin-
cipe Aleksandar il 1° dicembre e la stessa proclamazione del
reggente sono stati chiari nel rivendicare al Regno SHS indi-
pendenza, sovranità e tutti i territori abitati da jugoslavi in mas-
sa compatta e continua141.
La tensione nei rapporti italo-jugoslavi non tende dunque a
diminuire. La delegazione italiana lamenta il trattamento della
minoranza italiana nelle regioni sottoposte all’autorità jugosla-
va, gli jugoslavi diffondono voci di soprusi delle truppe italiane
verso la popolazione civile nella zona di occupazione. Entram-
be le parti affermano di essere la parte lesa. Gli jugoslavi accu-
sano l’Italia di rivendicare la costa orientale adriatica non per
ragioni nazionali, geografiche o economiche, ma per meri dise-
gni espansionistici142. E soprattutto insistono su come l’Italia
non abbia alcun diritto su Fiume: la città non è inclusa nel Patto
di Londra e la popolazione del sobborgo di Sušak e della cam-
pagna circostante è interamente croata. Fiume sarebbe invece di
grande importanza economica per il Regno SHS avendo il porto
i migliori collegamenti con l’interno dello Stato jugoslavo. Non

140
AUSSME, E-8, b. 79, fasc. 9, La question des frontieres italo-yougoslaves, 2)
Programme moyen, p. 6.
141
Ivi, 3) Programme minimum, p. 6. Sembra che Roma e Belgrado possano trovare
un accordo qualora adottino i rispettivi programmi moderati. È quanto sostengono fin
dai primi anni di guerra i democratici italiani favorevoli all’intesa con gli slavi adriatici
(Ivi, II – Programmes italiens de conciliations, p. 3). Gli jugoslavi, anche su pressione
degli Alleati, cesseranno presto di rivendicare Trieste. Da parte italiana Orlando, pur di
ottenere Fiume, si dichiarerà pronto a rinunciare alla Dalmazia eccetto Zara, mentre
Sonnino si dimostrerà poco disposto ad abbandonare le aspirazioni sull’intera costa
dalmata. DDI, Sesta serie, vol. I, doc. 876. Si veda anche D.R. ŽIVOJINOVIĆ, op. cit., p.
282.
142
M. ROJC, The Yougoslavic Littoral on the Adriatic Sea, Government Press, Za-
greb, 1919, p. 66.
78
72 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

c’è ragione per gli italiani di rivendicare l’unione di Fiume con


l’Italia – sostengono gli jugoslavi: diritti storici e etnografici,
condizioni sociali e regionali dimostrano l’assurdità delle prete-
se italiane.
L’Italia respinge le accuse jugoslave di imperialismo e il 7
febbraio rilancia con il memorandum redatto da Salvatore Bar-
zilai, membro della delegazione italiana, che rivendica – oltre
Trieste, Gorizia, Pola e la Dalmazia – anche Fiume sulla base
del plebiscito del 30 ottobre con cui il Consiglio nazionale cit-
tadino ha proclamato l’unione all’Italia143. A marzo i delegati
italiani iniziano a minacciare l’abbandono della Conferenza del-
la Pace se Fiume non sarà concessa all’Italia. Orlando sostiene
il diritto italiano sulla città del Quarnaro appellandosi ai quat-
tordici punti di Wilson, ma come detto il presidente americano
è propenso alla sua annessione allo Stato jugoslavo o al più alla
sua internazionalizzazione. A Wilson e alla Conferenza della
Pace in questo periodo è rivolto anche l’appello di Radić per la
creazione di una “repubblica contadina croata neutrale” – una
denuncia sia del centralismo di Belgrado e delle violenze serbe
sulla popolazione croata, sia dell’appropriazione indebita dei
territori croato-dalmati da parte italiana144.
Gli americani sono fermamente intenzionati a non ricono-
scere le aspirazioni italiane al di fuori di Trento e Trieste. È sta-
to chiaro fin da gennaio quando il primo Report of the Ameri-
can Territorial Experts raccomanda l’assegnazione di Fiume e
dell’intera costa – dall’Istria all’Albania incluse le isole – agli
jugoslavi145. Per tale ragione questi ultimi, in questa fase, pun-
tano tutto sul favore del presidente americano per le loro riven-
dicazioni e la sua opposizione al Patto di Londra. Il 4 aprile Pa-
šić e quattro rappresentanti delle comunità jugoslave dalmate
presentano a Wilson un referendum segreto tenuto nella zona di
occupazione italiana con il quale il 96% della popolazione con-

143
R. ALBRECHT-CARRIE, op. cit., pp. 96-98.
144
E.J. WOODHOUSE, C.G. WOODHOUSE, op. cit., pp. 128-130; A.N. DRAGNICH, op.
cit., p. 18; I. BANAC, op. cit., pp. 239-240.
145
DDI, Sesta serie, vol. I, doc. 876.
Il Regno
Ii. Il Regno SHS
SHS ee l’Alto
l’Alto Adriatico 79
73

sultata avrebbe espresso la volontà di unirsi al Regno SHS146.


Alcuni giorni dopo lo stesso Pašić per liquidare la questione
confinaria propone senza successo una soluzione plebiscitaria
condotta sotto l’arbitrato imparziale del presidente america-
no147 : la delegazione italiana tuttavia respinge la proposta148. In
risposta al rifiuto italiano gli jugoslavi tornano allora a chiedere
l’adempimento del programma massimo con il fiume Isonzo
come linea di confine149.
Il 19 aprile è la volta di Orlando e Sonnino di tornare a pre-
sentare le richieste italiane: attuazione del Patto di Londra più
Fiume e frontiere naturali per ragioni di sicurezza nazionale. La
rivendicazione di Fiume – sostiene Orlando – sarebbe giustifi-
cata dal desiderio della popolazione di essere unita all’Italia. Le
speranze che la rivendicazione di Fiume sia accolta non manca-
no se il giorno seguente la sezione militare della delegazione i-
taliana, sostenuta dal Ministero degli Esteri, raccomanda al co-
mando cittadino – nell’eventualità che Fiume sia definitivamen-
te assegnata all’Italia e nuovi confini vengano stabiliti – di esser
pronti a respingere “colpi di mano” jugoslavi «contro Fiume
stessa o contro qualsiasi altro punto della nostra linea» in Dal-
mazia150. La situazione consiglia la massima circospezione on-
de evitare incidenti che possano nuocere alle rivendicazioni ita-
liane turbando le relazioni con gli Alleati151.

146
D.R. ŽIVOJINOVIĆ, op. cit., p. 290.
147
Delegacija SHS nudi u rješenju jadranskoga pitanja plebiscit, dne 16. aprila 1919,
Nikola R Pašić, u Parizu 16. aprila 1919., in F. ŠIŠIĆ, Jadransko Pitanja, pp. 28-29. Si
veda anche D. DJOKIĆ, Pašić and Trumbić, p. 122.
148
AUSSME, E-8, b. 79, fasc. 10, Question de l’arbitrage entre l’Italie et la Serbie.
149
Ivi fasc. 9, La question des frontieres italo-yougoslaves, p. 5.
150
Ai comandi italiani è raccomandato «di porre la massima cura a che possa essere
bene constatato e dimostrato che aggressione viene da parte jugoslavi. Prima di tale
momento est da evitarsi qualunque movimento et qualunque sia puro piccola azione di
ricognizione che possa ad arte ed in male fede essere interpretata una nostra provoca-
zione et sfruttata largamente et ampiamente dalla propaganda jugoslava». Ivi, fasc. 6,
Necessità di evitare incidenti italo-jugoslavi 1919, telegramma al Comando Supremo –
Ufficio Operazioni, f.to Sonnino, generale Diaz, Parigi 20 aprile 1919.
151
Ivi, Comando Supremo Ufficio Operazioni, telegramma n. 18986, all’ammiraglio
Millo (Governatore della Dalmazia) e al generale Montanari (Sebenico), f.to Badoglio,
23 aprile 1919.
80
74 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

Nei giorni successivi i colloqui inconcludenti dei delegati i-


taliani con Lloyd George, Wilson e Clemenceau non favorisco-
no la distensione. Orlando ha prima un incontro privato con
Lloyd George, con il quale discute l’eventuale spartizione di
Fiume,152 poi il 24 aprile è ricevuto da Wilson e Clemenceau.
Quando questi ribadiscono la loro contrarietà alla concessione
di Fiume all’Italia Orlando, il generale Diaz e Barzilai abban-
donano Parigi per tornare a Roma, seguiti due giorni dopo da
Sonnino153. Pašić indirizza a Wilson una lettera di gratitudine: il
presidente americano – scrive lo statista serbo – ha salvato dalla
schiavitù parte della nazione jugoslava154.
In Italia Orlando e gli altri sono accolti da grandi entusiasmi,
dimostrazioni patriottiche si svolgono nelle principali città. La
stampa nazionalista attacca Wilson e Lloyd George e accusa la
Francia di sostenere gli jugoslavi nell’intento di assicurarsi il
loro contributo nei progetti di neutralizzazione della Germania.
Gabriele D’Annunzio, che ancora nell’autunno del 1915 scrive-
va la sua Ode alla nazione serba, si pone alla guida di quei na-
zionalisti più intransigenti pronti a prendere Fiume e la Dalma-
zia con la forza. Contemporaneamente (26 aprile) il Consiglio
nazionale italiano di Fiume decreta l’annessione all’Italia, ma il
generale Grazioli prudentemente declina l’offerta affermando di
attendere un mandato ufficiale da Parigi155.
La delegazione italiana intende dimostrare la propria forza
affermando che tornerà a Parigi solamente quando i diritti ita-
liani saranno riconosciuti. L’apparente intransigenza dell’Italia
non impressiona la Conferenza della Pace, anche se il 6 maggio
al ritorno dei delegati italiani nella capitale francese sembra de-
linearsi più concretamente la possibilità di un compromesso.
L’impressione è che Loyd George e Clemenceau siano ora più

152
Il Regno SHS avrebbe ricevuto il sobborgo di Sušak e la parte del porto sulla riva
sinistra dell’Eneo (Rječina). La città di Fiume sarebbe stata internazionalizzata, le isole
strategiche annesse all’Italia e Zara e Sebenico sottoposte a plebiscito o rese città libere
sotto il controllo della Società delle Nazioni. R. ALBRECHT-CARRIÉ, op. cit., pp. 132-
133 e 137.
153
DDI, Sesta serie, 1918-1922, vol. III, docc. 194, 195, 239, 280, 300.
154
D.R. ŽIVOJINOVIĆ, op. cit., p. 295.
155
E.J. WOODHOUSE, C.G. WOODHOUSE, op. cit., p. 250; L.E. LONGO, op. cit., p. 75.
Il Regno
Ii. Il Regno SHS
SHS ee l’Alto
l’Alto Adriatico 81
75

propensi a osservare il Patto di Londra, nonostante Wilson ri-


manga sulle proprie posizioni e la questione adriatica continui
ad attendere una soluzione subissata dalla priorità data alla con-
clusione del trattato di pace con la Germania156.
Tra i progetti per la soluzione della disputa territoriale italo-
jugoslava è da ricordare alla fine del maggio 1919 il piano Tar-
dieu, che sebbene rifiutato come altri precedenti e successivi,
avrà il merito di introdurre nelle trattative per Fiume l’idea di
uno Stato cuscinetto indipendente sotto il controllo della Socie-
tà delle Nazioni, un punto fermo per i successivi colloqui con il
governo Nitti-Tittoni, subentrato all’Orlando-Sonnino nel giu-
gno del 1919. È quanto sostanzialmente prevede anche la prima
proposta del nuovo ministro degli Esteri italiano ad agosto (Sta-
to libero di Fiume con il suo hinterland e Veglia sottoposto alla
Società delle Nazioni), insieme alla neutralizzazione dell’Istria
orientale con Cherso e Lussino (ambedue all’Italia) e la cessio-
ne agli jugoslavi della Dalmazia con l’eccezione di Zara157.
Un mese più tardi, il 12 settembre, la questione fiumana è
complicata dall’intervento di D’Annunzio e dei suoi legionari,
che entrano a Fiume dopo la smobilitazione dei reparti del ge-
nerale Vittorio Emanuele Pittaluga – da poco subentrato a Gra-
zioli – stabilita dalla commissione interalleata che ha indagato
sugli incidenti italo-francesi del giugno-luglio precedenti158. La
commissione stabilisce anche lo smantellamento della base na-
vale francese, che avviene insieme al ritiro, su richiesta italiana,
dei contingenti alleati dalla città. Gli jugoslavi si astengono
dall’intraprendere azioni pur insistendo a Parigi affinché siano
presi provvedimenti contro l’occupazione di D’Annunzio.
Nei giorni successivi corrono voci incontrollate di movi-
menti di truppa jugoslavi e di spedizioni dannunziane verso Za-
ra e Sebenico. Il 19 settembre a Badoglio è segnalato il concen-
tramento di due divisioni provenienti da Belgrado nella zona di
Lubiana-Ogulin-Karlovac, mentre l’ammiraglio Millo informa

156
R. ALBRECHT-CARRIÉ, op. cit., p. 184.
157
Ivi, p. 244; P. ALATRI, op. cit., pp. 35-38 e 127.
158
W. KLINGER, op. cit., p. 31.
82
76 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

di un tentativo di sbarco di comitati jugoslavi lungo la costa


prontamente sventato dalla polizia di Spalato. Sono tuttavia un
centinaio di legionari italiani armati di mitragliatrici a entrare
effettivamente in azione all’alba del 23 settembre con un colpo
di mano su Traù (Trogir), fuori dalla zona di occupazione ita-
liana, che provoca due morti tra i soldati jugoslavi, l’intervento
americano e rappresaglie contro gli italiani. Ciò avviene mentre
giunge a Roma il rifiuto di Wilson ad assecondare la proposta
di Tittoni per il riconoscimento della sovranità italiana su Fiu-
me159.
Un mese dopo Belgrado emana il decreto di annessione di
Sušak (24 ottobre), mentre la notte tra il 13 e il 14 novembre
D’Annunzio tenta di estendere la sua influenza oltre Fiume con
una spedizione di seicento uomini a Zara, operazione che in-
contra il sostegno dell’ammiraglio Millo e dell’esercito regola-
re, con un rinnovato imbarazzo del governo di Roma dinanzi gli
Alleati. L’azione non avrà particolare seguito e già il 15 no-
vembre D’Annunzio rientrerà a Fiume160. Gli jugoslavi tuttavia
sostenuti da una parte della stampa britannica (in primo luogo il
Times ma anche il Daily Telegraph e il Westminster Gazette)
insinueranno la connivenza del governo italiano con
D’Annunzio prospettando il pericolo di una conflagrazione bal-
canica e auspicando l’intervento inglese nell’Adriatico. Il 3 di-
cembre infatti una nota della delegazione jugoslava al segreta-
riato generale della Conferenza della Pace chiede che siano pre-
si provvedimenti per porre termine alla minaccia dannunziana
attraverso l’invio nelle acque della Dalmazia di navi da guerra
alleate e specialmente britanniche. Gli Alleati non porteranno
tuttavia la nota jugoslava dinanzi al Consiglio Supremo e Lord
Curzon assicurerà Vittorio Scialoja – il 25 novembre subentrato
a Tittoni al Ministero degli Esteri e alla guida della delegazione
italiana – che al contrario alle navi britanniche è stato ordinato

159
P. ALATRI, op. cit., pp. 225 e 234-239.
160
Della spedizione dannunziana rimangono a Zara una compagnia di arditi, una di
fanteria e una di bersaglieri. Gli arditi saranno ritirati nel febbraio successivo, fanteria e
bersaglieri saranno regolarizzati. Ivi pp. 313-319 e 430.
Il Regno
Ii. Il Regno SHS
SHS ee l’Alto
l’Alto Adriatico 83
77

di allontanarsi dalla Dalmazia per non esporsi a inutili perico-


li161.

1.7. Verso Rapallo

Nel corso del 1919 la disputa adriatica rimane una questione tra
Italia e Alleati più che tra la prima e il Regno SHS, come dimo-
stra ancora alla fine dell’anno il memorandum del 9 dicembre
firmato a Parigi da Clemenceau, Eyre Crowe per la Gran Breta-
gna e il sottosegretario Frank Polk per gli Stati Uniti162. Sola-
mente nel gennaio del 1920, dopo l’abbandono di Parigi da par-
te della delegazione americana, Francia e Gran Bretagna inizia-
no a considerare seriemente la possibilità di un accordo diretto
tra Roma e Belgrado163.
Le tesi jugoslave indirizzate a Clemenceau l’8 gennaio da
Pašić recriminano come i progetti alleati garantiscano la sicu-
rezza strategica della frontiera e della costa orientale italiana
senza tenere conto della sicurezza dello Stato jugoslavo. Gli ju-
goslavi contestano il tracciato della frontiera istriana, l’idea del-
lo Stato libero di Fiume, la neutralizzazione delle isole e della
costa orientale, la configurazione del confine con l’Albania e le
posizioni assicurate all’Italia nel Paese, proponendo una serie di
plebisciti nelle località confinarie al centro della disputa. In al-
ternativa alla soluzione plebiscitaria la delegazione jugoslava
rivendica l’intera Dalmazia con statuti speciali per Fiume e Za-
ra e la correzione della frontiera con l’Albania stabilita alla
Conferenza di Londra del 1913. La nota jugoslava conclude ri-
levando che anche con questa soluzione all’Italia sarebbero ri-
masti 400.000 slavi e al Regno SHS non più di 60.000 italiani

161
Ivi, pp. 359-360.
162
Joint Memorandum of December 9, 1919, in The Adriatic Question, Presented by
Mr. Hitchcock, February 27, 1920, Government Printing Office, Washington 1920, pp.
3-11.
163
Per una descrizione dettagliata delle trattative che porteranno al Trattato di Rapallo
si veda anche I.J. LEDERER, op. cit., pp. 324-356.
84
78 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

(25.000 a Fiume, 9.000 a Zara e 26.000 nel resto del territorio


jugoslavo)164.
Il 9 gennaio Trumbić e Nitti si incontrano per discutere una
serie di soluzioni avanzate da parte italiana, ma il croato è in-
transigente, respinge in toto le proposte, prospetta come accet-
tabile il confine delle Alpi Giulie con la sola concessione
dell’Istria all’Italia e tutto il resto al Regno SHS165. Il ministro
degli Esteri jugoslavo sostiene che l’Adriatico occidentale deb-
ba essere italiano, la parte orientale slava, unica e sola soluzio-
ne per un’intesa amichevole e la collaborazione economica e
culturale tra i due Paesi. Trumbić respinge inoltre categorica-
mente la neutralizzazione delle isole e della costa orientale166. Il
10 e 12 gennaio espone il suo punto di vista anche a Lloyd Ge-
orge e Clemenceau, agli incontri partecipano anche Pašić, Žol-
ger e il montenegrino Andrija Radović167.
Il 13 gennaio Lloyd George e Clemenceau incontrano nuo-
vamente Pašić e Trumbić, cui presentano una proposta concor-
data con Nitti. Il progetto, che abbraccia eccessivamente le a-
spirazioni italiane, è inaccettabile agli jugoslavi: Fiume corpus
separatum sotto sovranità italiana; continuità territoriale garan-
tita all’Italia; Sušak agli jugoslavi; porto e ferrovia sottoposti
all’autorità della Società delle Nazioni; rettifica delle frontiere
verso Senosecchia (Senoseča) a protezione di Trieste; Zara Sta-
to libero sotto garanzia della Società delle Nazioni con possibi-
lità di scelta della rappresentanza diplomatica168.
La risposta negativa jugoslava il giorno seguente induce
Clemenceau a presentare a Pašić e Trumbić una proposta riela-
borata ponendo loro un ultimatum: accettazione del compro-

164
Stanovište delegacije SHS s obzirom na memorandum od 9. decembra 1919.;
predano 8, januara 1920, in F. ŠIŠIĆ, Jadransko Pitanja, pp. 52-60; P. ALATRI, op. cit.,
pp. 373-374.
165
Un regime di autonomia avrebbe caratterizzato l’Istria sotto sovranità italiana e
Fiume e Zara sotto sovranità jugoslava. P. ALATRI, op. cit., pp. 376-379.
166
Ibidem.
167
Ekspoze dra. Trumbića na sjednici savezničkih ministara predsjednika dne 10. i
12. januara, in F. ŠIŠIĆ, Jadransko Pitanja, pp. 72-82.
168
Prva audijencija gg. Pašića i Trumbića dne 13. januara 1920, in F. ŠIŠIĆ, Jadran-
sko Pitanja, pp. 82-89; P. ALATRI, op. cit., p. 385.
Il Regno
Ii. Il Regno SHS
SHS ee l’Alto
l’Alto Adriatico 85
79

messo o applicazione del Patto di Londra. Un nuovo rifiuto del-


le condizioni franco-britanniche da parte jugoslava avrebbe in-
fatti costretto Francia e Gran Bretagna ad adempiere agli impe-
gni assunti con l’Italia nel 1915. Rispetto al giorno precedente
la proposta prevede ora che il corpus separatum di Fiume, in-
vece di essere assegnato all’Italia, costituisca uno Stato indi-
pendente sotto la garanzia della Società delle Nazioni e con il
diritto di scegliere la propria rappresentanza diplomatica169. Gli
Alleati presentano le condizioni come particolarmente vantag-
giose per gli jugoslavi, in particolare in relazione al confine ju-
goslavo-albanese, con la concessione al Regno SHS del nord
dell’Albania (tra cui parte della sponda sinistra del Drin) per-
mettendo di costruire sul proprio territorio la ferrovia tra
l’Adriatico e Prizren e sfuggire così all’influenza economica i-
taliana. Un rifiuto jugoslavo avrebbe messo in discussione non
solo il possesso della Dalmazia ma anche l’unione con il Mon-
tenegro. Gli jugoslavi prenderanno tempo, risponderanno di do-
ver consultare il governo di Belgrado170.
Il risultato della consultazione jugoslava arriva il 20 gennaio
con un memoriale che sostanzialmente rigetta le proposte allea-
te respingendo ancora una volta la richiesta di rettifica della
frontiera istriana e affermando la disponibilità jugoslava a rico-
noscere l’indipendenza di Zara ma non del suo distretto muni-
cipale171. Il governo di Belgrado teme che l’accettazione
dell’ultimatum alleato possa essere interpretato da croati e slo-
veni come una “svendita” dei loro territori da parte serba172. A-
gitazioni anti-italiane tornano infatti a sconvolgere la Dalmazia,

169
Druga audiencija gg. Pašića i Trumbića dne 14. januara 1920. popodne, in F.
ŠIŠIĆ, Jadransko Pitanja, pp. 89-98.
170
British-French Revised Proposals of January 14, 1920, e Statement of the French
and British Prime Ministers of January 23 (Signed «Wallace»), in The Adriatic Ques-
tion, pp. 11-14. Si veda inoltre Documents Diplomatiques Français (DDF), 1920, tome
I, doc. 15; R. ALBRECHT-CARRIÉ, op. cit., p. 272; P. ALATRI, op. cit., p. 386.
171
Odgovor Delegacije kraljevine SHS, prema uputama kraljevske Vlade, na predlog
koji je g. Clemenceau predao gg. Pašiću i Trumbiću na sastanku, koji se držao na Quai
d’Orsay-u 14. januara 1920. poslije podne, in F. ŠIŠIĆ, Jadransko Pitanja, pp. 99-102;
R. ALBRECHT-CARRIÉ, op. cit., pp. 273-274; P. ALATRI, op. cit., pp. 388-389.
172
DDF, 1920, tome I, doc. 37.
86
80 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

a Spalato (27 gennaio) gruppi di jugoslavi assalgono due piro-


scafi nel porto cittadino e sedi di istituzioni italiane. Dalle navi
da guerra italiane è richiesto alle autorità locali riparazione per
le offese e la punizione dei responsabili, che giungono pun-
tualmente. Una nuova dimostrazione anti-italiana si verifica in
città, questa volta senza disordini, due giorni dopo173.
Più delle sommosse della popolazione slava sono tuttavia le
trame degli elementi nazionalisti italiani vicini a D’Annunziano
che continuano a rendere instabile la costa orientale adriatica.
L’irredentista Giovanni Giuriati, presidente dell’associazione
“Trento e Trieste” e promotore del “Comitato centrale d’azione
per le rivendicazioni nazionali”, arruola volontari e cerca finan-
ziamenti per un intervento in Dalmazia a sostegno delle “nazio-
nalità oppresse dalla Serbia”, un piano insurrezionale che non
avrà seguito ma che Giuriati tratta con Radić e i “frankisti” e
incontra i favori di Millo e di Badoglio, ora capo di Stato Mag-
giore174. Badoglio, già fautore della campagna anti-jugoslava
lanciata nell’Istria e nella Dalmazia occupata, dopo la procla-
mazione del Regno SHS sostiene la necessità di indebolire
dall’interno l’unità jugoslava – secondo un piano poi effettiva-
mente adottato in epoca fascista con il sostegno al separatismo
croato e macedone175. L’obiettivo è sfruttare i dissidi di natura
sociale e nazionale endemici alla compagine statale jugoslava –
in primo luogo quello serbo-croato ma anche l’irrequietezza
dell’elemento musulmano o il separatismo sloveno – onde favo-
rire il processo di disgregazione jugoslava a vantaggio degli in-
teressi italiani. Se in Montenegro gli italiani già sostengono gli
elementi fedeli a re Nikola e la causa dell’indipendenza monte-

173
P. ALATRI, op. cit., p. 427.
174
Ivi, pp. 430-432. Sulle trame dei nazionalisti italiani in combutta con i movimenti
separatisti jugoslavi si veda M. BUCARELLI, “Delenda Jugoslavia”. D’Annunzio, Sforza
e gli “intrighi balcanici” del ‘19-’20, in Nuova Storia Contemporanea, 6, 2002, pp. 19-
34. La presenza di Radić tra gli interlocutori di Giuriati è menzionata dal solo Alatri.
175
Tra il 1919 e il 1920 i contatti con i movimenti eversivi nel Regno SHS sono con-
dotti principalmente da intermediari – in primis D’Annunzio – che godono di una com-
plicità delle autorità governative italiane mai resa troppo esplicita: attenuati in seguito al
Trattato di Rapallo solamente con la piena ascesa del fascismo si tornerà ad assistere a
un crescente coinvolgimento, questa volta diretto, dei funzionari del governo di Roma.
Il Regno
Ii. Il Regno SHS
SHS ee l’Alto
l’Alto Adriatico 87
81

negrina, così anche nella Dalmazia occupata le autorità militari


italiane dovranno proseguire con un’intensa campagna anti-
jugoslava176. I contatti intercorsi tra Giuriati, Radić, Vladimir
Sachs-Petrović e Ivo Frank saranno svelati a fine marzo dal
giornale Obzor di Zagabria che sostiene un incaricato del Mini-
stero degli Esteri italiano abbia trattato con Radić
l’indipendenza croata e dalmata in cambio dell’assegnazione
all’Italia di Fiume e delle isole di Lussino, Cherso, Unie, Arbe,
Pelagosa e Lissa, e più in generale di una soluzione che tenesse
conto delle esigenze strategiche ed economiche italiane. Le in-
formazioni riportate dall’Obzor saranno prontamente smentite
da Roma, anche se nel luglio successivo si giungerà effettiva-
mente alla firma di due accordi tra Giuriati e Giovanni Host-
Venturi – in qualità di collaboratori di D’Annunzio – e i rappre-
sentanti delle nazionalità “oppresse” croata, montenegrina e al-
banese (per i croati firmano Frank e Sachs-Petrović)177.
All’inizio di marzo la prospettiva di un accordo diretto italo-
jugoslavo sembra più concreta quando Trumbić, a Parigi, chie-
de e ottiene di incontrare informalmente Nitti senza la presenza
di Pašić, con cui è entrato in aperto contrasto. Su alcuni punti i
due statisti trovano accordo su altri no. Trumbić propone la
neutralizzazione perpetua dell’Adriatico con il divieto di in-
gresso a navi da guerra. È d’accordo con Nitti sulla necessità di
intensificare i rapporti commerciali e culturali tra i due Paesi, i
secondi attraverso l’istituzione nelle rispettive università di cat-
tedre di lingua serbo-croata e italiana. Per la questione confina-
ria Trumbić propone la linea dell’accordo italo-alleato del 14
gennaio, ripetuta nell’ultimatum al Regno SHS del 20, senza le
rettifiche di Senosecchia e Castelnuovo. Per Fiume Nitti chiede
la sovranità all’Italia e il suo territorio neutralizzato, proposta
su cui Trumbić non si pronuncia: i due si trovano invece
d’accordo sull’assegnazione del porto e della ferrovia alla So-

176
DDI, Sesta serie, 1918-1922, vol. III, doc. 152. Si veda inoltre il piano attribuito a
Badoglio allora sottocapo di Stato Maggiore dell’Esercito riportato in I.J. LEDERER, op.
cit., pp. 87-90.
177
P. ALATRI, op. cit., p. 436. Sui piani di Giuriati per Croazia e Dalmazia si veda G.
GIURIATI, Con D’Annunzio e Millo in difesa dell’Adriatico, Sansoni, Firenze 1954.
88
82 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

cietà delle Nazioni ma in disaccordo per l’assegnazione di porto


Baroš a Sušak come richiesto da Trumbić. Nessuna obiezione
jugoslava per Lussino, Unie e Pelagosa all’Italia, Trumbić
chiede solamente che sia garantito il diritto di pesca nelle acque
di Pelagosa agli jugoslavi di Lissa. Proprio di Lissa il Regno
SHS non intende privarsi e per tale ragione Nitti chiede in cam-
bio Cherso, proposta su cui non si arriva a una conclusione.
Nessuna difficoltà infine sugli ultimi punti: Zara Stato sovrano
con diritto di scegliere la propria rappresentanza diplomatica e
Montenegro al Regno SHS; facoltà per gli italiani di Dalmazia
di optare per la cittadinanza italiana senza lasciare il territorio
dalmata e garanzie per le istituzioni economiche italiane178.
Anche Pašić da Belgrado si esprime in favore di una rapida
soluzione della questione adriatica. La sua posizione conciliante
nei confronti delle richieste italiane su Lissa, Cherso, Lagosta e
Fiume pone tuttavia lo statista serbo al centro degli attacchi del-
la stampa di opposizione croata, che lo accusa di svendere il
Quarnaro e le isole dalmate pur di soddisfare gli interessi serbi
in Albania. Interviene quindi il principe reggente a tranquilliz-
zare la gioventù universitaria di Zagabria escludendo la possibi-
lità di una soluzione della questione adriatica che contempli la
cessione di Fiume all’Italia in cambio della regione di Scutari al
Regno SHS. Il principe reggente si dichiara integerrimo nel
perseguire una soluzione che assicuri agli jugoslavi sia Fiume
che Scutari179.
L’11 maggio si giunge ai colloqui di Villa Casanova di Pal-
lanza. Vi partecipano Scialoja e Carlo Garbasso, Pašić e Trum-
bić. Trumbić espone le correnti posizioni di Belgrado sui vari
aspetti della questione adriatica affermando che in caso di man-
cato accordo il governo jugoslavo è pronto ad accettare il me-
morandum del 9 dicembre 1919. Gli jugoslavi ipotizzano di ac-
cettare la sovranità italiana su Fiume città a condizione che sia-

178
I punti di vista dei due statisti contrastano anche sull’Albania, stabilita entro i con-
fini del 1913 con governo autonomo. Nitti chiede il mandato all’Italia o a uno Stato
neutrale, Trumbić insiste per la piena sovranità dello Stato albanese con garanzia di tut-
te le nazioni. P. ALATRI, op. cit., pp. 417-419.
179
Ivi, pp. 446-447.
Il Regno
Ii. Il Regno SHS
SHS ee l’Alto
l’Alto Adriatico 89
83

no concessi al Regno SHS il relativo distretto slavo insieme alla


ferrovia, alla stazione, al porto cittadino e a Sušak con il piccolo
porto Baroš, indispensabile al commercio croato. «La soluzione
che riconosce la sovranità italiana su Fiume è artificiale – af-
ferma Trumbić – non sarebbe quindi giusto includere la popola-
zione slava nel destino della città»180. Fiume e il distretto sareb-
bero neutralizzati e smilitarizzati a vantaggio di entrambi gli
Stati. Trumbić prosegue affermando che tutte le isole del Quar-
naro e della Dalmazia debbano appartenere allo Stato jugoslavo
senza eccezione e comprese Lissa e Lussino – anche se per que-
ste ultime due gli jugoslavi sarebbero disposti a lasciare alle
popolazioni il diritto di autodeterminazione. Per Zara Trumbić
insiste che il destino della città sia inseparabile da quello della
Dalmazia tutta e propone pertanto un regime di autonomia in-
ternazionalmente garantito. Per le isole gli jugoslavi sono di-
sposti ad accettare la demilitarizzazione delle più esterne e non
di quelle dinanzi la costa. Considerando chiusa la questione
montenegrina, che gli italiani considerano invece ancora aperta,
Trumbić conclude infine con la soluzione preferita per
l’Albania: indipendenza e integrità nei limiti del 1913 con go-
verno autonomo locale, senza mandato affidato all’Italia o a
un’altra grande potenza, altrimenti il Regno SHS si sarebbe vi-
sto costretto a chiedere per sé l’Albania settentrionale fino al
Drin, alla quale avrebbe concesso autonomia in ambito ammini-
strativo, linguistico, educativo e religioso. Trumbić chiede infi-
ne garanzie per i circa quattrocentomila slavi che rimarranno
all’Italia assicurando che gli italiani di Dalmazia nel Regno
SHS avrebbero potuto optare per la cittadinanza italiana con-
servando beni e domicilio181.

180
Ivi, p. 464.
181
A Trumbić risponde Scialoja, che torna a insistere sulla necessità per l’Italia di a-
vere riconosciuta la sovranità non solo su Fiume ma anche sul corpus separatum, con
l’internazionalizzazione del porto non necessariamente sotto il controllo della Società
delle Nazioni. Per la delimitazione della frontiera suggerisce la riunione di tecnici delle
due parti e per le isole torna a rivendicare Lussino, Unie, Lissa e Pelagosa riproponendo
lo scambio di Lissa con Cherso. In merito alla demilitarizzazione della costa e delle iso-
le Scialoja sostiene che per la sicurezza italiana sia almeno necessario l’impegno jugo-
slavo a non armare Sebenico e Cattaro. Se in assoluto non vi sono contrasti sulla solu-
90
84 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

A giugno in Italia Giovanni Giolitti forma un nuovo governo


e grazie all’operato del ministro degli Esteri Carlo Sforza, che
propone a Trumbić nuovi incontri al di fuori del contesto pari-
gino, la disputa adriatica sembra finalmente giungere a una so-
luzione, in un momento in cui la posizione jugoslava risulta pe-
raltro indebolita dall’esito catastrofico del plebiscito di Klagen-
furt, che il 10 ottobre 1920 vede circa diecimila sloveni pronun-
ciarsi in favore dell’Austria.
Sforza è stato ministro plenipotenziario presso il governo
serbo ai tempi di Corfù, conosce personalmente i politici serbi.
Nell’ottica di normalizzare i rapporti con gli jugoslavi informa
Belgrado – dove a maggio si è insediato il governo Vesnić –
della rinuncia italiana a velleità annessionistiche su Fiume e or-
dina l’evacuazione delle truppe italiane dall’Albania. All’inizio
di novembre si aprono i negoziati veri e propri cui partecipano
per gli jugoslavi Vesnić, Trumbić e il ministro delle finanze
Kosta Stojanović. Il 12 novembre 1920 la questione adriatica
sembra finalmente risolta dal Trattato di Rapallo, che stabilisce
il confine tra Italia e Regno SHS sulle Alpi Giulie attribuendo
all’Italia Zara, le isole di Cherso e Lussino, Lagosta e Pelagosa.
Fiume e il relativo territorio del corpus separatum – con una
striscia di terra che avrebbe garantito la continuità territoriale
con l’Italia – sono riconosciuti Stato libero ponendo termine al
regime dannunziano, mentre da parte italiana Porto Baroš e il
Delta sono riconosciuti parte del Regno SHS182.
Roma e Belgrado si impegnano inoltre a osservare i trattati
di Saint Germain e Trianon e con un accordo separato a preve-
nire una restaurazione asburgica in Austria e in Ungheria. Il
Trattato di Rapallo sarà prontamente ratificato – già il 22 no-
vembre dagli jugoslavi, il 2 febbraio 1921 dagli italiani – ma

zione proposta da parte jugoslava per Zara, più complicate appaiono la questione mon-
tenegrina e albanese. Ivi, pp. 464-469.
182
AUSSME, E-8, b. 79, fasc. 4, Trattato di Rapallo. La frontiera stabilita dal trattato
lascia circa trecentomila sloveni e centomila croati istriani sotto sovranità italiana dando
luogo a proteste a Lubiana, in Istria e Dalmazia. Cfr. J. PIRJEVEC, op. cit., pp. 32 e 34.
L’assegnazione di Porto Baroš a Sušak non è inserita nel testo del trattato ma è stabilita
da uno scambio di lettere ufficiali e segrete tra Sforza e Trumbić. I.J. LEDERER, op. cit.,
p. 354.
Il Regno
Ii. Il Regno SHS
SHS ee l’Alto
l’Alto Adriatico 91
85

quanto stabilito dal punto di vista territoriale avrà comunque vi-


ta breve. Il 27 gennaio del 1924, in seguito al progressivo con-
solidamento del fascismo in Italia, si giungerà infatti alla sua
revisione con il Trattato di Roma firmato da Mussolini, Pašić e
Ninčić, che riconoscerà la piena sovranità italiana su Fiume183.
Rimaneva del Trattato di Rapallo il fatto che l’Italia avesse ri-
conosciuto l’integrità del Regno SHS ponendo in tal modo fine
alla questione dell’indipendenza montenegrina, che fino a quel
momento era stata uno dei punti fermi della politica anti-
jugoslava italiana nell’Adriatico.

183
Ivi, p. 355-356. Per il testo del Trattato di Roma si veda A. GIANNINI, op. cit., pp.
124-161.
Capitolo II

L’unione con il Montenegro

2.1. Una tradizione all’insegna dell’indipendenza

Con la partecipazione alla Prima guerra mondiale il Montene-


gro dei Petrović-Njegoš vive la sua ultima travagliata stagione
indipendente, risultato di un processo che l’ha visto, nel corso
del XIX secolo, guerreggiare quasi ininterrottamente contro i
turchi (1835-1876) ottenendo straordinari successi politici e mi-
litari, nonostante il noto firmano del sultano Selim III, già nel
1799, avesse formalmente riconosciuto ai montenegrini «di non
esser mai stati sudditi della Porta»1. Durante la dominazione ot-
tomana infatti le montagne del Montenegro hanno conservato
un’autonomia de facto dall’autorità del sultano, fondata sulla
peculiare struttura tribale e limitata a un tributo di frequente
non corrisposto. Una singolare teocrazia con a capo il principe-
vescovo di Cettigne (Cetinje) – il vladika, eletto da
un’assemblea locale – sopravvive dall’inizio del XVI secolo al
1851, anno in cui il Montenegro, con la morte di Petar II Petro-
vić-Njegoš (autore dell’opera letteraria simbolo del processo di
nation-building montenegrino e più in generale slavo-

1
Cfr. S. CLISSOLD, op. cit., p. 95; G. CASTELLAN, Storia dei Balcani XIV-XX secolo,
Argo, Lecce 2004, p. 348. Per un quadro generale della storia montenegrina dalle origi-
ni ai tempi contemporanei si ricordano alcune opere recenti: Ž.M. ANDRIJAŠEVIĆ, The
history of Montenegro. From ancient times to 2003, Montenegro Diaspora Centre, Po-
dgorica 2006; E. ROBERTS, Realm of the Black Mountain. A history of Montenegro,
Cornell University Press, Ithaca 2007; K. MORRISON, Montenegro. A modern history,
I.B. Tauris, London-New York 2009.

87
93
94
88 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

meridionale: Gorski Vijenac, “Il serto della montagna”) diventa


anche principato laico con la definitiva separazione del potere
temporale da quello spirituale. Le armate ottomane nel corso
dei secoli hanno tentato ripetutamente di soggiogare le tribù
montenegrine delle montagne senza ottenere grandi successi.
Le città del litorale invece sono rimaste a lungo legate alla Se-
renissima: se Antivari (Bar) e Dulcigno (Ulcinj) sono state con-
quistate dagli ottomani nel 1571, Cattaro (Kotor) con il territo-
rio delle Bocche (dal 1420) e Budva (dal 1442) sono rimaste
saldamente veneziane fino al 1797 (dopo la parentesi napoleo-
nica saranno austriache fino al 1918). Da tale tradizione storica
la convinzione diffusa tra i vladika del XVIII secolo che il
Montenegro, riconosciuto indipendente al Congresso di Berlino
del 1878, non fosse mai stato conquistato dai turchi2.
Ancora all’inizio del XX secolo il Montenegro, anche a
causa dell’influenza russa che nel Paese è andata costantemente
crescendo nel corso dei due secoli precedenti, è in prima fila
nella lotta agli “oppressori dei popoli slavi” dichiarando per
primo, tra gli alleati balcanici, guerra alla Turchia nell’ottobre
del 19123. Se nel 1911, prima delle Guerre balcaniche, la
superficie del regno è poco meno di diecimila chilometri qua-
drati e la popolazione di 284.000 abitanti, nel 1914 la superficie
del Paese ha raggiunto i quindicimila chilometri quadrati e la

2
Al Congresso di Berlino il territorio montenegrino sarà raddoppiato a 8.655 km² con
l’acquisizione delle regioni di Nikšić, Kolašin, Podgorica, Spuž, Antivari, Žabljak, Plav
e Gusinje. La cessione delle ultime due località al Montenegro incontrerà tuttavia
l’opposizione dell’albanese Lega di Prizren: rimarranno pertanto all’Impero ottomano
in cambio di Dulcigno (1880). Il principato raggiunge in tal modo i 9.475 km² con circa
centosettantamila abitanti. Cfr. Ž.M. ANDRIJAŠEVIĆ, The year 1878 as a Borderline be-
tween Epochs, in 130 Years Of Established Diplomatic Relations Between Montenegro
And Great Powers After It Gained Independence In 1878. Paper Collection, Historical
Institute of Montenegro, Podgorica 2011, pp. 49-63. Si veda inoltre F.S. STEVENSON, A
History Of Montenegro, Jarrold & Sons, London 1914, pp. 198-204; G. CASTELLAN,
op. cit., pp. 143-144, 204 e 347-349; A. SBUTEGA, Storia del Montenegro. Dalle origini
ai giorni nostri, Rubbettino, Soveria Mannelli 2006, pp. 105-107 e 203.
3
Per una sintesi delle relazioni tra Montenegro e Grandi Potenze nei secoli XIX-XX
si veda J.D. TREADWAY, The Falcon and the Eagle: Montenegro and Austria-Hungary,
1908-1914, Purdue University Press, West Lafayette-Indiana 1983, pp. 12-18.
L’unione con
IIii.. L’unione con ilil Montenegro
Montenegro 95
89

popolazione conta circa 470.000 anime4. Dal 1860 Re Nikola è


il settimo sovrano della dinastia Petrović-Njegoš (fondata nel
1697 dal vladika Danilo I Petrović) e nel cinquantesimo
anniversario della sua ascesa al trono (1910) – mezzo secolo
caratterizzato da espansionismo territoriale, modernizzazione e
progresso socio-economico – il principato è stato elevato a
regno e Antivari dichiarata porto franco. Dal dicembre del 1905
re Nikola ha inoltre introdotto nel Paese una costituzione sul
modello di quella serba del 1869.
I rapporti tra montenegrini e serbi negli anni precedenti e
durante il conflitto sono stati controversi5. Da una parte si è
progressivamente sviluppato il disegno jugoslavo con
l’avvicinamento tra i due popoli e, in seguito alla spartizione
del Sangiaccato di Novi Pazar, l’avanzamento di proposte per
l’unione politica, doganale e militare dei due Paesi – nonostante
il persistere delle rivalità tra i Petrović-Njegoš e i Karađorđević,
entrambi impazienti di porre il proprio regno quale centro poli-
tico e morale dell’unione jugoslava. Dall’altra permane la forte
tradizione indipendente montenegrina, solidificata dalle ultime
guerre, che nonostante abbiano contribuito ad “affratellare” i

4
Al termine delle Guerre balcaniche la determinazione dei nuovi confini regionali
procura al Montenegro un’ulteriore considerevole acquisizione territoriale (Bijelo Polje,
Mojkovac, Berane, Pljevlja, Rožaje, Gusinje, Plav, Djakovica e Peć) grazie alla sparti-
zione del Sangiaccato di Novi Pazar e della Metohija con la Serbia, con cui per la prima
volta il regno dei Petrović-Njegoš stabilisce una frontiera comune. Popolato in gran par-
te da slavi di religione ortodossa e in minor numero di credo cattolico, il Montenegro in
tal modo si estende non solo su una larga parte di popolazione musulmana ostile (in
buona parte albanese), ma anche su tribù montanare con una tradizione di forti legami
alla Serbia. Cfr. S. CLISSOLD, op. cit., p. 104; I. BANAC, op. cit., p. 275; A. SBUTEGA,
op. cit., pp. 296 e 337-338.
5
Tra le pubblicazioni dedicate ai rapporti tra Montenegro e Serbia nel periodo in og-
getto si rimanda a S. PAVLOVIĆ, Balkan Anschluss: The Annexation of Montenegro and
the Creation of the Common South Slavic State, Purdue University Press, West Lafayet-
te 2011. Pavlović rivolge particolare attenzione alla questione dell’identità montenegri-
na in relazione a quella serba e all’unione del novembre 1918. Pur riconoscendo
l’esistenza tra la popolazione montenegrina di una diffusa simpatia per l’unione alla
Serbia e la creazione di un comune Stato jugoslavo l’Autore sostiene che piuttosto che
di unificazione si debba parlare di annessione effettuata dalla Serbia ai danni del Mon-
tenegro con la “benedizione” dell’Intesa. Uno studio più datato ma pur sempre essen-
ziale sull’argomento è di epoca socialista: D. VUJOVIĆ, Ujedinjenje Crne Gore i Srbije,
Istorijski institut narodne republike Crne Gore, Titograd 1962.
96
90 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

due popoli jugoslavi, non sempre hanno giovato a solidificare i


rapporti tra Cettigne e Belgrado. In tal senso i montenegrini
continuano a rimproverare l’atteggiamento serbo nei confronti
delle loro aspirazioni su Scutari: sia l’abbandono dell’assedio
durante le Guerre balcaniche – subito dopo l’attribuzione della
città agli albanesi da parte della Conferenza di Londra – sia il
tentativo durante la ritirata serba alla fine del 1915 di assumere
il comando della città benché questa fosse stata in antecedenza
occupata dai montenegrini6. L’area di Scutari rappresenta uno
dei principali obiettivi territoriali di re Nikola per l’espansione
del Montenegro, insieme all’Erzegovina, al sud-est della Bosnia
e al litorale adriatico dalla sorgente della Neretva alla regione
delle Bocche di Cattaro, inclusa Dubrovnik7.
Durante la Prima guerra mondiale l’esercito montenegrino è
stato inoltre sottoposto agli ordini dello Stato Maggiore serbo:
per tale ragione i montenegrini accusano gli ufficiali serbi al
comando di essere i responsabili della sconfitta subita. A poco è
servita, infatti, la resistenza dell’esercito montenegrino contro
l’offensiva austro-ungarica lanciata nell’ottobre del 1915. Que-
sta nel gennaio del 1916 ha avuto come conseguenza la conqui-
sta del monte Lovćen e di lì l’invasione dell’intero Paese. Dopo
la fuga di Re Nikola in Francia attraverso l’Italia, il Montenegro
è caduto sotto la dominazione austro-ungarica per rimanervi fi-
no alla disfatta dell’esercito imperiale e regio e al crollo della
Duplice Monarchia8.
6
Si veda la relazione sulla situazione politico-militare del Montenegro compilata dal
sottotenente Edoardo Lanino, in AUSSME, E-8, b. 88, Montenegro, fasc. 15, Pratiche
varie, 1920, Note Montenegrine, Trieste, Pasqua 1919, pp. 5-6.
7
Si veda D.R. ŽIVOJINOVIĆ, King Nikola and the Territorial Expansion of Montene-
gro, 1914-1920, in Balcanica, XV, 2014, pp. 353-368. Il noto storico serbo ha dedicato
particolare attenzione alla questione montenegrina negli anni di guerra e durante la
Conferenza della Pace. Si vedano: ID., Crna Gora u borbi za opstanak: 1914-1922, Vo-
jna knjiga, Beograd 1996; ID., Italija i Crna Gora 1914-192 studija o izneverenom
savezništvu, Službeni list SRJ, Beograd 1998; ID., Kraj Kraljevine Crne Gore: mirovna
konferencija i posle 1918-1921, Službeni list SRJ, Beograd 2002.
8
È importante notare, in considerazione di quelle che saranno le accuse di tradimento
lanciate dall’establishment serbo durante la Conferenza della Pace volte a screditare re
Nikola dinanzi gli Alleati, che sul fronte del Lovćen la fanteria e l’artiglieria della Du-
plice Monarchia sovrastano notevolmente quelle montenegrine in numero e armamento.
La rapida vittoria austro-ungarica dà tuttavia l’impressione di una difesa montenegrina
L’unione con
IIii.. L’unione con ilil Montenegro
Montenegro 97
91

2.2. La controversa unione alla Serbia

Lontano dal risorgere Stato indipendente il Montenegro al ter-


mine della guerra vedrà sostituirsi all’occupazione austro-
ungarica quella serba. Con il Patto di Corfù del 20 luglio 1917
Pašić e Trumbić hanno già posto le basi dell’unione jugoslava.
L’annessione dei territori slavo-meridionali al Regno di Serbia
è poi stabilita in linea di principio – da Pašić, alcuni membri
della Skupština di Belgrado, i rappresentanti del Consiglio Na-
zionale di Zagabria e quelli del Comitato jugoslavo – con la
convenzione di Ginevra del 9 novembre 1918. Ma soprattutto,
nel contesto dell’occupazione del Montenegro da parte dei con-
tingenti alleati – francesi, inglesi, americani, ma anche italiani
che si spingono nelle regioni di Virpazar, Antivari, Dulcigno e
Cattaro9 – nell’autunno del 1918 gran parte del Paese viene oc-
cupato dalle truppe serbe del colonnello Dragutin Milutinović,
le quali si presentano come redentori dei “fratelli oppressi” e si
impegnano attivamente nella propaganda unionista. Alla causa
serba hanno già aderito importanti personalità montenegrine
come Andrija Radović, capo del governo in esilio fino al genna-
io del 1917. La rottura tra Radović e re Nikola si è consumata
nell’agosto del 1916 quando il premier montenegrino ha inizia-
to a sostenere l’unione di Serbia e Montenegro attraverso la fu-
sione delle dinastie Petrović-Njegoš e Karađorđević con
l’abdicazione dei primi in favore di Aleksandar di Serbia, cui

particolarmente debole, nonostante le truppe imperiali e regie subiscano 1.260 perdite,


prova secondo lo storico Andrej Mitrović della valorosa resistenza montenegrina.
L’altrettanto repentina richiesta di un armistizio inoltrata da re Nikola ai comandi nemi-
ci, in un momento in cui probabilmente le truppe montenegrine avrebbero potuto conti-
nuare la resistenza all’invasione seppure al costo di innumerevoli perdite e di una capi-
tolazione ancor più disastrosa, risulta essere per i serbi la conferma di un tradimento
perpetrato dal sovrano montenegrino nei confronti dell’Intesa attraverso una resa accor-
data con gli Imperi centrali. Si veda A. MITROVIĆ, Serbia’s Great War, pp. 155-156.
Sulla partecipazione del Montenegro alla Prima guerra mondiale si veda anche V. TER-
ZIĆ, Operacije Crnogorske Vojske u Prvom Svjetskom Ratu, Vojnoistorijski Institut,
Beograd 1954; N. RAKOČEVIĆ, Crna Gora u prvom svjetskom ratu 1914-1918, Istori-
jski Institut u Titogradu, Cetinje 1969; F. CACCAMO, Il Montenegro negli anni della
prima guerra mondiale, Aracne, Roma 2008.
9
Alcune pattuglie italiane giungono fino a Podgorica e Cettigne per poi ritirarsi.
98
92 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

sarebbe poi seguita una rotazione al trono tra le due casate10.


