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Silvia Kuna Ballero

TFA Classe A049


 
L’EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI VUOTO
DALL’ANTICHITÀ AL MEDIOEVO
Il “pieno” ed il “vuoto” possono considerarsi nozioni comuni. Si può definire
come “vuoto” tutto ciò che ha la potenzialità di essere riempito, e quando questa poten-
zialità si esaurisce abbiamo il “pieno”.
Ad un primo esame si potrebbe ingenuamente affermare che il movimento è pos-
sibile solo in quanto esiste un “vuoto” da colmare in cui i “pieni” possono spostarsi. E
questo ragionamento regge se si identifica col vuoto l’aria, come facevano i pitagorici.
Ma ovviamente ci si rese presto conto che sulla Terra i luoghi cosiddetti vuoti, in realtà
vuoti non sono, perché anche l’aria ha una sua corposità e materialità.
Esiste dunque il vuoto? Il problema dell'esistenza del vuoto e della definizione
stessa del concetto di vuoto ha interessato le più brillanti menti filosofiche e scientifiche
del mondo sin dall'antichità. Fino all’esperimento di Torricelli (1644), tale problema in-
cludeva, oltre all’ambito scientifico sia teorico sia sperimentale, aspetti filosifici e teolo-
gici, che spesso finivano per prevalere.

Grecia antica
Forse il primo a discutere il problema del vuoto fu Empedocle (ca. 492-432 a.C.),
per il quale i corpi fisici non potevano essere perfettamente compatti, altrimenti non sa-
rebbe stato possibile che i fluidi li penetrassero; ipotizzò quindi l’esistenza di pori o la-
cune, che non sarebbero però vuoti ma pieni d’aria o fluidi. Empedocle confutò
l’identificazione del vuoto con l’aria con l’esperimento della brocca: l’acqua non può
penetrere in una brocca immersa con l’apertura in basso, perché lo impedisce l’aria ivi
contenuta. Anche Anassagora (ca. 500-428 a.C.), tentò di dimostrare la non esistenza
del vuoto, osservando che gli otri riempiti d’aria offrono resistenza alla pressione.
Le considerazioni sulla struttura interna della materia espresse da Empedocle, pur
non ammettendo l’esistenza del vuoto (e infatti saranno utilizzate da Aristotele a soste-
gno proprio di questa ipotesi), aprirono la strada agli atomisti. La dottrina atomistica è
legata a due nomi: Leucippo (V sec. a.C.) e il suo discepolo Democrito (ca. 460-370
a.C.), e descrive la materia come omogenea, immutabile, indistruttibile e discontinua,
formata da parti indivisibili (atomi) di forma e grandezza diverse, in continuo movimen-
to e separate dal vuoto assoluto, ovvero lo spazio entro il quale si esercita tale movimen-
to. All'interno del vuoto democriteo ogni atomo si muove di moto rettilineo uniforme
fino al successivo urto con altri atomi. Democrito inoltre spiegava le differenze di peso
macroscopico dei corpi con la diversa mescolanza in essi di atomi e vuoto.
Di diverso avviso fu Aristotele (384-322 a.C.), che espose le sue tesi a riguardo
nel IV libro della Physica. Si osserva che un corpo lanciato si mantiene in moto; secon-
do Aristotele la causa del moto non può essere nel corpo, né in chi ha effettuato il lan-
cio, che lo ha abbandonato e non può più agire sul corpo stesso; dev’essere dunque nel
mezzo. Secondo una teoria molto criticata anche dai suoi seguaci, il corpo lanciato è
spinto continuamente dal mezzo (ad esempio l’aria) che si precipita ad occupare il vuo-
to lasciato dal proiettile al suo passaggio. Un corpo sarebbe quindi sempre soggetto ad
una forza durante il moto e la sua velocità sarebbe direttamente proporzionale ad essa e
inversamente proporzionale alla resistenza del mezzo. Ne segue che nel vuoto la resi-
stenza sarebbe nulla e la velocità del corpo diverrebbe infinita, cioè il corpo avrebbe il
dono dell'ubiquità. Di qui la convinzione aristotelica dell'impossibilità del vuoto («Na-
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tura abhorret a vacuo», la natura rifiuta il vuoto), conclusione esattamente opposta a
quella degli atomisti, secondo cui il moto sarebbe impossibile nel pieno.
Nella polemica anti-atomista Aristotele porta altri argomenti a sostegno della
propria tesi: abusando del principio di ragion sufficiente, afferma che non vi sarebbe al-
cuna ragione per cui un corpo nel vuoto si dovrebbe fermare in un posto piuttosto che
in un altro, perché il vuoto in quanto tale non mostra alcuna differenza; per lo stesso
motivo non vi sarebbero ragioni per cui un corpo dovrebbe muoversi in una qualche
direzione con una velocità piuttosto che un’altra, perciò nel vuoto dovrebbe essere tutto
in quiete. Aristotele dunque conclude che il vuoto è una contraddizione logica e non
può esistere.

