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Prossimo numero 234

Il Paradiso ’49: interpreti


e protagonisti
233
Con scritti inediti
di Chiara Lubich, 233
nuova umanità trimestrale di cultura
Igino Giordani…

controcorrente
La carità come logica politica – A. Lo Presti

L’Europa e il suo futuro nuova umanità


Focus
L’Europa e il suo futuro
Per una sovranità democratica europea – P. Ferrara
Verso le elezioni – P. Giusta
Est e Ovest: i due polmoni d’Europa – P. Tóth
Democratizzare il Vecchio continente – W. Baier
Il nostro sì all’Europa – G. Proß
scripta manent
Le “madri fondatrici” – M. Zambrano, H. Arendt, S. Weil, C. Lubich
parole chiave
Condivisione – G. Iorio
punti cardinali
Il diritto all’acqua – M. Sgrulloni
Etica e antropologia
trinitaria – A. Ferrari
Fondata da Chiara Lubich nel 1978, alla fonte del carisma dell’unità
Nuova Umanità è una rivista multitematica Unità nel Paradiso ’49 – F. Ciardi
che, alla luce del carisma dell’unità, Storia di Light. 17 – I. Giordani
dialoga con le prospettive culturali in biblioteca
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233

nuova umanità trimestrale di cultura


rivista fondata da Chiara Lubich nel 1978

controcorrente
La carità come logica politica - A. Lo Presti____________________ » pp. 5-8
Nella tradizione cristiana la politica è compresa come forma alta di carità. Chia-
ra Lubich la definiva l’“amore degli amori”. Ma cosa significano tali espressioni?
Esplorare la logica della politica come carità è particolarmente utile oggi che, spes-
so, i neo-sovranismi strumentalizzano la religione cristiana per scopi di consenso
elettorale.

Focus
L’Europa e il suo futuro
Per una sovranità democratica europea - P. Ferrara___________ » pp. 9-25
L’Unione europea soffre di una grave crisi di consenso sulle sue politiche, che non è
necessariamente una crisi sistemica di legittimità delle sue istituzioni. Allora, qual
è il problema con l’Europa? È nelle politiche pubbliche messe in atto da queste
istituzioni (ma approvate e in molti casi persino promosse dagli Stati membri). Di
fronte all’onda d’urto della globalizzazione, le istituzioni – che hanno subìto forti
vincoli intergovernativi strutturali – hanno risposto con misure di adattamento in-
complete e di parziale mitigazione, non con misure di trasformazione e protezione
sociale. Come riformulare il progetto europeo? Invece di imbarcarsi in un’enne-
sima riforma dei trattati, l’Unione europea dovrebbe prima di tutto operare una
“riconfigurazione politica”. Questo processo dovrebbe portare a un’opzione poli-
tica fondamentale a favore di una sovranità democratica europea e di una politica
economica basata sul lavoro.

Verso le elezioni - P. Giusta ________________________________ » pp. 27-35


È prevedibile che le elezioni per il Parlamento europeo che si terranno nel maggio
2019 si tradurranno in un’importante crescita dei partiti euroscettici, a scapito dei
partiti di governo tradizionali, come il Partito popolare europeo, il Partito dei socia-
listi europei e i liberali. Tuttavia è improbabile che l’ondata euroscettica ottenga la
maggioranza in Parlamento. È più probabile che il PPE, sebbene ridotto, continui ad
sommario

essere la principale forza politica. Di conseguenza, anche il prossimo presidente


della Commissione verrà con ogni probabilità da questo campo. Tuttavia l’aumen-
to della rappresentanza dell’euroscetticismo darà luogo a un’opposizione più forte,
che potrebbe avere un impatto, più rilevante che in passato, sulle future politiche
dell’Unione europea.

Est e Ovest: i due polmoni d’Europa - P. Tóth________________ » pp. 37-47


Il saggio offre un quadro di riferimento per un dialogo fra le diverse realtà cultura-
li d’Europa, con un accento speciale sull’Est-Ovest europeo. L’Occidente europeo
vive e soffre le sfide poste dalla condizione multireligiosa e multiculturale, mentre
l’Oriente è ancora coinvolto in tensioni generate dalle differenze etniche e identi-
tarie. L’atteggiamento dell’Occidente verso l’Oriente è proteso alla denuncia del
declino morale e culturale che sembra soffocare lo sviluppo della dignità della per-
sona umana. Per rispondere a queste sfide servono piattaforme permanenti per il
dialogo intraeuropeo.

Democratizzare il Vecchio continente - W. Baier ___________ » pp. 49-60


L’Unione europea versa veramente in cattive condizioni: aumenta sempre più l’a-
bisso dell’ingiustizia, si è approfondito il divario fra poveri e ricchi. Nelle condizioni
e nelle strutture attuali non c’è da aspettarsi un cambiamento volontario di com-
portamenti. Se tuttavia vogliamo evitare che il malcontento europeo persista e si
accumuli fino al punto di scaricarsi in modo violento, c’è bisogno di un meccanismo
che renda possibile il dialogo e la valutazione di interessi opposti. Il rispetto delle
sovranità nazionali non è in opposizione a un’integrazione democratica, ma ne è la
pre-condizione. Per questo bisogna dunque immaginare l’Europa come un common,
con una struttura decisionale disposta a diversi livelli.

Il nostro sì all’Europa. Il contributo di Insieme per l’Europa


nella situazione attuale - G. Proß ____________________________» pp. 61-71
L’Autore delinea, in una sintesi molto articolata, i princìpi fondamentali, le sfide e
il contributo alla situazione attuale europea di Insieme per l’Europa, rete che lega
movimenti e associazioni di diverse Chiese e che opera da vent’anni; anni intensi
segnati da incontri, da conoscenza e stima reciproche tra le diverse realtà che la
compongono, da grandi manifestazioni internazionali come anche da collaborazioni
nel locale, da impegno sociale, politico e culturale, dalla preghiera. Il compito di
Insieme per l’Europa consiste nel facilitare nell’attuale crisi europea un “insieme”
costruttivo e sostenibile in Europa, evidenziando la speranza attraverso un impegno
condiviso e positivo, coscienti che l’unità è possibile in una diversità riconciliata.
sommario

scripta manent
Le “madri fondatrici” - a cura di P. Ferrara __________________» pp. 73-80
L’idea di un’Unione europea si fa risalire all’intuizione e alla volontà politica dei “pa-
dri fondatori” agli inizi degli anni ’50 del XX secolo: Robert Schuman, Konrad Ade-
nauer e Alcide De Gasperi. Senza voler sminuire il loro ruolo, vorremmo piuttosto
prospettare un’angolazione particolare, e cioè la visione di questioni essenziali per
la costruzione europea (e anche oltre essa) da parte di quattro donne del XX seco-
lo, accomunate da un’intensa passione civile. Si tratta di María Zambrano e della
sua interpretazione di un’Europa sempre in tensione tra “agonia” e “resurrezione”;
di Hannah Arendt e delle sue osservazioni critiche sulla connessione esclusiva tra
diritti umani e cittadinanza (si pensi, oggi, alla condizione dei profughi e dei migran-
ti); di Simone Weil e della sua concezione degli “obblighi” verso l’essere umano; di
Chiara Lubich e della sua visione di Unione europea nel più ampio contesto dell’im-
pegno politico per la fraternità universale.

parole chiave
Condivisione - G. Iorio ____________________________________ » pp. 81-84

punti cardinali
Il diritto all’acqua - M. Sgrulloni ___________________________» pp. 85-99
Il testo ripercorre la nascita e lo sviluppo del diritto all’acqua come diritto umano
fondamentale. Si focalizza l’attenzione su un continente in particolare, l’Africa, che
vede nel riconoscimento del diritto all’acqua un punto di partenza per ottenere il mi-
glioramento delle condizioni di vita di milioni di persone e il conseguente godimento
di altri diritti strettamente legati al diritto all’acqua potabile.
Etica e antropologia trinitaria - A. Ferrari __________________ » pp. 101-111
La ricerca tende a dimostrare che il mistero trinitario rivelato e partecipato da Gesù
è la pietra miliare su cui poggia tutta la novità cristiana; se questo viene vissuto da
una comunità diviene il paradigma che può illuminare tutta la vita morale personale,
sociale e dell’umanità. L’etica che ne consegue può rispondere alle sfide di oggi e
rappresenta un’espressione nitida dell’umanesimo planetario.

alla fonte del carisma dell’unità


Unità nel Paradiso ’49: alcune osservazioni metodologiche
- F. Ciardi _______________________________________________» pp. 113-136
Nel saggio si effettua un’analisi di alcuni testi inediti dell’opera di Chiara Lubich,
Paradiso ’49. In essa il tema dell’unità viene declinato con ricchezza dottrinale ed
sommario

esperienziale, tanto da stimolare la nascita di studi e riletture volti a sottolineare


gli “elementi problematici e devianti”, spesso comuni a molti testi mistici. L’intento
dell’Autore è dunque quello di effettuare delle considerazioni di ordine metodo-
logico per l’interpretazione dei testi mistici al fine di prevenire incomprensioni ed
errate visioni.

Storia di Light. 17. Il ritorno nel mondo - I. Giordani ________ » pp. 137-149
Giordani continua a descrivere la vita in Mariapoli con la sua prosa arguta e scher-
zosa, ma nello stesso tempo profondissima. Questa volta l’obiettivo è puntato sulle
innumerevoli conversioni che si susseguono in quei giorni. Si tratta di persone che
provengono dai più diversi stati di vita e che hanno le più disparate convinzioni,
spesso molto lontane dalla fede nel pensiero e nella pratica, ma in Mariapoli incon-
trano Gesù vivo, reso presente dall’amore reciproco tra i fratelli, e una purezza di
vita evangelica che li travolge e li riporta a Dio.

in biblioteca
Relazione padre-figlio, tra tragedia greca e vangelo
- F. Rovea _______________________________________________» pp. 151-154
Recensione a M. Recalcati, Il segreto del figlio. Da Edipo al figlio ritrovato, Feltrinelli,
Milano 2017.

english summary – a cura di D. O’Byrne___________________ » pp. 155-158


controcorrente

La carità come logica politica

Una volta, politicamente parlando, c’erano gli inge-


nui, cioè coloro che credevano al ruolo positivo delle
Alberto virtù pubbliche e s’adoperavano per seminare i valori
collegati al bene comune e alla pace. Un certo sarca-
Lo Presti smo accompagnava le loro uscite idealistiche, ma in
politologo.
generale gli avversari politici nutrivano rispetto nei loro
direttore confronti. D’altronde erano considerati innocui e un
di nuova umanità po’ folclorici. Contro di loro s’ergeva la monumentale
e del centro igino impalcatura teorica della realpolitik, composta da intel-
giordani. insegna lettuali e politici per niente sorpresi quando la politica
teoria politica
all’istituto
mostrava il lato peggiore della natura umana. Nel po-
universitario tere si nascondeva, a loro avviso, un volto demoniaco
sophia di loppiano (Gerhard Ritter), manifestato dall’incessante lotta di
(figline – incisa classe sempre presente nella storia umana (Karl Marx).
in val d’arno, Neanche la democrazia si salvava: lungi dall’essere un
firenze).
traguardo ideale, essa in realtà era un’illusione confe-
zionata dai ceti dominanti per occupare il potere a dan-
no delle persone comuni (Joseph Schumpeter).
Intendiamoci bene: il realismo politico ha svelato
tanti processi sotterranei alla politica, consentendo lo
sviluppo di una nuova consapevolezza sui meccanismi
del potere. Ha aiutato anche il superamento dello Stato
etico e paternalista, che si arrogava il diritto di stabilire
come, quando e perché i suoi cittadini dovessero esse-
re felici. Solo che per evitare lo Stato etico si è finiti per
squalificare il ruolo dell’etica nella politica e gli squali-
ficati furono etichettati come ingenui, cioè figure che,
in maniera irriducibile, concepivano il potere come un
servizio per la realizzazione degli ideali più alti.

nuova umanità 233 5


controcorrente
La carità come logica politica

Col senno di poi, non mi pare ci siano dubbi sulla rivincita che oggi gli
ingenui si sono presi, considerando la persistenza della loro testimonianza
e la circolazione delle loro opere (in Italia mi vengono in mente Piero Go-
betti, Giorgio La Pira, Igino Giordani, Altiero Spinelli, Giuseppe Dossetti,
Aldo Moro…), rispetto a tanti realisti relegati ormai fra i reperti intellettuali
del secolo scorso. Abbiamo dunque fatto qualche passo in avanti verso la
comprensione del ruolo positivo che il potere pubblico può e deve assume-
re? Magari. Purtroppo le cose sembra stiano andando in modo spiacevol-
mente differente.
Agli ingenui di una volta oggi sono subentrati i buonisti. Non è solo un
cambiamento di parole, perché fra gli ingenui e i buonisti intercorre una
grande differenza: se i primi erano reputati inoffensivi e idealistici, i secondi
sono invece considerati pericolosi, nocivi e chi li denuncia li rimprovera di
fare affari con i buoni sentimenti. Che si parli di Europa, di migrazione, di
multiculturalità, di cooperazione internazionale, di equilibri globali, di custo-
dia dell’ambiente… se si propone un principio basato su un valore positivo e
universale si rischia di essere accusati di collusione con le cattivissime Ong,
di favorire l’egemonia delle detestate burocrazie europee, di tollerare i traf-
ficanti di vite umane ecc. Per dipingerlo a tinte ancora più scure, la pseu-
do-cultura neo-sovranista gli associa l’epiteto radical chic: il buonista radical
chic è doppiamente nocivo, perché è distaccato dalla realtà e, dal divano del
proprio salotto, si permette di assegnare giudizi su quello e su quell’altro.
È evidente che lavorare sul piano etico, nelle vicende attuali, significa
piantare grane dentro e fuori le forze politiche. Significa, per esempio, non
essere disponibili a sacrificare la libertà di coscienza alla disciplina di parti-
to, dettata da qualche presunto guru digitale. Significa far prevalere i prin-
cìpi umanitari quando ci sono vite umane da salvare nei barconi del Me-
diterraneo. Significa anche non distinguere fra migranti buoni (quelli che
fuggono dalle guerre) e migranti cattivi (quelli che fuggono dalla fame),
perché la guerra e la miseria devono essere considerate due tragedie verso
le quali attivare sempre e comunque la solidarietà.
Ma tutto questo è politica o è carità? Non avranno ragione i cinici rea-
listi, cioè non stiamo confondendo i piani? Quanta carità può esserci oggi
nei contenuti delle iniziative politiche?

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alberto lo presti

Nell’orizzonte della cultura cristiana, la politica è la forma più alta di


carità. Di solito questa espressione è fatta risalire a Paolo VI; in realtà essa
fu utilizzata, la prima volta, da Pio XI, il 18 dicembre 1927 quando, parlando
alla Fuci, indicò la politica come «campo più vasto della carità», del quale
si può dire «che nessun altro le è superiore salvo quello della religione»1.
L’anno seguente, l’allora assistente ecclesiastico nazionale della Fuci, Gio-
van Battista Montini, riprendendo le parole del papa, sottolineò come la
politica fosse «la forma più alta di carità, perché più vasta, efficace, im-
portante»2. L’insegnamento sulla politica come alta forma di carità giunge
fino a noi, attraverso ulteriori espressioni della Gaudium et spes, della Oc-
togesima adveniens e infine della Caritas in veritate. Chiara Lubich tradusse
tale insegnamento con una bella espressione: «la politica è l’amore degli
amori», perché finalizzato a creare le condizioni che consentono a tutte le
istanze legittime e positive di realizzarsi. È attraverso di essa che i progetti,
le aspirazioni, di ogni natura e di vario genere, possono trovare le condizio-
ni oggettive per svilupparsi.
Dire che la politica è carità non significa aver risolto ogni quesito. Da
questa affermazione di principio non è possibile ricavare un unico, esclusivo,
specifico, programma politico. Così come sono tante le variabili storiche e
sociali che contrassegnano una comunità, sono molte anche le soluzioni che
potrebbero essere escogitate per risolvere i suoi problemi. Avere opinioni
differenti sui modi per realizzare il bene comune è normale e legittimo.
Che la politica sia la forma più alta di carità, «l’amore degli amori», è
perciò una questione che ha a che fare col suo principio e questo non è
poco in tempi in cui sulle ispirazioni della rappresentanza politica ciascuno
sembra poter dire quello che gli pare. Non è da poco soprattutto in questo
frangente storico nel quale i valori cristiani sono sbandierati, scandalosa-
mente, dai neo-sovranismi di mezzo mondo, i quali concepiscono il cristia-
nesimo come un fattore identitario da preservare contro le insidie prove-
nienti dall’esterno.
Se la politica è carità in atto, la sua logica dovrebbe esserne conseguente.
Nella logica della carità ci si dovrebbe aspettare – come condizione
minima – che chi persegue il proprio bene lo faccia non a detrimento del
bene dell’altro. In altre parole, bisogna coltivare una dimensione universa-

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controcorrente
La carità come logica politica

le e non esclusiva del bene comune, che impedisca prevalentemente due


cose: che una comunità politica possa arricchirsi alle spalle di altre; che nel
perseguire il benessere proprio ci si disinteressi del benessere di altre po-
polazioni. Si osservi che questo principio è più esteso di quanto si ritienga,
soprattutto dopo gli insegnamenti della Laudato si’ di papa Francesco. Esso
deve essere esteso alla natura e alle future generazioni. Depredare le risor-
se ambientali, oppure scaricare sui posteri i pesi delle nostre scelte di oggi,
rivela una politica non coerente con la carità. È chiaro che ci vuole coraggio
a fare una politica alta, attenta ai bisogni delle future generazioni e proiet-
tata sul terreno della cittadinanza globale, perché né i cittadini stranieri, né
i posteri, sono potenziali elettori. Sarebbe del tutto gratuito, e difatti il se-
condo criterio della politica come carità è la gratuità. È un criterio descritto
in modo formidabile da papa Francesco, quando nella Evangelii gaudium ha
esortato a concepire il tempo come superiore allo spazio. Ciò significa che
il politico dovrebbe evitare di occupare spazi di potere, per concentrarsi
nella generazione di processi che, nel tempo, realizzeranno le aspirazioni
migliori del bene comune. Fare del bene solo a chi ti può votare è fuori da
questo criterio. Lo slogan “prima gli italiani”, in tal senso, ha tanto il sapore
del “prima chi mi può votare”. Tanto è vero che in questo motto comune
ai sovranisti di mezzo mondo (“prima gli ungheresi”, “America first” ecc.)
non c’è mai una parola per gli elementi al secondo e al terzo posto di que-
sta immaginaria lista di priorità. È evidente che non vale la pena neanche
menzionare coloro che non sono una platea elettorale.
Chissà che riscatto politico potrebbe avere la nostra civiltà se i suoi rap-
presentanti fossero animati da un’idea di politica come forma più alta di cari-
tà. Non rinunciamo alla comprensione della politica come chiamata a questo
elevato significato dell’amore, cioè alla politica come vocazione. I pericoli
dell’attenuazione di questa comprensione sono dietro l’angolo: il reiterato
riferimento alle virtù della democrazia diretta e ai vizi di quella rappresenta-
tiva, che i populismi compiono, ne sono un’espressione evidente.

1
Discorsi di Pio XI, SEI, Torino, 1960, vol. 1, pp. 742-746.
2
G.B. Montini, Discorso agli studenti, in «Studium», 24, 1928, p. 3.

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focus. l’europa e il suo futuro

Per una sovranità


democratica europea 1

Pasquale
Ferrara introduzione

diplomatico. Cent’anni or sono, a Parigi, il 18 gennaio 1919, le


docente potenze vincitrici della Prima guerra mondiale (uno
di diplomazia snodo cruciale nella storia contemporanea) si riuniva-
e negoziato
alla luiss no nell’intento di varare un nuovo ordine europeo e in-
e di relazioni ternazionale. Il compito, a Parigi, si rivelò più arduo del
internazionali previsto, tanto da indurre Georges Clemenceau a confi-
e integrazione dare ad un collega: «È molto più facile fare la guerra che
all’istituto la pace»2. I negoziati durarono sei mesi e portarono, tra
universitario
sophia di loppiano l’altro, alla creazione della Società delle nazioni, orga-
(figline – incisa nizzazione di stampo intergovernativo e unanimistico,
in val d’arno, rivelatasi del tutto inadeguata a gestire le questioni
firenze). della pace e della guerra, e a garantire la sicurezza in-
ternazionale.
Non siamo certo nelle condizioni del 1919 (e spe-
riamo nemmeno in quelle del 1914), ma un aspetto do-
vrebbe farci trasalire: i negoziatori di Parigi si trovavano
nella capitale francese perché «l’orgogliosa, fiduciosa,
ricca Europa era andata in frantumi»3. Qualche analo-
gia con il 1914 può essere però proposta con riferimen-
to alla situazione internazionale: «Dopo la fine della
Guerra Fredda, un sistema globale di stabilità bipolare
ha lasciato il posto ad una più complessa e imprevedi-
bile varietà di forze, ivi compresi imperi in declino e po-
tenze in ascesa»4.

nuova umanità 233 9


focus. l’europa e il suo futuro
Per una sovranità democratica europea

L’Unione europea si trova al centro di processi tettonici di riassetto e


spostamento degli equilibri mondiali. La risposta che sinora ha dato a tali
sfide sistemiche è apparsa tutt’altro che esaltante, a cominciare dalla più
recente, vale a dire la decisione della Gran Bretagna di lasciare l’Unione
per risalire alle polemiche e alle prese di posizione intransigenti sulla que-
stione migratoria e dei rifugiati, per non parlare delle questioni di bilancio
e di stabilità monetaria e l’ordine sparso su gravi crisi internazionali (Iraq
2003, Libia 2011, Siria 2013).
In questa stagione critica per l’Europa, è fondamentale fissare alcuni
punti di orientamento per non smarrirsi nella proliferazione di esercizi di
delegittimazione, destrutturazione e decostruzione del processo di inte-
grazione europea. Non è certo agevole trovare i punti cardinali in un dibat-
tito che tende a divenire sempre più polarizzato, demagogico e riduzionista
dal lato dei neo-sovranisti e, specularmente, dogmatico, allarmista e cata-
strofista dal lato degli europeisti ortodossi.
In un contesto fortemente polemico, diviene essenziale mantenere la
discussione su binari il più possibile oggettivi e costruttivi, sfidando a viso
aperto i luoghi comuni che emergono nei campi contrapposti, per concen-
trarsi invece sulle questioni cruciali che richiedono un surplus di delibera-
zione politica, giudizio ed equilibrio.
Ad esempio, il rischio anche per i difensori della causa europea è quel-
lo di cadere nella trappola narrativa del semplicismo riduzionista e tecno-
cratico imposto dai critici del progetto europeo. Ciò che è certo è che la
questione europea è ormai divenuta una vera e propria cleavage, cioè un
tema di aggregazione o polarizzazione di forze politiche. Si realizza, così,
in modo polemico e talvolta conflittuale, quel passaggio del dibattito po-
litico (politics) degli Stati membri dal livello nazionale a quello europeo e
transnazionale, un passaggio che era stato auspicato – certo con ben altri
caratteri – dai federalisti più convinti.
Dunque, l’Unione europea non può essere più riduttivamente rappre-
sentata come un contesto di integrazione economica, peraltro incompleta;
essa è divenuta politica nel senso più pregnante, tanto da configurare ormai
un campo suddiviso – detto in termini semplici e forse tradizionali – tra
nazionalisti ed europeisti, quasi una sorta di linea divisoria ideologica pro-

10 nu 233
pasquale ferrara

prio quando si accredita anche a livello intellettuale il mito della fine delle
ideologie, veicolato attraverso la frettolosa sentenza «non c’è più destra né
sinistra». Quanto meno, c’è Europa o non-Europa, c’è locale o transnazio-
nale, c’è inclusione o esclusione, c’è presunta “indipendenza” o concreta
“interdipendenza”.

crisi di consenso o di legittimità?

Il punto di partenza, per quanto possibile nella cacofonia nella quale è


caduto il confronto politico, è una serena e severa valutazione sullo stato
dell’Unione. Contrariamente a quanto tendono ad accreditare le voci an-
tieuropeiste, l’Unione europea soffre di una grave crisi congiunturale di
consenso sulle sue politiche, non necessariamente di una crisi sistemica di
legittimità delle sue istituzioni. Gli apparati di Bruxelles (in particolare la
Commissione europea) sono ben lontani dalla loro rappresentazione cari-
caturale di entità oppressive, corpi tecnocratici che pretendono di prevale-
re sulla sovranità statale, istanze centralizzatrici insensibili alle specificità
nazionali.
È perciò un’esagerazione strumentale riferirsi all’Unione europea come
ad un mega-Stato centralista e imperialista. È una leggenda metropolitana
che non trova riscontro nei poteri delle istituzioni di Bruxelles; l’Europa non
è affetta da “eccesso di potere”, ma, al contrario, da una drammatica ca-
renza di strumenti di governo, in quanto nelle materie strategiche (politica
economica, fiscalità, politica estera, difesa, migrazioni) gli Stati nazionali
detengono tuttora il diritto di veto o addirittura la competenza esclusiva.
Sarebbe arduo collocare l’Unione europea in una delle due categorie pro-
poste da Angelo Panebianco, e cioè le “arene hobbesiane” (unità politiche
caratterizzate dal monopolio della forza, dal controllo amministrativo di
un territorio e dall’esercizio della sovranità) e le “arene machiavelliane”
(caratterizzate da profondo disordine, dovuto alla disgregazione di unità
politiche e alla turbolenta gestazione di nuove entità)5. L’Unione assomi-
glierebbe piuttosto a un’“arena lockeana”, basata sul consenso, sulla liber-
tà come principio filosofico-politico e di organizzazione della cooperazio-

nuova umanità 233 11


focus. l’europa e il suo futuro
Per una sovranità democratica europea

ne tra le unità politiche, sui diritti economici, sul “potere federativo” (che
Locke introduce accanto al potere legislativo ed esecutivo).
Sotto il profilo costituzionale/istituzionale, L’Europa non è né un pro-
getto kantiano (una “lega di Stati”, realizzata, piuttosto, nelle Nazioni Uni-
te), né un progetto saint-simoniano (tecnocratico, realizzato, piuttosto,
dalle burocrazie nazionali gelose delle proprie prerogative o dalle grandi
corporazioni industriali o finanziarie); in origine, è un progetto “madiso-
niano”, nel senso che la “costituzione” dell’Europa non è stata concepita
né in termini nazionali né in termini federali, ma come una commistione di
entrambe le dimensioni. L’intento della costruzione europea è struttural-
mente pluralista e gradualista, giacché nei trattati si afferma che l’obiettivo
è costituire un’unione sempre più stretta tra i popoli europei, non, come nel
caso degli Stati Uniti d’America, di dar vita a “un’unione più perfetta”. Non
a caso, mentre il motto degli Stati Uniti è e pluribus unum, quello dell’Unione
europea è in diversitate concordia.
Ciò posto, la Commissione è certamente un organismo che sembra aver
smarrito il suo ruolo di forza integratrice, divenendo un’istanza iper-rego-
lativa spesso troppo concentrata sui meccanismi di controllo (rispetto delle
norme) piuttosto che sulle misure di fiducia (da parte dei governi delle opi-
nioni pubbliche europee).
D’altro canto, il Parlamento europeo è un’istituzione democratica ed
elettiva, mentre il Consiglio dell’Unione comprende i rappresentanti di go-
verni nazionali, la cui legittimità democratica non può essere messa in dub-
bio. Gli Stati membri sono pienamente rappresentati in tutte le istituzioni
di Bruxelles, e sono perciò perfettamente in grado di influire sulla presa
di decisioni. Invece delle formule che pongono di volta in volta i vari Paesi
“al primo posto”, creando un effetto di corto circuito intergovernativo, uno
slogan convincente dovrebbe essere, perciò, «più unione nell’Unione euro-
pea», cioè maggiore condivisione, per evitare il riemergere di nazionalismi
e di mire egemoniche fondate sugli interessi nazionali e localistici.
In ogni caso, attaccare le istituzioni, benché sia una facile scorciatoia,
talvolta demagogica, indipendentemente dalla matrice dei governi, appa-
re politicamente contraddittorio e tendenzialmente autolesionistico. La
rappresentazione delle politiche europee come imposizioni di una buro-

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pasquale ferrara

crazia anonima e irresponsabile è un comodo alibi per quelle componenti


delle élite nazionali che mal sopportano verifiche e parametri, pur vo-
lendo continuare a beneficiare dei vantaggi della cooperazione e dell’in-
tegrazione. In realtà, le politiche europee più importanti, infatti, devono
essere approvate dal Parlamento europeo, composto da rappresentanti
eletti democraticamente e non certo da burocrati; il Consiglio riunisce
ministri, membri di governi nazionali costituiti secondo procedure demo-
cratiche e non certo burocrati; la Commissione è formata da commis-
sari designati dai governi nazionali, che assumono le loro funzioni dopo
essersi sottoposti a procedure di scrutinio democratico nel Parlamento
europeo, e non certo da burocrati.

istituzioni o politiche?

Tutto bene, dunque? No di certo! Per comprendere cosa sia avvenuto


nella barocca costruzione europea, può essere utile riprendere in chiave
attualizzata la distinzione di Carl Schmitt (un autore, da cui, sia ben chiaro,
prendo decisamente le distanze, specie per quanto riguarda le tesi sullo
stato di eccezione o sulla dialettica amico-nemico) tra Stato legislativo par-
lamentare (la cui espressione tipica è la «normazione prestabilita, misura-
bile e determinabile nel suo contenuto, durevole e generale»6); Stato gover-
nativo (la cui espressione caratteristica è la «volontà personale suprema e il
comando autoritario di un capo di Stato che governa»7); Stato amministra-
tivo «nel quale né governano gli uomini né valgono norme come qualcosa
di superiore, ma, secondo la celebre formula, “le cose si amministrano da
sé”»8; Stato giurisdizionale, nel quale «l’ultima parola, anziché al legislatore
che produce una normazione, spetta al giudice che decide una controversia
giuridica»9 e la cui espressione saliente è, pertanto, la «decisione concreta
di un caso»10. Se dovessimo collocare il confuso quadro delle competenze
e delle istituzioni europee nello schema schmittiano, si potrebbe giungere
alla conclusione che l’Unione europea si è prevalentemente caratterizzata
come uno Stato amministrativo (attraverso l’esercizio di funzioni tecnico-
esecutive facenti capo alla Commissione o, più recentemente, alla Banca

nuova umanità 233 13


focus. l’europa e il suo futuro
Per una sovranità democratica europea

centrale europea) e come uno Stato giurisdizionale (attraverso l’operare


della Corte di Giustizia dell’Unione europea, che ha prodotto una integra-
zione indiretta attraverso sentenze fondamentali sia per il mercato unico
che per la preminenza del diritto comunitario su quello nazionale). Questa
circostanza ha tuttavia creato un’oggettiva aporia, tra il carattere sovra-
nazionale del diritto europeo (le questioni dell’effetto diretto del Trattato
sulla Comunità europea e della supremazia delle clausole dello stesso «su
tutte le leggi nazionali, precedenti o successive, amministrative, statutarie
e costituzionali»11) e il carattere prevalentemente (ancora) intergovernati-
vo della politica europea.
Dov’è, dunque, il nodo europeo? Sta nelle politiche pubbliche messe
in atto da tali istituzioni (ma avallate e in molti casi addirittura promos-
se dagli Stati membri) che sono oggetto di critiche, spesso giustificate. Il
punto, pertanto, non è certo quello di disfarsi di istituzioni comuni faticosa-
mente costruite, e che rappresentano un patrimonio acquisito, ma quello di
rivisitare in profondità le politiche che esse attuano. In questo processo di
ripensamento, non ci sono istituzioni innocenti o colpevoli (compresi i go-
verni degli Stati membri) ma solo istituzioni responsabili. Giunge a un limi-
te di insostenibilità la distinzione proposta tra la legittimità orientata all’in-
put (governo da parte del popolo) e legittimità orientata all’output (governo
per il popolo)12. Nel primo caso, le politiche sono percepite come legittime
perché promanano da maggioranze politiche rappresentative della volontà
popolare; nel secondo caso, esse sono considerate legittime «se e nella mi-
sura in cui promuovono il bene comune della collettività in questione»13. La
promessa dell’Unione era quella di sopperire, attraverso il ricorso a spazi
di manovra più ampi assicurati dall’integrazione, alla oggettiva carenza di
legittimità “in entrata” delle istituzioni europee, mettendo in atto quelle
politiche transnazionali che il ristretto ambito degli Stati nazionali non con-
sentiva più di realizzare. Così non è stato, a motivo sia della segmentazione
delle politiche pubbliche europee, sia della circostanza che gli Stati mem-
bri hanno da tempo smesso di conferire nuove competenze all’Unione, e
proprio nei settori chiave per il governo dell’economia, per la regolazione
delle migrazioni, per le misure tipiche dello Stato sociale o della “economia
sociale di mercato” (welfare).

14 nu 233
pasquale ferrara

Le infrastrutture dell’integrazione tuttavia, contrariamente alla vulga-


ta neo-sovranista, non sono di per sé portatrici di un’agenda politica di-
chiarata o nascosta, ma solo condizione necessaria (non sufficiente) di
articolazione delle politiche. Nelle diverse fasi della storia dell’integrazione
europea è sicuramente mancato un aggiornamento profondo dell’iniziale
obiettivo della liberalizzazione multidimensionale (libera circolazione delle
merci, dei capitali, dei servizi e delle persone). In effetti, si è parzialmente
realizzato (spesso grazie alla Corte di Giustizia) il processo di “integrazio-
ne negativa” (la rimozione di barriere doganali, di restrizioni quantitative e
degli ostacoli alla libera concorrenza), mentre molto più lento e farraginoso
è stato il percorso dell’“integrazione positiva”, che non è arrivato a com-
pensare i cosiddetti “fallimenti del mercato” (sperequazioni, ingiustizie,
polarizzazione sociale) attraverso la «creazione di poteri politici di integra-
zione positiva con obiettivi di correzione del mercato stesso»14. Le politiche
europee neoliberali hanno in effetti costituito l’equivalente istituzionale del
“pensiero debole” nell’Unione, una sorta di ideologia politica “inerziale”
che, lungi dall’essere magniloquente, dottrinaria e totalizzante, si è manife-
stata e concretizzata come frammentaria e implicita. Sarebbe troppo facile
ridurre la questione alla scelta tra Keynes e Hayek, rappresentando il pri-
mo come dirigista e il secondo come anarco-capitalista. Il dibattito tra i due
economisti ha in realtà sempre riguardato questioni di etica sociale, come
la libertà, la sicurezza sociale, il rapporto tra individuo e società, i contenuti
e i limiti dell’azione politica15.
La verità è che non è stata compiuta un’operazione di coerenza delle
politiche, che avrebbero dovuto contenere in un contesto omogeneo le
tre dimensioni strutturalmente interrelate: la coesione, la convergenza e
l’integrazione16 .
Rispetto all’onda d’urto della globalizzazione, le istituzioni – che hanno
però subìto forti limitazioni e condizionamenti inter-governativi strutturali –
hanno risposto con misure di adattamento e di parziale mitigazione, non
con misure di trasformazione e protezione sociale, soprattutto a causa della
assai dispari ripartizione delle responsabilità e della disponibilità di risorse
tra le Capitali e Bruxelles (a favore, in modo incommensurabile, delle pri-
me). Vista l’attuale gravitazione dell’assetto europeo verso gli Stati mem-

nuova umanità 233 15


focus. l’europa e il suo futuro
Per una sovranità democratica europea

bri, probabilmente le istituzioni comuni non avrebbero potuto fare di più o


diversamente, e certamente non a loro si può chiedere – nella situazione
attuale di attribuzione di competenze reali e non favoleggiate – la rivisita-
zione del modello di sviluppo, la redistribuzione, il controllo della specula-
zione finanziaria, il varo di una politica fiscale comune, l’adozione di misure
incentivanti per arginare la delocalizzazione industriale e mettere un freno
alla disarticolazione della normativa a tutela del lavoro, la concezione ed
attuazione di una politica migratoria europea degna di questo nome. Il che
tuttavia non le assolve del tutto né da un supino soggiacere alle volontà na-
zionali né da una formulazione settoriale e complessa di programmi esecu-
tivi spesso già in origine marginali, poco rilevanti e scarsamente incisivi (la
questione dell’abolizione dell’ora legale, ad esempio, con tutto il rispetto,
non mi sembra certo decisiva). Ciò posto, la rappresentazione dell’Unio-
ne europea come una realizzazione del liberismo imperante nel modello
economico globale e del dominio della finanza transnazionale dovrebbe
rendere ragione della circostanza che il principale “agente” della derego-
lamentazione e della finanziarizzazione dell’economia, vale a dire la Gran
Bretagna della City, non ha mai nemmeno concepito – indipendentemente
dall’uscita del Paese dall’Unione – di entrare nell’area Euro proprio per ave-
re mano libera nel creare le migliori condizioni ambientali per i capitali e gli
investimenti finanziari. In realtà, pur con i suoi limiti, l’Eurozona costituisce
un tentativo – benché largamente inefficace – di governare i capitali più che
accettare supinamente di essere governati da essi.

l’euro delle banche o l’euro del popolo?