Dal febbraio 1917 Radović è alla guida del Comitato montene-
grino per l’unificazione nazionale, fondato a Ginevra e in stret-
to contatto con gli ambienti governativi serbi che operano per
delegittimare la sovranità di re Nikola. Il sovrano montenegrino
ripone sempre più speranze nell’Italia – in virtù del matrimonio
della figlia Elena con Vittorio Emanuele III – auspicando che
l’occupazione italiana di Cattaro e Antivari possa contrastare
quella serba e servire in qualche modo a conservare sul trono la
propria dinastia. Le ambizioni italiane sull’altra sponda
dell’Adriatico se non rappresentano una certezza sembrano
quantomeno la migliore garanzia per la preservazione
dell’indipendenza montenegrina. Pašić, tuttavia, si muove rapi-
damente a livello politico per legalizzare l’egemonia serba sul
territorio montenegrino evitando il ritorno in patria di re Nikola,
tra l’altro sconsigliato al sovrano sia dall’Italia sia dalla Fran-
cia11. Il comitato di Radović avvia invece la campagna per
l’elezione dei deputati della Grande assemblea nazionale che
avrebbe deciso il futuro status del Montenegro12.
Le elezioni del 19 novembre 1918, svolte sotto la pressione
delle truppe serbe, avvengono per acclamazione anziché voto
segreto e gran parte degli elettori non partecipa alla votazione.
Cettigne è il centro delle attività politiche: qui i sostenitori
dell’unificazione incondizionata con la Serbia presentano una
lista di candidati su foglio bianco, gli oppositori, più cauti e
propensi a preservare l’integrità montenegrina, una lista su
foglio verde, colori che identificheranno anche in seguito le due
fazioni, “bianchi” (bjelaši) unionisti e “verdi” (zelenaši)
indipendentisti. Se i secondi sono principalmente espressione
della società rurale, i primi vedono tra le loro fila esponenti più
prettamente urbani: mercanti, artigiani, intellettuali. L’élite

10
E.J. WOODHOUSE, C.G. WOODHOUSE, op. cit., p. 98.
11
DDI, Sesta serie, 1918-1922, vol. I, doc. 129.
12
Per accelerare il processo di unificazione il 25 ottobre 1918 a Berane è creato il
Comitato esecutivo centrale per l’unificazione di Serbia e Montenegro, che si occuperà
in concreto dell’organizzazione della Grande assemblea nazionale. Si veda S. PAVLO-
VIĆ, op. cit., pp. 148-149.
L’unione con
IIii.. L’unione con ilil Montenegro
Montenegro 99
93

militare e amministrativa del Paese sembrerebbe invece


presente in entrambe le fazioni, tuttavia con una decisa
prevalenza tra i “verdi”13. I due schieramenti rappresentano
inoltre l’evoluzione delle due principali fazioni politiche che
già caratterizzavano la vita politica e la società montenegrina
all’inizio del XX secolo: il Partito popolare (Narodna Stranka, i
cui sostenitori erano noti come klubaši), propenso all’unione
del Montenegro alla Serbia e alla detronizzazione di re Nikola,
e il Vero partito popolare (Prava Narodna Stranka, i cui
sostenitori erano conosciuti con il nome di pravaši), che
sosteneva le politiche del sovrano e l’indipendenza
montenegrina14. Tale divisione tra zelenaši e bjelaši, riflesso
dell’identità etnica e della tradizione nazionale montenegrina
(crnogorstvo) in relazione e opposizione a quella serba
(srpstvo), rimarranno questioni attuali nella società
montenegrina fino ancora ai nostri giorni.
Le elezioni sanciscono la maggioranza dei “bianchi” alla
Grande assemblea nazionale, che riunita a Podgorica in un loca-
le della Regia Cointeressata dei Tabacchi, il 26 novembre 1918
decreta – con gli auspici del governo serbo – la decadenza di re
Nikola e l’unione del Montenegro alla Serbia15. Due giorni pri-
ma il Comitato nazionale SHS di Zagabria ha proclamato uffi-
cialmente l’unione alla Serbia e al Montenegro dei territori sla-
vo-meridionali dell’ex Impero austro-ungarico offrendo ad A-
leksandar Karađorđević la reggenza del Regno SHS proclamato
il 1° dicembre. Tre giorni dopo, con l’unione tra Serbia e Mon-

13
I. BANAC, op. cit., p. 285; A. SBUTEGA, op. cit., p. 365; S. PAVLOVIĆ, op. cit., p.
163. La divisione tra le due fazioni ha anche connotazione regionale e tribale, prima
forma di identificazione della popolazione montenegrina. I “verdi” sono in maggioranza
presenti nel Vecchio Montenegro, soprattutto nel distretto di Katuni, e in parte delle tri-
bù delle Montagne (Moračani, Rovčani e Piperi) e dell’Erzegovina (Nikšići e Rudinja-
ni), mentre i “bianchi” provengono principalmente dalle tribù delle Montagne dei Bje-
lopavlići e dei Vasojevići e dalle tribù dei Drobnjaci e dei Grahovljani. Se Cettigne è il
cuore dell’identità montenegrina, nella periferia del territorio montenegrino la popola-
zione, in base al credo religioso, si identifica principalmente con le identità serba (orto-
dossa), albanese (musulmana) o croata (cattolica).
14
I. BANAC, op. cit., p. 285; S. PAVLOVIĆ, op. cit., pp. 12 e 43.
15
Odluka Podgoričke skupštine, Podgorica, 26 (13.) novembra 1918., Odluka Velike
Narodne Skupštine Srpskog naroda u Crnoj Gori, in F. ŠIŠIĆ, Dokumenti, pp. 258-261.
100
94 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

tenegro ritenuta effettiva, Belgrado pone termine alle funzioni


diplomatiche del proprio incaricato d’affari presso il governo
montenegrino, atto che secondo Pero Šoć, facente funzione di
ministro degli Esteri montenegrino, mostrerebbe tutto il cini-
smo e l’arbitrarietà delle procedure serbe16.
Le autorità serbe tenteranno di arruolare la popolazione
montenegrina nel costituendo esercito SHS, in alcune località
estendendo gradualmente il reclutamento a tutti gli uomini fino
al cinquantottesimo anno di età. Saranno in molti, però, a diser-
tare in direzione del territorio occupato dagli italiani, inclusi
numerosi albanesi reclutati a viva forza a Dulcigno e dintorni17.
A febbraio soltanto da Cettigne fuggono più di duecento perso-
ne, di cui quaranta moriranno prima di raggiungere la zona di
occupazione italiana, mentre i rimanenti saranno indirizzati da-
gli italiani verso la Bojana (San Giovanni di Medua-Šindjon), al
confine albanese-montenegrino. Nei mesi che seguiranno gli ar-
ruolamenti tentati dalle autorità serbe nelle città montenegrine
non avranno esito migliore. A marzo provocano ribellioni della
popolazione a Miratz (dove i serbi bombardano gli insorti rac-
coltisi nel paese) e a Virpazar (dove si registrano oltre trenta tra
morti e feriti), mentre alla fine di giugno rivolte avvengono an-
che a Cattaro. La creazione dell’esercito del Regno SHS in
Montenegro incontra dunque fin dall’inizio grande difficoltà e
dura opposizione18. Ai montenegrini non è ben chiaro lo scopo
della loro chiamata, se si ritroveranno a combattere per un re-
gno jugoslavo o per la “Grande Serbia”, situazione che fa au-
mentare il fenomeno delle diserzioni. Anche il fatto che le re-

16
AUSSME, E-8, b. 88, fasc. 2, Conferenza della Pace e governo montenegrino di
Parigi, 1920, Note collective envoyée aux Grandes Puissances, Le Ministre des Affaires
Etrangères p. Ministre de l’Instruction Publique, Pierre Chotch, Neuilly-Sur-Seine, 29
décembre 1918. Si veda anche FRUS-PPC, vol. II, pp. 359-360.
17
DDI, Sesta serie, 1918-1922, vol. II, doc. 211.
18
Ciò nonostante nei primi mesi del 1919 in tutto il Regno SHS l’esercito serbo andrà
comunque ridefinendosi come forza armata jugoslava anche grazie all’apporto progres-
sivo, sebbene subalterno ai vertici serbi, degli altri elementi nazionali slavo-meridionali,
non solo montenegrini (si veda infra). Per tale ragione nel volume si fa riferimento a
forze militari “serbo-jugoslave” ma si continuano a definire “serbi” i comandi e le auto-
rità superiori.
L’unione con
IIii.. L’unione con ilil Montenegro
Montenegro 101
95

clute siano inviate in guarnigioni lontane dai propri paesi natii


sembra denotare come le autorità serbe temano per la loro fe-
deltà alle nuove istituzioni politiche e militari. Agli arruolamen-
ti si accompagnerà la sostituzione delle autorità civili montene-
grine (prefetti, sindaci, gendarmeria) con elementi leali al nuo-
vo regime, in maggior parte provenienti dalla Serbia19.

2.3. L’insurrezione del natale ortodosso

Corrono voci incontrollate, sia che i filo-serbi vadano organiz-


zando agitazioni e preparino movimenti armati contro i presidi
italiani di Virpazar e Antivari, sia che gli stessi comandi italiani
possano essere attaccati dai fautori dell’indipendenza montene-
grina allo scopo di impossessarsi delle armi di cui difettano. È
la premessa della vera e propria sollevazione anti-serba, che ha
inizio nei dintorni di Cettigne il 3 gennaio 1919, guidata da Jo-
van Simonov Plamenac e gli altri leader “verdi”, che inviano
emissari al comando interalleato di Cattaro del generale france-
se Venel – dove si trova un presidio misto italiano, francese e
americano – per chiedere l’occupazione di Cettigne e del resto
del Montenegro da parte delle truppe interalleate con esclusione
di quelle serbo-jugoslave. Anche per Antivari l’obiettivo sareb-
be di cacciare le locali autorità favorevoli ai serbi. Venel, tutta-
via, esclude un intervento interalleato, né consulta i comandi
dei contingenti alleati. I francesi sembrano voler favorire
l’occupazione serba arrivando ad assistere apertamente Radović
e la fazione “bianca” tra Virpazar e Scutari e facilitando l’arrivo
da Dubrovnik di uomini della legione montenegrina da essi ad-
destrata e sostenuta20. È quanto affermano i comandi militari i-

19
AUSSME, E-8, b. 88, fasc. 14, Notizie militari e politiche, 1920, Comando Supe-
riore forze italiane nei Balcani, Informazioni sulla situazione in Montenegro, 17 febbra-
io 1919; ivi, fasc. 15, D.I.P.-S.M., Notizie militari-politiche sul Montenegro, Gennaio
1920, p. 8.
20
Ivi, fasc. 6, Aspirazioni e pretese territoriali Montenegro, Comando Supremo, tele-
gramma in arrivo del generale Piacentini, 29 dicembre 1918; ivi, Comando Supremo-
Ufficio Operazioni, telegramma in arrivo da Antivari del capitano Avarna, 6 gennaio
1919; DDI, Sesta serie, vol. I, doc. 758.
102
96 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

taliani in Montenegro, ma la voce sembra esser ritenuta attendi-


bile anche dall’ambasciatore americano a Roma Nelson Page,
se il 9 gennaio riporta alla Commissione per i Negoziati di Pace
il testo di un telegramma giunto il giorno prima da Cattaro che
afferma:

January 6th. French General is making a French-Serbian penetration


into Montenegro admitting no other than Serbian authority. The
intervention of his troops has a counterrevolutionary character. There
are about 3,000 of which 500 were landed at Ragusa, 400 of the latter
having already arrived at Cattaro have gone into Montenegro in
French uniforms and with Serbo-French officers. Immediate help and
energetic diplomatic steps indispensable since the enemy is
energetically stirring up sedition.21

Anche il governo montenegrino in esilio denuncia come le


autorità francesi facilitino l’arrivo in Montenegro degli uomini
di Radović ponendo invece ogni tipo di ostacolo all’arrivo dei
fedeli di re Nikola, ai quali è negato il visto ai passaporti con
futili scuse22. Gli italiani sospettano che le stesse precauzioni
sanitarie prese dai francesi a Cattaro alla fine di dicembre
contro i casi di tifo – ovvero la riduzione al minimo
indispensabile delle comunicazioni tra la città e il resto del
Montenegro con il rilascio di salvacondotti per l’abbandono del
Paese – siano un pretesto per rendere più efficace le misure di
isolamento della popolazione montenegrina a opera dei
comandi serbi23. Il blocco della circolazione e dell’espatrio

21
Non è ben chiaro il mittente del telegramma, che sarebbe stato inviato da un non
precisato “Ministry Marine” (presumibilmente montenegrino) al “Montenegrin Minister
here” (presumibilmente il rappresentante montenegrino a Roma). Si veda FRUS-PPC,
vol. II, pp. 366-367. L’intera legione serbo-montenegrina organizzata da Radović arri-
verà in Montenegro a fine gennaio trasportata da Tolone con navi francesi. DDI, Sesta
serie, vol. II, doc. 87.
22
DDI, Sesta serie, vol. I, doc. 514.
23
AUSSME, E-8, b. 88, fasc. 15, Ufficio del Capo di Stato Maggiore della Marina,
Bolletino speciale n. 70, Roma 26 gennaio 1919, copia di rapporto del comando in capo
dell’armata e del basso Adriatico in data 11 gennaio 1919 n. 515 circa R. esploratore
“Aquila”, a comando del R. esploratore “Nibbio”, oggetto: Informazioni, f.to capitano
di fregata comandante Bernotti, Cattaro 31 dicembre 1918. Si veda anche DDI, Sesta
serie, vol. I, doc. 760. Nel 1928 Savić Marković Štedimlija, in Gorštačka Krv, Crna
Gora 1918-1928, è tra i primi a porre l’accento sul sostegno internazionale ricevuto dal-
L’unione con
IIii.. L’unione con ilil Montenegro
Montenegro 103
97

della popolazione montenegrina da parte delle autorità serbe è


denunciato anche da Pero Šoć all’incaricato d’affari americano
in Francia Bliss. Secondo Šoć solamente cospiratori e agenti
della Serbia avrebbero libero accesso in Montenegro: statisti e
deputati montenegrini si appellano agli Alleati affinché gli sia
consentito di abbandonare il Paese e recarsi a Roma e Parigi24.
L’unico provvedimento del generale francese Venel, il 5
gennaio, consisterà nell’avviare in direzione di Cettigne truppe
francesi, serbe e americane disponendo che una compagnia
italiana sia spostata da Cattaro a Krstac a protezione delle
comunicazioni delle truppe francesi e serbo-jugoslave di
Cettigne25. Quando il generale Carbone, comandante delle
truppe italiane a Cattaro, di sua iniziativa, aggrega un drappello
di soldati italiani alla compagnia americana destinata a
riprendere il controllo di Njeguši, occupata dagli insorti, il
generale Venel su disposizioni di Franchet d’Espèrey ordina al
comandante americano di entrare a Njeguši con i soli suoi
uomini lasciando a Krstac gli italiani e escludendone
categoricamente l’ingresso a Cettigne. Al generale Carbone non

la Serbia nell’occupazione del Montenegro. In tal modo sarebbero state tradite le pro-
messe rivolte a re Nikola. Secondo Štedimlija, infatti, il mandato originario delle truppe
interalleate in Montenegro sarebbe stato di preservare il potere ai Petrović-Njegoš (co-
me conferma il comunicato del governo francese del 22 ottobre 1918); tale mandato sa-
rebbe stato in seguito “tradito” lasciando ai serbi il controllo dell’intero territorio mon-
tenegrino. Štedimlija afferma apertamente che i comandi alleati in Montenegro avreb-
bero agito a esclusivo sostegno degli interessi serbi e dell’unificazione come nel caso
del supporto ricevuto dagli unionisti da parte del generale Venel, comandante in capo
delle forze alleate in Montenegro. Tali interferenze pro-serbe nel febbraio 1919 sareb-
bero costate al generale francese la rimozione dal proprio incarico in seguito alle prote-
ste presso gli Alleati del governo montenegrino in esilio. Si veda S. PAVLOVIĆ, op. cit.,
pp. 16-17 e 104. Prima di Štedimlija, seppure meno apertamente e senza riferimenti di-
retti al ruolo delle forze di occupazione interalleate, anche il pubblicista americano
Whitney Warren aveva sottolineato il sostegno delle Potenze alleate alla Serbia nel pro-
cesso di unificazione con il Montenegro. Si veda W. WARREN, Montenegro. The Crime
Of The Peace Conference, Brentano’s, New York 1922. Più recentemente lo stesso è ri-
badito anche da K. MORRISON, op. cit., p. 43.
24
AUSSME, E-8, b. 88, fasc. 2, Note collective envoyée aux Grandes Puissances, Dr.
Pierre Chotch, Neuilly-Sur-Seine le 28 décembre 1918. Si veda anche FRUS-PPC, vol.
II, pp. 358-359.
25
AUSSME, E-8, b. 88, fasc. 15, Commandement des Troupes Alliées du Monténé-
gro e de Cattaro, Etat Major, 3° Bureau, n. 107, Ordre preparatoire, Venel, Cattaro 5
janvier 1919.
104
98 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

resta che obbedire. Convinto che eventuali azioni repressive


contro ribelli non dovessero essere affidate alle sole truppe
serbo-jugoslave ma esser concordate ed eseguite da una coali-
zione alleata Carbone accuserà il comando francese di
complicità nella sopraffazione dei diritti della popolazione
montenegrina da parte serba26.
Pur mancando il sostegno interalleato gli insorti
montenegrini, tra i quindici e i ventimila in tutto il Paese,
marciano su Cettigne e le altre città (Nikšić, Virpazar,
Podgorica) e attaccano le truppe serbo-jugoslave (6 gennaio
1919) inferiori nel numero ma meglio armate. Privi di
munizioni e viveri, preparazione, mezzi e capi risoluti, i “verdi”
(circa tremilacinquecento di cui solo un terzo armato) saranno
rapidamente costretti a desistere dalla presa di Cettigne, l’unica
città dove per qualche giorno riescono effettivamente a
impegnare i regolari e le milizie “bianche” agli ordini del
generale Martinović (quattrocento regolari e circa trecento
montenegrini assoldati). Il generale Venel, giunto a Cettigne il
7 gennaio, ascolta le richieste degli insorti: liberazione dei
prigionieri in mano serba, garanzie che non saranno compiute
rappresaglie verso chi ha preso parte alla rivolta, assicurazioni
che saranno ripetute le elezioni politiche sotto il controllo delle
truppe alleate. Il generale francese costata come i ribelli non
siano contrari al principio dell’unione jugoslava, ma siano
fondamentalmente scontenti di come sia avvenuta e di come il
regime serbo abbia assoggettato il Montenegro. Essi sostengono

26
Ivi, b. 79, fasc. 19, Relazioni con il Montenegro, 1919, Situazione del Montenegro
(Riassunto). Si segnala in particolare l’incontro tra Carbone e Venel del 31 dicembre
1918, una visita di cortesia per la fine dell’anno. Carbone lamenta l’attitudine dei serbi
a Cattaro e in generale in Montenegro, sebbene il generale francese risponda di non ve-
dere atteggiamenti recriminabili da parte serba. Secondo Venel tutto risulterebbe tran-
quillo, al contrario Carbone accusa Venel di non aver voluto neppure ricevere il diplo-
matico montenegrino Jovo Popović, dalle ben note posizioni indipendentiste, al punto
da essere costantemente sorvegliato dai serbi (gli italiani ne favoriranno la fuga in Ita-
lia: nell’aprile del 1941 sarà alla guida di un comitato amministrativo collaborazioni-
sta). Venel risponderà a Carbone di non riuscire a comprendere perché gli italiani siano
tanto interessati a «quei quattro sassi del Montenegro, di cui tutti gli abitanti non sono la
metà di quelli di Napoli». Ivi, b. 88, fasc. 15, R. Esploratore “Aquila”, Informazioni,
Cattaro 2 gennaio 1919.
L’unione con
IIii.. L’unione con ilil Montenegro
Montenegro 105
99

che le elezioni condotte e l’unione alla Serbia proclamata dalla


risoluzione della Grande assemblea nazionale il 26 novembre
siano state effettuate sotto la pressione militare serba e quindi
non rappresentino la reale volontà nazionale. Chiedono un invio
di nuove forze alleate in modo da poter assicurare
l’occupazione del Montenegro da parte dell’Intesa,
preferirebbero in prevalenza truppe americane, inglesi e
francesi. Lamentano la fame regnante nel Paese. Il generale
Venel pone agli insorti un ultimatum di quarantotto ore: chiede
la liberazione della strada tra Cettigne e Cattaro, la riattivazione
delle comunicazioni telefoniche e telegrafiche e che gli armati
si ritirino alle proprie case; promette inoltre la ridefinizione
dell’occupazione del Montenegro da parte di truppe franco-
americane27. Gli insorti non possono che accettare le condizioni
del generale francese28.
Dopo la resa i “verdi” in parte emigrano in parte si rifugiano
sulle montagne o verso la costa (Plamenac nella zona di
occupazione italiana a San Giovanni di Medua per poi muovere
alla volta dell’Italia e della Francia). Sebbene abbiano avuto il
supporto di larga parte della popolazione – contraria alle
violenze dei “bianchi” e a un’unione incondizionata alla Serbia
effettuata in termini di semplice annessione – i “verdi” non si
sono dimostrati organizzati e coesi come le milizie e i regolari
serbo-jugoslavi loro oppositori, con una dimostrazione armata
finalizzata principalmente a provocare l’intervento alleato (in
primis italiano) e non una vera e propria resistenza. Il contegno
neutrale delle truppe italiane, dalle quali gli insorti attendevano
un aiuto più o meno diretto – in parte lasciato intendere dagli
alti comandi italiani se si considera l’iniziale parere favorevole

27
Ivi, b. 88, fasc. 15, Commandement des Troupes Alliées du Monténégro e de Catta-
ro, n. 122, Conditions, Venel, Cattaro 7 janvier 1919; ivi, Promemoria per il generale
Carbone, f.to tenente Marcolini, Cattaro 8 gennaio 1919.
28
Ivi, fasc. 14, Comandante delle truppe alleate a Cattaro, generale Venel, a Coman-
dante in Capo delle Armate Alleate d’Oriente, Cattaro 12 gennaio 1919. L’8 gennaio il
generale Carbone tenta un ultimo intervento invitando il comandante americano ad ac-
compagnarlo a Cettigne per verificare la situazione in città. L’ufficiale americano, tut-
tavia, declina l’invito con una serie di pretesti e Carbone rinuncia alla ricognizione. Ivi,
b. 79, fasc. 19, Situazione del Montenegro (Riassunto).
106
100 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

di Badoglio all’intervento interalleato a Cettigne e Podgorica –


e l’esplicito ordine di rimanere estranee alle questioni politiche
del Montenegro da esse ricevuto dal generale Piacentini,
comandante delle forze italiane nei Balcani inquadrate
nell’Armée d’Orient del generale Franchet d’Espèrey, farà
svanire ogni speranza di successo29.
Fallita l’insurrezione i serbi si lanciano nella rappresaglia e
solo a Podgorica arrestano centosessantaquattro persone, fra cui
tre cugini del re, ottanta ufficiali e vari dignitari di corte,
confiscando i beni immobiliari ed eliminando i familiari di chi
non si dichiara partigiano dei Karađorđević. I “bianchi”
rivendicano le decisioni dell’assemblea di Podgorica a guida
filo-serba, espressione della vera volontà del Paese e difendono
la regolarità delle elezioni, che dichiarano esser state svolte li-
beramente. Recriminano l’atteggiamento delle Grandi Potenze,
che indugiano nel riconoscere il Regno SHS e lamentano il
mancato arrivo di viveri nonostante il Paese si trovi nella più
“squallida miseria”30.
Anche durante le rappresaglie l’atteggiamento delle autorità
alleate è contraddittorio: gli inglesi rimangono spettatori
indifferenti, i francesi tollerano le manovre serbe (gli americani
hanno già ritirato dal Montenegro gran parte delle proprie
truppe). Alla fine di gennaio il generale Franchet d’Espèrey –
accompagnato dal generale inglese Bridges, dal tenente
americano Gray, dal tenente colonnello italiano Vitelli
(ufficiale di collegamento a Salonicco) e da Radović – si reca in
Montenegro (Cattaro, Cettigne e Podgorica) per compiere

29
Ivi, b. 88, fasc. 15, D.I.P.-S.M., Notizie militari-politiche sul Montenegro, Gennaio
1920, p. 8; DDI, Sesta serie, vol. I, doc. 817. Si veda inoltre I. BANAC, op. cit., p. 286.
Gli ordini impartiti nei giorni della rivolta montenegrina da Piacentini sono coerenti con
le indicazioni “politiche” ricevute da Roma. In un telegramma del 20 gennaio 1919
Sonnino comunica al comandante delle forze italiane nei Balcani: «È opportuno che no-
stri comandi si astengano da qualunque azione che possa implicare la nostra responsabi-
lità nel movimento montenegrino. Ciò però non esclude che montenegrini che si rifu-
giassero entro nostre linee pur venendo disarmati siano trattati dovuti riguardi». DDI,
Sesta serie, vol. II, doc. 25.
30
Delle pressioni serbe e montenegrine alle Potenze alleate per l’invio di rifornimenti
alimentari si ha riscontro anche nei documenti americani. Si veda FRUS-PPC, vol. II, p.
636.
L’unione con
IIii.. L’unione con ilil Montenegro
Montenegro 107
101

un’inchiesta voluta dai governi dell’Intesa e finalizzata a


conoscere i reali desideri della popolazione montenegrina. Il 27
e il 28 gennaio sono interpellate circa settanta persone
appartenenti alla minoranza colta del Paese educata in Serbia e
serbo-fila, le quali concordano nell’affermare la legittimità
delle elezioni all’assemblea montenegrina e il desiderio del
Montenegro di far parte del Regno SHS31. L’inchiesta di
Franchet d’Espèrey conclude che: 1) in Montenegro sono
presenti truppe jugoslave piuttosto che esclusivamente serbe e il
loro numero non eccede in totale i cinquecento uomini; 2) tali
truppe non hanno avuto alcuna influenza sulle elezioni e i
cambiamenti politici nel Paese; 3) le elezioni sono state libere e
cinquecento soldati jugoslavi anche volendo non avrebbero
potuto imporre il loro volere a cinquantamila montenegrini in
armi; 4) le elezioni sono state molto più libere di quelle
condotte sotto il regime di re Nikola. L’inchiesta, dopo aver
ascoltato i prigionieri dell’insurrezione del natale ortodosso,
conferma inoltre il sospetto che la rivolta sia stata causata da
agenti di re Nikola sostenuti da emissari italiani32.
Il conflitto tra “verdi” e “bianchi”, comunque, non terminerà
con l’insurrezione del gennaio 1919 e rimarrà vivo negli anni a
venire. Le autorità militari italiane registrano numerosi episodi
di violenza che contrappongono regolari e irregolari serbo-
jugoslavi alle bande nazionaliste montenegrine. All’inizio di
giugno, ad esempio, il Comando Supremo e il Ministero degli
Affari Esteri ricevono notizie di scontri nella regione montuosa
della Skadarska Krajina (Krajë per gli albanesi) fra truppe
serbo-jugoslave e komiti montenegrini guidati dal noto Savo
Raspopović, sulla cui testa è stata posta una taglia di ventimila
dinari. Solamente la sera del 27 maggio l’assalto delle sue
bande provoca tra i serbi tredici vittime tra morti e feriti.
Raspopović nel corso del mese continuerà a tenere in scacco le

31
AUSSME, E-8, b. 88, fasc. 15, l’ufficiale di collegamento italiano a Salonicco al
Comando Supremo-Ufficio Operazioni, al Comando Superiore truppe italiane nei Bal-
cani Valona, n. 431, f.to tenente colonnello Vitelli, Salonicco 4 febbraio 1919.
32
E.J. WOODHOUSE, C.G. WOODHOUSE, op. cit., p. 111.
108
102 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

truppe serbo-jugoslave nei dintorni di Antivari, al punto che


queste accuseranno gli italiani di aver stretto accordi con il
leader montenegrino33. In effetti Raspopović alla fine di marzo
aveva contattato i militari italiani del presidio di Antivari,
contatti che si erano concretizzati nella visita del capo
montenegrino al comando italiano. Nel colloquio che era
seguito con il comandante Bottiglieri, Raspopović aveva
chiesto il sostegno italiano – in altri termini armi, munizioni e
denaro per la causa montenegrina. Non è ben chiaro quali siano
stati i risultati dell’incontro tra Raspopović e gli italiani, ma il
fatto che i soldati serbo-jugoslavi avessero ritrovato caricatori
in dotazione ai militari italiani nei pressi dei luoghi battuti da
Raspopović lascerebbe pensare che qualche forma di sostegno
italiano al suo komiti fosse effettivamente garantito. Non aiuterà
poi a fugare i sospetti serbi di connivenze tra militari italiani e
komiti montenegrini l’avvistamento nei pressi di Cettigne di
armati in divisa italiana, presumibilmente legionari montene-
grini giunti dall’Italia34.
Sostegno italiano ai komiti o meno in questi mesi il
principale obiettivo dei militari italiani in Montenegro rimane la
tutela degli interessi economici nazionali legati al controllo del
porto e della ferrovia di Antivari e contrastare le ingerenze
francesi e jugoslave sulla gestione degli stessi. La società
Compagnia di Antivari, espressione del capitale italiano e
proprietaria degli impianti portuali di Antivari e della ferrovia
Antivari-Virpazar-Scutari, lamenta infatti come i francesi non si
limitino a interessarsi di questioni militari intromettendosi an-

33
AUSSME, E-8, b. 88, fasc. 7, Movimento nazionalista montenegrino, 1919, R. E-
sercito Italiano, Comando Supremo-Ufficio Operazioni, a D.I.P.-S.M., 1° giugno 1919,
copia di telegramma del generale Piacentini, Valona 31 maggio 1919; ivi, R. Esercito
Italiano, Comando Supremo-Ufficio Operazioni, a D.I.P.-S.M., copia di telegramma del
generale Piacentini, Valona 20 giugno 1919; ivi, R. Esercito Italiano, Comando Supre-
mo-Ufficio Operazioni, a D.I.P.-S.M., 23 giugno 1919, copia di telegramma del genera-
le Piacentini, Valona 21 giugno 1919; ivi, Comando Supremo-Ufficio Operazioni, tele-
gramma del generale Piacentini, Valona 2 luglio 1919.
34
Ivi, fasc. 14, Comando Presidio Antivari, a Comando Superiore forze italiane nei
Balcani Valona, Relazione politico-militare, f.to il comandante di presidio Bottiglieri,
Antivari 4 aprile 1919. Il 20 giugno le autorità serbe arresteranno moglie e figli di Ra-
spopović.
L’unione con
IIii.. L’unione con ilil Montenegro
Montenegro 109
103

che nel campo economico35. Le autorità francesi e jugoslave


hanno sequestrato il naviglio della Compagnia, che non ha po-
tuto in tal modo, nonostante i ripetuti reclami, ripristinare il
servizio di navigazione sul lago di Scutari affidatole dalla
convenzione del 1906 con il governo montenegrino (i francesi
vanno organizzando servizi concorrenti lungo la Bojana). Al
sequestro del naviglio si aggiunge inoltre quello degli immobili
e degli altri impianti per la produzione del tabacco36.
Alle interferenze negli interessi economici nazionali si
associano i frequenti contrasti dei militari italiani con regolari e
irregolari serbo-jugoslavi, che a volte finiscono con il provocare
veri e propri scontri a fuoco, spesso per ragioni non del tutto
chiare. Teatro principale ancora una volta Antivari, dove la
notte del 4 febbraio, ad esempio, il tentativo di dirigersi al porto
di una pattuglia serbo-jugoslava e di gendarmi della locale
prefettura – nell’ambito di una perlustrazione volta a evitare
sbarchi di insorti montenegrini – finisce a colpi di fucile con le
sentinelle italiane di guardia al molo. Scontri tra italiani e
gendarmi jugoslavi sulle alture intorno la città si verificano
anche a fine luglio, mentre a Sutorman, il 29 giugno,
l’ennesimo contrasto (i militari italiani nell’occasione si
accompagnano a un soldato francese) si conclude con
l’uccisione di un gendarme jugoslavo. Tuttavia l’episodio

35
L’attenzione degli ambienti capitalisti italiani si concentra sul Montenegro alla fine
del XIX secolo. Nel 1903 il finanziere Giuseppe Volpi costituisce a Venezia il Sindaca-
to italo-montenegrino assicurando alla Regia Cointeressata dei Tabacchi, con sede a
Podgorica e diverse succursali nel Paese, il monopolio dei tabacchi montenegrini.
L’obiettivo di Volpi è rendere il Montenegro la testa di ponte della penetrazione eco-
nomico-commerciale italiana nella penisola balcanica. La Compagnia di Antivari, crea-
ta con capitale italiano nel dicembre del 1905, si occuperà della costruzione del porto
franco e della zona industriale di Antivari, della ferrovia Antivari-Virpazar-Scutari
(terminata nel gennaio 1909), così come del servizio di navigazione sul lago di Scutari.
Seguirà la costituzione della Società Commerciale d’Oriente, che tenterà di sottrarre
all’Austria-Ungheria il monopolio commerciale che si era assicurata in Montenegro e la
costituzione della Società per le Bonifiche di Dulcigno, responsabile della bonifica i-
draulica di circa tremila ettari di terreno. Si veda A. TAMBORRA, The Rise of Italian In-
dustry and the Balkans (1900-1914), in The Journal of European Economic History, III,
I, 1974, pp. 87-120.
36
AUSSME, E-8, b. 88, fasc. 5, D.I.P.-S.M., Le occupazioni interalleate in Montene-
gro, Questioni di Scutari e di Antivari, Parigi 29 giugno 1919.
110
104 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

ritenuto più grave da parte italiana è quanto accade tra Antivari


e Virpazar ad agosto, quando i presidi italiani sono circondati
dalla popolazione sobillata dai “contro-komiti” filo-jugoslavi.
Alle origini delle minacce vi sarebbe la detenzione in ostaggio
presso il presidio italiano di Antivari di alcuni elementi degli
stessi “contro-komiti” – di cui si chiede la liberazione –
residenti a Limljani e indiziati del ferimento di un soldato
italiano avvenuto il 19 agosto nei pressi di Virpazar. Per ripri-
stinare l’ordine gli italiani chiedono la cooperazione dei
regolari serbo-jugoslavi, che rispondono tuttavia di non aver
alcuna autorità sulle bande filo-jugoslave. A questo punto il
comando italiano ammonisce senza particolare successo le
autorità serbo-jugoslave minacciando gravi conseguenze qualo-
ra non mostrino risolutezza nell’allontanare i paramilitari. La
situazione pochi giorni migliorerà solamente grazie alla
decisione delle stesse bande di desistere dagli intenti contro i
presidi italiani37.
Non mancano nemmeno incidenti che vedono i militari ita-
liani scontrarsi con i komiti montenegrini come avviene a inizio
luglio quando una vettura proveniente da Antivari con riforni-
mento viveri per il Regio Esercito è oggetto di un’imboscata dei
montenegrini che uccidono due militari italiani e ne feriscono
altri tre38. Oppure l’incidente che il 20 dello stesso mese vede
morire sulle alture intorno a Cattaro (località Dobrota) il tenente
Rubbi in seguito a scontri tra pattuglie serbo-jugoslave e komiti
montenegrini39. La situazione per le truppe italiane in Montene-

37
Ivi, fasc. 7, Comando Supremo-Ufficio Operazioni, telegramma in arrivo del gene-
rale Piacentini, Valona 6 febbraio 1919; ivi, R. Esercito Italiano, Comando Supremo-
Ufficio Operazioni, a D.I.P.-S.M., 6 luglio 1919, copia di telegramma del generale Pia-
centini, Valona 2 luglio 1919; ivi, copia di telegramma in arrivo del generale Badoglio,
31 luglio 1919; ivi, Segretariato italiano della Conferenza, comunicazione telegrammi
del generale Piacentini, Roma-Parigi 22 Agosto 1919.
38
Ivi, R. Esercito Italiano, Comando Supremo-Ufficio Operazioni, a D.I.P.-S.M., 9
luglio 1919, copia di telegramma del generale Piacentini, Valona 8 luglio 1919.
39
Le autorità italiane sostengono tuttavia che il colpo mortale per Rubbi sia arrivato
dal “fuoco amico” dei serbo-jugoslavi nella ricognizione a questi ordinata dal comando
francese per stanare gli insorti montenegrini (da Rubbi già disarmati) nei pressi del pre-
sidio italiano. La versione italiana contrasta con quella francese, che almeno inizialmen-
te additerebbe i montenegrini come responsabili della morte dell’ufficiale italiano.
L’unione con
IIii.. L’unione con ilil Montenegro
Montenegro 111
105

gro – denuncia ad agosto il generale Armando Diaz – «è a tal


punto intollerabile che se la Conferenza di Parigi non interverrà
al più presto per frenare la tracotanza serbo-jugoslava si potreb-
bero avere conseguenze deplorevoli»40. Diaz insinua che dietro
le quinte delle sempre più frequenti dimostrazioni popolari anti-
italiane possano esservi i comandi francesi presenti in Albania e
Montenegro. Il governo italiano, nella persona di Tittoni, pro-
mette di porre all’attenzione dei governi alleati l’atteggiamento
degli jugoslavi, che insistono affinché le truppe italiane abban-
donino il Montenegro41. Ma soprattutto da parte dei militari ita-
liani presenti oltre Adriatico si cercano garanzie affinché cessi
«la commedia dei Serbi e dei Comitagi [sic] jugoslavi che dico-
no di non avere rapporti fra loro, mentre sono la stessa cosa»42.

2.4. Il mancato accreditamento della delegazione montene-


grina alla Conferenza della Pace

La questione montenegrina alla Conferenza della Pace è un


problema politico connesso al riconoscimento internazionale
del Regno SHS e alla politica estera del governo italiano che di-
fende l’indipendenza del Montenegro in funzione anti-
jugoslava43. È stato detto come Francia e Gran Bretagna al con-
trario sostengano la creazione di uno Stato unitario degli slavi
del sud che possa superare la frammentazione e le tensioni na-
zionali della regione balcanica fornendo maggiori garanzie per

L’inchiesta effettuata dai francesi finisce comunque con il confermare le responsabilità


serbo-jugoslave, sebbene accidentali. Gli eventi avrebbero visto i montenegrini, una
volta sovrastati dai serbo-jugoslavi, rifugiarsi presso il comando italiano alla ricerca di
aiuto, fatto che lascerebbe presumere ancora una volta la connivenza dei militari italiani
con alcune bande insurrezionali. Si veda corrispondenza ivi, fasc. 4, Cattaro e le rela-
zioni con la Jugoslavia, 1919.
40
Ivi, fasc. 7, telegramma in arrivo, a D.I.P.-S.M., f.to generale A. Diaz, 21 giugno
1919; ivi, fonogramma in arrivo, a D.I.P-S.M., f.to generale Diaz, 22 agosto 1919.
41
Ivi, D.I.P-S.M, telegramma in partenza f.to Tittoni, 23 agosto 1919.
42
L’affermazione è del generale Piacentini. Ivi, Segretariato italiano della Conferen-
za, telegrammi del generale Piacentini, Roma-Parigi 22 Agosto 1919. Riportata anche
in P. ALATRI, op. cit., p. 139.
43
Cfr. I.J. LEDERER, op. cit., p. 129.
112
106 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

la futura stabilità continentale e al tempo stesso arginare


l’influenza italiana nell’Adriatico e nel suo retroterra: Parigi e
Londra sosterranno pertanto le rivendicazioni della Serbia e la
sua aspirazione a inglobare il Montenegro nella compagine ju-
goslava accettando la visione romantica di un’unione slavo-
meridionale a guida serba risultato di una lotta secolare per
l’indipendenza nazionale44.
Di conseguenza, quando durante la settimana che precede
l’inaugurazione della Conferenza della Pace il Consiglio Su-
premo degli Alleati si trova a dover decidere in merito alla ri-
chiesta di ammissione della delegazione montenegrina alla stes-
sa (13 gennaio 1919), questo si orienterà per un’ambigua solu-
zione di compromesso stabilendo che «il Montenegro sarà rap-
presentato da un solo delegato designato nel momento in cui la
situazione politica del Paese risulterà chiarita»45.
Il governo montenegrino in esilio protesta senza successo af-
finché il numero dei suoi delegati sia portato a due alla stregua
degli altri Stati che durante la guerra hanno combattuto per la
causa dell’Intesa e non di quelli che si sono limitati a interrom-
pere le relazioni diplomatiche con gli Imperi centrali. Tuttavia
la designazione stessa dell’unico delegato montenegrino non
avrà mai luogo. È dunque, quella montenegrina alla Conferenza
della Pace, una situazione poco chiara, che non scioglie il dub-
bio sull’effettivo ruolo riconosciuto al governo in esilio a Pari-
gi. È da notare che sul momento Grandi e Piccole Potenze, an-
che se riconosceranno il Regno SHS, non cesseranno al tempo
stesso dal riconoscere re Nikola come sovrano del Montenegro,
tanto che Italia, Francia e Gran Bretagna manterranno i propri

44
Si veda ad esempio il discorso di Aleksandar Karađorđević a Londra il 5 aprile
1916: Regent Aleksandar engleskim odličnicima, London . aprila 1916., in F. ŠIŠIĆ,
Dokumenti, pp. 61-62.
45
AUSSME, E-8, b. 88, fasc. 2, Note circulaire envoyée aux Grandes Puissances, le
Ministre des Affaires Etrangères p.i. Ministre de l’Instruction Publique Pierre Chotch,
Neuilly-Sur-Seine le 16 Janvier 1919. Si veda anche: La question de la représentation
du Monténégro a la Conférence de la Paix 1919 (Décision prise par le Conseil Suprême
en date du 13 janvier 1919), in Le rôle de la France dans l’annexion forcée du Monté-
négro (Documents officiels publiés par le Ministère des Affaires Etrangères du Monté-
négro), Imprimerie A. Manuce, Rome 1921, pp. 55-57.
L’unione con
IIii.. L’unione con ilil Montenegro
Montenegro 113
107

rappresentanti diplomatici presso il governo montenegrino a Pa-


rigi, così come il Montenegro manterrà in varie capitali i suoi
rappresentanti diplomatici e consolari46.
Nel febbraio del 1919 i rappresentanti montenegrini a
Neuilly sur Seine – il nuovo presidente del Consiglio e ministro
degli Affari Esteri Plamenac, che dopo aver guidato la rivolta
gode in Montenegro di autorità e considerazione, il ministro
della Giustizia Pero Šoć e il generale Anto Gvozdenović, mini-
stro plenipotenziario a Washington – nel tentativo di affermare
le proprie rivendicazioni si appellano ai principi di Wilson sul
diritto di autodeterminazione dei popoli e alle assicurazioni a-
vute tra il 1917 e il 1918 dal presidente americano, Clemenceau
e gli altri leader dell’Intesa in merito al sostegno alleato per il
ripristino dell’indipendenza montenegrina47.
Secondo la delegazione montenegrina Wilson, nel suo mes-
saggio del 10 gennaio 1917 ai governi alleati e agli Imperi cen-
trali, fra le altre condizioni di pace aveva indicato la restaura-
zione del Regno di Montenegro allo stesso titolo di quella di
Belgio e Serbia. Tale condizione era poi stata confermata dal
presidente americano a re Nikola in risposta a un dispaccio del
sovrano montenegrino del 4 luglio 1918 e avallata da analoghe
dichiarazioni dei governi delle altre Potenze alleate prima
dell’armistizio48. Del resto la garanzia alleata era la sola possi-
bilità rimasta a re Nikola. In una comunicazione ufficiale al go-
verno montenegrino in esilio del 22 ottobre 1918 Parigi aveva
assicurato che il contingente militare francese avrebbe agito a
garanzia della legittima autorità del sovrano montenegrino in

46
AUSSME, E-8, b. 88, fasc. 15, D.I.P.-S.M., Notizie militari-politiche sul Montene-
gro, Gennaio 1920, p. 9.
47
I.J. LEDERER, op. cit., p. 131.
48
AUSSME, E-8, b. 88, fasc. 15, D.I.P.-S.M., Frontiere del Montenegro, Restaura-
zione integrale del Montenegro, 1 Novembre 1919, p. 5. In risposta al messaggio di re
Nikola del 4 luglio 1918 Wilson scriveva: «Confido che Sua Maestà e il nobile ed eroi-
co popolo del Montenegro non saranno abbandonati, ma avranno fiducia nella determi-
nazione degli Stati Uniti a vedere – nella prossima vittoria finale – assicurati e ricono-
sciuti l’integrità e i diritti del Montenegro». Cit. in J.D. TREADWAY, Anglo-American
Diplomacy and the Montenegrin Question, 1914-1924, in Occasional Papers, Wood-
row Wilson Center, European Institute, East European Program, no. 26, April 1991, pp.
1-20 (pp. 4-5).
114
108 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

qualità di potere amministrativo a tutela e rispetto della sua so-


vranità, unica forma di potere costituito riconosciuta nel Pae-
se49. Ancora nella lettera del 4 novembre 1918 il ministro degli
Affari Esteri francese Stéphen Jean Marie Pichon, oltre a sco-
raggiare la volontà del sovrano montenegrino a tornare in pa-
tria, aveva rassicurato re Nikola che le truppe del generale
Franchet d’Espèrey avrebbero salvaguardato in ogni modo «il
rispetto dell’autorità costituzionale e della libertà del popolo
montenegrino»50. La lettera di Raymond Poincaré diretta al so-
vrano montenegrino il 24 novembre 1918 infine era prova per il
governo in esilio dell’intenzione del governo francese «di non
contrariare la volontà e le legittime aspirazioni montenegri-
ne»51.

2.4.1. I memorandum del governo montenegrino del 5 marzo


1919

Plamenac dal febbraio 1919 indirizza agli Alleati una serie di


note che rivendicano i diritti storici del Montenegro e denun-
ciano le “ingiustizie”, le “violenze”, gli “intrighi” e le “calun-
nie” serbe nei confronti della sovranità montenegrina. Non tra-

49
Communication du Gouvernement de la Republique Française au Gouvernement
du Monténégro, 22 Octobre 1918, in Le rôle de la France, p. 39.
50
Correspondance échangée entre sa Majesté le Roi de Monténégro et S. Exc. M.
Poincaré, Président de la République et le Gouvernement français, 1) Lettre de S. Exc.
M. Pichon, Ministre des Affaires Étrangères de la République Française, adressée à
S.M. le Roi de Monténégro, le 4 Novembre 1918, ivi, p. 40.
51
2) Lettre de S. Exc. M. Poincaré, Président de la République Française, adressée à
S.M. le Roi de Monténégro, le 24 novembre 1918, ivi, p. 41. Si veda anche J.D.
TREADWAY, Anglo-American Diplomacy and the Montenegrin Question, p. 6. La lettera
di Pichon giungeva in risposta alla rinnovata richiesta di re Nikola al governo francese
di poter partire per il Montenegro. Il sovrano montenegrino intendeva con la sua pre-
senza impedire la propaganda anti-dinastica svolta in patria dai filo-serbi. Il governo
francese, tuttavia, continuava a dimostrarsi profondamente contrario al suo ritorno in
Montenegro al punto da minacciare l’interruzione delle relazioni diplomatiche con il
governo montenegrino in esilio qualora egli avesse lasciato il territorio francese senza
l’autorizzazione di Parigi. A sua volta l’Italia, intenzionata a mantenere buoni rapporti
con la Francia, ammoniva re Nikola che qualora con le sue azioni avesse compromesso
le relazioni italo-francesi, avrebbe perso anche il sostegno italiano. DDI, Sesta serie,
vol. I, docc. 256 e 400.
L’unione con
IIii.. L’unione con ilil Montenegro
Montenegro 115
109

lasciando di ricordare il “sacrificio” montenegrino durante la


guerra il leader del governo in esilio chiede: 1) che alla Confe-
renza della Pace siano accreditati due delegati montenegrini; 2)
che il territorio montenegrino sia interamente evacuato dalle au-
torità militari e civili, nonché dalle organizzazioni amministra-
tive, giudiziarie, finanziarie e di polizia serbe o “sedicenti jugo-
slave”; 3) che dopo la loro evacuazione l’ordine pubblico sia
assicurato da truppe inglesi e americane; 4) che in Montenegro
siano inviati gli organi esecutivi della sovranità dello Stato (re,
governo, personalità militari e civili all’estero); 5) che il popolo
montenegrino, secondo disposizioni costituzionali, sia invitato a
partecipare a elezioni politiche – a suffragio universale e diretto
– per la nomina di un parlamento che offra garanzie di vera
rappresentanza del Paese; 6) che allo stesso tempo una commis-
sione di rappresentanti inglesi e americani assicuri il regolare
svolgimento delle elezioni e verifichi le circostanze sociali e
politiche del Montenegro riferendo alle Grandi Potenze52.
Il 5 marzo una delegazione montenegrina è ricevuta dal
Consiglio Supremo degli Alleati dinanzi al quale oltre a chiede-
re la restaurazione integrale del Montenegro quale regno al pari
di Serbia e Belgio rivendica le Bocche di Cattaro e – con ben
poco senso della reale situazione che il Montenegro sta attra-
versando o forse proprio nel rifiuto di essa – l’annessione
dell’Erzegovina e di Scutari con le regioni adiacenti53. I monte-
negrini presentano al Consiglio Supremo un’ampia relazione
firmata da Plamenac, Le Monténégro devant la Conférence de
la Paix, divisa in tre parti. La prima, dal titolo “La situazione
attuale del Montenegro”, riporta le promesse alleate al Monte-
negro durante la guerra, giustifica i pretesi tentativi di rivolu-
zione durante il natale ortodosso, affronta la questione della
rappresentanza del Montenegro alla Conferenza della Pace e
critica la richiesta della delegazione jugoslava intesa a ottenere
in Montenegro un plebiscito da effettuarsi sotto il regime ser-
52
AUSSME, E-8, b. 88, fasc. 2, Note collective envoyée aux Grandes Puissances,
Neuilly sur Seine, Plamenatz, le 22 février 1919; ivi, Note envoyée aux premiers délé-
gués de la Conférence de la Paix, Neuilly sur Seine, Plamenatz, le 12 mai 1919.
53
Ivi, fasc. 15, Frontiere del Montenegro, 1 novembre 1919, Premessa, p. 4.
116
110 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

bo54. La seconda parte, “Il ruolo del Montenegro nella guerra


mondiale”, descrive, tra l’altro, l’impegno del Montenegro nel
conflitto e i motivi della sua scesa in campo, lo sforzo bellico a
sostegno della Serbia e degli Alleati, le cause della catastrofe e
le ragioni che costrinsero il Montenegro a chiedere la pace nel
gennaio 191655. La terza, infine, “Le rivendicazioni territoriali
del Montenegro”, sostiene le aspirazioni montenegrine su Erze-
govina, Bocche di Cattaro e Scutari e dintorni56.
Tali rivendicazioni territoriali coprono principalmente le re-
gioni che costituivano l’antico ducato di Zeta (a eccezione del
bacino del fiume Mat), in altri termini parte della provincia
dell’Erzegovina; la regione delle Bocche di Cattaro compresa
fra Cavtat e la baia di Antivari e protesa a nord sino all’antico
confine montenegrino; e Scutari e la regione adiacente limitata
a nord-ovest dal mare e dal confine montenegrino del 1914 e a
sud-est da una linea spartiacque fra il bacino del Drin e quello
del Mat57. Si tratta sostanzialmente di una riproposizione più
moderata di quelle che erano state le rivendicazioni territoriali
massime avanzate da re Nikola all’Intesa nel corso degli anni di

54
Ivi, Le Monténégro devant la Conférence de la Paix. I – La situation actuelle du
Monténégro: 1- Les promesses solennelles des Alliés envers le Monténégro; 2- La situa-
tion au Monténégro est claire. Il n’y eut aucune révolution, mais la Serbie essaye
d’abolir la souveraineté du Monténégro par le fait de guerre; 3- La question de la re-
présentation du Monténégro à la Conférence de la Paix; 4- Une demande injustifiée de
la délégation Serbe à la Conférence de la Paix. Tendance d’imposer le plébiscite au
Monténégro, come s’il ne s’agissait pas d’un Etat souverain et indépendant dont
l’origine remonte à une date plus ancienne que celle de la Serbie. Yovan S. Plamenatz,
Paris 5 Mars 1919.
55
Ivi, II – Le role du Monténégro dans la guerre mondiale: 1) Comment et pourquoi
le Monténégro est entré en guerrre; 2) Ce que le Monténégro a fait dans cette guerre
pour la Serbie et pour la cause commune des Alliés; 3) Ce que les Alliés ont fait pour le
Monténégro au cours des années 1914-1915; 4) Pourquoi et comment le Monténégro
fut à cette époque abandonné par les Alliés; 5) Pourquoi devait survenir la catastrophe
du Monténégro et comment il fut forcé à demander la paix en Janvier 1916. Yovan S.
Plamenatz, Paris 5 Mars 1919.
56
Ivi, III Revendications territoriales du Monténégro: 1) L’Herzégovine et les Bou-
ches de Cattaro; 2) Scutari et environs. Yovan S. Plamenatz, Paris 5 Mars 1919. Sui
memorandum montenegrini del 5 marzo 1919 si veda anche D.R. ŽIVOJINOVIĆ, Pitanje
Crne Gore i mirovna konferencija 1919. godine, in Istorija XX veka, XIV-XV, 1982.
57
AUSSME, E-8, b. 88, fasc. 15, Frontiere del Montenegro, Rivendicazioni territo-
riali, 1 novembre 1919, p. 6.
L’unione con
IIii.. L’unione con ilil Montenegro
Montenegro 117
111

guerra. I memorandum presentati da Plamenac infatti non men-


zionano più Dubrovnik, la valle della Neretva e la costa adriati-
ca dalla sorgente della Neretva a quella del Drin in precedenza
rivendicati dal sovrano montenegrino58.