Età ellenistica
L’horror vacui aristotelico rimase una posizione diffusa e sostenuta a lungo. Tut-
tavia il successo di Aristotele non fu immediato e generale. Stratone di Lampsaco diresse
la scuola aristotelica dal 288 al 269 a.C., e nel suo trattato De vacuo, pur negando il
vuoto infinito di Democrito, ammette la presenza di piccoli spazi vuoti entro la materia
(i latini lo chiamarono successivamente vacuum intermixtum, vuoto disseminato).
Le teorie di Stratone, e anche gli esperimenti di pneumatica che Erone gli attribui-
sce, furono quasi sicuramente connesse alla nascita della pneumatica, ossia lo studio e
l’utilizzo della compressibilità dell’aria, si ritiene ad opera di Ctesibio (285-222 a.C.),
contemporaneo di Archimede, che fondò ad Alessandria la famosa scuola di meccanica,
e a cui successe Filone di Bisanzio (ca. 280-220 a.C.), autore di un importante trattato di
meccanica.
Gli alessandrini, indotti dalle numerose esperienze e conoscenze sperimentali in
fatto di pneumatica, assumono l’atteggiamento stratoniano, intermedio fra i sostenitori e
i critici dell’esistenza del vuoto. Per gli alessandrini non era possibile avere il vuoto in
grandi volumi, ma solo vuoto disseminato tra una particella e l'altra. Con questo tipo di
vuoto riuscivano a spiegare facilmente la densità dei corpi e le proprietà di compressibi-
lità ed elasticità dell'aria: quando si riduce un volume d’aria, le particelle si serrano
l’una all’altra occupando il vuoto e trovandosi in una posizione forzata da cui tendono a
tornare a quella originale; da qui la forza dell’aria compressa. Anche il fuoco agisce in
modo simile insinuandosi negli spazi vuoti tra le particelle.
Infine, il matematico e ingegnere greco Erone di Alessandria (ca. 10-70 d.C.) con-
futò le ipotesi di Aristotele e tentò di creare il vuoto artificiale, ma senza successo.