Non si tratta, ovviamente, di banalizzare l’Unione europea riducendola,


come avviene nella narrazione euro-scettica, a un assemblaggio di scelte
economiche “monetariste”, la cui esecuzione sarebbe affidata a organismi
non elettivi. Non bisogna dimenticare, ad esempio, che la stessa moneta
unica è un progetto altamente politico e fortemente identitario, e non un
semplice meccanismo finanziario. L’addio alle monete tradizionali e na-
zionali europee, spesso risalenti ad epoche storiche che hanno segnato il

16 nu 233
pasquale ferrara

destino della civiltà occidentale (basti pensare alla dracma greca), ha rap-
presentato non solo una scelta politica coraggiosa, ma anche la decisione
di fare spazio a un’identità europea attraverso un progetto politico condi-
viso. È davvero stupefacente la velocità con cui tale prospettiva ideale e
profondamente identitaria sia stata ridotta a uno stucchevole dibattito sul
conio di una moneta.
A questo proposito, è necessario riformulare, senza ambiguità, la que-
stione della stabilità monetaria in termini di politica sociale e popolare, dal
momento che essa mira a salvaguardare il potere d’acquisto di salari e
stipendi, che altrimenti sarebbero erosi – come avvenuto in Italia duran-
te il periodo degli anni ’70 e ’80 del secolo scorso – dall’inflazione a due
cifre. La demonizzazione dell’Euro come causa di tutti i mali dell’Europa
nasconde in realtà l’incapacità delle classi politiche nazionali – oggettiva e
connessa ai mutamenti sistemici in corso, indipendentemente dalla bontà
delle motivazioni, dalle capacità e dall’impegno – di elaborare risposte con-
vincenti ai cambiamenti strutturali sul piano globale, che configurano un
mondo sempre più post-europeo e post-occidentale. Si tratta, in qualche
caso, di una volontà di potenza statalista che si manifesta nella persisten-
za di una mentalità “coloniale”, nel rifiuto di affrontare in modo maturo le
sfide politiche e sociali che derivano da uno scivolamento verso il basso nel
posizionamento sulla scala economica internazionale. L’argomento del co-
siddetto “recupero della sovranità monetaria”, in particolare, che in ipotesi
si realizzerebbe con l’uscita dall’Euro è totalmente infondato. In definitiva,
i regolamenti finanziari internazionali devono assumere una valuta di rife-
rimento, che da Bretton Woods in poi è stata costituita dal dollaro, fino allo
sganciamento della moneta americana dal valore dell’oro, nel 1971. Da quel
momento gli europei hanno tentato di recuperare una sovranità monetaria
collettiva, che ha portato all’adozione dell’Euro. Le svalutazioni competiti-
ve, che hanno caratterizzato ad esempio la politica valutaria italiana negli
ultimi decenni del XX secolo, hanno rappresentato la totale sottomissione
coloniale del Paese all’inflazione importata e a una politica dei tassi d’inte-
resse dettata ben al di fuori dei confini nazionali.
In ogni caso, non possono esserci dubbi, quale che sia la valutazione
tecnica ed economica, sugli effetti di un illusorio recupero della sovranità

nuova umanità 233 17


focus. l’europa e il suo futuro
Per una sovranità democratica europea

monetaria nazionale. La vicenda europea del XIX e del XX secolo è oscil-


lata tra i due poli delle alleanze (che condussero alla Prima e alla Seconda
guerra mondiale, entrambi configurabili come «guerre civili europee mon-
dializzate») e della paneuropa, declinandosi poi più modernamente come
intergovernativismo e integrazione. La fine dell’Euro coinciderebbe con la
fine del processo integrativo e con il ritorno, lento o accelerato, a forme di
“concerto europeo”.

sovranismo nazionalista o sovranità democratica?

Occorre anzitutto distinguere nettamente, nel confuso dibattito pro e


contro l’Europa, tra sovranismo nazionalista e sovranità democratica. L’esal-
tazione delle identità locali/nazionali porta a concepire la politica in modo
“moderno”, come esercizio esclusivo del potere su un popolo e su un ter-
ritorio. Si tratta pertanto della rivincita dell’ideologia sovranista/assoluti-
sta (lo Stato come «superiorem non recognoscens») che ha i suoi riferimenti
in Hobbes e Bodin (e ciò giustifica una sua più accurata definizione come
neo-sovranismo; qui però, per non essere pedante, utilizzo entrambi i termi-
ni in modo intercambiabile).
Il sovranismo nazionalista, lungi dall’essere una liberazione dai presunti
“potentati sovra-nazionali”, è – nella sua declinazione pratica – la teorizza-
zione del dominio incontrastato di élite locali e nazionali su enclaves terri-
toriali che concepiscono le relazioni con il “resto del mondo” in termini di
difesa, conflitto e confronto più che di cooperazione e condivisione. L’en-
fasi sulle identità nazionali e culturali si fonda su una visione “hegeliana”
della storia europea e mondiale. Si tratta di una sorta di “fenomenologia
dello spirito” che assegna allo Stato nazionale la dimensione dell’eticità; è,
al limite, una concezione organicistica alla quale guardano con favore tutti
i movimenti anti-europei, dimenticando che tale concezione è stata la base
ideologica degli assolutismi e degli autoritarismi del XX secolo. Inoltre, il
sovranismo nazionalista, attraverso la rivendicazione dell’autonomia de-
cisionale, rischia – come effetto paradossale – di ridurre sostanzialmente
i margini di manovra e la “flessibilità posizionale” di un Paese sul piano

18 nu 233
pasquale ferrara

internazionale a livello economico-commerciale, energetico, di sicurezza.


Un Paese interdipendente non può più pensarsi davvero, in senso tecnico,
come superiorem non recognoscens; e ciò vale – storicamente e concettual-
mente – anche prima, al di là e oltre la globalizzazione e per la quasi totalità
degli Stati, a prescindere dal loro peso specifico sullo scacchiere interna-
zionale in generale e sulla scena europea in particolare.
Diverso è il caso della sovranità democratica, che può essere articolata,
proprio per rispondere alle domande e alle esigenze del popolo in termini
di benessere, di sicurezza, di proiezione di interessi e valori, in un contesto
di condivisione di competenze a livello più elevato (per l’Italia, l’articolo 11
della Costituzione afferma che l’Italia «consente, in condizioni di parità con
gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che
assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le orga-
nizzazioni internazionali rivolte a tale scopo»).
Che c’entra tutto questo con l’Europa? Un paradosso del neo-sovra-
nismo è che esso accusa le istituzioni europee di aver sottratto agli Stati
membri le componenti fondamentali dell’esercizio della sovranità nazio-
nale. In realtà ciò che è realmente accaduto in Europa si può interpretare
come la veemente reazione della sovranità rispetto agli attacchi che essa
percepiva da parte del neo-funzionalismo, rifugiandosi via via nei settori
rimasti immuni dall’armonizzazione, dalla convergenza e dalla regola della
maggioranza qualificata. Il classico esempio è quello della politica fiscale,
che rappresenta ancora oggi un ambito di competizione sistemica tra gli
Stati membri proprio perché è rimasta immune dai processi di condivisio-
ne di sovranità. In sostanza, l’ironia del neo-sovranismo è che esso accu-
sa l’Europa di non aver protetto gli Stati membri dall’operare perverso dei
meccanismi di preservazione della sovranità in quella che si può definire,
con formula convenzionale, “alta politica”. La conclusione contro-intuitiva
è che i sovranismi sono il prodotto non di una perdita di sovranità nazionale
ma del suo eccesso smodato nei settori non comunitarizzati. Sono il risulta-
to di una hybris, non di una kenosis.
Un’altra utile distinzione da tenere a mente è quella tra patriottismo e
nazionalismo: solo il primo, correttamente declinato, è sanamente identita-
rio (e può riguardare anche le “piccole patrie”, i territori), mentre il secondo

nuova umanità 233 19


focus. l’europa e il suo futuro
Per una sovranità democratica europea

non è che una costruzione politica artificiale a scopi egemonici interni e


internazionali. Tuttavia occorre fare attenzione: l’argomento che la demo-
crazia può meglio funzionare a piccola scala piuttosto che a livello euro-
peo trova una precisa confutazione in James Madison17. Nelle repubbliche
meno numerose la possibilità che fazioni e gruppi di interesse con una pre-
cisa agenda possano condizionare l’intera popolazione è assai più elevata
che nelle repubbliche più estese e popolose, dove il pluralismo ha più pos-
sibilità di articolarsi in proposte politiche alternative e dove, in definitiva,
il controllo del popolo sull’élite di governo è paradossalmente più incisivo.

la sovranità democratica europea

Come riformulare il progetto europeo? Invece di imbarcarsi in un’enne-


sima riforma dei trattati – operazione impervia e potenzialmente distrutti-
va in una fase di potenziale disintegrazione – l’Unione europea dovrebbe
anzitutto operare una “riconfigurazione politica”. Tale processo potrebbe
riprendere in modo pragmatico l’idea – tramontata con il risultato negati-
vo delle consultazioni referendarie sul Trattato costituzionale del 2005 in
Francia e in Olanda – di una legge fondamentale europea, riformulandola in
termini di un’opzione politica fondamentale per l’Europa. La riconfigurazione
politica costituirebbe uno sforzo di rendere esplicita la finalità e la portata
delle scelte dell’Unione, al di là della dimensione meramente regolativa,
funzionale alla convergenza o all’armonizzazione.
I punti essenziali di tale riconfigurazione, tra gli altri, potrebbero essere
i seguenti.
- La sovranità democratica europea non cancella affatto le nazioni euro-
pee, allo stesso modo in cui l’esistenza di uno Stato unitario non cancella
le identità regionali e le loro prerogative di autogoverno democratico sulla
base del principio di sussidiarietà. La sovranità democratica europea ap-
partiene al popolo europeo, che la esercita attraverso le istituzioni rappre-
sentative dell’Unione. In questo contesto di apertura democratica, posso-
no essere consolidate alcune pratiche e introdotte alcune innovazioni.

20 nu 233
pasquale ferrara

- I parlamentari europei dovrebbero essere eletti su circoscrizioni


transnazionali (che comprendano almeno tre Paesi) e non solo nazionali,
con un unico sistema elettorale. Nel sistema attuale, basato sulle circo-
scrizioni unicamente nazionali, al Parlamento europeo sono in realtà eletti
rappresentanti degli Stati, sia pure a suffragio universale. A ciò si aggiunga
la circostanza che la Commissione è composta da un commissario per Sta-
to membro, mentre il Consiglio è strutturalmente configurato come organo
in cui siedono i rappresentanti dei governi. Il risultato di tale trittico – sem-
plificando al massimo – è una sostanziale proiezione europea della rap-
presentanza nazionale, non l’articolazione di un’autentica rappresentanza
europea. D’altronde, gli stessi gruppi politici presenti nel Parlamento euro-
peo, su alcune votazioni che coinvolgono diretti interessi nazionali, tendo-
no sempre più a scompaginarsi secondo linee di faglia inter-governative.
- L’indicazione delle candidature alla Presidenza della Commissione
europea (sistema degli Spitzenkandidaten) da parte delle forze politiche
che partecipano alle elezioni per il Parlamento europeo dovrebbe essere
istituzionalizzata e i relativi programmi diffusi a livello europeo. Inoltre, i
governi europei dovrebbero illustrare pubblicamente dinanzi ai Parlamenti
nazionali il proprio orientamento politico e le motivazioni di tale scelta sia
per l’indicazione del presidente della Commissione che per l’elezione del
presidente del Consiglio europeo.
- Più che nelle dichiarazioni solenni e spesso sterili del Consiglio euro-
peo, la vera manifestazione dell’idea politica d’Europa va ricercata nella
portata e nella struttura del bilancio e nelle scelte di politica economica sia
di Bruxelles che delle Capitali. In questo contesto dovrebbe essere chiaro,
in primo luogo, che l’Unione europea sostiene, promuove e favorisce un’e-
conomia fondata sul lavoro. L’Unione europea deve essere fondata sulla
priorità e sulla dignità del lavoro. Le politiche europee devono promuovere
l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro e tutelare i lavoratori con
misure di formazione, accompagnamento e sostegno. La Commissione
europea dovrebbe poter verificare il rispetto non solo della disciplina di
bilancio ma anche delle misure strutturali e di sviluppo volte alla creazione
di occupazione di qualità e stabile.

nuova umanità 233 21


focus. l’europa e il suo futuro
Per una sovranità democratica europea

- Inoltre, dovrebbe essere ribadito nei fatti e nelle scelte politiche che
l’Unione europea è uno spazio di solidarietà e giustizia sociale per tutti
coloro che vi risiedono. Alla Commissione europea andrebbero conferiti
incisivi poteri di vigilanza e controllo – oltre a quelli già conferiti riguardo ai
parametri di Maastricht – sul rispetto delle politiche di inclusione sociale,
di riduzione della marginalità e di promozione di pari opportunità.
- Per rendere possibile il perseguimento degli obiettivi politici dell’U-
nione, ad essa andrebbero attribuite risorse proprie, a seguito di una ri-
strutturazione consensuale del bilancio, anche tramite fiscalità diretta, in-
dipendentemente dai trasferimenti dei governi, pari ad almeno il 2% del Pil
complessivo degli Stati membri per investimenti strategici transnazionali,
specie nei settori dell’istruzione permanente, della cultura, di ricerca e svi-
luppo, dell’economia della conoscenza, della transizione energetica verso
fonti rinnovabili.
- In questo contesto, lo studio specifico della storia comune e dell’iden-
tità europea, nata dall’integrazione di culture, tradizioni e radici diverse e
al contempo aperta agli altri contesti culturali, dovrebbe essere inserito
secondo le sensibilità nazionali nel curriculum della didattica primaria e
secondaria dei Paesi dell’Unione. I programmi Erasmus ed Erasmus plus
dovrebbero divenire strutturali e inseriti stabilmente nei corsi di studio uni-
versitari degli Stati membri, con adeguata dotazione di risorse finanziarie
dell’Unione al fine di consentirne una fruizione più ampia da parte di stu-
denti di ogni condizione sociale, superando uno scorretto “elitismo econo-
mico” e non di merito, dovuto al costo dei soggiorni di studio all’estero. In
particolare, andrebbero meglio sviluppate le potenzialità del Servizio vo-
lontario europeo (Sve), che consente ai giovani dai 17 ai 30 anni di svolge-
re un’esperienza di volontariato internazionale di lungo periodo all’estero
(fino a 12 mesi), prestando la propria opera in un’organizzazione no-profit.
- La libera circolazione delle persone e dei lavoratori dovrebbe esse-
re garantita in ogni circostanza, senza discriminazioni o condizioni, salvo
quelle legate alla pubblica sicurezza.
- L’Unione europea rappresenta uno spazio di sicurezza, protezione e
promozione dei diritti umani fondamentali e delle libertà civili e politiche
per tutti coloro che vi risiedono, non solo per i cittadini. I diritti umani sono

22 nu 233
pasquale ferrara

universali e non possono essere sottoposti a limitazioni o dipendere da


condizioni soggettive. La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione euro-
pea deve vincolare tutti gli Stati membri al suo rigoroso rispetto in ogni sua
parte, con particolare riferimento ai diritti economici e sociali, alla libera
manifestazione del pensiero e alla libertà di informazione in un contesto di
pluralismo effettivo.
- Da parte loro, i cittadini europei hanno doveri di lealtà e rispetto nei con-
fronti delle loro istituzioni e di solidarietà e ospitalità riguardo ai concittadini
europei di diversa nazionalità e riguardo alle persone in stato di necessità.
- La politica migratoria e nei confronti dei rifugiati deve divenire una
competenza esclusiva dell’Unione e ispirarsi a criteri di umanità, solida-
rietà ed equa condivisione delle responsabilità tra gli Stati membri.
- Quanto alla politica estera e di sicurezza comune dell’Unione, le stra-
tegie, le azioni comuni e le posizioni comuni dovrebbero essere decise
sempre a maggioranza qualificata (superando l’unanimità), e la loro ese-
cuzione affidata all’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la
politica di sicurezza.
- Gli Stati membri dovrebbero decidere, anche ai fini di sostanziali ri-
sparmi nelle spese militari da utilizzare in settori di sviluppo alternativi,
l’unificazione delle forze armate nazionali, eliminando duplicazioni e spre-
chi, nel contesto della Difesa unica europea per gli aspetti militari di tutela
della sicurezza, lo svolgimento di iniziative integrate di protezione civile e
per l’effettuazione di missioni di mantenimento della pace ed umanitarie
esclusivamente sotto l’egida delle istituzioni multilaterali e nell’assoluto
rispetto della legalità internazionale.
- Anche a seguito dell’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europa, il
seggio permanente della Francia in Consiglio di sicurezza – che rimarreb-
be formalmente tale – dovrebbe configurarsi nei fatti, per scelta politica
generosa, coraggiosa e lungimirante, deliberata e concordata con gli Stati
membri nelle sue modalità operative, in un seggio permanente “virtuale”,
condiviso, da azionare per le determinazioni più importanti per la sicurezza
internazionale, la stabilità e la pace.
- È necessario definire un rapporto strutturato e privilegiato con la Tur-
chia, uscendo dall’ambiguità attuale di negoziati per l’accessione senza

nuova umanità 233 23


focus. l’europa e il suo futuro
Per una sovranità democratica europea

prospettive certe né un orizzonte finale (un “limbo” politico), al contempo


proseguendo e concludendo i negoziati per l’ingresso dei Paesi dei Balcani
occidentali nell’Unione europea.
- La politica europea di vicinato deve non solo privilegiare, con strumen-
ti molto più efficaci di quelli attuali e ben al di là delle finalità securitarie,
migratorie ed energetiche, il dialogo strutturato con i Paesi interessati, ma
anche promuovere concrete iniziative comuni che riguardino l’integrazio-
ne economica, la formazione delle giovani generazioni, la condivisione dei
saperi, la migrazione regolata e circolare, la cultura come strumento di
consolidamento dei vincoli storici – specie nel Mediterraneo e nel Medio
Oriente. Un approccio solo strumentale e funzionale nel perseguimento di
priorità politiche unilaterali non solo è destinato al fallimento, ma rischia di
creare incomprensioni e recriminazioni.

conclusione

Alla fine della Prima guerra mondiale, l’economista John Maynard


Keynes, deluso dai risultati della Conferenza di pace di Parigi, riponeva le
sue speranze in un soprassalto nella coscienza europea: «C’è una eclissi
temporanea della nostra facoltà di sentire o curarci di ciò che esorbita dai
problemi immediati del nostro materiale benessere […]. Forse abbiamo
ancora il tempo di riconsiderare la nostra condotta e di vedere il mondo
con occhi nuovi»18. Un nuovo sguardo sull’Europa implica una rinnovata
consapevolezza delle responsabilità politiche connesse ad uno sfaldamen-
to dell’Unione o anche di una sua diluizione, preludio pressoché sicuro alla
sua liquidazione. Pare che Jacques Delors ripetesse spesso che «l’Europa è
come una bicicletta: se si ferma, cade». A meno che non vogliamo tornare
al triciclo: ma non ritroveremmo affatto l’età dell’innocenza, sarebbe una
regressione.

24 nu 233
pasquale ferrara

1
Le opinioni espresse sono articolate a titolo personale e in un contesto ac-
cademico; pertanto, esse vanno attribuite esclusivamente all’Autore e non sono in
alcun modo riconducibili all’istituzione di appartenenza.
2
A. Ribot, Journal d’Alexandre Ribot et correspondances inédites, 1914-1922, Librai-
rie Plon, Paris 1936, p. 255; cit. in M. MacMillan, Paris 1919. Six months that changed
the world, Random House, New York 2003, p. XXX (traduzione a cura dell'Autore).
3
M. MacMillan, Paris 1919. Six months that changed the world, cit., p. XXV (tra-
duzione a cura dell'Autore).
4
C. Clark, I sonnambuli. Come l’Europa arrivò alla Grande Guerra, Laterza, Ro-
ma-Bari 2013 [2012], p. XVI.
5
Cf. A. Panebianco, Persone e mondi. Azioni individuali e ordine internazionale, il
Mulino, Bologna 2018, pp. 149-155.
6
C. Schmitt, Legalità e legittimità, il Mulino, Bologna 2018 [1932], p. 39.
7
Ibid.
8
Ibid.
9
Ibid., p. 38.
10
Ibid.
11
F. Scharpf, Governare l’Europa, il Mulino, Bologna 1979 [1977], p. 59.
12
Cf. ibid.
13
Ibid., p. 13.
14
Ibid., p. 52.
15
Cf. N. Wapshott, Keynes o Hayek. Lo scontro che ha definito l’economia moderna,
Feltrinelli, Milano 2012.
16
«La coesione come risultato politico cui aspirare – scrive Robert Leonardi –
dipende sia dall’innesco di un processo socioeconomico di convergenza sia da un
processo di integrazione che lo sostenga nel lungo periodo. La coesione senza la
convergenza rimane un concetto astratto e non diventa obiettivo ottenibile. Nel lun-
go periodo la coesione diventa possibile quando vi sono gli attori politici in grado di
procedere all’adeguamento delle istituzioni esistenti e alla creazione di istituzioni
formali e di regole del gioco informali che permettano di prendere le decisioni ne-
cessarie». (R. Leonardi, Coesione, convergenza e integrazione nell’Unione Europea, il
Mulino, Bologna 1998 [1995], p. 20).
17
Cf. «The Federalist Papers», n. 10.
18
J. M. Keynes, Le conseguenze economiche della pace, Adelphi, Milano 2007 [1919],
p. 232.

nuova umanità 233 25


dallo scaffale di città nuova

Noi e gli altri


13 ragazzi raccontano i migranti
di Carlo Albarello, Assunta Di Febo

Fin dall’inizio del suo pontificato, papa Francesco ha sorpreso


tutti con la sua personalità semplice e travolgente. Si è scritto
molto su di lui. Mancava ancora, però, la descrizione e l’ana-
lisi di una dimensione fondamentale – forse non sempre per-
cettibile – della sua fede e della sua azione pastorale: il suo
rapporto con la vergine Maria. Francesco imparò ad amare
la Madonna insieme al popolo e, nel suo ministero pastorale,
pratica una mariologia applicata alla vita.
A partire da un’intervista personale concessa all’Autore, Fran-
cesco descrive i suoi incontri con la Madonna, dalla sua infan-
isbn zia fino alla sua missione attuale come vescovo di Roma.
9788831175418 Parla delle sue preghiere e delle sue devozioni mariane pre-
ferite, dell’importanza dei santuari mariani, del valore della
pagine pietà po­polare, del ruolo della donna e di Maria nella Chiesa,
144 oltre ad affrontare altri temi di attualità.
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nu 233
focus. l’europa e il suo futuro

Verso le elezioni 1

Le elezioni per il Parlamento europeo (Pe) di maggio


2019 giungeranno in un momento della storia dell’inte-
grazione europea in cui l’Unione europea (Ue) vive una
Paolo crisi esistenziale, tra Brexit, mancanza di solidarietà tra
Giusta partner di fronte ai flussi migratori, non rispetto dello
Stato di diritto – uno dei valori fondanti dell’Unione eu-
funzionario ropea2 – da parte di alcuni Stati membri. E, soprattutto,
dell’unione la crescita impetuosa, in molti Paesi, di partiti sovrani-
europea. sti, segno di una sfiducia profonda di molti cittadini nei
ha insegnato
leadership etica partiti di governo tradizionali e, in apparenza, nel pro-
all’istituto getto europeo3.
universitario Le elezioni di maggio 2019 segneranno un momen-
sophia di loppiano to importante nella vita democratica della polity sui
(figline – incisa generis che è l’Unione europea, unione di popoli e di
in val d’arno,
firenze). Stati: i cittadini europei eleggeranno, secondo regole
è stato proprie a ogni Stato membro, i propri rappresentanti
formatore, al Parlamento europeo per la legislatura 2019-2024; in
nell’ambito seguito i capi di Stato e di governo, espressione della
delle istituzioni volontà degli elettori a livello nazionale, proporranno
europee, di
vari corsi, tra il candidato a presidente della Commissione europea
cui etica nella 2019-2024, che il nuovo Parlamento europeo eleggerà
funzione pubblica «prendendo in considerazione le elezioni europee»,
e leadership secondo il Trattato di Lisbona. Dal 2014 è in vigore il
partecipativa. sistema dello Spitzenkandidat: il capolista della famiglia
politica che arriva prima alle elezioni europee si propo-
ne come candidato alla presidenza della Commissione.
È stato, nel 2014, il caso di Jean-Claude Juncker.
In questi processi stanno giocando e giocheranno
un ruolo fondamentale le famiglie politiche europee,

nuova umanità 233 27


focus. l’europa e il suo futuro
Verso le elezioni

cioè i partiti politici europei, raggruppamenti di partiti nazionali con la


stessa sensibilità politica, e i gruppi politici, cioè il modo di organizzarsi dei
deputati al Parlamento europeo.

partiti politici e gruppi politici

Sin dagli albori del processo di integrazione europea, i partiti politi-


ci nazionali hanno cominciato a confederarsi a livello europeo, al fine di
creare alleanze, promuovere la loro visione politica e influenzare il pro-
cesso decisionale all’interno delle istituzioni dell’Unione europea. Non è
raro, ad esempio, vedere le riunioni del Consiglio europeo, che raggruppa
i capi di Stato e di governo dei Paesi dell’Unione europea, precedute da
riunioni informali dei leader delle varie famiglie politiche, che “accordano
i violini” in vista delle decisioni da adottare. I partiti politici europei sono
riconosciuti dall’Unione europea dal 1° novembre 1993, data dell’entrata
in vigore del Trattato di Maastricht. Le famiglie politiche europee hanno
un interesse strategico nell’ampliare la propria rappresentanza e vivono,
in tal senso, una tensione tra l’obiettivo di garantire una sufficiente omo-
geneità ideologica al loro interno e quello di ampliarsi al fine di esercitare
una maggiore influenza. Un esempio è il Partito popolare europeo, che
ha, nel tempo, accolto Forza Italia e Fidesz di Viktor Orbán, partiti inve-
ro lontani dalla sensibilità cristiano-democratica della maggior parte dei
membri di tale famiglia politica.
All’interno del Pe, come nei parlamenti nazionali, i deputati si organiz-
zano in gruppi politici. La caratteristica di questi gruppi è di essere multi-
nazionali. Un gruppo deve infatti essere composto da 25 deputati, in rap-
presentanza di almeno un quarto degli Stati membri (cioè, dopo la Brexit,
sei Stati).
Possono aderire a un gruppo politico deputati eletti con un partito na-
zionale che non è affiliato ad alcun partito politico europeo. È il caso, nella
legislatura in corso, del Movimento 5 Stelle (M5S) in Italia, i cui deputati a
Strasburgo fanno parte del Gruppo Europa della libertà e della democrazia
diretta (ELDD), cui aderisce anche l’unico deputato della tedesca Alterna-

28 nu 233
paolo giusta

tive für Deutschland (AfD), un’altra formazione politica che non appartiene
ad alcun partito politico europeo.
I deputati possono anche decidere di non aderire a nessun gruppo
politico.
Può succedere che la composizione di un gruppo al Parlamento euro-
peo risponda ad esigenze non tanto di affinità ideologica quanto di potere.
Un’alleanza, anche eterogenea, permette infatti di formare un gruppo suf-
ficientemente numeroso, in grado di contare di più nell’assegnazione delle
presidenze delle commissioni parlamentari, nell’attribuzione dei tempi di
parola ecc. È così, ad esempio, che il gruppo Verde/Alleanza libera euro-
pea raccoglie eletti di due forze politiche piuttosto eterogenee tra loro, gli
ambientalisti (Partito verde europeo) e i regionalisti/indipendentisti (Alle-
anza libera europea).

figura 1. partiti politici europei e gruppi politici al parlamento europeo

Partiti
Tendenza
italiani con
Gruppi politici al Pe politica (e visione
Partiti politici europei registrati 4
almeno un
2014-2019 5 sull’integrazione
eletto al Pe
europea)
(2018)6
A favore dell’integrazione europea
FI (14)
1. Gruppo del Partito Cristianesimo
Partito popolare SVP (1)
Popolare Europeo democratico,
europeo
(28,8%, 216) Unione di centrodestra
Centro (1)
PD (26)

2. Gruppo Articolo Uno


dell’Alleanza (3) (n.a.) 7
Partito socialista Progressista Sinistra Socialdemocrazia,
europeo dei Socialisti e Italiana (1) centrosinistra
Democratici al Pe (n.a.)
(25,3%, 190)
Possibile (1)
(n.a.)

nuova umanità 233 29


focus. l’europa e il suo futuro
Verso le elezioni

Partito dell’alleanza
dei liberali
4. Gruppo - Liberalismo
e democratici
per l’Europa dell’Alleanza
dei Democratici
e dei Liberali per
Partito democratico l’Europa (9,1%, 68) - Centrismo
europeo

Alter-europei
Ambientalismo
Partito verde (fautore di politiche
-
europeo e istituzioni dell’Ue
6. Gruppo Verde/ alternative)
Alleanza libera Regionalismo,
europea (6,8%, 51) indipendentismo
Alleanza libera
- (promotore
europea
di un’“Europa
delle regioni”)
5. Gruppo Socialismo,
confederale della comunismo,
L’altra
Partito della sinistra Sinistra unitaria antiliberalismo,
Europa con
europea europea/Sinistra (opposizione
Tsipras (2)
verde nordica alla costruzione
(6,9%, 52) europea attuale)
Euroscettici
Alleanza dei Conservatori Conservatorismo
conservatori e e Riformisti (euroscetticismo,
riformisti in Europa (2) anti federalismo)
3. Conservatori e Conservatorismo,
Riformisti europei a ispirazione
Movimento politico (9,9%, 74) cristiano-
-
cristiano d’Europa democratica
(euroscetticismo
“soft”)
Movimento
8. Europa delle
per un’Europa Lega Nord Nazionalismo,
Nazioni e della
delle nazioni (6) anti-immigrazione
Libertà (4,9%, 37)
e delle libertà
7. Gruppo Europa
della Libertà e della M5S (14) Democrazia diretta,
-
Democrazia Diretta8 (n.a.) Populismo di destra
(6%, 45)

30 nu 233
paolo giusta

le prospettive in vista delle elezioni di maggio 2019

Tutti gli osservatori prevedono, in esito alle elezioni che si svolgeranno


tra il 23 e il 26 maggio 2017, un netto rafforzamento dei partiti euroscettici,
nelle loro componenti di nazionalismo (dare priorità agli interessi del pro-
prio Stato, anche a scapito dell’interesse comune) e sovranismo (riportare
in patria parte delle competenze che gli Stati hanno affidato, negli anni, alle
istituzioni comuni per gestirle insieme), come pure dei partiti populisti, di
destra (Partito della libertà austriaco, AfD, Veri Finlandesi…), di sinistra
(Podemos, Syriza), di quelli senza una particolare connotazione ideologica
(M5S) e lo speculare calo dei partiti di governo tradizionali, sull’onda del
rigetto di questi ultimi e – più in generale – della democrazia rappresenta-
tiva da parte di una crescente porzione dell’elettorato. Vediamo nel detta-
glio cosa potrebbe succedere, per ognuna delle principali famiglie politiche
europee9.

Tra i proeuropei (incusi gli alter-europei, che non sono contrari all’inte-
grazione europea, ma ne propongo un modello diverso dall’attuale):
- Partito popolare europeo (PPE): dovrebbe, nonostante una previsibile
sostanziale perdita di consensi, rimanere il primo partito, e quindi conqui-
stare la presidenza della Commissione europea, in base al meccanismo
dello Spitzenkandidat.
- Partito socialista europeo (PSE): dopo aver espresso il principale
gruppo al Parlamento europeo dalle prime elezioni a suffragio diretto del
1979 (28,2% dei suffragi) a quelle del 1994 (33,4%), è in declino dalle ele-
zioni del 1999 e ha ceduto la palma di gruppo più importante al PPE. Alle
elezioni di maggio potrebbe, per la prima volta, attestarsi sotto il 20%, pur
rimanendo il secondo gruppo. Oltre a risentire del calo previsto di consensi
verso i partiti di governo, i partiti socialdemocratici membri di questa fa-
miglia europea sconteranno, a livello nazionale e, di riflesso, nelle elezioni
per il Parlamento europeo, l’enorme scontento di larghe fette della popo-
lazione, impoverite dagli effetti della globalizzazione e della crisi economi-
ca mondiale avviatasi nel 2007. Elettori che, quando ancora si recano alle
urne, non si sentono più rappresentati da partiti che, in linea di principio,

nuova umanità 233 31


focus. l’europa e il suo futuro
Verso le elezioni

dovrebbero promuovere politiche a favore dei lavoratori e dei ceti più di-
sagiati ma, nei fatti, non hanno saputo migliorare la loro situazione, perce-
pendo anzi tali partiti, quando sono al governo, come succubi dei mercati
e del grande capitale.
- Partito dell’alleanza dei liberali e democratici per l’Europa (ALDE): è
riuscito nell’impresa di allearsi con il movimento En Marche del presidente
francese Macron (non affiliato ad alcun partito politico europeo), il che,
nonostante il calo di popolarità dell’Eliseo, dovrebbe garantirgli, grazie an-
che alla crescita di Ciudadanos in Spagna, un buon numero di seggi supple-
mentari. Dovrebbero tornare ad essere il terzo gruppo parlamentare, come
è stato dal 1979 al 2014. Questa famiglia politica è sostanzialmente priva di
rappresentanza in Italia.
- Partito verde europeo: i Verdi hanno ottenuto ottimi risultati nelle re-
centi regionali tedesche e sono ben radicati nel Benelux. Potrebbero gua-
dagnare qualche seggio, pur senza sfondare. Come i liberali, la famiglia po-
litica dei verdi, nonostante la sensibilità di tanti nostri connazionali verso
le problematiche ambientali e del cambiamento climatico, e nonostante
l’italiana Monica Frassoni sia co-presidente dei Verdi europei dal 2009, è
priva di una significativa rappresentanza in Italia.
- Partito della sinistra europea: il partito di sinistra-sinistra potrebbe
guadagnare qualche posizione, accogliendo gli elettori delusi dai partiti di
centrosinistra di governo che non intendano fare il salto nel vuoto verso
partiti euroscettici o populisti.

Tra gli euroscettici:


- Alleanza dei conservatori e riformisti in Europa (ACRE): nell’attuale
Parlamento europeo i due maggiori partiti nazionali esponenti di questa
importante famiglia politica (a livello mondiale ne sono membri, tra gli altri,
i Repubblicani Usa) sono i conservatori britannici (20 seggi) e il Diritto e
Giustizia (PiS, 18 seggi), al governo in Polonia. Il gruppo potrebbe più che
dimezzarsi: i Tory non saranno più presenti all’elezione del 2019 in seguito
alla Brexit, il PiS ha perso consensi nelle elezioni amministrative di ottobre
in Polonia, ma potrebbero crescere i Veri Finlandesi, attualmente con due
seggi al Parlamento europeo.

32 nu 233
paolo giusta

- Europa delle nazioni e delle libertà (ENL): è la famiglia politica che


dovrebbe crescere di più nel 2019. Il Rassemblement national (già Front
national) di Marine Lepen era già il primo partito francese alle europee del
2014 e dovrebbe ulteriormente incrementare i propri consensi e la Lega ha
serie chance di diventare il primo partito in Italia. Al gruppo parlamentare
espressione di questa famiglia potrebbe aderire anche AfD, in crescita in
molte regioni tedesche. Dovrebbe giocarsi con l’ALDE la posizione di terzo
gruppo politico più consistente della prossima legislatura europea.

Discorso a parte merita il M5S. Nell’attuale legislatura si trova al Par-


lamento europeo nel Gruppo ELDD, formato con gli indipendentisti britan-
nici dell’UKIP e altri sette deputati di sei Stati membri. È probabile che,
con la perdita dell’UKIP dopo la Brexit, il gruppo scompaia nella prossima
legislatura. I 5 Stelle non hanno ancora deciso con chi allearsi nel 2019,
anzi, a dire il vero, non sembrano avere le idee chiare sulla propria col-
locazione in Europa. Nel corso dell’attuale legislatura, hanno infatti ten-
tato una rocambolesca migrazione dall’ELDD (il gruppo più euroscettico)
all’ALDE (il gruppo, almeno sotto l’attuale presidenza di Guy Verhofstadt,
più pro-europeo). È possibile che gli eletti M5S si accasino a un gruppo
alter-europeo, piuttosto che a un gruppo euroscettico come l’ENL. Il fatto
di essere un movimento innanzitutto antisistema, infatti, non rappresenta
necessariamente una posizione contraria per principio all’integrazione eu-
ropea; contraria, semmai, al “sistema”, cioè l’integrazione europea come si
è andata sviluppando negli anni.
Per quanto riguarda le altre istituzioni dell‘Unione europea, le elezioni
europee influenzeranno la nomina del presidente della Commissione eu-
ropea. Il PPE ha scelto come Spitzenkandidat il tedesco Manfred Weber,
attuale presidente del gruppo PPE al Parlamento europeo, il PSE l’olandese
Frans Timmermans, attuale primo vice-presidente della Commissione. I li-
berali, dal canto loro, hanno deciso di non designare un candidato ufficiale.
Se il Consiglio europeo deciderà di aderire nuovamente alla logica dello
Spitzenkandidat, avremo, come ora, un presidente della Commissione del
PPE, anche se con una statura politica molto minore dell’attuale (Weber
non ha alcuna esperienza di governo). Non è inoltre escluso che uno o più

nuova umanità 233 33


focus. l’europa e il suo futuro
Verso le elezioni

commissari designati dai governi nazionali (per esempio l’italiano e il po-


lacco) siano espressione di una famiglia politica diversa da quelle tradizio-
nalmente pro-europee (PPE, PSE, ALDE), eventualmente con una posizio-
ne personale euroscettica, il che creerebbe una situazione inedita in seno
all’istituzione che è, per missione, garante dell’interesse comune dei 27.
I membri dei governi nazionali che compongono il Consiglio, istituzio-
ne che esprime gli interessi degli Stati membri dell’Unione europea, sono
in genere espressione di famiglie politiche pro-europee. Solo in sei Stati
membri partiti sovranisti sono al governo, e solo in Italia sono determinanti
all’interno dell’esecutivo.
In conclusione, tra le maggiori istituzioni dell’Unione europea, solo in
seno al Parlamento europeo (in attesa delle elezioni politiche nazionali nel
corso del prossimo quinquennio) assisteremo con ogni probabilità a una
crescita sostanziale dei partiti euroscettici. Tali partiti, divisi in quattro
gruppi nell’attuale Parlamento europeo (l’ungherese Fidesz nel PPE, il po-
lacco PiS nell’ACRE, gli altri nell’ENL o nell’ELDD), non dovrebbero tuttavia
riuscire a formare una maggioranza. Eserciteranno tuttavia un’opposizione
più muscolare alla maggioranza pro-europea PPE-PSE-l’ALDE, famiglie po-
litiche che hanno dato un contributo determinante alla costruzione dell’U-
nione europea come la conosciamo.
Tale rafforzata opposizione potrebbe essere salutare per la democrazia
europea, permettendo un vaglio più accurato, da parte delle opinioni pub-
bliche, delle future scelte riguardo alle politiche dell’Unione europea. Non
dovremmo quindi – per il momento – aspettarci uno stravolgimento delle
politiche europee, ma eventualmente una maggiore attenzione alle ragioni
dello scontento popolare (per esempio, politiche maggiormente orientate
alla crescita piuttosto che all’austerità, in seno alla zona euro, compatibil-
mente con le regole di bilancio) da parte non solo del nuovo Parlamento
europeo, ma anche delle altre istituzioni, nell’intento di recidere l’erba sot-
to i piedi del populismo.