2.4.2. La rivendicazione di Scutari

Le aspirazioni montenegrine su Scutari e dintorni meritano par-


ticolare attenzione: 1) perché si legano come nel resto
dell’Adriatico alla disputa italo-francese; 2) perché le rivendi-
cazioni montenegrine sono riprese e fatte proprie dalla delega-
zione SHS alla Conferenza della Pace.
Alla fine del 1918 sull’intero territorio albanese sono
presenti in varia misura e con diversi obiettivi italiani, francesi,
greci, serbi e montenegrini. La Francia propone
l’internazionalizzazione di Scutari e dell’area circostante se-
condo gli italiani per diminuire la loro influenza nella regione59.
I francesi rimandano a quanto stabilito per l’occupazione di
Scutari del 1913 (amministrazione internazionale) e al
colloquio del 20 novembre 1918 tra Orlando, Sonnino e
l’ambasciatore francese Barrère, in cui è stata concordata
l’occupazione internazionale di Scutari da parte di truppe
italiane, inglesi e francesi al comando di Franchet d’Espèrey60.
Appurata la necessità di un compromesso con i francesi la
soluzione dell’occupazione internazionale di Scutari in quel

58
Cfr. D.R. ŽIVOJINOVIĆ, King Nikola and the Territorial Expansion of Montengro,
p. 366.
59
AUSSME, E-8, b. 88, fasc. 15, D.I.P.-S.M., Questione di Scutari, Premessa, Parigi
26 marzo 1919; ivi, Notizie militari-politiche sul Montenegro, Gennaio 1920, Il Monte-
negro e il Consiglio Supremo degli Alleati, pp. 18-19. Nel 1918 l’offensiva alleata in
Macedonia non solo ha permesso la rioccupazione di Serbia e Montenegro ma anche
l’arrivo delle truppe italiane a Scutari. Qui gli italiani trovano i reparti serbi giunti in
città pochi istanti prima: le autorità italiane invitano quelle serbe a sgomberare la città,
poiché compresa nel territorio albanese posto sotto la loro giurisdizione, ma i serbi si ri-
fiutano. Dal dissidio nasce tra gli Alleati la cosiddetta “questione di Scutari”. Ivi, fasc.
5, Scutari e Antivari, occupazioni interalleate in Montenegro, 1919, D.I.P.-S.M., Que-
stioni di Scutari e di Antivari, f.to il brigadiere generale Cavallero, 30 giugno 1919.
60
DDI, Sesta serie, vol. I, doc. 250.
118
112 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

momento rimane per gli italiani la maggiore garanzia in funzio-


ne anti-serba. L’intento del governo francese – afferma la
sezione militare della delegazione italiana alla Conferenza di
Pace – sarebbe invece quello di utilizzare il pretesto di un
regime internazionale sul modello di quello del 1913 per
assicurarsi il controllo della città. La volontà di estendere tale
“regime” per dieci km di raggio intorno a Scutari sarebbe per
gli italiani la dimostrazione evidente di come i francesi
intendano ripartire il territorio in modo tale da includere nel
settore francese località già controllate dai loro presidi.
Quando nel dicembre 1918 Scutari passa sotto
l’occupazione congiunta delle truppe interalleate italiane
(maggiore Molinero), francesi (generale De Fortou) e
britanniche (generale Philips), la sezione militare della delega-
zione italiana denuncia come il generale De Fourtou (già pro-
penso a cedere agli jugoslavi i piroscafi della Compagnia di
Antivari), essendo l’ufficiale più elevato in grado, ne approfitti
fin dall’inizio per esercitare funzioni di governo ed estendere la
propria giurisdizione occupando i presidi italiani all’origine del-
la Bojana e spingendosi senza alcuna autorizzazione sino a O-
boti e lungo la Bojana stessa, con il pretesto di istaurare un pre-
sidio che sorvegli e protegga i rifornimenti francesi lungo la via
fluviale. Gli italiani sospettano che in tale programma di espan-
sione De Fortou sia sostenuto dallo stesso Franchet d’Espèrey,
il quale, richiamandosi al regime del 1913, vorrebbe mantenere
l’occupazione di Oboti ed estendere quella di Scutari in modo
da includervi località circostanti già occupate da truppe italiane,
che in una nuova suddivisione di zona avrebbero visto subentra-
re le truppe francesi. Secondo la sezione militare italiana
l’azione francese ostile all’Italia si verificherebbe anche nella
regione di Prekali, ove il capitano della polizia francese Billes
svolgerebbe propaganda italo-foba tale da determinare le ener-
giche proteste del generale Piacentini, comandante le truppe ita-
liane, a Franchet d’Espèrey.61

61
AUSSME, E-8, b. 88, fasc. 5, D.I.P.-S.M., Le occupazioni interalleate in Montene-
gro, Questioni di Scutari e di Antivari, f.to generale Cavallero, 30 giugno 1919, pp. 2-3.
L’unione con
IIii.. L’unione con ilil Montenegro
Montenegro 119
113

I rapporti italo-francesi anche a Scutari non sembrano dun-


que diversi da quelli in territorio montenegrino e Roma accusa
Parigi di voler creare anche nel nord dell’Albania uno stato di
fatto favorevole alle aspirazioni jugoslave, che non si distanzia-
no di molto da quelle inutilmente avanzate dal Montenegro.
Nel rivendicare Scutari e le regioni adiacenti il memoriale
montenegrino ricorda come la città fosse stata liberata dalla
dominazione ottomana dai montenegrini nel 1913 dopo un
assedio durato sei mesi. L’Austria aveva riconosciuto i diritti
montenegrini sulla città in cambio della neutralizzazione del
Lovćen ma la proposta era stata rifiutata. Le Grandi Potenze,
sempre su proposta austriaca, avevano allora esercitato
pressioni sul governo montenegrino per l’abbandono di Scutari,
occupando la città con la “squadra” internazionale presente
nelle acque limitrofe: i comandanti delle marine di Austria,
Italia e Francia, lì presenti, si accordavano così per la
costituzione di un’amministrazione civile provvisoria, che
aveva suscitato le proteste di re Nikola rivolte a sir Grey (30
aprile 1913)62. Nel giugno del 1915 – prosegue il memoriale –
l’esercito montenegrino aveva occupato nuovamente Scutari e
spinto la propria occupazione fino al Drin, iniziativa che aveva
contribuito in modo decisivo a discreditare re Nikola dinanzi gli
Alleati, che avevano addirittura sospettato che l’operazione
fosse stata svolta in accordo con gli austriaci63.

62
Ivi, fasc. 15, Le Monténégro devant la Conférence de la Paix. III Revendications
territoriales du Monténégro: 2) Scutari et environs, Yovan S. Plamenatz, Paris 5 Mars
1919, p. 10. Si veda anche A. GIANNINI, L’Albania dall’indipendenza all’unione con
l’Italia (1913-1939), Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, Milano 1939, pp.
49-51; J.D. TREADWAY, The Falcon and the Eagle, pp. 151-157.
63
La stessa diplomazia italiana era stata determinata nell’opporsi all’espansionismo
montenegrino verso l’Albania settentrionale e Scutari in particolare. Quando le truppe
di re Nikola erano entrate a Scutari l’Italia aveva sospeso ogni collaborazione con il
Montenegro. Il governo italiano in realtà era restio anche nei confronti delle altre riven-
dicazioni territoriali montenegrine. Già nel marzo del 1915 Sonnino, convinto della
prossima unificazione di Serbia e Montenegro, riconosceva i diritti della prima sulla
Bosnia, su Dubrovnik, Kotor, Bar e persino Medua (solamente l’entroterra – Sonnino
presumibilmente si riferiva all’Erzegovina – sarebbe stato spartito tra i due regni unifi-
cati). Il ministro degli Esteri italiano aveva considerato l’eventualità di concessioni al
Montenegro nella regione di Scutari solamente nel marzo 1917, quando si era iniziata a
120
114 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

Proprio il territorio compreso tra il fiume Drin e la frontiera


montenegrina costituisce ora l’oggetto delle rivendicazioni
montenegrine. Il memoriale rivendica Scutari quale culla
dell’antico ducato di Zeta, “città mai albanese”, dalle cui
vicende traeva argomento la migliore poesia popolare del
Montenegro64. Geograficamente il lago di Scutari rappresentava
il collettore delle acque montenegrine che la Bojana portava al
mare. Il corso della Bojana che attraversava Scutari era dunque
la via naturale che dall’interno del Montenegro conduceva
all’Adriatico. Nel memoriale i montenegrini affermano che
«Scutari sta al Montenegro come la porta sta alla casa». Le
ragioni geografiche spiegherebbero sufficientemente quelle
strategiche: tutti i grandi attacchi turchi contro il Montenegro
erano partiti da Scutari. Secondo i montenegrini quando Scutari
era caduta sotto la dominazione turca una parte della
popolazione aveva accettato la religione musulmana e un’altra
parte era emigrata preferendo la montagna e la libertà al giogo
ottomano. Ne era conseguito che il cambiamento di religione
degli uni, l’emigrazione degli altri e il successivo arrivo di
albanesi avessero tolto a Scutari un’appariscente caratteristica
di nazionalità montenegrina, ma le abitudini familiari degli
stessi “presunti” albanesi, i nomi di località e di fiumi, i vincoli
di parentela con la popolazione del Montenegro – afferma il
memoriale montenegrino – dimostravano come le
caratteristiche albanesi della città, centro del ducato
montenegrino medioevale, non fossero che un “prodotto
d’importazione”. Il memoriale montenegrino prosegue poi
affermando come l’importanza economica di Scutari per il
Montenegro sia una naturale conseguenza della ragione
geografica: la potenza del ducato di Zeta era fondata su Scutari

profilare la possibilità di un protettorato italiano in Albania. Si veda D.R. ŽIVOJINOVIĆ,


King Nikola and the Territorial Expansion of Montengro, pp. 357-360.
64
Gli albanesi rivendicano Scutari e dintorni in forza del carattere etnico che affer-
mano essere puramente albanese. I montenegrini aspirano invece a realizzare il progetto
di linea danubiano-adriatica attraverso una diramazione della linea Belgrado-Salonicco
lungo la valle del Drin. AUSSME, E-8, b. 88, fasc. 5, Scutari e Antivari, occupazioni
interalleate in Montenegro, 1919, D.I.P.-S.M., Questioni di Scutari e di Antivari, f.to il
brigadiere generale Cavallero, 30 giugno 1919.
L’unione con
IIii.. L’unione con ilil Montenegro
Montenegro 121
115

senza la quale il Montenegro si era irrimediabilmente impoveri-


to. Scutari albanese sarebbe rimasta alla periferia dell’Albania,
Scutari montenegrina sarebbe diventata rapidamente una delle
più importanti città dei Balcani. I montenegrini riassumevano
l’importanza di Scutari per il loro Paese con l’affermazione
«chi avrà Scutari prenda anche Cettigne»65.
Contro le aspirazioni montenegrine vi sono quelle del pro-
gramma massimo albanese che si spinge a rivendicare il
territorio fino a Podgorica e alle alte valli del Lim e dell’Ibar 66.
Ma soprattutto non considerando il Montenegro Stato sovrano
ma semplice provincia meridionale del Regno SHS il Consiglio
Supremo degli Alleati tende a far coincidere le aspirazioni
montenegrine su Scutari con quelle jugoslave ritenendo che le
concessioni al Regno SHS possano soddisfare anche le
necessità economiche e le rivendicazioni prospettate dal
governo montenegrino in esilio.
Trumbić in realtà preferirebbe un’Albania indipendente nei
confini del 1913 con governo autonomo e senza mandato affi-
dato all’Italia – un grave pericolo assolutamente da scongiura-
re67. Un’Albania unita e pienamente indipendente offrirebbe al

65
Ivi, fasc. 15, Le Monténégro devant la Conférence de la Paix. III Revendications
territoriales du Monténégro: 2) Scutari et environs, Yovan S. Plamenatz, Paris 5 Mars
1919, pp.11-15.
66
Ivi, D.I.P.-S.M., Questione di Scutari, Precedenti, Parigi 26 marzo 1919; ivi, Fron-
tiere del Montenegro, Rivendicazioni territoriali, Scutari e le regioni adiacenti, pp. 7-8;
ivi, D.I.P.-S.M., Notizie militari-politiche sul Montenegro, Gennaio 1920, pp. 16-17.
67
In questo senso le posizioni della delegazione jugoslava a Parigi sposano le riven-
dicazioni della delegazione albanese (programma moderato), che spinge per un nuovo e
formale riconoscimento dell’Albania quale Stato de iure nei confini del 1913. Il memo-
riale relativo alla questione albanese presentato dagli jugoslavi alla Conferenza della
Pace è brevissimo (una sola pagina) e afferma che la delegazione jugoslava «considera
che l’interesse generale, la pace e la tranquillità della penisola balcanica esigono che il
territorio albanese, quale è delimitato alla Conferenza di Londra, formi uno Stato indi-
pendente, conformemente allo spirito delle decisioni di detta Conferenza. Una tale solu-
zione metterebbe le tribù albanesi in grado di lavorare da sé alla formazione del loro
Stato, e sarebbe d’accordo col principio ‘i Balcani ai popoli balcanici’, principio che è
la base essenziale della tranquillità e dello sviluppo pacifico dei popoli balcanici […].
Nondimeno, nel caso che la Conferenza consideri di non poter applicare in questa mate-
ria le decisioni prese nel 1913 a Londra e fosse disposta a riconoscere a uno Stato stra-
niero un diritto di occupazione o di protettorato sulla totalità o su una parte di detto ter-
ritorio, noi dobbiamo dichiarare di riservarci il diritto di salvaguardare i nostri interessi
122
116 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

Regno SHS le migliori garanzie contro un eventuale protettora-


to italiano, ma dal momento che la presenza sul territorio alba-
nese degli attori internazionali – soprattutto degli italiani a Va-
lona – così come le pretese greche non rendono assolutamente
scontato il riconoscimento dell’integrità territoriale e
dell’indipendenza albanese a Parigi, il Regno SHS è pronto a
rivendicare l’attribuzione di Scutari e dei paesi del Drin68. La
città albanese è reclamata in virtù della tradizione storica che la
vedeva capitale del regno serbo medievale, in ragione dei
“torrenti di sangue” per essa versati dalla nazione jugoslava
durante le Guerre balcaniche, ma soprattutto per l’importanza
economica costituita dall’Albania settentrionale. Area di diretto
accesso al mare che sarebbe stata congiunta alla Serbia centrale
dalla ferrovia danubiano-adriatica, quella del lago di Scutari e
della Bojana rappresentava una regione essenziale per il
commercio e l’agricoltura montenegrina così come per la
sicurezza nazionale dello Stato jugoslavo. Trumbić chiede
pertanto che le frontiere del Regno SHS siano rettificate parten-
do dal lago di Ohrid fino alla catena montuosa delimitata dal
Drin Nero a nord di Dibra e sul versante adriatico la riva destra
della Bojana includendo nelle frontiere montenegrine e dunque
sotto sovranità SHS le tribù dei Klementi e dei Kastrati69. Gli
jugoslavi sono pronti a riconoscere all’Italia Valona secondo il
Patto di Londra purché l’Albania settentrionale sia assegnata al
Regno SHS70.

vitali in queste contrade, consacrati da tredici secoli di vicinato e di vita comune con le
tribù albanesi, rivendicando gli stessi privilegi pel nostro Stato». Cit. in A. GIANNINI,
L’Albania dall’indipendenza all’unione con l’Italia, pp. 53-54.
68
AUSSME, E-8, b. 81, fasc.1, La questione territoriale e di confine jugoslava 1919-
1920, Délégation du Royaume des Serbes, Croates et Slovènes à la Conférence de la
Paix, n. 4229, signé: Pachitch, Paris le 25 Octobre 1919 (copia del segretariato italiano).
69
Documents On British Foreign Policy (DBFP), 1919-1939, First Series, Vol. II
1919, No. 67. Si veda anche A. GIANNINI, L’Albania dall’indipendenza all’unione con
l’Italia, p. 84. Tra l’estate e l’autunno del 1919 la delegazione jugoslava indirizza alla
Conferenza della Pace comunicazioni in cui è affermato che le tribù dei Klementi e dei
Kastrati – in territorio sotto occupazione serbo-jugoslava – avrebbero espresso tramite
petizioni la volontà di unione con il Regno SHS. Si vedano documenti in AUSSME, E-
8, b. 81, fasc.1.
70
A. GIANNINI, L’Albania dall’indipendenza all’unione con l’Italia, p. 86.
L’unione con
IIii.. L’unione con ilil Montenegro
Montenegro 123
117

Sostanzialmente Trumbić nel rivendicare Scutari al Regno


SHS avanza le stesse ragioni del memoriale di Plamenac del 5
marzo allargando però le rivendicazioni jugoslave all’intera Al-
bania del nord e parte di quella centrale arrivando fino alla
Voiussa71. Tale tendenza risulta dal memoriale ufficioso The
Question of Scutari presentato alla Conferenza della Pace il 14
aprile 1919 dai deputati montenegrini all’assemblea nazionale
del Regno SHS Andrija Radović, Radovan Bošković e Ivo
Voukotić, che rivendicano al Montenegro, in quanto parte
integrante del neo-costituito Stato jugoslavo, l’intera regione
scutarina72. Il lago di Scutari – sostiene il memoriale – costitui-
sce lo sbocco naturale per gran parte dei fiumi del Montenegro,
che di lì giungono all’Adriatico tramite la Bojana. Il memoriale
insiste sulle origini etniche serbe del popolo montenegrino
definendo l’antica Dioclea «il secondo centro indipendente del
popolo serbo» con Scutari quale città principale. «Da
quell’epoca Scutari era sempre stata considerata uno dei centri
dello Stato serbo», nel ducato di Zeta prima, nel regno
medievale dei Nemanjić poi. Le rovine dei monasteri e delle
chiese su entrambi i lati della Bojana – sostiene il memoriale
dei deputati SHS montenegrini – ne costituirebbero la miglior
prova. Se si escludono i riferimenti storici alla tradizione serba
per il resto anche questo memoriale riprende fedelmente le
motivazioni di quello montenegrino del 5 marzo insistendo
sulle medesime ragioni etno-storiche, culturali, politiche ed
economiche. Il confine stabilito lì dove il Drin Bianco e il Drin
Nero si incontrano (regione di Luma/Lüme, occupata dalle
truppe serbo-jugoslave) fino alla foce nell’Adriatico avrebbe
garantito «una durevole amicizia tra lo Stato serbo-croato-

71
Ivi, p. 53.
72
La richiesta di Pašić di accogliere Radović e i suoi accoliti alla Conferenza della
Pace per parlare in nome del popolo montenegrino provoca le proteste ufficiali del go-
verno in esilio. AUSSME, E-8, b. 88, fasc. 2, Note circulaire envoyée aux premiers dé-
légués des Grandes Puissances de la Conférence de la Paix, Protestation contre la de-
mande de Pachitch pour l’admission de Radovitch à la Conférence de la Paix, Plame-
natz, 22.IV.1919.
124
118 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

sloveno e l’Albania». Il memoriale concludeva: «Questo è il


punto di vista dei montenegrini, questi sono i suoi desideri»73.

2.4.3. Il memorandum Popović e la mémoire Plamenac

I tre memoriali rimessi al Consiglio Supremo degli Alleati il 5


marzo 1919 costituiscono la base delle richieste montenegrine
alla Conferenza della Pace in rappresentanza del governo in
esilio e di re Nikola. Nei due mesi successivi i montenegrini
continueranno a insistere sulle aspirazioni del Paese
all’indipendenza e sul riconoscimento in seno alla Conferenza
della Pace dei propri rappresentanti. Il 21 maggio Vladimir
Popović, presidente del Comitato dei Rifugiati Montenegrini a
Parigi, presenta un memorandum a Clemenceau seguito il 25
agosto da un nuovo memoriale di Plamenac indirizzato a
Wilson. Entrambi sviluppano in forma e misura diverse la
difesa dell’onore del Montenegro, del suo diritto alla vita e
delle sue aspirazioni, e insistono contro l’occupazione del Paese
da parte delle truppe serbe definita “arbitraria e violenta”.
Popović e Plamenac, oltre a condannare il “terrore” esercitato
dalle autorità serbe in Montenegro, non possono non

73
A. RADOVITCH, R. BOSHKOVITCH, I. VOUKOTITCH, The Question of Scutari, Paris,
April 14, 1919. Si veda anche A. GIANNINI, L’Albania dall’indipendenza all’unione con
l’Italia, pp. 54-56. Nel dicembre del 1920 l’Albania sarà ammessa alla Società delle
Nazioni ancora prima di un riconoscimento de iure, che avverrà solamente con la defi-
nizione delle frontiere di Stato. I rapporti con il Regno SHS rimarranno tesi a causa del
persistere dell’occupazione dei territori albanesi del nord, l’apice della crisi si avrà nella
seconda metà del 1921 quando la rivolta dei Mirditi sarà sostenuta dagli jugoslavi che
cercheranno di estendere il controllo sui territori albanesi attraverso l’organizzazione di
bande che agiscono oltre la linea di occupazione stabilita dall’armistizio. L’obiettivo di
Belgrado, che ha ormai rinunciato alle pretese territoriali verso il vicino albanese, sarà
assicurarsi in ogni caso una frontiera strategica, dunque un aggiustamento dei confini
del 1913, che sono confermati nel settembre del 1921 dalla Conferenza degli Ambascia-
tori (negli anni che seguono la commissione di delimitazione dei confini greco-
jugoslavo-albanese provvederà a definire la frontiera nella regione del Vermosh e dei
laghi di Ohrid e Prespa, dove rimangono da risolvere alcune controversie quali
l’assegnazione del santuario di San Naum, lasciato infine in territorio jugoslavo). Sola-
mente nel luglio del 1926 si potrà procedere a Firenze alla firma del protocollo finale di
frontiera.
L’unione con
IIii.. L’unione con ilil Montenegro
Montenegro 125
119

condannare le posizioni delle Grandi Potenze, che sembrano


ignorare del tutto le aspirazioni montenegrine.
Pur nel tentativo di essere una protesta cortese, causa
l’ospitalità offerta dalla Francia ai rifugiati, alla corte di re
Nikola e al governo in esilio, il memorandum Popović non può
non ricordare la “sofferenza” dei montenegrini per l’attitudine
“ostile” del governo francese, favorevole alla “brutale”
annessione serba del Montenegro. Il memorandum condanna gli
“intrighi” e le “trame” serbe attraverso la creazione da parte di
Pašić e Vesnić del Comitato Montenegrino per l’Unificazione
Nazionale – i cui membri sono a loro volta ospitati e sostenuti a
Parigi – per nulla interessati a una reale unione nazionale serbo-
montenegrina ma alla «calunnia, il disonore e la soppressione
totale del Montenegro»; offese e calunnie favorite tra l’altro
dalla censura francese, solidale con l’annessionismo serbo fin
dai tempi della guerra. Alla guerra fa riferimento buona parte
del memorandum, a come il sacrificio del Montenegro per la
causa comune alleata sia stato vano e indegnamente
ricompensato alla Conferenza della Pace, che frustra
ingiustamente le aspirazioni all’indipendenza dei montenegrini.
Popović accusa apertamente il governo francese di essere
complice della violenza che la Serbia sta commettendo nei
confronti del Montenegro74.
Anche Plamenac usa toni accusatori non dissimili da quelli
di Popović nei confronti della Serbia e delle Grandi Potenze che
le hanno consentito l’occupazione del territorio montenegrino
esponendo al presidente americano diritti storici e aspirazioni
del Montenegro per la sopravvivenza dello Stato indipendente.
Plamenac asserisce che le “calunnie” e gli “intrighi” tramati
dalla Serbia sono riusciti a escludere i delegati montenegrini
dalla Conferenza della Pace e a diffamare re Nikola
nell’ambiente internazionale, in modo da legittimare le pretese
dei Karađorđević sul regno montenegrino. La Serbia in tal
74
AUSSME, E-8, b. 88, fasc. 1, Conferenza della Pace, Le rivendicazioni del Monte-
negro, 1919, Memorandum Adressé à S.Ex. M. Clemenceau, Président du Gouverne-
ment francais, par le Comité des Réfugiés Monténégrins, à Paris, Le Presidente Vladi-
mir G. Popovitch, Neuilly-sur-Seine, le 18 mai 1919.
126
120 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

modo è riuscita a screditare la giusta causa dei montenegrini


che lottano «per l’idea secolare dell’onore, dell’indipendenza e
della libertà del proprio Stato», accreditando presso le Grandi
Potenze l’immagine di un Montenegro illiberale e
antidemocratico la cui unica ragione di esistenza sarebbe l’esser
“proprietà” dei Petrović-Njegoš. Il piano attuato dalla Serbia
contro l’esistenza del Montenegro, secondo Plamenac «il più
immorale che la Storia del mondo civilizzato abbia mai
registrato», sarebbe consistito in: 1) privare il Montenegro del
sostegno durante l’azione militare affinché ne fossero annullati
i compensi territoriali; 2) vietare la menzione di alcuni
documenti dello Stato Maggiore serbo che attestavano la
riconoscenza dell’esercito serbo verso quello montenegrino e re
Nikola; 3) rendere impossibile al Montenegro – in seguito alla
sconfitta per mano austro-ungarica – di riunire i suoi
combattenti in unità nazionali imponendo la loro dispersione
nelle armate alleate e soprattutto attirarli sotto la bandiera serba
in modo che le truppe serbe potessero successivamente entrare
in Montenegro senza incontrare resistenza; 4) rifiutare al
Montenegro i prestiti e gli aiuti facilmente concessi a Serbia e
Belgio per demolirne l’organizzazione amministrativa e politica
e impedirne la restaurazione statale; 5) vietare al legittimo
potere esecutivo dello Stato montenegrino, vale a dire al re e al
suo governo, il ritorno in patria prima dell’occupazione serba e
dell’annientamento della vita politica del Paese attraverso la
violenza e la corruzione; 6) portare le Grandi Potenze ad
applicare al popolo montenegrino il principio
dell’autodeterminazione politica attraverso il plebiscito e il
negoziato considerando i montenegrini tra i popoli ancora non
in grado di avere uno Stato indipendente e di fatto approvando
la falsificazione della volontà popolare da parte delle truppe
serbe; 7) impedire infine al governo montenegrino di avere suoi
delegati alla Conferenza della Pace per occuparsi del proprio
Paese. Il Montenegro in definitiva, ancora prima
dell’occupazione serba, era stato condannato a scomparire sotto
L’unione con
IIii.. L’unione con ilil Montenegro
Montenegro 127
121

la protezione del governo di Belgrado, nonostante fosse


«incontestabilmente il fondatore dello Stato serbo originario»75.
La delegazione jugoslava a Parigi provvederà anch’essa alla
pubblicazione nell’arco del 1919 di una serie di memoriali e
pubblicistica finalizzati ad avanzare e veder riconosciuti i
propri diritti storici sul Montenegro. Ad aprile sono ancora
Andrija Radović, Radovan Bošković e Ivo Voukotić, deputati
montenegrini all’assemblea nazionale del Regno SHS, a presen-
tare – insieme al menzionato The Question of Scutari – La
Question du Monténégro, un memorandum che accusa re
Nikola di aver sostenuto “tendenze politiche separatiste” atte a
voler mantenere salda la propria sovranità a discapito di un
processo di unificazione alla Serbia voluto e cercato dal popolo
montenegrino, dalla sua Skupština e dalla stessa dinastia
Petrović-Njegoš – almeno fino all’avvento di Nikola al potere
nel 1860 – come principale obiettivo politico nazionale. Il testo
accusa re Nikola di aver tradito la causa dell’Intesa e di essere il
vero responsabile della disfatta montenegrina del 1915,
avvenuta con la cessione concordata del Lovćen agli austriaci in
cambio di una pace separata con l’Austria-Ungheria che
avrebbe previsto, oltre a una cospicua retribuzione di milioni di
franchi da parte della Deutsche Bank, l’insediamento della
dinastia Petrović-Njegoš sul trono di Serbia una volta che la
guerra fosse stata vinta dagli Imperi centrali76. Nella capitale
francese è pubblicato anche uno dei primi resoconti degli eventi
svoltisi in Montenegro dal novembre del 1918, Crna Gora i
Srbija, redatto da Janko Spasojević – ex ministro della Giustizia
tra i fondatori del Comitato Montenegrino per l’Unificazione
Nazionale e gli organizzatori dell’Assemblea di Podgorica e
membro della delegazione jugoslava alla Conferenza della Pace
– e edito dalla sezione parigina dell’Ufficio delle Pubbliche
Relazioni del Ministero per gli Affari Esteri jugoslavo

75
Ivi, Mémoire adressé au Président de la République des États-Unis d’Amérique du
Nord, M. Woodrow Wilson, par Yovan S. Plamenatz, Président du Conseil des Mini-
stres du Monténégro, Y.S. Plamenatz, Neuilly-sur-Seine, le 25 Aoùt 1919.
76
Ivi, fasc. 9, La Question du Monténégro présentée par A. Radovitch, R. Bochko-
vitch et I. Voukotitch, Paris 1919.
128
122 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

(Informativna Služba Ministarstva Inostranih Dela). Il testo è


espressamente rivolto all’opinione pubblica internazionale in un
momento in cui – è stato più volte detto – i confini dello Stato
jugoslavo e dell’intero continente europeo sono ancora in fase
di definizione. Spasojević, autore tra l’altro di altri libelli simili
come Le Roi Nicolas et l’union du Monténégro avec la Serbie
(Geneve, Edition du Journal La Serbie, 1918) e La Question de
Scutari (1919), in Crna Gora i Srbija definisce la risoluzione
dell’Assemblea di Podgorica come l’espressione legittima della
volontà montenegrina di unione alla Serbia e sminuisce
decisamente l’insurrezione del natale ortodosso del 1919.
L’autore insiste su una visione romantica dell’unione degli slavi
del sud biasimando re Nikola per la capitolazione montenegrina
del 1915 e descrivendo la dinastia Petrović-Njegoš come
l’unica forza reazionaria che si oppone a un’unione al contrario
largamente condivisa e voluta dalla popolazione77. Come La
Question du Monténégro di Radović e soci anche il testo di
Spasojević tende a screditare la controparte montenegrina
riportando la serie di accuse sostenute dalla delegazione
jugoslava a Parigi e in seguito riprese da gran parte della pub-
blicistica pro-unificazione, in primo luogo il presunto
tradimento di re Nikola attraverso accordi segreti con l’Austria-
Ungheria, accusa mossa dal governo serbo fin dal 1915. La
campagna diffamatoria contro il governo montenegrino in esilio
fin dal 1916 coinvolgerebbe infine alcuni giornali francesi,
come Journal des Débats, Le Temps, Excelsior e Journal, che
pubblicano una serie di articoli contenenti calunnie contro re
Nikola. La campagna è condotta e finanziata dal governo serbo,
che vi spende trentasei milioni di franchi in tre anni, denaro che
i rappresentanti montenegrini all’estero denunciano la Serbia
abbia ricevuto dagli Alleati78.

77
S. PAVLOVIĆ, op. cit., p. 14.
78
Si veda: La grande presse parisienne fait, en 1916, 1917 et 1918, une champagne
de calomnies contre le Monténégro pour justifier le marchandage qui a eu lieu au cours
des pourparlers secrets entre la France, l’Angleterre et l’Autriche pour la paix séparée et
en vertu duquel le territoire du Monténégro devait etre partagé entre l’Autriche et la
Serbie (En même temps que le Gouvernement français consentait que le mont Lovtchen
L’unione con
IIii.. L’unione con ilil Montenegro
Montenegro 129
123

2.5. La presenza militare interalleata nella primavera


del 1919

Intanto importanti cambiamenti con fondamentali ripercussioni


sul destino del Montenegro caratterizzano la presenza militare
interalleata. Nel febbraio del 1919 alla Conferenza della Pace
Wilson propone che le truppe interalleate evacuino il territorio
montenegrino al fine di poter lasciare la popolazione libera di
determinare da sola il futuro assetto del Paese. La proposta solo
in parte incontra il sostegno del governo italiano, nella convin-
zione che a garanzia di tale libertà di autodeterminazione sia al-
trettanto necessario che le prime a ritirarsi dal territorio monte-
negrino siano le truppe serbo-jugoslave, affinché nessun ostaco-
lo sia frapposto all’eventuale ritorno in patria di re Nikola. Pa-
rigi sembra non avere obiezioni a che le truppe serbo-jugoslave
siano le prime a lasciare il territorio montenegrino, mentre
Londra insiste che l’evacuazione delle truppe alleate dal Mon-
tenegro equivarrebbe in ogni caso a lasciare mano libera agli in-
trighi serbi e dei montenegrini al loro servizio. Il British For-
eign Office dà infatti sempre più credito alle notizie provenienti
dal Montenegro relative agli “eccessi” serbi, di cui del resto è a
conoscenza fin da gennaio79. Il governo inglese pertanto propo-

fût cédé à l’Autriche, la presse parisienne accusait le Monténégro de trahison envers les
Alliés et de reddition du mont Lovtchen à l’Autriche), in Le rôle de la France dans
l’annexion forcée du Monténégro, pp. 107-118. Si veda inoltre S. PAVLOVIĆ, op. cit.,
pp. 102 e 116n.
79
Si veda ad esempio la relazione del capitano Brodie, membro della missione bri-
tannica in Montenegro, riportata a Lansing, Segretario di Stato americano, da Nelson
Page, ambasciatore statunitense a Roma. La relazione, risalente ai primi giorni del gen-
naio 1919 (Brodie lascia il Montenegro il 9), ben illustra le gravi condizioni in cui versa
il Paese: «[…] The Serbians feeling themselves backed by French authorities there have
occupied militarily Montenegro, dispersing Montenegrin revolutionists who rose in
revolution about the 3rd and 4th demanding the withdrawal of Serbian troops from
Montenegro and demanding occupation of Montenegro by Inter-Allied troops who
would guarantee free expression of Montenegro’s will in an untrammeled elective or
referendum. Radovich the representative of so-called Montenegrin administration is
declared to be in Serbian pay and is working for the complete annihilation of
Montenegrin independence. The French General Venel who is apparently supporting
this side strongly stopped the American and the Italian troops who had been ordered by
the Italian commander to Cetinje in response to appeal of the Montenegrin insurgent
130
124 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

ne di lasciare nel Paese un contingente americano per assicurare


piena libertà sul territorio, ma la proposta sarà respinta dall’U.S.
War Office. Sia francesi che inglesi, comunque, si esprimono
nuovamente contrari al ritorno del sovrano: perdura verso re
Nikola l’avversione consolidatasi dal 1915 in poi in seguito agli
addebiti sollevati sul dubbio contegno del re in occasione della
difesa del Lovćen80. Da parte sua l’Italia, che insiste sulla ne-
cessità del ritiro delle truppe serbo-jugoslave, è soprattutto inte-
ressata a mantenere il controllo su Antivari, in ragione degli in-
teressi politici ed economici maturati in Montenegro e con il
timore che i francesi vogliano favorire le pretese serbe circa il
controllo ferroviario dell’area81.
Londra e Washington concordano la costituzione di una
commissione anglo-americana che verifichi le reali condizioni
del Montenegro, le voci dei massacri effettuati dai serbi tra la
popolazione civile – anche ai danni degli albanesi della regione:
la missione britannica a Scutari sostiene vi siano tra questi ul-
timi dalle 18.000 alle 25.000 vittime – e i reali desideri della
popolazione montenegrina. La rappresentanza inglese è guidata
dal conte John de Salis, ex ministro britannico a Cettigne, quel-
la americana dal tenente colonnello Sherman Miles, all’inizio
del 1919 già artefice dell’arbitrato che ha stabilito la linea di
demarcazione provvisoria tra Austria e Regno SHS in Carinzia
e ora sulla costa adriatica con le forze americane. Dopo aver

party declaring that none but Serbian and French troops should occupy Montenegro.
The Montenegrin insurgent forces appear to have been dispersed after a collision in
which several hundred men one side or the other are reported to have been killed, some
returning to their homes, others seeking refuge in Albania or in places under the Italian
flag, but all are armed with rifles and are reported as declaring that Montenegrin inde-
pendence will be preserved if it takes 500 years. Captain Brodie informs me that al-
though previous to these collisions with the Serbians there was little sympathy with the
idea of restoring the Montenegrin dynasty, since the fighting, certain change is dis-
cernible in their attitude». FRUS-PPC, vol. II, pp. 371-372.
80
DDI, Sesta serie, vol. II, docc. 203, 210, 289, 320. Il conte John de Salis, ultimo
ministro britannico presso il Montenegro, aveva definito la difesa del Montenegro “una
farsa”, nella convinzione che re Nikola avesse negoziato con gli austriaci per salvare se
stesso e la propria dinastia. Cfr. J.D. TREADWAY, Anglo-American Diplomacy and the
Montenegrin Question, 1914-1924, pp. 2 e 8.
81
AUSSME, E-8, b. 88, fasc. 1, Ministero degli Affari Esteri, telegramma in partenza
di Sonnino al generale Cavallero D.I.P.-S.M., Parigi-Roma 26 maggio 1919.
L’unione con
IIii.. L’unione con ilil Montenegro
Montenegro 131
125

consegnato nei primi giorni di aprile due report in cui caldeggia


l’assegnazione di Fiume al Regno SHS principalmente per ra-
gioni economiche, a maggio Miles presenterà anche i propri re-
soconti sulle condizioni politiche del Montenegro. L’ufficiale
americano sostiene che sebbene sia probabile che i risultati del-
le elezioni dell’Assemblea di Podgorica del novembre 1918
siano stati influenzati dalla presenza militare alleata, oramai il
regime serbo in Montenegro rappresenta uno stato di fatto irre-
vocabile. Miles pertanto propone che la questione montenegrina
sia risolta attraverso il riconoscimento da parte degli Alleati di
un’autonomia locale del Montenegro all’interno dello Stato ju-
goslavo. Le sue considerazioni rimarranno ampiamente inascol-
tate: lo stesso Miles sostiene nei suoi resoconti che abbandonare
il Montenegro interamente al controllo serbo rappresenterebbe
un “crimine politico”. Ciò nonostante e contrariamente a quanto
prospettato inizialmente avverrà l’evacuazione delle truppe in-
teralleate ma non di quelle serbo-jugoslave. A Londra e Wa-
shington tutto sembrerà suggerire – anche i resoconti redatti da
De Salis nell’ambito della commissione anglo-americana – la
necessità di rinunciare a prender parte attiva nella controversia
serbo-montenegrina82. Il controllo della gran maggioranza dei
territori montenegrini rimarrà in tal modo nelle mani del gene-
rale serbo Mihailović, al comando della divisione della Zeta
con sede a Cettigne. Le autorità militari serbe stringeranno il
controllo sulla gendarmeria montenegrina inviando in Monte-
negro armi e munizioni per mettere in efficienza i battaglioni
reclutati sul posto. Pur dando colore nazionale ai vari organi di
Stato montenegrini le autorità serbe manterranno saldo il co-
mando sul territorio, mentre i principali generali montenegrini
saranno richiamati a Belgrado – e dunque allontanati dal suolo
nazionale – con la promessa di ottenere il passaggio all’esercito
serbo83.

82
J.D. TREADWAY, Anglo-American Diplomacy and the Montenegrin Question,
1914-1924, pp. 9-12. Sulla commissione anglo-americana si veda anche J. EVANS, op.
cit., pp. 139-143.
83
In precedenza l’esercito serbo ha impedito il ritorno in patria a quegli ufficiali mon-
tenegrini che in vista delle votazioni per la Grande assemblea nazionale avrebbero potu-
132
126 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

I presidi dell’interno, inclusi i distaccamenti italiani, sono


sgomberati dalle truppe interalleate alla fine di aprile84.
L’occupazione interalleata si riduce alla zona costiera (Antivari,
Cattaro, Dulcigno e verso l’interno Virpazar) allo scopo di assi-
curare il vettovagliamento di Scutari, mentre la parte interna
rimane presidiata esclusivamente dalle truppe serbe. Gli inglesi
lasceranno anche Virpazar e Antivari (diretti a Scutari) tra il 27
e il 30 aprile85. La presenza militare italiana è confermata ad
Antivari (a presidio della ferrovia e del porto), Cattaro e Virpa-
zar, con il rinnovo dell’ordine categorico di disinteressarsi degli
scontri che nell’area avvengono tra bande serbe e montenegrini
“dissidenti”86.
Da informazioni desunte in via confidenziale a Parigi sem-
bra che in seguito alla proposta di Wilson il Consiglio dei Quat-
tro avesse effettivamente deciso il ritiro di tutte le truppe inte-
ralleate dal Montenegro e di conseguenza anche Clemenceau
avesse ordinato l’evacuazione del contingente francese. Tutta-
via alla notizia che le truppe italiane non avrebbero sgomberato
la costa montenegrina e Virpazar fino a quando non fossero
partiti anche i serbi – i quali secondo l’ordine di partenza dei
vari scaglioni avrebbero dovuto sgomberare per ultimi – Cle-
menceau aveva disposto che anche il contingente francese ri-
manesse87. Le ultime truppe francesi abbandoneranno il Monte-
negro (Antivari e Virpazar) nel febbraio-marzo del 1920, i mili-
tari italiani vi rimarranno fino all’estate successiva. A Cattaro,
prima del ritiro delle forze di terra francesi (1° agosto 1919), ri-
sulta presente un presidio interalleato al comando del generale
francese Tahon (subentrato a Venel a febbraio) composto di una

to condurre tra la popolazione una campagna propagandistica favorevole a re Nikola.


Cfr. S. PAVLOVIĆ, op. cit., p. 153.
84
AUSSME, E-8, b. 88, fasc. 3, Sgombero delle truppe alleate del Montenegro, 1919.
85
Ivi, fasc. 1, Comando Supremo-Ufficio Operazioni, f.to generale Piacentini, Valona
30 aprile 1919.
86
Ivi, fasc. 15, D.I.P.-S.M., Notizie militari-politiche sul Montenegro, Gennaio 1920,
p. 8.
87
Ivi, fasc. 3, R. Ambasciata d’Italia Ufficio dell’Addetto Militare, a D.I.P.-S.M., il
generale addetto militare maggiore U. Aloisi, Parigi 24 maggio 1919; ivi, Comando Su-
premo, telegramma in arrivo del generale Piacentini, Valona 6 febbraio 1919.
L’unione con
IIii.. L’unione con ilil Montenegro
Montenegro 133
127

brigata italiana, un battaglione francese e tre serbo-jugoslavi. In


seguito alla partenza del battaglione francese restano quindi ita-
liani e serbo-jugoslavi, questi ultimi in maggioranza. La situa-
zione pur calma rimane delicata a causa della presenza nel por-
to del numeroso naviglio austro-ungarico, l’arsenale, gli im-
pianti marittimi e i depositi di materiale bellico, che gli italiani
non intendono lasciare nelle mani degli jugoslavi almeno fino a
quando la Conferenza della Pace non abbia stabilito i destini
della sponda orientale adriatica88. Dal momento che l’Italia non
esclude la possibilità di annettere anche Cattaro sembra eviden-
te l’opportunità di non abbandonare la città, nel cui porto rima-
ne ancorata la marina francese a tutela della base navale ex au-
stro-ungarica. Tale presenza preoccupa gli italiani: i francesi
non nascondono infatti di voler favorire la consegna
dell’arsenale asburgico agli jugoslavi, mentre questi ultimi non
ammettono sia discusso il loro diritto al possesso delle Bocche
e chiamano in causa i recenti eventi di guerra. Ad esempio
l’ammutinamento dei marinai della flotta austro-ungarica ivi at-
traccate (febbraio 1918), ribellione di matrice bolscevica, è pre-
sentata da Trumbić – in una nota riportata da un articolo del
“Giornale d’Italia” del 5 marzo 1919 – quale movimento insur-
rezionale a sfondo esclusivamente nazionalista jugoslavo89.

88
Ivi, Ministero della Guerra a generale Ugo Cavallero, D.I.P.-S.M., Parigi 13 agosto
1919. Il capo di Stato Maggiore della marina italiana, l’ammiraglio Paolo Emilio Thaon
di Revel, aveva interessato Orlando e Sonnino alla questione della flotta austro-ungarica
ormeggiata a Cattaro fin dal novembre del 1918, quando si era verificato il pericolo
concreto che i francesi sanzionassero per iscritto il riconoscimento del possesso delle
navi austro-ungariche alla marina jugoslava. DDI, Sesta serie, vol. I, doc. 119.
89
Il 1° febbraio 1918 gruppi di marinai della flotta austro-ungarica nel golfo di Catta-
ro (quaranta navi con più di quattromila uomini) assumono il controllo di navi, arma-
menti e stazioni radiotelegrafiche. Gli ammutinati innalzano la bandiera rossa e fanno
prigionieri gli ufficiali chiedendo migliori razioni e la pace immediata. Il giorno se-
guente le navi mollano l’ormeggio ma la fanteria e la flottiglia austro-ungarica, inviate
da Sarajevo e Pola, ne bloccano l’uscita dal golfo. Il 3 febbraio gli ammutinati si arren-
dono, i più saranno colpiti da severe pene di detenzione, mentre i capi della rivolta sa-
ranno giustiziati. AUSSME, b. 79, fasc. 18, Ufficio del Capo di Stato Maggiore della
Marina (Ufficio Informazioni), Bollettino speciale, n. 220, Promemoria del ten. di va-
scello r.n. de Hoffmann Raffaele che confuta asserzioni errate circa i noti rivoluzionari
della flotta A.U. circa le operazioni marittime durante la guerra – in contrapposto alle
asserzioni del Dott. Trumbic di cui all’articolo del Giornale d’Italia del 5 marzo 1919
pervenuto dal governo della Dalmazia e delle isole curzolane in Dalmazia data 12
134
128 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

Del ritiro delle forze navali francesi da Cattaro si inizierà a


parlare concretamente nell’estate del 1920, quando si prospette-
rà l’evacuazione della marina francese dal porto cittadino, no-
nostante il destino di Cattaro non sia ancora determinato90. A
causa dei contrasti italo-jugoslavi, tuttavia, l’evacuazione fran-
cese avverrà solamente a dicembre, in seguito alla firma del
Trattato di Rapallo e alle sollecitazioni della delegazione jugo-
slava a Parigi contro il prolungamento di una ormai inutile pre-
senza. Il governo di Belgrado prendeva così possesso delle navi
ex austro-ungariche presenti nel porto91.
Il presidio di terra italiano sarà invece ritirato da Cattaro
all’inizio dell’ottobre del 1919. Nel luglio del 1920 il ministro
inglese a Belgrado Alban Young, scrivendo a Earl Curzon,
commentava come i disordini provocati dal movimento monte-
negrino in favore dell’indipendenza, «di una indubitabilmente
genuina natura», con l’evacuazione italiana si fossero già am-
piamente calmati92.

2.6. Conclusione della questione montenegrina

Nel corso del 1919 la delegazione montenegrina continua a pre-


sentare proteste al Consiglio Supremo degli Alleati: per il man-
cato invito dei rappresentanti montenegrini a intervenire alla
consegna delle condizioni di pace ai delegati tedeschi e austria-
ci; per l’omissione del Montenegro alla Società delle Nazioni;
per il mancato invio in Montenegro di missioni che ne verifi-
chino la situazione politica; per le pretese dei serbi di includere
fra i danni di guerra subiti anche quelli sofferti dal Montenegro;
per la cessazione delle relazioni diplomatiche delle Potenze con
il regno montenegrino; per la decadenza della dinastia Petrović-

marzo – 7767 – R., Roma 15 marzo 1919. Si veda anche G.E. ROTHENBERG, op. cit., p.
405; A. SBUTEGA, op. cit., pp. 357-358.
90
Il 3 luglio 1920 la fine della missione francese a Cattaro è approvata da una risolu-
zione dei delegati delle marine alleate. DDF, Iere série, 1920, tome II, doc. 443.
91
Ivi, tome III, doc. 353.
92
DBFP, 1919-1939, First Series, vol. XII, No. 355.
L’unione con
IIii.. L’unione con ilil Montenegro
Montenegro 135
129

Njegoš proclamata a Podgorica nel dicembre 1918. L’azione


spiegata dal governo montenegrino a Parigi insiste dunque nel
porre in evidenza il diritto del Montenegro a essere considerato
uno Stato sovrano e le sopraffazioni compiute dai serbi durante
l’occupazione del Paese. La Conferenza della Pace si limita pe-
rò a ricevere le varie note montenegrine senza mai prendere re-
almente in considerazione la questione della restaurazione
dell’indipendenza montenegrina.
A peggiorare la situazione sopraggiungono inoltre nuovi fat-
tori. Sempre più vane le possibilità di conservare
l’indipendenza attraverso la diplomazia da giugno e per tutta
l’estate del 1919 i “verdi” imbracciano nuovamente le armi,
questa volta con un aperto sostegno italiano. Ad aprile infatti il
governo di Roma ha sottoscritto con quello montenegrino in e-
silio una convenzione militare per la formazione di una legione
montenegrina in Italia. Le navi italiane sbarcano in Montenegro
nuove forze che tentano di sollevare la popolazione contro le
autorità serbe senza tuttavia ottenere i risultati sperati93. Le re-
gioni di Antivari e Virpazar diventano teatro di nuovi scontri tra
serbo-jugoslavi, insorti montenegrini e truppe italiane. Gli ita-
liani attribuiscono gli incidenti alle «inconsulte provocazioni
jugoslave e all’aperta politica di favoreggiamento dei serbi si-

93
Cfr. A. SBUTEGA, op. cit., pp. 369-375. Si veda inoltre A. MADAFFARI, Italia e
Montenegro (1918-1925): la legione montenegrina, in Studi storico-militari, 1996. È
stato in parte detto come la certezza che gli italiani sostengano i ribelli montenegrini as-
silli le autorità serbe fin dagli inizi della presenza interalleata in Montenegro sul finire
del 1918. Già a dicembre le autorità serbe di Cattaro arrestano Giovanni Baldacci, agen-
te al seguito delle truppe italiane in Montenegro, per l’aver condotto agitazioni contro lo
stato di fatto creatosi in Montenegro. Baldacci, che insieme al fratello Antonio è coin-
volto negli affari montenegrini dalla fine del XIX secolo, è in contatto con il già ricor-
dato Jovo Popović e altri notabili montenegrini quali Lazar Mijušković, contro il quale
è diramato un mandato di arresto. Baldacci e Mijušković intendevano coinvolgere gli
albanesi di Scutari nella sollevazione anti-serba. Anche i francesi sospettavano che gli
italiani sostenessero i moti albanesi al confine e inquadrassero giovani montenegrini. I
militari italiani sottrarranno Baldacci ai serbi rimettendolo prontamente in libertà. Si
veda carteggio in AUSSME, E-8, b. 88, fasc. 15. Sulle attività dei Baldacci in Monte-
negro si veda anche D.R. ŽIVOJINOVIĆ, Crna Gora u Borbi za Opstanak, pp. 295-296;
S. BURZANOVIĆ, Antonio Baldacci e il Montenegro, in V. KILIBARDA, J. VUČO (a cura
di), Contesti Adriatici. Studi di italianistica comparata, Aracne, Roma 2008, pp. 69-89.
136
130 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

stematicamente condotta dalle autorità francesi»94. Al contrario


Pašić il 7 agosto presenta alla presidenza della Conferenza della
Pace proteste ufficiali contro le manovre “arbitrarie e sovversi-
ve” dei presidi italiani in Montenegro, che «si sono alienati le
simpatie della popolazione soprattutto per la loro attitudine a
favorire la restaurazione del regime autocratico del precedente
sovrano». Gli jugoslavi attribuiscono alle truppe italiane la re-
sponsabilità degli scontri accusandole di rifornire le bande
montenegrine di armi e munizioni, bande organizzate a Gaeta e
poi sbarcate sulla costa montenegrina presidiata dagli italiani,
fenomeno di cui il servizio di spionaggio jugoslavo è perfetta-
mente al corrente. La nota jugoslava propone il ritiro dei presidi
italiani da Antivari, Dulcigno e Virpazar, dato che con il ritiro
delle guarnigioni francesi, elemento moderatore, sarebbe venu-
to a mancare ogni controllo e garanzia alle manovre italiane95.
La delegazione jugoslava chiede dunque ancora una volta lo
sgombero delle truppe italiane dal Montenegro per completarne
l’annessione al Regno SHS, già compiuta di fatto. Preceduta da
due note simili – rivolte a Clemenceau il 26 e 29 luglio da Ra-
dović – la nota del 7 agosto sarà seguita da altre tre comunica-
zioni (14, 29 e 31 agosto) ancora a firma Pašić e Radović, tutte
contenenti i medesimi toni di accusa verso le truppe italiane –
sostanzialmente di favorire intenzionalmente gli “elementi di
disordine” in Montenegro – di cui si chiede l’allontanamento
anche da Cattaro96.