Età greco-romana
A cavallo tra il I e il II secolo d.C. era cominciato il declino della scienza elleni-
stica, tra i cui motivi si possono elencare le lotte interne tra gli stati greci, il disinteresse e
lo scetticismo dei prìncipi verso la scienza, l’incendio della Biblioteca di Alessandria e il
pullulare di sette religiose e magiche. La ricerca originale lasciò il posto alla compila-
zione, alla ripetizione e all’eruditismo. Tuttavia in Oriente, sebbene stancamente, la tra-
dizione culturale greca verrà tenuta in vita dai commentatori bizantini, tra cui si ricorda
Giovanni Filopono (ca. 490-570 d.C.).
Egli criticò in particolare la teoria aristotelica sul vuoto e sul moto dei proiettili e
pose le basi per quella che nel Modioevo verrà ripresa come teoria dell'impetus. Secon-
do Filopono il moto del proiettile è dovuto all'azione di una “forza cinetica incorporea”,
impressa al proiettile al momento del lancio, e la resistenza del mezzo è ridotta a sem-
plice componente addizionale; diventa così possibile il movimento nel vuoto.
Silvia Kuna Ballero
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Medioevo
Attorno al X-XI secolo la diatriba sul vuoto interessò gli studiosi e i commentatori
arabi, che contribuirono allo sviluppo della teoria dell'impetus. Si pensa che lo scienzia-
to e filosofo Alpharabius (872-950) abbia svolto esperimenti sull’esistenza del vuoto
tramite rudimentali pompe a vuoto in acqua, concludendo che il volume dell’aria si po-
tesse espandere fino a riempire lo spazio disponibile, e che pertanto il concetto di vuoto
perfetto fosse inconsistente. Il matematico e scienziato Alzahen (965-1040), famoso per i
suoi studi di ottica, tentò di dimostrare geometricamente l’esistenza del vuoto in opposi-
zione ad Aristotele. Il grande studioso arabo Avicenna (980-1037) riprese le idee di Gio-
vanni Filopono, sostenendo tuttavia la non esistenza del vuoto. Secondo Avicenna infat-
ti, in assenza dell’ostacolo costituito dal mezzo, la forza impressa al proiettile all'inizio
del moto non varierebbe e non si consumerebbe mai, e il moto persisterebbe indefini-
tamente.
La non esistenza del vuoto fu anche accettata da dal commentatore aristotelico
Averroè (1126-1198), il quale sostenne che è esperienza di tutti che il moto avvenga
sempre attraverso un mezzo e che ricorrere ad un'ipotetica forza incorporea significhe-
rebbe cercare la causa delle cose non nella realtà ma in un immaginario mondo astratto;
in altre parole, sosteneva appieno la tesi di Aristotele sul mezzo come responsabile del
proseguimento del moto sulla Terra. Tuttavia, citando in parte il pensiero di Avempace
(1095-1138) non escluse a priori la possibilità di moto anche attraverso il vuoto.
L’approccio cinematico di Averroè venne poi perfezionato da Tommaso d’Aquino
(1225-1274) che nelle sue lectiones parigine sostenne ipotesi analoghe: il vuoto, pur
non offrendo resistenza, verrebbe comunque attraversato dai corpi in tempo finito (e
non nullo, come sosteneva Aristotele) poiché è la distanza piuttosto che la materia a de-
terminare la durata temporale del moto. In generale, la scolastica parigina rifiuterà
l’esistenza pratica del vuoto, senza tuttavia escluderla in linea di principio.
Una critica importante allo schema dell’universo generalmente accettato si ebbe
ad Oxford ad opera di Guglielmo Ockam (1295-1349), il quale, seguendo il suo princi-
pio «entia non sunt multiplicanda prater necessitatem» (non moltiplicare gli elementi
più del necessario, meglio noto come rasoio di Ockam) argomentò che un corpo in mo-
vimento non richiede necessariamente il contatto fisico di un motore; se ne ha un esem-
pio nel caso del magnete, che può muovere un pezzo di ferro senza toccarlo1. Questo
esempio di azione a distanza presumibilmente poteva aver luogo attraverso il vuoto.
Pertanto, siccome lo spazio, per trasmettere effetti fisici, non doveva necessariamente
essere pieno di materia, era sensato supporre l'esistenza del vuoto.
Nonostante Ockam vedesse nell’esistenza del vuoto una prova dell’onnipotenza
divina (se Dio infatti avesse voluto, avrebbe potuto produrre il vuoto), fu accusato di ere-
sia e scomunicato. Paradossalmente, nel 1277 il vescovo parigino Étienne Tempier, tra-
mite la condanna di 219 proposizioni ritenute in collisione con le dottrine teologiche,
aveva indirettamente ristabilito la possibilità dell’esistenza del vuoto rinnegando alcune
dottrine degli “aristotelici radicali” (tra cui Averroè e Tommaso d’Aquino) proprio per-
ché limitavano la potenza assoluta di Dio2.
                                                                                                           
1
 Va ricordata a tale proposito l’espansione dell’uso delle bussole in navigazione nel XI e XII secolo.  
2
 In particolare la dottrina 49: Che Dio non potrebbe muovere i cieli [cioè il cielo e quindi il mondo] con
un moto rettilineo; e la ragione è che rimarrebbe un vuoto.
 
Silvia Kuna Ballero
TFA Classe A049
 

Bibliografia
- A. Braccesi, Una storia della fisica classica, Zanichelli (1992)
- J.D. Barrow, The book of nothing, Pantheon Books (2000).
- N. El-Bizri, in Arabic Sciences and Philosophy 17 p. 57, Cambridge University
Press (2007)
- H. Genz, K. Heusch, Nothingness - The Science of Empty Space, Perseus (1999)
- M. Gliozzi, Storia della Fisica, Bollati Boringhieri (2005)
- M. Guidotti, http://www.nemesi.net/ockam.htm (2003)
- E. Grant, La scienza nel Medioevo, Il Mulino (1997)
- P. Porro, Forme e modelli di durata nel pensiero medievale, Leuven University
Press (1996)
- A. Zahoor, Muslim History, Zmd (2000)
 

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