34 nu 233
paolo giusta

1
Le opinioni espresse dall’Autore sono a titolo personale e non impegnano in
alcun modo l’istituzione di appartenenza.
2
Articolo 2 del Trattato sull’Unione europea.
3
In realtà, i risultati di un recente sondaggio Eurobarometro su scala euro-
pea, usciti a ottobre 2018, sembrano confermare la percezione dell’Unione europea
come garanzia democratica. I cittadini dei dieci Stati che hanno affermato che la
democrazia, nel loro Paese, non funziona hanno (tutti tranne i ciprioti) indicato che
la democrazia a livello dell’Unione europea funziona meglio che nel proprio Paese
(cf. http://www.europarl.europa.eu/at-your-service/files/be-heard/eurobarome-
ter/2018/eurobarometer-2018-democracy-on-the-move/report/en-one-year-be-
fore-2019-eurobarometer-report.pdf, pp. 43 e 45).
4
Fonte: Autorità per i partiti politici europei e le fondazioni politiche europee
(http://www.appf.europa.eu/appf/it/parties-and-foundations/registered-parties.
html).
5
Fonte: Parlamento europeo (il numero che precede il gruppo politico indica la
graduatoria, dal gruppo più numeroso al meno numeroso). Tra parentesi la percen-
tuale di voti ottenuti alle elezioni europee del 2014 e il numero di seggi al Parlamen-
to europeo nel 2014.
6
Tra parentesi il numero di eletti al Parlamento europeo al 22 novembre 2018.
7
n.a. = partito nazionale non affiliato ad un partito politico europeo.
8
Il gruppo è espressione del partito politico europeo non registrato Alleanza
per la democrazia diretta in Europa.
9
In base alle previsioni di fine novembre 2018 – vedi https://www.politico.eu/
interactive/european-elections-2019-poll-of-polls.

nuova umanità 233 35


dallo scaffale di città nuova

SOMMA DI TEOLOGIA
di Tommaso d’Aquino

Una edizione che apre a nuove letture e interpretazioni della


teologia di Tommaso. Scritta tra il 1265 e il 1274, è la più cele-
bre delle opere di Tommaso d’Aquino e il più famoso trattato
di teologia del Medioevo, che ha esercitato un’influenza in-
calcolabile sulla filosofia e sulla teologia posteriori. Nell’ope-
ra Tommaso affronta i grandi temi della riflessione teologica:
Dio, la Trinità, la creazione, il male, l’uomo, la felicità, la cono-
scenza e il libero volere, l’immortalità dell’anima.
• Un’edizione che, a partire dal testo, apre a una lettura più
fedele all’intento che aveva Tommaso, quando si accinse a
scrivere la Somma.
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Note; indice]. ISBN 9788831106528; pp. 2000, euro 39,00
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paralleli; Supplementum; Note; indice].- in uscita marzo 2019

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nu 233
focus. l’europa e il suo futuro

Est e Ovest:
i due polmoni d’Europa

l’europa multipolare
Pál Tóth
docente emerito
di comunicazione Per un quadro di riferimento
sociale.
insegna teoria Ci sono le sfide attuali del continente che ci ob-
del dialogo bligano a una creatività continua, perché que-
all’istituto ste radici siano feconde nell’oggi e si proiettino
universitario
verso utopie del futuro. […] Oggi […] possiamo
sophia di loppiano
(figline – incisa legittimamente parlare di un’Europa multipola-
in val d’arno, re. Le tensioni – tanto quelle che costruiscono
firenze). quanto quelle che disgregano – si verificano tra
molteplici poli culturali, religiosi e politici. […] Se
volessimo definire oggi il continente, dovremmo
parlare di un’Europa dialogante che fa sì che la
trasversalità di opinioni e di riflessioni sia al ser-
vizio dei popoli armonicamente uniti.
Nel mondo politico attuale dell’Europa risulta
sterile il dialogo solamente interno agli organi-
smi (politici, religiosi, culturali) della propria ap-
partenenza. La storia oggi chiede la capacità di
uscire per l’incontro dalle strutture che “conten-
gono” la propria identità al fine di renderla più
forte e più feconda nel confronto fraterno della
trasversalità. Un’Europa che dialoghi solamente
entro i gruppi chiusi di appartenenza rimane a
metà strada; c’è bisogno dello spirito giovanile
che accetti la sfida della trasversalità1.

nuova umanità 233 37


focus. l’europa e il suo futuro
Est e Ovest: i due polmoni d’Europa

In questo saggio vorrei abbozzare un quadro di riferimento per un


dialogo fra le diverse realtà culturali d’Europa, con un accento speciale
sull’Est-Ovest europeo, e indicare alcuni elementi da prendere in conside-
razione. Parlerò delle criticità che dovrebbero essere considerate, prima di
dialogare sulle sfide che potremmo affrontare insieme. Si tratta di essere
consapevoli di certe differenze che, nel profondo, incidono sui nostri ra-
gionamenti e sono spesso causa delle incomprensioni. Non intendo offrire
qui un’analisi politologica, storica o culturale, ma occuparmi piuttosto delle
rappresentazioni mentali dei cittadini europei. Le mie affermazioni sono
indicative nel senso che non intendono offrire un’analisi approfondita della
realtà, ma vogliono indirizzare l’attenzione su certi punti cruciali, e posso
offrire una lettura da osservatore est-europeo. Certi fenomeni menziona-
ti saranno più tipici in un Paese che nell’altro, altri ritenuti caratteristici
dell’Est troveranno semplificazioni anche nell’Ovest.

La composizione diversificata dell’Europa

Per inquadrare bene la situazione europea, è utile tener presente la


sua realtà geopolitica e culturale. È una conquista della cultura europea la
preservazione della libertà, della dignità umana, della democrazia e dello
stato di diritto, anche se la realizzazione di questi ideali lascia a desiderare
in alcuni Paesi. Ma l’Europa, sebbene abbia delle radici e caratteristiche
comuni, rimane ancora diversa e per tanti versi profondamente divisa per
i suoi aspetti geografici, geopolitici, religiosi, culturali e nazionali. Questa
diversità è una delle caratteristiche più significative dell’Europa che la di-
stingue da altri continenti, dove, in genere, vige maggiormente l’uniformità
culturale e politica.
I padri fondatori erano dell’opinione che non bastasse creare istituzioni
sovranazionali, ma bisognasse unire prima di tutto i cittadini europei. Men-
tre gli sforzi e i programmi europei hanno indubbiamente rafforzato l’e-
mergere di un mercato comune, tuttavia, non sono stati raggiunti risultati
importanti per la formazione di una identità europea. Le iniziative non sono
state promotrici di una comunione capace di formare un popolo europeo

38 nu 233
pál tóth

con un senso di appartenenza e con un’opinione pubblica comune, quindi


le nazioni sono rimaste i più importanti punti di riferimento per l’identi-
tà culturale. Di conseguenza possiamo affermare che questa popolazione
non è ancora in grado di comunicare in modo efficace, e in alcuni casi non è
disposta ad accettare il dialogo per trovare il consenso sui valori principali.
Fra le polarizzazioni vogliamo dedicare un’attenzione speciale alla ten-
sione fra Est e Ovest, fra i due polmoni dell’Europa, come amava dire san
Giovanni Paolo II2, che nella visione del papa dovrebbe realizzare, evocan-
do un verso ovidiano, il «Duo laborantes in una».
L’Europa occidentale è principalmente un concetto socio-politico e
identifica in particolare i Paesi europei del “primo mondo”, frutto di un
cammino politico, economico e culturale plurisecolare, diverso da quello
dell’Est-europeo. Oggi il termine Europa occidentale è anche comunemen-
te associato alla democrazia liberale, al capitalismo e anche all’Unione
europea, nonostante l’allargamento ai Paesi dell’Est. La maggior parte dei
Paesi della regione condivide la cultura occidentale che sembra sia oggi in
crisi. E si notano differenze e tensioni anche all’interno dell’Occidente, ad
esempio fra Nord e Sud. Oppure, pensiamo alla Chiesa d’Inghilterra che,
dopo la Brexit, sicuramente non vorrà lasciare l’Europa ma intensificare i
suoi rapporti ecumenici.
L’Europa orientale è piuttosto un concetto geografico, una terra artico-
lata al suo interno con tradizioni e problematiche differenti. Si può distin-
guere culturalmente, grosso modo, fra Mitteleuropa, Balcani e Paesi dell’ex
Unione Sovietica, e, religiosamente, fra il mondo cattolico-protestante e
quello dell’ortodossia, con conseguenze sul modo di pensare e di agire.
Denominatore comune è la condizione del post-comunismo con travagli
sociali e politici di un difficile cammino di democratizzazione. Con l’allar-
gamento della Unione europea ad alcuni Paesi dell’Est avviene, nei nuovi
Stati membri, un adattamento abbastanza rapido al sistema occidentale
economico e giuridico, mentre l’avvicinamento culturale è molto più lento.
L’Est ha guardato all’Ovest, negli ultimi secoli, come modello culturale e
politico, e ha sviluppato una comprensione di ciò che avviene nei Paesi oc-
cidentali, mentre gli europei dell’Est devono spesso constatare, dolorosa-
mente, la mancanza di conoscenze minime da parte degli occidentali, e le

nuova umanità 233 39


focus. l’europa e il suo futuro
Est e Ovest: i due polmoni d’Europa

incomprensioni che ne derivano. Senza il riconoscimento dei valori dell’Est


da parte dell’Occidente non si può arrivare all’uguaglianza e alla reciproci-
tà. Ci vogliono, quindi, umiltà, fiducia, conoscenza e accoglienza reciproca.
Di conseguenza, penso che, come primo passo, dovremmo promuove-
re una cultura dell’incontro, creare una piattaforma, una “casa” per poter
dialogare. In questa fase si potrebbe riflettere anche sulle nostre tradizioni
culturali e sui diversi modi di ragionare, per prepararci al dialogo costruttivo.

alcune differenze di veduta

Prendere coscienza delle diversità è il primo passo per comprenderle e


accoglierle. «Conoscere l’Altro significa prendere coscienza di ciò che ci ac-
comuna e ciò che ci rende diversi»3. Laddove il multiculturalismo presuppo-
ne una semplice coesistenza tra culture, senza che vi sia necessariamente
interazione, l’approccio interculturale prende le mosse dalla consapevolezza
dell’esistenza della diversità, del pluralismo linguistico e culturale.
La diversità culturale si manifesta nelle rappresentazioni mentali dif-
ferenti dei cittadini europei. Per facilitare la comunicazione, la compren-
sione e l’azione tra persone la cui lingua e la cui cultura sono diverse c’è
la necessità di una mediazione interculturale, che si manifesta in diverse
forme di dialogo. Il suo ruolo consiste nell’interpretare le espressioni, le
intenzioni e le percezioni di un gruppo da parte dell’altro, al fine di stabilire
una comunicazione equilibrata tra questi e favorire l’avvicinamento tra cul-
ture distanti, l’incontro e la comprensione reciproca tra gruppi provenienti
da realtà diverse4.
Il sistema concettuale che esiste in una cultura è acquisito attraver-
so la formazione degli schemi mentali che consentono il trasferimento di
talune idee e la creazione di altre sempre più complesse. La competenza
concettuale consiste nel saper elaborare, in situazioni concrete, messaggi
appropriati culturalmente, cioè conformi ai modelli di pensiero propri della
cultura in cui interagiscono gli interlocutori5.
In questa prospettiva, papa Francesco parla della necessità di supe-
rare pregiudizi e stereotipi: «Un primo passo nella direzione dell’ascolto

40 nu 233
pál tóth

è liberare le nostre menti e i nostri cuori da pregiudizi e stereotipi», ha


spiegato: «Quando pensiamo di sapere già chi è l’altro e che cosa vuole,
allora facciamo davvero fatica ad ascoltarlo sul serio» 6 .

Interpretazioni differenti fra Est e Ovest

Ovest: società multireligiosa e multiculturale - Est: rinforzo di identità


nazionali

L’Ovest vive in una società multireligiosa e multiculturale dovuta all’im-


migrazione, e ha sviluppato, almeno a livello delle convinzioni, una cultura
del riconoscimento delle diversità e una prassi del dialogo per gestire le
diversità. L’Est non ha superato ancora la fase delle tensioni etniche e il
processo di formazione della nazione non è ancora concluso. Si punta sul
rafforzamento delle identità nazionali come entità omogene con la nega-
zione delle alterità di qualsiasi tipo. L’Ovest parla della necessità del su-
peramento dell’idea della nazione, l’Est vuole rinforzarla. Di conseguenza,
nell’Est il dialogo mirato alla comprensione e alla collaborazione non risulta
ancora come una necessità vitale. A livello metafisico l’Ovest percepisce la
necessità di un’unità nella molteplicità, l’Est tende a una concezione omo-
genea della società.

Ovest: Stato neutro - Est: rifondazione della società cristiana

Oltre all’affermazione della propria identità nazionale, alcune nazioni


dell’Est vogliono riaffermare anche i valori cristiani, ripristinare la società
cristiana e rifondare l’Europa sulle sue radici cristiane. Lo Stato dovrebbe
essere garante e promotore di questo processo e Chiese e Stato dovrebbe-
ro formare una nuova alleanza in questa prospettiva.
Merita quindi attenzione anche il rapporto Chiese-Stato. Siamo di
fronte a modelli diversi. Nell’Occidente vige una divisione chiara fra Chie-
sa e Stato, in alcuni Paesi, come la Francia, la laicité assume il peso di una
quasi-religione.

nuova umanità 233 41


focus. l’europa e il suo futuro
Est e Ovest: i due polmoni d’Europa

Nell’Est, durante il comunismo, le Chiese hanno perso la loro autonomia


economica e ancora oggi vengono finanziate soprattutto da fondi statali. Si
mira a modelli di collaborazione reciproca, sulla base del riconoscimento
del servizio pubblico delle Chiese. Tuttavia, questa dipendenza delle Chie-
se dallo Stato rende alle volte difficile per le autorità ecclesiastiche espri-
mere una voce morale indipendente.
Comunque, nell’Est vige, in generale, una visione dottrinale e morale di
una Chiesa che cerca di affermare se stessa nella società, mentre nell’O-
vest sembra abbia la precedenza l’approccio pastorale e sociale, conside-
rando la Chiesa come servizio alla gente.

Ovest: pensiero critico – Est: posizione di difesa

L’atteggiamento dell’Ovest verso l’Est è, principalmente, di critica per la


mancante cultura democratica e di un paternalismo che vuole accelerare,
dal di fuori e a volte dal di sopra, il processo di democratizzazione. Nell’Est
manca l’educazione al pensiero critico e si tende alla chiusura in posizioni
ideologiche.

Ovest: diritti umani - Est: ragionamento etico

L’Ovest ragiona, anche a livello popolare, con la categoria dei diritti


umani, mentre l’Est ha una forma mentis morale. Nei Paesi occidentali l’e-
ducazione scolastica provvede, da decenni, a una formazione adeguata e
questo manca ancora nei Paesi dell’Est. Sembra però che l’Est abbia con-
servato un sano ragionamento morale e che sia riuscito a mantenersi sulla
“via di mezzo” di Aristotele nei confronti degli eccessi dell’applicazione,
ad esempio, del principio dell’uguaglianza riguardo a certi comportamenti
che tradizionalmente sono considerati trasgressione della norma morale.
Meritano attenzione le affermazioni del premier russo a questo riguardo:

Riconoscendo e proteggendo i diritti umani, la Costituzione russa


pone dei limiti alle rivendicazioni per proteggere tali diritti, pur non

42 nu 233
pál tóth

riconoscendo quelli che sono chiaramente in conflitto con i valori


che sono tradizionali per la società russa. Pertanto, l’idea stessa
dei diritti umani riceve una nuova percezione in relazione ad altre
costituzioni e denota un approccio speciale, originale e innovativo
alla percezione dei diritti umani

scrive Medvedev in un suo articolo. Secondo lui, l’attuale Costituzione


«cerca di stabilire un equilibrio tra libertà e responsabilità, evitando distor-
sioni nella direzione del liberalismo diretto e dissolvendo gli interessi dei
cittadini nell’interesse della società e dello Stato»7.

Ciò che l’Est può offrire

Di fronte alle criticità che sono eredità dell’era comunista si pone la do-
manda: «Può venire qualche cosa di buono dall’Est?». Ma si potrebbe an-
che girare l’interrogativo: «Quali sono i punti dolenti dell’Occidente? Dove
si manifestano segnali di una crisi? Potrebbe offrire l’Est qualche rimedio?
Come affrontare secolarizzazione, svuotamento delle chiese, calo delle vo-
cazioni, frammentazione ideologica, libertà come diritto alla trasgressione,
il divieto di parlare di Dio nella sfera pubblica?».

Chiesa del popolo e pietà popolare

In Polonia, Romania e Russia, per nominare solo questi tre Paesi, si tro-
vano delle manifestazioni della Chiesa del popolo e della pietà popolare
che in questa forma non sono più presenti nell’Ovest, in una società sem-
pre più secolarizzata e laicizzata. Sembra siano fenomeni superati di fron-
te a un cristianesimo delle scelte individuali e consapevoli. In tanti luoghi
dell’Est, però, vive ancora la consapevolezza di essere popolo di Dio, non
come espressione di una massificazione, ma piuttosto come manifestazio-
ne di una mistica popolare. Questa pietà popolare potrebbe essere con-
siderata come una risorsa efficace per la rinascita europea, se si rinnova
continuamente nella messa in pratica del vangelo.

nuova umanità 233 43


focus. l’europa e il suo futuro
Est e Ovest: i due polmoni d’Europa

Le Chiese dell’Est hanno sviluppato, durane il comunismo, la cultura


delle piccole comunità, gruppi di giovani e di famiglie, con una vita basata
sul vangelo: sostegno reciproco a livello materiale e spirituale, valori condi-
visi e vissuti, andare controcorrente. Ritengo che questo sia un tesoro delle
Chiese dell’Est, che non si trova in questo modo nell’Occidente. Potrebbe
essere un dono dell’Est all’Ovest.
Padre Tomáš Špidlík, uno dei protagonisti nella ricerca di una sintesi
culturale e teologica che superi la secolare spaccatura tra l’Oriente e l’Oc-
cidente8, spiega in un’intervista: «Non soltanto gli uomini, ma anche le na-
zioni hanno una vocazione, per offrire il loro contributo alla Chiesa univer-
sale. Ho cercato di indovinare il messaggio cristiano dell’Oriente europeo
e di prestargli voce in Occidente»9.
Parla della tradizione iconografica «secondo la quale l’immagine visua-
le è uguale alle testimonianze di fede dette o scritte. Anzi, ha la precedenza
perché rispetta di più il mistero. Viviamo in una società che abbonda di
immagini ma nessuno insegna a leggerle». E spiega «come la vita spirituale
possa essere letta sulle icone». Mentre l’Ovest ha sviluppato un’interpre-
tazione concettuale del cristianesimo, che ora va in crisi, l’Est conserva la
solidità della rappresentazione iconografica sulla verità cristiana.

Esigenza di unità e di verità

L’Est porta nelle sue viscere tutte le conseguenze negative di una unità
falsa, forzata, opprimente, e agogna un’unità vera nella libertà e nella fra-
tellanza. Ha nelle sue ossa umiliazioni, occupazioni e sfruttamenti secolari,
e di conseguenza reazioni di autodifesa e di chiusura. Una storia sigillata
dal sangue di tanti martiri cristiani dell’Est che hanno dato testimonianza
della loro fedeltà a Gesù Cristo e alla sua Chiesa.
Questo grido è rivolto, in una maniera consapevole e no, in un modo
espresso o tacito, verso l’Ovest che ha proclamato come obiettivo princi-
pale del suo agire sociale e politico la realizzazione dell’unità nella diver-
sità. L’Ovest, guardando alla vicende sociali, politiche e religiose dell’Est,
potrebbe scoprire questa voce della sofferenza come un’enorme risorsa

44 nu 233
pál tóth

umana. L’Europa dell’Est potrebbe essere scoperta nella sua vocazione di


far vedere l’unità vera al mondo, l’unità che trova il suo fondamento in Dio.
L’Est esprime anche un’altra esigenza forte, quella della verità. Custo-
de di sapienza cristiana secolare, percepisce nelle correnti di pensiero oc-
cidentali una confusione dottrinale ed è preoccupato per il relativismo e
per la frammentazione, per la “liquidità” della condizione occidentale. Se
parliamo di “vocazioni” o di “missioni”, l’Ovest, erede di grandi tradizioni
filosofiche, potrebbe essere all’avanguardia nell’elaborare nuove proposte
di pensiero, in dono all’Est e in collaborazione con l’Est.
Merita attenzione, ad esempio, il filo d’oro sull’amore alla verità che
attraversa la storia del popolo ceco, partendo da Jan Hus fino a Vaclav Ha-
vel. Hus scrive: «Perciò, fedele cristiano, cerca la verità, ascolta la verità,
apprendi la verità, ama la verità, di’ la verità, attieniti alla verità, difendi la
verità fino alla morte: perché la verità ti farà libero dal peccato, dal demo-
nio, dalla morte dell’anima e in ultimo dalla morte eterna»10. Questo amore
alla verità ha condotto il popolo ceco fino alla Rivoluzione di velluto che
rovesciò il regime comunista cecoslovacco.
«La verità prevale» (Veritas vincit) è il motto nazionale della Repubblica
ceca, e il movimento della Carta 77 aveva il motto «La verità prevale per
coloro che vivono nella verità». Credo che quest’orientamento potrebbe
essere una bussola per tutta la società europea minacciata dell’epidemia
della “post-verità” e delle “realtà alternative”.

sfide e obiettivi comuni

Abbiamo accentuato differenze e criticità che possono ostacolare una


comprensione fra Est e Ovest. Non possiamo risparmiare una riflessione
comune su tutto ciò per non rimanere bloccati nello svolgere una missione
comune: ripensare e ricostruire l’Europa. Nonostante le differenze abbia-
mo problematiche trasversali in Europa, come l’urgenza ecologica, il pro-
cesso di pace, la sfida delle migrazioni, la povertà e la giustizia sociale, la
partecipazione civile. Certi fenomeni come la resistenza all’immigrazione,

nuova umanità 233 45


focus. l’europa e il suo futuro
Est e Ovest: i due polmoni d’Europa

caratteristici prima per i Paesi di Visegrád, ora si trovano anche nelle so-
cietà occidentali.
In Europa operano tanti movimenti, comunità e associazioni protesi a
scoprire nuove modalità di presenza cristiana nella società, ad essere sale
e lievito, superando modi di pensare e di agire che dividono ancora Est e
Ovest in Europa. Cito papa Francesco:

Né la visione liberal-individualista del mondo, in cui tutto (o quasi)


è scambio, né la visione Stato-centrica della società, in cui tutto
(o quasi) è doverosità, sono guide sicure per farci superare quella
diseguaglianza ed esclusione in cui le nostre società sono oggi im-
pantanate. […] Si tratta di cercare una via d’uscita dalla soffocante
alternativa tra la tesi neoliberista e quella tesi centralista11

per promuovere uno sviluppo umano integrale. Essere cristiani oggi signi-
fica proporre, coraggiosamente, nuovi modelli di fare politica, economia e
media, di avviare processi di partecipazione civile.
In questo modo, come abbiamo sottolineato, servono piattaforme
permanenti, ovvero scuole per il dialogo intraeuropeo, con lo scopo di
delineare una visone condivisa e conseguenti azioni comuni, formando
così una crescente rete di cittadini impegnati per una rinascita della cul-
tura europea.
In questi laboratori di uguaglianza e di mutuo riconoscimento, partendo
da quella porzione di verità che ambedue le parti custodiscono nelle loro
tradizioni, si potrebbe sviluppare un nuovo tipo di discorso sapienziale, che
superi la mera critica e parli delle criticità in prospettiva della crescita, e
faccia vedere miserie e mancanze in prospettiva della redenzione e della
resurrezione.
Le nuove generazioni, che non hanno vissuto sulla propria pelle l’e-
sperienza del comunismo, non si lasciano più condizionare dalle catego-
rie mentali della contrapposizione, sono più aperte, sono una promessa
per una rapida accelerazione di processi di mutata comprensione fra Est e
Ovest e per trovare accordi su possibili scenari futuri. Il cardinal Bassetti
propone «una rete di scuole, calate sul territorio, che sappiano studiare,

46 nu 233
pál tóth

conoscere e proporre soluzioni per i luoghi in cui sono inserite, ma che fac-
ciano riferimento a una catena unica, a un corpo solo»12.
Aprire dunque spazi di dialogo, sviluppare una cultura dialogica e colle-
garsi in rete per essere fermento di quel popolo europeo che deve nascere.

1
Papa Francesco, Discorso al Consiglio d’Europa, Strasburgo, 25 novembre 2014.
2
Papa Wojtyła ha fatto propria l’espressione «respirare con due polmoni» del
pensatore russo Vjaceslav Ivanov. A sua volta, Ivanov ha utilizzato questa espres-
sione nel 1926 al momento della sua riconciliazione pubblica con la Chiesa cattolica
nella basilica di San Pietro.
3
Intercultura e Immigrazione, http://www.timeforafrica.it/intercultura-e-immi-
grazione-2.
4
Cf. A. Rollo, Rappresentazioni mentali, modelli culturali e concetti culturalmente
specifici nel quadro della linguistica cognitiva. Verso un approccio interculturale, in
«Lingue Linguaggi», 16 (2015), pp. 577-596.
5
Cf. ibid.
6
Discorso del papa in apertura della prima Congregazione generale del Sinodo
dei Vescovi sui giovani
7
D. Medvedev, 25 anni di Costituzione: un equilibrio tra libertà e responsabilità,
12 dicembre 2018, http://government.ru/news/35053 (traduzione dell’Autore).
8
Cf. T. Špidlík et al., A due polmoni. Dalla memoria spirituale d’Europa, Lipa, Roma
1999.
9
Intervista al cardinale Tomáš Špidlík, in «L’Osservatore Romano», 16 dicem-
bre 2009.
10
J. Hus, Spiegazione della Confessione di fede, 1412, citato in A. Molnár, Jan Hus
testimone della verità, Editrice Claudiana, Torino 1973, p. 13.
11
Messaggio di papa Francesco alla prof.ssa Margaret Archer, presidente della
Pontifica accademia delle scienze sociali, in occasione della sessione plenaria, 24
aprile 2017.
12
G. Bassetti, Per un nuovo impegno sociale, in «L’Osservatore Romano, il Setti-
manale», 20 settembre 2018, p. 21.

nuova umanità 233 47


dallo scaffale di città nuova

Restare umani
sette sfide per non rimanere
schiacciati dalla tecnologia
di Marco Scicchitano, Giuliano Guzzo

Gli autori affrontano nel volume uno dei temi centrali della
nostra epoca chiedendosi, a fronte dell’avanzare della tec-
nica e dei mutamenti sociali connessi, cosa vogliamo che
resti dell’umano. Attraverso l’analisi di questioni come la
differenza tra maschile e femminile, la sessualità, l’aborto
e la selezione genetica, il consumismo, Guzzo e Scicchitano
cercano di individuare quei momenti del nascere, del vivere
e del morire che, oggi, rischiano di trascinare l’essere umano
verso ciò che umano non è.
isbn
9788831175357
pagine
144
prezzo
euro 15,00

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nu 233
focus. l’europa e il suo futuro

Democratizzare
il Vecchio continente 

Che cosa ti è successo, Europa umanistica, pa-


Walter ladina dei diritti dell’uomo, della democrazia e della
libertà? Che cosa ti è successo, Europa terra di poe-
Baier ti, filosofi, artisti, musicisti, letterati? Che cosa ti è
economista successo, Europa madre di popoli e nazioni, madre
austriaco. di grandi uomini e donne che hanno saputo difende-
già presidente del re e dare la vita per la dignità dei loro fratelli?
partito comunista
Papa Francesco1
austriaco (kpö),
coordinatore
politico della Sono queste le parole di un papa divenuto euro-scet-
rete transform! tico o sono parole che confermano semplicemente la
europe, il think realtà? L’Europa non gode di buona salute e questo in
tank associato
al partito della
mezzo a sfide globali che invece richiederebbero un
sinistra europea. continente efficiente e solidale. Il Vecchio continente
sembra percepire i problemi del mondo come attraver-
so una camera oscura. Mentre l’Unione europea si di-
mostra incapace di integrare quattro milioni di rifugiati
in una società di 500 milioni di abitanti, il vero proble-
ma rimane la domanda di come i 500 milioni andranno
a integrarsi in un mondo che fra non molto raggiungerà
i 10 miliardi di uomini e donne, i quali a loro volta richie-
deranno la loro parte di benessere e sicurezza.
In questo senso l’Unione europea versa veramente
in cattive condizioni. E questo non solo da quando, dopo
il fallimento dei referendum in Francia e in Olanda, nel
2007 la firma dei capi di Stato e di governo sanzionò il
trattato di Lisbona2 praticamente come la Costituzione

nuova umanità 233 49


focus. l’europa e il suo futuro
Democratizzare il Vecchio continente

dell’Unione europea, ma proprio per lo stato generale estremamente pre-


cario dell’Unione stessa.
Ciò si è visto chiaramente nella politica relativa ai rifugiati, silurata nel
suo approccio solidale dall’atteggiamento di due Stati dell’Europa centrale,
Ungheria e Austria, che ha causato in Europa una chiara virata del discorso
politico verso un angusto nazionalismo.

elezioni sintomo di una crisi di sistema

In questo senso le elezioni del Parlamento europeo del prossimo mag-


gio non godono dei migliori auspici. La prognosi indica da mesi un quadro
invariato3. Conservatori e socialdemocratici devono tener conto di grosse
perdite. In totale arriverebbero a poco più del 46% dei seggi (nel 2014 il
55%). Chiaramente aumenteranno le destre nazionalistiche, inclusi i neo-
fascisti.4 Con l’aumento dei seggi dal 13 al 18% questi uguagliano i social-
democratici per un punto.
A sinistra del centro non si aspettano grandi incrementi per i Verdi
(6%) e per la sinistra (7%). Una crescita – modesta rispetto alla destra
radicale – potrebbe andare ai partiti liberali, che insieme a En Marche di
Emmanuel Macron potrebbe contare sul 18%.
Lo slittamento a favore delle destre antieuropee conferma la diagnosi di
una crisi del sistema dell’integrazione europea. Ciò nonostante non si può
confinare l’analisi solo a epifenomeni politici, bisogna prendere atto con
tutta serietà della crisi della struttura socio-economica.
Pur dieci anni dopo l’inizio della crisi finanziaria, l’Europa non si è an-
cora ripresa dai danni sociali conseguiti. Le borse in verità registrano giri
d’affari da record e gli stipendi dei grossi manager raggiungono valori altis-
simi5, ma il numero di 17 milioni di disoccupati, tra cui 4,4 milioni di giovani
sotto i 25 anni, non è ancora sceso sotto il livello del 2008. I governi e la
commissione dell’Unione europea evidenziano otto milioni di nuovi posti
di lavoro, ma si tratta per lo più di lavoro part-time al sud del continente e
di condizioni di occupazione precarie, che non offrono né salari sufficienti
né sicurezza sociale.

50 nu 233
walter baier

L’Unione europea è frammentata da fossati profondi sia sociali che re-


gionali. Il livello di disoccupazione divide il Sud dal Nord, mentre l’Est rimane
bloccato nella trappola della povertà. In Bulgaria – con la Romania alla fine
della scala del benessere – il numero dei poveri è sempre trenta volte più ele-
vato che in Svezia e questo dopo dieci anni dall’entrata nell’Unione europea.
Frammentata è anche la situazione all’interno degli Stati. A Bratislava il
reddito medio pro capite è il doppio che nella Slovacchia orientale. Simili
differenze di reddito a livello regionale sono constatabili anche in Italia,
Spagna e Gran Bretagna6.
Sono questi i divari che inficiano la stabilità dei rapporti interni in nu-
merosi Stati europei e spiegano la diminuzione dell’entusiasmo rispetto
all’integrazione.

la crisi finanziaria

Il discorso del presidente della Commissione europea, Jean-Claude


Juncker, sulla situazione dell’Unione, davanti al Parlamento europeo nel
2017, voleva dar fiato a una nuova autostima. «L’area dell’euro è oggi più
resistente che alcuni anni fa» spiegò Juncker7. In senso tecnico quest’affer-
mazione è vera; in effetti con il meccanismo europeo di stabilità e l’unione
bancaria europea sono stati creati degli strumenti, che rendono l’Unione
europea più operativa nel caso di una nuova crisi finanziaria.
D’altra parte rimangono le differenze globali, che hanno portato nel 2007
allo scoppio della crisi finanziaria. In prima linea esse si lasciano riportare
a una mancata equa distribuzione del reddito. Secondo Oxfam l’82% della
crescita economica mondiale nel 2017 è andata a rimpinzare i conti di una
minuscola fetta di popolazione mondiale: quella più ricca8. In Europa e a li-
vello mondiale aumenta sempre più l’abisso dell’ingiustizia. Le conseguenze
sono evidenti: da una parte una pressione permanente sullo standard di vita
della classe media e bassa e dall’altra un incremento di ricchezza, che non
trova adeguate possibilità di investimento. La conseguenza di quest’eccesso
di capitale è il gonfiamento del settore finanziario e la creazione di bolle di ca-
pitale (“bolla-Dotcom” legata all’internet, “bolla immobiliare” ecc.). Sfor-

nuova umanità 233 51


focus. l’europa e il suo futuro
Democratizzare il Vecchio continente

tunatamente, all’apice della crisi finanziaria, i governi e l’Unione europea


hanno deciso di salvare a tutti i costi le banche europee da un possibile
crash, salvataggio che costò tra il 2008 e il 2011 niente meno che 1.600
miliardi di euro, corrispondente al 13% del Pil dell’Unione europea9.
In questo modo il supporto al credito, dettato da avidità e da irre-
sponsabilità, ha trasformato i debiti inesigibili delle banche in non meno
inesigibili debiti statali, caricati sui contribuenti, sui privati cittadini e
non sui direttivi delle banche e sui loro azionisti. Alcuni Stati sono ar-
rivati con tutto ciò all’orlo del fallimento, vedi i Paesi del Sud europeo,
che dopo l’introduzione dell’euro avevano sfruttato la politica del basso
interesse per accelerare la modernizzazione e favorire il rilancio dell’e-
conomia. Le banche e l’industria d’esportazione tedesca e francese
hanno approfittato della situazione. A parte assurde forniture militari e
progetti prestigiosi non sostenibili e dannosi per l’environment, nonché
la corruzione corrispondente, si potrebbe definire questa strategia per-
sino razionale, se i debiti di Stato accumulati dopo lo scoppio della crisi
finanziaria non si fossero rivelati come infinanziabili. La trappola così è
scattata e si è chiusa.
Obbligare le banche a rimuovere debiti inesigibili dal portafoglio ban-
cario avrebbe fatto sparire alcune di loro dal mercato, a vantaggio però
del risanamento dello Stato corrispondente. Tutelare i conti dei piccoli e
medi depositanti sarebbe costato certo non poco, ma a livello europeo
una tale operazione sarebbe stata sostenibile e giusta, perché avrebbe
messo ai ferri i responsabili e i beneficiari della crisi.
Invece è stato deciso di mantenere in vigore la finzione attraverso cre-
diti dell’Unione europea e del Fondo monetario internazionale, per i quali
gli Stati dovettero accettare rigorosi programmi fiscali restrittivi. I debiti
sarebbero stati poi ripagati, una pura operazione contabile, che invece ha
avuto come conseguenza l’esproprio del bilancio pubblico. Dove queste
misure hanno trovato resistenza, esse sono state imposte. Il governo gre-
co, orientato a sinistra, eletto per eliminare la schiavitù del debito, è stato
messo in ginocchio per l’obstat della Banca centrale europea al credito
internazionale, una misura che l’allora ministro delle finanze greco, Yanis
Varoufakis, non esitò a definire «Waterboarding politico-fiscale».