94
AUSSME, E-8, b. 88, fasc. 4, Gli incidenti in Montenegro, la proposta jugoslava,
gli interessi italiani.
95
Ivi, fasc. 8, La questione montenegrina nelle relazioni italo-jugoslave, 1920, Dele-
gation du Royaume des Serbes Croates et Slovènes à la Conférence de la Paix, Nik.P.
Pachitch, Paris le 7 août 1919.
96
Ivi, Delegation du Royaume des Serbes Croates et Slovènes à la Conférence de la
Paix Paris, A. Radovitch, Paris le 26 juillet 1919; ivi, Delegation du Royaume des Ser-
bes Croates et Slovènes à la Conférence de la Paix Paris, A. Radovitch, Paris le 29 juil-
let 1919; ivi, Segretariato italiano della Conferenza, Copia, Delegation du Royaume des
Serbes Croates et Slovènes à la Conférence de la Paix, n. 3147, Nik.P. Pachitch, Paris le
14 août 1919; ivi, Segretariato italiano della Conferenza, Delegation du Royaume des
Serbes Croates et Slovènes, A. Radovitch, Paris le 29 août 1919; ivi, Segretariato italia-
no della Conferenza, Delegation du Royaume des Serbes Croates et Slovènes, Nik.P.
Pachitch, Paris le 31 août 1919.
L’unione con
IIii.. L’unione con ilil Montenegro
Montenegro 137
131

La crisi italo-jugoslava almeno a Cattaro sarebbe comunque


rientrata rapidamente con un tiepido riavvicinamento tra il co-
mando militare serbo e quello italiano97. La repressione della
rivolta da parte serba invece non avrebbe posto termine alle a-
zioni dei “verdi” contro “bianchi” e istituzioni statali. Il contra-
sto tra le due fazioni rimarrà vivo nello Stato jugoslavo in una
sorta di guerra civile con i “bianchi” divisi nei molti partiti filo-
serbi e l’opposizione nazionale montenegrina che confluirà
progressivamente nei partiti federalista e comunista98. Già nel
febbraio del 1919, del resto, il comando italiano di Cattaro ha
costatato come in città si vada costituendo la sezione di un par-
tito socialista con carattere internazionale legato agli ambienti
socialisti di Dubrovnik e composto da un centinaio di operai e
artigiani di forti tendenze anti-serbe. La sua costituzione sarà
avversata dalle autorità serbe anche a causa dei contatti stretti
da tale partito socialista con il Partito contadino croato a Zaga-
bria, notoriamente oppositore del predominio di Belgrado99.
Anche i komiti montenegrini continueranno a essere attivi
sebbene meno coesi che inizialmente. Oltre al gruppo operante
intorno Antivari con a capo Raspopović – che le autorità serbe
temono possa rifugiarsi presso il presidio italiano – ne esiste-
rebbe uno intorno a Cettigne guidato dal capitano Krsto Popo-
vić, uno nella zona di Nikšić comandato da un tenente monte-
negrino e un altro nella zona di Kum, fra Budva e Cettigne. Le
autorità serbe eliminano gradualmente gli elementi ancora aper-
tamente dissidenti e sorvegliano quelli sospetti. Interi villaggi
sono dati alle fiamme obbligando le famiglie dei membri dei
komiti ad allontanarsene così da tagliare agli insorti i mezzi di
sostentamento. Solamente le bande agli ordini di Popović, in
precedenza presenti nei dintorni di Nikšić, hanno perso cinque-
cento uomini, arresisi per necessità ineluttabile e detenuti a Cet-

97
Ivi, fasc. 4, Comando Supremo Ufficio Affari Generali, telegramma in arrivo da
Cattaro, f.to tenente Sternini, 16 agosto 1919.
98
Cfr. A. SBUTEGA, op. cit., pp. 369-375.
99
AUSSME, E-8, b. 88, fasc. 14, Comando Brigata Barletta, Ufficio Comando, a
Comando Superiore delle forze italiane nei Balcani Valona, Situazione a Cattaro e
Montenegro, f.to il comandante della brigata Chiodi, Cattaro 11 febbraio 1919.
138
132 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

tigne. Se il malumore contro il regime serbo è contenuto negli


abitati per il timore di rappresaglie esso si manifesta invece più
liberamente nel contado, dove si verificano frequenti conflitti
tra gendarmeria e popolazione, soprattutto lì dove l’elemento
albanese predomina (regione della Bojana). Questo infatti, in
frequente contatto con il presidio italiano di Antivari, manifesta
apertamente ostilità verso le autorità serbe. Nel maggio 1919
scontri con le forze serbo-jugoslave avvengono nei dintorni di
Kolašin; all’inizio di luglio combattimenti fra serbo-jugoslavi e
montenegrini (questi ultimi membri in divisa italiana di legioni
montenegrine tornate dall’Italia) sono segnalati presso Cettigne.
Alla metà del mese i militari italiani comunicano al Comando
Supremo che i “komiti di re Nikola”, sostenuti dalla popolazio-
ne, il giorno 9 hanno infine occupato Kolašin mettendo in fuga i
serbo-jugoslavi e che gli stessi hanno interrotto completamente
le comunicazioni fra Nikšić e Danilovgrad. Ad agosto infine
scontri tra serbi e insorti montenegrini sono segnalati anche a
Dulcigno100.
Ancora nei mesi di novembre e dicembre successivi il co-
mando italiano di Antivari segnalerà attacchi delle bande di Ra-
spopović ai presidi serbo-jugoslavi101. Questi avviano una più
attiva campagna di repressione contro gli insorti tessendo una
fitta rete di spionaggio a mezzo di donne e uomini fidati ai quali
vengono corrisposti lauti compensi per sorvegliare e riferire
sulle azioni dei komiti montenegrini e delle famiglie dei loro
100
Ivi, fasc. 7, Comando presidio Antivari, a Comando XVI Corpo d’Armata Duraz-
zo, Relazione politico militare, f.to tenente colonnello comandante del presidio Chiesa,
Antivari 2 giugno 1919; ivi, Comando Supremo-Ufficio Operazioni, telegramma del
generale Piacentini, Valona 2 luglio 1919; ivi, R. Esercito Italiano, Comando Supremo-
Ufficio Operazioni, a D.I.P.-S.M., 6 luglio 1919, copia di telegramma del colonnello
Rossi, Valona 14 luglio 1919; ivi, fasc. 14, Collegamento Comando Superiore forze ita-
liane nei Balcani, a Comando Supremo-Ufficio Operazioni zona di guerra, e p.c. a Co-
mando Superiore Forze Italiane nei Balcani Valona, Situazione ad Antivari e Dulcigno,
f.to capitano Avarna, Antivari 19 marzo 1919; ivi, fasc. 15, Stato Maggiore Comando
Truppe Albania, Riassunto mensile degli avvenimenti di carattere politico-militare in
Montenegro e Albania (Febbraio 1920), Montenegro, Valona 3 marzo 1920.
101
Ivi, fasc. 7, Stato Maggiore Comando Truppe Albania, a Ministero della Guerra
D.S.M. Roma, a Comando Supremo-Ufficio Operazioni Roma, Riassunto degli avveni-
menti politico-militari in Montenegro e in Albania (Novembre 1919) - Antivari, f.to ge-
nerale Piacentini, 10 dicembre 1919.
L’unione con
IIii.. L’unione con ilil Montenegro
Montenegro 139
133

membri. Con il sostegno degli irregolari e della gendarmeria le


truppe serbo-jugoslave rastrellano l’intero territorio montene-
grino con avanzate concentriche fino al confine albanese. Il 7
gennaio 1920 Raspopović è segnalato a Mikulić (sud-est di Sta-
ri Bar) per i festeggiamenti del natale ortodosso. La zona viene
circondata dagli uomini del comando serbo-jugoslavo di Anti-
vari e dai “contro-komiti” operanti nella zona Dulcigno-Bojana.
La mattina del 9 è sferrato l’attacco. Da Antivari, per quasi
quattro ore, si sente un vivissimo fuoco di fucileria, di bombe e
in ultimo di mitragliatrici e artiglieria, ciò nonostante Raspopo-
vić riesce ancora una volta a sfuggire alla cattura102. Il leader
montenegrino sarà ucciso dalle truppe serbo-jugoslave sola-
mente nel 1923, nei pressi di Nikšić.
Il comando italiano fornisce a questo punto un quadro più
dettagliato delle forze del Regno SHS attive in Montenegro, fi-
no a quel momento definite indistintamente a volte serbe a volte
jugoslave. I comandanti di divisione e di reggimento sono quasi
tutti ufficiali serbi, che sono invece pochissimi nei battaglioni e
nelle compagnie, dove si possono trovare anche ufficiali dalma-
ti, croati, bosniaci e qualche montenegrino. Gran parte di tali
ufficiali è obbligata a prestare servizio sotto le armi e manca di
coesione politico-morale; pochi sono i volontari e appartengono
in maggioranza all’elemento croato. I volontari non serbi non
sono animati da vero spirito patriottico, piuttosto sono ufficiali
di carriera dell’ex esercito austro-ungarico arruolatisi
nell’esercito jugoslavo per assicurarsi il sostentamento loro e
delle loro famiglie. Tra i coscritti non di carriera serpeggia il
malcontento per il prolungato servizio sotto le armi: le truppe
sono costituite da elementi serbi, croati, dalmati, albanesi della
regione di Ipek e Gjakova e da montenegrini e macedoni di
Skopje. In maggioranza si tratta di elementi insofferenti a svol-
gere il servizio militare alle dipendenze serbe e quindi facili
all’indisciplina e alla disobbedienza. Per tali ragioni i comandi

102
Ivi, Stato Maggiore Comando Truppe Albania, a D.I.P.-S.M. Parigi, Riassunto
mensile degli avvenimenti di carattere politico-militare in Montenegro ed Albania
(gennaio 1920), f,to generale Piacentini, Valona 19 febbraio 1920.
140
134 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

militari, onde diminuire i rischi di insubordinazioni dei soldati,


nella repressione dei komiti montenegrini fanno largo uso di ir-
regolari e “contro-komiti”103. Soprattutto, proprio a causa degli
arruolamenti effettuati dai serbi tra la popolazione civile, le
bande montenegrine continueranno a incrementare la propria
consistenza di elementi che al reclutamento preferiscono la
clandestinità104.
Alla Conferenza della Pace, intanto, mentre la delegazione
jugoslava – al pari di quanto ha fatto durante l’estate la contro-
parte italiana – denuncia una serie di violenze commesse dai
comandi italiani in Montenegro ai danni di militari e civili ju-
goslavi (su cui investiga una commissione designata apposita-
mente da Belgrado),105 le Grandi Potenze comunicano che al
governo montenegrino non sarà più anticipato il credito mensile
fino allora corrisposto (le sovvenzioni cesseranno alla fine
dell’ottobre 1919)106. Re Nikola è così costretto a lasciare Parigi
e stabilirsi presso il principe Danilo, mentre il governo monte-
negrino deve ridurre notevolmente il proprio personale lascian-
do a Neuilly sur Seine Plamenac con pochi funzionari. In tale
situazione diventerà impossibile per l’establishment montene-
grino in esilio far valere in sede internazionale i propri diritti.
Ciò porterà Plamenac, tra l’altro, a intraprendere iniziative az-
zardate e altrettanto fallimentari come l’accordo del 12 maggio
1920 con Gabriele D’Annunzio, vate dell’impresa fiumana, nel-
la speranza di mantenere viva una qualche forma di sostegno i-
taliano alla causa montenegrina. A quella data, infatti, nella ri-
soluzione della questione adriatica il governo di Roma – con il
subentrare dei gabinetti Nitti e di lì a un mese Giolitti – ha già

103
Ibidem.
104
Ivi, Riassunto degli avvenimenti politico-militari in Montenegro e in Albania Di-
cembre 1919 – Antivari-Virpazar, f.to generale Piacentini, Valona 14 gennaio 1920.
105
Ivi, fasc. 8, Delegation du Royaume des Serbes Croates et Slovènes, Prefecture
Departementale Royale SHS, n. 2035 confidentiel, au Commisaire du Gouvernment
Royal Cettigne, signé le préfet Serzentitch, Bar le 7 octobre 1919.
106
Il governo montenegrino in esilio, insieme a re Nikola e alla famiglia reale, aveva
percepito un sussidio mensile fin dal loro arrivo in Francia nel 1916, inizialmente di
quattrocentomila franchi ma rapidamente dimezzato. Cfr. W. WARREN, Montenegro.
The Crime Of The Peace Conference, p. 41; S. PAVLOVIĆ, op. cit., p. 87.
L’unione con
IIii.. L’unione con ilil Montenegro
Montenegro 141
135

abbandonato parte del precedente oltranzismo. L’accordo con


D’Annunzio, che coltiva contatti con i rappresentanti delle na-
zionalità jugoslave oppositori del Regno SHS e del potere di
Belgrado, prevede la restaurazione del regno montenegrino co-
me primo passo verso la liberazione dei popoli balcanici dal
dominio serbo107.
Il Consiglio Supremo degli Alleati esaminerà brevemente
una sola nota montenegrina, inviata il 26 novembre 1919, con
la quale Plamenac minaccia che ove non sia subito convocato il
delegato montenegrino alla Conferenza della Pace per la firma
dei trattati di pace con Germania, Austria e Bulgaria, il governo
in esilio del Montenegro avrebbe concluso con queste una pace
separata108. Nella seduta del 1° dicembre 1919 il Consiglio Su-
premo deciderà tuttavia di non dare risposta alle minacce di
Plamenac ignorando la lettera. Anche il delegato italiano De
Martino si dichiarerà d’accordo con la decisione, pur gradendo
sapere se il Consiglio Supremo avrebbe prima o poi preso in e-
same la questione montenegrina, che comunque necessitava una
soluzione. Clemenceau risponderà che il problema risiedeva al-
trove, ovvero se il governo italiano intendesse ancora portare
avanti la questione, perché in tal caso avrebbe dovuto avanzare
una qualche proposta concreta. Senza dichiararlo esplicitamente
Clemenceau riaffermava in tal modo il fatto che per gli Alleati
la questione montenegrina era da tempo risolta con la procla-
mazione del Regno SHS109.
La questione montenegrina, trascinatasi alla Conferenza del-
la Pace fino alla fine del 1919, dal punto di vista diplomatico si
concluderà definitivamente alla fine del 1920 e a nulla servi-
ranno gli appelli del governo montenegrino in esilio alla Società
delle Nazioni (novembre 1920)110.

107
Si veda M. BUCARELLI, D’Annunzio, Italy and the Independence of Montenegro,
1919-1920, in 130 Years, pp. 281-297.
108
DBFP, First Series, Vol. II 1919, Appendix L to No. 33.
109
Ivi, No. 33, Note from Montenegro relative to the possible Signature of a Separate
Peace with Germany, Austria and Bulgaria, pp. 442-443. Si veda anche AUSSME, E-8,
b. 88, fasc. 1, Risoluzione del Consiglio Supremo degli Alleati, 1° dicembre 1919.
110
League Of Nations, Situation in Montenegro, Letter from the Montenegrin Mini-
ster of Foreign Affairs, J.S. Plamenatz, President of the Council and Minister for Fo-
142
136 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

L’Italia, che fino a quel momento è stata la principale soste-


nitrice della causa montenegrina a tutela dei propri interessi a-
driatici in funzione anti-jugoslava, liquiderà il sostegno politico
e militare ai rifugiati montenegrini preferendo accordi diretti
con il Regno SHS per la definizione della disputa frontaliera
(Trattato di Rapallo), il che significava la definitiva rinuncia
all’indipendenza del Montenegro e la legittimazione di fatto
dello Stato jugoslavo da parte del Paese che più aveva contra-
stato il suo riconoscimento in sede internazionale111.
Apparentemente risolta la questione adriatica e le relazioni
italo-jugoslave anche per la Francia giungerà il momento op-
portuno per liquidare il re montenegrino. Il 20 dicembre 1920 –
attraverso Delaroche-Vernet, inviato straordinario e ministro
plenipotenziario presso la corte di re Nikola – informerà uffi-
cialmente il governo montenegrino in esilio che facendo seguito
alle elezioni jugoslave del 28 novembre 1920 per l’Assemblea
costituente del Regno SHS il governo francese avrebbe ricono-
sciuto ufficialmente l’unificazione del Montenegro alla Serbia
come un fait accompli, cessando le relazioni diplomatiche con
le istituzioni montenegrine all’estero e quindi ponendo fine alla
missione della Legazione di Francia presso il governo del Mon-
tenegro112. Le elezioni della costituente, secondo Parigi, affer-

reign Affairs of Montenegro, Rome, November 15th, 1920; Le Monténégro devant la


Société des Nations, 1) Note par laquelle le Gouvernement Monténégrin a demandé
l’admission du Royaume de Monténégro dans la Société des Nations, Royaume de
Monténégro Ministère des Affaires Étrangères, J.S. Plamenatz, Président du Conseil et
Ministre des Affaires Etrangères du Monténégro, Rome, le 18 Novembre 1920, in Le
rôle de la France, pp. 198-201.
111
L’Italia, in virtù dei legami familiari tra Elena Petrović-Njegoš e i Savoia, fino al
1922 avrebbe continuato comunque a mantenere rapporti diplomatici con il governo
montenegrino, seppur privi di valore politico. Cfr. S. PAVLOVIĆ, op. cit., p. 112.
112
République Française Légation de France près le Gouvernement monténégrin, No-
te envoyée au Governement monténégrin le 20 décembre 1920 par S. Exc. M. Delaro-
che-Vernet, envoyé extraordinaire et ministre plénipotentiaire de la République Franç-
aise auprès de S.M. le Roi de Monténégro, Delaroche-Vernet, Paris, le 20 Décembre
1920, à Son Excellence Monsieur Yovan S. Plamenatz, Président du Conseil et Ministre
des Affaires Étrangères de Monténégro Neuilly-Sur-Seine, in Le rôle de la France dans
l’annexion forcée du Monténégro, pp. 9-10. Nel giugno precedente la Francia aveva già
soppresso la legazione francese a Cettigne, rappresentanza diplomatica che aveva perso
ogni significato per l’esilio di re Nikola e il riconoscimento, da parte di Parigi, del Mon-
tenegro come parte del Regno SHS. DDF, Iere série, 1920, tome II, doc. 154.
L’unione con
IIii.. L’unione con ilil Montenegro
Montenegro 143
137

mavano ancora una volta la volontà del popolo montenegrino di


restare unito al Regno SHS113.
Anche per la Gran Bretagna – che ancora nell’estate del
1920 si rifiuta di riconoscere il principio del fait accompli
chiamato in causa da Vesnić, capo del governo di Belgrado,
come argomento per il riconoscimento formale dell’unione del
Montenegro allo Stato jugoslavo – l’opportunità per il popolo
montenegrino di inviare «rappresentanti liberamente eletti
all’Assemblea costituente» costituirà di fatto il riconoscimento
della legittimità dell’unione114.
In risposta la nota del governo montenegrino in esilio del 10
gennaio 1921 rifiuterà di riconoscere il diritto dei governi stra-
nieri di stabilire il destino del Montenegro. Il governo francese
– afferma il comunicato montenegrino – aveva pubblicamente
sostenuto il crimine commesso dalla Serbia nei confronti del
Montenegro, «la violazione flagrante della giustizia e della mo-
ralità di tutti i popoli civilizzati, la negazione dei principi fon-
damentali del diritto internazionale e la soppressione arbitraria
del diritto di autodeterminazione dei popoli; la violazione dei
principi umanitari più elementari»115.
Tale scambio di comunicazioni, seguito dall’interruzione dei
rapporti diplomatici tra il governo montenegrino in esilio (nel
frattempo trasferitosi a Roma) e Stati Uniti e Gran Bretagna ri-
spettivamente il 21 gennaio e il 17 marzo 1921, costituiranno la
conclusione della vana lotta per l’indipendenza del Montenegro
contro l’unione incondizionata alla Serbia e la definitiva accet-
tazione della sua incorporazione nel Regno SHS da parte degli
attori internazionali.
113
La comunicazione veniva inviata alle ambasciate francesi a Londra, Roma, Berli-
no, Washington e al ministro francese a Belgrado. DDF, Iere série, 1920, tome III, doc.
334.
114
Si veda la corrispondenza tra Alban Young, ministro inglese a Belgrado, e Earl
Curzon in DBFP, 1919-1939, First Series, vol. XII, No. 347, 399 e 405.
115
Royaume du Monténégro Ministère des Affaires Etrangeres, Note du Gouverne-
ment monténégrin du 10 Janvier 1921 en réponse à la note du Gouvernement français
du 20 Décembre 1920, Y.S. Plamenatz, Président du Conseil et Ministre des Affaires
Etrangères du Monténégro, Rome, 10 janvier 1921, ivi, pp. 11-37. Si veda anche W.
WARREN, Montenegro. The Crime Of The Peace Conference, p. 44; S. PAVLOVIĆ, op.
cit., pp. 98-99.
Capitolo III

Nell’Europa di Versailles
La Piccola Intesa

3.1. Il nuovo equilibrio danubiano

I trattati di pace priveranno Austria e Ungheria di circa tre quar-


ti del loro territorio storico a favore dei cosiddetti Stati succes-
sori, già esistenti come la Romania o di nuova costituzione co-
me la Cecoslovacchia e la risorta Polonia. Nel caso della Serbia
i territori austro-ungarici completeranno il processo di emanci-
pazione jugoslava e costituzione del Regno SHS. A difesa dello
status quo stabilito dalla Conferenza della Pace di Parigi nel
bacino danubiano lo Stato jugoslavo stringerà con Romania e
Cecoslovacchia l’alleanza difensiva in funzione anti-ungherese
nota come “Piccola Intesa”, nome ironicamente attribuitole dal
quotidiano magiaro Pesti Hírlap il 21 febbraio 19201. I tre Stati

1
L’espressione “Piccola Intesa” pur avendo in origine accezione denigratoria diven-
terà popolare a Parigi e sarà adottata dagli stessi Stati successori contraenti. Nel 1922 il
Ministero degli Esteri cecoslovacco pubblica per la prima volta i documenti relativi alle
convenzioni concluse con il Regno SHS e la Romania: Documents diplomatiques rela-
tifs aux conventions d’alliance conclues par la République Tchécoslovaque avec le
Royaume des Serbes, Croates et Slovènes et le Royaume de Roumanie: Décembre 1919-
Août 1921, Ministerstvo zahraničních věcí, Prague 1922. Seguono fin dal periodo inter-
bellico una serie di studi che affrontano i vari aspetti politici e militari dell’alleanza. Per
un resoconto storiografico si veda P. WANDYCZ, The Little Entente: Sixty Years Later,
in The Slavonic and East European Review, 59, 4, 1981, pp. 548-564. Si ricordano inol-
tre: M.A. MOUSSET, La Petite Entente: ses Origines, son Histoire, ses Connexions, son
Avenir, Bossard, Paris 1923 (si tratta di uno dei pochi studi filo-ungheresi in contrasto
con il resto della produzione prevalentemente favorevole all’alleanza); R. MACHRAY,
The Little Entente, Allen & Unwin Ltd., London 1929; J.O. CRANE, The Little Entente,
The Macmillan Company, New York 1931; Communiqués des Conférences des Mini-

139
145
146
140 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

sono avvicinati dal comune obiettivo di difendere sovranità na-


zionale e integrità territoriale. L’alleanza, rivolta a impedire la
revisione del Trattato del Trianon del 4 giugno 1920,2 si com-
pone di tre accordi bilaterali: il patto difensivo jugoslavo-
cecoslovacco del 14 agosto 1920, l’accordo cecoslovacco-
romeno del 23 aprile 1921 e quello jugoslavo-romeno del 7
giugno successivo, fortemente voluti dalla Cecoslovacchia.
L’artefice principale della diplomazia di Praga è il ministro de-
gli Esteri Edvard Beneš, l’obiettivo costituire «un’Intesa forte e
coesa nella parte orientale del continente, che aiuti la Francia a
ristabilire e mantenere l’ordine nell’Europa centrale»3. Beneš è
a ragione ritenuto il “padre della Piccola Intesa”. È sua l’idea
all’origine dell’alleanza, è lui a patrocinarne il sistema politico;
è lui a sondare la possibilità di unire fra loro gli Stati successori
nati o ingranditi a scapito dei magiari; è lui che spinge per rag-
giungere l’accordo e lavora per conciliare le relazioni jugosla-
vo-romene, complicate dalla disputa per l’assegnazione del Ba-
nato4. Le tre convenzioni saranno debitamente integrate da ac-

stres des Affaires Etrangères des Etats de la Petite Entente et des Sessions du Conseil
Permanent, Secretariat du Conseil Permanent de la Petite Entente, Belgrade 1936; R.W.
SETON-WATSON, The Little and Balkan Entente, in The Slavonic and East European
Review, 15, 45, 1937, pp. 553-576; M. TOSCANO, Le origini della Piccola Intesa secon-
do i documenti diplomatici ungheresi, in Pagine di storia diplomatica contemporanea,
I, 1963; N. IORDACHE, La Petite Entente et l’Europe, Institut Universitaire de Hautes
Études Internationales, Genève 1977; E. CAMPUS, The Little Entente and the Balkan Al-
liance, Editura Academiei Republicii Socialiste România, Bucureşti 1978; M. ÁDÁM,
The Little Entente and Europe (1920-1929), Akadémiai Kiadó, Budapest 1993. In ser-
bo-croato: M. VANKU, Mala antanta 1920-1938, Izdavačko preduzeće “Dimitrije Tu-
cović”, Titovo Užice 1969. In ceco: Z. SL DEK, Mal dohoda 1919-1938 jej hospo-
d ské, politické a vojenské komponenty, Karolinum, Praha 2000.
2
Il Trattato del Trianon lascerà circa tre milioni di magiari fuori dai confini nazionali:
1.600.000 in Romania, 750.000 in Cecoslovacchia (Slovacchia e Rutenia sub-
carpatica), poco meno di 500.000 nel Regno SHS (4% della popolazione). Il risentimen-
to verso il trattato caratterizzerà l’Ungheria interbellica che mai dissimulerà la volontà
di ottenerne una revisione. Per il testo del trattato (Treaty of Peace between the Princi-
pal Allied and Associated Powers and Hungary and protocol and declaration, signed at
Trianon, June 4, 1920) si veda Peace Treaties. Various Treaties and Agreements be-
tween the Allied and Associated Powers and the Serb-Croat-Slovene State, Roumania,
Bulgaria, Hungary, and Turkey, presented by Mr. Lodge, April 25, 1921, Government
Printing Office, Washington 1921, pp. 163-319.
3
DDF, Iere série, 1920, tome II, doc. 355.
4
Ivi, tome III, doc. 433.
Nell’Europa di
iii..Nell’Europa
III di Versailles.
Versailles. La Piccola
Piccola Intesa
Intesa 147
141

cordi militari, ma soprattutto l’alleanza difensiva si evolverà


progressivamente in un vero e proprio sistema diplomatico, fi-
nalizzato a coordinare politica estera ed economica degli Stati
contraenti.
Emerge chiaramente alla Conferenza della Pace come gli in-
teressi strategici dei Paesi dell’Europa danubiana dimostrino
una “manifesta e fondamentale armonia” con quelli francesi5.
Probabilmente questa è la ragione per cui la storiografia ha
spesso presentato la Piccola Intesa come una creazione della
politica estera francese per consolidare l’influenza di Parigi
nell’area centro-europea6. La realtà vede invece la Francia esser
posta quasi dinanzi a un fait accompli e costretta ad accettare
l’alleanza tra Belgrado, Praga e Bucarest, che solamente una
volta delineata diventerà un fondamentale tassello
dell’equilibrio politico-militare stabilito a fatica dai francesi nel
continente.

3.1.1. Il confine jugoslavo-ungherese

Il 2 novembre 1918 Pašić ordina ai comandi militari serbi


l’occupazione di Bosnia, Banato e Srem ancora prima che sia
firmato l’armistizio7. Nelle due settimane che seguono serbi,
romeni e cecoslovacchi avanzano in territorio ungherese: i pri-
mi occupano Novi Sad (Újvidék), Vršac (Versec), Subotica
(Szabadka), Baja, Szigetvár e Pécs spingendosi sino a Timişoa-

5
Ivi, doc. 463.
6
M. ÁDÁM, op. cit., p. 93.
7
Cfr. B. KRIZMAN, Srpska Vrhovna komanda u danima raspada Austro-Ugarske
1918, in J. ŠIDAK, Historijski zbornik, XIV, Povijesno Društvo Hrvatske, Zagreb 1961,
p. 177. Per una disamina dei rapporti jugoslavo-ungheresi e della delimitazione del con-
fine tra Regno SHS e Ungheria si rimanda a due studi recenti: Á. HORNYÁK, Hungar-
ian-Yugoslav Diplomatic Relations (1918-1927), Columbia University Press, New York
2013; A. VAGNINI, Ungheria: la costruzione dell’Europa di Versailles, Carocci, Roma
2015. Si ricordano inoltre due opere in serbo-croato più datate ma fondamentali: V. Vi-
naver, Jugoslavija i Mađarska 1918-1933, Institut za Savremenu Istoriju, Beograd
1971; A. Mitrović, Razgraničenje Jugoslavije sa Mađarskom i Rumunijom 1919-1920.
Prilog proučavanju Jugoslovenske politike na konferenciji mira u Parizu, Institut za i-
zučavanje istorije Vojvodine, Novi Sad 1975.
148
142 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

ra (Temišvar). Si tratta di obiettivi serbi di lunga data, località


dove sono immediatamente smantellate le istituzioni ungheresi:
i rappresentanti di Banato, Bačka e Baranja costituiscono a No-
vi Sad il Gran consiglio nazionale (Velika narodna skupština
Srba, Bunjevaca i ostalih Slovena u Banatu, Bačkoj i Baranji) e
un Direttorio nazionale (Narodna uprava) incaricato di asse-
gnare alle amministrazioni locali funzionari slavi8. Il 25 no-
vembre il Gran consiglio nazionale – composto di 757 delegati
di cui 578 serbi – approva l’unione alla Serbia9.
Alla Conferenza della Pace oltre che su Banato, Bačka e Ba-
ranja gli jugoslavi avanzano rivendicazioni su Međimurje e
Prekmurje. Propongono una frontiera che partendo dal vecchio
confine amministrativo della Stiria a est di Fehring segue il cor-
so del fiume Raab (Rába) in direzione di Szentgotthárd per poi
dirigersi verso sud-est lungo una linea tendenzialmente paralle-
la alla Drava e alla Mura. In prossimità di Pécs il confine a-
vrebbe puntato a nord e poi a est fino alla linea di demarcazione
con la Romania. La proposta jugoslava suscita tuttavia le per-
plessità degli Alleati che la ritengono eccessiva nel tratto di
confine sud-orientale verso la Baranja e la Bačka10. Nelle due
regioni, come nel Banato conteso ai romeni, non è possibile
tracciare una linea etnica né far riferimento a una netta delimi-
tazione naturale. Nella Bačka e nella Baranja vivono serbi e un-
gheresi ma anche tedeschi, croati, ruteni, slovacchi ed ebrei.
Secondo le fonti jugoslave i serbo-croati sarebbero circa
320.000 nella Bačka e 75.000 nella Baranja rappresentando la
maggioranza etnica;11 i magiari (circa 256.000) tendenzialmen-
te possono contare sul sostegno dell’elemento tedesco

8
Á. HORNYÁK, op. cit., pp. 17-19; J. LYON, op. cit., p. 38; A. VAGNINI, op. cit., p.
18n. Si vedano inoltre L.C. TIHANY, The Baranya dispute, 1918-1921: diplomacy in the
vortex of ideologies, Columbia University Press, New York 1978; B. PANIĆ, Srpska
vojska u Novom Aradu za vreme primirja 1918-1919, in Temišvarski Zbornik, 5, 2008,
pp. 51-74.
9
Odluka Velike Narodne Skupštine Vojvodine, Novi Sad, 25. novembra 1918, in B.
PETRANOVIĆ, M. ZEČEVIĆ, op. cit., p. 70.
10
A. VAGNINI, op. cit., p. 59.
11
Le cifre includono bunjevci e šokci, popolazioni slave cattoliche di lingua serbo-
croata. Cfr. I LEDERER, op. cit., pp. 117-118; D. DJOKIĆ, Pašić and Trumbić, pp. 91-92.
Nell’Europa di
iii..Nell’Europa
III di Versailles.
Versailles. La Piccola
Piccola Intesa
Intesa 149
143

(238.000), che destinato ad essere in ogni caso minoranza pro-


pende per rimanere nell’Ungheria. La Bačka è una regione e-
stremamente fertile, di fondamentale importanza per il Regno
SHS, come lo sono le linee ferroviarie Subotica-Novi Sad, Su-
botica-Sombor e Subotica-Baja, e le acque navigabili del Danu-
bio e del Tisza. Meno difficoltà incontreranno i delegati jugo-
slavi nel vedersi riconosciuti i diritti sul settore nord-
occidentale: Međimurje (Muraköz) e Prekmurje (Muravidék),
regioni a maggioranza jugoslava con una relativa importanza
economica. Anche la Drava, confine storico tra Ungheria e
Croazia-Slavonia, è riconosciuta senza obiezioni come base per
il nuovo confine12.
Il 6 aprile 1919 la Commissione per gli affari romeni e jugo-
slavi (Commission des affaires Roumaines et Yougo-Slaves) in-
caricata dal Consiglio Supremo degli Alleati di esaminare le
questioni territoriali relative ai confini jugoslavi – eccetto quelli
con l’Italia – propone una spartizione territoriale che lasci
all’Ungheria una striscia di territorio nel Banato, nei pressi di
Szeged, confermando la cessione al Regno SHS di Subotica e
Sombor e proponendo una frontiera che lungo il corso della
Drava sino all’imbocco della Mura prosegua verso ovest fino al
confine austriaco. La delegazione jugoslava avanza la richiesta
di una modifica che ceda al Regno SHS l’area a sud della linea
Mohács-Villány-Siklós in Baranja e la città di Baja nella Ba-
čka13. La commissione territoriale ritiene tuttavia che
l’esistenza di piccole minoranze jugoslave in alcune parti della
Baranja non giustifichi l’assegnazione al Regno SHS di una

12
Ibidem.
13
Á. HORNYÁK, op. cit., p. 56; A. VAGNINI, op. cit., p. 59. Secondo la delegazione
jugoslava la regione di Baja è a maggioranza serbo-croata: 35.000 abitanti su un totale
di 90.000 (20.000 ungheresi e 30.000 tedeschi). La possibilità della cessione di Baja al
Regno SHS è tuttavia subito scartata dalla commissione territoriale. AUSSME, E-8, b.
81, fasc. 1, La questione territoriale e di confine jugoslava, 1919-1920, Riunione al
Quai d’Orsay della commissione per le questioni territoriali jugoslave, 22 luglio 1919;
ivi, Seduta della sottocommissione per le frontiere della Jugoslavia (23 luglio 1919);
ivi, Seduta della sottocommissione per le frontiere della Jugoslavia (Quai d’Orsay 24
luglio 1919); ivi, Délégation du Royaume des Serbes, Croates et Slovènes à la Confé-
rence de la Paix, n. 3249, le 18 Août 1919 (copia del segretariato italiano).
150
144 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

provincia dove la popolazione magiara è predominante. Sposta-


re il confine più a nord della delimitazione rappresentata dal
Danubio e dalla Drava significherebbe lasciare nei territori ju-
goslavi un alto numero di ungheresi e tedeschi.
Il Consiglio dei Quattro torna ad affrontare la questione del
confine jugoslavo-ungherese il 1° agosto garantendo a Belgrado
ulteriori concessioni territoriali in Baranja e confermando la
cessione del Prekmurje. Gli jugoslavi convincono gli Alleati a
considerare ulteriori acquisizioni nell’area di Szeged,14 intorno
a cui hanno stretto l’anello di occupazione minacciandone gli
approvvigionamenti, e la consegna, nel contesto delle ripara-
zioni di guerra, di partite di carbone delle miniere dell’area di
Pécs, che rimarrà sotto il controllo jugoslavo fino all’agosto del
1921 nonostante i tentativi del Consiglio Supremo di convince-
re Belgrado all’evacuazione, condizione essenziale – insieme al
ritiro delle truppe romene e cecoslovacche dal resto del territo-
rio ungherese – per condurre a buon fine le consultazioni per il
trattato di pace. Quando la Conferenza degli Ambasciatori infi-
ne ordinerà agli jugoslavi di ritirarsi dall’area di Pécs, Pašić e-
seguirà l’ordine non senza risentimento verso una richiesta alle-
ata che precede quella di evacuazione del Burgenland rivolta
agli ungheresi15. Senza successo gli jugoslavi avanzeranno an-
che l’ipotesi di un plebiscito per Mohács, la cui popolazione so-
stengono abbia espresso parere favorevole all’annessione al
Regno SHS16. Così come Pécs, Baja e Szeged anche Mohács
tornerà però all’Ungheria.

14
I serbi dei villaggi fra il Maros (Mureș) e il Tisza, a sud di Szeged, avrebbero infatti
chiesto l’unione ai connazionali del Banato. I rappresentanti italiani della commissione
e della sottocommissione territoriale si dichiarano per ragioni economiche e militari
contrari all’arretramento verso nord del confine già stabilito per l’Ungheria riuscendo a
far accettare il proprio punto di vista cui si allinea il resto della commissione anche per
le difficoltà oggettive che sarebbero sorte nel ridefinire la linea di confine. Ibidem.
15
La stampa jugoslava protesterà con veemenza contro l’imposizione di
un’evacuazione ritenuta un insulto per il Paese. Cfr. R. MACHRAY, op. cit., p. 160.
16
Gli jugoslavi sostengono Mohács rappresenti in Baranja un fondamentale centro
economico e culturale slavo, con una popolazione di dodicimila serbi (cattolici) e
quattromila ungheresi. Si veda AUSSME, E-8, b. 79, fasc. 25, Territori ungheresi non
ancora sgomberati dai serbi, Délégation du Royaume des Serbes, Croates et Slovènes à
la Conférence de la Paix, n. 3163, Nik. P. Pachitch, Paris, le 14 Août 1919 (copia del
Nell’Europa di
iii..Nell’Europa
III di Versailles.
Versailles. La Piccola
Piccola Intesa
Intesa 151
145

Nel giugno del 1920 il Trattato del Trianon altro non fa che
confermare la delimitazione del confine jugoslavo-ungherese
stabilita di fatto nel corso del 1919, con l’annessione al Regno
SHS di Bačka e Baranja inferiore, Medjumurje e Prekmurje.
Come affermerà Stanoje Stanojević, membro della sezione et-
nografica e storica jugoslava, non c’erano mai stati dubbi
sull’acquisizione della Vojvodina da parte jugoslava, si trattava
solamente di stabilire quanta se ne sarebbe acquisita, dal mo-
mento che gli jugoslavi si spingevano a rivendicarne la parte
più settentrionale con Baja e Pécs, e Timişoara per quanto ri-
guardava il Banato17.

3.1.2. Obiettivi e timori francesi

L’obiettivo della Francia è creare una barrière de l’est che ga-


rantisca la sicurezza europea isolando la Germania e la Russia
bolscevica18. La creazione di tale barriera, che nelle contingen-
ze del 1920 si dimostra necessaria per sostenere lo sforzo belli-
co polacco contro il bolscevismo, dimostra però tutte le diffi-
coltà francesi nel realizzare l’equilibrio sperato per l’Europa.
Un progetto franco-inglese di confederazione danubiana, ad e-

segretariato italiano); ivi, Telegramme, Conseil Suprême – Paris, Le Président du jour,


Vienne 21 Novembre 1919; ivi, b. 80, fasc. 10, Delimitazione frontiere con Ungheria e
incidenti, 1919, Commission des affaires roumaines et yougoslaves, Procès verbal n. 34
– Séance du Ier Décembre 1919, ivi, b. 81, fasc. 1, Délégation du Royaume des Serbes,
Croates et Slovènes à la Conférence de la Paix, Nik. P. Pachitch, Paris, le 22 Octobre
1919 (copia del segretariato italiano). Si vedano anche Á. HORNYÁK, op. cit., pp. 56-58;
A. VAGNINI, op. cit., p. 60.
17
Á. HORNYÁK, op. cit., p. 300.
18
Cfr. P.S. WANDYCZ, France and Her Eastern Allies 1919-1925. French-
Czechoslovak-Polish Relations from the Paris Peace Conference to Locarno, Green-
wood Press, Westport 1974, p. VII. Sulla politica francese nell’Europa centro-orientale
durante al Conferenza della Pace e nel periodo successivo si veda anche K. HOVI,
Cordon sanitaire or Barriere de l’Est? The Emergence of the New French Eastern
European Alliance Policy, 1917-1919, Turun Yliopisto, Turku 1975; ID., Alliance de
Revers: Stabilization of France’s Alliance Policies in East Central Europe, 1919-1921,
Turun yliopisto, Turku 1984. Sui rapporti tra la Francia e il Regno SHS si veda invece
S. SRETENOVIĆ, Francuska i Kraljevina Srba, Hrvata i Slovenaca, 1918–1929, Institut
za savremenu istoriju, Beograd 2008.
152
146 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

sempio, incontra l’irremovibile rifiuto di Belgrado, Praga e Bu-


carest convincendo Parigi e Londra a desistere dall’idea19. In ta-
li circostanze l’avvicinamento degli Stati successori in un ac-
cordo di garanzia difensiva cui possibilmente legare anche la
Polonia – sebbene stretto per vigilare sull’applicazione del Trat-
tato di Trianon e non in aperta funzione anti-bolscevica – di-
venta un tassello importante nel mosaico della politica estera
francese e «un fatto che dispiacerebbe – usando le parole del
generale Maurice Pellé, a capo della missione militare francese
a Praga e dello Stato Maggiore dell’esercito cecoslovacco – so-
lamente a chi intende lasciare sperare l’Ungheria in una modifi-
ca delle frontiere»20.
Compito francese sarà dare alla Piccola Intesa diretta contro
il revisionismo ungherese una valenza più ampiamente anti-
revisionista europea. La formazione di un blocco solido di Paesi
associati è visto dalla Francia come un possibile baluardo alle
“frontiere del germanesimo”. Regno SHS, Cecoslovacchia e
Romania diventeranno così pilastri della politica di difesa fran-
cese a est. Al timore per le velleità tedesche si accompagna
quello per la rivoluzione bolscevica che ha sovvertito l’ordine
imperiale russo e non solo minaccia di propagarsi in Europa –
di qui la necessità di istituire un cordon sanitaire – ma con la
distruzione del sistema di alleanze prebellico ha anche lasciato
gli alleati militarmente scoperti sul fianco orientale tedesco.
L’intervento alleato nella guerra russo-polacca prima, il patto di
sicurezza franco-polacco poi, hanno definitivamente incrinato
ogni possibilità di riconciliazione all’interno della vecchia alle-
anza dell’Intesa, un equilibrio in cui la Francia in realtà ancora
spera in caso di sconfitta bolscevica, al contrario della Polonia
la cui sicurezza passa necessariamente attraverso
l’indebolimento della Germania e della Russia a prescindere dal
regime politico russo. Pertanto secondo Parigi al fianco di Re-
gno SHS, Cecoslovacchia e Romania, ci sarebbero altri due Sta-
ti di cui si dovrebbe tenere conto: la Polonia e la stessa Unghe-

19
E. CAMPUS, op. cit., p. 14.
20
DDF, 1920, Iere série, tome II, doc. 463.
Nell’Europa di
iii..Nell’Europa
III di Versailles.
Versailles. La Piccola
Piccola Intesa
Intesa 153
147

ria, che la Francia, superata la parentesi Béla Kun, al contrario


dei suoi alleati regionali non ritiene una minaccia bensì un
plausibile pilastro della sua politica nell’Europa centro-
orientale21.
Del resto le relazioni tra la Francia e i Paesi che si appresta-
no a stringere l’alleanza della Piccola Intesa sono da tempo
consolidate dalla politica francese a sostegno delle piccole na-
zioni europee, che ha conosciuto una nuova spinta nell’ultima
fase della guerra in funzione anti-austriaca prima e anti-
bolscevica poi22. Lo stesso sodalizio tra Regno SHS, Cecoslo-
vacchia, Romania e Francia a difesa degli equilibri politico-
territoriali dell’Europa danubiana precede la formazione della
Piccola Intesa con l’intervento contro la Repubblica dei Consi-
gli ungherese di Béla Kun proclamata il 21 marzo 1919, anche
se l’impegno militare jugoslavo sarà piuttosto marginale. Se da
una parte Pašić è convinto che i bolscevichi vogliano ristabilire
le “frontiere storiche” dell’Ungheria rappresentando una mi-
naccia per gli Stati successori,23 dall’altra è altrettanto sicuro
che Bulgaria, Albania e Italia rappresentino per il Regno SHS
ben più grave minaccia che il bolscevismo ungherese24. Per tale
ragione gli jugoslavi non sono disposti a impegnarsi con i fran-
cesi assumendosi i rischi di un intervento militare diretto in
Ungheria: così si oppongono alla richiesta di Franchet
d’Espèrey di far partecipare tre loro divisioni alle operazioni ol-
tre la linea di demarcazione stabilita a Belgrado il 13 novembre
garantendo solamente la difesa del tratto meridionale del fronte
e concedendo una divisione da impiegare qualora la sua parte-

21
Si veda J.O. CRANE, op. cit., pp. IX-X; P.S. WANDYCZ, France and Her Eastern
Allies 1919-1925, pp. 3 e 187. Oltre le inevitabili difficoltà nel tentativo di avvicinare
l’Ungheria e tre Paesi che vanno costituendole contro un’alleanza difensiva risulta dif-
ficile anche legare Polonia e Piccola Intesa in ragione delle contese territoriali tra po-
lacchi e cecoslovacchi su Teschen e la Javořina.
22
DDF, 1920, Iere série, tome III, doc. 433.
23
FRUS-PPC, vol. VII, p. 182; DBFP, 1919-1939, First Series, vol. I, 1947, No. 13.
24
Á. HORNYÁK, op. cit., p. 45.
154
148 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

cipazione risulti indispensabile al successo delle operazioni25.


Mentre la Skupština a Belgrado approva crediti supplementari
per le spese militari, da Zagabria ci si limita a diramare alle au-
torità civili l’ordine di sospendere i movimenti ferroviari e in-
terrompere le comunicazioni postali, telegrafiche e telefoniche
verso l’Ungheria26.
Si tornerà a insistere per un intervento jugoslavo nel giugno
successivo a rimedio del momentaneo arresto dell’avanzata ro-
mena e cecoslovacca. Belgrado accetterà di impiegare unità
stanziate nell’area di Subotica in cambio di garanzie per la futu-
ra definizione dei confini di Bačka, Baranja e Banato, nonché
assicurazioni contro eventuali iniziative italiane lungo le fron-
tiere albanesi27. Come è noto la ripresa dell’offensiva romena e
la sconfitta delle forze rivoluzionarie ungheresi porterà al col-
lasso del regime di Béla Kun con l’ingresso delle truppe rome-
ne a Budapest il 4 agosto 191928.
Per la Francia l’Austria-Ungheria fino al momento della sua
dissoluzione ha giocato un ruolo fondamentale nel mantenimen-
to degli equilibri di potere europei rappresentando in determina-
te circostanze un argine all’imperialismo prussiano29. A Parigi
si crede poco al revanscismo ungherese e si pensa a un blocco
centro-orientale contro il bolscevismo. Il timore francese è che
la politica anti-ungherese della Piccola Intesa possa presentare
il grave inconveniente di isolare Budapest e spingerla verso
l’alleanza con la Germania aumentando la divisione politica
dell’Europa centrale e il rischio di nuovi conflitti. In tal senso i
tentavi francesi di integrare anche la Polonia e la Grecia nella

25
Ivi, pp. 32-36; A. VAGNINI, op. cit., pp. 29-31. La divisione rimarrà inutilizzata an-
che perché dagli inizi di maggio sarà parzialmente impiegata nell’area di Klagenfurt
contro gli austriaci.
26
AUSSME, E-8, b. 79, fasc. 24, Ripercussione degli avvenimenti in Ungheria 1919,
D.I.P.-S.M., copia di telegramma in arrivo, 566 P.M. Spec. Notizie Jugoslavia, generale
Grazioli, 3 aprile 1919.
27
Á. HORNYÁK, op. cit., pp. 47-49; A. VAGNINI, op. cit., pp. 36-37.
28
Sugli eventi ungheresi si veda P. FORNARO, Crisi post-bellica e rivoluzione.
L’Ungheria dei Consigli e l’Europa danubiana nel primo dopoguerra, Franco Angeli,
Milano 1987.
29
Si veda V. PAVLOVIĆ, Le conflit franco-italien dans les Balkans, pp. 171-172.
Nell’Europa di
iii..Nell’Europa
III di Versailles.
Versailles. La Piccola
Piccola Intesa
Intesa 155
149

rete dei patti bilaterali costituenti la Piccola Intesa non aiute-


ranno certo a fugare i complessi di accerchiamento ungheresi.
Per tale ragione la Francia spera di normalizzare le relazioni fra
gli Stati successori. A tale scopo Millerand incoraggia perso-
nalmente un ravvicinamento economico tra imprese francesi e
ungheresi. Sostenuto da gruppi industriali e ambienti conserva-
tori interessati all’espansione dell’economia nazionale nell’area
danubiana non vi è dubbio che lo sviluppo dell’influenza fran-
cese a Budapest sia finalizzata anche a scongiurare l’affermarsi
di tendenze revansciste in Ungheria30.
I tentativi di riconciliazione franco-ungheresi, almeno in un
primo tempo, non sono accolti negativamente a Belgrado. Nei
circoli politici della capitale è diffusa l’idea che un’intesa tra
Parigi e Budapest possa ben contrastare le politiche dell’Italia e
della Gran Bretagna nella regione e i piani per una confedera-
zione danubiana. L’Ungheria sotto influenza francese rappre-
senterebbe un pericolo minore per lo status quo preferibile
all’ingresso dei magiari nella sfera italiana o inglese. Questa
almeno è la prospettiva che i diplomatici francesi enfatizzano a
Praga, Bucarest e Belgrado31. Influenti circoli politici francesi
sono inclini a ritenere un grave errore ignorare il ruolo storico
sostenuto dall’Ungheria nell’Europa centrale e spingono per
conciliare le relazioni ungheresi con i vicini jugoslavi, cecoslo-
vacchi e romeni. Tale inclinazione induce Beneš – che non
manca comunque di sondare il terreno per negoziati con il go-
verno di Budapest – ad affrettare le trattative per la Piccola In-
tesa onde porre la Francia dinanzi un fait accompli che ne possa
condizionare la politica estera. Se la prospettiva di tale alleanza
trova infatti l’ampio sostegno degli ambienti diplomatici fran-
cesi a Praga, Belgrado e Bucarest, al Quai d’Orsay vi è chi vi si

30
DDF, Iere série 1920, tome II, doc. 392. Sui rapporti franco-ungheresi nel 1920 si
veda più in generale A. ORDE, France and Hungary in 1920: Revisionism and Rail-
ways, in Journal of Contemporary History, 15, 3, 1980, pp. 475-492; M. ÁDÁM, op. cit.,
pp. 47-89.
31
M. ÁDÁM, op. cit., pp. 80-81.
156
150 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

oppone chiaramente, sostenuto da parte della stampa nazionale,


che accusa di tradimento i cecoslovacchi32.
A Parigi il principale detrattore della Piccola Intesa è il se-
gretario generale Maurice Paléologue, che non avrebbe sotta-
ciuto a Beneš e Pašić la contrarietà del governo francese
all’iniziativa, diffidandoli dal portare a termine gli accordi di-
fensivi jugoslavo-cecoslovacchi33. Nella capitale c’è chi consi-
dera la Piccola Intesa una politica alternativa alla francese. Il di-
rettore della sezione politica del Ministero degli Esteri, Emma-
nuel Peretti della Rocca, a colloquio con l’inviato ungherese a
Parigi sostiene che la Piccola Intesa possa essere addirittura
considerata come diretta contro la Francia. Anche il diplomati-
co polacco Erasmus Piltz ritiene che il principale timore france-
se sia l’eventualità che il blocco cecoslovacco-jugoslavo-
romeno possa emanciparsi dall’influenza francese34. Lo stesso
ministro francese a Belgrado Clément-Simon non nasconde che
la Piccola Intesa possa assumere un carattere anti-francese seb-
bene tenda a sminuire il generale allarmismo di Parigi35.
Al Ministero degli Esteri francese ritengono che l’Ungheria
possa avere un ruolo fondamentale nel fronte anti-bolscevico
che la diplomazia francese si sforza di creare a sostegno della
Polonia. Uno dei compiti più difficili in tal senso sarebbe
l’avvicinare Ungheria e Romania giocando sui timori della se-
conda nei confronti della Russia bolscevica (Regno SHS e Ce-
coslovacchia sarebbero a quel punto persuase a unirsi

32
DDF, Iere série 1920, tome II, doc. 476.
33
Sui piani di Paléologue per l’Europa danubiano-balcanica si veda Á. HORNYÁK, op.
cit., pp. 83-91.
34
Si veda P.S. WANDYCZ, France and Her Eastern Allies 1919-1925, pp. 196-197. A
Parigi si teme soprattutto che Italia e Gran Bretagna possano influenzare la Piccola In-
tesa per bilanciare le ambizioni francesi nell’area danubiana. M. ÁDÁM, op. cit., pp. 94.
35
Scrive Clément-Simon: «[…] La Piccola Intesa non ha ancora perduto il suo
carattere di concorrenza con la Grande Intesa. Su questo punto non possiamo sbagliarci,
ma non dobbiamo neppure allarmarci; infatti con questo accordo le Piccole Potenze si
garantiscono reciprocamente i loro interessi specifici ma anche l’esercizio della loro
saggezza… Un progetto realizzato dal Sig. Pašić, dal Sig. Beneš e dal Sig. Take Ionescu
non può rivolgersi contro di noi… anche se il Sig. Brătianu fosse il successore del Sig.
Ionescu». DDF, Iere série, 1921, tome I, doc. 465.
Nell’Europa di
iii..Nell’Europa
III di Versailles.
Versailles. La Piccola
Piccola Intesa
Intesa 157
151

all’alleanza)36. Per tale ragione Parigi ben accoglie nell’agosto


del 1920 l’apertura diplomatica tra Budapest e Bucarest, soprat-
tutto dovuta agli intenti concilianti della seconda37.
I tentativi di ripresa dei rapporti diplomatici tra Ungheria e
Romania avvengono tuttavia pochi giorni dopo il patto jugosla-
vo-cecoclovacco e l’avvicinamento di Praga e Belgrado a Buca-
rest, eventi che renderanno più complessi gli obiettivi francesi.
A questo punto per Parigi diventa necessario concentrare il pro-
prio sistema di alleanze su un’intesa che va già consolidandosi
contro i Paesi che oppongono le condizioni dei trattati di pace.
La Piccola Intesa in tal modo diventerà il fulcro della politica
del Quai d’Orsay, anche se Parigi continuerà a impegnarsi so-
prattutto con il governo polacco per la realizzazione di
un’intesa a cinque che includa anche Polonia e Grecia, unica
soluzione, ad avviso dei francesi, che possa garantire l’Europa
oltre che dall’egemonia tedesca e dalla minaccia bolscevica an-
che dalle manovre italiane. Philippe Berthelot, che subentrerà a
Paléologue al segretariato generale del Ministero degli Esteri
francese nel settembre del 1920, sosterrà l’intesa a cinque cal-
deggiata anche da Take Ionescu, sconfessando l’orientamento
del suo predecessore favorevole a un improbabile blocco polac-
co-ungherese-romeno. Secondo i francesi quest’ipotesi allargata
sarebbe oggettivamente più funzionale alla tutela dello status
quo38. Non riuscendo in un rapido avvicinamento dei polacchi
al blocco centro-europeo nel febbraio 1921 la Francia stringerà
con la Polonia un accordo politico e militare coronamento del
sostegno fornito durante la guerra russo-polacca39.
Non sembra infatti vi sia verso di coinvolgere la Polonia in
un’alleanza difensiva che abbia presupposti anti-ungheresi – ne
discutono nel marzo del 1920 i ministri britannico e polacco a
Belgrado Alban Young e Erazm Piltz. I rapporti tra polacchi e
ungheresi sono buoni – afferma Young – storicamente i due

36
P.S. WANDYCZ, France and Her Eastern Allies 1919-1925, p. 196.
37
DDF, Iere série, 1920, tome II, doc. 360; ivi, tome III, doc. 56.
38
Ivi, 1920, tome III, doc. 433. Si veda anche P.S. WANDYCZ, France and Her East-
ern Allies 1919-1925, p. 202.
39
P.S. WANDYCZ, France and Her Eastern Allies 1919-1925, pp. 217-219.
158
152 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

popoli sono stati vicini nella lotta per l’emancipazione naziona-


le40. Qualora in un secondo tempo la Polonia aderisse alla Pic-
cola Intesa sarebbe grazie all’influenza della Romania, cui è u-
nita dal timore per l’espansione bolscevica e il reciproco inte-
resse a tutelare i rispettivi confini orientali41.
Al contrario tra Varsavia e Praga i rapporti restano tesi a
causa della questione di Teschen, la regione slesiana ricca di
carbone ambita dalla Cecoslovacchia per diritti storici e dalla
Polonia in base al principio di nazionalità. Erazm Piltz, fervente
sostenitore della collaborazione tra polacchi e cecoslovacchi,
sarà appositamente nominato ministro a Praga (3 luglio 1921)
con l’incarico di attenuare i sentimenti anti-polacchi diffusi nel-
la capitale cecoslovacca dalla questione di Teschen. Come mi-
nistro polacco a Belgrado Piltz si è già dimostrato prezioso nel
combattere la tradizionale influenza russa tra gli jugoslavi e tra
i serbi in particolare: incarico non facile se si considera la con-
tinua propaganda condotta dall’emigrazione bianca volta a
screditare la Polonia agli occhi degli jugoslavi42. Nella capitale
del Regno SHS Piltz si è anche impegnato per garantire alla Po-
lonia i rifornimenti jugoslavi durante la guerra contro i bolsce-
vichi ma non è riuscito a superare l’opposizione di Pašić verso
il riconoscimento dei diritti polacchi sulla Galizia orientale43.

40
DBFP, 1919-1939, First Series, vol. XII, No. 120.
41
DDF, 1920, tome III, doc. 433. Si veda anche P.S. WANDYCZ, France and Her
Eastern Allies 1919-1925, p. 152. Sui rapporti polacco-romeni e la politica estera di
Varsavia verso i Balcani si veda W. STEPNIAK, Polish Diplomacy on the Balkans
(1918-1926), in Arhiv, Časopis Arhiva Jugoslavije, 2, 2001, pp. 96-103.
42
In questo periodo il Regno SHS è una delle principali destinazioni dell’emigrazione
russa bianca. Dopo la vittoria dei rossi si conta infatti nel Paese la presenza di circa
60.000 russi bianchi. Al generale Wrangel è consentita l’organizzazione di una legione
militare, mentre diversi suoi ufficiali sono accolti nell’esercito regolare. Altri esuli ot-
tengono impieghi nell’amministrazione pubblica e nella polizia. Cfr. M. ÁDÁM, op. cit.,
p. 223; J. PIRJEVEC, op. cit., p. 47.
43
Cfr. W. STEPNIAK, op. cit., p. 99.
Nell’Europa di
iii..Nell’Europa
III di Versailles.
Versailles. La Piccola
Piccola Intesa
Intesa 159
153

3.1.3. La Gran Bretagna e i rapporti jugoslavo-ungheresi

Gli interessi strategici britannici solo in parte coincidono con


quelli francesi. La Gran Bretagna associandosi senza riserve al-
la politica francese di contenimento della Germania finirebbe
infatti con il contribuire ad aumentare l’influenza della Francia
sul continente, che egualmente teme44. Harold Nicolson, tra i
più lungimiranti negoziatori inglesi a Parigi, non cesserà di sot-
tolineare come i tentativi francesi di imporre condizioni di pace
umilianti ai tedeschi possano solamente provocare risentimento
e ambizioni di rivalsa45. Lloyd George, in un memorandum del
25 marzo 1919, esprime dubbi analoghi sull’efficienza di una
pace fondata sull’umiliazione degli sconfitti e l’assegnazione di
ampie minoranze magiare agli Stati successori46. Sia Wilson sia
Lloyd George sostengono la necessità di non approfondire il
solco tra vincitori e vinti e si oppongono senza successo
all’intervento militare contro la Repubblica dei Consigli unghe-
rese preferendo la politica dei negoziati47.
La Gran Bretagna ha vedute contrastanti anche con gli Stati
successori. Gli inglesi considerano Budapest un futuro centro
delle loro attività economiche, l’interesse degli Stati successori
è invece mantenere debole e isolata l’Ungheria contrastandone
le presunte ambizioni di riguadagnare il precedente status.
Gli jugoslavi non mancano di notare come Londra abbia in-
viato una missione commerciale in Ungheria ma non nel Regno
SHS: ciò proverebbe le aspettative inglesi di maggiori profitti in
territorio ungherese. Secondo Young i britannici dovrebbero
favorire la riconciliazione degli Stati successori, dell’Ungheria
con i suoi vicini, in modo da poter consentire la ripresa econo-
mica magiara senza difficoltà; al tempo stesso dovrebbero però
44
Pur consentendo alla Francia di estendere la propria influenza continentale la Gran
Bretagna manterrà una costante attenzione alla politica francese nel bacino danubiano
per contrastarla quando necessario facendo causa comune con l’Italia. M. ÁDÁM, op.
cit., 219.
45
Per la testimonianza di Nicolson sui lavori della Conferenza della Pace si veda H.
NICOLSON, Peacemaking, 1919, Grosset & Dunlap, New York 1965.
46
A. VAGNINI, op. cit., p. 59.
47
M. ÁDÁM, op. cit., 38.
160
154 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

fare attenzione a non suscitare i risentimenti jugoslavi e soprat-


tutto della loro leadership serba per la scelta dell’ex nemico an-
ziché di Belgrado o della più promettente – dal punto di vista
industriale – Croazia come centro delle iniziative economiche
britanniche48.

La Serbia – sostiene Young – sente la sua naturale inferiorità


nell’attitudine affaristica, ma è pienamente consapevole del suo
genio militare. Ritiene, non senza ragioni, che sarà lei la poten-
za militare guida tra i piccoli Stati europei.49

L’Ungheria in tal senso potrebbe essere una rivale, una ra-


gione in più per contrastare eventuali tentativi di risollevarne le
condizioni economiche.

La Serbia – afferma ancora il ministro britannico a Belgrado –


pensa di avere poco da temere dal contagio del bolscevismo, e
se l’Ungheria fosse ridotta dal bisogno a uno stato di anarchia,
perché dal momento che c’è il precedente della Romania chia-
mata a restaurarne l’ordine non potrebbe la Serbia svolgere tale
ruolo? Non so se le ragioni del governo SHS siano realmente
così machiavelliche, ma ritengo che il fatto stesso dell’interesse
che la Gran Bretagna sta mostrando […] nella riabilitazione
dell’Ungheria è un fattore che rafforza la tendenza degli Stati
circostanti a combinarsi in opposizione a un intento che appare
loro con un potenziale altamente pericoloso.50

Young insisterà sulla spedizione di rifornimenti alimentari


in Ungheria con Miroslav Spalajković, ministro senza portafo-
glio nel governo Protić entrato in carica il 20 febbraio 1920. La
questione è di fondamentale importanza per la stabilità del ba-

48
DBFP, 1919-1939, First Series, vol. XII, No. 120. Per tale ragione la Gran Bre-
tagna allargherà rapidamente le proprie attività commerciali anche ai Paesi della Piccola
Intesa con accordi dai risultati particolarmente proficui soprattutto nel caso del Regno
SHS e della Romania, dove gli inglesi mirano a sostituire l’influenza economica in pre-
cedenza esercitata da Austria-Ungheria e Germania entrando in competizione con
l’industria cecolovacca. M. ÁDÁM, op. cit., p. 218.
49
DBFP, 1919-1939, First Series, vol. XII, No. 120.
50
Ibidem.
Nell’Europa di
iii..Nell’Europa
III di Versailles.
Versailles. La Piccola
Piccola Intesa
Intesa 161
155

cino danubiano51. L’accordo per la fornitura di viveri raggiunto


con Belgrado nel settembre del 1919 non è mai diventato pie-
namente effettivo e le relazioni politiche e commerciali tra Re-
gno SHS e Ungheria, causa le tensioni per le questioni confina-
rie, di fatto si sono interrotte alla fine dell’anno52. Per tale ra-
gione la missione ungherese del generale Sándor Belitska è sta-
ta inviata da Horthy nella capitale jugoslava nel tentativo di ri-
cucire i rapporti con Belgrado. Oggetto dell’incontro
l’amministrazione civile nei distretti occupati dalle truppe ser-
bo-jugoslave che sicuramente torneranno all’Ungheria53. Le au-
torità ungheresi lamentano l’indisciplina e la propensione al
furto e alla violenza di queste ultime in particolare nel distretto
di Pécs54.
Spalajković sembra possibilista sul riavvicinamento jugo-
slavo-ungherese: d’altronde – sostiene – il Regno SHS ha meno
ragioni di Cecoslovacchia e Romania per temere il revisionismo
territoriale ungherese e i prodotti industriali magiari sono ne-
cessari all’economia jugoslava. Young commenta tuttavia che

51
Ibidem. Il Regno SHS è l’unico tra i tre Paesi che stringeranno la Piccola Intesa con
cui in questo periodo l’Ungheria tenta un più concreto riavvicinamento e la normaliz-
zazione dei rapport politici ed economici. Se paragonati ai territori ungheresi occupati
da Cecoslovacchia e Romania, quelli sotto occupazione delle truppe serbo-jugoslave
hanno minore estensione e – escluse le aree di Pécs e Mohács – l’Ungheria si dimostra
più propensa ad accettarne la perdita. Anche la situazione della minoranza ungherese
sottoposta all’autorità jugoslava – numericamente più esigua di quelle rimaste in territo-
rio cecoslovacco o romeno – è migliore rispetto a quella della popolazione magiara
negli altri due Stati successori. L’Ungheria spera in tal modo di ostacolare la creazione
del blocco anti-ungherese che va delineandosi nel bacino danubiano. M. ÁDÁM, op. cit.,
p. 230.
52
Á. HORNYÁK, op. cit., p. 77; A. VAGNINI, op. cit., p. 43. Fondamentale alla loro in-
terruzione l’incidente di Rédics, villaggio di confine nel Prekmurje, dove il 29 novem-
bre 1919 la violazione della linea di demarcazione da parte di una sessantina di unghe-
resi tra guardie di confine e civili porta a incidenti con le guardie di confine jugoslave
provocando morti e feriti da ambo le parti. I contatti tra i due Paesi per le forniture ali-
mentari sarebbero ripresi nel primo trimestre del 1920. Si veda Á. HORNYÁK, op. cit.,
pp. 78 e 309.
53
DBFP, 1919-1939, First Series, vol. XII, No. 120. Si veda anche Á. HORNYÁK, op.
cit., pp. 80-81.
54
Gli ungheresi auspicano l’invio di una missione militare che rimanga nei territori
della Baranja, di Somogy e Pécs fino a quando l’evacuazione serbo-jugoslava non sia
completata. AUSSME, E-8, b. 79, fasc. 25, Telegram from Sir George Clerk, to Su-
preme Council, Budapest November 20th, 1919, No. 14.
162
156 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

Spalajković non è un ministro rappresentativo e il suo giudizio


ha un’influenza relativa sulle decisioni di Protić e del resto del-
la Skupština55.
Le pressioni britanniche, supportate da quelle americane,
contribuiranno al raggiungimento, due settimane più tardi, di un
nuovo accordo sugli approvvigionamenti alimentari tra Belgra-
do e Budapest (8 marzo 1920), di fondamentale importanza per
la normalizzazione della situazione interna ungherese56. Ciò che
rimarrà invece lontano dall’essere normalizzato saranno i rap-
porti tra i due Paesi, con il Regno SHS che continuerà ad accu-
sare il governo ungherese di sostenere le attività separatiste cro-
ate, albanesi e montenegrine e di riorganizzare la propria forza
militare in violazione alle condizioni di armistizio. I sospetti di
Belgrado verso il vicino ungherese il 20 aprile 1920 saranno
consolidati da un tentativo di insurrezione a Subotica in cui ri-
mangono uccisi tre poliziotti jugoslavi e feriti altri dieci. Risul-
teranno coinvolte centocinquanta persone per gran parte di na-
zionalità ungherese, ma soprattutto le indagini jugoslave attri-
buiranno l’organizzazione della ribellione non solo ai comunisti
ma anche all’associazione di protezione territoriale ungherese.
Un mese più tardi la tensione tra Belgrado e Budapest non ac-
cennerà a diminuire al punto che il rappresentante diplomatico
jugoslavo nella capitale ungherese Lazar Bajić è dichiarato
“persona non grata” in Ungheria. Alle origini della decisione i
contrasti sorti tra i due Paesi per il trattamento delle rispettive
minoranze – l’espulsione dei funzionari ungheresi che hanno ri-
fiutato il giuramento di fedeltà al Regno SHS e l’arresto di ju-
goslavi in Ungheria – e le relative proteste di Bajić ritenute da-
gli ungheresi una grave interferenza negli affari interni del Pae-
se. Baijć sarà richiamato in patria, mentre una nuova missione
diplomatica, questa volta elevata al rango di ministero, sarà in-
viata a Budapest solamente nel settembre del 192057.

55
DBFP, 1919-1939, First Series, vol. XII, No. 120.
56
A. VAGNINI, op. cit., p. 48.
57
Á. HORNYÁK, op. cit., pp. 87-89.
Nell’Europa di
iii..Nell’Europa
III di Versailles.
Versailles. La Piccola
Piccola Intesa
Intesa 163
157

Nonostante i dubbi non manchino anche la Gran Bretagna


finirà con il sostenere la creazione della Piccola Intesa.
Nell’ottobre del 1920 Lord Curzon, Foreign Secretary britanni-
co, lo dichiarerà apertamente in una comunicazione al ministro
a Bucarest Frank Rattigan in risposta all’annuncio
dell’opposizione del conservatore Alexandru Marghiloman
all’adesione della Romania alla Piccola Intesa58. Curzon rileva
l’importanza per Londra della cooperazione dei Paesi del sud-
est europeo nel mantenimento dell’equilibrio dettato dai trattati
di pace. Secondo Curzon la politica generalmente detta della
“Piccola Intesa” incontra pienamente l’approvazione del gover-
no britannico, a maggior ragione considerando i “pericolosi in-
trighi” francesi e italiani intercorsi l’anno precedente
nell’area59.

3.2. Plebiscito in Carinzia

Al termine della guerra la disputa sulla frontiera austro-slovena


rende impossibile normalizzare le relazioni tra Austria e Regno
SHS – una normalizzazione fondamentale per Belgrado che ha
ereditato dalla Serbia prebellica un sistema economico avente
nella capitale austriaca un indispensabile terminale per le pro-
prie esportazioni commerciali. I dissidi tra austriaci e sloveni
sorgono già nel maggio del 1917 in seguito al pronunciamento
del Club jugoslavo in favore dell’unificazione dei territori sla-
vo-meridionali della Duplice Monarchia. Gli austro-tedeschi ca-
rinziani reagiscono con proteste e manifestazioni anti-jugoslave
a Spittal, St. Veit, Wolfsberg e Klagenfurt (gennaio-luglio
1918). Gli sloveni si affrettano a costituire un embrione di go-
verno nazionale, gli austro-tedeschi, che temono l’occupazione

58
DBFP, 1919-1939, First Series, vol. XII, No. 242. Sui rapporti tra Gran Bretagna e
Piccola Intesa si veda O. Carmi, La Grande-Bretagne et la Petite Entente, Librairie
Droz, Geneva 1972.
59
DBFP, 1919-1939, First Series, vol. XII, No. 242. Si veda anche M. ÁDÁM, op. cit.,
p. 94.
164
158 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

serba in territorio carinziano, sollecitano la costituzione di pre-


sidi internazionali a Villach e Klagenfurt60.
All’inizio del 1919 un arbitrato del tenente colonnello
Sherman Miles (missione Coolidge) fissa la linea provvisoria di
demarcazione valevole in attesa delle decisioni della Conferen-
za della Pace. Il confine delineato si svolge lungo il corso della
Drava da Unterdranburg a Villach per poi ripiegare verso sud
fino al confine amministrativo carinziano. La commissione a-
mericana impone ai profughi il ritorno alle proprie abitazioni e
avvia un’indagine tra la popolazione nel tentativo di conoscere
il sentimento nazionale dominante in Carinzia61. Gli jugoslavi
non accetteranno le conclusioni dell’arbitrato ritenuto eccessi-
vamente favorevole all’Austria, ma critiche all’operato della
commissione americana giungeranno anche dai francesi, che
sostengono la prevalenza etnica slovena nel territorio carinzia-
no.
Una serie di incidenti in Carinzia come in Stiria danno occa-
sione a austro-tedeschi e jugoslavi di lanciarsi reciproche accu-
se di violazione delle condizioni di armistizio62. A Völkermarkt
(Carinzia) il 22 gennaio un’adunata di tremila austro-tedeschi
conclusa dall’inno Wacht am Rhein e dall’aggressione a un
commissario jugoslavo è dispersa dai soldati serbo-jugoslavi63.
A Kartburg (Carinzia) il 30 gennaio gli jugoslavi infrangono la
linea di armistizio americana, mentre nelle vicinanze di Dreifal-
tigkeitsberg, sull’altra riva della Drava, sparano su un reparto
austro-tedesco64. Nel distretto di Tüffer (Stiria) in seguito
all’arrivo delle truppe serbo-jugoslave sono sostituite le ammi-

60
Si veda P. VODOPIVEC, Commentary: the 1920 Carinthian Plebiscite, in Slovene
Studies, n. 8/1, 1986, pp. 21-25.
61
AUSSME, E-8, b. 79, fasc. 17, Marburg, disordini e incidenti, 1919 in Carinzia,
Klagenfurter Zeitung, 26/1.
62
Gli austro-tedeschi non intendono permettere agli jugoslavi di mettere piede a nord
della catena delle Karavanke, confine naturale e baluardo contro le genti slave su cui
poi si stabilirà effettivamente il confine di Stato. In più occasioni non rispetteranno la
linea di armistizio suscitando le proteste jugoslave presso la commissione americana.
Ivi, Lotta nella Stiria, Grazer Taglebatt, 24/1.
63
Ivi, Disordini a Völkermarkt, Klagenfurter Zeitung, 26/1.
64
Ivi, In Carinzia, Neues Wiener Taglebatt, 2/2.
Nell’Europa di
iii..Nell’Europa
III di Versailles.
Versailles. La Piccola
Piccola Intesa
Intesa 165
159

nistrazioni comunali e distrettuali austro-tedesche e licenziato


l’intero corpo insegnanti65. A Radkertsburg (Stiria) le truppe
serbo-jugoslave, invitate all’evacuazione dalla commissione
americana,66 rientrano dopo alcuni giorni – quando gli america-
ni hanno abbandonato la città – inducendo le autorità cittadine a
rivolgersi a un reggimento di fanteria magiaro di stanza a Va-
shidegkurt per ripristinare l’ordine67. Nei pressi di Mureck, in-
fine, gli austro-tedeschi attaccano gli jugoslavi finendo sotto il
fuoco delle mitragliatrici posizionate allo Schlossberg68.
La situazione più grave si verifica a Maribor nella Stiria me-
ridionale dove la popolazione tedesca è sotto occupazione jugo-
slava. Le condizioni della città sono miserevoli: le scuole sono
chiuse, alla popolazione tedesca sono rifiutate le razioni di vi-
veri, il giornale Marburger Zeitung è soppresso69. Alla commis-
sione americana la popolazione esprime apertamente la volontà
di essere annessa all’Austria, ma la folla di diecimila austro-
tedeschi riunitasi a tal fine in una dimostrazione di massa è di-
spersa dai soldati serbo-jugoslavi che uccidono dieci persone
ferendone altre cinquanta (27 gennaio). A nulla serve il tentati-
vo delle autorità jugoslave di impedire la diffusione della noti-

65
Ivi, Arrivi di truppe serbe, Grazer Taglebatt, 14.
66
La commissione di studio giunta a Radkersburg il 20 gennaio visita gli archivi della
città e ne costata il tradizionale carattere tedesco, contrariamente all’asserzione del
generale Rudolf Majster – ex maggiore dell’esercito austro-ungarico di origine slovena
che occupa la regione carinziana in nome dello Stato jugoslavo – secondo la quale la
città sarebbe stata una volta slovena. La popolazione organizza una dimostrazione
esigendo l’esposizione della bandiera nazionale rossa, gialla e nera. Quando la bandiera
è issata sul municipio la folla scoppia in applausi e in breve in tutte le case sono esposte
le bandiere nazionali. I dimostranti si ornano della coccarda nazionale malgrado i
soldati serbo-jugoslavi cerchino di farle togliere. Appena la commissione americana
parte i soldati jugoslavi strappano la bandiera dal municipio, si introducono nelle case,
tutte le bandiere spariscono e dalla stazione è tolta l’insegna con il nome tedesco della
città. Ivi, fasc. 18, Il carattere tedesco di Radkersburg, Reichspost, Vienna, 1/2.
67
Nuovamente allontanati gli jugoslavi torneranno a Radkersburg all’inizio di
febbraio costringendo la popolazione austro-tedesca a ritirarsi nella regione di
Halbeurain. Ivi, Crudeltà dei soldati jugoslavi a Radkersburg, Az Újság, Budapest, 25/1.
68
Ivi, fasc. 17, Radkersburg, Neues Wiener Journal, 6/2; Fremdenblatt, 8/2. Una
missione francese è inviata a Mureck e Radkersburg per far cessare le ostilità. Grazie al
suo intervento è concluso un nuovo armistizio sino al mattino dell’11 febbraio. Ivi,
Neue Freie Press, 9/2 e 10/2.
69
Ivi, Misure contro i tedeschi a Marburgo, Neue Freie Presse, 29/1.
166
160 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

zia interrompendo le comunicazioni tra Maribor e Graz: la


stampa austro-tedesca parla di “bagno di sangue premeditato”;
l’accaduto è deplorato dalla stessa popolazione slovena70.

3.2.1. La questione del confine austro-sloveno alla Conferenza


della Pace

Alla Conferenza della Pace la delegazione jugoslava rivendica


la Stiria inferiore e buona parte della Carinzia, lungo una linea
grosso modo corrispondente al confine linguistico tra sloveno e
tedesco. Gli jugoslavi chiedono le quattro città principali delle
due province, Bad Radkersburg (Radgona), Marburg an der
Drau (Maribor), Klagenfurt am Wörthersee (Celovec) e Villach
(Beljak). Sulla base dell’effettiva maggioranza slovena della re-
gione stiriano-carinziana nel suo insieme gli jugoslavi non con-
siderano attendibili le statistiche austriache, ritenute come nel
caso dei territori disputati all’Italia, ineluttabilmente alterate per
ragioni politiche71.
Dell’esistenza di una frontiera linguistica e culturale tra le
due nazionalità, interna alla monarchia asburgica e al Ducato di
Stiria, raffigurante anche un confine immaginario tra Europa
sud-orientale e Europa centro-occidentale, si parlava dall’inizio
del XIX secolo. Nel 1819 Franz Grillparzer scrive di un pae-
saggio che cambia quando si abbandona la bella regione stiriana
a carattere tedesco per entrare nella parte slovena del Ducato,
sgradevole e povera. Sebbene Grillparzer si riferisse allo stile
architettonico della regione gli austro-tedeschi attribuiranno alle
sue parole un significato identitario e nazionale sostenendo
l’idea dell’esistenza di una frontiera “virtuale” che li distanzia

70
Ivi, I fatti di Marburg, Neue Freie Presse, 28/1; Fremdenblatt, 2/2; ivi, fasc. 18, I
fatti di Marburgo sarebbero stati premeditati, Grazer Tagblatt, Graz, 2/2.
71
Secondo i dati jugoslavi la Stiria sarebbe abitata da 426.000 slavi contro 78.000
austro-tedeschi e la Carinzia – a sud della linea linguistica – da 124.000 sloveni contro
38.000 austro-tedeschi. I.J. LEDERER, op. cit., p. 119. Sulla questione carinziana alla
Conferenza della Pace si veda L. KARDUM, Diplomatska borba za Korušku na Pariškoj
mirovnoj konferenciji 1919. godine, in Politička misao, XXXVIII, 1, 2001, pp. 125-
142.
Nell’Europa di
iii..Nell’Europa
III di Versailles.
Versailles. La Piccola
Piccola Intesa
Intesa 167
161

dall’arretratezza e dal sottosviluppo slavo72. Il confine stabilito


alla Conferenza della Pace passerà un terzo della regione stiria-
na (la parte meridionale) al Regno SHS: Pašić tenterà senza
successo di ribadire il carattere storicamente sloveno del trian-
golo di Radkersburg che tuttavia sarà lasciato all’Austria73.
In Carinzia il censimento austriaco del 1910 attesta la pre-
senza di 304.287 tedeschi e 82.212 sloveni con una maggioran-
za slovena solamente nel distretto di Völkermarkt (39.518 slo-
veni contro 11.585 austro-tedeschi) e nei distretti giudiziari di
Arnoldstein e Rosegg (distretto politico di Villach). Gli jugo-
slavi contestano l’esattezza del censimento del 1910 e ricordano
come quello del 1880 avesse contato in Carinzia la presenza di
241.785 tedeschi e 102.252 sloveni ritenendo impossibile che
gli austro-tedeschi carinziani fossero aumentati negli ultimi
trenta anni del 25% e gli sloveni diminuiti quasi del 20%. La
stessa Klagenfurt, secondo il censimento del 1910, comprende
25.582 tedeschi dinanzi 1.761 sloveni. Gli jugoslavi giustifica-
no le loro pretese territoriali sulla regione affermando che fino
alla metà del XIX secolo tutti i comuni situati sulle sponde del
lago di Wörthersee e i territori a nord di Klagenfurt, fino a Ulri-
schberg e Magdalenenberg, erano abitati da sloveni, e che nella
stessa città di Klagenfurt la maggioranza della popolazione era
slovena. Gli jugoslavi, pur ammettendo che la città di Klagen-
furt e la regione immediatamente a nord-ovest di essa siano ora
di maggioranza tedesca, contestano l’esattezza del censimento
austriaco, che qualifica la nazionalità sulla base della “lingua
usualmente parlata”. Gli jugoslavi prendono invece come rife-
rimento delle loro rivendicazioni i censimenti ufficiali del 1846
e 1851, i dati contenuti nelle opere di autori tedeschi come Petz
(1844), Hain (1846) e Czoernig (1851) e le statistiche fornite
dai registri ecclesiastici. Quanto a Klagenfurt lo stesso etnogra-

72
Cfr. M. MOLL, The German-Slovene Language and State Border in Southern Aus-
tria: from Nationalist Quarrels to Friendly Co-Existence (19th to 21st Centuries), in S.G.
ELLIS, L. KLUSÁKOVÁ (ed.), Imagining Frontiers, Contesting Identities, Edizioni Plus –
University Press, Pisa 2007, pp. 205-227 (pp. 207-208).
73
AUSSME, E-8, b. 79, fasc. 25, Délégation du Royaume des Serbes, Croates et Slo-
vènes, Nik. P. Pachitch, Paris, le 29 Août 1919 (copia del segretariato italiano).
168
162 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

fo serbo Jovan Cvijić74, che si adopera di sminuirne


l’importanza della poche de germanisation, riconosce come la
città sia abitata in gran maggioranza da popolazione tedesca o
di origine slovena germanizzata75.
Alla Conferenza della Pace anche le rivendicazioni jugosla-
ve su Stiria e Carinzia incontrano il favore americano, francese
e inglese e l’opposizione dei delegati italiani. In particolare per
Klagenfurt gli italiani insistono la regione debba essere asse-
gnata all’Austria per ragioni economiche e strategiche, tra cui la
difesa della frontiera orientale italiana. Il confine richiesto dagli
italiani è quello lungo le Karavanke, che avrebbe privato il Re-
gno SHS non solo di Klagenfurt, ma anche di Gorizia, Assling,
Tarvisio e Villach76.

74
Ex rettore dell’università di Belgrado e capo della sezione geografica ed
etnografica della delegazione jugoslava a Parigi. Impegnato sin dal 1914 nel conciliare
rivendicazioni politiche e ragioni storiche, geografiche e antropologiche dell’unione
jugoslava, fonderà la Lega democratica jugoslava, cui aderirà anche Trumbić. Il partito
propone l’adozione del nome Jugoslavia da parte del nuovo Stato e il decentramento
politico e amministrativo attraverso la costituzione di parlamenti regionali cui affidare
culto e istruzione pubblica.
75
AUSSME, E-8, b. 79, fasc. 20, Relazioni tra austriaci e jugoslavi in Carinzia fino
all’offensiva jugoslava 1919, Relazioni fra austriaci e jugoslavi in Carinzia, dalla ca-
duta dell’impero austro-ungarico fino all’offensiva della Jugoslavia del 29 aprile. Se-
condo il censimento austriaco del 1910 gli sloveni, presenti in sei province austriache,
sono 1.249.488, così ripartiti: Carniola 490.978 (93%); Stiria 409.684 (29%); Carinzia
82.212 (21%); Gorizia-Gradisca 154.564 (62%); Trieste 56.916 (30%); Istria 55.134
(14 %). C’è poi una meno consistente presenza slovena in Ungheria, attestata dal cen-
simento ungherese dello stesso anno, che conta circa 67.000 sloveni nel Prekomurje e
2.000 a Fiume. Cfr. S. CLISSOLD, op. cit., p. 36n.
76
Il Comando Supremo italiano già nel gennaio 1919, nel pieno degli incidenti tra au-
stro-tedeschi e jugoslavi in Stiria e Carinzia, avvia studi finalizzati a contrastare le am-
bizioni jugoslave al confine con l’Austria, nel tentativo di evitare che un tratto della fer-
rovia pontebbana che congiunge Austria e Italia (Vienna-Udine) possa rimanere in terri-
torio jugoslavo e che sia accolta la proposta di congiunzione territoriale tra Regno SHS
e Cecoslovacchia avanzata da Praga (vedi infra). Gli italiani abbracciano le tesi confi-
narie austriache che vorrebbero la catena delle Karavanke in Carinzia e la cresta delle
montagne di Bachern (Pohorje) in Stiria quale confini naturali tra i due Stati (il confine
stiriano così delineato lascerebbe Maribor in territorio austriaco e pertanto non sarà ac-
colto dalla Conferenza della Pace). Secondo gli italiani il successo militare riportato in
quelle settimane dai carinziani contro le truppe jugoslave inquadrate da ufficiali serbi,
obbligate a interrompere la loro marcia verso Klagenfurt e a ripiegare in disordine oltre
la Drava, andrebbe in buona parte attribuito ai contadini sloveni accorsi
volontariamente a ingrandire i battaglioni della guardia nazionale tedesca, a dimostra-
zione della volontà dei carinziani tutti – senza distinzione di nazionalità – di mantenere
Nell’Europa di
iii..Nell’Europa
III di Versailles.
Versailles. La Piccola
Piccola Intesa
Intesa 169
163

3.2.2. Occupazione di Klagenfurt e reazione italiana

Nel maggio-giugno 1919 la Carinzia finisce al centro di una


crisi che rischia di sfociare in vera e propria guerra in seguito a
una serie di scontri fra unità austriache e jugoslave nel bacino di
Klagenfurt, dove nessuna delle due parti intende rispettare la li-
nea di armistizio del novembre 1918, né quella della commis-
sione americana del gennaio 191977. Il 6 giugno l’occupazione
di Klagenfurt da parte delle truppe serbo-jugoslave e la minac-
cia di marciare su Villach e St. Vein non lasciano indifferente
l’Italia, interessata alla definizione del confine austro-jugoslavo
per ragioni di ordine economico e militare. Lo snodo ferroviario
di Klagenfurt è infatti fondamentale per il collegamento del
porto di Trieste all’Europa centrale. L’Italia si augura pertanto
che la ferrovia transalpina possa passare direttamente dal terri-
torio italiano in quello austriaco senza attraversare l’enclave ju-
goslava che sottoporrebbe il traffico a intralci doganali78. Gli
jugoslavi già nei primi mesi del 1919 hanno provocato una serie
di ostacoli al traffico ferroviario sulla linea Vienna-Lubiana-
Trieste e gli italiani sospettano vi sia un piano premeditato di
Belgrado per ostacolare il commercio triestino con il retroterra

il confine tra Carinzia e Carniola lungo la catena delle Karavanke e dunque evitare
l’eventualità di una dominazione jugoslava. AUSSME, b. 80, fasc. 3, Delimitazione
frontiere – le frontiere jugoslave, R. Esercito Italiano, Comando Supremo, Ufficio Ope-
razioni, Promemoria, oggetto: Quale confine si può attribuire allo Stato jugoslavo per-
ché la ferrovia Pontebbana (Udine-Vienna) si svolga tutta in territorio austro-tedesco,
e sia evitata la congiunzione dei ceco-slovacchi con i jugoslavi attraverso il noto corri-
doio: distretti di Moson-Sopron-Vas-Zala, 23 gennaio 1919. Nell’aprile del 1920 la
missione militare italiana in Austria considera l’eventualità di proporre rettifiche alla li-
nea confinaria – e dunque una revisione del Trattato di Saint Germain – per portare Ma-
ribor in territorio austriaco (la proposta tuttavia non avrà alcun seguito). AUSSME, E-8,
b. 81, fasc. 1, Delegazione militare italiana Graz, al capo della Missione militare italia-
na Vienna, prot. n. 320, oggetto: Necessità di una revisione del confine meridionale au-
striaco colla Jugoslavia, il capo della delegazione di Graz maggiore Cajoli Carrara,
Graz 17 aprile 1920.
77
I.J. LEDERER, op. cit., p. 258.
78
Si veda Le richieste italiane alla fine di agosto 1919. Memoria sulla questione
adriatica consegnata da Tittoni a Balfour e a Lloyd George il 29-31 agosto 1919 (“QA
– 1919”), in P. ALATRI, op. cit., pp. 503-508.
170
164 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

mitteleuropeo79. Agli interessi economici va poi aggiunto che


l’assegnazione all’Austria dell’intera regione di Klagenfurt sa-
rebbe stata preferibile dal punto di vista militare poiché avrebbe
ridotto l’enclave jugoslava a un triangolo di dimensioni così ri-
strette da rendere relativamente più facile l’adozione di provve-
dimenti difensivi.
Per tale ragione l’Italia sostiene gli interessi austriaci in
competizione con la Francia, fautrice delle rivendicazioni jugo-
slave: secondo gli jugoslavi gli italiani non soltanto avrebbero
fornito armi agli austriaci ma avrebbero anche diretto le loro
operazioni. Oltre a sostenere gli interessi austriaci gli italiani
non escludono la possibilità di interventi diretti, ad esempio a
Lubiana, la cui occupazione è stato detto è sfumata nel novem-
bre del 1918. Nel febbraio del 1919 l’Ufficio ITO di Trieste
suggerisce l’instaurazione di maggiori contatti con la popola-
zione slovena, che si dimostrerebbe sempre meno italo-foba e
propensa al separatismo dal neo-costituito Stato jugoslavo. Con
le truppe serbo-jugoslave sparse nella regione e preponderanti
nella zona Marburg-Klagenfurt – sostiene l’ITO – sarebbero
pochi i serbi presenti nel capoluogo e per di più visti con diffi-
denza dalla popolazione. Lubiana complessivamente non a-
vrebbe più di ottocento soldati, tutti ex austriaci, mentre la linea
armistizio sarebbe alquanto incustodita80. E se a Lubiana alla
fine non si farà nulla, quando la minacciata marcia jugoslava su
Villach e St. Vein rischierà di tagliare materialmente la ferrovia
pontebbana, l’unica che collega direttamente l’Italia con

79
Anche secondo il generale Petitti di Roreto, governatore della Venezia Giulia, Bel-
grado persegue un “sistematico e ostentato ostruzionismo” al traffico ferroviario da
Vienna a Lubiana, Zagabria e Trieste attraverso il transito di Longatico, «un programma
tendente a rovinare il traffico di Trieste a beneficio di altri sbocchi» impedendo rapide
comunicazioni col retroterra. Petitti di Roreto suggerisce misure di rappresaglia che vie-
tino il transito dei treni commerciali diretti dalla Francia verso l’Europa centro-orientale
(principalmente Polonia e Cecosloavacchia), suggerimento temporaneamente accolto
dal Ministero della Guerra in attesa delle decisioni del governo di Roma. Cfr. P. ALA-
TRI, op. cit., pp. 49-50.
80
AUSSME, E-8, b. 82, fasc. 11, Situazione delle forze jugoslave, austro-tedesche e
alleate in Jugoslavia, Reale Esercito Italiano-Comando Supremo, Servizio Informazio-
ni, Sezione “U”, n. 257, all’Ufficio Segreteria, all’Ufficio Operazioni, il Capo del Ser-
vizio Informazioni Col. Caleffi, 11 febbraio 1919.
Nell’Europa di
iii..Nell’Europa
III di Versailles.
Versailles. La Piccola
Piccola Intesa
Intesa 171
165

l’Austria, la mossa jugoslava sarà prevenuta dall’occupazione


militare del tronco ferroviario Villach-St. Vein, notificata alle
Potenze alleate e associate il 10 giugno e effettuata dalle truppe
italiane due giorni dopo senza incontrare opposizione da parte
jugoslava81.

3.2.3. Disposizioni del Trattato di Saint-Germain-en-Laye

Gli avvenimenti di Carinzia inducono il Consiglio Supremo de-


gli Alleati ad accelerare i tempi per trovare una soluzione della
questione di Klagenfurt che impedisca il rinnovarsi dei conflitti.
È così stabilito di dividere la regione in due zone separate da
una linea (Drava, Rosegg, lago di Wörthersee, corso dei fiumi
Glanfurt, Glan e Gurk) che le truppe austriache a nord (zona B)
e quelle jugoslave a sud (zona A) non possano oltrepassare82.
La popolazione delle due zone sarebbe stata invitata a esprime-
re mediante plebiscito la propria volontà di annessione
all’Austria o al Regno SHS – la scelta plebiscitaria sarà con-

81
Nel contesto delle sollecitazioni austriache per la costituzione di presidi internazio-
nali in Carinzia l’intervento italiano in funzione anti-jugoslava a Villach, St. Vein e nel-
la stessa Klagenfurt viene considerato già nel dicembre del 1918, in seguito a una peti-
zione rivolta all’addetto militare inglese a Vienna da due notabili austriaci, il barone
Reinlein e il console generale Keller. L’ufficiale inglese, che presenta a sua volta la ri-
chiesta al presidente della commissione armistizio, suggerisce che dell’occupazione
siano incaricati gli italiani, ma il generale Badoglio in quel momento preferisce riaffer-
mare la scelta del non intervento. Ivi, fasc. 18, Incidenti tra jugoslavi e austro-tedeschi,
1919, copia di telegramma del generale Badoglio in data 10 gennaio.
82
La regione sottoposta a plebiscito si estende per circa 2100 km² (1750 per la zona
A, 350 per la zona B) con una popolazione di circa 130.000 abitanti (80.000 nella zona
A, 50.000 nella zona B). Il confronto tra statistiche italiane (delegato italiano a Klagen-
furt) e francesi (ufficiose) stabilisce una presenza approssimativa di 23.000 austro-
tedeschi e 55.000 sloveni nella zona A e 50.000 austro-tedeschi e 6.000 sloveni nella
zona B (in totale più di 70.000 austro-tedeschi e meno di 60.000 sloveni). Statistiche
ecclesiastiche slovene stabiliscono invece la presenza nella zona A di 4.854 austro-
tedeschi e 80.441 sloveni e nella zona B di 43.410 tedeschi e 33.444 sloveni (totale
142.149 abitanti: 48.286 tedeschi, 93.863 sloveni). Le sensibili differenze nella valuta-
zione della popolazione della regione sono probabilmente dovute a incertezze
nell’interpretazione della delimitazione della regione descritta nell’art. 49 del Trattato
di Saint Germain (al momento delle statistiche ancora non riconosciuta sul terreno). Ivi
b. 79, fasc. 20, Relazioni fra austriaci e jugoslavi in Carinzia.
172
166 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

fermata nel Trattato di Saint Germain-en-Laye (art. 49). Il ple-


biscito sarebbe stato indetto dapprima nella zona meridionale:
qualora fosse risultato sfavorevole agli jugoslavi avrebbe avuto
come conseguenza l’annessione di tutta la regione di Klagenfurt
all’Austria. In caso contrario un secondo plebiscito sarebbe sta-
to tenuto nella zona settentrionale (art. 50)83.
Nonostante le proteste austriache – piuttosto deboli in realtà
– per «l’assoggettamento di tre milioni e mezzo di austro-
tedeschi alla dominazione straniera» avanzate a Clemenceau
pochi giorni prima, il trattato di pace tra Alleati, Potenze asso-
ciate e Austria è infine firmato il 10 settembre 191984.
L’introduzione del trattato ammette significativamente che il
conflitto mondiale ha avuto origine in conseguenza della di-
chiarazione di guerra dell’Austria-Ungheria alla Serbia, che la
monarchia austro-ungarica ha cessato di esistere e che gli Stati
cecoslovacco e SHS sono riconosciuti come indipendenti e al-
leati85. L’articolo 27 (sezione 4) stabilisce la frontiera austro-
jugoslava (all’Austria è assegnata la Carinzia settentrionale
comprensiva dei centri di Villach e St. Veit), mentre gli articoli
dal 46 al 52 definiscono una serie di clausole politiche relative
allo Stato jugoslavo: l’Austria riconosce la completa indipen-
denza del Regno SHS confermandone l’annessione di Carniola,
Bassa Stiria, Dalmazia e Bosnia-Erzegovina. Per l’area di Kla-
genfurt, come detto, divisa in due zone (una occupata dagli au-

83
Sul trattato di pace con l’Austria si veda N. ALMOND, R.H. LUTZ, The Treaty of St.
Germain. A Documentary History of Its Territorial and Political Clauses, Stanford
University Press-Oxford University Press, California-London 1935. Per il testo: Treaty
Series no. 11 (1919), Treaty of Peace between the Allied and Associated Powers and
Austria together with the protocol and declarations annexed thereto, signed at Saint-
Germain-en-laye, September 10, 1919, His Majesty’s Stationery Office, London 1919.
84
Le proteste austriache per le clausole politiche ed economiche imposte dal trattato
in AUSSME, E-8, b. 79, fasc. 25, Délégation de la République de l’Autriche Alle-
mande, n. 1176, A Son Excellence Monsieur le Présidente de la Conférence de la Paix
G. Clemenceau - Paris, Eichhoff, Saint-Germain-en-Laye, le 6 Septembre 1919; ivi,
Annexe 1, Déclaration de l’Assemblée Nationale, ad. No. 1176 ex 1919, 6 Septembre
1919; ivi, Annexe 2, Protestation des Pays autrichiens allemande, ad. No. 1176 ex
1919, A la Commission Générale de l’Assemblée Nationale autrichienne allemande à
Vienne, Vienne le 5 Septembre 1919. Si veda anche N. ALMOND, R.H. LUTZ, op. cit.,
pp. 79-80.
85
R. MACHRAY, op. cit., p. 96.
Nell’Europa di
iii..Nell’Europa
III di Versailles.
Versailles. La Piccola
Piccola Intesa
Intesa 173
167

striaci, l’altra dagli jugoslavi), è indetto il plebiscito sotto con-


trollo di una commissione internazionale incaricata di assicura-
re una procedura imparziale (art. 50).
Gli jugoslavi ritarderanno la firma del trattato fino al 5 di-
cembre 1919 a causa dell’articolo sulle minoranze e il relativo
trattato per la loro protezione:86 ufficialmente la delegazione ju-
goslava a Parigi affermerà che l’ennesima crisi ministeriale in
corso a Belgrado (governo Davidović) non le consente di rice-
vere l’autorizzazione a firmare87. Alla fine però dopo insistenti
pressioni gli Alleati costringeranno i rappresentanti del governo
jugoslavo a firmare il trattato con l’Austria e quello per la pro-
tezione delle minoranze minacciando l’esclusione di Belgrado
(insieme a Bucarest) dalla firma del successivo trattato di pace
con la Bulgaria88.