52 nu 233
walter baier

Nel corso della crisi finanziaria non soltanto è venuta meno la promessa
di benessere dell’Unione europea, ma è stata anche ingannata l’inneggiata
solidarietà europea.
I risultati sono oggi evidenti. Negli ultimi quindici anni si è approfondito
il divario fra poveri e ricchi non solo all’interno degli Stati, ma anche fra gli
Stati. Se da un parte l’euro ha attirato alcuni nella trappola della povertà a
motivo di un’infrenabile concorrenza dell’industria sul mercato interno, per
altri, soprattutto per la Germania, esso è stato un propulsore formidabile di
successo economico. Con un’eccedenza di 250 miliardi di euro sulla bilan-
cia commerciale, la Germania è non solo la nazione più forte del mondo in
esportazioni, ma quella che lucra nel commercio estero un guadagno mag-
giore delle eccedenze di tutti gli altri Stati membri dell’Unione, per non par-
lare dei debiti della maggior parte dei Paesi membri rispetto alla Germania.
Bisogna considerare che questo non è lo sviluppo naturale delle cose. Dal
punto di vista teorico è senz’altro possibile creare una moneta comune
per uno spazio economico comune tra livelli di produzione storicamente
diversi. Ma per fare questo l’unione monetaria dovrebbe disporre anche di
strumenti politici per equilibrare i dislivelli e attenuare le variazioni con-
giunturali, come un budget e degli strumenti di finanziamento che, oltre
a una politica congiunturale anti-ciclica, consentano mirati trasferimenti
sociali e investimenti europei. Una politica europea dell’industria e degli
investimenti sarebbe necessaria anche in vista di una necessaria trasfor-
mazione socio-ecologica delle economie, possibile solo a livello europeo.
Inoltre l’unione monetaria contribuirà alla tenuta sociale soltanto se la sua
banca centrale sarà obbligata a tenere in considerazione le mete sociali
ed ecologiche in modo altrettanto centrale quanto quelle economiche. Un
budget sufficiente e un commitment sociale della Banca centrale non sono
previsti nell’Unione monetaria europea secondo il trattato di Maastricht
del 1994. In tal modo è stato impiantato fin dall’inizio un errore di sistema,
che non è stato corretto né dal patto di stabilità e crescita (1997) né dal
fiscal compact (2012). Anzi, tale errore è stato consolidato, invece di es-
ser corretto, in quanto per la stabilità monetaria, considerata come l’unica
misura possibile, è stato diminuito ancor di più l’impiego di strumenti di
politica finanziaria degli Stati membri.

nuova umanità 233 53


focus. l’europa e il suo futuro
Democratizzare il Vecchio continente

percorsi di integrazione

Il regime di politica rigorosamente finanziaria in nome dell’euro non na-


sce necessariamente dalla logica di un’integrazione europea, ma è il risul-
tato di una politica derivata da una base teorica erronea.
La sinistra è legittimata a questa affermazione, visto che tra i padri fon-
datori dell’unificazione europea non si può dimenticare il comunista italia-
no Altiero Spinelli, per il quale socialismo ed Europa unita erano sinonimi.
Bisogna ammettere che all’inizio degli anni ’50 l’atto di sottomettere
l’industria pesante francese e tedesca a una regolamentazione sovranazio-
nale in vista della pace, attraverso la creazione della Comunità del carbone
e dell’acciaio, fu una decisione coraggiosa. L’onestà intellettuale richiede
tuttavia di annotare che lo smussamento della rivalità franco-tedesca fu
una delle condizioni per il blocco contro l’Unione Sovietica seguito nella
guerra fredda. E bisogna anche ammettere che con i trattati di Roma del
1957 vennero a crearsi importanti condizioni di economia estera per la co-
struzione dello stato sociale negli Stati membri dell’allora cosiddetta Co-
munità europea, cosa che assicurò al progetto il sostegno del movimento
sindacale europeo, allora ancora influente.
Quando tuttavia all’inizio degli anni ‘90 si delineò la possibilità di uno
sviluppo qualitativo dell’integrazione, proprio lì si fece il grave errore di
concentrarlo soltanto sul mercato interno e sull’unione monetaria. In en-
trambi i casi si fece calcolo del dogma che la funzionalità dei mercati, pur
essendo nient’altro che una finzione teorica, tenda di suo all’equilibrio e
all’ottimizzazione del benessere e per tale ragione esso debba venir pro-
tetto soprattutto da influssi “esterni” attraverso la politica monetaria e fi-
scale. Questo dogma viene chiamato in generale neoliberalismo, anche se a
guardar bene si rivela molto meno liberale di quanto venga assunto. Infatti
i mercati non controllati dalla democrazia controllano a loro volta la demo-
crazia e la costringono a diventare una «democrazia conforme al mercato»,
come la cancelliera tedesca Angela Merkel ebbe a sentenziare, pur non
volontariamente, nel 201210.
La buona notizia si alimenta tuttavia dal rendersi conto che la crisi
dell’integrazione europea è il risultato di una politica erronea, e da questo

54 nu 233
walter baier

ne può conseguire, premettendone la buona volontà, una nuova politica,


che porti ad altri risultati.
La situazione è paradossale. L’indirizzo neoliberale che ha avviato l’inte-
grazione negli anni ‘90 ha rovinato la situazione sociale ed economica di am-
pie parti della popolazione. Le conseguenze politiche che ne derivano, come
la crescita del nazionalismo e del neofascismo, sono preoccupanti. Le alter-
native di politiche diverse sono numerose, al loro centro si trovano una mag-
gior giustizia fiscale attraverso la chiusura delle oasi fiscali, il superamento
della disoccupazione di massa attraverso investimenti europei nella trasfor-
mazione ecologica delle economie, l’introduzione di standard sociali euro-
pei, del salario minimo e l’allargamento dei servizi pubblici. Come esempio
cito la pubblicazione edita da diverse centinaia di economisti, l’EuroMemo,
il cui titolo per il 2018 era «L’Unione europea può ancora essere salvata?»11.

la costituzione cattiva

In contrapposizione a una volontà alternativa gli ostacoli sul percorso


sono molto forti.
Da una parte i trattati dell’Unione europea sono la quasi-costituzione;
ad essi la Corte di giustizia delle comunità europee attribuisce preminenza
rispetto all’applicazione del diritto nazionale12.
Tuttavia rispetto alle costituzioni convenzionali esistono differenze for-
mali e materiali molto gravi. Dal punto di vista formale si tratta di un accor-
do internazionale, che vive del consenso delle parti contraenti e non può
essere modificato dal legislatore – come nello stato di diritto. Dal punto di
vista materiale il trattato europeo supera le costituzioni, che stabiliscono
i diritti e le competenze degli organi di uno Stato. Con 413 articoli esso si
impone con una straordinaria potenza di regolamentazione. Oltre a defini-
re un’ideologia economica particolare rispetto a tutte le altre costituzioni,
esso definisce anche le regole politiche che ne derivano, quali il livello con-
cesso di deficit statale e di debito pubblico. Ciò che nello stato di diritto
democratico è compito del legislatore e dell’amministrazione viene conso-
lidato quale diritto costituzionale nell’Unione europea.

nuova umanità 233 55


focus. l’europa e il suo futuro
Democratizzare il Vecchio continente

In questo modo si consentì alla Corte di giustizia delle comunità europee


di arrogarsi il ruolo di motore dell’integrazione economica, cosa che già di
per sé è grave dal punto di vista costituzionale. Nella fase decisionale dei
casi “Viking“ (2007) e “Laval” (2007)” la Corte interpretò le quattro libertà
statuite dal trattato della Comunità euopea come ordini di liberalizzazione e
attribuì la loro priorizzazione rispetto alla libertà d’azione sindacale. Nel caso
“Rueffert” (2008) la Corte di giustizia delle comunità europee dichiarò in-
compatibile con il diritto europeo la legge sugli appalti dello Stato federale
della Bassa Sassonia, che aggiudicava gli appalti pubblici prendendo in con-
siderazione lo standard sociale. Nel caso “Luxemburg” la Corte diede la pre-
cedenza alla libera prestazione di servizi rispetto al diritto di lavoro nazionale.
Il dogma neoliberale si decifra già nei paragrafi dei fini del trattato di
Lisbona. Nell’articolo 2, paragrafi 3 e 4 sui fini programmatici dell’Unione
si legge:

3. L’Unione instaura un mercato interno. Si adopera per lo sviluppo


sostenibile dell’Europa, basato su una crescita economica equili-
brata e sulla stabilità dei prezzi, su un’economia sociale di mercato
fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al pro-
gresso sociale, e su un elevato livello di tutela e di miglioramento
della qualità dell’ambiente. […]
L’Unione combatte l’esclusione sociale e le discriminazioni e promuo-
ve la giustizia e la protezione sociali, la parità tra donne e uomini, la
solidarietà tra le generazioni e la tutela dei diritti del minore. […]
4. L’Unione istituisce un’unione economica e monetaria la cui mo-
neta è l’euro.

Allora tutto ok?


In uno studio della Fondazione Rosa Luxemburg, nel quale si discutono
le possibilità di una riforma dei trattati dell’Unione, due esperti in diritto
nazionale, Jeremy Smith e John Weeks, propongono i seguenti cambia-
menti nei paragrafi succitati.

(3) L’Unione opera per uno sviluppo sostenibile dell’Europa sulla


base di una crescita economica equilibrata, di prosperità e di piena

56 nu 233
walter baier

occupazione in condizioni di lavoro qualitativo, di stabilità dei prez-


zi, di progresso sociale e di un alto livello di protezione e migliora-
mento dell’ambiente, entro l’ambito di una società che si basa su
un’economia dinamica e mista. […] Essa promuove l’uguaglianza
di uomini e donne, la solidarietà tra le generazioni e la protezione
dei diritti del bambino. […] Per questa ragione l’Unione instaura un
mercato interno. […] Essa promuove la coesione economica, socia-
le e territoriale tra gli Stati membri.
(4) Per raggiungere queste mete, L’Unione istituisce un’unione
economica e monetaria la cui moneta è l’euro13 .

L’effetto è sorprendente. Con l’aggiunta di poche frasi, il fine di un “mer-


cato interno” è diventato mezzo per il raggiungimento di desiderata sociali.
Per i trattati economici dell’Unione europea ciò non significherebbe scam-
biare Smith con Marx, ma Hayek con Polanyi14, non eliminare l’economia di
mercato, ma sostituire l’idea della deregolarizzazione del mercato con un’e-
conomia di mercato integrata col sociale. Dal punto di vista politico questo
non costituirebbe semplicemente una riforma, ma un’inversione di marcia.

l’integrazione richiede democrazia

Gli ostacoli prevedibili non sono solo di natura giuridica, ma sono dovu-
ti a grossi interessi materiali di potere e capitale. Nelle condizioni e nelle
strutture attuali non c’è da aspettarsi un cambiamento volontario di com-
portamenti. Se tuttavia vogliamo evitare che il malcontento europeo persi-
sta e si accumuli fino al punto di scaricarsi in modo violento, c’è bisogno di
un meccanismo che renda possibile il dialogo e la valutazione di interessi
opposti.
Chiaramente manca all’integrazione europea un fattore determinante,
cioè una democrazia funzionante. Il maggior errore di tanti proeuropeisti
è quello di immaginare l’integrazione europea nient’altro che come l’eli-
minazione delle competenze degli Stati nazionali. Questo sarebbe fatale,
perché le competenze che l’Unione europea si arroga non sono soggette
a decisioni parlamentari ad alto livello, e si vanificherebbero in un intrico

nuova umanità 233 57


focus. l’europa e il suo futuro
Democratizzare il Vecchio continente

tecnocratico nazionale ed europeo, cosa che condurrebbe più in generale


a una corrosione della democrazia. Ma integrazione senza la democrazia
genera nazionalismo.
La prima conclusione è dunque che il rispetto delle sovranità nazionali
non è in opposizione a un’integrazione democratica, ma ne è la pre-condi-
zione. Per questo bisogna dunque immaginare l’Europa come un common,
con una struttura decisionale disposta a diversi livelli.
Per ciò che riguarda le competenze europee, il ruolo chiave deve esse-
re in mano al Parlamento europeo, che con il trattato di Lisbona si è visto
assegnare un maggiore influsso politico. È da deprecare tuttavia che non
sia cambiato niente per quanto riguarda l’insopportabile ripartizione del
legislativo con il Consiglio europeo.
La democrazia richiede però parlamentarismo. Il potere deve uscire
dalle sale di conferenze, dove i capi degli Stati e i ministri trattano dietro a
porte chiuse gli interessi nazionali, e le burocrazie praticano una sorta di
assolutismo; deve essere spostato in un parlamento, nel quale i partiti pos-
sano presentare i loro programmi opposti pubblicamente e concorrano alla
responsabilità di governo. Questo sarebbe un parlamento operante, eletto
in modo diretto, con scrutinio segreto ed equo, dotato della competenza di
promulgare leggi, di decidere sui bilanci, di guidare la politica monetaria e
di definire l’Esecutivo.

conclusione

Nessuno dei problemi qui citati, né la distorsione neoliberale dei trat-


tati, né l’eclatante deficit democratico, vengono presi in considerazione da
Jean-Claude Juncker nel suo White Paper del 2017 sul futuro dell’Unione15.
Il malcontento generale all’interno dell’Unione grida a un’alternativa radi-
cale. Nel maggio 2019, saranno 400 milioni i cittadini europei che decide-
ranno sulla direzione da prendere.
Nelle elezioni nazionali dei parlamenti degli ultimi anni i partiti, finora
determinanti, dell’integrazione europea si sono trovati davanti un conto

58 nu 233
walter baier

terrificante. Dobbiamo paventare dunque la vittoria del nazionalismo e del


neofascismo?
Non credo. Rimane da sperare che, davanti al dilemma di scegliere fra
una politica fallita e discreditata per le sue conseguenze sociali negative
o, peggio, un’Europa avviata sui binari del nazionalismo e della chiusura,
i popoli scelgano una terza opzione, quella della ragione e dell’empatia, di
cui parla anche il papa, che solleciti alla ricerca di un modello economico
nuovo e giusto, indirizzato non a servire i pochi, ma a guardare al bene di
ogni uomo e della società16. Questo modello non può venire imposto, ma
deve nascere dal dialogo.

1
Discorso di papa Francesco al conferimento del premio Carlo Magno, 6 mag-
gio 2016, http://w2.vatican.va/content/francesco/de/speeches/2016/may/docu-
ments/papa-francesco_20160506_premio-carlo-magno.html.
2
Il titolo completo è: Trattato di Lisbona che modifica il trattato sull’Unione euro-
pea e il trattato che istituisce la Comunità europea.
3
Cf. European Election stats, eine Prognose, die in allen 27 Mitgliedsstaaten dur-
chgeführt und wöchentlich aktualisiert wird, https://europeanelectionsstats.eu/de/
europawahlen-2019-wahlprognose.
4
Verranno contate insieme le frazioni Europa delle nazioni e della libertà
(Lega, FPÖ, Rassemblement National – già Front National –, PVV, SPD – Cechia –,
Vlaams Belang, KNP…), Europa della libertà e della democrazia (AfD, Democratici
svedesi…), come pure altri mandatari senza frazione.
5
Gli stipendi di CEO di imprese quotate in borsa aumentarono tra il 2016 e il
2017 del 12% in Austria, arrivando così a 56 volte uno stipendio medio. Cf.: https://
wien.arbeiterkammer.at/interessenvertretung/wirtschaft/wirtschaftkompakt/
Gagen_der_ATX-Manager.html.
6
Cf. https://derstandard.at/2000089016409/Arme-und-reiche-Regionen-
Vom-Aufstieg-des-Burgenlands-und-dem.
7
J.-C. Juncker, Rede zur Lage der Union 2017, https://ec.europa.eu/commis-
sion/sites/beta-political/files/state-union-2017-brochure_de.pdf, 17.
8
42 miliardari posseggono metà del mondo, «Welt», 22.1.2018, https://www.
welt.de/wirtschaft/article172684758/Oxfam-42-Milliardaere-besitzen-so-viel-
wie-die-halbe-Welt.html.

nuova umanità 233 59


focus. l’europa e il suo futuro
Democratizzare il Vecchio continente

9
Cf. «Focus-online», 21.12.2012 Staaten halfen Banken mit 1,6 Billionen Euro,
https://www.focus.de/finanzen/news/bankenrettung-in-der-eu-staaten-halfen-
banken-mit-1-6-billionen-euro_aid_886827.html.
10
A. Merkel, Conferenza stampa del 1.9.21012, Per questo dovremo trovare le
strade affinché la codecisione parlamentare possa essere conforme al mercato, https://
www.youtube.com/watch?v=y4CIiBL-EKg.
11
European Economists for Alternative Economic Policy in Europe: www.euro-
memo.eu.
12
Sentenza della Corte di giustizia delle comunità europee del 15 luglio 1964,
Flaminio Costa contro ENELCOSTA/ENEL-Entscheidung: https://eur-lex.europa.
eu/legal-content/DE/TXT/HTML/?uri=CELEX:61964CJ0006&from=DE.
13
Jeremy Smith/John Weeks (2017): “Bringing Democratic Choice to Europe’s
Economic Governance. The EU Treaty Changes we Need, and why we Need them”,
https://www.rosalux.eu/fileadmin/user_upload/Publications/2017/Democra-
tic-choice-to-Europe.pdf.
14
Adam Smith (1723–1790), filosofo ed economista scozzese, fondatore della
dottrina del mercato libero; Karl Marx (1818–1883), filosofo tedesco, economista e
politico, fondatore del socialismo scientifico; Friedrich August von Hayek (1899–
1992), economista austriaco e teorico sociale, fondatore del neoliberalismo; Karl
Polanyi (1896–1924), storico, economista austro-ungarico e teorico sociale con
sfondo cristiano e socialista. Egli introdusse l’idea di un’integrazione istituzionale
del sociale nei processi di mercato.
15
Cf. Commissione europea (2017): White Paper sul futuro dell’Europa,
https://ec.europa.eu/commission/sites/beta-political/files/weissbuch_zur_
zukunft_europas_de.pdf.
16
Cf. Discorso di papa Francesco al conferimento del premio Carlo Magno, cit.

60 nu 233
focus. l’europa e il suo futuro

Il nostro sì all’Europa
Il contributo di Insieme per
l’Europa nella situazione attuale 1 

Già alla sua nascita Insieme per l’Europa aveva ri-


Gerhard cevuto come emblema l’unità. Per questo è chiamato
Proß all’unità. Il 31 ottobre 1999, data della sua fondazione,
è il giorno della Dichiarazione congiunta sulla dottrina
già dirigente del della giustificazione, ad Augsburg, tra la Federazio-
cvjm esslingen, ne mondiale luterana e la Chiesa cattolica: ad essa è
dirigente di varie
reti cristiane strettamente legata la nascita di Insieme per l’Europa
e coordinatore (a Ottmaring presso Augsburg) e il compito fondamen-
di insieme tale di aiutare l’unità del popolo di Dio.
per l'europa. Il secondo compito fondamentale, il “per” l’Europa,
ha trovato la sua prima espressione visibile durante il
grande evento che si è tenuto nel maggio del 2004 a
Stuttgart.
Non vogliamo soffermarci qui sui dettagli del primo
compito. Tuttavia ne diamo qualche breve cenno, poi-
ché rappresenta lo sfondo di questo articolo.
Siamo convinti che Insieme per l’Europa sia stato
chiamato in vita da Dio. Non seguivamo alcun progetto
strategico, bensì eravamo pronti a seguire lo «spartito
scritto in Cielo»2. Già i primi passi, su cui siamo stati
condotti, mostrano parti della celeste melodia che con
diverse varianti ha risuonato come un cantus firmus
lungo il cammino di Insieme per l’Europa. Il primo pas-
so è stato un commovente Atto di riconciliazione tra
le confessioni (marzo 2000). Il secondo, un Patto di
amore reciproco. Il terzo, un cambiamento del nostro

nuova umanità 233 61


focus. l’europa e il suo futuro
Il nostro sì all’Europa

atteggiamento verso il prossimo. Al posto di giudizio (condanna) e demar-


cazione si percepiva la confessione dell’altro, la spiritualità sconosciuta
come arricchimento. Ancora una volta è stata una frase di Chiara Lubich
ad aprirci gli occhi. Se dunque è vero che ogni comunità cristiana e ogni
movimento cristiano sono nati da un impulso dello Spirito Santo, occor-
re scoprire nell’altro il carisma, la grazia proveniente da Dio. Con Gesù in
mezzo a noi (secondo la promessa evangelica «dove sono due o tre riuniti
nel mio nome, io sono in mezzo a loro» – Mt 18, 20) siamo andati a visitarci
l’un l’altro, per scoprire reciprocamente le ricchezze, e abbiamo potuto ce-
lebrare quasi una festa di Pentecoste3.
Di fronte ai frutti che abbiamo visto maturare in questi anni possiamo
solo rimanere stupiti. In una fase di raffreddamento ecumenico (alcuni par-
lavano addirittura di era glaciale), Dio si è servito di Insieme per l’Europa
come strumento per favorire grandi passi nel cammino verso l’unità, che
ora non possiamo approfondire ulteriormente. Il cammino verso il “diven-
tare uno” del popolo di Dio prosegue. Non siamo ancora assolutamente
giunti alla meta.
Ora sembra che il secondo ambito stia guadagnando maggiore rilievo:
“per l’Europa”! Dio si serve di Insieme per l’Europa in un momento di crisi
e di scompiglio. Non potrebbe essere che Dio usi di nuovo le nostre piccole
forze per causare un cambiamento? Non attraverso potere e grande peso
politico, bensì grazie a ciò che ci è stato donato: il nostro carisma dell’unità.
Insieme per l’Europa è decisamente un segno profetico: l’unità è possibile.
A noi è stata affidata una cultura dell’unità, di cui l’Europa ora ha estrema-
mente bisogno.

princìpi fondamentali

L’unità è possibile
Questa frase appartiene alle convinzioni basilari di Insieme per l’Euro-
pa. Ma di quale unità stiamo parlando?

62 nu 233
gerhard proß

Unità e diversità sono ugualmente primigenie4


È quanto sosteneva fr. Franziskus durante il Congresso Insieme per
l’Europa 2007. Piero Coda sostiene analogamente: «Se dunque Dio è trino,
unità e diversità non solo non sono in contrapposizione, bensì sono ugual-
mente primigenie»5. Fin dagli inizi ci è stato ben chiaro un concetto di unità
che riconosce ed accoglie la diversità donata da Dio. L’unità nello Spirito
non significa un livellamento delle diversità, non indica una “poltiglia omo-
genea”, non una fusione, ma unità nella diversità.

Unità nella diversità conciliata


A motivo delle molteplici fratture nella vita di ciascuno, tra le Chiese e
tra i popoli, per giungere ad un’unità riconciliata nella pluralità occorre una
riconciliazione degli opposti. In questo ci contraddistinguono esperienze
di riconciliazione sulla via dell’“insieme” e percorsi di riconciliazione poli-
tica. Vengono ammesse le colpe, viene offerto il perdono e così facendo si
dischiude il futuro, perché il veleno del passato perde la sua efficacia. Ciò
che è diverso e sconosciuto perde in questo modo l’aspetto minaccioso e
si trasforma in dono. In veste di riconciliati nella diversità riconosciamo i
tesori della vita.
L’uniformità mette in pericolo le identità e può quindi provocare la rot-
tura dell’unità nella pluralità. Questo vale sia per l’ambito politico che per
quello ecclesiale. «Troppa uniformità mette a rischio l’unità»6.

Gesù in mezzo
Sin dagli inizi questo credo comune ha plasmato il nostro “insieme”.
È Gesù in mezzo che ci unisce. Egli ci dona la forza e la speranza per l’unità
nella diversità riconciliata, poiché Gesù Cristo ha riconciliato il mondo con
Dio. In ambito politico occorre modificare questo credo, giacché coopere-
remo con tutti gli uomini di buona volontà. Tuttavia, questa base comune
rappresenta in Insieme per l’Europa un ponte solido per lavorare insieme in
presenza di convinzioni politiche, culturali e nazionali diverse.

nuova umanità 233 63


focus. l’europa e il suo futuro
Il nostro sì all’Europa

«Non esistono alternative all’insieme»


Il nostro “insieme” di cristiani provenienti da comunità e movimenti è
confermato dalla Costituzione europea: non esistono alternative all’insie-
me. Perciò il nostro messaggio del 20167 è iniziato con queste parole.

l’ambito politico come campo di apprendimento

Insieme per l’Europa intende un’Europa che si estende dagli Urali al


Portogallo, da Capo Nord alla Sicilia. Ma sin dai primi tempi è stato anche
un sì all’Unione europea, in quanto strumento di pace e di futuro.
Il nostro insieme sussiste a tre livelli.
- È un sì vissuto. Viene in rilievo nei rapporti vissuti fra di noi.
- È un sì creativo. L’insieme genera nuovi rapporti.
- È un sì profetico. Il nostro insieme crea riconciliazione e futuro. Gene-
rando unità, rivela qualcosa dell’essenza di Dio.
Insieme per l’Europa non ha orientamento politico-partitico. Tra noi
esistono varie convinzioni politiche, emerse – per citare un esempio – con
la crisi dei rifugiati. Troppo facilmente si instaura – perfino tra di noi – un
clima che non lascia spazio a convinzioni politiche diverse. Dobbiamo im-
parare a concedere spazio tra di noi alla convinzione dell’altro, ad ascoltar-
ci e a comprenderci reciprocamente.
Occorre scoprire in ambito politico quanto ci è stato donato in ambito
spirituale: riconoscere la diversa confessione e la diversa spiritualità non
più come minaccia, bensì come arricchimento.
Non potrebbe essere che processi di riconciliazione in ambito politico,
simili a quelli vissuti in ambito spirituale, attendano noi stessi e l’Europa?
L’immagine della “benevolenza” che già ci aveva aiutato nella riconci-
liazione tra posizioni teologiche diverse, potrebbe ancora guidarci. Sull’e-
sempio di Giovanni Battista e di Maria – come sono rappresentati nella
Deesis di Santa Sofia a Istanbul – che rimangono entrambi al proprio posto,
ognuno può rimanere fedele alla sua identità e al suo posto; ma mentre ci
rivolgiamo a Gesù, ci rivolgiamo anche al prossimo.

64 nu 233
gerhard proß

In politica il raziocinio8 è considerato l’istanza9 massima. Intendiamo


servirci di esso per l’aspetto pratico del lavoro politico. Per incentivarlo e
“negoziare” 10 il futuro dell’Europa, occorrono dialogo, dibattiti, parlarsi.
Domande sulla rotta dell’Unione europea non solo sono ammesse, ma
sono indispensabili. Nonostante ci sia da parte nostra un’approvazione
di base per essa, abbiamo diverse domande importanti da rivolgere all’
Unione europea, che occorre esporre bene e che dovrebbero portare a dei
cambiamenti (apparato dell’Unione europea, mancato riferimento a Dio,
cartello massonico, manipolazioni ideologiche ecc.).
Sebbene le domande siano legittime, non intendiamo mettere in di-
scussione l’Unione europea, visto che la consideriamo uno straordinario
strumento di pace. Sessant’anni fa i padri costituenti, sulla base della fede
cristiana, hanno mosso consapevolmente passi verso la riconciliazione,
hanno riconosciuto nell’amicizia la chiave dell’insieme, e con la Comunità
economica europea hanno creato una base per la pace e per il benessere.
Vorrei delineare ciò che per noi rappresenta una duplice sfida nel cam-
po dell’agire politico.
- Imparare ad ascoltarsi reciprocamente.
Dobbiamo imparare ad ascoltarci reciprocamente anche in campo poli-
tico. Vogliamo rispettare il parere politico contrario e comprenderlo.
L’esperienza sperimentata in ambito spirituale necessita ancora di es-
sere praticata in quello politico.
Una base essenziale di ciò è il rispetto per la posizione dell’altro. Tra noi
ci sono posizioni critiche verso l’Unione europea. È permesso esprimere
queste posizioni? Siamo disposti ad ascoltarci?
- La riconciliazione degli opposti.
Si tratta di percepire la pluralità delle culture come ricchezza. Ciò
nonostante, a causa della diversità di culture, del pensiero ecc. nascono
contrasti, che appaiono spesso senza essere riconciliati. Ciò che conta è
la riconciliazione degli opposti. In Insieme per l’Europa operiamo per la ri-
conciliazione tra diverse convinzioni, matrici e posizioni. Occorre ancora
percorrere parecchia strada, ad esempio: nell’economia, che serve al bene
comune (uno dei nostri sette “sì”). Siamo fondamentalmente d’accordo

nuova umanità 233 65


focus. l’europa e il suo futuro
Il nostro sì all’Europa

che l’economia deve servire il bene comune. Ciò nonostante, procedendo


in questa direzione abbiamo trovato forti contrasti tra Nord e Sud Europa
(convinzione romanica al Sud contro politica economica tedesca al Nord).
All’improvviso sorgono ostacoli tra Europa dell’Est ed Europa dell’O-
vest. Nell’Est il timore di essere sopraffatti dalla scala di valori liberale
dell’Ovest, che secondo le loro convinzioni non corrisponde alle basi cri-
stiane. Ad aggravare il quadro si aggiungono esperienze in cui l’Ovest ha
manifestato disprezzo verso l’Est. All’Ovest osserviamo sia il timore di svi-
luppi che minacciano la democrazia e la libertà, sia una delimitazione verso
lo straniero.
Ci rendiamo conto di quanto siano importanti gli incontri, il dialogo e
specialmente la riconciliazione con la posizione dell’altro. Occorre riconci-
liazione invece di condanna.

Discernimento degli spiriti

Pur mantenendoci aperti a diverse convinzioni politiche e proceden-


do nel processo di apprendimento (anche tra di noi), siamo chiamati allo
stesso tempo al discernimento degli spiriti. Occorre fare spazio a posizioni
politicamente contrarie, ma opporsi agli spiriti cattivi. Diciamo “no” al na-
zionalismo, agli egoismi e al populismo.
- In un’epoca, in cui rinascono gli antichi spiriti cattivi che più volte han-
no portato l’Europa alla catastrofe, diciamo il nostro “no” ai nazionalismi,
e tanto più chiaramente il nostro “sì” alla prospettiva del regno di Dio, un
“sì” al vangelo e alla riconciliazione. Siamo guidati dalla prospettiva che
un giorno un incommensurabile numero di persone, provenienti da tutte
le nazioni, si presenterà al trono di Dio per adorarlo insieme (Ap 7, 9). Per
questo diciamo “sì” alle nazioni e “no” al nazionalismo, dal momento che ci
troviamo inseriti nella prospettiva più ampia del regno di Dio.
- In un’epoca, in cui gli egoismi e gli egoismi di carattere nazionale sono
in aumento, diciamo il nostro “sì” a una cultura dei rapporti, delle alleanze
e dell’amore.

66 nu 233
gerhard proß

- In un tempo in cui il populismo sta crescendo, diciamo il nostro “no” a


ogni semplificazione e a soluzioni banali. Diciamo il nostro “sì” alla verità e
all’umiltà (sincerità, pazienza).

il nostro compito come insieme per l’europa

Vivere l’insieme

Il vivere insieme tra cristiani di confessioni e spiritualità diverse fa parte


delle nostre esperienze basilari e rappresenta una delle chiavi per il futuro.
L’insieme di nazionalità e culture è vivo tra noi. Qui si offrono per il futuro
grandi opportunità e ampi campi d’azione per noi.
- Attiviamoci per visitare gli altri.
- È giunto il momento in cui Est e Ovest, Nord e Sud dell’Europa si deci-
dano a stringere amicizia e inizino a scambiarsi visite.
- Facciamo in modo di invitare rappresentanti di altre nazioni agli incon-
tri nazionali di Insieme per l’Europa.

La preghiera trasforma

La preghiera fa parte del compito di Insieme per l’Europa. Non voglia-


mo trascurare di pregare per questa Europa – e concretamente anche per
i responsabili dell’Unione europea. La preghiera trasforma noi, ma anche
l’atmosfera nel nostro Paese e in Europa. La preghiera trasforma i cuori
degli uomini. Con gratitudine ci rendiamo conto di quanto le preghiere
del 24 marzo 2017 11, insieme a numerose altre iniziative di preghiera, ab-
biano cambiato l’atmosfera in Europa. In un sonetto del 1936 Reinhold
Schneiders scrive che «Solo chi prega può farcela», in quanto solo chi
prega riesce a far sgorgare zampilli di vita da sorgenti prosciugate, sve-
lando la salvezza occultata dalla superbia umana. Per questa ragione noi
di Insieme per l’Europa invitiamo le comunità e i movimenti a pregare con

nuova umanità 233 67


focus. l’europa e il suo futuro
Il nostro sì all’Europa

maggiore intensità per l’Europa. La data del 9 maggio, giorno dedicato


all’Europa, potrebbe essere un’occasione preziosa per attuarlo. Sognia-
mo una rete di preghiera che avvolga l’Europa e che in quel giorno si pre-
ghi per l’Europa in centinaia di città.

Promuovere in Europa una cultura dell’insieme

Durante il Congresso di Insieme per l’Europa nel 2016 a Monaco è stato


espresso in modo molto conciso e deciso che il nostro “Insieme” è un se-
gno profetico. Il messaggio profetico di Insieme per l’Europa è il seguente:
«Il futuro dell’Europa sta in una cultura dell’Insieme».
Jean Monnet12, dopo le sue decennali fatiche per l’Unità dell’Europa,
ripeteva spesso: «Se l’avessi saputo prima, avrei iniziato dalla cultura piut-
tosto che dall’economia»13.
Per quanto possano esserci importanti azioni concrete e un prossimo
congresso, dobbiamo essere coscienti che il nostro compito ha radici più
profonde.
Il nostro vero compito ha come scopo quello di impegnarci in Europa
per una cultura dell’insieme, che nasce dalle radici della fede cristiana, e di
testimoniarla con la nostra vita.

la nostra speranza e il nostro sì all’europa

Nutriamo una speranza per l’Europa. Ci impegniamo per l’Europa, per-


ché questo impegno lo intendiamo come una missione affidataci da Dio.
Siamo convinti che il nostro sì deciso a un’Europa unita e alla molteplicità
di culture e nazioni non sia mai stato importante quanto lo è oggi. Ci si
prospetta un’immagine positiva dell’Europa. È nostra convinzione che per-
sone trasformate dalla grazia di Dio sono in grado di cambiare l’Europa. Per
questa ragione investiamo in una cultura dell’insieme che sia fondata sui
princìpi della fede cristiana. Con cinque “sì” esprimiamo la nostra speranza
per l’Europa e ci impegniamo a metterli in pratica14.

68 nu 233
gerhard proß

Diciamo “sì” a un’Europa della riconciliazione.


Dal miracolo della riconciliazione dopo la tragedia delle guerre mondiali
è sorta una nuova Europa. La forza della riconciliazione conferitaci dalla
fede cristiana rende possibili la guarigione dalle ferite storiche e un insieme
riconciliato delle molteplicità.
Diciamo “sì” a un’Europa unita nella molteplicità.
Riconosciamo la molteplicità come ricchezza. Molteplicità e diversità
sono allo stesso modo primigenie. Occorre mantenerle in un buon equili-
brio. Molteplicità e unità fanno parte della nostra vita. L’altro e i suoi cari-
smi sono per noi fonte di gioia.
In Insieme per l’Europa i carismi cooperano in vista dell’unità nella mol-
teplicità. Questo operare congiunto dei carismi favorisce l’unità del popolo
di Dio e l’unità dell’Europa. Ci impegniamo per un organismo federale in
Europa. Con rispetto e stima andiamo incontro ai diversi retroscena storici
e alle diverse prospettive.
Questa molteplicità in unità riconciliata rappresenta la nostra speranza
per l’Europa e allo stesso tempo è il nostro messaggio all’Europa.
Diciamo “sì” a un’Europa dell’incontro, del dialogo e della pace.
Grazie all’incontro cresce la comprensione reciproca. Cerchiamo il dia-
logo con tutti. Ciò rappresenta una delle nostre esperienze sostanziali in
Insieme per l’Europa. Diciamo “sì” a un’Europa che cerca il dialogo e sce-
glie la strada della negoziazione tra i vari interessi.
Il processo di unificazione dell’Europa, e di conseguenza dell’Unione
europea, ci ha donato settant’anni di pace. Chi si appella troppo alla realtà
nazionale risveglierà gli infausti spiriti nazionalistici e porterà l’Europa al di-
sfacimento. Chi, invece, nega l’aspetto nazionale nega la molteplicità e ren-
de impossibile la nascita di una comunità europea. Il nostro sì all’Europa e
all’Unione europea resta in piedi, nonostante ci sia qualche legittima critica.
Noi ci impegniamo per favorire l’incontro e incoraggiamo tutti a entrare
in un dialogo politico aperto per un’Europa che riesca a vivere nella pace.
Diciamo “sì” a un’Europa della misericordia e dell’umanità.
La fede cristiana ha inciso sulla storia dell’Europa. È una fede aperta a
tutti. Da Gesù crocifisso e abbandonato emanano umanità e misericordia,
plasmando il continente. Entrambe si manifestano nell’incondizionato sì

nuova umanità 233 69


focus. l’europa e il suo futuro
Il nostro sì all’Europa

alla vita, nel sì al matrimonio e alla famiglia, nel sì al povero e al misero. La


famiglia è l’emblema della convivenza nella fratellanza a cui l’Europa anela
e ai poveri spetta un posto in mezzo a noi.
L’Europa affonda le sue radici primariamente nella fede ebraico-cristia-
na. Europa significa ben altro che l’euro o l’economia di mercato. Per que-
sto motivo ci siamo impegnati a costruire un’Europa sulla base della fede
cristiana, mantenendoci aperti e tolleranti verso chiunque abbia idee e fedi
diverse. Così facendo rafforziamo l’anima dell’Europa.
Diciamo “sì” all’Europa, a cui Dio nel corso della storia ha affidato una
missione15: è l’insieme di cielo e terra, l’insieme di fede e opere nel mon-
do, giacché nel Crocifisso s’incontrano cielo e terra. Riconosciamo in que-
sta missione per l’Europa anche una responsabilità per l’Africa e il Medio
Oriente.
L’Europa è sulla bocca di tutti. Come riusciremo dunque a inserirci come
cristiani nella costruzione di questa Europa? Le nostre possibilità sono li-
mitate. Piccole minoranze, però, se creative e motivate, possono ottenere
risultati decisivi e contribuire al cambiamento. Perciò sarà importante per
noi sviluppare il nostro carisma: la nostra chiamata all’unità, la nostra cultura
dell’insieme sono oggi più importanti che mai.
Il Dio vivente ha affidato grandi cose al nostro “insieme”. Perciò occorre
svegliare nei nostri movimenti spirituali la coscienza dell’urgenza del no-
stro sì all’Europa. Non dovremo stancarci di affermare in pubblico il nostro
sì all’Europa.