86
Si tratta dell’articolo 59 inserito nella bozza delle condizioni di pace con l’Austria
che diventa articolo 51 nella stesura definitiva. La questione è tra le principali affrontate
dagli jugoslavi nell’estate del 1919, che obiettano di non poter accettare l’art. 59 poiché
oltre a essere mal formulato e poco definito chiede di rinunciare a priori a incontestabili
diritti di sovranità. Il problema principale è l’estensione delle clausole del trattato per la
protezione delle minoranze previsto dall’art. 59 non solo ai territori recentemente acqui-
siti ma all’intero territorio statale incluso il vecchio Regno di Serbia e dunque la Mace-
donia annessa nel 1913, su cui le Grandi Potenze ancora non hanno pronunciato un ri-
coscimento ufficiale. La risoluzione è inaccettabile per i serbi, che considerano la popo-
lazione slavo-macedone indistintamente di nazionalità serba e la regione ottenuta in se-
guito alle Guerre balcaniche estranea alle trattative relative all’ultima guerra. Le Grandi
Potenze, che con le clausole sulle minoranze intendono tutelare soprattutto la popola-
zione albanese, propongono tra le altre cose di porre temporaneamente la Macedonia
sotto l’osservazione di un rappresentante della Società delle Nazioni (la proposta è par-
ticolarmente caldeggiata dagli inglesi) che riferisca di eventuali violazioni compiute
dalle autorità jugoslave. La delegazione SHS chiede prima una modifica dell’art. 59 del
trattato con l’Austria (24 luglio) e poi quella di una serie di articoli dello stesso trattato
sulle minoranze (4 settembre). AUSSME, E-8, b. 79, fasc. 5, Trattati di pace della Jugo-
slavia e punto di vista degli Alleati e della delegazione serba 1919, Délégation du
Royaume des Serbes, Croates et Slovènes à la Conférence de la Paix, n. 2782, signé:
Nik.P. Pachitch, Paris le 24 Juillet 1919; ivi, Délégation du Royaume des Serbes,
Croates et Slovènes à la Conférence de la Paix, n. 3530, signé: Nik.P. Pachitch, Paris le
4 Septembre 1919.
87
Ivi fasc. 25, Délégation du Royaume des Serbes, Croates et Slovènes à la Confé-
rence de la Paix, n. 3668, Paris, le 13 Septembre 1919 (copia del segretariato italiano).
88
Per il testo del trattato per la protezione delle minoranze (Treaty between the prin-
cipal Allied and Associated Powers and the Serb-Croat-Slovene State) si veda Peace
Treaties, presented by Mr. Lodge, pp. 5-12.
174
168 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

Il trattato di Saint Germain è ratificato il 16 luglio 1920. Un


mese prima (27 giugno) Austria e Regno SHS hanno firmato un
accordo commerciale – a carattere provvisorio ma successiva-
mente prolungato più volte – che di lì ad un anno avrebbe por-
tato la prima ad assorbire i due terzi circa delle esportazioni ju-
goslave89.
Il 10 ottobre 1920 è tenuto il plebiscito nella zona A (la me-
ridionale), presieduto dalla commissione interalleata. La vota-
zione risulta favorevole all’unione con l’Austria con 22.025 vo-
ti (59%) contro 15.279 (41%)90. Circa diecimila sloveni (28%)
si dichiarano in favore dell’unione agli austriaci. Nella zona B,
quella settentrionale, le votazioni non si terranno e la regione
passerà direttamente all’Austria stabilendo la catena delle Ka-
ravanke quale confine di Stato tra la repubblica austriaca e il
Regno SHS.
La questione del voto sloveno rappresenta la chiave del ple-
biscito: la maggioranza della popolazione slovena di Carinzia
scegliendo l’Austria finisce con l’esprimere una preferenza in
contrasto con l’identità nazionale al punto da accettare la sepa-
razione dal resto della nazione slovena. Sicuramente la decisio-
ne è conseguenza della discutibile occupazione della Carinzia
da parte dell’esercito serbo-jugoslavo prima (maggio-giugno
1919) e dell’amministrazione della zona A da parte delle stesse
autorità jugoslave poi come è stato spesso sottolineato in sede
storiografica. La popolazione slovena vive quei mesi con gran-
de inquietudine. Ma la scelta filo-austriaca della popolazione
slovena carinziana è anche conseguenza di altri motivi quali
l’assenza di una consolidata tradizione politica jugoslavista nel-
la regione (evidentemente pari anche all’assenza di un compatto
sentimento di identità nazionale sloveno);91 i pregiudizi della
popolazione cattolica nell’accettare la sudditanza a una dinastia
ortodossa; una maggiore sicurezza sociale e politica garantita
dalla repubblica austriaca; l’influenza della propaganda social-
89
R. MACHRAY, op. cit., p. 182.
90
I LEDERER, op. cit., p. 265.
91
T.M. BARKER, (with A. MORITSCH), The Slovene Minority of Carinthia, Columbia
University Press, New York 1984, p. 170.
Nell’Europa di
iii..Nell’Europa
III di Versailles.
Versailles. La Piccola
Piccola Intesa
Intesa 175
169

democratica austriaca su quasi seimila voti sloveni a discapito


della scelta etnica; il decisivo impatto dei voti degli agricoltori
sloveni intimoriti dalle nefaste conseguenze economiche dovute
alla separazione delle proprie terre a sud delle Karavanke dai
mercati di Villach e Klagenfurt a nord (di cui si ha prova fin
dalla chiusura della frontiera nel corso dell’amministrazione ju-
goslava della zona A)92. Gli sloveni non votano in favore
dell’Austria contro la propria nazione o nell’intento di identifi-
carsi con l’identità nazionale austro-tedesca93. Gli sloveni vota-
no per l’unione all’Austria convinti che la loro autonomia e li-
bertà possa essere meglio garantita e favorita dalla repubblica
austriaca. Gli eventi successivi, con il violento processo di ger-
manizzazione del periodo interbellico, avrebbero mostrato le
conseguenze di tale scelta.

3.3. L’accordo difensivo jugoslavo-cecoslovacco

L’Europa danubiana necessita un’organizzazione militare in


grado di difendere gli accordi di pace. Il sistema di alleanze del-
la Piccola Intesa risponderà all’esigenza affiancandosi alle ga-
ranzie politiche e diplomatiche che la costituzione della Società
delle Nazioni avrebbe dovuto fornire a un più esteso livello in-
ternazionale. Edvard Beneš per la Cecoslovacchia, Vesnić e Pa-
šić per il Regno SHS e Ionescu per la Romania si affretteranno
a cogliere un’azione politica che preservi i frutti dei loro suc-
cessi bellici.
È soprattutto il governo di Praga, mosso dall’inquietudine
verso l’Ungheria e i ritardi nella stesura del trattato di pace, a
premere sul reggente Aleksandar per stringere una convenzione
militare. Nel dicembre del 1919 l’incontro a Parigi tra Trumbić
e Beneš mostra tutto l’interesse jugoslavo e cecoslovacco alla
collaborazione politica e difensiva94. Trumbić rimane in contat-
92
P. VODOPIVEC, op. cit., pp. 22-23.
93
Tra Carinzia e Stiria sono circa mezzo milione gli sloveni che rimangono in confini
austriaci.
94
P.S. WANDYCZ, France and Her Eastern Allies 1919-1925, p. 193.
176
170 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

to con Štefan Osuský, ministro cecoslovacco nella capitale


francese, esiste piena sintonia sulla necessità di un’azione col-
lettiva contro l’Ungheria qualora questa dimostri intenti aggres-
sivi – esisterebbe persino una bozza di convenzione difensiva
già approvata da Praga. Simile proposta di collaborazione con-
tro il pericolo magiaro è nello stesso periodo avanzata da Beneš
al governo di Bucarest, cui il ministro cecoslovacco non na-
sconde di essere già d’accordo con gli jugoslavi95.
La Francia, da parte sua, non nasconde al reggente jugoslavo
la propria intenzione di organizzare anche Polonia e Romania
contro il bolscevismo. Aleksandar appare riluttante, ritiene che
in caso di pericolo un accordo difensivo sarà raggiunto in modo
naturale e automatico, senza la necessità di un’alleanza preven-
tiva. A Belgrado non è il solo a dubitare della capacità di Praga
di formare un esercito efficiente. L’impressione è che tra la po-
polazione cecoslovacca abile al reclutamento le idee socialiste
trovino ampia diffusione96. Il governo jugoslavo teme soprattut-
to che l’alleanza con la Cecoslovacchia possa coinvolgere il
Regno SHS in una “crociata anti-bolscevica” e ancor più com-
plicare le trattative politiche e territoriali con l’Italia mostrando
come lo Stato jugoslavo non sia più isolato militarmente97. La
stampa jugoslava, riflettendo le tendenze dell’opinione pubblica
nazionale e in primo luogo della popolazione serba, è unanime
nel condannare la partecipazione del Regno SHS a un eventuale
intervento contro i russi98.
Nei colloqui con il ministro francese a Belgrado De Fonte-
nay il reggente Aleksandar pone l’accento sullo stretto rapporto
tra situazione politica internazionale e equilibrio interno del re-
gno jugoslavo. Aleksandar spiega le difficoltà incontrate nel da-
re un governo al Paese e porre fine all’interminabile crisi mini-
steriale dei governi Vesnić. Il reggente è consapevole del male
che tale situazione politica reca ma soprattutto teme cosa se ne
possa pensare all’estero. Il malessere diffuso nel Regno SHS è
95
R. MACHRAY, op. cit., pp. 118-119.
96
DDF, Iere série, 1920, tome I, 30 mars 1920.
97
Ivi, tome II, doc. 355.
98
M. ÁDÁM, op. cit., p. 222.
Nell’Europa di
iii..Nell’Europa
III di Versailles.
Versailles. La Piccola
Piccola Intesa
Intesa 177
171

infatti inevitabilmente ricondotto al processo di unificazione


politica jugoslava. Da un’estremità all’altra del regno si biasi-
mano i politici che si consumano in scontri di partito a discapito
degli interessi concreti del Paese99. In relazione alla soluzione
della questione croata il reggente individua nel Paese tre corren-
ti politiche principali: quella dei croati e degli sloveni presenti a
Belgrado che chiedono l’impiego della stessa forza di cui si
servivano gli Asburgo e da loro subita; quelli che vorrebbero un
compromesso con Radić – su cui Aleksandar ironizza: «non gli
renderò facile manipolare i miei serbi e applicare qui la sua
mentalità bolscevica»; e infine chi ritiene necessario abbando-
nare i croati alla propria sorte, lasciarli soli ritirando le truppe
serbe dalle županje, “mandarli al diavolo”, scrive De Fontenay,
e “che si ricongiungano con l’Austria”. Aleksandar è infatti
convinto che i croati «non potrebbero sopravvivere da soli e
dovrebbero comunque fare riferimento a uno Stato». Il reggente
non ha dubbi che la campagna per le elezioni del novembre
1920 – in cui il Partito contadino croato ha ottenuto un conside-
revole successo – sia stata organizzata e pilotata da quegli stessi
agenti tedeschi che prendono di mira i francesi. “Per Francia e
Jugoslavia” sostiene “la guerra continua”. Entrambe devono
“serrare i ranghi”, essere più che mai unite. «Come durante la
guerra l’appoggio della Francia è stato prezioso ed ha aggiunto
ardore al nostro coraggio, è così ora molto importante poter
contare ancora su di esso»100. In merito alla questione adriatica
infine il reggente non sottovaluta le iniziative del nuovo gover-
no Giolitti: Aleksandar è sicuro che da parte italiana si aspetti
solamente la fuoriuscita di Wilson per procedere all’annessione
delle regioni adriatiche occupate invocando il Patto di Londra –
patto di cui al tempo stesso gli italiani non tengono conto quan-
do si tratta dell’Albania, dove vanno organizzando un vasto
movimento contro il Regno SHS101.

99
DDF, Iere série, 1920, tome II, doc. 344.
100
Ivi, tome III, doc. 293.
101
Ivi tome II, doc. 344.
178
172 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

Nei mesi successivi è intensificata l’opera di avvicinamento


tra Belgrado e Praga, ampiamente favorita dall’impegno di An-
tonín Kalina, ministro cecoslovacco nella capitale jugoslava,
che nel corso dell’anno si prodiga nel convincere gli jugoslavi
diffidenti e sulla difensiva. Ancora a marzo infatti lo Stato
Maggiore jugoslavo non si sbilancia in merito alle trattative
ammettendo solamente che da circa sei mesi i cecoslovacchi
hanno proposto a Belgrado un’alleanza difensiva contro
l’Ungheria. Le autorità militari jugoslave continuano a ripetere
di non avere ragione di temere l’Ungheria, di essere in grado di
affrontare l’eventuale pericolo anche con le sole forze in loro
possesso. Sono tuttavia consapevoli che la situazione cambie-
rebbe nell’eventualità di un conflitto italo-jugoslavo, che ve-
drebbe gli jugoslavi impegnati su più fronti e l’interruzione del-
le trattative con i cecoslovacchi102. Che questi ultimi siano poco
proclivi a sostenere i nemici dell’Italia? O temono le conse-
guenze internazionali della contesa italo-jugoslava? È certo che
se i rapporti tra italiani e cechi sono stati prolifici nel periodo
bellico la situazione nel corso del 1920 è del tutto cambiata. Nei
riguardi dell’Italia la Cecoslovacchia è ora diffidente, sia perché
ritiene l’Italia sostenitrice dell’Ungheria (si teme una comunità
di intenti che porti l’avvicinamento dell’Italia alla diffusa pro-
paganda presente a Budapest a favore del ritorno degli Asbur-
go),103 sia per i timori di ingerenza italiana in Austria, sia e so-
prattutto perché attribuisce alla politica italiana una linea ecces-
sivamente anti-slava104. Anche nella contesa per il ducato di Te-
schen gli italiani sostengono le rivendicazioni polacche,
nell’intento di assicurarsi un blocco italo-ungherese-polacco
che possa controbilanciare l’alleanza jugoslavo-cecoslovacca105.

102
DBFP, 1919-1939, First Series, vol. XII, No. 120.
103
DDF, Iere série, 1920, tome III, doc. 433. I timori cecoslovacchi confermano come
al termine della guerra l’Ungheria vada assumendo un ruolo fondamentale per la
politica estera italiana sia in chiave anti-jugoslava sia per contrastare l’ingerenza
francese nella regione danubiano-balcanica.
104
AUSSME, fondo E-10/1, Ministero della Guerra, Stato Maggiore del Regio
Esercito, Ufficio Operazioni, Notiziario n. 13 (chiuso il 30 settembre 1922), Roma
1922, Cecoslovacchia, pp. 120-127.
105
P.S. WANDYCZ, France and Her Eastern Allies 1919-1925, p. 94.
Nell’Europa di
iii..Nell’Europa
III di Versailles.
Versailles. La Piccola
Piccola Intesa
Intesa 179
173

I rapporti tra Cecoslovacchia e Regno SHS del resto sono


più che buoni. Non solo sono noti i sentimenti di solidarietà
panslava già in precedenza esternati dal presidente cecoslovac-
co Tomáš Masaryk – durante la crisi dell’annessione bosniaca
del 1908; con l’intervento nel processo Friedjung per alto tra-
dimento; al momento della dichiarazione di guerra austriaca
contro la Serbia nell’estate del 1914 – e progressivamente carat-
terizzati dalla consapevolezza del pericolo per i popoli slavi
rappresentato dal “germanesimo”, ma soprattutto ne è prova –
questione cui porrà definitivamente fine il Trattato di Saint-
Germain – l’aspirazione di Beneš alla creazione di un “corrido-
io jugoslavo-cecoslovacco”.
Nel febbraio del 1919 la delegazione cecoslovacca alla Con-
ferenza della Pace chiede infatti che una striscia di territorio tra
Slovenia e Ungheria occidentale sia assegnata cumulativamente
ai due Paesi, o a uno di essi o, in ultima tesi, neutralizzata. Il
territorio – lungo circa duecento chilometri e largo cento – sa-
rebbe passato tra Vienna e Bratislava attraverso i comitati di
Moson, Sopron, Vas e Zala, con sbocco nella regione di Mari-
bor. Abitato solamente per il 25% da popolazione slava (slove-
ni, croati, cechi e slovacchi), il corridoio avrebbe collegato Ce-
coslovacchia e Regno SHS separando l’Ungheria dall’Austria,
il che, oltre i vantaggi economici derivanti ai due Paesi, avrebbe
avuto notevole importanza per il reciproco sostegno in caso di
conflitti con Paesi terzi. La questione, sebbene mai pienamente
sostenuta da Belgrado e di fatto archiviata già nel marzo del
1919 per l’opposizione americana e italiana,106 è indice del sen-

106
Sarà menzionata ancora in una sola occasione, alla metà del luglio 1919, quando
Masaryk suggerirà a Beneš di proporre la concessione del corridoio verso lo Stato
jugoslavo quale ricompensa da parte alleata per lo sforzo bellico cecoslovacco contro la
Repubblica dei Consigli ungherese. Cfr. P.S. WANDYCZ, France and Her Eastern Allies
1919-1925, p. 72. Sul corridoio jugoslavo-cecoslovacco si veda A. CHERVIN, De
Prague a l’Adriatique. Considérations géographiques, ethniques et économiques sur le
territoire (Corridor) faisant communiquer les Tchèques avec les Yougoslaves, Berger-
Levrault Libraires-Editeurs, Paris 1919. Il corridoio jugoslavo-cecoslovacco è
considerato dagli italiani una seria minaccia ai propri interessi militari ed economici na-
zionali. AUSSME, b. 80, fasc. 3, R. Esercito Italiano, Comando Supremo, Ufficio Ope-
razioni, Promemoria, oggetto: Quale confine si può attribuire allo Stato jugoslavo per-
ché la ferrovia Pontebbana (Udine-Vienna) si svolga tutta in territorio austro-tedesco,
180
174 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

timento di vicinanza, della saldezza dei legami esistenti e


dell’illimitato accordo tra i due Paesi slavi sorti al termine della
Prima guerra mondiale e (fragili) colonne della nuova Europa di
Versailles.
Per tale serie di ragioni le trattative per l’alleanza jugoslavo-
cecoslovacca si rivelano infine più rapide del previsto,
l’accordo a difesa del Trattato del Trianon facile da definire
nella visita di Beneš nella capitale jugoslava del 14 agosto
1920. Allontanare l’eventuale minaccia ungherese consentireb-
be a Belgrado di concentrarsi nel modo più proficuo sulla solu-
zione della questione adriatica e dei rapporti con l’Italia107. Il
testo della convenzione firmata da Beneš e Momčilo Ninčić,
ministro jugoslavo del Commercio e dell’Industria facente le
veci agli Esteri, si compone di quattro articoli108. In caso di ag-
gressione ungherese a una delle parti contraenti l’alleato avreb-
be contribuito alla difesa del Paese attaccato (art. 1) secondo le
modalità previste per l’esecuzione dell’alleanza (art. 2). Nessu-
na delle due parti contranti avrebbe stretto alleanza con un Pae-
se terzo senza prima avvisare l’altra (art. 3). La convenzione sa-
rebbe stata valida per due anni dalla data della ratifica, al termi-
ne del periodo le parti contraenti avrebbero avuto facoltà di
“denunciarla” ma sarebbe comunque rimasta in forza ancora sei
mesi (art. 4)109. La ratifica della convenzione avverrà sempre a
Belgrado il 10 febbraio 1921, mentre la collaborazione militare
sarà specificata il 1° agosto 1921, dopo un anno dal primo vi-
aggio dei rappresentanti militari jugoslavi a Praga per definirne
i dettagli110.
Due anni dopo la convenzione sarà seguita da un più ampio
accordo militare, stretto il 31 agosto 1922 a Marienbad (Ma-

e sia evitata la congiunzione dei ceco-slovacchi con i jugoslavi attraverso il noto corri-
doio: distretti di Moson-Sopron-Vas-Zala, 23 gennaio 1919.
107
DDF, Iere série, 1920, tome III, doc. 433.
108
Convention of Defensive Alliance between the Kingdom of the Serbs, Croats, and
Slovenes and the Czechoslovak Republic, signed at Belgrade on the 14 th August, 1920.
Per il testo si veda R. MACHRAY, op. cit., pp. 363-364; J.O. CRANE, op. cit., pp. 189-
190.
109
Ibidem. Si veda anche DDF, 1920, Iere série, tome III, doc. n. 433.
110
DDF, 1920, Iere série, tome II, doc. 384; R. MACHRAY, op. cit., p. 166.
Nell’Europa di
iii..Nell’Europa
III di Versailles.
Versailles. La Piccola
Piccola Intesa
Intesa 181
175

riánské L zně), che oltre a prolungare l’alleanza difensiva (art.


1) rappresenta l’esecuzione tecnico-militare dell’articolo 2 del
trattato di alleanza concluso fra i due Stati nell’agosto 1920111.
L’accordo del 1922 firmato da Beneš e Pašić, prendendo atto
degli accordi politici e militari conclusi nel frattempo tra Ceco-
slovacchia e Romania, Austria e Polonia da un lato, e gli accor-
di analoghi conclusi dal Regno SHS con Romania e Italia
dall’altro (art. 2), determina nei particolari l’entità dell’aiuto
militare reciproco che i due Paesi dovranno prestarsi in caso di
aggressione da parte dei vicini – prevedendo la costituzione di
un comando unico – e stabilisce l’estensione della cooperazione
tra i due Stati al campo politico-diplomatico (art. 4) ed econo-
mico-commerciale (art. 3). La convenzione sarebbe rimasta in
vigore per cinque anni (art. 6)112. In essa non vi è più espressa
allusione all’Ungheria: l’alleanza trova una base assai più larga
della precedente e non accennando ad alcun particolare nemico
teoricamente potrebbe essere diretta contro tutti – fatto che non
manca di allertare gli italiani113. Il tenore complessivo della
convenzione è tale da consentire un’eventuale futura adesione
della Romania quando, l’anno successivo, sarebbero scaduti i
trattati da essa conclusi con la Cecoslovacchia e il Regno
SHS114.
Della visita di Beneš a Belgrado il 14 agosto 1920 in occa-
sione della firma dell’alleanza jugolavo-cecoslovacca riferisce
anche il ministro francese a Belgrado. De Fontenay è certo che
111
All’incontro di Marienbad è progettata anche l’istituzione di una sorta di unione
monetaria tra Regno SHS e Cecoslovacchia, in modo da stabilire una proporzione ferma
fra il dinaro e la corona cecoslovacca, sul modello del trattato commerciale stretto poco
tempo prima tra Praga e Bucarest. AUSSME, Fondo E 10/1, Ministero della Guerra,
Stato Maggiore Centrale, Ufficio Operazioni, Notiziario n. 14, Fascicolo I, Sintesi
Politica (1918-1923), Roma, Giugno 1923, Cecoslovacchia, pp. 77-81.
112
Treaty of Alliance between the Kingdom of the Serbs, Croats and Slovenes and the
Czechoslovak Republic, signed at Marianske Lazne, August 31, 1922. Si veda J.O.
CRANE, op. cit., pp. 193-195; R. MACHRAY, op. cit., pp. 200 e 367-369.
113
AUSSME, E 10/1, Sintesi Politica (1918-1923), Roma, Giugno 1923,
Cecoslovacchia, pp. 77-81.
114
Il 21 maggio 1929 i ministri degli esteri della Piccola Intesa in conferenza a Bel-
grado avrebbero prolungato i trattati di alleanza per un altro quinquennio aggiungendo
una clausola che ne stabiliva il rinnovo automatico in assenza di rinuncia a titolo defini-
tivo da parte di uno degli Stati firmatari. J.O. CRANE, op. cit., p. 195.
182
176 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

una qualche forma di accordo difensivo tra Cecoslovacchia,


Regno SHS e Romania già esistesse, sebbene non apertamente
formalizzato. Beneš, che conosce De Fontenay, parla a lungo
dei suoi progetti al ministro francese nel corso di un pranzo of-
ferto da Vesnić al quale partecipano i membri delle delegazioni
straniere. Beneš in primo luogo intende rassicurare i francesi:
sebbene la Cecoslovacchia ne abbia abbastanza della guerra,
qualora i bolscevichi dovessero attaccare i Carpazi – con la
Romania che non sembra in grado di avviare una rapida mobili-
tazione – Praga sarebbe pronta a schierare centomila uomini al
momento in Slovacchia115. Il ministro cecoslovacco sa come
dovranno agire i cecoslovacchi qualora anche la Polonia affondi
sotto i colpi dei bolscevichi: difendere energicamente la frontie-
ra nei Carpazi, specialmente in Rutenia. Praga ha le risorse ne-
cessarie per garantire una difesa efficace della zona, il problema
principale rimane il grave dissidio con la Polonia, essendo
l’opinione pubblica cecoslovacca ancora diffidente verso i po-
lacchi. In tali condizioni sarebbe servito tempo per far accettare
la necessità di sostenere la Polonia nelle sue difficoltà. Beneš
assicura i francesi che si sarebbe impegnato da subito e con tut-
te le sue forze in tal senso116.
Beneš è inoltre sicuro di poter contare sul sostegno jugosla-
vo, certezza in parte confermata dal De Fontenay, che informa
il ministro degli Affari Esteri cecoslovacco sulla situazione po-
litica interna del Regno SHS, sulle difficoltà dell’unione delle
tre nazionalità costituenti il nuovo Stato. A Zagabria sembre-
rebbe che “elementi germanofili” e “emissari del bolscevismo”
siano particolarmente attivi. Beneš non ritiene tuttavia possibile
una cooperazione tra la Germania e i bolscevichi, «un suicidio
per le classi dirigenti tedesche». Ritiene che i tedeschi non si
impegneranno in un’avventura di politica internazionale perché
al momento il morale tedesco non è sufficientemente alto e i di-
rigenti tedeschi che accarezzano l’idea della rivincita preferi-
ranno attendere qualche anno dando così alla Germania il tem-

115
DDF, Iere série, 1920, tome II, doc. 355.
116
Ivi, doc. 268.
Nell’Europa di
iii..Nell’Europa
III di Versailles.
Versailles. La Piccola
Piccola Intesa
Intesa 183
177

po di riprendersi economicamente al fine di intraprendere allora


la modifica dello status quo di Versailles117.
Il ministro degli Affari Esteri cecoslovacco è duro con i ma-
giari, ritiene che l’Ungheria sia l’unico Paese dove dal punto di
vista politico e della mentalità della popolazione nulla è cam-
biato dopo la guerra. Non nasconde il timore per le aspirazioni
di “rivincita” e i sommovimenti organizzati dai corpi degli uffi-
ciali sulla frontiera austriaca che accarezzano la restaurazione
asburgica a Vienna. Condanna la mentalità ungherese «così o-
rientale e pronta a servirsi di tutti i mezzi per raggiungere i suoi
scopi». In merito all’Austria Beneš sostiene che il Paese aspiri a
riunirsi alla Germania appena sia possibile. Al momento il suo
interesse sarebbe nel pazientare sino a quando la giovane re-
pubblica non abbia onorato i debiti di guerra. Rivolgendosi a
Vesnić afferma i cecoslovacchi esser pronti a fare tutto il possi-
bile per impedire la riunificazione. È inoltre dell’avviso che
l’Ungheria si unirà alla Germania insieme all’Austria: «se i ma-
giari dovessero attaccarci, i nostri 100.000 uomini in Slovac-
chia, di cui vi ho parlato, si dirigerebbero verso Budapest che
occuperebbero in quarantotto ore. Gli ungheresi sono una cosa
sola con i tedeschi»118. È contro la minaccia del “germanesimo
e dei magiari suoi accoliti” che Beneš intende costituire l’intesa
a tre. Poiché i rapporti tra Praga e Belgrado sono buoni quanto
quelli tra Praga e Bucarest l’obiettivo è di rendere Praga il pun-
to di collegamento dei tre Paesi. «Impresa non facile» commen-
ta De Fontenay, cui Beneš risponde «lo so, conosco la diffiden-
za delle piccole Nazioni!»119.

117
Ivi, doc. 355.
118
Ibidem.
119
Ibidem.
184
178 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

3.4. Belgrado dinanzi i tentativi di restaurazione carlista

L’alleanza difensiva jugoslavo-cecoslovacca troverà un primo


riscontro nella mobilitazione dei due eserciti durante il primo
tentativo carlista di restaurazione asburgica in Ungheria. Il 27
marzo del 1921 l’anziano Carlo d’Asburgo, fuggito in aereo dal
proprio esilio svizzero e sostenuto dai legittimisti monarchici
che ne sostengono il diritto del ritorno al trono in conformità al-
la mancata abdicazione formale, tenta senza successo di ricon-
quistare la corona di Santo Stefano nell’Ungheria della reggen-
za Horthy120. Gli Stati successori, estesi sui territori in prece-
denza ungheresi, vedono nella restaurazione asburgica una mi-
naccia diretta alla propria indipendenza, il ritorno del sovrano
preoccupa anche la nuova repubblica austriaca, che pure si è
premunita di una legge che ha privato di qualsiasi potere la di-
nastia (3 aprile 1919)121. Regno SHS e Cecoslovacchia temono
che le rispettive minoranze magiare possano sostenere il ritorno
degli Asburgo e che agli ungheresi possano aggiungersi altri
gruppi nazionali – nello Stato jugoslavo i croati – mettendo a ri-
schio equilibri interni che hanno dimostrato subito gravi segni
di instabilità.
Si ripropone per alcuni versi una situazione simile all’agosto
del 1919 quando in seguito alla caduta di Béla Kun gli Stati
successori si sono opposti alla reggenza dell’arciduca Giusep-
pe122. In una nota inviata a Clemenceau Pašić definisce
l’arciduca e il suo entourage «i rappresentanti più espressivi
dello sciovinismo magiaro» e la sua reggenza il primo passo
verso la restaurazione di Carlo d’Asburgo. «L’Austria-Ungheria

120
Nel novembre 1918 Carlo d’Asburgo rinuncia a esercitare la sua funzione gover-
nativa attraverso una dichiarazione pubblica che ne sospende il regno. L’atto non costi-
tuendo un’abdicazione formale secondo le leggi ungheresi, che richiedono la controfir-
ma del capo del governo e la ratifica di entrambi i rami del parlamento, è colto a prete-
sto dai legittimisti per asserirne la non validità insieme a quella del Trattato del Trianon.
Cfr. J.O. CRANE, op. cit., pp. 5-6 e 11.
121
M. ÁDÁM, op. cit., pp. 111.
122
Cfr. A. VAGNINI, op. cit., pp. 93-94.
Nell’Europa di
iii..Nell’Europa
III di Versailles.
Versailles. La Piccola
Piccola Intesa
Intesa 185
179

– sostiene Pašić – responsabile della conflagrazione mondiale,


minaccia ancora la pace europea nel tentativo di asservire i po-
poli non tedeschi e non magiari». Per tale ragione la delegazio-
ne jugoslava chiede un pronunciamento ufficiale della Confe-
renza della Pace contro l’arciduca, poi effettivamente avvenuto
il 21 agosto123.
Nel febbraio 1920 Trumbić torna sulla questione asburgica
suggerendo in un colloquio con rappresentative romene e ceco-
slovacche di inviare alle Grandi Potenze una richiesta congiunta
per aggiungere al trattato di pace con l’Ungheria un paragrafo
relativo alla proibizione agli Asburgo di tornare sul trono un-
gherese124. Non passa nemmeno inosservato nel gennaio 1921 il
fatto che Giuseppe d’Asburgo e la moglie partecipino a Buda-
pest all’inaugurazione di quattro statue raffiguranti il “dolore
ungherese” per la separazione da Slovacchia, Vojvodina, Sla-
vonia, Croazia, Transilvania, Banato e Ungheria occidentale
(Burgenland)125.
Così quando alla fine di marzo si ripresenta la questione del
ritorno asburgico sul trono ungherese Regno SHS, Cecoslovac-
chia e Romania pretendono garanzie da Budapest, minacciano il
ritiro delle rispettive rappresentanze diplomatiche dalla capitale
ungherese e sono sul punto di inviare un ultimatum che intimi a
Carlo d’Asburgo di abbandonare il Paese126. Milan Milojević,
ministro jugoslavo a Budapest, incontra Horthy e protesta uffi-

123
AUSSME, E-8, b. 79, fasc. 25, Délégation du Royaume des Serbes, Croates et
Slovènes à la Conférence de la Paix, Nik. P. Pachitch, Paris, le 15 Août 1919 (copia del
segretariato italiano). Si veda inoltre A. TÓTH, Czechoslovak Policy and the First Res-
toration Attempt of Charles Habsburg in Hungary in the Spring of 1921, in The Prague
Papers on the History of International Relations, Institute of World History, Prague-
Vienna 2007, pp. 241-279 (p. 247).
124
Á. HORNYAK, op. cit., p. 99.
125
Alla cerimonia partecipano cinquantamila persone, a conferma di come le amputa-
zioni territoriali stabilite dalla Conferenza della Pace siano vissute come un trauma da
parte della società ungherese. Cfr. A. TÓTH, op. cit., p. 243.
126
Carlo d’Asburgo in quel momento si trova a Szombathely (Ungheria occidentale).
La formula cecoslovacca per l’ultimatum intende intimare al sovrano l’abbandono del
Paese entro il 7 aprile; sarà tuttavia accolta la volontà jugoslava di concedere
all’Asburgo altri tre giorni per lasciare l’Ungheria. M. ÁDÁM, op. cit., p. 124; A. TÓTH,
op. cit., pp. 273-274.
186
180 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

cialmente contro l’arrivo del sovrano nella capitale ungherese


minacciando una risposta manu militari127.
Belgrado e Praga intendono dimostrare la loro completa u-
nione di intenti. Il 2 aprile il ministro cecoslovacco nella capita-
le jugoslava Kalina informa Praga che il ministro della Difesa
jugoslavo Stevan Hadžić ha ordinato la mobilitazione di truppe
al confine con l’Ungheria, mentre Pašić, capo di governo, ha
annunciato la creazione di un contatto permanente tra i due stati
maggiori cecoslovacco e jugoslavo. Kalina è in stretto contatto
anche con Pribičević per l’invio nella capitale cecoslovacca di
un delegato governativo e una missione militare che stabilisca-
no i dettagli dell’intervento128.
L’ultimatum congiunto non sarà infine presentato grazie
all’intervento presso Budapest della Conferenza degli Amba-
sciatori (voluto da Francia e Gran Bretagna), che costringerà
Carlo a desistere dai propri intenti e a riattraversare le frontiere
il 5 aprile, spinto anche dalle indiscrezioni del servizio infor-
mazioni dello Stato Maggiore ungherese che segnala la presen-
za di una divisione di cavalleria jugoslava a Subotica pronta a
intervenire129. Fondamentale nella mancata consegna
dell’ultimatum si dimostra anche la contrarietà italiana, che gli
jugoslavi apprendono dal ministro a Roma Vojislav Antonije-
vić: l’opposizione dell’Italia porta jugoslavi e romeni a sostene-
re favorevolmente l’intervento diplomatico dell’Intesa, meno
gradito ai più oltranzisti cecoslovacchi che finiranno con
l’inviare comunque al governo di Budapest un ultimatum sim-
bolico quando Carlo ha già abbandonato il Paese (6 aprile)130.
Come riportano già il 1° aprile le comunicazioni tra il Mini-
stero degli Esteri cecoslovacco e Kalina il contrasto con
l’Ungheria si risolverà dunque senza gravi difficoltà131. Praga e
Belgrado insisteranno inizialmente affinché Carlo d’Asburgo

127
A. TÓTH, op. cit., p. 257.
128
Ivi, p. 270.
129
DDF, Iere série, 1921, tome I, docc. 263 e 351. Si veda inoltre R. MACHRAY, op.
cit., pp. 150-151; J.O. CRANE, op. cit., p. 17.
130
A. TÓTH, op. cit., p. 274.
131
Ivi, pp. 257n e 261.
Nell’Europa di
iii..Nell’Europa
III di Versailles.
Versailles. La Piccola
Piccola Intesa
Intesa 187
181

non sia riaccolto in Svizzera per il proprio esilio sperando nella


scelta di una destinazione più distante dall’Europa centrale132.
Il comportamento tenuto dagli Stati successori, che hanno
minacciato l’inevitabilità di un intervento militare, è presumi-
bilmente il motivo sostanziale che spinge il governo ungherese
a rinunciare a sostenere Carlo d’Asburgo. Al tempo stesso però
l’intervento risolutivo della Conferenza degli Ambasciatori ha
finito con il subordinare le minacce di Praga e dei suoi accoliti
che sentono tutta la frustrazione di aver infine giocato un ruolo
secondario in un incidente che li ha riguardati da vicino. Praga,
Belgrado e Bucarest intendono evitare il ripetersi di fatti simili
all’avventura di Budapest. In un messaggio a Kalina da riferire
al governo di Belgrado Beneš annuncia di voler ottenere il mas-
simo profitto dal tentativo reazionario asburgico sfruttando la
situazione per la creazione di un’alleanza multilaterale tra Ce-
coslovacchia, Regno SHS e Romania che dimostri tutta la soli-
dità dell’Europa danubiana133.
Ionescu coglierà a sua volta l’occasione due settimane dopo
il tentativo carlista per convincere il governo di Bucarest a
stringere l’alleanza con la Cecoslovacchia (23 aprile 1921) i cui
termini sono copia fedele di quelli dell’accordo jugoslavo-
cecoslovacco dell’agosto 1920, se si esclude l’aggiunta di un
articolo, il quarto, relativo all’impegno dei due governi a con-
sultarsi su questioni di politica estera riguardanti i loro rapporti
con l’Ungheria134. Ionescu propone di inserire nell’alleanza an-
che la Grecia, legata alla Romania da un’intesa profonda, e la

132
Ivi, pp. 261-262 e 273. Pašić offrirà senza successo i servigi jugoslavi per il pas-
saggio del sovrano in Spagna attraverso l’Italia.
133
Ivi, p. 269.
134
Convention of Defensive Alliance between the Kingdom of Romania and the
Czechoslovak Republic, signed by Take Ionescu and Ferdinand Veverka at Bucharest
on the 23rd April, 1921. Testo in R. MACHRAY, op. cit., pp. 364-365; J.O. CRANE, op.
cit., pp. 190-191. A Bucarest la proposta di alleanza di Beneš ha trovato un governo
diviso: Ionescu ne sostiene tutto il valore, il generale Alexandru Averescu non ne coglie
appieno il significato. L’opinione pubblica romena non è ancora preparata ad accettare
un’alleanza di cui facciano parte anche solo indirettamente gli jugoslavi: le tensioni con
il Regno SHS per la questione del Banato rendono infatti difficile un’adesione pura e
semplice dei romeni all’accordo jugoslavo-cecoslovacco di Belgrado. DDF, Iere série,
1920, tome II, doc. 355; ivi, 1920, tome III, doc. 433.
188
182 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

Polonia auspicando un grande sistema difensivo a cinque com-


prensivo del Regno SHS e finalizzato alla tutela dei trattati di
pace. I rapporti di amicizia e stima che legano Ionescu a Elef-
therios Venizelos renderebbero facile l’intesa, così come il
doppio matrimonio in procinto di unire le famiglie reali di Gre-
cia e Romania. Riguardo la Polonia invece Ionescu pensa a un
progetto di alleanza difensiva – da lui predisposto a condizione
di esser realizzato sotto l’egida di Francia e Inghilterra – per la
garanzia reciproca delle frontiere, cioè per la Romania quelle
della Conferenza di Parigi e per la Polonia quelle della Pace di
Riga, e con l’eventuale estensione dell’alleanza alla difesa dei
trattati di Saint-Germain e Trianon135.
Alla firma del trattato di alleanza romeno-cecoslovacca del
23 aprile 1921 segue anche nei riguardi della Romania la con-
clusione di una speciale convenzione militare quale parte inte-
grante dell’alleanza stessa. A tale scopo il 27 giugno si reca a
Praga una missione romena presieduta dal capo di Stato Mag-
giore dell’esercito generale Constantin Cristescu. La conven-
zione viene firmata il 2 luglio 1921 e definisce le modalità ope-
rative delle forze cecoslovacche e romene in caso di attacco
russo o ungherese. Nel caso romeno infatti è soprattutto
l’ipotesi di un’offensiva sovietica a dare preoccupazione e prio-
ritaria urgenza all’accordo militare con i cecoslovacchi. Lo Sta-
to Maggiore romeno si assicura in tal modo il rifornimento di
materiale bellico dalla Cecoslovacchia e i relativi trasporti at-
traverso le regioni industriali di Boemia e Moravia (linea ferro-
viaria di Plzeň) senza chiedere all’esercito cecoslovacco colla-
borazione diretta nel campo strategico.
Ai cecoslovacchi invece l’accordo militare con i romeni as-
sicura la copertura del sicuro teatro dell’offensiva ungherese, la
Slovacchia, nei cui confronti Budapest, distante meno di cin-
quanta chilometri dalla frontiera, potrebbe avvalersi di una rete
ferroviaria più capillare e di utilizzo più flessibile. La difficoltà
135
Ivi, 1921, tome I, doc. 105. Si veda inoltre A. TÓTH, Conclusion of the Czechoslo-
vak-Romanian Little Entente Treaty of Alliance in Spring 1921, in The Prague Papers
on the History of International Relations, Institute of World History, Prague-Vienna
2008, pp. 335-353 (p. 338).
Nell’Europa di
iii..Nell’Europa
III di Versailles.
Versailles. La Piccola
Piccola Intesa
Intesa 189
183

più grande è quella relativa all’organizzazione di un comando


unico. Lo schema predisposto attribuisce il comando supremo
allo Stato che, una volta attaccato, avvii per primo la mobilita-
zione. Il generale Cristescu non prende posizione su questo
punto trincerandosi dietro le norme della costituzione romena
che danno al re il comando di tutte le forze armate. La questio-
ne è quindi momentaneamente accantonata. Al riguardo, esami-
nando il comportamento dello Stato Maggiore e del governo ju-
goslavo, il nuovo capo della missione militare francese a Praga
e dello Stato Maggiore dell’esercito cecoslovacco, generale Eu-
gène Mittelhauser, ha l’impressione che a Belgrado ci si mera-
vigli per l’iniziativa romena. Una volta saputo della presenza
del generale Cristescu a Praga lo Stato Maggiore jugoslavo in-
vita le delegazioni romena e cecoslovacca a Belgrado, presumi-
bilmente per organizzare una riunione dei tre stati maggiori che
anticipi la soluzione della questione del comando supremo. Be-
neš tuttavia si opporrà all’incontro136.
Carlo d’Asburgo compierà un secondo tentativo di restaura-
zione di lì a qualche mese, nell’ottobre del 1921, quando la Pic-
cola Intesa, dopo l’accordo jugoslavo-romeno di giugno, agisce
ormai come un’entità pienamente funzionante. A Belgrado la
stampa nazionale sostiene il ritorno dell’ex imperatore equival-
ga a una dichiarazione di guerra; fanno eco ai giornali jugoslavi
quelli cecoslovacchi, che invocano un’immediata mobilitazio-
ne137. Truppe jugoslave si concentrano al confine, il traffico fer-
roviario in direzione dell’Ungheria viene interrotto, la minoran-
za ungherese posta sotto stretto controllo138. Jugoslavi e ceco-

136
DDF, Iere série, 1921, tome I, doc. 23. Già ad aprile, nel corso dell’avvicinamento
cecoslovacco-romeno, Beneš ha rifiutato un incontro trilaterale a Belgrado proposto da
Ionescu e in un primo tempo sostenuto dallo stesso Pašić. In quel momento il ministro
degli Esteri cecoslovacco, che ritiene ancora prematura la possibilità di un’alleanza ju-
goslavo-romena, preferisce assicurarsi almeno l’accordo bilaterale tra Praga e Bucarest.
Alla vigilia della convenzione del 23 aprile Beneš ha chiesto a Kalina di sondare gli
umori nella capitale jugoslava in merito a un accordo con i romeni. La distanza ancora
presente tra Belgrado e Bucarest è confermata intorno alla metà del mese dal subentrare
del netto rifiuto di Pašić di incontrare Ionescu. Si veda A. TÓTH, Conclusion of the
Czechoslovak-Romanian Little Entente Treaty, pp. 341-343 e 346.
137
R. MACHRAY, op. cit., p. 166.
138
Á. HORNYÁK, op. cit., p. 118.
190
184 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

slovacchi sono in contatto fin dai primi giorni, soprattutto


l’addetto militare SHS e l’ufficiale di collegamento subito invi-
ato a Praga da Belgrado. Riguardo la questione del comando è
unanimemente riconosciuto che nessun generale cecoslovacco
possieda l’ascendente necessario per coprire la carica di co-
mandante supremo. In caso di guerra effettiva Praga preferireb-
be che il comando sia affidato agli ufficiali francesi della mis-
sione militare in Cecoslovacchia; come seconda opzione si ri-
tiene si possa ricorrere agli ufficiali jugoslavi. Nel giro di una
settimana la Cecoslovacchia chiama a raccolta trecentomila
uomini, il Regno SHS duecentomila e la Romania sei divisioni
di fanteria e due di cavalleria, forze non indifferenti a prova
della determinazione nel volere affermare le proprie ragioni139.
Beneš chiede la decadenza di tutti gli Asburgo, l’applicazione
del Trattato del Trianon, il disarmo dell’Ungheria con la possi-
bilità di controllo delle operazioni di disarmo assieme agli Alle-
ati e il rimborso delle spese sostenute con le operazioni di mo-
bilitazione140. Segue la risposta della Conferenza degli Amba-
sciatori:

Per quanto riguarda la decadenza di tutti gli Asburgo la Confe-


renza è dell’avviso che [...] possa essere richiesta al Governo
ungherese. Responsabile dell’applicazione dei Trattati di pace,
la Conferenza non può che pretendere anche quella del Trattato
di Trianon [...].
Il controllo delle operazioni di disarmo appartiene alle Com-
missioni specificamente incaricate di ciò dalle Grandi Potenze
in ottemperanza delle clausole previste dai trattati di pace. La
Conferenza, desiderosa di realizzare un effettivo disarmo
dell’Ungheria, valuta positivamente che le Commissioni di
controllo utilizzino, conformemente alle disposizioni del Trat-
tato di Trianon, le indicazioni loro fornite dai Governi dei Paesi
componenti la Piccola Intesa. In questo contesto, la Conferenza
si riserva poi il diritto di comunicare ai Governi della Piccola

139
R. MACHRAY, op. cit., p. 170.
140
M. ÁDÁM, op. cit., p. 158.
Nell’Europa di
iii..Nell’Europa
III di Versailles.
Versailles. La Piccola
Piccola Intesa
Intesa 191
185

Intesa i risultati conseguiti dall’attività delle commissioni di


controllo.
Infine, avendo la Conferenza più volte invitato le potenze con-
finanti con l’Ungheria ad astenersi dall’intraprendere ogni ini-
ziativa nei suoi confronti non previamente concertata con le
Grandi Potenze ed avendo il Governo ungherese autonoma-
mente messo fine al tentativo di reinsediamento del Re Carlo
sul trono ungherese in un modo giudicato dagli Alleati soddi-
sfacente, considera senza fondamento il preteso rimborso delle
spese sostenute dai Paesi Alleati con la mobilitazione avviata.
In conseguenza, dato il comportamento corretto del Governo
ungherese nella circostanza, l’eventuale azione militare a cui fa
riferimento il Sig. Beneš [...] non sarebbe giustificata. La Con-
ferenza, confidando nella prudenza del Governo cecoslovacco
e nel suo attaccamento alla pace, lo invita ad avviare la smobi-
litazione; stessa indicazione è inoltrata ai Governi iugoslavo e
romeno.141

Anche il secondo tentativo carlista si rivela dunque fallimen-


tare – per primo lo stesso governo ungherese si rende conto del-
la propria impotenza: sarebbero sufficienti le sole truppe jugo-
slave per occupare rapidamente Budapest – ma soprattutto
l’accaduto riafferma chiaramente quali siano i limiti della Pic-
cola Intesa nell’equilibrio europeo. L’alleanza pur consolidata
rimane infatti vincolata alle decisioni degli Alleati: ne sarà pro-
va il fatto che la Conferenza degli Ambasciatori auspicherà an-
che questa volta ai governi della Piccola Intesa, in altri termini
imporrà, di non intraprendere interventi militari contro
l’Ungheria. Sintomatico della subordinazione della Piccola In-
tesa alle decisioni della Conferenza degli Ambasciatori il fatto
che la seconda rifiuterà sia soddisfatta la richiesta di risarcimen-
to rivolta all’Ungheria per le spese di mobilitazione
nell’occasione effettuate prevalentemente da jugoslavi e ceco-
slovacchi, mentre sarà loro acconsentito quattro mesi dopo,
quando sarà la Francia a richiederne la mobilitazione contro la

141
DDF, Iere série, 1921, tome I, doc. 309.
192
186 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

Germania142. Se da un lato l’intera vicenda rafforzerà la consa-


pevolezza di Belgrado, Praga e Bucarest di essere parte inte-
grante di un più ampio sistema europeo – tra l’altro ottenendo
una specifica clausola da parte del governo di Budapest che li-
quida definitivamente la questione asburgica dichiarando deca-
duta la dinastia –143 dall’altra le renderà altrettanto consapevoli
di come il sodalizio della Piccola Intesa dovesse necessaria-
mente evolversi da mero sistema difensivo a più complesso
mezzo di pressione diplomatica nella politica internazionale.

3.5. La questione del Banato e l’accordo difensivo jugosla-


vo-romeno

Più difficile sarà riconciliare romeni e jugoslavi possibile sola-


mente una volta trovato l’accordo sulla delimitazione della
frontiera comune nel Banato, regione tra i fiumi Mureş, Tisza e
Danubio che appartenuta all’Ungheria vede la presenza di una
popolazione mista di ungheresi, tedeschi, serbi e romeni144.

142
J.O. CRANE, op. cit., p. 12; R. MACHRAY, op. cit., pp. 174-175.
143
The Hapsburg Dethronement Act of November 6, 1921, Law No. XLVII, Budapest,
November 6, 1921, in R. MACHRAY, op. cit., p. 213. Il governo ungherese avrebbe
inoltre consultato la Conferenza degli Ambasciatori prima di procedere all’elezione del
re. In tal modo, secondo le misure coercitive pretese dal governo cecoslovacco cui ha
aderito anche Belgrado, Budapest riconosce alla questione asburgica valenza
internazionale anziché carattere nazionale (un punto su cui gli jugoslavi hanno insistito
fin dal primo tentativo carlista), ammettendo il diritto di ingerenza delle potenze
straniere nella questione dinastica [DDF, Iere série, 1921, tome I, doc. 351]. Solamente
dopo tale dichiarazione Praga e Belgrado ordinano la smobilitazione ponendo termine
alla dimostrazione militare contro l’Ungheria. Pašić insisterà affinché rappresentanti
romeni, cecoslovacchi e jugoslavi siano ammessi come partners paritari degli Alleati
nelle attività di controllo militare esercitate dalla commissione interalleata in Ungheria,
ma ai governi di Bucarest, Praga e Belgrado sarà concessa solamente la condivisione di
informazioni con la commissione senza una partecipazione diretta ai suoi lavori. J.O.
CRANE, op. cit., p. 19; R. MACHRAY, op. cit., p. 174; Á. HORNYÁK, op. cit., pp. 119-
120; A. VAGNINI, op. cit., pp. 100-101.
144
Secondo il censimento ungherese del 1910 la popolazione del Banato, di circa un
milione e mezzo di abitanti, era composta di 615.336 romeni (38.9%), 387.545 tedeschi
(24.5%), 284.329 serbi (17.9%), 198.222 ungheresi (12.5%), cui si aggiungevano
22.131 slovacchi (1.4%), 20.643 ebrei (1.3%), e 53.927 (3.5%) rimanenti tra gli altri
gruppi etnici minoritari (cechi, croati, sloveni, ruteni e rom).
Nell’Europa di
iii..Nell’Europa
III di Versailles.
Versailles. La Piccola
Piccola Intesa
Intesa 193
187

L’alleanza difensiva jugoslavo-romena, al contrario delle due


precedenti componenti la Piccola Intesa, farà riferimento non
solo al Trattato del Trianon ma anche a quello di Neuilly-sur-
Seine (27 novembre 1919), a tutela dei territori ottenuti da Ro-
mania e Regno SHS a scapito della Bulgaria (nel caso romeno
la sanzione del possesso della Dobrugia). La convenzione a-
vrebbe quindi previsto un’azione comune nel caso in cui i vicini
bulgari o ungheresi avessero tentato di sconvolgere il nuovo
status quo145.
Fino al 1918 le relazioni tra romeni e slavi del sud sono ge-
neralmente cordiali, nel corso del XIX secolo e all’inizio del
XX il processo storico di entrambi si sviluppa secondo fonda-
mentali analogie: la lotta alla dominazione straniera,
l’aspirazione all’autonomia prima e all’indipendenza poi, il
consolidamento territoriale dello Stato nazionale, il successo
nelle Guerre balcaniche (anche se la Romania partecipa sola-
mente alla seconda) e una disfatta nella Prima guerra mondiale
che ottenuta nella giusta coalizione non pregiudica la possibilità
di soddisfare le proprie aspirazioni nazionali e territoriali al
termine del conflitto146. Dal settembre del 1914 tuttavia Miro-
slav Spalajković, ministro serbo in Russia, su istruzioni di Pa-
šić, mette al corrente il governo russo delle rivendicazioni terri-
toriali serbe: tra queste, a nord-est, la parte del Banato in cui,
secondo il capo del governo di Belgrado, «l’elemento serbo
rappresenta la maggioranza della popolazione». Nelle intenzio-
ni serbe la frontiera serbo-romena sarebbe stata tracciata sul
Danubio a est di Orşova correndo verso nord al fiume Mureş e
lasciando le città di Lugoj, Lipova e Arad ai romeni e Timişoa-

145
J.O. CRANE, op. cit., p. 10.
146
Sui rapporti jugoslavo-romeni nel periodo interbellico e precedente si veda G.
POPI, Jugoslovensko-Rumunski odnosi: 1918-1941, Sloboda, Vršac 1984; E. BOIA,
Romania’s Diplomatic Relations With Yugoslavia In The Interwar Period, 1919-1941,
East European Monographs Boulder, Columbia University Press, New York 1993; M.
VANKU, Srpsko-Jugoslovensko-Rumunski Odnosi Kroz Vekove, Stručna Knjiga, Beo-
grad 2005; V. RĂMNEANŢU, Istoricul relaţiilor româno-iugoslave în perioada interbel-
lica, Editura Mirton, Timişoara, 2006; M. CIURUŞCHIN, Political and Diplomatic
Relations of Romania and Serbia in Period between 1903 and 1914, Mirton, Timişoara
2010.
194
188 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

ra alla Serbia. Sostanzialmente Belgrado rivendica gran parte


del Banato e altrettanto fa Bucarest nell’estate del 1916 durante
i negoziati per l’ingresso in guerra al fianco dell’Intesa, che ri-
conosce alla Romania il diritto sulla Transilvania (suo principa-
le obiettivo territoriale), sullo stesso Banato, sulla Bucovina e in
generale sui territori ungheresi abitati da romeni (Trattato di
Bucarest, 17 agosto 1916). Riguardo al Banato la Romania si
impegna per il momento a non erigervi fortificazioni contro
Belgrado, mentre la delimitazione confinaria sarebbe stata af-
frontata in seguito. La popolazione serba avrebbe avuto la pos-
sibilità di emigrare in Serbia ricevendo un equo indennizzo per
le proprietà abbandonate147.
Nell’ottobre del 1918 Ionescu, a capo del Consiglio naziona-
le romeno a Parigi, è il primo a cercare un accordo diretto con i
serbi in merito alla questione del Banato. Ionescu è quasi osses-
sionato dall’obiettivo di raggiungere un’intesa tra la Romania e
i suoi vicini nell’Europa danubiano-balcanica. Sebbene egli non
rappresenti in quel momento il governo di Bucarest – che nel
maggio precedente ha firmato una pace separata con gli Imperi
centrali (la Romania tornerà in guerra il 10 novembre 1918) –
una serie di suoi incontri con Pašić nella capitale francese, me-
diati dal premier greco Venizelos, portano a una sintonia di
massima in cui Ionescu, considerando decaduti i termini
dell’alleanza stretta dalla Romania con l’Intesa nell’agosto del
1916, garantisce ai serbi la rinuncia romena alle aspirazioni
sull’intero Banato. Secondo tale proposta, invisa alla stampa
romena che la considera un tradimento degli interessi nazionali,
la Romania avrebbe ricevuto gran parte della regione con la
sponda meridionale del Mureş fino alla confluenza con il Tisza
e la linea Timişoara-Baziaş, mentre la Serbia avrebbe ottenuto
la parte occidentale del Torontal. La soluzione della questione
confinaria nel Banato è ritenuta da Ionescu la condizione preli-
minare verso una più stretta collaborazione tra i due Paesi, ma
147
Si veda E. BOIA, op. cit., pp. 22-25. Sui rapporti tra Romania e Serbia durante la
Prima guerra mondiale con particolare attenzione alla questione del Banato si veda inol-
tre T. SANDU, Les relations roumano-serbes et la question du Banat durant la Première
Guerre mondiale, in Balcanica, XXXVII, Belgrade 2007, pp. 241-248.
Nell’Europa di
iii..Nell’Europa
III di Versailles.
Versailles. La Piccola
Piccola Intesa
Intesa 195
189

l’accordo con Pašić è destinato a non avere seguito poiché rifiu-


tato da Ion I.C. Brătianu – una decisione quella dello statista
romeno che contrarierà i serbi e si trascinerà con ripercussioni
lungo l’intera Conferenza della Pace148.
Nuove tensioni tra serbi e romeni per il controllo del Banato
sorgeranno già nel novembre del 1918 al termine della guer-
ra149. Dopo l’armistizio austriaco l’esercito serbo continua a
combattere contro l’Ungheria dirigendosi verso lo Srem e il
Banato. Quando il 13 novembre a Belgrado è siglato
l’armistizio con gli ungheresi all’esercito serbo è riconosciuto il
diritto di occupare il Banato ben oltre la delimitazione rivendi-
cata con i russi nel settembre del 1914 o quella stabilita dagli
accordi tra Pašić e Ionescu nell’ottobre del 1918. I serbi si spin-
gono fino alla linea Sombor-Timişoara scendendo verso sud
lungo la ferrovia Timişoara-Vršac (Vârşeţ) portando il loro con-
fine a nord verso il Mureş, oltre la città di Arad, e a est occu-
pando Lugoj (Lugos). Si inaugura in tal modo la contesa con i
romeni: mentre il 1° dicembre l’Assemblea nazionale di Alba
Iulia proclama l’unione di Transilvania, Banato, Crişana e Ma-
ramureş alla Romania, le autorità militari serbe nel Banato sof-
focano ogni tipo di espressione del movimento nazionale rome-
no150. I serbi propongono come linea di demarcazione la ferro-
via Orşova-Lugoj, i romeni prima suggeriscono la ferrovia Bel-
grado-Makó (a est di Szeged) e successivamente una linea vici-
no al corso della Tisza. La distanza tra la proposta serba e quel-
le romene è notevole e racchiude quasi i tre quarti del Banato.
Nell’ordine di evitare un conflitto gli Alleati decideranno per
un’occupazione francese del quadrilatero Orşova-Lugoj-
Lipova-Panciova fino a quando la disputa territoriale non sia ri-
solta nell’ambito della Conferenza della Pace151. Le truppe ser-

148
E. BOIA, op. cit., p. 29; D. DJOKIĆ, Pašić and Trumbić, p. 90.
149
Sulla situazione nella regione al termine del conflitto mondiale si veda M. SAVIN,
Situacija u Banatu krajem I svetskog rata, in Istraživanja, 21, 2010, pp. 357-365.
150
I.J. LEDERER, op. cit., pp. 54-57 e 63-64; E. BOIA, op. cit., pp. 30-31 e 34-35.
151
E. BOIA, op. cit., p. 38. Per agevolare le trattative sulla questione del Banato tra
jugoslavi e romeni il governo di Belgrado inserisce nella delegazione che invia a Parigi
anche Pavle Marinković, ministro serbo a Bucarest fino al 1918, come esperto di
questioni romene. Marinković sarà poi ministro nel primo governo jugoslavo di Stojan
196
190 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

bo-jugoslave lasceranno la parte di Banato riconosciuta alla


Romania a Parigi solamente nel luglio-agosto del 1919 in con-
comitanza con l’ingresso delle truppe romene a Budapest (4 a-
gosto). Presumibilmente proprio a causa della vittoria romena
in Ungheria e del contemporaneo ingresso delle truppe romene
nel Banato per la prima volta dal novembre del 1918, è questo il
momento in cui il governo di Belgrado, da agosto guidato da
Davidović, teme concretamente un attacco romeno nella regio-
ne proveniente dalle truppe presenti in Transilvania152.
Dei tre comitati che compongono la regione – il montagnoso
Caraş-Severin a oriente, la pianura del Timiş nel centro e la
pianura del Torontal a occidente – i serbi hanno un’indiscussa
prevalenza etnica sui romeni soltanto nel Torontal. Secondo il
censimento ungherese del 1910 nella zona reclamata dai serbi –
ossia l’intero Torontal, parte del Timiş e una piccola parte del
Caraş-Severin – vivono (oltre a magiari, tedeschi e altre popo-
lazioni slave) circa 200.000 serbi e quasi 87.000 romeni nel To-
rontal e circa 70.000 serbi e 180.000 romeni nella parte del Ti-
miş. Gli importanti centri ferroviari di Timişoara e il porto da-
nubiano di Baziaş, nessuno dei quali ha una popolazione preva-
lentemente serba, sono richiesti per motivi economici. La deli-
mitazione di confine proposta dagli jugoslavi è limitata a nord
dal fiume Mureș (Maros), a ovest dal Tisza, a sud dal Danubio
e a est da una linea irregolare che va da Arad a sud del Danu-
bio153.

Protić. Si veda A. MITROVIĆ, Razgraničenje Jugoslavije sa Mađarskom i Rumunijom,


p. 55.
152
I.J. LEDERER, op. cit., pp. 235-236; A. MITROVIĆ, Razgraničenje Jugoslavije sa
Mađarskom i Rumunijom, p. 189; E. BOIA, op. cit., p. 56. In tale situazione il governo
sindacalista ungherese guidato da Gyula Peidl tenta senza successo un avvicinamento
con Belgrado in funzione anti-romena. Il 4 agosto Peidl invia delegati nella capitale ju-
goslava per intavolare negoziati relativi alla normalizzazione delle relazioni con il Re-
gno SHS. Pašić rimarrà cauto nel negoziare con un governo provvisorio ancora non ri-
conosciuto a livello internazionale essendo al più disposto a intrattenere con l’Ungheria
rapporti di natura commerciale. Il 6 agosto infatti il colpo di Stato guidato da István
Friedrich destituisce Peidl aprendo la questione della reggenza dell’arciduca Giuseppe,
tanto più temuta da Praga e Belgrado per il serio sospetto che nel putsch siano coinvolti
anche Francia e Romania. Si veda M. ÁDÁM, op. cit., pp. 42-43 e 230-234.
153
E. BOIA, op. cit., p. 44.
Nell’Europa di
iii..Nell’Europa
III di Versailles.
Versailles. La Piccola
Piccola Intesa
Intesa 197
191

Alla Conferenza della Pace Vesnić e Trumbić sembrano o-


rientarsi rapidamente per una spartizione del Banato con i ro-
meni secondo linee etniche, sostenendo come la regione non
possa essere considerata nel suo insieme, mancando di unità
geografica, economica o etnica. Sin dal XV secolo – affermano
gli jugoslavi – il Banato occidentale e Timişoara hanno avuto
profonde relazioni culturali ed economiche con la Serbia, poi-
ché le vie di comunicazione della regione a sud convergono su
Belgrado, collegando il Banato con le valli della Morava e del
Vardar. Nonostante l’Ausgleich del 1867 abbia separato eco-
nomicamente Serbia e Banato a risultato di un’intenzionale po-
litica ungherese, l’economia della regione, storicamente, è sem-
pre stata collegata alla Serbia piuttosto che alla Romania. Se si
considera poi dal punto di vista strategico – continuano gli ju-
goslavi – il Banato occidentale è una via di invasione tradizio-
nale verso i Balcani. La posizione strategicamente esposta di
Belgrado, sfruttata in modo tanto efficace dagli austriaci nel
1914, aggiunge una ragione urgente e valida per reclamare il
territorio. La delegazione romena guidata da Brătianu rivendica
a sua volta l’intero Banato in adempimento a quanto promesso
dal trattato segreto di Bucarest dell’agosto 1916, in virtù del
quale i romeni sono entrati in guerra con l’Intesa. Gli jugoslavi,
dal momento che le clausole dell’accordo non sono state rese
note a Belgrado, né i serbi sono stati consultati in merito ai con-
tenuti, si limitano a non riconoscere il trattato sostenendo che la
pace separata conclusa dai romeni con gli Imperi centrali al
principio del 1918 lo abbia di fatto invalidato (poco importa che
i romeni si siano nuovamente uniti all’Intesa nel novembre del
1918)154.
La commissione territoriale nominata per valutare le rivendi-
cazioni jugoslave e romene (Commission des affaires Roumai-
nes et Yougoslaves) nei primi mesi del 1919 stabilisce la sparti-
zione del Banato, due terzi della regione alla Romania (il terri-
torio di Timişoara) e un terzo al Regno SHS (con i centri di Ki-

154
D. DJOKIĆ, Pašić and Trumbić, p. 90.
198
192 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

kinda, Vršac e Bela Crkva)155. La delegazione jugoslava chiede


tuttavia rettifiche che portino in territorio jugoslavo anche la
cosiddetta “regione della Klissura” (distretto di Caraş-Severin)
con i comuni di Baziaș (Bazijaš), Pozsezsena (Pojejena), Ma-
csevics (Măcești), Svatá Helena (Sfânta Elena), Nérasolymos
(Sokolavac/Socol), Moldova (vecchia e nuova), Divici (Divić) e
Lugovet (Câmpia), e più a nord le circoscrizioni (distretto del
Timiş) di Baila, Párdánj (Međa) e Modoš con i comuni di Ne-
met (Beregsău Mic), Szerb Szt. Marton (Sânmartinu Sârbesc),
Diniaş, Ivanda, Suriani (Šurjan), Boka, Neuzina e Foeni. Alla
base delle rivendicazioni jugoslave vi sarebbero le petizioni ri-
volte dai rappresentanti della popolazione locale (prevalente-
mente serba) per l’annessione al Regno SHS. Gli jugoslavi so-
stengono che le due aree rivendicate dipendano dalla Serbia in
termini economici e che il loro passaggio alla Romania deter-
minerebbe una rovina irrimediabile e la migrazione di gran par-
te della popolazione (un buon numero di volontari provenienti
dalle due aeree ha combattuto durante la guerra per l’unione al-
la Serbia). Per la regione della Klissura – situata tra il Danubio
e il suo affluente Nera – le statistiche etniche presentate nel
memoriale jugoslavo (censimento ungherese del 1910) affer-
mano la presenza di quasi 10.000 serbi e poco più di 2.000 ro-
meni. Al Gran consiglio nazionale di Novi Sad del 25 novem-
bre 1918 la Klissura si sarebbe inoltre pronunciata in favore
dell’unione con il Regno SHS. In seguito alla notizia della pos-
sibile attribuzione alla Romania una Grande riunione nazionale
tenuta a Moldova vecchia il 19 giugno 1919 – cui partecipano
più di diecimila persone – avrebbe protestato energicamente
contro la separazione dallo Stato jugoslavo votando
all’unanimità un invito al Regno SHS a intervenire affinché i
diritti nazionali della Klissura siano rispettati156. La commissio-

155
Le ungheresi Nagykikinda, Versecz e Fehértemplom.
156
Gran parte della Klissura è per di più proprietà demanaiale del 14° Reggimento
serbo di frontiera dell’ex esercito austro-ungarico (40.000 acri ottenuti come compenso
per la difesa della frontiera contro i turchi) e reclutato nella parte di Banato assegnata al
Regno SHS. La regione è infine sede di tre antichi monasteri serbi: Baziaș (fondato nel
XII secolo da San Sava), Zlatiţa (Zlatica) e Cusici (Kusić), ulteriore prova del carattere
Nell’Europa di
iii..Nell’Europa
III di Versailles.
Versailles. La Piccola
Piccola Intesa
Intesa 199
193

ne territoriale tuttavia non accoglierà le richieste jugoslave – i


delegati italiano, britannico e americano si dichiarano contrari a
uno spostamento della frontiera – e la Klissura rimarrà alla
Romania157.
La frontiera tra i due Stati sarà fissata dal Trattato del Tria-
non del 4 giugno 1920158. Il trattato lascia circa cinquantamila
slavi del sud, di cui il 79% nel Banato, alla “Grande Romania”,
mentre il Regno SHS secondo il censimento del 1921 conta
quasi 230.000 tra romeni, valacchi e aromeni, presenti nel Ba-
nato, nella Serbia orientale e in Macedonia (l’1.9% della popo-
lazione totale)159. Su pressione della Conferenza degli Amba-
sciatori, per un’effettiva conclusione della questione, la delimi-
tazione confinaria del Banato sarà definitivamente riconosciuta
dalle due parti – seppure con lievi rettifiche – con la firma del
protocollo di Belgrado (Emandi-Ninčić) del 24 novembre 1923.
Le rettifiche riguardano l’assegnazione alla Romania della città
di Jimbolia e dell’isola di Ada Kaleh sul Danubio, in cambio di
alcuni dei centri richiesti dal Regno SHS nel distretto del Timiş,
tra cui i principali sono Modoš e Párdánj (Međa), su cui la
commissione territoriale per i confini romeno-jugoslavi aveva
espresso parere sfavorevole nell’estate del 1919. La ratifica del
protocollo avverrà sempre nella capitale jugoslava il 6 giugno
dell’anno successivo160.
Un mese dopo (12 luglio 1924), alla conferenza della Picco-
la Intesa a Praga e poco prima di essere sostituito da Vojislav
Marinković al dicastero degli Esteri,161 Ninčić si compiacerà

serbo della regione. AUSSME, E-8, b. 81, fasc. 1, Memoire, J. Vuletic, B. Radosavlje-
vitch, W. Dakic, Paris le 9 Juillet 1919; ivi, D.I.P.-S.M., Domanda dei rappresentanti di
alcuni distretti del Banato per essere ammessi al Regno S.H.S., Parigi 10 agosto 1919;
ivi, Délégation du Royaume des Serbes, Croates et Slovenes a la Conferénce de la Paix,
Annexe, copia del Segretariato italiano della Conferenza.
157
Ivi, Seduta della sottocommissione per le frontiere della Jugoslavia (23 luglio
1919).
158
I LEDERER, op. cit., pp. 158 e 172.
159
I. BANAC, op. cit., pp. 58; E. BOIA, op. cit., pp. 64-66.
160
E. BOIA, op. cit., pp. 96-99.
161
Nel luglio del 1924 il governo Pašić è sostituito dal nuovo esecutivo Davidović. Il
cambio ai vertici governativi jugoslavi è tuttavia di breve durata poiché l’ennesima crisi
200
194 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

dinanzi la stampa di come Belgrado e Bucarest siano riuscite a


risolvere la questione delle frontiere senza l’intervento della
Società delle Nazioni, miglior prova della piena sintonia tra ju-
goslavi e romeni: Ninčić attribuisce alla stampa nazionale, da
ambo i lati, la responsabilità di aver indebitamento amplificato
incidenti irrisori destabilizzando le relazioni tra Regno SHS e
Romania – “un’eccitazione per affari triviali”, quella della
stampa, che non troverebbe eco nei circoli politici. Dinanzi ai
quotidiani jugoslavi che hanno istigato risentimento contro la
Piccola Intesa il ministro jugoslavo prende le piene distanze
personali e del governo senza tuttavia riuscire a ridimensionare
il fenomeno, dal momento che anche il suo successore, Marin-
ković, si vedrà presto costretto a smentire le voci diffuse a Bel-
grado da Vreme e Politika di un disaccordo sorto con il ministro
romeno Duca durante le discussioni dei Protocolli di Ginevra
alla Società delle Nazioni162.
Fin dai mesi in cui la contesa per il Banato è ancora irrisolta,
appare chiaro sia agli jugoslavi che ai romeni la necessità –
causa la complessa situazione internazionale – di una distensio-
ne nelle relazioni tra i due Paesi. Ne sono consapevoli a Bel-
grado, le cui preoccupazioni si rivolgono a ovest al confine con
l’Italia, ma ne sono altrettanto coscienti a Bucarest. Realizzato
il repentino allargamento del territorio nazionale nella “Grande
Romania” bisogna inevitabilmente fronteggiare la presenza
all’interno dello Stato di estesi gruppi nazionali minoritari che
rivolgono lo sguardo alle limitrofe madrepatrie. Circa 500.000
russi, ucraini e ruteni in Bessarabia, 700.000 tedeschi e 900.000
ungheresi in Transilvania, 250.000 bulgari in Dobrugia che co-
stituiscono forze centrifughe ragione di continue tensioni. Rus-
sia bolscevica, Ungheria e Bulgaria non si sarebbero rassegnate
alla perdita di tali territori alimentando con la loro propaganda
l’irredentismo delle minoranze all’interno della Romania.

ministeriale già nel novembre successivo porta nuovamente Pašić a capo del governo e
Ninčić agli Esteri. Si veda J. PIRIEVEC, op. cit., pp. 52-54.
162
Si veda R. MACHRAY, op. cit., pp. 244-245 e 250.
Nell’Europa di
iii..Nell’Europa
III di Versailles.
Versailles. La Piccola
Piccola Intesa
Intesa 201
195

Per tale ragione dall’estate del 1920, una volta conclusa la


disputa per il Banato, a Belgrado si pensa concretamente alla
realizzazione di un’intesa jugoslavo-romena, cui lavorano co-
stantemente De Fontenay e il ministro romeno nella capitale ju-
goslava Langa-Răşcanu, che secondo le parole del primo si
sforza «in modo da riparare i nefasti risultati di Brătianu», pur
incontrando quotidianamente una grande resistenza. Langa-
Răşcanu fa inviare dal ministro degli Esteri romeno Duiliu
Zamfirescu un messaggio al nuovo capo di governo jugoslavo
Milenko Vesnić, che conosce personalmente dai tempi in cui i
due sono stati ministri a Roma. Il messaggio, cui la stampa ser-
ba dà particolare risalto, è l’invito di un collega e amico a con-
solidare le relazioni tra i due Paesi. Langa-Răşcanu e De Fonte-
nay cercano l’occasione che permetta ai ministri jugoslavo e
romeno di incontrarsi, si pensa alla festa dei Sokol a Praga, le
associazioni sportive patriottiche, cui sono invitati i rappresen-
tanti dei due governi163.
Secondo De Fontenay dopo l’armistizio si è aperto un abisso
tra Belgrado e Bucarest a causa della questione del Banato e
dell’intransigenza di Brătianu a riguardo, una situazione diffici-
le cui bisogna porre rimedio a ogni costo. «La deplorevole poli-
tica dell’evacuazione del Banato ha causato un male troppo
grande, ha ferito troppo l’amor proprio nazionale serbo per po-
ter essere facilmente dimenticata». Dai tempi di Parigi Vesnić
ancora non ha superato i risentimenti contro Brătianu; consape-
vole tuttavia che gli interessi francesi e jugoslavi ne richiedano
l’appianamento si dimostra fiducioso che Belgrado e Bucarest
possano raggiungere un accordo anche senza la tutela di Praga.
Langa-Răşcanu sostiene che con la giunta al potere del generale
Averescu e di Ionescu, ministro degli Affari Esteri intenzionato
a incontrare Vesnić, il problema sarà presto risolto poiché «non
si può avere dubbi sui sentimenti di questi due nuovi governan-
ti»164.
163
DDF, Iere série, 1920, tome II, docc. 17 e 102.
164
Ibidem. Secondo De Fontenay si tratta in primo luogo «di far cessare questa guerra
(con punzecchiature reciproche) che si fanno i due popoli vicini, che fomenta
un’insofferenza diffusa. Bisogna poi promuovere un’occasione di incontro (quale che
202
196 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

Per avvicinare romeni e jugoslavi, dal 17 al 19 agosto 1920,


pochi giorni dopo la firma dell’accordo jugoslavo-
cecoslovacco, Beneš visita Bucarest. Il ministro cecoslovacco
informa Ionescu della conclusione a Belgrado dell’alleanza di-
fensiva con il Regno SHS, cui si spera si unisca anche la Ro-
mania. Ionescu afferma di poter convincere il governo romeno
ad aderire all’intesa a condizione che anche Grecia e in seguito
Polonia e Austria vi siano invitate. La sua speranza è di riuscire
a creare una vasta alleanza regionale tra l’Egeo e il Mar Baltico
che possa opporsi sia al bolscevismo sia all’imperialismo tede-
sco, progetto che non dispiacerebbe nemmeno alla Cecoslovac-
chia, sebbene Praga sia più realista sull’effettiva difficoltà di
realizzarlo165. Tale alleanza avrebbe rappresentato qualcosa di
più di un’organizzazione per assicurare il mantenimento dei
trattati di pace permettendo ai piccoli Stati di nuova creazione
di non essere semplici satelliti delle Grandi Potenze bensì eser-
citare la propria influenza sugli affari europei. Ionescu riferirà
della propria volontà di coinvolgere la Polonia nell’alleanza di-
fensiva anche in un colloquio avuto in Inghilterra con Lord
Curzon. Ionescu insisterà sull’allargare la Piccola Intesa alla
Polonia avvertendo Curzon che nella sua imminente visita a
Varsavia (2 novembre 1920) avrebbe lavorato in tal senso, so-
prattutto nel tentativo di appianare i contrasti tra polacchi e ce-
coslovacchi. Curzon tuttavia sa come la Polonia non abbia
grandi ragioni di unirsi all’alleanza difensiva anti-ungherese, in
primo luogo per la mancanza di revisionismi magiari rivolti
verso territori polacchi, ma soprattutto perché le preoccupazioni

sia) dei due Governi e dei due Capi di Stato, ma ammetto che non è una cosa facile. La
Casa Reale di Bucarest considera i serbi una popolazione primitiva e Belgrado un vil-
laggio; qui ci si irrita per la supponenza e la tendenza alla prepotenza di Bucarest». Ivi,
doc. 17.
165
Sin dal 1918 Masaryk avanza una proposta simile a quella di Ionescu: la creazione
di una barriera anti-tedesca distesa dalla Finlandia alla Grecia. L’idea già allora è
pienamente sostenuta, oltre che dallo statista romeno, anche da Venizelos e Pašić. Si
vedano M.A. MOUSSET, op. cit., pp. 28-29; R. MACHRAY, op. cit., pp. 86-87; J.O.
CRANE, op. cit., pp. 7-8; P.S. WANDYCZ, France and Her Eastern Allies 1919-1925, pp.
201-202; E. CAMPUS, op. cit., pp. 14-15; E. BOIA, op. cit., pp. 70 e 75. Riferimenti
all’organizzazione di un’area di piccole nazioni estese dal Baltico a Salonicco si trova-
no inoltre nel suo Nová Evropa del 1917. Si veda M. ÁDÁM, op. cit., p. 34.
Nell’Europa di
iii..Nell’Europa
III di Versailles.
Versailles. La Piccola
Piccola Intesa
Intesa 203
197

polacche sono rivolte a est verso la Russia bolscevica e non a


sud166.
Della visita di Beneš nella capitale romena riferisce il mini-
stro inglese a Bucarest Rattigan, che nei colloqui della sera con
Beneš e Ionescu commenta positivamente la creazione di
un’intesa nell’Europa centro-orientale, purché non si proponga
con fini aggressivi167. Un mese dopo Rattigan tornerà sulla que-
stione che sta egemonizzando l’interesse dei romeni – la propo-
sta alleanza con la Cecoslovacchia e il Regno SHS chiamata
dalla stampa locale Petite Entente. Il ministro inglese a Buca-
rest sostiene che la gran maggioranza della popolazione romena
sarebbe favorevole all’alleanza. Sarebbero gli “odi privati” tra i
vari leader politici, e soprattutto tra gli oppositori di Ionescu, a
provocare ostilità verso l’accordo difensivo da questi sostenuto.
Anche Alexandru Marghiloman – che Rattigan considera il più
illuminato e aperto degli statisti romeni – non resiste alla tenta-
zione di attaccare Ionescu. Seguono poi i sostenitori di Brătia-
nu. I dubbi sono soprattutto relativi all’alleanza della Romania
con gli “slavi”. Marghiloman sostiene che gli Alleati non siano
stati consultati in merito a tale intesa e che l’Italia abbia già e-
spresso le proprie obiezioni temendo la creazione di un “blocco
slavo” rivolto con il sostegno della Grecia contro di lei168.
Secondo Rattigan sebbene il governo francese dimostri a
Budapest di voler fare del proprio meglio per riavvicinare Un-
gheria e Romania impedendo la creazione della Petit Entente,

166
DBFP, 1919-1939, First Series, vol. XII, No. 419.
167
Commenta Rattigan: «è chiaro che il noto sciovinismo e la sete di vendetta
dell’Ungheria stanno causando grave ansia ai suoi vicini. Questo è naturalmente il prin-
cipale fattore che sta portando l’ultima [la Romania] a unirsi in vista di possibili attac-
chi ungheresi. Non aiuto pensando sia un errore forzare l’Ungheria nella posizione di
paria, sebbene largamente per sua colpa. La conseguenza inevitabile sarà di forzarla
nelle braccia di coloro che intendono disturbare la pace dell’Europa. Se [l’Ungheria] è
estromessa da questo blocco [corsivo nel testo] presumibilmente alla fine si volterà alla
Germania o ai bolscevichi. La replica degli statisti romeni, quando tali considerazioni
sono poste, è sempre all’effetto che l’Ungheria lo farà in ogni caso, dal momento che
mai potrà riconciliarsi con il presente stato delle cose». Ivi, No. 215. Che i magiari
difficilmente potessero adattarsi a tale situazione territoriale era stato affermato dallo
stesso Beneš nell’incontro di pochi giorni prima a Belgrado.
168
DBFP, 1919-1939, First Series, vol. XII, No. 221.
204
198 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

in realtà i francesi sarebbero favorevoli all’alleanza, come del


resto affermato dallo stesso ministro francese a Bucarest Dae-
schner, che ritiene gli interessi alleati meglio tutelati da un
blocco centro-europeo – come quello voluto da Ionescu – che
includa Austria, Regno SHS, Cecoslovacchia, Polonia, Roma-
nia e Grecia. Qualora Ungheria e Bulgaria abbandonino i loro
intenti revisionisti accettando “sinceramente” lo status quo
anch’esse potrebbero in un secondo tempo unirsi all’alleanza.
In tal modo secondo Rattigan la pace nell’Europa centrale sa-
rebbe assicurata contro “l’imperialismo tedesco e russo”169.
Quando Beneš il 22 agosto 1920 torna a Praga da Bucarest
fornisce il suo resoconto al generale Pellé. Il ministro degli E-
steri cecoslovacco riferisce che a Bucarest “il terreno è meno
preparato” che a Belgrado ma che alla fine l’intesa con i romeni
è stata completa. Al contrario di quanto sostenuto da Rattigan
secondo Beneš l’opinione pubblica romena ancora non sarebbe
preparata per un’alleanza con gli jugoslavi, per tale ragione non
è sembrato opportuno siglare un accordo. Con Ionescu tuttavia
Beneš avrebbe fissato in un memorandum i diversi punti su cui i
due si sono trovati d’accordo, in primo luogo la neutralità da
osservare dinanzi al contrasto tra Polonia e Russia sovietica.
Romania e Cecoslovacchia, intenzionate a difendere le proprie
frontiere, si prometterebbero reciproco sostegno militare sola-
mente in caso di attacchi dall’Ungheria, impegno identico a
quello preso da cecoslovacchi e jugoslavi. Il governo polacco –
riferisce Beneš – avrebbe già proposto alla Romania
un’alleanza per la spartizione della Russia meridionale e
un’intesa anti-bolscevica a tre (Romania, Ungheria e Polonia),
ma i romeni avrebbero rifiutato entrambe. Averescu e Beneš
concordano comunque sulla necessità di una politica comune
verso la Polonia, che in qualche modo deve essere unita al
gruppo170.
Nel febbraio del 1921, quando De Fontenay domanda a Pa-
šić come procedano i rapporti tra il Regno SHS e la Romania, il

169
Ibidem. Si veda anche E. BOIA, op. cit., p. 73.
170
DDF, Iere série, 1920, tome II, doc. 384.
Nell’Europa di
iii..Nell’Europa
III di Versailles.
Versailles. La Piccola
Piccola Intesa
Intesa 205
199

ministro jugoslavo risponde siano buoni e che avrebbe cercato


di renderli ancora più stretti, dato che i due Paesi hanno tutto
l’interesse «a vivere in buona armonia e a collaborare recipro-
camente […]. Gli stessi pericoli, gli stessi nemici minacciano
ambedue, romeni e jugoslavi, motivo sufficiente per cercare
un’intesa». De Fontenay ha lavorato continuamente per ravvi-
cinare i due Paesi i cui rapporti sono stati compromessi dalla
politica di Brătianu. Il ministro francese nella capitale jugoslava
ha appianato contrasti, calmato animi, e ritiene si sia sulla buo-
na strada nell’avvicinare Bucarest e Belgrado, le dichiarazioni
di Pašić ne sono testimonianza. Solamente la diplomazia fran-
cese – sostiene De Fontenay – potrebbe esercitare un ruolo con-
ciliatore degli interessi dei due Paesi presso i quali essa gode
grande influenza171. I buoni propositi del capo di governo jugo-
slavo un mese dopo sono confermati da Clément-Simon, che
subentra a De Fontenay come ministro francese nella capitale
jugoslava. Clément-Simon riporta a Parigi come nel suo primo
incontro ufficiale con Pašić questi avrebbe dichiarato «fintanto
che il Sig. Ionescu sarà al potere, l’orizzonte politico sarà lim-
pido. Egli comprende molto bene, come noi, che l’interesse
maggiore dei nostri due Paesi è di vivere in accordo»172.
Ionescu arriva a Belgrado con la moglie, il segretario gene-
rale Derussi e altri dignitari romeni la mattina del 5 giugno
1921, per lasciare la capitale jugoslava tre giorni dopo:
l’accordo con Pašić è siglato il 7 giugno173. Come per le altre
convenzioni della Piccola Intesa ha durata biennale e qualora

171
Ivi, 1921, tome I, doc. 154.
172
Ivi, doc. 205.
173
Convention of Defensive Alliance between the Kingdom of Romania and the King-
dom of the Serbs, Croats and Slovenes, signed by Take Ionescu and Nikola Pašić, Bel-
grade, June 7, 1921. Sarà ratificato a Bucarest l’8 luglio successivo. Per il testo si veda
R. MACHRAY, op. cit., pp. 366-367. A Belgrado Beneš non sarà presente, sembra venga
invitato troppo tardi dagli jugoslavi per poter raggiungere la capitale in tempo. Clé-
ment-Simon, in precedenza ministro a Praga, si domanda se l’incidente sia dovuto alla
carenza organizzativa del governo belgradese oppure dal timore che «quest’uomo di
Stato risoluto, che ha indubbio credito a Parigi e a Londra, viaggia di capitale in capita-
le e parla molte lingue», non guadagni troppa influenza negli affari politici jugoslavi.
Beneš proporrà che i Paesi della Piccola Intesa si incontrino nuovamente durante
l’estate a Karlsbad. DDF, Iere série, 1921, tome I, doc. 465.
206
200 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

denunciato rimarrà comunque in vigore per altri sei mesi (art.


5). Sulla base dell’articolo 2 dell’alleanza difensiva i capi di
Stato Maggiore Petar Pešić e Cristescu firmeranno la successiva
convenzione militare del 23 gennaio 1922 stabilendo che in ca-
so di aggressione da parte dell’Ungheria o della Bulgaria a uno
dei segnatari l’altro avrebbe avviato una parziale mobilitazione
entro quarantotto ore dalla notifica e sarebbe intervenuto mili-
tarmente al suo fianco nel giro di venti giorni. Qualora
l’aggressione fosse stata congiunta magiaro-bulgara la mobili-
tazione sarebbe stata generale e l’attacco coordinato dai due sta-
ti maggiori. In caso di aggressione di uno dei due contraenti da
parte di un terzo Stato che non fosse Ungheria o Bulgaria, infi-
ne, l’altro non solo avrebbe osservato una “benevola neutralità”
ma avrebbe anche garantito i dovuti soccorsi (munizioni e ma-
teriale bellico) permettendone il transito sul proprio territorio
nazionale174.
Pašić e Ionescu firmano inoltre due protocolli segreti e tre
procès-verbaux allegati alla convenzione difensiva con cui i
due Paesi accettano di mettersi reciprocamente a conoscenza
delle proprie alleanze, in altre parole dell’accordo romeno-
polacco del marzo 1921 e del Trattato di Rapallo del novembre
1920 tra Regno SHS e Italia. Nel procès-verbaux numero uno
Bucarest e Belgrado concordano la nomina di una commissione
mista di tre delegati romeni e tre jugoslavi per la demarcazione
del confine comune (la commissione avvierà i lavori
nell’agosto del 1921); un’altra commissione avrebbe considera-
to eventuali aggiustamenti secondo gli interessi reciproci. Nel
procès-verbaux numero due è invece stabilito che i due Paesi
negozino un accordo commerciale e un sistema di normative
specifiche per la regione frontaliera del Banato, incluse la rego-
lamentazione del traffico nel canale Bega, della ferrovia Timi-
şoara-Baziaş, il raccordo delle linee ferroviarie romene e jugo-
slave, l’istituzione di una linea internazionale Belgrado-

174
L’accordo avrebbe in tal modo garantito protezione al Regno SHS sul versante
orientale in caso di guerra con l’Italia e alla Romania protezione sul fianco occidentale
in caso di conflitto con la Russia sovietica. Si veda E. BOIA, op. cit., pp. 90-91.
Nell’Europa di
iii..Nell’Europa
III di Versailles.
Versailles. La Piccola
Piccola Intesa
Intesa 207
201

Bucarest e di comunicazioni telegrafiche, telefoniche e postali


dirette. Il procès-verbaux numero tre infine stabilisce che si
provveda al più presto a risolvere la questione delle rispettive
istituzioni educative e religiose nel Banato e in un secondo
tempo a definire quella delle scuole romene in Macedonia175.
Secondo Clément-Simon, Pašić, a lungo esitante
sull’accordo con i romeni, avrebbe cercato fino all’ultimo delle
scappatoie per sottrarsi alla firma della convenzione.
L’anomalo comportamento – secondo il ministro francese a
Belgrado – sarebbe spiegato dall’esistenza di una convenzione
segreta italo-jugoslava e dalle difficoltà incontrate da romeni e
jugoslavi nel trovare una formula risolutiva della spinosa que-
stione delle istituzioni educative176. La parte più delicata
dell’accordo riguarda infatti le scuole e in particolare quelle
della Macedonia, questione di particolare interesse per i romeni
ma meno cara agli jugoslavi177. La decisione per il momento sa-
rà di non accennarvi nella convenzione da sottoscrivere la-
sciando operare le scuole esistenti. Quanto a quelle del Banato
l’intento è invece di applicare la più completa reciprocità alle
scuole serbe nella parte romena e alle scuole romene nella parte
serba; tuttavia Belgrado si dimostrerà reticente a risolvere la
questione ritenendo che la concessione di speciali diritti alla
minoranza romena nel Banato possa rappresentare un pericolo-
so precedente rivendicabile anche da magiari, tedeschi, albane-
si, macedoni e le altre minoranze del Regno SHS. Negli anni
successivi la questione delle scuole e delle chiese nel Banato
jugoslavo, dopo un fallimentare negoziato a Timişoara nel no-
vembre del 1923, perderà progressivamente importanza sovra-

175
Ivi, pp. 82-83.
176
Sostiene Clément-Simon che il ministro romeno nella capitale jugoslava ancora
quindici giorni prima dell’accordo avesse commentato «i serbi sono difficili a capirsi; ci
rinunzio: non so come prenderli». Clément-Simon risponderà «i serbi sono peggiori di
quello che sembrano, con essi ci vuole molta pazienza». DDF, Iere série, 1921, tome I,
doc. 465.
177
Il diritto dei romeni ad avere proprie scuole e chiese in Macedonia, ribadito
dall’accordo del giugno 1921, era stato stabilito inizialmente dal trattato di Bucarest del
1913 e contemplato anche nel trattato di Saint Germain sulle minoranze. Cfr. E. BOIA,
op. cit., p. 86.
208
202 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

stata dagli interessi regionali di sicurezza178. Incapace di risol-


vere le questioni in sospeso con Mosca – Bessarabia – e temen-
do l’aggressione sovietica Bucarest infatti non insisterà con
Belgrado per la risoluzione delle molte questioni connesse con
la delimitazione confinaria nel Banato lasciandole in sospeso.
Solamente nell’agosto del 1927 il ministro degli Esteri jugosla-
vo Vojislav Marinković e il nuovo ministro romeno a Belgrado
Teodor Emandi sigleranno a Bled una convenzione che sembre-
rà regolare la questione delle scuole nelle rispettive aree del
Banato. Secondo l’accordo le scuole romene nel Banato jugo-
slavo e quelle jugoslave nella parte romena sarebbero state isti-
tuzioni pubbliche con insegnamenti in romeno e insegnanti di
origini romene e cittadinanza jugoslava nel primo caso e inse-
gnamenti in serbo-croato da parte di insegnanti jugoslavi con
cittadinanza romena nel secondo. Anche gli accordi di Bled tut-
tavia rimarranno in sospeso e la Skupština ne rifiuterà la ratifica
e l’applicazione179. I diritti della minoranza romena nel Banato
saranno definitivamente riconosciuti solamente nel settembre
del 1933 con la ratifica di una serie di accordi e convenzioni da
parte dei ministri degli Esteri Bogoljub Jevtić e Nicolae Titule-
scu – dagli accordi rimarranno escluse le minoranze romene in
Macedonia. In quel momento infatti il deterioramento degli e-
quilibri internazionali provocato dall’avvento al potere del nazi-
smo renderà necessarie dimostrazioni di solidità dell’alleanza
stretta dalla Piccola Intesa180.

3.5.1. A tutela del Trattato di Neuilly-sur-Seine

È infine da tenere presente che se lo schema della convenzione


di alleanza difensiva tra Regno SHS e Romania è analogo a
quello applicato nelle altre convenzioni fra membri della Picco-
la Intesa la sostanza è in parte diversa. L’accordo infatti è volto

178
Ivi, pp. 102-105.
179
Ivi, pp. 139-144.
180
Ivi, p. 189.
Nell’Europa di
iii..Nell’Europa
III di Versailles.
Versailles. La Piccola
Piccola Intesa
Intesa 209
203

non solo a tutelare l’assetto dato dal Trattato del Trianon ma


anche quello stabilito dal Trattato di Neuilly-sur-Seine181.
Nel 1915 nel negoziare il proprio ingresso in guerra la Bul-
garia reclama a entrambe le coalizioni belligeranti gran parte
della regione macedone conquistata dai serbi nelle Guerre bal-
caniche. Re Ferdinando e il governo bulgaro sono determinati a
ottenere quanto perso con grave sofferenza da Sofia nel 1913.
La Bulgaria rimane la rivale storica del Regno di Serbia per ra-
gioni profonde risalenti alla guerra del 1885 se non addirittura
al 1878, quando in Russia si pensa per la prima volta alla
“Grande Bulgaria”. Le vittorie dei bulgari sui serbi a Slivnica,
Pirot e Caribrod non sono state dimenticate e l’alleanza dei due
Stati contro la Turchia nel 1912, conclusa dalla guerra tra ex al-
leati nel 1913, anziché unire ha diviso irrimediabilmente. I ran-
cori passati sono stati aumentati – oltre che dalla comunanza di
pretese sulla Macedonia – da quelli accumulati nella guerra re-
cente e dalle atrocità commesse dai bulgari nella Serbia occupa-
ta.
Per i bulgari la guerra inaugurata nel 1914 altro non è che
una terza guerra balcanica per la conquista della Macedonia. La
Bulgaria mai avrebbe assicurato la propria partecipazione belli-
ca senza la promessa di una revisione territoriale nella Macedo-
nia meridionale, così come in Dobrugia o nella Tracia turca.
Ciò significa sostanzialmente una completa revisione del Trat-
tato di Bucarest del 10 agosto 1913182. I tentativi dell’Intesa di
convincere Belgrado della necessità di portare la Bulgaria nel
campo alleato attraverso concessioni serbe in Macedonia – in
cambio di compensazioni territoriali a ovest sull’Adriatico (tra
l’altro difficili da adempiere per le promesse fatte all’Italia con
il Patto di Londra) e a nord-est verso Srem, Bačka, Banato o
Slavonia – si rivelano fallimentari essendo più facile per gli
Imperi centrali promettere a Sofia generosi compensi a spese
serbe183. Il trattato segreto del 6 settembre 1915 che stabilisce
181
DDF, Iere série, 1921, tome I, doc. 465.
182
Cfr. J. LYON, op. cit., pp. 48 e 70-71.
183
L’Intesa offre alla Bulgaria la parte di Macedonia a sud della linea che dal monte
Golemi Vrh, a nord di Kriva Palanka, giunge a sud-ovest sul lago di Ohrid. Dall’agosto
210
204 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

l’ingresso in guerra bulgaro al loro fianco assicura alla Bulgaria


l’intera Macedonia, la valle della Južna Morava con il distretto
di Toplica e la Serbia orientale fino al fiume Velika Morava (si
tratta del 59% dell’intera Serbia dell’epoca)184. L’acerrimo an-
tagonismo verso Serbia, Grecia e Romania (soprattutto verso la
prima) prevarrà dunque sulla tradizionale ostilità nei confronti
dei turchi185. L’attacco bulgaro alla Serbia al fianco degli Impe-
ri centrali nell’ottobre del 1915 muta radicalmente il corso della
guerra nel settore sud-orientale e risulta di fondamentale impor-
tanza nel piegare l’esercito serbo. Alla resa di Belgrado prima e
di Niš poi seguono l’epica ritirata verso la costa albanese e il ri-
fugio a Corfù del governo, dello Stato Maggiore e della corte
serba.
Dall’agosto del 1916 forze serbe sono nuovamente impegna-
te sul fronte di Salonicco con un ruolo predominante nei piani
alleati e una maggiore partecipazione di volontari jugoslavi.
L’avanzata serba è lenta ma costante. Le aree sotto occupazione
bulgara diventano il centro della resistenza popolare serba: la
politica di denazionalizzazione e la brutalità delle forze di oc-
cupazione le rendono infatti più instabili di quelle sottoposte
all’occupazione austro-ungarica186.
Nel settembre del 1918, stremata nelle forze, la Bulgaria
chiede la resa prima di Austria-Ungheria e Germania, mentre
l’armistizio le impone l’immediata smobilitazione dell’esercito.
Alla Conferenza della Pace le linee di confine tra Regno SHS e
Bulgaria sono proposte direttamente da Pašić, come quelle per
Banato, Bačka e Baranja: il leader radicale serbo prepara perso-
nalmente il memorandum Les Relations Serbo-Bulgares et la

1914, in seguito alle pressioni russe per un accordo con i bulgari, anche Pašić
acconsente alla cessione alla Bulgaria della Macedonia a est del Bregalnica, grosso
modo corrispondente a quanto già offerto dall’Intesa, in cambio di buone relazioni con
Sofia fino al termine della guerra e di compensazioni territoriali per la Serbia ai danni
dell’Austria-Ungheria – sostanzialmente i territori costieri abitati da serbo-croati. Ivi,
pp. 187-188.
184
A. MITROVIĆ, Serbia’s Great War, p. 118.
185
Cfr. H.C. WOODS, The Balkans, Macedonia, and the War, in Geographical
Review, 6, 1, 1918, pp. 19-36 (p. 26). Si veda anche I.J. LEDERER, op. cit., pp. 24-28.
186
A. MITROVIĆ, Serbia’s Great War, pp. 164-165 e 252-253.
Nell’Europa di
iii..Nell’Europa
III di Versailles.
Versailles. La Piccola
Piccola Intesa
Intesa 211
205

Questions de la Rectification de la Frontière. Gli jugoslavi


chiedono una striscia di territorio lungo la frontiera bulgara
comprendente i centri di Vidin, Caribrod (oggi Dimitrovgrad),
Dragoman, Kjustendil e Strumica, per ragioni strategiche ed et-
no-storiche. La vecchia frontiera serbo-bulgara si è dimostrata
militarmente vulnerabile e poco difendibile, gli jugoslavi sono
decisi a prevenire il ripetersi del disastro militare conseguente
l’aggressione bulgara del 1915. È necessario consolidare la si-
curezza delle valli della Morava e del Vardar, in particolare le
linee ferroviarie Belgrado-Niš-Skopje e Niš-Knjaževac-
Zaječar-Negotin, al centro dell’intero sistema serbo di comuni-
cazione187. Dal punto di vista etno-storico gli jugoslavi insisto-
no che le popolazioni della regione fra la Morava e l’Iskăr e di
quella di Kjustendil siano di origine serba e arbitrariamente as-
segnate alla Bulgaria dal Trattato di Berlino del 1878. Le riven-
dicazioni territoriali jugoslave sono strettamente connesse alla
volontà di vedere punita la Bulgaria per i crimini commessi in
Serbia durante la guerra. Lo spostamento verso est della frontie-
ra serbo-bulgara consentirebbe agli jugoslavi di raggiungere
una linea naturale di difesa a soli quaranta chilometri da So-
fia188.
Il trattato di Neuilly-sur-Seine del 27 novembre 1919 san-
ziona la sconfitta bulgara privando la Bulgaria della Tracia oc-
cidentale (art. 48) – con la platonica promessa di uno sbocco
commerciale nell’Egeo – e forzandola a rinunciare alla Dobru-
gia meridionale e alla Macedonia lasciata al Regno SHS189. Il