1
Traduzione italiana (dal tedesco) a cura di Christina Roth e Diego Goller.
2
Chiara Lubich al primo incontro del 31 ottobre 1999 a Ottmaring.
3
Congresso Insieme per l’Europa nel maggio 2004 a Stuttgart: Scoprire ric-
chezze e condividerle.
4
F. Jöst, Insieme in cammino, relazione al Congresso Insieme per l’Europa 2007
a Stoccarda, pp. 21ss.
5
H. Heinz (ed.), Christliche Kultur in einem Europa, Neue Stadt, Oberpframmern
p. 33.
6
P. Heinrich Walter al Comitato Centrale di Insieme per l’Europa a Monaco,
maggio 2017.

70 nu 233
gerhard proß

7
Messaggio di Insieme per l’Europa del 2 luglio 2016 a Monaco: All’Insieme
non esistono alternative. “Uniti nella diversità”. Questa speranza europea è oggi più
attuale che mai. Cf. www.together4europe.org.
8
Occorre distinguerlo bene da impulsi profetici e dal lavoro di discernimento degli
spiriti, che hanno come fonte la Rivelazione.
9
«L’uomo dimostra abbastanza facoltà di ragionare in cose transitorie e in
ciò che concerne le vicende umane. In questo ambito ha bisogno solo della luce
dell’intelletto. Perciò Dio nelle scritture non istruisce su come costruire case, cu-
cire vestiti, sposarsi, condurre guerre ecc. affinché ciò si realizzi. La luce naturale
vi è sufficiente. Per quanto concerne invece le cose di Dio, vale a dire dove occor-
re fare la volontà di Dio per ricevere la grazia, la natura è inefficiente e cieca, non
percepisce lontanamente questa realtà. È tuttavia sufficientemente presuntuosa da
inoltrarvisi, piombandovi dentro come fosse un cavallo cieco. Ma quanto viene da
essa esaminato e deciso è certamente sbagliato e ingannevole rispetto alla realtà di
Dio». Martin Lutero, citato in K. Aland, Lutherlexikon, Bückle & Böhm, Berlino 1956,
pp. 392-393 (n. 1498).
10
Suor Nicole Grochowina all’incontro degli Amici di Insieme per l’Europa 2016
a Castel Gandolfo.
11
Preghiera alla vigilia dei 60 anni del Trattato di Roma, il 24 marzo 2017, a
Roma e in 57 città europee.
12
Cf. www.wikipedia.org – Jean Omer Marie Gabriel Monnet (9 novembre 1888
- 16 marzo 1979) imprenditore francese e precursore delle correnti per un’Europa
unita, senza vestire mai una carica politica. Monnet è considerato uno dei padri
fondatori dell’Unione europea e viene definito come “padre dell’Europa”.
13
H. Heinz (ed.), Christliche Kultur in einem Europa, cit., p. 71.
14
I sette sì di cui abbiamo parlato a Stuttgart nel 2007, e che da allora descri-
vono il nostro impegno in questi sette ambiti sociali, devono essere distinti dal sì
all’Europa che noi abbiamo definito nell’incontro degli Amici di Insieme per l’Europa
a Castel Gandolfo: a quale Europa diciamo di sì? Queste formulazioni furono pre-
cisate in seguito, particolarmente in vista dell’incontro degli Amici di Insieme per
l’Europa a Vienna nel 2017: Diciamo sì all’Europa - 5 punti.
15
Padre Lothar Penners all’incontro annuale degli Amici di Insieme per l’Europa
2016 a Castel Gandolfo, con riferimento a Padre Kentenich.

nuova umanità 233 71


dallo scaffale di città nuova

Il capitale narrativo
le parole che faranno il domani
nelle Organizzazioni
e nelle comunità
di Luigino Bruni

Le comunità, le associazioni, i movimenti, le istituzioni e le im-


prese vivono grazie a molte forme di capitali. Una di queste è
il capitale narrativo, una risorsa preziosa in molte organizza-
zioni, che diventa essenziale nei momenti di crisi e nei grandi
cambiamenti dai quali dipendono la qualità del presente e la
possibilità del futuro. È quel patrimonio fatto di racconti, sto-
rie, scritti, a volte poesie, canti, miti: un autentico capitale ché,
come tutti i capitali, genera frutti e futuro. Se gli ideali di una
isbn organizzazione o di una comunità sono alti e ambizioni, come
9788831175388 accade in molte Organizzazioni a Movente Ideale (OMI), an-
pagine che il suo capitale narrativo è grande. L’economista Luigino
104 Bruni, dopo La distruzione creatrice (2015) e Elogio dell’autosov-
versione (2017), continua ad approfondire il grande tema delle
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nu 233
scripta manent

Le “madri fondatrici”

L’idea di un’Unione europea si fa risalire all’intuizione


e alla volontà politica dei “padri fondatori” agli inizi degli
anni ’50 del XX secolo: Robert Schuman, Konrad Adenauer
a cura di e Alcide De Gasperi. Senza voler sminuire il loro ruolo, in
questa sezione vorremmo piuttosto prospettare un’ango-
Pasquale lazione particolare, e cioè la visione di questioni essenziali
Ferrara per la costruzione europea (e anche oltre essa) da parte di
diplomatico. quattro donne2 del XX secolo, di estrazione diversa, oltre
docente che di impostazione intellettuale spesso distante3 , prota-
di diplomazia goniste di vicende biografiche complesse, ma accomunate
e negoziato da un’intensa passione civile. Si tratta di María Zambrano
alla luiss e della sua interpretazione – molto attuale – di un’Europa
e di relazioni
internazionali sempre in tensione tra “agonia” e “resurrezione”; di Han-
e integrazione nah Arendt e delle sue osservazioni critiche sulla connessio-
all’istituto ne esclusiva tra diritti umani e cittadinanza (si pensi, oggi,
universitario alla condizione dei profughi e dei migranti); di Simone Weil
sophia di loppiano e della sua concezione degli “obblighi” verso l’essere uma-
(figline – incisa
in val d’arno, no (come complemento necessario della nozione – talvolta
firenze). utilitaristica – dei diritti umani fondamentali); di Chiara Lu-
bich e della sua visione di Unione europea nel più ampio
contesto dell’impegno politico per la fraternità universale.

maría zambrano (1904-1991)

La domanda sulla morte dell’Europa ci ha portati a


chiederci: che cos’è, che cos’è stata l’Europa? A tanto
equivale infatti l’indagare sul suo tradimento. Cos’è sta-
ta l’Europa? Cos’è, nella sua complessa e ricchissima
realtà, l’irrinunciabile? […]

nuova umanità 233 73


scripta manent
Le “madri fondatrici”

È una radice comune, ricevuta per trasmissione, non inventata, non


dovuta al nostro sforzo. Qualcosa di completamente ricevuto, ma non per
aggiunta, bensì perché costituisce il nostro più vero essere. Questo ele-
mento consustanziale, essenza della nostra stessa vita che non ci appar-
tiene, è irrinunciabile. Non sappiamo in che cosa consista quel quid che ci
apparenta con tutto ciò che è europeo e che in questo istante ha più vigore
di qualsiasi tratto nazionale, particolare o individuale. Quell’elemento che
ci fa sentire l’Europa come una grande unità nella quale siamo compresi
integralmente. […]
Ma tentando di trovare l’essenza di quella che chiamiamo Europa, di
ciò a cui mai e poi mai accetteremo di rinunciare […], cercheremo anche
il principio della sua possibile resurrezione. In una parola, e detto con una
certa audacia della quale solo l’amore ci dispensa: l’Europa non è morta,
l’Europa non può morire del tutto: essa agonizza. Perché l’Europa è forse
l’unica cosa – nella storia – che non può morire del tutto, l’unica cosa che
può resuscitare. Questo principio di resurrezione sarà anche quello della
sua vita e della sua transitoria morte. […]
Dalla sua speranza di resurrezione qui sulla terra, è germogliata l’esi-
genza rivoluzionaria di un mondo, di una città ideale sempre là all’orizzon-
te. E la sua ansia storica, il volere sostantivare i suoi sogni, il credere in essi
in qualche modo. Per questa ragione la storia è più storia in Europa che
altrove, per questa importanza definitiva dell’orizzonte, per la credenza nei
propri sogni che corrisponde all’aspirazione di uscire da sé [...]. Lo sforzo
dell’uomo europeo è stato l’instancabile tensione di protendersi verso un
mondo, una città sempre all’orizzonte, irraggiungibile. Il paesaggio euro-
peo è puro orizzonte. (M. Zambrano, L’agonia dell’Europa, Marsilio, Venezia
1999 [Buenos Aires 1945], pp. 39, 42, 48, 89-90).

hannah arendt (1906-1975)

Le guerre civili scoppiate nel periodo fra i due conflitti mondiali furono
più sanguinose e crudeli che in passato; e diedero luogo a migrazioni di
gruppi che a differenza dei loro più fortunati predecessori, i profughi delle

74 nu 233
a cura di pasquale ferrara

guerre religiose, non furono accolti e assimilati in nessun Paese. Una volta
lasciata la patria d’origine essi rimasero senza patria, una volta lasciato il
loro stato furono condannati all’apolidicità. Privati dei diritti umani garanti-
ti dalla cittadinanza, si trovarono ad essere senza alcun diritto, la schiuma
della terra. A niente di quanto avvenne dopo la Prima guerra mondiale si
poté porre rimedio; e, per quanto prevista, nessuna sciagura, neppure lo
scoppio di un secondo conflitto mondiale, poté essere impedita. Ogni av-
venimento ebbe la definitività di un giudizio universale, un giudizio che ap-
pariva come l’espressione di una stupida irreparabile fatalità. […] C’erano
state delle minoranze anche in passato, ma la minoranza come istituzione
permanente, il riconoscimento che milioni di persone vivevano fuori della
normale protezione giuridica e avevano bisogno per i loro diritti elemen-
tari di un’ulteriore garanzia da un organismo esterno, la presunzione che
questo stato di cose non fosse temporaneo e occorressero dei trattati per
stabilire un modus vivendi durevole, tutto ciò era qualcosa di nuovo nella
storia europea almeno su tale scala. I trattati sulle minoranze dicevano a
chiare lettere quello che fino ad allora era stato implicito nel sistema de-
gli Stati nazionali, cioè che soltanto l’appartenenza alla nazione dominante
dava veramente diritto alla cittadinanza e alla protezione giuridica, che i
gruppi allogeni dovevano accontentarsi delle leggi eccezionali finché non
erano completamente assimilati e non avevano fatto dimenticare la loro
origine etnica. […] Nessun paradosso della politica contemporanea è più
pervaso di amara ironia del divario fra gli sforzi di sinceri idealisti, che in-
sistono tenacemente a considerare “inalienabili” diritti umani in realtà go-
duti soltanto dai cittadini dei Paesi più prosperi e civili, e la situazione de-
gli individui privi di diritti, che è costantemente peggiorata, sino a fare del
campo d’internamento (prima della Seconda guerra mondiale l’eccezione
piuttosto che la regola per gli apolidi) la soluzione corrente del problema
della residenza delle displaced persons. Persino la terminologia è peggiora-
ta. Il termine “apolide” riconosceva, se non altro, che tali individui avevano
perso la protezione del loro governo e avevano bisogno dell’intervento di
accordi internazionali per la tutela del loro status giuridico. II termine post-
bellico displaced persons fu inventato durante la guerra con l’esplicito inten-
to di liquidare una volta per sempre l’apolidicità ignorandone l’esistenza. Il

nuova umanità 233 75


scripta manent
Le “madri fondatrici”

mancato riconoscimento dell’apolidicità significa in ogni caso il rimpatrio,


cioè il rinvio a un Paese d’origine che si rifiuta di accettare il rimpatriato
come cittadino o, al contrario, lo vuole urgentemente di ritorno per punirlo.
[…] II primo grave danno derivante alla compagine dello Stato nazionale
dall’arrivo di centinaia di migliaia di apolidi fu il venir meno del diritto di asi-
lo, l’unico diritto che avesse sempre campeggiato come simbolo dei diritti
umani nella sfera delle relazioni internazionali. La sua lunga veneranda sto-
ria risaliva agli inizi della vita politica organizzata. Fin dai tempi antichi esso
aveva impedito, per il fuggiasco e per il Paese ospitante, il verificarsi di casi
di persone costrette a diventare fuorilegge da circostanze estranee alla
loro volontà. Era l’unico residuo moderno del principio medievale secondo
cui «quidquid est in territorio est de territorio», perché in tutti gli altri campi lo
Stato tendeva a proteggere i suoi cittadini anche oltre le frontiere e provve-
deva, mediante trattati di reciprocità, a mantenerli soggetti alle sue leggi.
Benché in singoli casi sopravvisse alle due guerre mondiali, il diritto di asilo
era ormai considerato un anacronismo, in conflitto coi diritti internazionali
dello Stato. […] L’identificazione del diritto con l’utile – per l’individuo, la
famiglia, il popolo o il maggior numero di persone – diventa inevitabile una
volta svanita l’autorità dei criteri assoluti e trascendenti della religione o
del diritto naturale. La difficoltà non viene meno se la collettività a cui si
riferisce il bene comune comprende l’umanità intera. Perché è perfetta-
mente concepibile, e in pratica politicamente possibile, che un bel giorno
un’umanità altamente organizzata e meccanizzata decida in modo demo-
cratico, cioè per maggioranza, che per il tutto è meglio liquidare certe sue
parti. (H. Arendt, II tramonto dello stato nazionale e la fine dei diritti umani,
in Id., Le origini del totalitarismo, Einaudi, Torino 2004 [1948], pp. 372-419).

simone weil4 (1909-1943)

La nozione di obbligo sovrasta quella di diritto, che è relativa e subor-


dinata. Un diritto non è efficace di per sé, ma solo attraverso l’obbligo cui
esso corrisponde; l’adempimento effettivo di un diritto non proviene da chi
lo possiede, bensì dagli altri uomini che si riconoscono, nei suoi confronti,

76 nu 233
a cura di pasquale ferrara

obbligati a qualcosa. II diritto è efficace allorché viene riconosciuto. L’ob-


bligo, anche se non fosse riconosciuto da nessuno, non perderebbe nulla
della pienezza del suo essere. Un diritto che non è riconosciuto da nessuno
non vale molto. […] La nozione di diritto, essendo di ordine oggettivo, non
è separabile da quelle di esistenza e di realtà. Essa appare quando l’obbligo
entra nel campo dei fatti; di conseguenza essa comprende sempre, in una
certa misura, la considerazione degli stati di fatto e delle situazioni partico-
lari. I diritti appaiono sempre legati a date condizioni. Solo l’obbligo può es-
sere incondizionato. Esso si pone in un campo che è al di sopra di ogni con-
dizione, perché è al di sopra di questo mondo. L’obbligo lega solo gli esseri
umani. Non c’è obbligo per le collettività come tali. Ve ne sono invece per
tutti gli esseri umani che compongono, servono, comandano o rappresen-
tano una collettività, tanto per la parte della loro vita che è legata alla col-
lettività quanto per quella che ne è indipendente. Obblighi identici legano
tutti gli esseri umani, benché essi corrispondano ad atti differenti secondo
le diverse situazioni. Nessun essere umano, quale che sia, in nessuna cir-
costanza, può sottrarvisi senza colpa; eccetto nel caso in cui, due obblighi
reali essendo di fatto incompatibili, un uomo sia costretto ad abbandonar-
ne uno. L’imperfezione di un ordine sociale viene misurata dalla quantità di
situazioni di questo tipo che reca in sé. Ma persino in questi casi c’è colpa se
l’obbligo abbandonato non è soltanto abbandonato di fatto, ma anche ne-
gato. L’oggetto dell’obbligo, nel campo delle cose umane, è sempre l’essere
umano in quanto tale. C’è obbligo verso ogni essere umano, per il solo fatto
che è un essere umano, senza che alcun’altra condizione abbia a interve-
nire; e persino quando non gli si riconoscesse alcun diritto. Quest’obbligo
non si fonda su nessuna situazione di fatto, né sulla giurisprudenza, né sui
costumi, né sulla struttura sociale, né sui rapporti di forza, né sull’eredità
del passato, né sul supposto orientamento della storia. Perché nessuna si-
tuazione di fatto può suscitare un obbligo. Quest’obbligo non si fonda su
alcuna convenzione. Perché tutte le convenzioni sono modificabili secondo
la volontà dei contraenti, invece nessun cambiamento nella volontà degli
uomini può modificare nulla di tale obbligo. Quest’obbligo è eterno. Esso
risponde al destino eterno dell’essere umano. Soltanto l’essere umano ha
un destino eterno. Le collettività umane non ne hanno. Quindi, rispetto a

nuova umanità 233 77


scripta manent
Le “madri fondatrici”

loro, non esistono obblighi diretti che siano eterni. È eterno solo il dovere
verso l’essere umano come tale. Quest’obbligo è incondizionato. Se esso
è fondato su qualcosa, questa qualcosa non appartiene al nostro mondo.
Nel nostro mondo, non è fondato su nulla. È questo l’unico obbligo relativo
alle cose umane che non sia sottomesso a condizione alcuna. Quest’obbli-
go non ha un fondamento, bensì una verifica nell’accordo della coscienza
universale. Esso è espresso da alcuni dei più antichi testi che ci siano stati
conservati. Viene riconosciuto da tutti e in tutti i casi particolari dove non
è combattuto dagli interessi o dalle passioni. Il progresso si misura su di
esso. II riconoscimento di quest’obbligo è espresso in un modo confuso e
imperfetto, ma più o meno imperfetto secondo i casi, nel cosiddetto diritto
positivo. Nella misura in cui i diritti positivi sono in contraddizione con esso
sono colpiti da illegittimità. (S. Weil, La prima radice, Edizioni di Comunità,
Roma-Ivrea 2017 [1943], pp. 9-12).

chiara lubich (1920-2008)

Sono questi i tempi in cui ogni popolo deve oltrepassare il proprio con-
fine e guardare al di là; è arrivato il momento in cui la patria altrui va amata
come la propria, in cui il nostro occhio ha da acquistare una nuova purezza.
[…] Noi speriamo che il Signore abbia pietà di questo mondo diviso e sban-
dato, di questi popoli rinchiusi nel proprio guscio a contemplare la propria
bellezza – per loro unica – limitata ed insoddisfacente, a tenersi coi denti
stretti i propri tesori – anche quei beni che potrebbero servire ad altri po-
poli presso cui si muore di fame – e faccia crollare le barriere e correre
con flusso ininterrotto la carità tra terra e terra, torrente di beni spirituali e
materiali. (Dal Discorso pronunciato nell’estate 1959, nel paese dolomitico
di Fiera di Primiero; ora in M. Vandeleene [ed.], Chiara Lubich. La dottrina
spirituale, Mondadori, Milano 2001, pp. 277-279).

La fraternità illumina la crescente coscienza di essere europei in un’Eu-


ropa che – per storia e cultura – va dall’Atlantico agli Urali. Consolida la
coscienza dell’importanza degli organismi internazionali e di tutti quei pro-

78 nu 233
a cura di pasquale ferrara

cessi che tendono a superare le barriere e realizzano importanti tappe ver-


so l’unità della famiglia umana. La fraternità è un impegno che favorisce lo
sviluppo autenticamente umano del Paese senza isolare nell’incertezza del
futuro le categorie più deboli, senza escluderne altre dal benessere, senza
creare nuove povertà; salvaguarda i diritti della cittadinanza e l’accesso
alla cittadinanza stessa, aprendo una speranza a quanti cercano la possi-
bilità di una vita degna nel nostro Paese, il quale può mostrare la propria
grandezza nell’offrirsi come patria per chi l’ha perduta. (C. Lubich, Per una
politica di comunione, in «Nuova Umanità», 134 [2001/2], pp. 211-222).

La fraternità fa emergere i valori autentici di ciascuno e ricostruisce


l’insieme del disegno politico di una nazione. E l’amore per la propria pa-
tria fa comprendere quello che gli altri hanno per la loro, nella quale, pure,
esiste un disegno d’amore. Così colui che, rispondendo alla propria voca-
zione politica, inizia a vivere la fraternità, si immette in una dimensione
universale che lo apre all’umanità intera. E tiene conto delle conseguenze
universali delle proprie scelte, si chiede se ciò che sta decidendo, pur ri-
spondendo agli interessi della propria nazione, non porti ad un danno per
le altre: il politico dell’unità vuole amare la patria degli altri come la propria.
Ed è in questa fraternità universale, che crea l’unità salvando le distinzio-
ni, la vocazione dell’Europa. Essa è ancora in cammino. Le guerre, i regimi
totalitari, le ingiustizie, hanno lasciato delle ferite aperte da sanare. Ma
per essere davvero europei, dobbiamo pure riuscire a guardare con mise-
ricordia al passato, riconoscendo come nostra la storia della mia nazione e
quella dell’altro, riconoscendo che ciò che oggi siamo è frutto di una vicen-
da comune, di un destino europeo che chiede di essere preso interamente
e consapevolmente nelle nostre mani. L’unità d’Europa domanda oggi, ai
politici europei, di interpretare i segni del tempo, e di stringere tra loro qua-
si un patto di fraternità, che li impegni a considerarsi membri della patria
europea come di quella nazionale, cercando sempre ciò che unisce e tro-
vando insieme le soluzioni ai problemi che ancora si frappongono all’unità
dell’Europa. Per un fine così alto vale senz’altro la pena di impegnare la
propria esistenza. Signori e signore, auguro a tutti noi che un giorno le nuo-
ve generazioni possano ritrovarsi per una “Festa dell’umanità”, nella quale,

nuova umanità 233 79


scripta manent
Le “madri fondatrici”

celebrando la raggiunta fraternità universale, si pensi con riconoscenza al


lavoro e alle scelte che oggi, loro, sono chiamati a compiere. (C. Lubich, La
fraternità politica nella storia e nel futuro dell’Europa, in «Nuova Umanità»,
142 [2002/4], pp. 407-416).

1
La definizione di “madri fondatrici” è qui utilizzata in modo alquanto diverso
– più in prospettiva storico-filosofica e di fondamenti del pensiero che in chiave di
impegno contemporaneo – rispetto al lavoro di M.P. Di Nonno, Europa. Brevi ritratti
delle Madri Fondatrici, Edizioni di Comunità, Roma-Ivrea 2017.
2
Cf. L. Boella, Europa perduta, Europa da ricostruire. Hannah Arendt, María Zam-
brano, Simone Weil, in L. Passerini - F. Turco (edd.), Donne per l’Europa. Atti delle prime
tre Giornate per Ursula Hirschmann, CIRSDe – Centro Interdisciplinare di Ricerche e
Studi delle Donne, Università degli Studi di Torino, Torino 2011.
3
Cf. R. Esposito, L’origine della politica. Hannah Arendt o Simone Weil?, Donzelli,
Roma 1996.
4
Di grande interesse il convegno accademico Simone Weil. Filosofia e nuove isti-
tuzioni per l’Europa, Scuola Normale Superiore e Università di Pisa, Pisa 11-12 aprile
2018; cf. anche R. Esposito, Se Simone Weil avesse fatto l’Europa, in «La Repubblica»,
9 aprile 2018.

80 nu 233
parole chiave

Condivisione

In quel maggio del 1950 non era affatto scontato


che il processo di creazione della Comunità economi-
ca del carbone e dell’acciaio potesse essere realizzato.
Gennaro Il pomeriggio del 9 maggio, in cui i Consigli dei ministri
Iorio di Francia e poi in Germania annunciarono il progetto
di unificazione, cadeva in un contesto in cui tutto an-
docente di dava contro l’unificazione: la guerra in Corea sareb-
sociologia be cominciata a giugno dello stesso anno, la Guerra
e sociologia fredda era già avviata, con Inghilterra e Francia che
dell’innovazione
all’università occupavano la Germania Ovest. Ma Francia e Germa-
degli studi nia venivano da una lunga storia di guerre sanguinose:
di salerno. quelle del 1870, poi la Prima e la Seconda guerra mon-
membro della diale. A rendere più complicato il quadro vi era il rinfo-
international colarsi del conflitto economico, che fu una delle radici
sociological
association. principali che aveva scatenato le precedenti guerre: la
membro concorrenza tra le industrie dell’acciaio francesi e te-
del centro desche. Per produrre l’acciaio ci voleva molta energia.
interdisciplinare Quindi, chi aveva il carbone poteva anche controllare
di studi la principale industria del tempo della Prima rivoluzio-
“scuola abbà”
e del gruppo ne industriale. Il controllo delle regioni di confine delle
internazionale Saar e della Ruhr, dell’Alsazia e della Lorena erano da
social-one. sempre pietra di inciampo tra i due Paesi. La Germania
nei primi mesi del 1950 aveva già chiesto il permesso
di aumentare la sua produzione da 11 e 14 milioni di
tonnellate di acciaio, mentre le Francia aveva pochi
margini di aumento di produzione. Ad aggravare un
clima di crescente tensione vi era un diffuso clima di
rivincita che animava l’opinione pubblica francese. Il
quadro era complicato dalla richiesta degli Stati Uniti

nuova umanità 233 81


parole chiave
Condivisione

di recuperare le loro truppe dall’Europa e dislocarle sullo scenario di tensio-


ne che si allargava in Corea. Gli americani insistevano presso gli alleati, In-
ghilterra e Francia, affinché consentissero ai tedeschi dell’Ovest di sostituire
con un proprio esercito le truppe americane. Gli americani, infatti, volevano
che il governo di Bonn fosse arruolato nel difendere l’Occidente dalla minac-
cia dell’Unione Sovietica. Ma questa soluzione rappresentava per la Francia
una provocazione e uno smacco all’orgoglio nazionale. Sembra che nel 1950
la Germania potesse diventare di nuovo occasione di un conflitto armato.
Fu in questo contesto di paure e sospetti, ostilità e sfiducia che nacque
l’idea di unirsi in un organo sovranazionale e paritetico tra Francia e Ger-
mania. Ma la proposta non poteva che venire dai francesi. Un protagonista
del progetto Europa, da tutti riconosciuto, fu Jean Monnet. Così scriveva
nel 1963 John F. Kennedy, in occasione del Premio della libertà che gli fu
consegnato a New York:
Caro signor Monnet, durante i secoli, imperatori, re, dittatori han-
no cercato di imporre all’Europa la sua unità con la forza. Chi più e
chi meno, tutti hanno fallito. Ma sotto la sua ispirazione l’Europa,
in meno di vent’anni, ha fatto più progressi verso l’unità di quanti
ne avesse fatto in mille anni. Lei e i suoi collaboratori avete costrui-
to con il cemento e le pietre della ragione, cioè con gli interessi eco-
nomici e politici, l’Europa grazie al solo potere di una idea creativa1 .

Anche dal lato tedesco Monnet è riconosciuto come uno degli artefici
dell’idea della Comunità economica del carbone e dell’acciaio, come ente
sovranazionale a cui cedere sovranità per gestire un problema comune
affinché diventasse risorsa per tutti. Paul Leroy-Beaulieu, direttore gene-
rale degli Affari economici e finanziari presso l’alto commissariato della
Repubblica francese in Germania, ricordando Monnet disse: «C’erano due
ministri con Adenauer. Jean Monnet si avvicina a loro. Il Cancelliere si gira
allora verso di me: “Potete dire al signor Monnet che, quando mi ha propo-
sto il suo progetto, ho ringraziato Dio”»2.
L’ispirazione di Monnet era semplice, costruire una pace duratura con
una mossa: mettere in comune i problemi che erano stati all’origine delle
guerre, ed evitare che diventassero “posta in gioco” tra attori in conflitto.

82 nu 233
gennaro iorio

Possiamo dire, oggi, che lo spirito originario era quello di condividere le


difficoltà nazionali, affidando la soluzione a organismi sovranazionali, con
la conseguenza di aumentare i vantaggi per gli Stati nazionali. Il problema
dell’Europa nel pieno sviluppo della Rivoluzione industriale era il controllo
delle fonti energetiche del carbone e dello sviluppo dell’industria pesante
ad esso legato. Ecco che Monnet propone la semplice idea di mettere il car-
bone e l’acciaio sotto una sovranità comune. Il mondo ha conosciuto que-
sto progetto come “piano Schuman”, come mezzo per la riconciliazione tra
Francia e Germania. Ma la riconciliazione può essere tale solo se è attiva e
propositiva. La Ceca, infatti, aveva come fine la condivisione delle risorse e
degli obiettivi strategici, rinunciando alla concorrenza, all’annessione o alla
distruzione. Mai come in questo caso l’utile e il bene coincidono.
Il 18 aprile 1951 venne firmato il Trattato istituente la Ceca e Monnet fu
il primo a presiedere l’Alta Autorità nel 1967. In un discorso del 1950 enun-
ciò le cinque linee strategiche: «Per la messa in comune delle produzioni
di base e l’istituzione di un‘Alta Autorità nuova, le cui decisioni legheranno
Francia, Germania e gli altri Paesi che vi aderiranno, questa proposta rea-
lizzerà le prime istituzioni concrete di una federazione europea indispensa-
bile alla preservazione della pace»3.
Anche oggi di fronte alle sfide pesanti del nazionalismo di ritorno, del
debito che separa Nord e Sud, della paura dell’immigrazione, dell’incertezza
dei mercati, della persistente diseguaglianza, della diffusa disoccupazione
giovanile, dell’arrancare della democrazia, dell’aggressività della finanza vi è
necessità di ritrovare lo spirito originario. Esso suggerisce di mettere in co-
mune le difficoltà, di condividere le risorse, nella libera consapevolezza di
ogni Stato nazionale, creando organismi democratici sovranazionali. L’Euro-
pa può essere tale solo se riscopre e rinnova la scintilla ispiratrice della con-
divisione di pezzi di sovranità per rispondere a bisogni che gli Stati nazione
non sono più in grado di soddisfare, nel mondo globalizzato.
Quando il progetto della Ceca fu definito a notte fonda, prima dell’ap-
provazione nei consigli dei ministri di Francia e Germania, Monnet con-
fidò a Fontaine, suo fido collaboratore, la consapevolezza drammatica di
muoversi verso territori sconosciuti: «“Abbiamo qualche ora per riposarci
e qualche mese per riuscire. E poi…” – “E poi – continuò a sua volta Fon-

nuova umanità 233 83


parole chiave
Condivisione

taine, sorridendo – incontreremo grandi difficoltà, delle quali ci serviremo


per avanzare di nuovo. Ho capito bene?” – “Proprio così. Hai capito tutto
sull’Europa”, concluse Monnet»4.
Le difficoltà di oggi non sono meno drammatiche di allora. Bisogna agi-
re perché siano occasione di avanzamento del sogno europeo, che rimane
in primis la pace.

1
J. Monnet, Mémoires, Fayard, Paris 1976, p. 360 (traduzione dell'Autore).
2
È. Roussel, Jean Monnet (1888-1979), Fayard, Paris 1996, p. 539 (traduzione
dell'Autore).
3
J. Monnet, Mémoires, cit., p. 353.
4
Ibid., p. 434.

84 nu 233
punti cardinali

Il diritto all’acqua

Ci sono molte zone del continente africano dove le


carestie e la siccità, oltre a causare la morte di milioni
di persone, causano anche dei conflitti per il controllo
Matteo delle risorse.
Sgrulloni Il Corno d’Africa risulta essere la regione più colpita
da questo tipo di calamità, un po’ per le sue caratteri-
laureato in stiche climatiche e geografiche e altrettanto per la sua
giurisprudenza situazione politica. Ad esempio, due Paesi della regione
presso la luiss quali Etiopia ed Eritrea hanno economie basate soprat-
guido carli
di roma con tutto sull’agricoltura di sostentamento e sull’esporta-
specializzazione zione di prodotti come cacao, sesamo, tabacco e caffè.
in diritto La crisi economica e la siccità hanno notevolmente in-
internazionale. fluito su questo tipo di economia, distruggendo interi
esperto in settori produttivi.
diritti umani,
con particolare Un altro Paese, il Ruanda, occupa circa il 90% del-
attenzione per i la sua popolazione nel settore agricolo, per la maggior
contesti africani. parte destinato al consumo interno1. Il Paese, dilaniato
impegnato dal genocidio dei Tutsi2 e da cinquanta anni di conflitti
nel mondo civili, solo in questi anni sta uscendo da una profonda
dell’associazio-
nismo. crisi economica.
Come si nota, alla base dell’economia africana vi
è l’agricoltura, principalmente praticata ancora con
mezzi primitivi e non su scala industriale. Trattasti di
un settore dedito alla sussistenza e in minima parte
all’esportazione; i grandi latifondi riguardano le mate-
rie prime, come cacao e caffè, che vengono esportate
verso l’Europa o il Nord America, ma sono in mano
alle multinazionali del settore o a grandi proprietari
terrieri. I piccoli proprietari terrieri o agricoltori sono,

nuova umanità 233 85


punti cardinali
Il diritto all’acqua

invece, particolarmente soggetti ai cambiamenti climatici e soprattutto


alla carenza di acqua.
Il diritto all’acqua può rientrare tra i nuovi diritti umani che lentamente
trovano affermazione a livello internazionale: può essere visto come un’e-
stensione del diritto alla vita sancito nella Dichiarazione universale dei diritti
umani. Come ha dichiarato l’ex segretario delle Nazioni Unite Kofi Annan, in
occasione della giornata mondiale dell’acqua nel 2001, «l’accesso all’acqua
potabile è un bisogno umano fondamentale ed inoltre un diritto umano fon-
damentale. L’acqua contaminata mette a repentaglio sia la salute fisica che
quella sociale di tutte le persone. È un affronto alla dignità umana»3.
Questo nuovo diritto fondamentale inizia ad essere riconosciuto a livel-
lo internazionale grazie all’attività delle Nazioni Unite che più volte si sono
pronunciate in suo favore. La Risoluzione 10967 dell’Assemblea generale
del 28 luglio 2010 riguarda «L’accesso all’acqua pulita, l’igiene come di-
ritto umano4». Nella Risoluzione si afferma che «la mancanza di accesso
all’acqua ha ucciso più bambini ogni anno rispetto all’Aids, alla malaria e al
morbillo messi insieme, mentre la mancanza di servizi igienico-sanitari ha
colpito 2,6 miliardi di persone, ovvero il 40% della popolazione mondiale.
L’imminente summit per esaminare i progressi sugli Obiettivi di sviluppo
del millennio deve fornire un chiaro segnale del fatto che acqua e servizi
igienico-sanitari erano diritti umani».
La Risoluzione sostiene che l’acqua è importante non solo per gli usi
personali ma anche per fini domestici e igienici: «La sicurezza e la pulizia
dell’acqua potabile e dei servizi igienico-sanitari sono un diritto umano es-
senziale per il pieno godimento della vita e di tutti gli altri diritti umani». Lo
stesso principio è stato anche affermato dall’Ufficio dell’Alto Commissa-
riato delle Nazioni Unite per i diritti umani nel 2007:

È giunto il momento di considerare l’accesso all’acqua potabile e


ai servizi igienico-sanitari come un diritto umano, definito come
il diritto ad un accesso equo e non discriminatorio ad una quan-
tità sufficiente di acqua potabile sicura per usi personali e dome-
stici: consumo, igiene personale, lavaggio di vestiti, preparazione
del cibo e igiene personale e domestica, per sostenere la vita e la
salute. Gli Stati dovrebbero dare la priorità a questi usi personali

86 nu 233
matteo sgrulloni

e domestici rispetto ad altri usi dell’acqua e dovrebbero adottare


misure per garantire che questo apporto sufficiente sia di buona
qualità, accessibile a tutti e possa essere fruibile ad una distanza
ragionevole dalla casa di una persona.

La Risoluzione 10967 non è vincolante per gli Stati, ma li invita ad ap-


prontare le misure idonee per garantire ai loro cittadini l’accesso all’acqua
potabile. Da ciò si evince che solo nel 2010 si è raggiunta l’affermazione di
un diritto all’acqua potabile.
Nel 1995 Ismail Serageldin affermò: «Se le guerre del Ventesimo seco-
lo sono state combattute per il petrolio, quelle del Ventunesimo avranno
come oggetto del contendere l’acqua»5.
Questa situazione drammatica, profetizzata dall’ex vicepresidente del-
la Banca mondiale, si sta avverando soprattutto in quelle zone sottosvi-
luppate del mondo dove la scarsità di acqua è acuita dall’aumento della
popolazione. L’Africa è doppiamente colpita sia dalla crescita demografica,
sia dalla scarsità di acqua e ciò comporta una riduzione della quantità pro
capite di acqua potabile disponibile.
Nel 1998 iniziò un processo di privatizzazione dell’acqua sponsorizza-
to dalla Banca mondiale, dal Fondo monetario internazionale (Fmi) e dalle
Nazioni Unite: dopo aver affidato la gestione dell’acqua pubblica a mul-
tinazionali operanti nei Paesi occidentali, le politiche di privatizzazione si
sono spostate nei Paesi in via di sviluppo affinché questi vendessero la loro
acqua per compensare l’enorme debito contratto. Nei programmi di aggiu-
stamento strutturale, che hanno creato più danni che benefici ai Paesi afri-
cani, il Fmi aveva previsto la vendita dell’acqua a società multinazionali che
avevano il compito di erogare il servizio. Come avvenuto in Occidente, la
privatizzazione dell’acqua ha comportato un aumento dei costi di gestione
che non è sostenibile per le popolazioni africane. «In Ghana, dal momento
in cui è avvenuta la privatizzazione, il costo dell’acqua è raddoppiato, tanto
che le famiglie così fortunate da avere l’acqua corrente devono pagare un
quarto del loro reddito per questo servizio e un secchio d’acqua può arriva-
re a costare fino ad un decimo dei guadagni giornalieri di molte persone»6.
La situazione in Ghana sta cambiando: da poco la gestione dell’acqua è

nuova umanità 233 87


punti cardinali
Il diritto all’acqua

tornata pubblica poiché si è visto che le politiche neoliberiste su un bene


primario come l’acqua potabile non facevano altro che acuire le distanze
sociali tra chi poteva spendere per averla e chi invece era costretto a prele-
varla dai pozzi o dai fiumi per utilizzarla anche a fini alimentari.
Connessi con il diritto all’acqua vi sono anche altri diritti che riguardano
le donne in primis o i bambini, i quali sono “incaricati” di percorrere decine
di chilometri ogni giorno per andare dal loro villaggio al pozzo d’acqua più
vicino: spesso quest’acqua non è potabile né pulita. Poi bisogna considera-
re le malattie che si diffondono per la mancanza di acqua o perché quella
disponibile non è potabile o adatta ad altri scopi. Il diritto alla salute, il di-
ritto alle cure mediche, il diritto a una vita dignitosa e il diritto dei bambini
a usufruire dell’istruzione sono tutti diritti che vengono meno se non si ga-
rantisce un ampio accesso all’acqua potabile per le fasce più povere delle
popolazioni africane.
L’Ecowas7, con la decisione 12/12/2000, ha adottato il Piano di azione
subregionale per la gestione integrata delle risorse idriche. Nella decisione si
prendono come spunto vari articoli del Trattato Ecowas (articoli 6, 7, 8, 9),
la Dichiarazione di Rio de Janeiro del 1992 e in particolare l’Agenda 218.
I membri Ecowas sostengono «l’importanza dell’acqua per ogni attività
umana e forma di vita» alla luce «di un aumento della domanda di acqua».
Con la decisione in questione l’organizzazione invita gli Stati a cooperare
nella gestione delle politiche idriche, nonché cerca di offrire un sostegno
per la realizzazione delle stesse. A causa del numero di fiumi transfronta-
lieri presenti nella regione (Niger, Senegal, Volta), la Commissione Ecowas
ha inoltre sviluppato uno specifico Centro per le risorse idriche per assicu-
rare il coordinamento delle politiche settoriali regionali e nazionali in ma-
teria di sfruttamento, corretto uso e salvaguardia dell’acqua. Si istituisce
anche una Commissione ministeriale di controllo la quale ha il compito di
«definire le linee guida e monitorare ed implementare il Piano di azione
subregionale per la gestione integrata delle risorse idriche»9.
All’interno dell’organizzazione si fa riferimento anche allo sviluppo eco-
nomico abbinato allo sfruttamento dell’acqua. Molti Paesi in via di svilup-
po, quali Brasile, Cina e India, hanno posto alla base del loro sviluppo eco-
nomico la produzione di energia idroelettrica, creando bacini idrici della

88 nu 233
matteo sgrulloni

capacità di miliardi di metri cubi, attraverso i quali produrre energia pulita


e a basso costo. I problemi principali che ne derivano riguardano l’impat-
to ambientale che una tale opera genera nella zone dove si costruisce e il
fatto che va a ledere altri tipi di diritti di tutte quelle popolazioni che sono
costrette ad abbandonare le loro terre per fare spazio ai laghi artificiali.
Nel caso dei Paesi dell’Africa occidentale vi sono venticinque fiumi che si
snodano per più di due Paesi: costruire un bacino artificiale a monte impe-
direbbe allo Stato a valle di usufruire delle acque del fiume, innescando una
serie di processi sia ambientali che economici dannosi.
Il livello di sfruttamento delle risorse idriche su scala regionale è stato
considerato ancora molto basso. Diversi Paesi della regione stavano pen-
sando di realizzare grandi dighe sui bacini idrografici condivisi, con il fine
prioritario di produrre energia e, secondariamente, per l’irrigazione dei
campi destinati alla loro produzione agricola.
All’interno dell’Ecowas sono state istituite anche delle commissioni che
riguardano i singoli bacini idrici del Niger, del Volta, del fiume Senegal e che
hanno lo scopo di monitorare la creazione di impianti idroelettrici sui fiumi
di loro competenza. Il processo di cui si parla non è stato ancora portato a
termine dall’organizzazione, certo è che la regione occidentale del conti-
nente non soffre la siccità come altre zone del nord oppure del Corno d’A-
frica: tutto ciò facilita le politiche di miglioramento delle condizioni di vita e
di sviluppo portate avanti dall’Ecowas poiché non si sono ancora verificati
eventi siccitosi come in altre zone del continente, con tutte le conseguenze
che ne derivano.

i meccanismi a tutela delle risorse idriche


nella regione dell’africa meridionale

Anche la Sadc10 si è impegnata nel settore delle risorse idriche. La di-


sponibilità di acqua nell’Africa meridionale è variabile nel tempo e nello
spazio: alcune zone della regione stanno sperimentando la scarsità di ac-
qua mentre in altre vi è in abbondanza11. La mancanza d’acqua è dunque
una realtà preoccupante anche per questa regione del continente. La cre-

nuova umanità 233 89


punti cardinali
Il diritto all’acqua

scita della popolazione e le esigenze associate per l’uso domestico, agrico-


lo e industriale stanno aumentando lo sfruttamento delle risorse idriche.
L’uso dell’acqua negli Stati membri della Sadc è molto variabile e nella re-
gione circa 200 milioni di persone non hanno accesso all’acqua potabile e
ai servizi igienico-sanitari adeguati, sono più esposti a contrarre malattie
derivanti dalla disidratazione o dall’assunzione di acqua non depurata12.
Per monitorare la situazione è stata creata la Sadc Water Division, la quale
ha anche il compito di realizzare gli obiettivi prefissati nel «Piano d’azione
strategico regionale sulla gestione e lo sviluppo delle risorse idriche»13, che
riguarda le azioni da eseguire nell’arco temporale tra il 2016 ed il 2020.
L’Action Plan è uno strumento che servirà a guidare gli Stati membri nell’in-
traprendere le giuste misure per raggiungere un aumento nello sviluppo
del settore idrico nel periodo in questione. Così come avviene nell’Africa
occidentale, anche negli Stati membri la maggior parte dei fiumi sono tran-
sfrontalieri e ciò implica un coinvolgimento generale nello sviluppo di poli-
tiche economiche basate sullo sfruttamento delle risorse idriche.
Per riequilibrare la distribuzione delle risorse idriche all’interno della
regione, sono state predisposte delle politiche di collaborazione tra gli Stati
membri volte a migliorare le condizioni di vita della popolazione. La scarsi-
tà di acqua potabile in alcune zone comporta un netto peggioramento della
qualità della vita, l’acuirsi di alcune malattie come l’Aids, la possibilità che
si verifichino ingiustizie e discriminazioni a danno di coloro che non posso-
no accedere alle risorse di acqua potabile14.
Nel corso del tempo sono state ideate alcune soluzioni in materia di
sfruttamento delle acque in connessione anche con altri settori collegati
(ad esempio energia, agricoltura, salute). Tali criteri non sono stati svilup-
pati in modo coordinato e, in alcuni casi, ci sono dei vuoti o delle sovrappo-
sizioni. Vi è la necessità di consolidare le disposizioni politiche sull’acqua
in un unico documento.
Gli Stati membri sono impegnati nel conseguimento degli Obiettivi di
sviluppo del millennio15, tra i quali rientrano gli impegni per ridurre la per-
centuale della popolazione che non ha accesso all’acqua potabile né agli
impianti igienici, lo sradicamento della povertà e della fame, il migliora-
mento delle condizioni di vita dei malati.

90 nu 233
matteo sgrulloni

Il diritto all’acqua è visto da un’angolazione prettamente economica,


legata allo sviluppo delle economie regionali: «L’acqua nella regione Sadc
è potenzialmente il motore dello sviluppo economico e sociale regiona-
le», oppure «L’acqua deve essere considerata un bene economico, con
il quale si sostengono l’integrazione e lo sviluppo economico regionale
intersettoriale; deve essere conservata, valorizzata e gestita per fornire
benefici economici»16 .
L’acqua è una risorsa che viene utilizzata in diversi ambiti industriali
e in generale legati allo sviluppo economico. Tuttavia, essa è una risorsa
limitata, avente anche un valore monetario e per questo non può essere
sprecata; anzi va usata nel modo migliore per raggiungere gli obiettivi
dell’organizzazione.
In alcuni Stati della regione l’accesso alla fornitura di acqua potabile
nelle zone rurali copre a malapena il 50% della popolazione, mentre la per-
centuale aumenta un po’ di più nelle grandi città. Questo comporta una se-
rie di implicazioni per la salute e per le condizioni di vita di gran parte della
popolazione. Proprio uno degli Obiettivi di sviluppo del millennio imponeva
agli Stati di ridurre del 50% entro il 2015 la percentuale di popolazione che
non ha accesso all’acqua potabile17 e gli Stati della regione, in quanto anche
membri dell’Onu, si sono impegnati molto in tal senso.

l’intervento eac per tutelare l’accesso all’acqua potabile

All’interno dell’organizzazione regionale che riguarda gli Stati dell’Afri-


ca orientale (Eac)18 sono state create due istituzioni che hanno lo scopo
primario di tutelare i rispettivi bacini idrici di competenza: l’Organizzazio-
ne per la pesca nel lago Vittoria, istituita nel 1994 tra Kenya, Uganda e
Tanzania con l’intento di coordinare la gestione delle risorse ittiche del lago
Vittoria, e la Commissione di bacino del lago Vittoria, istituita nel 2001 per
incrementare lo sviluppo nella zona.
Il vicepresidente del Kenya, Stephen Kalonzo Musyoka, nel corso della
Conferenza per la scienza e la salute nell’Africa orientale, tenutasi ad Aru-
sha dal 25 marzo 2009, ha dichiarato che i governi degli Stati partner de-

nuova umanità 233 91


punti cardinali
Il diritto all’acqua

vono garantire il diritto alla terra, all’acqua, all’energia e al sostentamento


delle popolazioni più povere19.
Al di là di queste istituzioni prettamente di carattere economico, l’Eac
riconosce un diritto all’acqua potabile nella bozza della Carta dei dirit-
ti per la comunità dell’Africa orientale del novembre 2009. All’articolo
30 si garantisce il diritto all’acqua potabile a tutti i rifugiati che entrano
in uno Stato della comunità, mentre non ci sono altri articoli dedicati al
diritto all’acqua in senso più ampio, inteso come basilare per la tutela di
altri bisogni primari.
Per trovare altri riferimenti al diritto all’acqua occorre cercare nella Carta
sociale per la comunità dell’Africa orientale. Anche questo strumento non è
definitivo ma solo una bozza di Carta dei diritti predisposta il 1° agosto 2011.
In essa troviamo un solo riferimento all’acqua, precisamente nell’articolo 31,
nel quale viene fatta rientrare tra i diritti legati allo sviluppo20.
Anche in ambito Eac questo diritto non ha trovato larga attuazione.
Come è emerso da questo paragrafo le organizzazioni sub-regionali afri-
cane stanno ritardando il riconoscimento dell’accesso all’acqua all’interno
dei loro strumenti legislativi o pattizi, mentre si impegnano per rispettare
gli Obiettivi di sviluppo del millennio che già prevedono tale nuovo diritto.
La siccità del 2011 ha causato milioni di morti nell’Africa orientale, ma
nel 2017 la situazione si è rivelata molto più critica. Ad aggravare il conte-
sto sta contribuendo anche la crisi umanitaria scatenata dagli scontri in-
terni al Sud Sudan, a causa dei quali milioni di profughi si sono riversati nei
Paesi confinanti, con un consistente aggravio della crisi anche su di essi.
In molte regioni del Corno d’Africa le precipitazioni sono sempre più scar-
se, la popolazione aumenta e la siccità compromette i raccolti provocando
così carestie che colpiscono in massima parte donne e neonati. È facile no-
tare come la conseguenza di questi eventi siccitosi sempre più frequenti,
accompagnati da una gestione idrica nazionale quasi assente, generi altri
fenomeni non meno gravi: scontri tra tribù per il controllo dei pozzi, feno-
meni migratori, in primis verso le grandi città e poi verso i Paesi confinanti
o verso l’Europa.
In Etiopia ed Eritrea il 42% della popolazione non ha accesso all’acqua
potabile.

92 nu 233
matteo sgrulloni

Anche l’Egitto, percorso in tutta la sua lunghezza dal Nilo, ha visto mu-
tare nel corso degli ultimi anni la portata del fiume più lungo del mondo,
anche a causa della costruzione di bacini idroelettrici a monte. Il limo, che
un tempo rendeva le terre allagate dalle piene le zone più fertili dell’Afri-
ca settentrionale, adesso non riesce più a fecondare le sponde egiziane a
causa della portata ridotta del corso d’acqua; il flusso idrico regimentato
dalle dighe costruite a monte ha impedito che si verificassero le piene che
consentivano al fertile terriccio di depositarsi. Per un Paese di più di 80 mi-
lioni di abitanti, e che da millenni vive grazie al fiume, non si tratta di eventi
di poco conto. Considerato anche che poco lontano dal corso d’acqua il
territorio egiziano è pressoché totalmente deserto, notiamo come la por-
tata costante del fiume sia fondamentale per il sostentamento di milioni di
persone che ancora vivono di agricoltura, ma anche per una città come Il
Cairo, situata nel nord del Paese poco lontano dal punto in cui il Nilo si divi-
de a formare il suo delta. Questa città sovraffollata in cui vivono 10 milioni
di abitanti, rischia in futuro di vedere diminuire il flusso idrico del suo fiume
se si continueranno a costruire dighe a monte.
Il punto nodale della questione riguarda la coesistenza di due diritti:
il diritto all’acqua potabile e il diritto allo sviluppo, diritti che non sempre
riescono a crescere in modo omogeneo. I nuovi bacini idroelettrici costruiti
negli ultimi anni hanno tenuto conto soprattutto del diritto allo sviluppo
economico di alcune tra le nazioni più povere del mondo, ma sono stati
completamente disattesi i diritti basilari degli abitanti delle zone inonda-
te e di quelle a valle delle dighe che si sono ritrovati senza acqua o con il
flusso regolato a monte e non più costante. Un esempio in tal senso è la
Gerd (Diga del grande rinascimento etiope), un enorme sbarramento di
1.800 metri lungo il corso del Nilo Blu che dovrebbe permettere all’Etiopia
di diventare uno dei più importanti produttori di energia elettrica della re-
gione tanto da consentirle di venderne anche ai Paesi confinanti. Di fatto,
le sponde del nuovo bacino artificiale sarebbero fertili e potenzialmente
sfruttabili non solo per l’agricoltura di sussistenza ma addirittura inten-
siva. Però questo nuovo bacino bloccherebbe il flusso delle acque verso
valle e quindi verso il Sudan e l’Egitto21, che dal Nilo Blu ottiene l’85% delle
sue acque. È possibile conciliare, oltre ai diritti umani essenziali all’interno

nuova umanità 233 93


punti cardinali
Il diritto all’acqua

dei confini di uno Stato, anche il rispetto dei medesimi diritti in uno Stato
confinante? Il diritto internazionale stabilisce che uno Stato che si trovi a
monte non possa danneggiare con le sue opere idroelettriche lo Stato o gli
Stati che si trovino più a valle, dal momento che tutti i Paesi attraversati
dal medesimo corso d’acqua devono poter usufruire dei vantaggi che ne
derivano, senza limitazioni dovute alle altrui politiche. L’Etiopia è libera di
costruire le sue dighe ma nel rispetto anche dei diritti che l’Egitto vanta
sulle medesime acque. La Gerd non impedirà al Nilo di continuare a scor-
rere verso il mare dal momento che le acque verranno usate solo in minima
parte per l’agricoltura, pertanto queste potranno essere utilizzate di nuovo
per la diga di Assuan, l’ultimo grande sbarramento lungo il corso del fiume.
In Etiopia vivono 90 milioni di persone, la cui maggior parte non ha ac-
cesso all’energia elettrica; considerato l’alto tasso di crescita della popo-
lazione, che si stima arriverà a 187 milioni nel 2050, si è reso necessario
costruire una serie di bacini che permettano un miglioramento delle condi-
zioni di vita di questa enorme massa di persone.
Come si è visto in precedenza, le varie organizzazioni regionali africane
hanno agito per sancire un diritto umano all’acqua, ma la situazione non
è omogenea in tutto il continente. Ciò è dovuto principalmente alle con-
dizioni climatiche: nelle zone delle Repubblica democratica del Congo, il
polmone verde del continente, cadono in media 4 mila mm di acqua in un
anno mentre in alcune regioni del Corno d’Africa o della Namibia non pio-
ve da anni. In Somalia nel 2011 la siccità e la conseguente carestia hanno
ucciso almeno 250 mila persone: questo è un caso limite ma che rischia di
ripetersi nel futuro prossimo poiché almeno 14.5 milioni di persone nella
regione orientale del continente non hanno accesso all’acqua e rischiano
di soffrire una nuova carestia. La Somalia è un failed State22, cioè un Paese
dove manca un governo riconosciuto che sia in grado di governare ed è uno
dei più colpiti da questo tipo di eventi proprio perché manca una politica
atta a evitarli, a porre in essere le dovute misure per far sì che, in un territo-
rio difficile dal punto di vista climatico, non si ripetano eventi che mettano
a rischio, nel giro di pochi anni, la vita di milioni di persone.
La zona tropicale del continente è quella che soffre di più la siccità e
quella che pagherà il prezzo più caro a causa del cambiamento climati-

94 nu 233
matteo sgrulloni

co. L’Africa è infatti il continente che inquina meno ma che subisce i danni
maggiori causati dall’aumento dei livelli di CO2 nell’atmosfera, che si mani-
festano con l’innalzamento delle temperature, la desertificazione, la dimi-
nuzione delle precipitazioni. Le attività antropiche sul territorio, sommate
al cambiamento climatico, prospettano una sfida non semplice da vincere
per un continente vasto, che rischia di soffrire un aumento demografico in-
sostenibile entro questo secolo e soprattutto governato da classi politiche
e dirigenti legate più agli interessi personali che a quelli collettivi.
Riconoscere il diritto all’acqua potabile come diritto fondamentale, al
momento, non è ancora sufficiente in Africa. I governi dei vari Paesi do-
vrebbero anteporre l’interesse della collettività a quello delle multinazio-
nali che ancora oggi, nel XXI secolo, portano avanti una forma di neocolo-
nialismo a danno dell’ambiente africano. Enormi masse d’acqua vengono
sprecate per le miniere di oro, diamanti, nichel, uranio; interi ecosistemi
fluviali sono compromessi dai pozzi petroliferi e dalle raffinerie come av-
viene nel delta del Niger. Gli scarichi delle immense metropoli, nelle quali
si rifugia sempre più spesso una grande fetta della popolazione in fuga
dalle zone rurali, rendono insalubri le acque generando altri danni am-
bientali, alla flora e alla fauna ittica, poiché non sono stati costruiti impian-
ti di depurazione. Alcuni quartieri di Lagos, in Nigeria, sono stati costruiti
all’interno di una palude. Questi slum sono abitati dalla fascia più povera
della popolazione che vive in condizioni precarie, senza acqua potabile,
eppure al di là della laguna si sviluppa la city di Lagos con lo skyline da
grande città nordamericana e non africana. I villaggi delle zone più remote
o semplicemente delle zone rurali non sono serviti da acquedotti, le abi-
tazioni, nella maggior parte dei casi, non dispongono di acqua potabile in
casa poiché mancano le infrastrutture.
A causa della insolita estate del 2017, particolarmente afosa e siccitosa
e che abbiamo vissuto in tutta Italia, abbiamo avuto anche noi un assaggio
di quello che potrebbe capitare in futuro al nostro Paese, ma soprattutto
di quello che vivono miliardi di persone nelle zone dove questi fenomeni
non sono un’eccezione. L’agricoltura italiana ha subìto danni per miliardi di
euro, le risorse idriche sono state esaurite quasi ovunque, i bacini idroelet-
trici sono stati sfruttati al massimo per la grande richiesta di energia, ma

nuova umanità 233 95


punti cardinali
Il diritto all’acqua

si sono svuotati in modo anomalo poiché le precipitazioni, deboli o assen-


ti, hanno interrotto il ciclo dell’acqua e non li hanno alimentati. I ghiacciai
sulle Alpi si sono ritirati molto più velocemente che nelle estati precedenti,
anche a causa dell’inverno mite e con poche precipitazioni che non ha per-
messo di ripristinare un manto nevoso e glaciale di sicurezza per affrontare
i mesi più caldi. Il livello del lago di Bracciano è sceso di quasi due metri
per colpa di diversi fattori, soprattutto per la captazione di acqua potabi-
le da destinare alla città di Roma. Queste situazioni, per noi eccezionali e
che possono essere superate dalle prime piogge autunnali, in Africa sono
la regola. Se non piove regolarmente anche le stagioni delle piogge sono
meno lunghe o meno abbondanti e si rischiano una serie di eventi a catena
che conducono sino alla carestia in corso in questo momento nelle zone
orientali del continente. Non si può coltivare, il bestiame muore di fame, si
sviluppano malattie legate alla mancanza sia di igiene, sia di acqua potabi-
le, masse enormi di persone sono costrette a emigrare andando di conse-
guenza a stravolgere gli equilibri in altre zone che potrebbero ben presto
vivere le medesime situazioni.
In Occidente dobbiamo imparare che l’acqua è un bene preziosissimo,
dato che diamo per scontato che sia un diritto acquisito da decenni mentre
lo è solo dal 2010 a livello mondiale. Possiamo aprire comodamente i nostri
rubinetti e ottenere una delle acque migliori al mondo, ma dobbiamo an-
che imparare a non sprecarla. Le battaglie civili, sperando che non si arrivi
a vere e proprie guerre per il controllo delle risorse idriche, si stanno già
combattendo a colpi di referendum, raccolta firme, petizioni, per bloccare
il business della privatizzazione dell’acqua. L’ingresso delle multinazionali
in questo settore genera aumenti delle tariffe ingiustificati anche nei Paesi
occidentali e si torna a dibattere se, effettivamente, un bene primario come
l’acqua debba essere fruibile in modo gratuito da tutti o debba essere sog-
getto alle leggi di mercato. Abbiamo visto che le privatizzazioni in Africa
non hanno fatto altro che acuire la crisi e non hanno giovato ai cittadini.
Questo diritto è ancora un miraggio per miliardi di persone che rischia-
no la vita ogni giorno, a causa della siccità, di guerre e di conflitti scatenati
per il controllo delle risorse idriche o semplicemente perché l’acqua non è
potabile. Un primo passo, il riconoscimento del diritto all’acqua a livello in-

96 nu 233
matteo sgrulloni

ternazionale, è stato effettuato, ma bisogna ancora fare molto per permet-


tere all’intera popolazione mondiale di goderne appieno. Molto dipenderà
dagli Stati nazionali e altrettanto dalle organizzazioni internazionali. Ma si
sa che i bilanci dei primi e delle seconde non sempre sono così cospicui da
permettere cambi di rotta veloci: occorreranno anni prima che si possano
vedere dei miglioramenti. Ma nel frattempo milioni di persone moriranno
o rischieranno di morire.

1
Cf. L’Italia con l’Onu contro la fame nel mondo, a cura del Ministero degli Affari
Esteri, Rapporto 2009.
2
Dal 6 aprile alla metà di luglio 1994 circa un milione di persone, principal-
mente di etnia Tutsi, fu massacrato dai componenti dell’etnia Hutu. La popolazio-
ne del Ruanda era suddivisa in tre etnie principali: Hutu, Tutsi e Twa, quest’ultima
minoritaria che attualmente riguarda solo l’1% della popolazione. La suddivisione
etnica risale al periodo della colonizzazione belga, quando le popolazioni indigene
furono suddivise in base alle loro regioni di provenienza e alle attività svolte: gli
Hutu erano raccoglitori e agricoltori, mentre i Tutsi allevatori di bestiame. Nella
gerarchia sociale della regione dei Grandi Laghi i Tutsi erano, sin dal periodo co-
loniale, l’aristocrazia, occupavano le principali cariche politiche e burocratiche,
mentre gli Hutu erano la fascia più bassa della popolazione. Il 6 aprile 1994 un
missile abbatté l’aereo su cui viaggiava il presidente-dittatore del Ruanda po-
stcoloniale, Juvénal Habyarimana. Sin da subito, gli Hutu attribuirono la paternità
dell’attentato ai Tutsi, che negli anni di governo di Habyarimana si erano collocati
all’opposizione. Iniziarono così scontri in tutto il Paese, che sfociarono in un mas-
sacro ininterrotto. Ancora oggi non vi è certezza su chi abbia realmente abbattuto
l’aereo presidenziale.
3
http://www.unis.unvienna.org/unis/pressrels/2001/sgsm7738.html.
4
«L’Assemblea ha espresso profonda preoccupazione per il fatto che circa
884 milioni di persone non avevano accesso all’acqua potabile e oltre 2,6 miliardi
non avevano accesso alle strutture igienico-sanitarie di base. Tenendo presen-
te l’impegno a realizzare pienamente gli Obiettivi di sviluppo del millennio, ha
espresso l’allarme che 1,5 milioni di bambini sotto i cinque anni sono morti ogni
anno a causa di malattie legate all’acqua e all’igiene, riconoscendo che acqua po-
tabile e servizi igienico-sanitari sicuri e puliti erano parte integrante alla realizza-
zione di tutti i diritti umani».

nuova umanità 233 97


punti cardinali
Il diritto all’acqua

5
S. Vandana, Le guerre dell’acqua, Universale Economica Feltrinelli, Milano 2003.
6
http://it.peacereporter.net/articolo/20857/Burkina+Faso,+stop+alla+pri-
vatizzazione+dell%27acqua+e+della+luce.
7
Acronimo che indica l’Economic Community of West African States (Comu-
nità economica degli Stati dell’Africa occidentale). È un’organizzazione economica
composta da quindici Stati; nel corso del tempo ha adottato anche decisioni di riso-
luzione pacifica dei conflitti che sono scoppiati nella regione, garantendo, da ultimo
nel 2017, l’insediamento di Adama Barrow come presidente del Gambia.
8
L’Agenda 21 è un programma d’azione prodotto dalla Conferenza Onu su am-
biente e sviluppo di Rio de Janeiro nel 1992. È il punto di riferimento per tutte le
politiche di sviluppo sostenibile da attuarsi nel XXI secolo.
9
Articolo 4 della Decisione 12/12/2000.
10
Comunità per lo sviluppo dell’Africa meridionale (Southern African Deve-
lopment Community), fondata nel 1992 dopo l’esperienza della Southern African
Development Coordination Conference, è composta da quindici Paesi dell’Africa
australe.
11
Nelle foreste equatoriali della Repubblica democratica del Congo cadono
ogni anno circa 4 mila mm di acqua, mentre negli Stati meridionali le precipitazioni
non superano la soglia dei 50 mm. Regional Water Policy, Southern African Comm-
munity, August 2005.
12
Le regioni più colpite sono quelle semidesertiche della Namibia e del Botswa-
na. Regional Water Policy, Southern African Commmunity, August 2005.
13
L’Action Plan in questione è il quarto redatto dall’organizzazione dopo quelli
riguardanti i periodi 1999-2004, 2005-2010 e 2011-2015.
14
«Le risorse idriche condivise presentano opportunità per lo sviluppo inte-
grato, la cooperazione regionale e la pace e la sicurezza». Regional Water Policy,
Southern African Commmunity, August 2005.
15
Gli Obiettivi di sviluppo del millennio sono contenuti nella Dichiarazione del
millennio, siglata nel 2000 da 193 Paesi; il termine per la realizzazione di questi
traguardi è stato fissato al 2015; molti Paesi hanno raggiunto prima questi obiettivi,
altri non lo hanno fatto o si sono impegnati in misura minore. Il miglioramento delle
condizioni di vita di miliardi di persone non è stato omogeneo, c’è ancora molto da
fare; i Paesi in via di sviluppo si sono impegnati per ridurre la fame, la mortalità in-
fantile, migliorare le condizioni di vita delle donne, incrementare il tasso di alfabetiz-
zazione, anche con l’aiuto delle economie più avanzate. Rimane però ancora molto
da fare circa la diminuzione delle emissioni di CO2 nell’atmosfera; la realizzazione
di questo obiettivo non ha visto particolari risultati, sia perché i Paesi sviluppati non

98 nu 233
matteo sgrulloni

si sono impegnati a dovere, sia perché quelli in via di sviluppo hanno rivendicato un
loro “diritto a inquinare”, per poter raggiungere un livello di sviluppo accettabile.
16
Regional Water Policy, Southern African Commmunity, August 2005.
17
Questo obiettivo è stato ampiamente raggiunto già nel 2012 tanto che nel
2015 la popolazione mondiale che aveva accesso all’acqua potabile era del 92%
https://www.unicef.org/media/media_61922.html.
18
Eastern African Community (Comunità dell’Africa Orientale), è una delle più
piccole organizzazioni africane essendo composta da soli sei Paesi, tra cui il Sud
Sudan, il più giovane Stato al mondo nato solo nel 2011.
19
Cf. http://www.eac.int/index.php?option=com_content&view=article&id=2
36:kenya-vp-challengesregion&catid=146:press-releases&Itemid=194.
20
Articolo 31 (a): «Gli Stati devono porre in essere le politiche atte a garantire lo
sviluppo dei diritti, incluso l’accesso alle risorse naturali incontaminate che consen-
tono la sopravvivenza, inclusi la terra, cibo, acqua, aria».
21
Cf. http://www.lastampa.it/2016/08/15/economia/in-etiopia-la-superdi-
ga-pi-grande-di-assuan96thmjNdjT7evjtuIrb8RN/pagina.html.
22
Uno Stato per definirsi tale deve essere caratterizzato da tre elementi imman-
cabili: un governo, un territorio, un popolo. Qualora mancasse uno solo di questi
elementi viene meno il concetto di Stato. Nell’esempio della Somalia manca ormai
da anni un governo che sia in grado di governare al di fuori della capitale Mogadi-
scio; la quasi totalità del territorio che un tempo costituiva questo Paese è in mano
ai signori delle guerra, alla milizie islamiche di Al-Shabaab e suscita mire espansio-
nistiche dei Paesi confinanti. Immaginiamo come in uno Stato inesistente, o meglio
“fallito” come la Somalia, ultimo in quasi tutte le statistiche relative al rispetto dei
diritti umani, alle condizioni di vita, all’indice di sviluppo, alle possibilità di crescita,
sia praticamente impossibile garantire il corretto accesso all’acqua potabile o quan-
tomeno garantire un diritto all’acqua per la popolazione.

nuova umanità 233 99


dallo scaffale di città nuova

Il cristianesimo antico
tre percorsi fra storia, teologia
e letteratura
di Emanuela Prinzivalli

Nel testo si affrontano tre grandi questioni che percorrono


la storia del cristianesimo e rappresentano altrettante chia-
vi di lettura per comprenderne alcuni caratteri fondamentali:
la Chiesa di Roma, le donne cristiane, l’esegesi biblica. L’arco
temporale è l’età antica, grosso modo i primi sette secoli, il
periodo in cui nascono e si strutturano istituzioni, usi, dottrine
destinati a protrarsi diacronicamente. Attraverso i tre percorsi
individuati si evidenzia come nel cristianesimo antico la sto-
ria concreta di uomini e donne, nei loro atteggiamenti privati,
isbn nelle relazioni con la società circostante e nelle manifestazioni
9788831164061 del culto, non sia mai disgiunta dall’interpretazione della Scrit-
tura e dal formarsi, in stretta relazione con questa, del patri-
pagine monio dottrinale.
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nu 233
punti cardinali

Etica e antropologia trinitaria

Questo saggio è nato dall’esigenza, dopo il crollo delle


varie filosofie e delle etiche da esse sostenute, di trovare
un nuovo fondamento a un’etica capace di rispondere alle
Amedeo sfide della globalizzazione oltre che a quelle poste dalla
Ferrari postmodernità, caratterizzata dalla cultura della fram-
mentarietà, dal relativismo valoriale e normativo, dall’in-
psicologo e dividualismo in cui ciò che l’io sente diviene criterio di
teologo morale. giudizio. Inoltre è richiesta un’etica che possa illuminare
insegna di luce nuova quel passaggio culturale, ancora in atto, che
antropologia
trinitaria san Giovanni Paolo II1 e Benedetto XVI non hanno avuto
alla scuola paura di definire come “notte culturale e collettiva2.
di formazione Nell’attuale ricerca teologica morale vi è un interesse
dell’istituto speciale a far derivare la vita morale dalla Trinità come
“mystici corporis” fondamento della vita cristiana e a far riferimento al pa-
di loppiano
(figline – incisa radigma trinitario per costruire l’ethos dei rapporti inter-
in val d’arno, personali, della famiglia, della società3. Questa prospet-
firenze) tiva è suggellata dal Concilio Vaticano II che definisce
ed etica speciale l’identità e la missione della Chiesa del III millennio come
nella cittadella “comunione” che guarda alla Trinità: «All’unità del Pa-
di montet
in svizzera. dre, del Figlio e dello Spirito Santo» (Lumen gentium 2-4).
è membro del E perché la comunione trinitaria possa diventa-
centro studi re testimonianza vissuta, lo Spirito Santo attraverso il
“scuola abbà”. carisma dell’unità ha suscitato la spiritualità di comu-
nione che mette alla base dei rapporti la reciprocità
dell’amore comandata da Gesù ai suoi discepoli come
segno distintivo di sequela. Grazie al carisma dell’unità
di Chiara Lubich, la vita della Trinità non è più soltanto
il punto di partenza della spiritualità cristiana, ma può
diventare il fondamento dell’agire morale, anzi il para-
digma di ogni comportamento.

nuova umanità 233 101


punti cardinali
Etica e antropologia trinitaria

l’ethos trinitario

Come l’esperienza dell’amore reciproco della primitiva comunità cri-


stiana aveva creato il nuovo ethos evangelico, un nuovo stile di convivenza,
un codice di valori, caratterizzato dall’aspetto comunitario, così nel Movi-
mento dei Focolari, depositario del carisma dell’unità, l’aver posto l’amore
reciproco fino all’unità trinitaria come premessa di ogni agire ha generato
un nuovo ethos culturale, un nuovo stile di vita, un nuovo modo di valuta-
re e risolvere i problemi, di accogliere i diversi, di creare rapporti. La co-
munità cristiana è divenuta così lo spazio etico in cui il discernimento e
l’agire morale sono illuminati dall’amore trinitario, come ha scritto Klaus
Hemmerle: «L’ethos trinitario – l’intimo rapporto del Figlio col Padre nello
Spirito – diviene così l’ethos della realizzazione cristiana di se stessi e del
mondo»4. In effetti, tutta l’umanità si sente chiamata a vivere l’ethos trini-
tario che sgorga dalla reciprocità dell’amore. Il paradigma della reciprocità
viene esagito ormai dalla cultura e dalle sfide sociali proprio per superare
le varie contrapposizioni, per riuscire a mettere in comunione le diversità
culturali, religiose, etniche affinché non si arresti lo sviluppo integrale della
persona, della società, della famiglia umana nella sua globalità. Di fatto, la
dinamica della reciprocità sta illuminando la spiritualità e la teologia oltre
che i molteplici campi del sapere: dalla filosofia alla psicologia, dalla pe-
dagogia alle scienze dell’educazione, oltre all’antropologia, all’economia,
alla politica. Anche nel sociale la categoria della reciprocità sta segnan-
do il passo aprendo nuove possibilità di sviluppo non solo nell’accoglienza
dell’altro, del diverso, ma nell’evidenziare la ricchezza di ogni cultura come
dono all’originalità dell’altra.

i pilastri che danno fondamento all’etica trinitaria

La spiritualità dell’unità poggia su due pilastri: l’unità e Gesù abban-


donato. L’intuizione fondamentale capace di dare nuova luce all’intera ri-
flessione teologica è l’intimo rapporto tra i due misteri che costituiscono
la sintesi della spiritualità cristiana: quello di Gesù abbandonato e quello