187
AUSSME, E-8, b. 79, fasc. 21, Relazioni serbo-bulgare 1919, Les Relations Ser-
bo-Bulgares et la Questions de la Rectification de la Frontière. Sull’importanza strate-
gica del corridoio Morava-Vardar si veda J. LYON, op. cit., pp. 101-103.
188
AUSSME, E-8, b. 80, fasc. 1, Delimitazione delle frontiere della Jugoslavia, 1919,
D.I.P.-S.M., Promemoria sintetico sulle frontiere della Jugoslavia, Frontiera verso la
Bulgaria, 29 marzo 1919.
189
Alla Conferenza della Pace anche la questione macedone è al centro dei contrasti
tra italiani e francesi. I primi propongono l’autonomia della regione all’interno del Re-
gno SHS, i secondi – contrari a soluzioni autonomiste – vogliono far rientrare la Mace-
donia nella questione della protezione delle minoranze. É stato poi accennato come una
terza opzione (proposta dagli inglesi) suggerisca di sottoporre la Macedonia al controllo
della Società delle Nazioni. Non mancano nemmeno richieste per vedere riconosciuto il
diritto all’autodeterminazione del popolo macedone e l’esistenza di una Macedonia so-
212
206 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

confine stabilito dal trattato (art. 27, punto 1) assegna agli jugo-
slavi rettifiche territoriali lungo la valle della Struma (Strumica)
e nei distretti di Vranje (Bosilegrad), Caribrod e Negotin, men-
tre Vidin e la regione adiacente, pur rivendicate da Belgrado,
restano alla Bulgaria. Il Regno SHS ottiene in tal modo una se-
rie di località strategiche – il reale beneficio che la nuova fron-
tiera porta ai serbi è soprattutto di carattere militare – e circa
centomila abitanti in gran parte di nazionalità bulgara. Il Tratta-
to di Neuilly definisce inoltre i confini tra Romania e Bulgaria
in Dobrugia (art. 27, punto 5) in senso favorevole alla prima190.
Romania e Regno SHS con l’alleanza del giugno 1921 si garan-
tiranno dunque reciprocamente le frontiere nei confronti della
Bulgaria. Il 7 luglio 1923 a Bucarest l’accordo jugoslavo-
romeno del 7 giugno 1921 sarà prolungato per altri tre anni da
Boško Čolak-Antić, ministro jugoslavo nella capitale romena
dal febbraio del 1921 e Ion G. Duca (la ratifica a Belgrado il 23
ottobre successivo)191.
Nell’agosto del 1920, al momento dell’entrata in vigore del
trattato di pace, secondo quanto stabilito dagli articoli 38 e 43 si

vrana e indipendente entro i suoi confini geografici. In tal senso risultano particolar-
mente attive l’Organizzazione Interna Rivoluzionaria Macedone (VMRO), che chiede
senza successo di essere ammessa a Parigi quale legittima rappresentante delle aspira-
zioni della nazione macedone, e le comunità macedoni in Svizzera. La richiesta della
VMRO è basata sul fatto che secondo «verità storica […] solo questa organizzazione è
un rappresentante fedele dell’intera Macedonia (a prescindere dalle diverse lingue e re-
ligioni) e che l’organizzazione è libera da qualsiasi influenza politica, bulgara o di altro
tipo». Le Grandi Potenze concordano tuttavia nel rifiutare l’idea di una Macedonia uni-
ta e indipendente riconoscendo come “verità storica” la sua divisione tra Serbia, Grecia
e Bulgaria. Il fatto che la proposta italiana per l’autonomia macedone sia rivolta al solo
Regno SHS (non è diretta anche al governo greco o bulgaro) confermerebbe esser for-
mulata in funzione anti-jugoslava piuttoso che mossa da più genuini principi di autode-
terminazione nazionale. Si veda A. HRISTOV, Macedonia at the Paris Peace Conference
(1919), in Macedonian Review, 11, 2, 1981.
190
Per la Bulgaria la gravità delle clausole territoriali è esasperata da quelle militari
che aboliscono il servizio militare obbligatorio e riducono le forze armate bulgare a un
esercito di soli volontari di forza non superiore a 33.000 uomini – 20.000 di truppe re-
golari, 10.000 gendarmi e 3.000 guardie di frontiera – e da quelle finanziarie che im-
pongono il pagamento di 2.250.000.000 franchi-oro entro i 37 anni dalla ratifica del
trattato. Treaty of Peace between the Principal Allied and Associated Powers and Bul-
garia and protocol, signed at Neuilly-sur-Seine, November 27, 1919, in Peace Treaties,
presented by Mr. Lodge, pp. 47-162.
191
R. MACHRAY, op. cit., p. 219.
Nell’Europa di
iii..Nell’Europa
III di Versailles.
Versailles. La Piccola
Piccola Intesa
Intesa 213
207

riuniscono le commissioni di delimitazione delle frontiere ser-


bo-bulgara (Commission de Délimitation de la Frontière entre
la Bulgarie et l’Etat Serbe-Croate-Slovene) e greco-bulgara,
composte di rappresentanti alleati e bulgari e incaricate di trac-
ciare i confini tra la Bugaria e gli Stati limitrofi. Il delegato ju-
goslavo della commissione serbo-bulgara è il generale Stefano-
vić (serbo), quello italiano il tenente colonnello Carlo Levi. La
commissione, dopo una prima riunione a Parigi, sceglierà Bel-
grado come propria sede operativa spostandosi comunque di
frequente tra Sofia (dove finirà per trattenersi più che nella ca-
pitale serba a causa della sua maggiore prossimità alla frontie-
ra), Salonicco e le località confinarie interessate (Caribrod,
Strumica, regione del Timok e Bosilegrad). Nel novembre suc-
cessivo, per scongiurare rettifiche favorevoli ai bulgari, le trup-
pe jugoslave occuperanno i territori ceduti al Regno SHS dal
Trattato di Neuilly senza attendere la conclusione dei lavori del-
la commissione, che termineranno ufficialmente il 21 gennaio
1923192. In particolare il settore confinario di Strumica – que-
stione delicata dal momento che rappresenta l’area triconfine
tra Regno SHS, Grecia e Bulgaria – è posto dalla commissione
al vaglio della Conferenza degli Ambasciatori che il 9 novem-
bre 1921 stabilisce una frontiera che partendo dal Monte Tumba
(Belasica Planina) si sviluppa a nord verso i villaggi di Staro
Konjarevo e Gabrene lasciando il primo agli jugoslavi e il se-
condo ai bulgari e verso est corre a sud di Zlatarevo e Petrič che
rimangono in territorio bulgaro193.
Negli anni a seguire l’insofferenza per le mutilazioni territo-
riali e quanto altro stabilito dal Trattato di Neuilly si concretiz-
zano nelle azioni dei komitađi della VMRO (Vətrešna Make-

192
Si veda la documentazione in AUSSME, E-8, b. 80, fasc. 7, Delimitazione frontie-
re e Commissione serbo-bulgara, 1920-1922. Nel gennaio del 1922 il delegato jugosla-
vo Stefanović, nominato addetto militare ad Atene (dicembre 1921), sarà sostituito dal
tenente colonnello Kršić, addetto militare a Sofia.
193
Ivi, Commissione di delimitazione della frontiera SHS-bulgara-delegazione italia-
na, al Comitato militare alleato di Versailles sezione italiana, al Regio ministro d’Italia
a Sofia, al Regio ministro d’Italia a Belgrado, oggetto: Sedute a Belgrado, verificazione
dei lavori, risoluzione della frontiera della Stroumitza, il ten.col. commissario Carlo
Levi, Reggio Emilia 10 dicembre 1921.
214
208 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

donska Revoljucionarna Organizacija) che infestano le frontie-


re di Tracia, Macedonia e Dobrugia e si rendono responsabili di
continui attacchi ai villaggi serbi di confine causando una co-
stante tensione tra Belgrado e Sofia194. Questo nonostante o for-
se proprio in ragione del fatto che le difficili condizioni econo-
miche bulgare e l’influenza politica francese inducano Ale-
ksandăr Stambolijski ad avvicinarsi agli jugoslavi dimostrando
il massimo ossequio alle decisioni dell’Intesa, il fermo volere
eseguire quanto stabilito dal trattato di pace e il desiderio di ri-
allacciare le relazioni diplomatiche con i vincitori. Non è da e-
scludersi che così facendo il premier bulgaro voglia sottrarsi se
non alle clausole territoriali almeno a quelle militari e finanzia-
rie del trattato. L’ammissione della Bulgaria alla Società delle
Nazioni sembra anzi a Sofia il primo passo verso la possibile
revisione delle condizioni di pace, anche se né l’Intesa né gli
Stati confinanti si illudono sui propositi concilianti bulgari. Co-
sì nel luglio 1922 l’Intesa tronca ogni trattativa sulla questione
delle riparazioni bulgare rimettendo in pieno vigore le clausole
del Trattato di Neuilly, mentre a Losanna non sostiene la propo-
sta bulgara per una Tracia autonoma o uno sbocco territoriale
sull’Egeo.
Alla fine dell’anno la politica rinunciataria di Stambolijski
fornirà nuova verve all’irredentismo macedone determinando la
marcia degli autonomisti macedoni su Sofia, arrestata a Kju-
stendil dalla pronta mobilitazione delle masse agrarie,195 e la
194
Dalla fine del XIX secolo in Macedonia sono attive numerose organizzazioni rivo-
luzionarie che lottano contro la dominazione ottomana. L’obiettivo della VMRO è la
creazione di uno Stato macedone autonomo, se non addirittura indipendente (secondo le
diverse correnti interne). Il principale sostegno politico ed economico giunge da Sofia,
dove esiste una rappresentanza della VMRO spesso in contrasto con il governo bulgaro
in merito al destino ultimo della Macedonia. I komitađi macedoni e bulgaro-macedoni
dopo la creazione del Regno SHS continueranno la propria attività insurrezionale contro
il governo di Belgrado ricevendo presto il sostegno finanziario di Roma interessata a
destabilizzare il Regno SHS dall’interno. Per una sintesi si veda I. BANAC, op. cit., pp.
314-328.
195
L’influenza che il Partito agrario al governo esercita sulle masse contadine bulgare
è confermata da un resoconto del colonnello Levi, in quei giorni a Sofia per
l’ultimazione dei lavori della commissione per la delimitazione della frontiera SHS-
bulgara: «[…] le masse agricole sono nettamente disciplinate e nelle mani del governo.
A dimostrazione lampante di quest’ultima asserzione racconterò di aver visto
Nell’Europa di
iii..Nell’Europa
III di Versailles.
Versailles. La Piccola
Piccola Intesa
Intesa 215
209

nota serie di minacce e attentati contro i membri del governo


bulgaro, che costano tra l’altro la vita al ministro della Difesa
Aleksandar Dimitrov (ottobre 1921) e sono generalmente rite-
nuti opera dei comitati macedoni196. Stambolijski si mostra sor-
do alle minacce che si elevano dalle classi più colte del Paese e
dai vari focolai di rivolta alle frontiere. Il governo bulgaro si
riavvicina anzi a Belgrado con l’accoro di Niš (marzo 1923) e
la promessa di sciogliere le organizzazioni macedoni esistenti
in Bulgaria197. Insieme a vertici militari e influenti circoli poli-

l’imponente dimostrazione fatta in Sofia, l’8 di novembre, in occasione di S. Demetrio.


Masse di contadini, nel complesso giovani, erano venute da ogni provincia, e col carat-
teristico segnale arancione, indicante partito agrario, partito del governo, marciavano
ottimamente inquadrate per la città. Non sembrava una libera massa che volesse fare
una dimostrazione al governo, ma reparti di truppe col loro rispettivo comandante, che
sfilassero dinanzi ad un capo, e questi, effettivamente vi era a cavallo, con numeroso
stato maggiore, nella persona del ministro dell’interno e della salute pubblica Raiko Da-
scaloff [Rayko Ivanov Daskalov, anche lui sarà assassinato dalla VMRO nell’agosto
del 1923] alter ego di Stamboliiski, e che lo sostituisce nella presidenza del consiglio,
quando questi, come in quel dì era assente, perché in viaggio all’estero […]. Erano por-
tati nel corteo molti grandi quadri, con le fotografie degli attuali ministri, e velato in ne-
ro, vi era quello del fu Dimitroff, ucciso nello scorso anno. Ogni gruppo rappresentava
un paese e aveva la sua bandiera». AUSSME, E-8, b. 80, fasc. 7, Commissario italiano
delimitazione frontiera serbo-bulgara, al Com. Mil. All. Vers. – sezione italiana Parigi,
all’Ufficio Operazioni Stato Maggiore R. Esercito Roma, oggetto: notizie varie, il
ten.col. commissario Carlo Levi, Belgrado 9 dicembre 1922.
196
Dopo una visita a Belgrado nel maggio del 1921 Dimitrov diventa il principale ar-
tefice della campagna repressiva lanciata dal governo di Sofia contro la VMRO, che
vede diversi suoi leader uccisi dalla polizia bulgara. I. BANAC, op. cit., p. 324.
197
È ancora il colonnello Levi a riportare una serie di commenti della stampa jugo-
slava (in alcuni casi senza specificare la testata) a una significativa visita di Stamboli-
jski a Belgrado alla fine del 1922: «[…] Importanza molto maggiore ha avuto il viaggio
di Stamboliiski a Belgrado ed i commenti furono molto più intesi. Riporto fra i tanti:
“Per la prima volta da dieci anni a questa parte un primo ministro bulgaro è ricevuto a
Belgrado ed i giornalisti di quella capitale senza distinzione di partito, sono d’accordo
nel rilevare che l’intervista fra Pachitch, Stamboliiski e Nintchich potrebbe avere una
fortissima importanza per la ripresa delle amichevoli relazioni fra i due paesi!”. “I di-
scorsi di Stamboliiski hanno prodotto un’impressione profonda e tutti considerano a
Belgrado che le basi d’una collaborazione futura fra i due paesi, sono virtualmente po-
ste”. Sulla questione macedone il premier bulgaro ha detto “non si può proibire ai ma-
cedoni di pensare alla loro patria, per la libertà della quale non hanno giammai cessato
di lottare, tocca ai serbi di tentare di farne dei buoni cittadini. Governate i macedoni, ma
avendo preso la loro terra dovrete loro permetter di rientrare. Dando una soluzione
pronta e giusta, il governo di Belgrado farebbe scomparire numerosi malintesi, come
per esempio quello dei comitagj, di cui i grandi capi del resto, si trovano in territorio
serbo. I Macedoni sono gli irlandesi degli slavi! Noi bulgari però non pensiamo più alla
Macedonia. Noi non la vogliamo, noi rinunciamo alla Macedonia, solo i nostri macedo-
216
210 Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles
Versailles

tici bulgari contrari ad alcun tipo di negoziato con gli jugoslavi,


nel giugno del 1923 la VMRO sarà responsabile del suo assas-
sinio in quanto reo di aver promosso una politica di distensione
con il Regno SHS basata su una comune politica contro il terro-
rismo198. Belgrado, dal canto suo, rimarrà a lungo ferma
nell’opporsi a qualunque compromesso sulla Macedonia difen-
dendo lo status quo frontaliero stabilito dal trattato di Neuilly e
insistendo per una sua rigida applicazione in ogni singola voce.

ni pensano alla Macedonia. I macedoni sono un elemento insurrezionale, che lotta con-
tro noi e contro voi. Se in base al trattato avete preso la Macedonia, prendete pure tutti i
macedoni che si trovano ancora in Bulgaria. Essi solo ci ostacolano: per colpa loro, pe-
rirono tanti figli bulgari. Essi ci hanno recato tanti danni. Io sono sempre stato contro i
macedoni; ho lavorato e ho lottato contro di loro. Tutti i delitti politici in Bulgaria sono
opera dei macedoni. Mai non vi avrei fatto guerra pei macedoni”. I commenti
s’intuiscono senza farli; fra l’altro vi è in Sofia, chi afferma che a Stamboliiski è riser-
vata una fine tragica per mano macedone. La Samouprava, giornale ufficioso di Belgra-
do, pubblicò a commento del soggiorno di Stamboliiski nella capitale jugoslava, quanto
segue: “La creazione di strette relazioni tra il governo di Sofia e quello di Belgrado, e lo
scambio di vedute sulle molteplici questioni che interessano i due popoli, hanno
un’influenza salutare, sul corso degli avvenimenti balcanici. Questa démarche della
Bulgaria appoggia sensibilmente la politica di pace e di stabilizzazione del nostro gran-
de governo. E questo appoggio è d’una grande importanza. Senza dubbio lo scopo della
visita di Stamboliiski è la prossima conferenza di Losanna. Il nostro governo sosterrà le
domande bulgare che sono nell’interesse della pace balcanica e che rappresentano nel
medesimo tempo un interesse vitale per il popolo bulgaro. Noi desideriamo che la Bul-
garia non sia soffocata artificialmente. Dopo tutto quello ch’è avvenuto, non si può pre-
tendere che i due popoli sopprimano d’un sol colpo tutti gli ostacoli ed arrivino ad
un’intesa completa. In vista di questa riconciliazione si deve lungamente lavorare e la
visita di Stamboliiski è una tappa in questo senso. Noi speriamo che questa visita, con-
tribuirà ugualmente all’orientazione della Bulgaria, perché non è che cosi, che si potrà
giungere ad una stabilizzazione della situazione nei Balcani”». AUSSME, E-8, b. 80,
fasc. 7, Commissario italiano delimitazione frontiera serbo-bulgara, al Com. Mil. All.
Vers. – sezione italiana Parigi, all’Ufficio Operazioni Stato Maggiore R. Esercito Ro-
ma, oggetto: notizie varie, il ten.col. commissario Carlo Levi, Belgrado 9 dicembre
1922.
198
I. BANAC, op. cit., pp. 324-325.
Conclusioni

La Piccola Intesa è ora affermata e tende a estendersi. Non è più


soltanto diretta contro l’Ungheria è soprattutto un’unione di po-
tenze regionali amiche della “Grande Intesa” che si garantisco-
no comuni interessi1. È stato detto come in Francia si creda po-
co al revanscismo ungherese e si pensi alla Piccola Intesa come
a un’alleanza connessa strettamente alla lotta al bolscevismo e
al “germanesimo”. I francesi ritengono che lentamente
l’Ungheria, mossa dall’interesse economico, si spingerà verso
la Piccola Intesa, al quale è connessa da collegamenti fluviali e
ferroviari che vanno al mare. «Il ravvicinamento ci sarà col pas-
sare del tempo»” – è opinione di De Fontenay2.
Beneš è pienamente consapevole degli interessi francesi e a
Praga non manca di rassicurare il generale Pellé

La necessità di difendersi dall’imperialismo ungherese non è


affatto trascurabile, ma non è lo scopo unico né principale della
Piccola Intesa: essa vuole essere un mezzo di unione. L’idea-
chiave è quella di ricostruire l’Europa centrale3.

Anche secondo Pellé è necessario creare una Piccola Intesa


forte, che diventi strumento della politica francese nell’Europa
danubiana. La Francia ha bisogno di un punto di appoggio forte
a est della Germania, che non può essere la sola Polonia.
L’intesa a cinque tra Cecoslovacchia, Regno SHS, Romania,

1
Ognuno dei contraenti si guarderà bene dal fornire garanzie all’altro in relazione a
questioni specifiche dei singoli Paesi, ovvero a fornire sostegno militare diretto in caso
di un conflitto romeno-sovietico, italo-jugoslavo o cecoslovacco-tedesco. M. ÁDÁM, op.
cit., p. 182.
2
DDF, Iere série, 1920, tome II, doc. 18.
3
Ivi, doc. 476.

211
217
218
212 Conclusioni

Polonia e Grecia, dovrà dunque essere la “musique de


l’avenir!”4.
Per tale ragione il passo successivo dell’azione diplomatica
della Piccola Intesa è un più concreto avvicinamento alla Polo-
nia che avviene con una serie di incontri nel corso del 1922 tra
Bucarest (20-24 febbraio), Belgrado (9-12 marzo) e la Confe-
renza di Genova dell’aprile-maggio, in concomitanza
all’ufficializzazione del fidanzamento di Aleksandar Karađor-
đević con la principessa Mărioara di Romania, che si sposeran-
no l’8 giugno 1922 nella capitale jugoslava. I governi di Roma-
nia, Polonia, Regno SHS e Cecoslovacchia concorderanno sulla
necessità di una comunione di intenti che assicuri all’Europa
una normale vita politica ed economica. Particolare comunanza
di interessi del resto è già stata dimostrata da Romania e Polo-
nia, unite dal timore della Russia bolscevica e dal fermo impe-
gno della diplomazia francese. L’avvicinamento della Piccola
Intesa alla Polonia, anticipato dall’alleanza romeno-polacca
(convenzione Ionescu-Sapieha) del 3 marzo 1921, è sancito il 6
novembre successivo dall’accordo difensivo tra Cecoslovacchia
e Polonia (patto Beneš-Skirmunt), che impone ai due Stati, riva-
li per questioni territoriali, la reciproca neutralità in caso di at-
tacco da parte di loro vicini5. La Polonia si troverà così legata a
due membri della Piccola Intesa senza essere parte diretta
dell’alleanza, la cui funzione anti-ungherese non la chiama in
causa direttamente6. Belgrado completerà il sistema di alleanza
“esterno” alla Piccola Intesa con un accordo in forma di trattato
commerciale, che avrebbe garantito ai polacchi il transito attra-

4
Ibidem.
5
Si veda R. MACHRAY, op. cit., pp. 183-187; P.S. WANDYCZ, France and Her East-
ern Allies 1919-1925, pp. 249-250; E. CAMPUS, op. cit., p. 18; E. BOIA, op. cit., pp. 91-
92. La Romania considera evidentemente l’alleanza anti-russa con la Polonia una
priorità, dal momento che l’accordo tra Ionescu e Eustachy Sapieha è stretto ancora
prima di quelli con Praga e Belgrado. Cfr. W. STEPNIAK, op. cit., pp. 98-99.
6
L’accordo tra Praga e Varsavia, tra l’altro non ratificato dalla Polonia, non appiane-
rà le contese territoriali tra i due Paesi: la questione della Javořina tornerà rapidamente a
infiammare le relazioni tra Cecoslovacchia e Polonia tra la fine del 1922 e il 1923 (il 12
marzo 1924 la Società delle Nazioni assegnerà la regione alla repubblica cecoslovacca).
Conclusioni
Conclusioni 219
213

verso lo Stato jugoslavo di materiali militari provenienti dai


porti dell’Egeo (novembre 1922)7.
La fase finale dell’accerchiamento dell’Ungheria avviene in-
fine attraverso la conclusione di un trattato di amicizia tra Ce-
coslovacchia e Austria il 16-17 dicembre 1921 a Lány.
L’annuncio dell’accordo fa credere in un primo tempo
all’ingresso dell’Austria nella Piccola Intesa: Beneš smentisce
ma di fatto il trattato rende la repubblica austriaca un membro
associato dell’alleanza danubiana. Allo stesso tempo i rapporti
tra Regno SHS e Austria avranno una svolta fondamentale il 21
febbraio 1923, quando il cancelliere austriaco Ignaz Seipel e il
ministro degli Esteri Alfred Grünberger visitano Belgrado per
la firma con Pašić e Ninčić, cinque giorni dopo, di un protocol-
lo composto di quattro convenzioni relative al regime dei pas-
saporti, delle merci in transito e altre questioni ancora in sospe-
so tra i due Paesi, quali il regime di regolamentazione delle
proprietà delle rispettive minoranze, i capitali austriaci investiti
nel Regno SHS, il pagamento delle obbligazioni assunte in co-
rone austriache prima del marzo 1919, le azioni austriache nelle
imprese della Bosnia-Erzegovina e le proprietà della Legazione
jugoslava a Vienna. I buoni intenti dimostrati a Belgrado da en-
trambe le parti saranno confermati l’anno successivo con la vi-
sita di Ninčić nella capitale austriaca8.
L’Italia, estranea ai negoziati della Piccola Intesa, sembrerà
a suo modo aderire all’ordine europeo in seguito al Trattato di
Rapallo del 12 novembre 1920. Quando nel gennaio del 1921
De Fontenay chiede chiarimenti a Vesnić sulla natura
dell’accordo italo-jugoslavo, questi afferma che con esso
«l’Italia è entrata a far parte della Piccola Intesa»9. Con la con-

7
L’accordo sarà seguito nel novembre del 1925 da un’altra convenzione segreta
polacco-romeno-jugoslava – sempre relativa al transito di rifornimenti militari diretti in
Polonia – e dalla conclusione a Ginevra di un patto di amicizia e cordiale collaborazio-
ne jugoslavo-polacco nel settembre del 1926 (non ratificato). Si veda R. MACHRAY, op.
cit., p. 292; W. STEPNIAK, op. cit., pp. 99-102.
8
R. MACHRAY, op. cit., pp. 217-218.
9
DDF, Iere série, 1920, tome III, doc. 384. Lo stesso Beneš, commentando l’accordo
italo-jugoslavo, affermerà che con la firma l’Italia aveva dimostrato un’attitudine verso
le questioni dell’Europa centrale analoga e parallela a quella della Piccola Intesa. Il mi-
220
214 Conclusioni
Conclusioni

venzione anti-asburgica Italia e Regno SHS si impegnano infat-


ti a sorvegliare la letterale applicazione dei trattati di pace di
Trianon e Saint Germain e a opporsi a ogni forma di restaura-
zione asburgica in Austria e Ungheria, possibilità questa
dell’eventuale sostegno italiano a un ritorno degli Asburgo a
lungo temuta dagli Stati successori. Secondo i francesi la firma
dell’accordo si spiegherebbe, per l’Italia, nel proposito di voler
controllare la Piccola Intesa e di intervenire nella politica di in-
fluenza francese nell’Europa danubiana, cercando di garantirsi
il coordinamento degli Stati successori. L’Italia si propone tra
l’altro di aggiungere al trattato con il vicino jugoslavo un altro
con la Cecoslovacchia. Beneš non potendo sottrarsi alle apertu-
re italiane sarà presto a Roma per negoziare un trattato com-
merciale (23 marzo 1921). In tal modo l’ingresso dell’Italia nel-
la logica di una Piccola Intesa legata anche ad Austria e Polonia
sembra scongiurare la tanto deplorata eventualità di una “balca-
nizzazione” dell’Europa centrale e ricreare quella forma di sta-
bilità continentale venuta a mancare con il crollo dell’Austria-
Ungheria. È noto come l’Italia (ancor più con l’avvento del fa-
scismo) invece di facilitare un’intesa centro-europea finirà con
il contribuire a destabilizzare l’Europa centrale e ad accentuare
la divergenza di vedute tra i componenti della Piccola Intesa a
tutto vantaggio dei Paesi revisionisti10.
Per tale ragione la Francia si affretterà a rilanciare la propria
influenza nella regione offrendo prestiti per centinaia di milioni
di franchi a Polonia, Regno SHS e Romania per l’acquisto di
armamenti presso ditte francesi (dicembre 1923) e suggellando
la propria alleanza con la Cecoslovacchia, fin lì mai formalizza-

nistro cecoslovacco si riferiva in particolare alla sottoscrizione da parte di Roma e Bel-


grado della convenzione anti-asburgica per la mutua difesa delle condizioni dei trattati
di pace. Soprattutto l’articolo 4 aveva uno speciale significato dal momento che faceva
riferimento alla soddisfazione del governo italiano per la convenzione difensiva rag-
giunta da Regno SHS e Cecoslovacchia. R. MACHRAY, op. cit., pp. 137-138.
10
DDF, Iere série, 1920, tome III, doc. 433. L’adesione della Romania alla Piccola In-
tesa, ad esempio, da molti italiani vista come l’abbandono della politica filo-italiana di
Bucarest, non pregiudica in realtà i rapporti italo-romeni, al punto da lasciare l’Italia
convinta che in un eventuale conflitto italo-jugoslavo la Romania sarebbe rimasta quan-
to meno neutrale.
Conclusioni
Conclusioni 221
215

ta ma esistente de facto, stringendo a Parigi l’accordo del 25


gennaio 192411. L’Italia, che guarda ai Balcani e all’Europa da-
nubiana come una sua potenziale area di influenza, sarà forte-
mente disturbata da quella che riterrà un’intromissione francese
e proprio per non suscitare l’ostilità italiana Parigi e Belgrado
non arriveranno a stringere in questo momento un patto franco-
jugoslavo. Seguirà anzi il Trattato di Roma del 27 gennaio 1924
tra Italia e Regno SHS, secondo alcuni propiziato dallo stesso
Beneš, che avrebbe avuto un ruolo fondamentale di intermedia-
rio anche per dimostrare l’autonomia cecoslovacca dalla Fran-
cia,12 secondo altri – e all’epoca secondo parte della stampa eu-
ropea – stretto a sua insaputa da Belgrado per ripagare Praga
dell’inaspettata sorpresa dell’accordo franco-cecoslovacco13. Il
Trattato di Roma sembra finalmente risolvere le questioni anco-
ra contese tra Italia e Regno SHS – la principale lo status di
Fiume – apparentemente scongiurando la minaccia di un soda-
lizio italiano con gli altri possibili nemici del Regno SHS (Un-
gheria e Bulgaria).
La Piccola Intesa dimostrerà la sua efficacia nel proteggere
l’interesse comune degli Stati membri attraverso la capacità di
funzionare come unità diplomatica nella politica internazionale.
I membri contraenti stabiliranno a tal fine di riunirsi periodica-
mente per coordinare un’azione comune. Il primo incontro è te-
nuto a Praga il 26-28 agosto 1922, voluto dai ministri degli E-
steri Ninčić e Duca, e vi partecipa anche Piltz, ministro polacco
nella capitale cecoslovacca, in qualità di osservatore. Il secondo

11
P.S. WANDYCZ, France and Her Eastern Allies 1919-1925, p. 300.
12
Secondo Wandycz anche il patto di amicizia italo-cecoslovacco stretto da Beneš e
Mussolini a Roma il 5 luglio 1924 intende ribadire, senza rinunciare al patrocinio
francese, la libertà di azione cecoslovacca nella politica internazionale, nell’intenzione
di Praga di dimostrarsi equidistante nel rapporto con le Potenze europee. Ivi, pp. 304-
305. Il trattato italo-cecoslovacco sarà ampiamente preannunciato da Beneš a Ninčić, il
quale considera la linea politica cecoslovacca in perfetto accordo con quella di Belgrado
finalizzata all’intrattenimento di relazioni cordiali con Mussolini e l’Italia. Cfr. R. MA-
CHRAY, op. cit., pp. 242 e 268.
13
È quanto sostenuto dal ministro inglese a Belgrado Alban Young e riportato in E.
BOIA, op. cit., p. 111. Secondo Robert Machray, invece, Ninčić e Beneš si sarebbero
rispettivamente informati degli accordi stretti con Francia e Italia a Ginevra, alla
Società delle Nazioni, nel 1923. Cfr. R. MACHRAY, op. cit., pp. 233-234.
222
216 Conclusioni
Conclusioni

si terrà l’anno seguente a Sinaia in Romania (28-30 luglio


1923), dove non solo continuano le aperture alla Polonia (Piltz
vi partecipa anche questa volta) ma è anche discussa l’attitudine
da assumere verso la Bulgaria del dopo Stambolijski14.
Tuttavia è solamente nell’incontro successivo del 14 settem-
bre a Praga che la Piccola Intesa rafforzerà il proprio sodalizio
militare con la firma di una convenzione tripartitica segreta che
integra i precedenti accordi bilaterali. Nell’estate del 1923 infat-
ti aumentano le preoccupazioni del Regno SHS verso l’Italia,
che risponde all’assassinio del generale Enrico Tellini, a capo
della commissione per la delimitazione dei confini greco-
albanesi, bombardando Corfù e occupando Fiume (17 settem-
bre)15. Belgrado teme che un conflitto con l’Italia possa portare
anche all’aggressione ungherese e bulgara e denuncia come
proprio la zona di Ioannina dove è ucciso Tellini sia area di o-
perazioni della VMRO filo-bulgara, che sin dal 1919 ha goduto
del sostegno delle truppe italiane a Sofia. Per questo la Piccola
Intesa corre ai ripari con una convenzione a tre che definisce ul-
teriormente i reciproci obblighi militari e le zone di rispettiva
competenza, pur non sostituendo i precedenti accordi bilaterali
che rimangono validi sul piano politico16. Regno SHS, Ceco-

14
Ivi, pp. 200-201 e 220-224. Si veda inoltre E. CAMPUS, op. cit., p. 18.
15
La mattina del 27 agosto 1923 nei pressi di Ioannina Tellini e altri tre membri della
delegazione italiana sono assassinati in circostanze misteriose. La commissione per la
delimitazione dei confini greco-albanesi svolgeva l’incarico su mandato della
Conferenza degli Ambasciatori. Il governo greco accusa bande albanesi attive nell’area
ma non si riscontrano tracce di rapina a danno delle vittime. Il governo di Roma, che in
ambito internazionale chiede siano riconosciute le responsabilità greche dell’eccidio,
risponde con una dimostrazione di forza bombardando Corfù e rilanciando per una
soluzione all’Italia favorevole della questione di Fiume, sottoposta al governatorato del
generale Gaetano Giardino e annessa qualche mese dopo. Sulla vicenda Tellini si veda
J. BARROS, The Corfu Incident of 1923. Mussolini and the League of Nations,
University Press, Princeton 1965; A. GIANNASI, L’eccidio di Tellini. Da Giannina
all’occupazione di Corfù, Prospettiva editrice, Roma 2007; W. KLINGER, op. cit., pp.
81-95; A. VAGNINI, La Commissione di delimitazione dei confini albanesi e l’incidente
di Giannina, in A. BECHERELLI, A. CARTENY (a cura di), L’Albania indipendente e le
relazioni italo-albanesi (1912-2012), Nuova Cultura, Roma 2013, pp. 139-155.
16
Le intenzioni del Regno SHS sono di rinforzare l’alleanza difensiva in funzione
anti-italiana, anche se – in parte è stato già detto – difficilmenete Cecoslovacchia e
Romania sarebbero intervenute in un conflitto italo-jugoslavo: pertanto la convenzione
finisce con il limitarsi a ribadire il comune impegno in funzione anti-ungherese.
Conclusioni
Conclusioni 223
217

slovacchia e Romania avrebbero inoltre agito come blocco di-


plomatico a Ginevra godendo di piena rappresentanza presso le
commissioni permanenti della Società delle Nazioni e oppo-
nendosi all’adesione ungherese. Per approvare quest’ultima
Belgrado, Praga e Bucarest chiedono infatti che Budapest di-
chiari ufficialmente di essere intenzionata a rispettare tutti gli
obblighi dettati dal trattato del Trianon. Solamente dopo tale
impegno l’Ungheria sarà ammessa alla Società delle Nazioni
nel settembre del 1922.
Negli anni successivi i rapporti tra l’Ungheria e la Piccola
Intesa solo apparentemente sembreranno migliorare e nel Re-
gno SHS l’opinione pubblica continuerà a vedere nel vicino un-
gherese un rivale e una minaccia, anche se mai un pericolo tan-
to grande quanto quello italiano. Belgrado accuserà Budapest di
mantenere contatti e sostenere economicamente l’emigrazione e
l’opposizione croata rappresentata da Frank e Radić, propensa
alla separazione della Croazia dallo Stato jugoslavo17. Nel gen-
naio del 1923 lo sconfinamento in territorio romeno di gruppi
armati magiari porterà nuovamente la Piccola Intesa sulla soglia
dell’intervento in Ungheria18. Re Aleksandar prometterà il so-
stegno jugoslavo all’alleato romeno ma la missione a Bucarest
del generale Kalafatović sarà in primo luogo rivolta a scongiu-
rare l’intervento militare, nella consapevolezza di Belgrado di
essere ancora impreparata per un conflitto. Di fatto già nel cor-
so del 1925 i rapporti tra ungheresi e jugoslavi sembreranno
migliorare, anche se le attività clandestine di riarmo effettuate
da Budapest giustificheranno le dure prese di posizione di Bel-
grado e degli alleati della Piccola Intesa, che nel marzo del
1924 – insieme a Francia, Gran Bretagna e Italia – sono riusciti
ancora una volta a impegnare l’Ungheria al rispetto dei propri

17
Si veda Á. HORNYÁK, op. cit., pp. 142-144. Una politica quella del sostegno al se-
paratismo croato che dalla fine degli anni Venti porterà l’Ungheria – come l’Italia – a
più stretti rapporti con il movimento ustaša di Ante Pavelić.
18
Incidenti con gli ungheresi e nuove tensioni tra l’Ungheria e la Piccola Intesa si ve-
rificheranno ancora nella primavera successiva al confine con la Cecoslovacchia:
l’uccisione di una guardia frontaliera cecoslovacca e l’invocazione di rappresaglie da
parte dell’opinione pubblica nazionale porterà Praga a indirizzare dure rimostranze e la
richiesta di risarcimenti a Budapest. Cfr. R. MACHRAY, op. cit., pp. 215-217.
224
218 Conclusioni

obblighi verso il Trattato del Trianon quale condizione essen-


ziale per la realizzazione del piano di prestiti e ricostruzione
economica previsto dalla Commissione per le riparazioni e dal-
la Società delle Nazioni (dicembre 1923)19.
In occasione dell’anniversario dei quattrocento anni dalla
battaglia di Mohács (1526) Horthy cercherà l’intesa con il Re-
gno SHS la cui popolazione – sottolinea l’ammiraglio – aveva
lottato al fianco dei magiari per salvare l’Europa dal pericolo
turco. Nell’apertura ungherese Belgrado scorgerà la possibilità
di fuggire a un pericoloso accerchiamento. Nonostante gli ac-
cordi stretti nel 1924-25 permangono infatti i sospetti jugoslavi
verso l’Italia, cui si aggiunge il fallimento della politica di in-
fluenza in Albania tramite il sostegno a Ahmed Zogu e di nor-
malizzazione dei rapporti con la Bulgaria. In questo momento
anche la diplomazia italiana spinge per un riavvicinamento tra
Budapest e Belgrado con la speranza di scalzare l’egemonia
francese nell’area danubiano-balcanica20. Negoziati saranno
prontamente intrapresi per stringere trattati di collaborazione
tecnica e commerciale, che tuttavia non si concretizzeranno a
un più elevato livello politico (un patto di amicizia e non ag-
gressione) per un sempre più consistente volgere ungherese
verso l’Italia di Mussolini, le cui tensioni con lo Stato jugoslavo
– se si esclude la parentesi di Milan Stojadinović nella seconda
metà degli anni Trenta che coincide infatti con il raffreddamen-
to dei rapporti di Belgrado con Praga e Bucarest e l’inizio della
disintegrazione della Piccola Intesa – non saranno mai del tutto
appianate. Belgrado sarà profondamente preoccupata quando il
27 novembre 1926 l’Italia siglerà il Patto di Tirana: dieci giorni
dopo Ninčić, ritenendo in tal modo fallimentare la propria poli-
tica conciliatoria verso l’Italia, si dimetterà per protesta dopo
esser stato a lungo ministro degli Esteri21. Il patto italo-albanese

19
Ivi, p. 223. In seguito alle pressioni britanniche il Regno SHS è costretto a conce-
dere all’Ungheria un prestito e una moratoria sulle riparazioni di guerra in cambio di un
prolungamento delle condizioni di spedizione di carbone da Pécs. L’accordo tra Belgra-
do e Budapest è siglato il 3 febbraio 1924. M. ÁDÁM, op. cit., p. 271.
20
A. VAGNINI, op. cit., p. 177.
21
R. MACHRAY, op. cit, pp. 298-299.
Conclusioni
Conclusioni 225
219

non solo è preceduto a settembre da quello italo-romeno di a-


micizia e cordiale collaborazione tra Mussolini e Avarescu, ma
sarà seguito il 4 aprile 1927 dal trattato di amicizia con
l’Ungheria e nel febbraio del 1930 da quello con l’Austria, che
completa l’accerchiamento jugoslavo. Per tale ragione Belgrado
nel novembre del 1927, precedendo di poco il secondo accordo
che lega Roma e Tirana, si affretterà a concludere a Parigi un
trattato di alleanza con la Francia (patto Briand-Marinković)
nell’evidente tentativo di trovare sostegno contro il sistema di
alleanze progressivamente stretto dall’Italia.
A cambiare radicalmente gli equilibri europei contribuiranno
il riconoscimento dell’Unione Sovietica da parte britannica, ita-
liana e francese nel 1924 e il trattato di Locarno del 16 ottobre
1925. Il secondo, pur confermando lo status quo nell’Europa
occidentale (frontiera franco-tedesca e belga-tedesca) e la demi-
litarizzazione della Renania, apre a un miglioramento delle re-
lazioni tra vincitori e vinti, nel tentativo di creare un generale
clima di distensione e sicurezza22. In tal contesto, non del tutto
scevri da preoccupazioni per l’apertura alla Germania ammessa
alla Società delle Nazioni nel settembre 1926, i Paesi della Pic-
cola Intesa tentano a loro volta di garantirsi nell’area danubiana
i vantaggi dello “spirito di Locarno”, in primo luogo aprendo a
un nuovo tipo di rapporti politici ed economici con l’Ungheria,
ma non solo. Alla Conferenza di Belgrado della Piccola Intesa
del 10-12 gennaio 1924, infatti, si parla anche del riconosci-
mento della Russia sovietica, con Beneš che sostiene la necessi-
tà per l’alleanza danubiana di non rimanere indifferente al pro-
cesso di consolidamento delle relazioni internazionali condotto
da Mosca. Secondo Beneš è il momento di intensificare i rap-
porti economici con i russi, primo passo verso un riconoscimen-
to de jure della Russia sovietica. Ovvie risultano le difficoltà
nel convincere i romeni dell’esigenza di avviare un processo di
normalizzazione della Russia bolscevica – causa l’ostilità sovie-

22
Sul Patto di Locarno si veda P.S. WANDYCZ, The Twilight of French Eastern Alli-
ances, 1926-1936: French-Czechoslovak-Polish Relation from Locarno to the Remilita-
rization of the Rhineland, University Press, Princeton 1988.
226
220 Conclusioni

tica a riconoscere nella Bessarabia un territorio romeno – ma


forti reticenze sono mostrate anche da Pašić, devoto alla Russia
zarista23. Spalajković pubblica su Samouprava, l’organo ufficia-
le dei radicali, un articolo contro il riconoscimento sovietico
che viene considerato un attacco alla politica di Beneš.
Dall’altro lato Živojin Balugdžić, ministro jugoslavo ad Atene e
successivamente ministro a Roma e Berlino, appellandosi alla
solidarietà slava, commenta su Politika che «nessun governo
che crede in una politica costruttiva in Europa può permettersi
di rimanere senza relazioni con la Russia, qualunque ne sia il
regime». La Piccola Intesa non è contraria in principio al rico-
noscimento della Russia sovietica, ma attende quello de jure di
Gran Bretagna e Italia, che avviene proprio nei giorni
dell’incontro nella capitale jugoslava. Belgrado e Praga specifi-
cano altresì a Bucarest che in alcun modo avrebbero sostenuto i
romeni contro i russi qualora i secondi fossero entrati in Bessa-
rabia, garantendo in caso di conflitto romeno-sovietico una
“benevola neutralità” – come afferma Ninčić – o al più una par-
tecipazione a una comune azione internazionale – come sostie-
ne Pašić nel primo incontro con il nuovo ministro francese a
Belgrado Clément-Simon24.
Nel caso del Regno SHS ad allontanare ulteriormente Bel-
grado da Mosca contribuirà il fatto che alla seconda si sia avvi-
cinato Radić, il leader contadino croato e primo oppositore del
centralismo serbo, che all’inizio del 1925 sarà nuovamente ar-
restato a Zagabria con l’accusa di sedizione in combutta con i
bolscevichi. Il partito di Radić ha infatti aderito
all’Internazionale contadina – sottoposta all’influenza sovietica
– e per tale ragione subirà la repressione di Belgrado. Nella
confusione politica jugoslava di quegli anni la situazione cam-

23
A Belgrado è ancora funzionante l’ambasciata della Russia zarista che sarà chiusa
entro la fine dell’anno. M. ÁDÁM, op. cit., pp. 226-227.
24
DDF, Iere série, 1921, tome I, doc. 205; R. MACHRAY, op. cit., pp. 235-236; E.
BOIA, op. cit., p. 120. I Paesi della Piccola Intesa normalizzeranno le proprie relazioni
diplomatiche con l’Unione Sovietica solamente negli anni Trenta: dopo Romania e Ce-
coslovacchia (giugno 1934) si aggiungerà tardivamente la Jugoslavia (giugno 1940),
ancora frenata dal ritenere un tradimento della Russia zarista il riconoscimento del go-
verno bolscevico.
Conclusioni
Conclusioni 227
221

bierà già nel corso dell’anno, quando Radić sarà rilasciato per
diventare ministro dell’Istruzione in un governo di coalizione
creato al fine di appianare la contesa tra croati e potere centrale.
La conciliazione non avrà lunga durata e Radić non esiterà a
criticare il governo in cui è ministro mettendone a dura prova la
sopravvivenza25.
Nell’ottobre del 1926 le eccentriche proteste del leader con-
tadino croato creeranno imbarazzo anche nei rapporti tra jugo-
slavi e alleati della Piccola Intesa. In occasione di una visita di
una delegazione del parlamento cecoslovacco a Zagabria, irrita-
to dall’assenza dei colori croati tra le bandiere che decorano la
stazione ferroviaria, Radić interromperà il discorso di benvenu-
to del prefetto (radicale), sostenendo che all’errata espressione
“cecoslovacco” sia preferibile la più corretta “ceco e slovacco”.
L’incidente diplomatico porterà il capo del governo Nikola U-
zunović a presentare le proprie dimissioni, rifiutate da re Ale-
ksandar26.
L’efficacia della Piccola Intesa dipende infatti largamente
dal grado di stabilità politica interna degli Stati contraenti, che
in tal senso a fatica nascondono le proprie criticità. Con l’ascesa
del fascismo e del nazismo tali criticità saranno puntualmente
colte dal revisionismo tedesco, italiano e ungherese. Nel 1933
con l’avvento al potere di Hitler e il crescente concreto pericolo
della revisione dei trattati di pace, la Piccola Intesa ricorrerà
all’ennesima riorganizzazione militare al suo interno – riorga-
nizzazioni continue che di fatto non cambiano le condizioni
stabilite tra il 1920 e il 1921 – e all’istituzione di un consiglio
permanente che ne coordini eventuali necessità belliche, nono-
stante le speranze di Belgrado, Bucarest e Praga siano riposte
soprattutto nelle fallaci garanzie fornite dalla Società delle Na-
zioni piuttosto che nella propria potenza militare27.

25
Si veda J. PIRJEVEC, op. cit., pp. 53-58.
26
R. MACHRAY, op. cit., pp. 297-298.
27
Si vedano in tal senso le dichiarazioni del diplomatico cecoslovacco Štefan Osuský
al Chatham House di Londra nel marzo del 1934: Š. OSUSKÝ, The Little Entente and the
League of Nations, in International Affairs (Royal Institute of International Affairs
1931-1939), 13, 3, May-June 1934, pp. 378-393.
228
222 Conclusioni

L’anno successivo (1934) Jugoslavia e Romania stringeran-


no l’Intesa balcanica con Grecia e Turchia28. Di un patto balca-
nico che interessa in primo luogo gli jugoslavi si parla dagli
Accordi di Locarno, in un momento, il 1925, in cui tra l’altro la
tradizionale alleanza tra Belgrado e Atene risulta compromessa
dalle pretese del governo jugoslavo di amministrare la ferrovia
Salonicco-Gevgelija anche in territorio greco – in modo da col-
legare attraverso un corridoio ferroviario a controllo jugoslavo
il porto greco al sud della Serbia – nel tentativo di garantire al
Regno SHS il controllo economico della intera rete ferroviaria
tra l’Egeo e il Danubio. Dopo un primo fallimentare tentativo di
riconciliazione nell’estate del 1926 la questione sarebbe stata
definitivamente sanata a Parigi da Marinković e Venizelos
(1928) con la concessione agli jugoslavi di una zona franca nel
porto di Salonicco e un patto di amicizia di cinque anni tra i due
Stati29.
Nel 1933 la stampa jugoslava elogia entusiasticamente la
piena armonia dell’Intesa balcanica con gli intenti della Piccola
Intesa ritenendo l’attività parallela delle due alleanze anti-
revisioniste la migliore garanzia per il mantenimento della pace.
Tuttavia, seppure conforme alla politica estera francese e nono-
stante sia ritenuta dallo stesso Beneš compatibile agli intenti e
ai principi della Piccola Intesa durante l’incontro di Zagabria
del 22 gennaio 1934, l’Intesa balcanica rappresenta il primo
passo verso lo spostamento dell’equilibrio difensivo jugoslavo e
romeno verso i Paesi balcanici e il progressivo abbandono della
Cecoslovacchia ai “disegni letali” di Hitler30.

28
Il patto è concluso dai ministri degli Esteri Bogoliub Jevtić, Nicolae Titulescu,
Demetrios Maximos e Tevfik Rüstü-Aras nella prima decade di febbraio del 1934 tra
Belgrado e Atene. I quattro Stati si garantiscono reciprocamente la sicurezza delle
frontiere da possibili aggressioni revisioniste. Nonostante la Bulgaria partecipi inizial-
mente alle trattative dell’alleanza balcanica la sua mancata adesione finisce con
l’indirizzare inevitabilmente l’accordo in senso ostile al revisionismo bulgaro.
29
Si veda R. MACHRAY, op. cit., pp. 266, 292 e 353-354; D. BAKIĆ, The Port of Sa-
lonica in Yugoslav Foreign Policy 1919-1941, in Balcanica, XLIII, Belgrade 2012, pp.
191-219.
30
M. GLENNY, The Balkans. Nationalism, War, and the Great Powers, 1804-1999,
Penguin Books, New York 2001, p. 435.
Conclusioni
Conclusioni 229
223

Nel marzo del 1936 Piccola Intesa e Intesa balcanica con-


danneranno unanimemente l’occupazione tedesca della Reniana
difendendo l’osservanza dei trattati di pace incluso il Patto di
Locarno. Come la Piccola Intesa, tuttavia, l’Intesa balcanica ha
il grande limite di essere un’alleanza «forte con i deboli e debo-
le con i forti»31. Si è già visto nel caso della Piccola Intesa. Di-
nanzi le Grandi Potenze gli Stati successori, nel difendere i pro-
pri interessi di potenze regionali, si fanno promotori di valori
democratici e autodeterminazione nazionale, chiamano in causa
il diritto internazionale e auspicano lo sviluppo della Società
delle Nazioni; gli stessi Stati non rinunciano però a minacciare
l’utilizzo della forza quando devono scongiurare il risollevarsi
dell’Ungheria pretendendo senza successo di partecipare diret-
tamente al controllo militare imposto a Budapest dagli Alleati.
A indebolire ulteriormente l’alleanza danubiana sarà essen-
ziale il fatto che in campo internazionale la Jugoslavia inizierà
ad agire per proprio conto e in direzione di un avvicinamento a
Italia e Germania. Se ne ha già prova il 24 gennaio 1937, quan-
do Stojadinović stringe a Belgrado un patto di amicizia e non
aggressione con il capo di governo e ministro degli Esteri bul-
garo Georgi Kyoseivanov (già ministro nella capitale jugoslava)
che, sostenuto dagli sforzi tedeschi di allontanare Belgrado da
Bucarest e Praga, pone apparentemente termine alla durevole
inimicizia jugoslavo-bulgara violando al tempo stesso il patto
organizzativo della Piccola Intesa del febbraio 1933, secondo
cui ogni accordo politico di uno Stato membro con un terzo Sta-
to avrebbe richiesto preventivamente il consenso unanime del
consiglio permanente. Seguiranno gli Accordi Ciano-
Stojadinović del 25 marzo 1937 – una «cartuccia di dinamite
sotto la Piccola Intesa» li definirà il ministro degli Esteri italia-
no32. Una settimana dopo, al consiglio della Piccola Intesa tenu-
to a Belgrado l’1 e 2 aprile 1937, Stojadinović dovrà infatti
fronteggiare l’indignazione francese e cecoslovacca per lo spre-
giudicato agire jugoslavo nei negoziati con Bulgaria e Italia,

31
Ivi, p. 452.
32
G. CIANO, Diario 1937-1943, a cura di R. De Felice, Rizzoli, Milano 2006, p. 168.
230
224 Conclusioni

condotti senza consultare gli alleati della Piccola Intesa e


dell’Intesa balcanica. Aspettandosi la proposta franco-
cecoslovacca per l’estensione degli esistenti obblighi di allean-
za a più generali garanzie di mutuo intervento in caso di attacco
di una qualsivoglia potenza, Jugoslavia e Romania rifiuteranno
fermamente. Ciò significava ribadire che Belgrado e Bucarest
in alcun modo avrebbero sostenuto la Cecoslovacchia in caso di
un’aggressione tedesca: l’incontro di Belgrado segnava il passo
finale verso la disintegrazione della Piccola Intesa.
Mentre la Bulgaria, con il beneplacito inglese e russo, strin-
gerà accordi con l’Intesa balcanica legittimando così la possibi-
lità di riarmarsi (Salonicco, 31 luglio 1938), il consiglio perma-
nente della Piccola Intesa nell’incontro di Bled del 21-22 agosto
1938, l’ultimo della coalizione, revocherà le restrizioni militari
imposte all’Ungheria dal Trattato del Trianon. Ne coglierà pie-
namente il significato Galeazzo Ciano osservando che gli ac-
cordi di Bled segnavano «una nuova fase dello sgretolamento
della Piccola Intesa. La Cecoslovacchia è isolata. Il sistema di
amicizie francesi sconvolto»33. Lo stesso Stojadinović non esi-
terà ad affermare che l’alleanza non era più valida. Per il
premier jugoslavo, dopo gli accordi di Monaco del settembre
1938, la Cecoslovacchia non esisteva più, o almeno non quella
che aveva aderito alla Piccola Intesa.

33
Ibidem.
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. Caterina B
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. Gabriele A
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. Gabriele A
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. Gabriele N (a cura di)


Il Caucaso meridionale
 ----, formato  ×  cm,  pagine,  euro

. Alberto B
Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles (–)
 ----, formato  ×  cm,  pagine,  euro
Finito di stampare nel mese di marzo del 
dalla tipografia «System Graphic S.r.l.»
 Roma – via di Torre Sant’Anastasia, 
per conto della «Gioacchino Onorati editore S.r.l. – unipersonale» di Canterano (RM)

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