102 nu 233
amedeo ferrari

del Risorto. Secondo Jesús Castellano questa “inscindibile unità” tra Gesù
abbandonato e l’unità è «una scoperta praticamente inedita nella Chiesa,
una “assoluta novità nella spiritualità cristiana”»5.
Alla luce di quanto afferma il Concilio Vaticano II, cioè che la teologia
per essere se stessa deve partire dalla mistica, e di quanto afferma Giovan-
ni Paolo II, che la mistica non può chiudersi in se stessa, ma deve aprirsi alla
teologia e così diventare cultura6, reputo opportuno offrire alcuni spunti di
riflessione, anche se sintetici, che evidenziano il contributo specifico che la
penetrazione del mistero dell’abbandono come evento trinitario, tipico del
carisma dell’unità, può dare alla teologia, all’ontologia e di conseguenza
all’antropologia, sulla quale è fondata l’etica.

la novità teologica dell’unità

Una prima novità teologica che sgorga dal carisma dell’unità, in linea
con la tradizione orientale, è l’aver scoperto Gesù abbandonato come cau-
sa efficace della deificazione dell’umanità. Dio si è fatto uomo non solo per
redimere l’uomo, ma anche perché questo, in Gesù, sia deificato e parteci-
pe della vita trinitaria.
Un secondo aspetto è l’aver scoperto Gesù abbandonato come rivela-
tore della realtà trinitaria e come porta di accesso alla vita della Trinità.
Perciò Gesù crocefisso e abbandonato diventa il segreto per fare l’espe-
rienza dell’inabitazione trinitaria, quale consapevolezza della comunione
fra persone che hanno la stessa grazia e formano lo stesso Corpo di Cristo.
È l’esperienza del Dio Trinità nella comunità, di Dio in mezzo al popolo. Se
è vero che questa esperienza non è altro che tradurre in vita quanto da
sempre è creduto per fede, è altrettanto vero che contiene la novità di un
carisma come intervento dello Spirito nella storia, nell’oggi della Chiesa
e dell’umanità. Dall’esperienza dell’unità ne consegue che la teologia non
è tanto un discorso “su Gesù” ma “di Gesù” presente tra i teologi come
unico Maestro che introduce nella conoscenza del Padre. Come teologia di
Gesù s’innesta pienamente nella tradizione e nello stesso tempo risponde
alle sfide della postmodernità attuando la preghiera di Gesù fatta al Padre:

nuova umanità 233 103


punti cardinali
Etica e antropologia trinitaria

«La luce che tu hai dato a me io, l’ho data a loro, perché siano come noi
una cosa sola» (Gv 17, 22). Chiara Lubich, con la sua dottrina sull’unità e
sulla Trinità, dà un contributo particolarmente incisivo alla realtà del Corpo
mistico e alla partecipazione della comunità-Chiesa alla dinamica trinitaria
così da essere testimonianza della grande teologia.
Il punto culmine della luce teologica che sgorga dal carisma dell’unità
viene raggiunto nella penetrazione del mistero di Gesù abbandonato che
porta nel cuore della Trinità. Lì, oltre a svelare il mistero di Dio uni-trino
come amore, si scopre la dinamica paradossale dell’Amore: «Sono tre le
Persone della Santissima Trinità, eppure sono Uno perché l’Amore non è
ed è nel medesimo tempo»7. Il mistero dell’abbandono, disvelatosi come
evento di donazione del Figlio, del Padre, e dello Spirito, raggiunge il miste-
ro della Trinità in quanto realtà d’amore. Il grido dell’abbandono non è altro
che la manifestazione nel tempo dell’eterna vicenda di amore assoluto che
è in Dio, uni-trino.
Un altro contributo alla teologia è la visione di Maria in rapporto alla
Parola, di Maria e la Trinità, di Maria madre del Corpo mistico, di Maria
e la creazione. In Maria viene scoperta la via di santità per ogni cristiano
e per la Chiesa intera. Infatti, l’unità getta una luce nuova su Maria come
il modello perfetto di un’umanità realizzata che illustra la grandezza del-
la vocazione dei fedeli in Cristo (cf. Optatam totius, 16) e su come essere
“Maria” singolarmente e collettivamente. Così Maria diviene il prototipo
della trasformazione delle persone nel loro essere e nel loro agire a livello
personale, familiare, comunitario, sociale, planetario.

l’ontologia trinitaria

Il contributo del carisma dell’unità nell’ambito dell’ontologia è legato


alla rivelazione che si manifesta in Gesù abbandonato: l’essere è amore. Da
questa illuminazione ne consegue che se Dio, che è l’essere, è amore «tutto
è sostanza d’amore»8. Se l’essere è amore, significa che l’amore non è solo
un attributo ma la sostanza del tutto, significa che ciò che costituisce l’es-
sere e che permane è l’amore. Se ciò che rimane è l’amore, l’essere dono,

104 nu 233
amedeo ferrari

il baricentro dell’essere si sposta dal sé verso l’altro: al centro viene posto il


movimento, la relazione, e non più come semplice accidente dell’essere, ma
come sua dimensione costitutiva. In tal modo l’essere e le cose sono fonda-
te sul darsi, diventando espressione di questo dono originario che crea, in
ogni realtà, l’essere dono di sé come legge fondamentale. Già Heidegger,
pur in un differente contesto, notava che il “lasciarsi vedere” dell’essere è
una manifestazione del dar-si, “si dà”9. Da questa comprensione dell’esse-
re come amore deriva che ogni cosa diviene ciò che realmente è nell’aprirsi
al dono di sé, e ogni esistenza raggiunge la sua pienezza nel momento in
cui si dona. Per costruire un’intera ontologia basata sull’amore trinitario,
bisogna partire dal principio del dono. Secondo il teologo Hemmerle, nel
dono di Gesù che sulla croce dona se stesso «tutte le cose, si trasformano,
perché sono doni che provengono dalla loro stessa origine, inseriti nel rit-
mo del suo donarsi. È proprio qui che risiede l’intima giustificazione, anzi la
necessità di un’ontologia nuova, di un’ontologia trinitaria»10. Nel donarsi di
Gesù c’è il donarsi di Dio in cui tutto è trasformato: la vita, il mondo, il senso
dell’essere, poiché tutto per lui è inserito nella dinamica del suo donarsi e
perciò partecipe della vita intima di Dio – unità e Trinità – trasformando
tutto in dono di sé per amore, in relazione d’amore con gli altri esseri. Poi-
ché l’atto del donarsi chiama la risposta, nasce un rapporto di reciprocità
per cui l’uno si rivolge all’altro, l’uno esiste per l’altro. Scrive Chiara: «Ho
sentito che io sono stata creata in dono a chi mi sta vicino e chi mi sta
vicino, è stato creato in dono per me. […] Sulla terra tutto è in rapporto di
amore con tutto: ogni cosa con ogni cosa»11.

l’antropologia della reciprocità trinitaria

Il contributo di Chiara per l’ontologia ha la sua ricaduta immediata


sull’antropologia.
Dall’ontologia dell’essere come amore e dall’ontologia trinitaria deriva
una nuova concezione di persona e di società fondata sulla relazione di
reciprocità che permette di essere uno ma anche distinti. E Gesù abban-
donato manifesta come i soggetti si realizzino come persone nel dono re-

nuova umanità 233 105


punti cardinali
Etica e antropologia trinitaria

ciproco di sé nella comunione, e che la kenosi dell’amore non distrugge le


individualità, ma le unisce e le distingue e permette loro di trascendersi
realizzandosi nel dono totale di sé. Per cui il tipo dell’uomo integrale è Gesù
nel quale ogni uomo e ogni donna possono trovare la propria perfezione
originaria come persona e come collettività. Inoltre una nuova antropo-
logia fondata sulla relazione trinitaria è un impulso verso un nuovo tipo
di società. Si tratta di una società ben diversa da quella totalitaria, in cui
è alienata la realtà comunitaria ridotta a mero strumento di un’ideologia,
ma anche da quella che si definisce fondata sulla libertà e che in realtà è
fondata sull’individualismo assoluto e sull’egoismo dei singoli, singoli che
hanno valore in base alla loro funzionalità e alla loro efficienza, mentre i
rapporti tra gli individui si riducono a una coesistenza su strade parallele o
giustapposte. È solo nella dinamica di comunione, di unità e distinzione che
ognuno può essere, a suo modo, origine della società e, nello stesso tempo,
la società può essere qualcosa di più della somma dei singoli, può avere
una vita unica, comune, e che sia quella di ogni singolo che si realizza nella
libertà. Nella relazione trinitaria la comunione non è antitetica alla libertà,
ma queste due dimensioni della persona sono legate in modo proporziona-
le. La persona umana è tanto più se stessa quanto più è una con le altre e
tanto più libera quanto più vive la comunione con le altre.
Il filosofo Marcel rileva come la persona sia “essere con”, “essere per”
l’altro nell’amore, e scrive: «Io sono di più di quanto non sia solo con me
stesso; nell’atto stesso di donarmi a te io ti ricevo, e scatta la gioia di essere
“noi”»12. Infatti, l’essere umano non è ontologicamente un individuo ma re-
lazione intersoggettiva. Scrive lo psichiatra Viktor von Weizsäcker: «L’as-
soluto metafisico non è l’Io, bensì il Noi»; «la relazione intersoggettiva in
quanto struttura aprioristica dell’umanità dell’individuo viene ad assumere
la forza di vero e proprio nucleo ontologico dell’uomo»13. Dunque, la rela-
zione trinitaria non è un bell’aggettivo o una qualificazione aggiuntiva este-
riore, ma è la sua stessa realtà fondante. Anche la comunità non nasce in
maniera aggiuntiva o successiva, perché è la vita stessa di Dio tra gli uomi-
ni e la vita degli uomini nella loro esperienza di Dio. Viktor von Weizsäcker
spinge la sua ipotesi di ricerca fino a proporre come modello dei rapporti
interpersonali i rapporti trinitari: «La struttura del dogma della Trinità non

106 nu 233
amedeo ferrari

è un’astrazione da una realtà psicologica dello sviluppo, esprime invece la


più alta conoscenza del rapporto delle persone divine, sotto la cui ipotesi
può essere raffigurato un rapporto tra persone semplicemente umane»14.
Allora l’essere umanità significa vivere la chiamata alla comunione in-
terpersonale, perché l’immagine e la somiglianza di Dio trinitario sono la
radice di tutto l’ethos umano. Quest’umanesimo sociale, planetario come
espressione della civiltà dell’amore può diventare ispirazione per ogni
progetto di costruzione di città o società che siano veramente a misura
di uomo. L’amore dunque è la forma più nobile del rapporto tra gli esseri
umani tra loro per divenire una sola famiglia umana che riflette sulla terra
il cielo. «Il Signore Gesù – scrive la Gaudium et spes –, quando prega il Padre
perché “tutti siano una cosa sola, come io e tu siamo una cosa sola” (Gv 17,
21), aprendoci prospettive inaccessibili alla ragione umana, ci ha suggerito
una certa similitudine tra l’unione delle Persone divine e l’unione dei figli
di Dio nella verità e nell’amore» (GS, 24). Questa similitudine manifesta
che l’uomo, il quale in terra è la sola creatura che Iddio abbia voluto per se
stesso, non possa ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero
di sé. Ciò significa che la dimensione comunitaria è una dimensione fonda-
mentale, costitutiva della persona nel suo essere in relazione con gli altri.
Per questo il paradigma della reciprocità dovrà illuminare tutti i rapporti,
rinnovare le strutture nei vari ambiti sociali a cominciare dalla famiglia, in
tutte le piccole o grandi comunità, organismi a livello nazionale e mondiale,
fino alla globalizzazione dei popoli.

verso l’etica trinitaria

Da quest’antropologia trinitaria deriva logicamente l’etica trinitaria, ca-


ratterizzata dalla stessa dinamica di unità e distinzione anche riguardo alla
formazione della coscienza. Nella riflessione teologica post-conciliare si è
passati da una rappresentazione piuttosto statica delle tre divine Persone
(Trinità immanente) senza agganci con la storia e la vita dell’uomo, a una for-
mulazione dinamica, soteriologia della Trinità (Trinità economica). Gisbert
Greshake afferma che «la Trinità non è una formula di fede o una dottrina o

nuova umanità 233 107


punti cardinali
Etica e antropologia trinitaria

addirittura un’ideologia, ma un evento che viene raccontato, un’esperienza


che viene testimoniata»15. È proprio l’esperienza dell’amore trinitario testi-
moniata e raccontata da Chiara Lubich che diviene evento capace «di rende-
re presenti e quasi visibili Dio Padre e il Figlio suo incarnato» (GS, 21) e così
costituire il contributo specifico per un fondamento trinitario dell’etica.
In effetti, il credente che vive i punti cardine della spiritualità dell’unità
arriva a sperimentare un rapporto privilegiato, non solo con Dio in gene-
rale, ma con ciascuna delle tre Persone divine. Inoltre, per la presenza di
Gesù nella comunità (cf. Mt 18, 20) il credente viene a vivere, come sostie-
ne Giovanni Paolo II nella Novo millennio ineunte, tra due fuochi: a sperimen-
tare cioè l’unione con Dio dentro di sé e con Dio presente nella comunità.
Così si sperimenta la possibilità, pur restando nel mondo, di non essere del
mondo, perché appunto immerso sempre in Dio.
Inoltre, il vivere la spiritualità dell’unità aiuta a prendere coscienza di
aver ricevuto nel battesimo la vocazione a diventare Gesù. Chiara suggeri-
sce di guardare a Gesù come modello etico: «Per l’uomo chiamato a diven-
tare Dio non gli si poteva dare un più bel modello di un Dio fatto uomo»16.
Se Gesù diviene il modello etico valido per tutti perché realizza la per-
sona nella sua pienezza, il nuovo principio etico diviene il suo comando
dell’amore. È proprio l’amore portato da Gesù, dal cuore della Trinità, che
ha introdotto nella storia umana e nell’etica umana la novità, come sostie-
ne sant’Agostino: «Quest’amore ci rinnova, affinché siamo uomini nuovi,
eredi del Testamento nuovo, cantori di un cantico nuovo»17. Infatti, è viven-
do la reciprocità dell’amore che si scopre “la relazione” come il vero bene
della persona e della società. Un altro aspetto che viene in rilievo nell’etica
che nasce dal comandamento nuovo è che tutte le leggi, anche quelle mo-
rali, diventano espressioni dell’amore, riflessi della volontà di Dio concen-
trata nell’«amatevi come io vi ho amato» (cf. Gv 13, 34): non possono più
essere considerate come norme imposte da un’autorità esterna alla quale
si deve sottostare per non essere castigati. Anche la libertà e la responsa-
bilità sono riscoperte in una nuova dimensione. La libertà, essendo l’altra
faccia dell’amore, non può essere considerata sganciata dall’amore, essa
si sperimenta vivendo la massima misura dell’amore in Gesù abbandonato,
che compie il più grande atto di amore e di libertà nell’auto-donazione e

108 nu 233
amedeo ferrari

nel sacrificio di sé. Guardando a Gesù crocefisso e abbandonato la persona


sperimenta la piena realizzazione, perché donandosi è libera anche da se
stessa. Viene vissuta l’autentica libertà cristiana, per la quale obbedendo
a se stessi si obbedisce alla voce dello Spirito. È lo Spirito che suscita nel
credente l’amore come causa dell’agire personale. Inoltre la libertà per il
credente non è un “pretesto per la carne” (cf. Gal 5, 13), ma la spinta a met-
tersi al servizio del prossimo come suggerisce Paolo.
Anche la coscienza, nucleo fondamentale dell’interiorità per il discer-
nimento e la valutazione etica, scaturendo dalla vita trinitaria non può che
rispecchiare in sé quello che è più caratteristico della Trinità: la comunio-
ne, la dialogicità, la relazionalità, che rafforzano la coscienza personale e la
responsabilità. Nell’esperienza dell’unità la coscienza trova nuove modalità
per essere sempre più illuminata: dal fare la verità vivendo la Parola, dall’a-
scoltare la voce della coscienza, dall’insegnamento del magistero, dalla pre-
senza di Gesù tra i fratelli. Una volta sottolineato con forza il valore della
relazione di reciprocità nel formare la coscienza, rimane comunque fermo il
fatto che la decisione ultima dipende sempre dalla coscienza del soggetto.
La luce che si sprigiona dal vivere l’unità in Gesù abbandonato permette
di arrivare al cuore della novità della vita cristiana. Com’è confermato nella
Veritatis splendor, il credente scopre «nel Figlio innalzato in croce» il fonda-
mento dell’agire etico e il significato soteriologico della sua vita e della sua
morte. Gesù crocefisso e abbandonato permette appunto di sperimentare
nella vita personale e comunitaria quanto la teologia sta tentando di for-
mulare come comprensione del mistero pasquale rivelazione della Trinità.
Per questo l’etica cristiana diventa pasquale e trinitaria. Se prima si pensa-
va alla morale come a un dovere o a un impegno a mortificarsi per essere
più buoni, a dominare le passioni e acquisire le virtù per essere santi, ora
l’etica cristiana, ancorata nella fede, diventa l’espressione consequenziale
della vita divina che il cristiano ha già ricevuto e che deve lasciar sviluppare
in sé morendo e risorgendo con Cristo. L’etica cristiana non tende dunque a
formare “buoni cristiani”, ma ad assumere comportamenti conformi all’es-
sere “nuova creazione”, all’essere “nuova creatura”. Gesù abbandonato
come modello etico permette di passare da una morale negativa, intenta
a non fare peccati, a una positiva tesa ad amare fino ad arrivare alla per-

nuova umanità 233 109


punti cardinali
Etica e antropologia trinitaria

fezione nell’amore reciproco, come conferma Giovanni (cf. 1 Gv 4, 12). E


nella reciprocità si ama la santità dell’altro come la propria, e questo per
l’amore a Gesù abbandonato, dunque si parla di una santità collettiva. Alla
luce di Gesù abbandonato viene modificata la visione del peccatore e del
peccato. Il peccatore, che pentito ama nel dolore un volto di Gesù abban-
donato, sperimenta la resurrezione. Il peccato, donato a Gesù che si è fatto
“maledizione”, viene bruciato e trasformato in misericordia. Con Gesù ab-
bandonato è superata dunque la morale classica e vengono integrate come
espressioni dell’etica alcune realtà di vita contenute nel vangelo, come la
reciprocità, la gratuità, la misericordia, l’accoglienza, la kenosi, il perdono,
il fare proprio il negativo degli altri, sentirsi responsabili del peccato sociale
(cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, 1869).
L’etica trinitaria, essendo fondata sulla relazione, illumina di nuova luce
tutti gli ambiti del sociale, superando definitivamente l’etica individualista
e aprendo all’etica della comunità del lavoro, della comunità familiare, per
arrivare al bene comune, alla solidarietà e alla sussidiarietà. L’etica trinita-
ria permette il passaggio dall’etnocentrismo a una reciprocità multicultu-
rale non solo nel rispetto della differenza di ogni cultura, ma evidenziando
la ricchezza di ciascuna come dono all’originalità dell’altra. L’etica trinitaria
permette di orientarsi verso una cultura dell’identità planetaria che ab-
braccia ormai i confini del mondo in una rete di rapporti nella quale l’azione
di ciascuno s’intrecci con avvenimenti e processi globali.
Dio, uni-trino, ha impresso nell’umanità ricreata una struttura formal-
mente trinitaria. E l’umanità raggiunge Dio (teantropia partecipata) in
Gesù abbandonato, che non solo ha rimosso la causa della separazione,
ma introduce l’umanità a partecipare alla stessa vita trinitaria. Per la fa-
miglia umana questa diviene una chiamata a realizzarsi nella comunione
interpersonale e di popoli, indispensabile per il suo realizzarsi secondo il
disegno di Dio. Per l’amore a Gesù abbandonato l’umanità può veramente
far germogliare un nuovo umanesimo, integrale, unitario, planetario, come
espressione della civiltà dell’amore, capace di superare la frammentazione
della cultura postmoderna e di ricondurre a unità le molteplici dimensioni
e aspirazioni dell’umanità, fino alla realizzazione del sogno di Gesù: «Che
tutti siano uno».

110 nu 233
amedeo ferrari

1
Cf. Giovanni Paolo II, Omelia in occasione della celebrazione in onore di san Gio-
vanni della Croce, Segovia, 4 novembre 1982; Discorso al Capitolo Generale Carmelita-
no, Roma, 29 settembre 1989.
2
Cf. Omelia del Card. J. Ratzinger alla santa Messa Pro Eligendo Romano Pontefice,
18 aprile 2005.
3
Cf. L. Boff, Trinità e società, Cittadella, Assisi 1992; X. Pikaza, Trinidad y comu-
nidad cristiana, Secretariado Trinitario, Salamanca 1990.
4
K. Hemmerle, Tesi di ontologia trinitaria, Città Nuova, Roma 1996, p. 57.
5
J. C. Cervera, Introduzione, in C. Lubich, L’unità e Gesù abbandonato, pp. 7, 9-10,
12-13.
6
Giovanni Paolo II, Lettera al Card. A. Casaroli per l’istituzione del Pontificio Con-
siglio per la Cultura (20 maggio 1982), cit. in P. Coda, L’albero e la chioma, in «Nuova
Umanità», 177 (2008/3), p. 305.
7
C. Lubich, Spiritualità dell’unità e vita trinitaria, Lezione per la Laurea Honoris
causa in teologia, in «Nuova Umanità», 151 (2004/1), p. 15.
8
C. Lubich, cit. in V. Araújo, Il carisma dell’unità e la sociologia, in «Nuova Uma-
nità», 105-106 (1996/3-4), p. 359.
9
M. Heidegger, La questione dell’essere, Segnavia, Milano 1987, p. 359.
10
K. Hemmerle, Tesi di ontologia trinitaria, cit., p. 66.
11
Cf. C. Lubich, Scritti spirituali / 1, Città Nuova, Roma 19913, p. 134.
12
G. Marcel, Homo Viator, Borla, Torino 1967, p. 60.
13
V. von Weizsäcker, Biologia e metafisica. Istruzioni per la condotta umana, Edi-
zioni 10/17, Salerno 1987, p. 50.
14
Ibid., p. 132.
15  
G. Greshake, La fede nel Dio Trinitario, una chiave per comprendere, Queriniana,
Brescia 2002, p. 16.
16
C. Lubich, cit. in S. Cola, Verso un pieno umanesimo: orizzonti nuovi in psicologia,
in «gen’s» (2002/6), p. 20.
17  
Agostino d’Ippona, In Io. Evang., Tract. 65, 1, PL 34-35, cit. in C. Lubich, Come
amare il fratello, in Scritti spirituali /4, Città Nuova, Roma 1981, p. 216.

nuova umanità 233 111


dallo scaffale di città nuova

Accogli ciò che è


quando la realtà diventa terapia
di Pasquale Ionata

Come dice il poeta Charles Bukowski: «Non sono le grandi


cose a farci impazzire, ma il laccio della scarpa che si rompe
proprio quando non abbiamo tempo». Accade spesso di avere
un programma e che qualcosa di inaspettato lo faccia saltare,
come se una realtà contraria e opposta stesse in agguato. È
come assistere a uno scontro fra opposti in cui una realtà vie-
ne percepita positivamente, mentre l’altra realtà viene vissuta
con reattività; dal punto di vista psicologico, la prima è causa
di uno stato d’animo “up” (“stare su”), la seconda di uno stato
d’animo “down” (“stare giù”). L’Autore aiutare a capire come
creare le condizioni psicologiche affinché si riesca ad acco-
isbn gliere positivamente ciò che sta avvenendo, essendone testi-
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nu 233
alla fonte del carisma dell’unità

Unità nel Paradiso ’49: alcune


osservazioni metodologiche

Ogniqualvolta […] ci viene chiesto come si po-


Fabio trebbe definire la nostra spiritualità, e quale
la differenza fra il dono che Dio ha elargito al
Ciardi nostro Movimento e quelli di cui ha abbellito e
arricchito altri nella Chiesa, oggi o attraverso
membro i secoli, noi non esitiamo a dire: l’unità. L’unità
del comitato è la nostra specifica vocazione. L’unità è ciò
direttivo per che caratterizza il Movimento dei Focolari1 .
la pubblicazione
delle opere di
chiara lubich. Così scriveva Chiara Lubich nel 1984 nel suo libro L’u-
responsabile nità e Gesù Abbandonato dove tematizza l’esperienza che
del centro viveva ormai da quarant’anni, assieme al Movimento al
interdisciplinare quale aveva dato vita nel 1943 a Trento, la città resa ce-
di studi
“scuola abbà”. lebre dal XIX Concilio ecumenico. Un’esperienza che ha
ricevuto il riconoscimento ecclesiale prima dal vescovo
di Trento poi dal magistero pontificio in ripetute appro-
vazioni dei suoi Statuti fino all’ultima del 15 marzo 20072.

la centralità dell’unità

La centralità dell’unità nel dono carismatico della


Lubich emerse fin dai primi momenti quando, nell’infu-
riare della Seconda guerra mondiale, durante i bombar-
damenti sulla città, Chiara, rifugiandosi in una cantina
assieme ad altre ragazze, a lume di candela lesse il capi-
tolo 17 del Vangelo di Giovanni. Lei stessa narra: «Quel-
le parole difficili sembrano illuminarsi, a una a una.

nuova umanità 233 113


alla fonte del carisma dell’unità
Unità nel Paradiso ’49: alcune osservazioni metodologiche

Abbiamo l’impressione di comprenderle. Avvertiamo, soprattutto, la cer-


tezza che quella è la “magna charta” della nostra nuova vita e di tutto ciò
che sta per nascere attorno a noi»3.
Con un’intuizione essenziale ma efficace, la Lubich vede altre spirituali-
tà concentrarsi attorno a una parola e si confronta con esse per cogliere la
propria specificità: «Come può essere la “povertà” per il Movimento fran-
cescano, l’“obbedienza”, forse, per i gesuiti, “la piccola via” per chi segue
santa Teresa di Lisieux, l’“orazione” per i carmelitani di santa Teresa la
Grande, e così via. L’unità è la parola sintesi della nostra spiritualità»4.
Si sente chiamata a far propria la preghiera di Gesù al Padre e a rispon-
dere, assieme alle prime amiche, al desiderio di Gesù in essa espresso: l’u-
nità andrà vissuta prima di tutto tra di loro. Gradatamente avverte la spinta
a coinvolgere il più gran numero di persone nel disegno divino dell’unità,
contribuendo così all’attuazione dell’Ut omnes unum sint (cf. Gv 17, 21).

Consce della difficoltà, se non della impossibilità di mettere in pra-


tica un tale programma, ci sentiamo spinte a chiedere a Gesù la
grazia d’insegnarci il modo di vivere l’unità. Inginocchiate attorno
ad un altare, offriamo a lui le nostre esistenze perché con esse – se
crede – Egli la possa realizzare. È – a quanto ci ricordiamo – la festa
di Cristo Re. Ci colpiscono le parole della liturgia di quel giorno:
«Chiedi a me, ti darò in possesso le genti e in dominio i confini della
terra» [Sal 2, 8]5 .

Da quei lontani anni Quaranta del secolo scorso il Movimento dei Foco-
lari, con la guida della sua fondatrice e animatrice, ha dilatato gli orizzonti
dell’unità in campo ecumenico, nel dialogo tra le religioni e le persone di
convinzioni non religiose, fino a raggiungere gli ambiti della politica, dell’e-
conomia e i più diversi campi sociali6.

il legame con gesù abbandonato

Tornando agli inizi del suo Movimento, Chiara Lubich rievoca un mo-
mento fondamentale che ha segnato la sua comprensione dell’unità.

114 nu 233
fabio ciardi

Essa trova la sua radice in Gesù crocifisso e abbandonato che, nel dono
estremo di sé al Padre nel mistero della croce, e più propriamente nel mo-
mento in cui prova l’abbandono dal Padre, è compreso come autore e mo-
dello dell’unità fra Dio e gli uomini e degli uomini fra di loro. Nel libro L’unità
e Gesù Abbandonato Chiara Lubich lascia raccontare l’episodio all’amica
presente in quella circostanza. Venuto in casa per portare la comunione
all’amica ammalata, il padre cappuccino

domandò a Chiara qual era stato, secondo lei, il momento nel qua-
le Gesù aveva sofferto di più durante la sua passione. Ella rispose
d’aver sempre sentito dire che era stato il dolore patito nell’orto
degli ulivi. Ma il sacerdote: «Io credo, invece, che sia stato quello in
croce, quando ha gridato: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abban-
donato?” [Mt 27, 46]». Appena il Padre se ne andò, avendo udito le
parole di Chiara mi rivolsi a lei, sicura d’una spiegazione. Mi disse
invece: «Se il più grande dolore di Gesù è stato l’abbandono da par-
te del Padre suo, noi lo scegliamo come Ideale e lo seguiamo così»7.

Gradatamente si fa sempre più evidente il legame tra l’unità e Gesù


abbandonato, che appare come il “segreto”, la “condizione” per la sua at-
tuazione. Può così ben presto affermare: «Il libro di luce, che il Signore va
scrivendo nella mia anima, ha due aspetti: una pagina lucente di misterioso
amore: Unità. Una pagina luminosa di misterioso dolore: Gesù abbandonato.
Sono due aspetti di un’unica medaglia»8.

una spiritualità ecclesiale

Agli inizi non erano mancate le diffidenze. L’idea dell’unità, per fermar-
si soltanto a questo aspetto del carisma di Chiara Lubich e del suo Movi-
mento, richiamava un’idea che sembrava tipica del mondo comunista: il
giornale ufficiale del Partito comunista italiano, particolarmente militante
nell’Italia del primo dopoguerra, portava proprio il titolo L’Unità. Il discerni-
mento attento e prolungato da parte della Conferenza episcopale italiana e
del Santo Uffizio vaticano ha portato a ripetute approvazioni9.

nuova umanità 233 115


alla fonte del carisma dell’unità
Unità nel Paradiso ’49: alcune osservazioni metodologiche

Oggi il carisma dell’unità e la sua spiritualità, donati dallo Spirito a Chia-


ra Lubich, sembrano rispondere provvidenzialmente alla domanda di una
spiritualità comunitaria che Giovanni Paolo II ha avanzato per tutta la Chie-
sa del nuovo millennio: «Fare della Chiesa la casa e la scuola della comunio-
ne: ecco la grande sfida che ci sta davanti nel millennio che inizia […]. Prima
di programmare iniziative concrete occorre promuovere una spiritualità della
comunione»10.
Giovanni Paolo II ha riconosciuto esplicitamente l’influsso che la “spiri-
tualità di comunione” dell’Opera di Maria (nome ufficiale del Movimento
dei Focolari) ha esercitato sulla Chiesa nella seconda metà del Novecento.
In una lettera indirizzata a “cardinali e vescovi amici del Movimento dei
Focolari”, evidenzia la straordinaria somiglianza fra la “spiritualità di co-
munione” da lui proposta e la “spiritualità dell’unità” propria di Chiara Lubi-
ch, sino a evidenziarne la convergenza: «“la spiritualità dell’unità” e “della
comunione”» caratterizzano «il vostro Movimento»11. In un’altra lettera,
sempre rivolta a un gruppo di vescovi, il papa mostra come la spiritualità
di comunione, che egli indica alla Chiesa intera, può essere arricchita da
cardini della spiritualità dell’unità di Chiara Lubich12.
Non c’è da meravigliarsi se un carisma, che per sua natura è dato per
il bene della Chiesa, viene accolto e fatto proprio dalla Chiesa, come lo è
stata ad esempio la pratica degli esercizi spirituali di Ignazio di Loyola o
la devozione al cuore di Gesù messa in evidenza da esperienze mistiche
legate a persone particolari.

la dottrina dell’unità nel paradiso ’49

La dottrina dell’unità di Chiara Lubich è stata oggetto di numerosi stu-


di13. Lei stessa l’ha esposta più volte, a cominciare da alcune lettere degli
anni Quaranta indirizzate ai più diversi destinatari, fino al già citato libro
L’Unità e Gesù Abbandonato. Non sono mancate successive conversazio-
ni organiche sul tema, rivolte ai membri del Movimento e in particolare
ad assemblee di vescovi, solo in parte pubblicate14. Sono molti gli aspetti
emergenti: la consapevolezza che l’unità è una preghiera rivolta da Gesù

116 nu 233
fabio ciardi

al Padre, e quindi un dono di grazia da chiarire e di cui non si può disporre


autonomamente; il legame tra l’unità e il comandamento dell’amore reci-
proco15, quello tra l’unità e Gesù crocifisso e abbandonato16; la dimensione
trinitaria e quella ecclesiologica17.
Un testo di particolare rilevanza è lo scritto intitolato Paradiso ’49, dove il
tema dell’unità è declinato con grande ricchezza dottrinale ed esperienzia-
le. Si tratta di una raccolta di testi scritti tra il 1949 e il 1951 che testimonia
un’esperienza di particolare luce vissuta dall’Autrice in quegli anni18. Molti
brani sono stati resi noti da lei stessa in diversi momenti. Come è avvenuto
lungo la storia della Chiesa per altri autori, trattandosi di un’opera di natura
mistica, la pubblicazione integrale difficilmente sarebbe potuta avvenire
durante la sua vita. Per la pubblicazione del Diario spirituale di Ignazio di
Loyola, ad esempio, si sono dovuti attendere quattrocento anni. Il Paradiso
’49 non dovrà aspettare tanto, è già iniziata la pubblicazione delle Opere di
Chiara Lubich che prevede anche l’edizione di questo libro.
Tra i brani di rilievo del Paradiso ’49 già pubblicati, riguardanti l’unità,
possiamo ricordare il “patto d’unità” con Igino Giordani19, Guardare tutti i
fiori20, Resurrezione di Roma21.
Basterà un accenno allo scritto Guardare tutti i fiori per vedere aprirsi uno
spiraglio sulla ricca articolazione del tema dell’unità coniugato con la plura-
lità e la molteplicità, espresso nell’immagine di un giardino fiorito. In esso
appare la stima, la valorizzazione, il bisogno dell’altro e della diversità di cui
è apportatore, sia nel rapporto tra le persone sia in quello tra vocazioni e
spiritualità nella Chiesa. Una visione dell’unità aperta, dialogica, arricchente.

I fedeli, che tendono alla perfezione, cercano, in genere, di unirsi


a Dio presente nel loro cuore. Essi stanno come in un grande giar-
dino fiorito e guardano e ammirano un solo fiore. Lo guardano con
amore nei particolari e nell’insieme, ma non osservano tanto gli
altri fiori.
Dio – per la spiritualità collettiva che egli ci ha donato – chiede a noi
di guardare tutti i fiori perché in tutti è lui e così, osservandoli tutti,
si ama più lui che i singoli fiori. Dio che è in me, che ha plasmato la
mia anima, che vi riposa in Trinità, è anche nel cuore dei fratelli.

nuova umanità 233 117


alla fonte del carisma dell’unità
Unità nel Paradiso ’49: alcune osservazioni metodologiche

Non basta quindi che io lo ami solo in me. Se così faccio il mio amo-
re ha ancora qualcosa di personale e, per la spiritualità che sono
chiamata a vivere, tendenzialmente egoistico: amo Dio in me e non
Dio in Dio, mentre questa è la perfezione: Dio in Dio.
Dunque la mia cella, come dicono le anime intime a Dio, e, come noi
diciamo, il mio Cielo, è in me e come in me nell’anima dei fratelli. E
come lo amo in me, raccogliendomi in esso – quando sono sola –, lo
amo nel fratello quando egli è presso di me.
Allora non amo solo il silenzio, ma anche la parola, la comunicazio-
ne cioè del Dio in me col Dio nel fratello. E se i due Cieli si incontra-
no ivi è un’unica Trinità, ove i due stanno come Padre e Figlio e tra
essi è lo Spirito Santo.
Occorre sì sempre raccogliersi anche in presenza del fratello, ma
non sfuggendo la creatura, bensì raccogliendola nel proprio Cielo e
raccogliendo sé nel suo Cielo.
E, giacché questa Trinità è in corpi umani, ivi è Gesù: l’Uomo-Dio.
E fra i due è l’unità ove si è uno, ma non si è soli. E qui è il miracolo
della Trinità e la bellezza di Dio che non è solo perché è Amore. […]
Però se ognuno di noi si perde nel fratello e fa cellula con esso (cel-
lula del Corpo mistico), diviene Cristo totale, Parola, Verbo. È per
questo che Gesù dice: «...e la Luce che Tu hai dato a me l’ho data
ad essi» (Gv 17, 22).
Ma occorre saper perdere il Dio in sé per Dio nei fratelli22 . E questo
lo fa chi conosce ed ama Gesù crocifisso e abbandonato.
E quando l’albero sarà completamente fiorito – quando il Corpo mi-
stico sarà completamente ravvivato – rispecchierà il seme donde è
nato. Sarà uno, perché tutti i fiori saranno uno fra loro come ognu-
no è uno con se stesso23 .

una lettura di un testo di chiara lubich

La lettura e l’interpretazione dei testi di Chiara Lubich tuttavia può es-


sere stata a volte parziale o non del tutto fedele al suo pensiero24. Un’ap-
plicazione non coerente con l’idea di unità che la Lubich ha propugnato
ha in certi casi causato incomprensioni, disagi e sofferenze, che nel clima
attuale di parresia della Chiesa di oggi non si teme di affrontare.

118 nu 233
fabio ciardi

Occorre anzi essere grati per l’attenzione posta a situazioni di soffe-


renza e a deviazioni, anche gravi, che si possono verificare. L’analisi e le
avvertenze potranno essere utili per tante altre istituzioni ecclesiali, di
fondazione recente o antica, che vivono i problemi al loro interno. Chi può
dichiararsi indenne da sbagli e deviazioni? Giovanni Paolo II e papa Fran-
cesco hanno insegnato a tutta la Chiesa a chiedere perdono degli errori
del passato e del presente e a porsi in un atteggiamento di conversione
costante.
Negli ordini religiosi come nei nuovi gruppi ecclesiali può esserci sta-
to o può esserci un eccesso di pressione psicologica da parte di chi ha
esercitato o esercita un ruolo di guida o un eccesso di disponibilità ad
assumere un ruolo passivo in chi vi si è aggregato. Ammettere tutto ciò
è riconoscere, con realismo e sincerità, che nei processi di annuncio e
di sviluppo dell’esperienza religiosa, in tutte le esperienze ecclesiali e a
tutti i livelli, il fattore psicologico caratterizzante la persona non sempre
è adeguatamente maturo.
Anche il Movimento dei Focolari credo non abbia difficoltà ad ammet-
tere eventuali errori nei quali alcuni dei suoi membri possono essere incor-
si nei suoi oltre settant’anni di storia. Esso non può non riconoscere, data
anche la dimensione numerica e l’estensione geografica che lo caratteriz-
za, che ci sono state interpretazioni erronee dell’unità, forse anche abusi di
potere, e che è chiamato a chiedere perdono per non essere sempre inter-
venuto con adeguata fermezza a correggere.
Chiara stessa, consapevole di certe derive, è intervenuta ripetutamen-
te, con energia. In diversi convegni con i focolarini, soprattutto negli anni
Novanta, ha operato correzioni e ha offerto una serie di indicazioni concre-
te riguardanti la prassi dell’autorità e del governo. Un’azione di profondo
rinnovamento, soprattutto nelle modalità di governo, continua ad essere
portata avanti con determinazione dall’attuale gruppo dirigente, soprattut-
to dalla presidente, Maria Voce e dal co-presidente Jesús Morán25.
Occorre comunque distinguere tra le contraddizioni riscontrabili nel
processo di traduzione della spiritualità da parte delle singole persone,
comprese quelle che nel Movimento hanno autorità, e la prospettiva che
emerge dalla spiritualità, così come è esposta negli scritti di Chiara Lubich.

nuova umanità 233 119


alla fonte del carisma dell’unità
Unità nel Paradiso ’49: alcune osservazioni metodologiche

una proposta di lettura

Un testo di non facile interpretazione, di cui vorremmo proporre alcune


chiavi ermeneutiche, è quello che segue26, con lo scopo non tanto di com-
mentarlo quanto, come avvertito precedentemente, di individuare alcune
chiavi ermeneutiche.

Ogni anima dei focolari ha da essere una mia espressione e null’al-


tro. La mia Parola contiene tutte quelle delle focolarine e dei foco-
larini. lo li sintetizzo tutti: sono il Capo, come Gesù o come Maria
(del proprio Corpo Mistico)27. Quando io appaio essi dunque devo-
no lasciarsi generare da me, comunicarsi con me. Anch’io, come
Gesù, debbo dir loro: «Chi mangia la mia carne...». Per vivere la
Vita che Dio ha loro dato, essi debbono nutrirsi del Dio che vive
nella mia anima. Il loro atteggiamento di fronte a me deve essere
un nulla di amore che chiama l’amore mio.
Allora mi apro e, parlando, comunico ad essi me stessa. Essi sono
nulla e quindi non hanno problemi; hanno già perso l’anima per-
ché sono Ideale vivo, Gesù Abbandonato vivo, cioè “l’Altro”, non
sé. Allora io posso comunicare tutto e traggo dall’intimo mio, cioè
dal Dio in me, quanto più posso. E la verità si svela, lo esigo dai
miei che siano perfetti come il Padre, che siano amore in atto e
non sopporto altro. Se sono diversi li abbandono togliendo loro
anche ciò che credono di avere. Come Gesù. L’Unità è Unità dun-
que ed un’anima sola deve vivere: la mia, cioè quella di Gesù fra
noi che è in me.
Queste focolarine che così agiscono sempre sono perfette. Esse
sono Gesù fra noi con me. Perché nulla si sono tenute (ed hanno
perso con l’anima anche le ispirazioni parziali), hanno tutto.
Siamo con ciò uno e quest’Uno vive in tutti.
Chi così non fa e vuol tenersi qualcosa è nulla28 .

Prima di iniziare un’analisi è doveroso ricordare due importanti anno-


tazioni fatte dall’Autrice stessa. La prima, all’affermazione «La mia Parola
contiene tutte quelle delle focolarine e dei focolarini», chiarisce subito
che il tipo di rapporto chiesto a quanti la seguono è quello che sempre

120 nu 233
fabio ciardi

intercorre tra i fondatori e i membri dell’opera da essi fondata: «Poiché


ogni Parola di Gesù è veramente tale perché contenuta nel suo testa-
mento, allora la Parola di ogni focolarina e focolarino deve perdersi nella
mia Parola, che è “ut omnes unum sint” (Gv 17, 21)». La seconda spiega in
che senso, nel comunicare la propria esperienza, «la verità si svela»: «La
verità si svela perché Gesù è in mezzo a noi». È un‘annotazione prezio-
sa perché fuga l’idea di un autoritarismo impositivo: la verità si comu-
nica proprio nel rapporto di comunione tra tutti i membri del Focolare,
da Gesù in mezzo che scaturisce dalla loro unità, nella quale tutti sono
corresponsabili e attivi.
Detto questo, per entrare pienamente nel significato del testo occorre
procedere prima di tutto a livello linguistico. Il linguaggio dei mistici, scri-
veva quasi un secolo fa Louis Massignon, «fa dimenticare la prigione delle
regole metriche e retoriche», poiché i loro scritti liberano «il pensiero dalle
regole sintattiche abituali»29. La loro simbologia, le figure retoriche, la cre-
azione di nuove parole o l’attribuzione ad esse di nuovi significati hanno
reso sempre arduo riportare i loro scritti negli alvei dell’ortodossia teolo-
gica. Michel de Certeau diceva che per non essere condannati dovettero
combattere «una guerra di cento anni sulla frontiera delle parole»30.
Anche in Chiara Lubich si ritrova un sorprendente uso delle parole. Il
testo in questione, ad esempio, domanda un attento studio sull’uso attri-
buito ai pronomi personali “io”, “tu”, “noi”.
È imprescindibile, al riguardo, partire dal momento iniziale dell’espe-
rienza da cui sono tratti i pronomi personali, quella del “patto d’unità” del
16 luglio 1949 tra lei e Igino Giordani31. In quella circostanza ella gli rivolge
le parole: «Tu conosci la mia vita: io sono niente. Voglio vivere, infatti,
come Gesù Abbandonato che si è completamente annullato. Anche tu sei
niente perché vivi nella stessa maniera».
“Io sono niente” è la prima definizione che la Lubich dà di se stessa
nel Paradiso ’49. Non dovremmo mai dimenticare questa chiave di let-
tura dell’“io” come “niente” riferito a se stessa prima che all’altro, e che
ritroviamo spesso lungo il testo. Così pure è necessario tener presente
che il suo è un “niente” pieno: l’annullamento infatti è accompagnato da
una similitudine forte: “come Gesù Abbandonato” 32 . Il passaggio succes-

nuova umanità 233 121


alla fonte del carisma dell’unità
Unità nel Paradiso ’49: alcune osservazioni metodologiche

sivo significativo e immediato è dall’io al tu: «io sono niente […] anche tu
sei niente»33 . Questa è la premessa del costituirsi di un soggetto plurale,
“noi” (composto dall’io di Chiara e dal tu di Giordani che si allarga al noi
composto dalle focolarine con loro), che nel testo è però spesso indicato
da un sostantivo singolare, “Anima” o “Claritas”: le molte “anime” costi-
tuiscono “un’anima sola”, sul modello della prima comunità cristiana di
Gerusalemme (cf. At 4, 32-25). La stessa Lubich annota: «Per la realtà
dell’Anima, in Paradiso “io” vuol sempre dire “noi”, immedesimati con
Cristo, quindi vuol dire anche l’unico Cristo»34. “L’unico Cristo” è a sua
volta una realtà che si apre al “plurale”:
Quando siamo uniti e Lui c’è, allora non siamo più due ma uno.
Infatti ciò che io dico non sono io a dirlo, ma io, Gesù e tu in me.
E quando tu parli non sei tu, ma tu, Gesù e io in te. Siamo un unico
Gesù e anche distinti: io (con te in me e Gesù), tu (con me in te e
Gesù), Gesù fra noi nel quale siamo io e te 35 .

E ciò è confermato anche dal ricorrere del sostantivo composto inedi-


to “Gesù-noi”, che troviamo in altre parti del Paradiso ’49.
Nel brano che stiamo analizzando la comparazione a Cristo è insi-
stentemente ribadita attraverso la ripetizione della similitudine tra “io” e
“Gesù”: «Io li sintetizzo tutti: sono il Capo, come Gesù»; «Anch’io, come
Gesù, debbo dir loro […]»; «Se sono diversi li abbandono togliendo loro
anche ciò che credono di avere. Come Gesù». È sottolineata dalle espres-
sioni «l’Unità è Unità dunque ed un’anima sola deve vivere: la mia, cioè
quella di Gesù fra noi che è in me»; «Queste focolarine […] sono Gesù
fra noi con me». L’uso della similitudine rende il paragone in termini non
di “fusione” (come farebbe la metafora), ma di accostamento di due ele-
menti distinti, in altre parole il “come” crea un legame e allo stesso tempo
preserva l’identità dei due termini36 .
Pare evidente che l’uso in Chiara dei pronomi io, me e noi è di tipo ca-
rismatico37. Questo suggerisce di leggere il testo nella prospettiva di un
rapporto di relazione-comunione, piuttosto che di obbedienza-comando.
Anche l’analisi dei campi semantici di appartenenza dei verbi utiliz-
zati in questo brano va nella stessa direzione: «La mia Parola contiene

122 nu 233
fabio ciardi

tutte quelle delle focolarine e dei focolarini»; «Io li sintetizzo tutti»; «de-
vono lasciarsi generare da me, comunicarsi con me»; «debbono nutrirsi
del Dio che vive nella mia anima». Il “me-Cristo plurale”, soggetto dell’a-
zione, appare come colui che contiene, genera, nutre, dà quindi la vita.
Assume in definitiva la fisionomia della madre. Data questa premessa,
anche i verbi “esigo”, “non sopporto”, e la frase «se sono diversi li abban-
dono togliendo loro anche ciò che credono di avere», sembrano esprime-
re l’azione generativa ed educativa di una madre, che vuole il bene del
figlio, piuttosto che l’esercizio di un potere38 .
Molto ricorrente è anche l’uso dei verba dicendi e delle parole rife-
ribili al campo semantico della comunicazione verbale, che assumono
un rilievo e un valore particolare. Nel testo troviamo “espressione”,
“comunicarsi”, “debbo dir loro”, “nulla d’amore che chiama l’amor mio”,
“mi apro e, parlando, comunico”, “io posso comunicare tutto e traggo
dall’intimo mio, cioè dal Dio in me, quanto più posso”, “la verità si sve-
la”. Nella prospettiva di Chiara “il dire è dare”, la parola – ossia la comu-
nicazione del carisma – è dono e “crea l’altro” in una relazione profonda
e generativa di realtà: è così che nasce ogni famiglia carismatica nella
Chiesa. Troviamo quindi in questi capoversi la richiesta esigente e allo
stesso tempo la totale radicalità del dono di sé, che lascia trasparire la
forza generativa della fondatrice di un’Opera, in questo senso irripeti-
bile e inimitabile.
In questa azione di dire-generare compiuta dal soggetto-Cristo-Cla-
ritas succede che quanto possiamo definire sintatticamente come
“complemento oggetto”, cioè la parte che subisce l’azione – ad esempio
in queste frasi la parte che sottolineiamo: «La mia Parola contiene tutte
quelle dei focolarini e delle focolarine»; «Io li sintetizzo tutti» –, viene
fatta a sua volta soggetto: «Queste focolarine sono Gesù fra noi con
me. […] Siamo con ciò uno e quest’Uno vive in tutti». Le focolarine e i
focolarini sono quindi anch’essi soggetto con Chiara, non subiscono ma
compiono l’azione con lei e sono essenziali per la sua stessa esperienza;
sono chiamati alla piena partecipazione al carisma, a una pienezza di
sé, non a una limitazione (o peggio sostituzione) della propria persona
con quella di Chiara39.

nuova umanità 233 123


alla fonte del carisma dell’unità
Unità nel Paradiso ’49: alcune osservazioni metodologiche

l’“io” della fondatrice

Accanto all’“io” personale di Chiara Lubich, con la sua individualità unica


e irrepetibile di donna trentina con una sua storia familiare e sociale e con
una sua particolare formazione; accanto all’“io” che fa, per grazia di Dio, una
inedita esperienza di trovarsi nel seno del Padre e di percorrere un itinera-
rio di conoscenza e di immedesimazione nelle realtà del paradiso; accanto
all’“io” che esperimenta il “noi” coinvolgente dell’anima una; vi è anche l’“io”
della fondatrice, mediatrice di un carisma generativo per la Chiesa, capace di
dare vita a un’opera che prenderà il volto del Movimento dei Focolari.
Questi diversi piani dell’io vanno distinti e nello stesso momento riman-
gono intrecciati tra di loro. L’analisi dei testi fondativi dovrà tenere conto
della ricchezza della sua identità, che invita a una grande prudenza nella
loro interpretazione per non confondere i diversi tipi di affermazioni.
Fondamentale – soprattutto per lo scritto in questione – è avere presen-
te l’“io” della portatrice insostituibile di un carisma. Se è vero che la Lubich
non concepisce la sua vita al di fuori di quello che è l’Anima, è altrettanto
vero che all’interno di questa Anima ella ha un ruolo unico: ne è il cuore, il
centro. È lei che “vede”, e grazie al fatto che comunica tutto, consente an-
che agli altri che fanno parte dell’Anima di vedere. «Questi misteri – scrive
ad esempio il 28 luglio 1949 – avvenivano in me, Chiara, ma, non appena
comunicati al resto dell’Anima, li avvertivamo comuni: solo che io sentivo
che il Cristo, che si andava formando in me, era – oltre il Cristo in me – il
Cristo Mistico che mi circondava nei miei fratelli ora un tutt’uno con me».
In questo “vedere” si esprime il dono unico del carisma.
Chiara è cosciente che il suo ruolo è irripetibile, e questa caratteristica
si riferisce anche alla sua persona:

Comprendo che Iddio ha dato a me sola la Luce dell’Unità e m’ha


mostrato – fino a farmi morire in un oceano di Luce (che raramente
è compresa da altri) – in tutta la sua vastità l’essere e la legge e la
vita dell’Universo: nella sua vastità e nei suoi particolari. Ora gli altri
l’avranno per partecipazione e cioè tanto quanto vi parteciperanno.

124 nu 233
fabio ciardi

E ciò dipende da me e da loro: io do loro la Claritas, come fece Gesù


(«e la luce che tu hai dato a me io l’ho data ad essi»), ed essi la
riceveranno se la vorranno. Certo è che la Sapienza è di chi la ama
e perciò la desidera40 .

Il modo in cui i focolarini, e in generale coloro che appartengono al Mo-


vimento dei Focolari, vivono il carisma è quello della “partecipazione” alla
fonte. Questa fonte è, inseparabilmente, la persona di Chiara e il carisma
che Dio le ha dato. In questo senso può essere capita un’espressione come
la seguente: «Le focolarine e i focolarini, parlando e vivendo, testimoniano
me: la Luce che Dio mi ha dato»41. In questa frase si esprime l’inseparabilità
tra carisma e persona, ma non va capito certamente come meccanismo
psicologico di una “sostituzione” della personalità del focolarino con quella
di Chiara, di una negazione della pluriformità dei doni, dei caratteri e delle
personalità42.
Esso va riferito esclusivamente a Chiara in quanto fonte del carisma.
Esprime il fatto che ogni partecipazione al carisma, nel periodo di fonda-
zione e anche dopo, passa per la sua persona. Rimane sempre una parteci-
pazione libera: «La riceveranno [la luce] se la vorranno».

l’analogia con altri fondatori

È un percorso che troviamo in tutte le fondazioni e nel rapporto tra fon-


datori e discepoli, al quale sarà utile fare brevi riferimenti. La contestualiz-
zazione storica è un importante criterio per lo studio dei mistici.
Di sant’Ignazio di Loyola, Gonzales de Camara affermava ad esempio
che «Nostro Signore ce lo ha dato come esempio e capo di questo corpo
mistico di cui noi siamo tutti membra»43.
Il giovane Salmeron applica ad Ignazio, come era già stato fatto per i
fondatori precedenti, la parola di Paolo sulla paternità, immagine che, nello
scritto con il quale lo vota per l’elezione a preposito generale, si fonde con
quella del buon Pastore:

nuova umanità 233 125


alla fonte del carisma dell’unità
Unità nel Paradiso ’49: alcune osservazioni metodologiche

Eleggo e proclamo come prelato e superiore per me e di tutta la


Compagnia, don Ignazio di Loyola che, conforme alla sapienza da-
tagli da Dio, come egli ci ha tutti generati in Cristo e ci ha nutriti,
piccoli, di latte, così ora fatti adulti in Cristo, col solido nutrimen-
to dell’obbedienza ci condurrà e dirigerà ai fertili e ubertosissimi
campi del paradiso e alla fonte della vita, affinché quando egli
ridarà a Cristo Gesù, grande pastore, questo piccolo gregge, con
verità noi diremo: anche noi siamo popolo dei suoi pascoli e pecore
della sua mano; ed egli lietamente dica: Signore, di quelli che mi hai
dato non ho perduto nessuno. E questo si degni di concederlo a noi
lo stesso buon Pastore Gesù44 .

Una confidenza fatta da Ignazio a Lainez ci fa intravedere come in lui


stesso fosse chiara la coscienza di essere all’origine della propria opera
e della conseguente posizione che egli assume nei confronti dei membri
della Compagnia: «Contavami di sé il Padre nostro, che quando Dio elegge
uno per fondamento di religione, lo guida per quel modo col quale vuol che
egli guidi gli altri»45.
Questa particolare cura delle persone e della vita della Compagnia ai
più appariva dolce e amorosa, ad altri, come a Bobadilla, addirittura ti-
rannica46, ad altri ancora, come al papa Paolo IV, dava l’impressione che
legasse talmente i Gesuiti al loro fondatore da renderli quasi fanatici nei
suoi confronti, fino a considerarlo un idolo47. Non sempre i fondatori sono
compresi.
L’alto concetto della maternità – ecco un altro esempio di fondatrice
– è espresso con altrettanta chiarezza da Angela Merici: Gesù Cristo «mi
ha eletta di esser matre et viva et morta di cosi nobel compagnia»48. Nei
Ricordi aveva spiegato che, proprio perché Dio l’ha «eleta di esser madre»,
ne segue che le ha dato anche la «gratia per poterle governare secondo la
volunta sua», per cui ella arriva a dire, con piena coscienza del proprio ruo-
lo di fondatrice, che «obedendo a mi, obedireti a Iesu Christo»49.
Un ulteriore esempio, tra i molti che potremmo ricordare, ci è offerto
da don Giaccardo, uno dei compagni del beato Giacomo Alberione, che
descrive i sentimenti che animavano i componenti della Famiglia Paolina
nel giorno della professione dei suoi primi membri: «La nostra vita era e

126 nu 233
fabio ciardi

sentiva d’essere una sola. Noi tra noi: noi col Padre, uniti, cementati, non
alunni di una scuola ma membra di un solo organismo, pietre vive edificate
di un maestoso edificio»50.
Quando don Alberione prospettava ai suoi giovani il proprio ideale
chiedeva che tutti fossero «ben uniti di mente e di cuore» con lui, che si
ponessero «totalmente» nelle sue mani, senza avere «altra volontà che la
sua». Si trattava, come annota ancora don Giaccardo appuntando quello
che diceva loro don Alberione, di «lasciarsi balottare come il suo fazzolet-
to, perfetta sincerità, totale, fiduciosa; prender tutto lo spirito che egli ci
comunica: nelle sue mani anima, corpo, cuore, spirito, tutto. Pochi, anche
uno solo, ma nelle sue mani, e formati»51. E ancora: «Si mettano unicamen-
te nelle mie mani, mi seguano, anche nelle zappe»52; «Ci vuole l’unione per-
fetta di anima e di cuore con me»53.
Di fatto ogni fondatore e fondatrice è uno strumento di Dio, un cana-
le per partecipare la sua grazia. Tutti ne erano consapevoli. Santa Teresa
di Calcutta diceva di sé: «Sono come una piccola matita nelle Sue mani,
nient’altro. È Lui che pensa. È Lui che scrive. La matita non ha nulla a che
fare con tutto questo. La matita deve solo poter essere usata». Era stato
Dio a scrivere la meravigliosa storia della sua santità, disegnare le famiglie
religiose da lei fondate e l’opera immensa di carità che dall’India si è irra-
diata nel mondo intero.
Similmente Chiara Lubich, sua carissima amica, si riteneva semplice
strumento di Dio:

La penna – diceva – non sa quello che dovrà scrivere. Il pennello non


sa quello che dovrà dipingere. Lo scalpello non sa ciò che dovrà scol-
pire. Così, quando Dio prende in mano una creatura, per far sorgere
nella Chiesa qualche sua opera, la persona non sa quello che dovrà
fare. È uno strumento. E questo, penso, può essere il caso mio54 .

Ognuno è libero di seguire la propria strada, ma chi vuole essere par-


tecipe della spiritualità e del carisma di un fondatore dovrà seguirlo fino in
fondo nell’esperienza che lo Spirito ha dato a lui di compiere.
Non si possono comunque applicare, senza dovuta mediazione, le
espressioni che parlano del ruolo carismatico insostituibile di un fonda-

nuova umanità 233 127


alla fonte del carisma dell’unità
Unità nel Paradiso ’49: alcune osservazioni metodologiche

tore, Lubich compresa, alle relazioni all’interno delle loro opere. Nessuno,
neppure le persone che succedono loro alla guida delle opere, può pre-
tendere di riferire a sé e di ripetere per sé le parole o le azioni che valgono
soltanto per il fondatore, portatore del carisma.

la dinamica dell’unità e della distinzione

Possiamo ora tornare a leggere il testo della Lubich del 23 novembre


1950. L’unità è intesa come esperienza dell’intera comunità e insieme delle
singole anime che vi partecipano. “Farsi nulla”, ossia entrare nella dinamica
del donarsi totalmente, comporta ricevere tutto da Dio ed è esperienza di
tutti: «Perché nulla si sono tenute (ed hanno perso con l’anima anche le
ispirazioni parziali), hanno tutto».
Se l’incipit del testo è incentrato sulla persona di Chiara come espres-
sione della Parola – il carisma –, la conclusione non è una partecipazione
passiva degli altri all’interiorità della sua persona o a una unità di sudditan-
za verso di lei, ma l’attuazione dell’unità in ognuno: «Siamo con ciò uno e
quest’Uno vive in tutti».
Il primo “uno” è minuscolo, e può essere interpretato come la relazione
di amore e di unità attuata tra le persone grazie al totale dono reciproco
di sé, ma questo è solo la premessa del divenire tabernacoli in cui l’“Uno”
(maiuscolo) può vivere. Attuare in sé il nulla di Gesù abbandonato non è
per restare in quell’annientamento, ma per uscirne pienamente risorti, è
vivere «il vuoto di sé per essere Dio»55, non dunque mortificazione della
propria personalità, ma piena e autentica attuazione in essa.
In tal senso è esplicito un breve testo del’8 novembre 1950 che precede
di poco quello in analisi e che è chiave di lettura del “progetto” di Dio su
Chiara e del suo “carisma”, visto alla luce del “progetto” e del “carisma” di
ogni persona:

Oggi compresi che ognuno di noi è insostituibile nel nostro posto.


Fummo chiamati da Dio ad essere Lui, non ad essere semplici focola-
rini; ad essere quindi Parole di vita vive. E la chiamata di Dio Padre è

128 nu 233
fabio ciardi

irrevocabile come il Figlio. Siamo necessari a Dio di necessità d’amo-


re. Noi crediamo all’amore di Dio a tal punto da credere che Egli ha
bisogno di noi per il suo disegno d’amore.

Non dunque l’idea di costruire un gruppo chiuso, la riduzione a un mo-


dello uniformante, ma un gruppo aperto, nella plurivocità e policentricità,
in cui ognuno esprime, come parte, il tutto, in una comunione e in una unità
in cui non vi è né l’eliminazione della distinzione, né l’assolutizzazione della
differenza e l’isolamento, ma il reciproco e continuo richiamarsi dell’uno
nell’altro e di tutti nell’unità vissuta come presenza dell’uno e dell’altro.
C’è un gioco relazionale che rovescia la prospettiva che vede il “suddi-
to” attuare la volontà e la personalità di chi ha un ruolo di autorità e respon-
sabilità; qui ognuno è l’espressione di tutti essendo se stesso in relazione
profonda con tutti gli altri e con chi rappresenta l’unità dell’insieme.

il modello trinitario

Per una visione completa ed equilibrata della concezione che Chiara ha


dell’unità occorrerebbe la lettura dell’intera sua opera. Entreremmo così
più addentro nella sua comprensione cristologica e trinitaria dell’unità:
Gesù in mezzo unifica e distingue, così come i rapporti tra le divine Persone
fondano e modellano i rapporti umani.
Basterebbe comunque riferirsi ai testi del Paradiso ’49 reperibili nella
raccolta di testi di Chiara Lubich La dottrina spirituale 56, che illustrano la sua
ampia visione dell’unità, sempre articolata nella diversità e nella persona-
lizzazione che opera in ciascuno57.
Uno scritto particolarmente illuminante sulla dimensione cristologi-
ca dell’unità è ad esempio Resurrezione di Roma, dell’ottobre 1949, ove è
tematizzata la presenza di Gesù in mezzo come relazione tra due (e più)
persone: «Allora veramente Cristo intero rivive in ambedue e in ciascuno
e fra noi»58.
Sull’analogia trinitaria, al 28 ottobre 1949 leggiamo ad esempio: «E
quando due anime s’incontrano sono due Cieli che s’uniscono e danno alle

nuova umanità 233 129


alla fonte del carisma dell’unità
Unità nel Paradiso ’49: alcune osservazioni metodologiche

due anime gioia e pace e serenità e luce e ardore “alla Trinità” (ossia un
modo di essere che rispecchia la Trinità)»59.
La distinzione e la ricchezza della diversità delle persone che, sempre
sul modello trinitario, le rende “desiderabili e amabili”, era già apparsa il 15
ottobre 1949:

[Dio] non illuminò due anime ugualmente – come i Tre nella Trinità
non sono uguali ma Persone distinte – ed a ciascuna diede la sua
bellezza perché fossero desiderabili ed amabili dalle altre e nell’a-
more (che era la sostanza comune nella quale si riconoscevano uno
e sé stesse in ciascun’altra) si ricomponessero all’Uno che le aveva
ricreate con la sua Luce che è Se stesso60 .

Il paradigma trinitario è nuovamente presente con limpidezza il 27 mar-


zo 1950:

Quanto più ci consumeremo in uno, tanto più acquisteremo la vir-


tù dell’altro («omnia mea tua sunt»), in modo che saremo tutti uno,
ciascuno l’altro, ognuno Gesù. Saremo tante persone uguali, ma
distinte, perché le virtù in noi saranno rivestite dalla virtù caratte-
ristica che formerà la nostra personalità.
Rispecchieremo la Trinità dove il Padre è distinto dal Figlio e dallo
Spirito, pur contenendo in Sé Figlio e Spirito.
Uguale quindi allo Spirito, che contiene in Sé e Padre e Figlio, e al
Figlio che contiene in Sé e Padre e Spirito Santo61 .

Sono soltanto alcuni dei molteplici esempi della ricchezza della com-
prensione che Chiara Lubich mostra di possedere. Questa ricca compren-
sione ha fatto dire al carmelitano Jesús Castellano Cervera, riconosciuto
esperto della spiritualità cristiana, che «questa spiritualità dell’unità por-
ta una novità nella vita cristiana, nell’ascesi, nell’apostolato, nella stessa
mistica. […] Una novità verificata nelle esigenze di vita nuova e nei frutti
prodotti»62 .

130 nu 233
fabio ciardi

1
C. Lubich, L’unità e Gesù Abbandonato, Città Nuova, Roma 1984, p. 26.
2
Silvia Lubich nasce a Trento il 22 gennaio 1920. Da ragazza entra a far parte
dell’Azione cattolica, dove viene formata come propagandista. Pur essendo consi-
derata a quel tempo ancora minorenne, le vengono assegnati compiti di responsa-
bilità. Più tardi, nel 1942-1943, entra nel Terz’Ordine francescano cappuccino diven-
tando ben presto maestra delle novizie. Attratta dalla scelta radicale di Dio fatta da
Chiara d’Assisi, ne prende il nome. Il 7 dicembre 1943, giorno della consacrazione
di Chiara Lubich a Dio, è considerato data di nascita del Movimento dei Focolari
(Opera di Maria). Approvato a livello diocesano nel 1947 dall’arcivescovo di Trento,
monsignor Carlo De Ferrari, il Movimento sarà negli anni successivi studiato dal
Sant’Uffizio. Nel marzo 1962 riceverà da Giovanni XXIII una prima approvazione
ad experimentum; quella definitiva sarà data da Paolo VI nel dicembre 1964. L’ulti-
ma approvazione della revisione e dell’aggiornamento degli Statuti generali è del
2007. Oltre che fondatrice del Movimento dei Focolari, Chiara Lubich ne sarà anche
presidente dal settembre 1965 fino alla morte, avvenuta il 14 marzo 2008. Per una
bibliografia completa degli scritti di Chiara Lubich e di pubblicazioni sulla spiritualità
e sulla storia del Movimento dei Focolari cf. http://www.centrochiaralubich.org. Per
gli elementi storico-biografici segnalo in particolare: C. Lubich, Il grido, Città Nuova,
Roma 2000; A. Torno, PortarTi il mondo fra le braccia. Vita di Chiara Lubich, Città Nuo-
va, Roma 2011; N. Carella, Silvia prima di Chiara. La ricerca di una strada, Città Nuova,
Roma 2014; L. Abignente, “Qui c’è il dito di Dio”. Carlo De Ferrari e Chiara Lubich: il
discernimento di un carisma, Città Nuova, Roma 2017; C. Lubich - F. Zambonini, L’av-
ventura dell’unità, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo 1991.
3
C. Lubich, L’unità e Gesù Abbandonato, cit., p. 27.
4
Ibid., pp. 26-27.
5
Ibid., p. 28.
6
Cf. A. Leonardi (ed.), Comunione e innovazione sociale. Il contributo di Chiara Lu-
bich, Città Nuova - Università degli studi di Trento, Roma 2012; L’apport des Focolari
dans l’église et dans la societé, Actes du colloque, Institut Catholique de Paris, 4 juin
2014; J.P. Back, Il contributo del Movimento dei Focolari alla koinonia ecumenica. Una
spiritualità del nostro tempo al servizio dell’unità, Città Nuova, Roma 1988; R. Catala-
no, Spiritualità di comunione e dialogo interreligioso. L’esperienza di Chiara Lubich e del
Movimento dei Focolari, Città Nuova, Roma 2010.
7
C. Lubich, L’unità e Gesù Abbandonato, cit., p. 52.
8
Lo spessore della “medaglia” è dato dall’intero vangelo. L’unità e Gesù abban-
donato non sono due dimensioni parziali del mistero cristiano, ma una sua espres-
sione, una lettura carismatica di tutto vangelo, come lo è ogni spiritualità. C. Lubich,
L’unità e Gesù Abbandonato, cit., pp. 50-51. L’affermazione è tratta da una lettera di
Chiara Lubich a padre Bonaventura da Malé, 30 marzo 1948, pubblicata in C. Lubich,

nuova umanità 233 131


alla fonte del carisma dell’unità
Unità nel Paradiso ’49: alcune osservazioni metodologiche

Lettere dei primi tempi (1943-1949). Alle origini di una nuova spiritualità (F. Gillet - G.
D’Alessandro edd.), Città Nuova, Roma 2010, p. 149.
9
Cf. B. Callebaut, Tradition, charisme et prophétie dans le Mouvement Internatio-
nal des Focolari (1943-1965). Analyse sociologique, Nouvelle Cité, Bruyères-le-Châtel
2010; P. Siniscalco - X. Toscani (edd.), Paolo VI e Chiara Lubich. La profezia di una
Chiesa che si fa dialogo, Edizioni Studium, Brescia-Roma 2015; L. Abignente, “Qui c’è
il dito di Dio”. Carlo De Ferrari e Chiara Lubich: il discernimento di un carisma, cit.
10
Giovanni Paolo II, Novo millennio ineunte, 43.
11
In «L’Osservatore Romano», 15 febbraio 2001, cf. H. Blaumeiser - H. Sievers,
Chiesa-Comunione. Paolo VI e Giovanni Paolo II ai Vescovi amici del Movimento dei Foco-
lari, Città Nuova, Roma 2002, p. 87.
12
«La “spiritualità di comunione” si articola in diversi elementi, che affondano
le proprie radici nel Vangelo, e risultano arricchiti dal contributo che all’intera Co-
munità cristiana offre il Movimento dei Focolari, impegnato a testimoniare la “spi-
ritualità dell’unità”. Tra gli altri, mi piace qui ricordare l’unità come “testamento”
lasciato da Gesù ai suoi discepoli (cf. Gv 17), il mistero di Cristo crocifisso e abban-
donato come “via” per raggiungerla, la celebrazione dell’Eucaristia come vincolo di
comunione, l’azione dello Spirito Santo che anima la vita del Corpo mistico di Cristo
e ne unifica le membra, la presenza della Vergine Maria, Madre dell’unità, che tutti
ci conduce a Cristo» (Giovanni Paolo II, Discorso ai Vescovi amici del Movimento dei
Focolari, in «L’Osservatore Romano», 14 febbraio 2003). In questo testo il papa ha
ripreso l’enumerazione dei “punti della spiritualità” enunciati da Chiara Lubich negli
Statuti dell’Opera di Maria, artt. 7-9.
13
Cf. Teologia e carisma dell‘unità, numero monografico, «Nuova Umanità», 132
(2000/6); G. Rossé, Santità e santificazione negli scritti di Chiara Lubich alla luce di
san Paolo, in «Nuova Umanità», 111/112 (1997/3-4), pp. 377-386; Id., La spiritualità
“collettiva” di Chiara Lubich nella luce di Paolo, in «Nuova Umanità», 107 (1996/5), pp.
535-543; Id., Il «carisma dell‘unità» alla luce dell‘esperienza mistica di Chiara Lubich, in
«Nuova Umanità», 127 (2000/1), pp. 21-34.
14
Cf. C. Lubich, L’unità (D. Falmi - F. Gillet edd.), Città Nuova, Roma 2015.
15
Su questi primi due aspetti si veda, ad esempio, quanto Chiara Lubich afferma
in una conversazione rivolta a un gruppo di vescovi: «L’unità è una grazia che Gesù
ha chiesto al Padre: “Padre, che siano uno come io e te. Io in essi e tu in me, affinché
siano uno” (cf. Gv 17, 21-23). E, se è una grazia, non la si può procurare con i nostri
sforzi. Dobbiamo solo disporci in modo da poterla ricevere: amandoci a vicenda
come Gesù ci ha amato. E qui vorrei sottolineare che quel “come” significa: con la
misura dell’abbandono. Gesù, infatti, ha amato così e fino a quel punto. Non basta,
quindi, amarsi in qualche modo, ad esempio con una buona intesa fra amici, o con
benevolenza; occorre quel distacco materiale e spirituale da ambo le parti, neces-

132 nu 233
fabio ciardi

sario per poter “farsi uno” reciprocamente. Così facendo, ci si pone nella miglior di-
sposizione per ottenere la grazia dell’unità» (C. Lubich, Una via nuova. La spiritualità
dell’unità, Città Nuova, Roma 2002, p. 46).
16
Cf. Id., Gesù abbandonato, Città Nuova, Roma 2016; G. Rossé, Jésus abandonné.
Approches du mystère, Nouvelle Cité, Paris 1983; P. Anna, L’abbandono di Gesù e il mi-
stero del Dio Uno e Trino. Un’interpretazione teologica del nuovo orizzonte di comprensione
aperto da Chiara Lubich, Città Nuova, Roma 1995; S. Tobler, “Das ganze Evangelium ist
in jenem Schrei enthalten”. Spiritualität zwischen Gottverlassenheit und Einheit: das Werk
Chiara Lubichs und die gegenwärtige Sprachnot in der Soteriologie, Habilitation, Tübingen
2001 (traduzione italiana: Tutto il Vangelo in quel grido. Gesù abbandonato nei testi di
Chiara Lubich, Città Nuova, Roma 2009); F. Gillet, La scelta di Gesù abbandonato nella
prospettiva teologica di Chiara Lubich, Città Nuova, Roma 2009.
17
Cf. H. Blaumeiser - H. Sievers, Chiesa-Comunione. Paolo VI e Giovanni Paolo II ai
Vescovi amici del Movimento dei Focolari, cit.; AA.VV., Egli è vivo! La presenza del Risorto
nella comunità cristiana, Città Nuova, Roma 2006; J. Castellano Cervera, Il castello este-
riore. Il “nuovo” nella spiritualità di Chiara Lubich (F. Ciardi ed.), Città Nuova, Roma 2011.
18
Cf. C. Lubich, “Paradiso ’49”, in «Nuova Umanità», 177 (2008/3), pp. 285-296.
19
Cf. AA.VV., Il Patto del ’49 nell’esperienza di Chiara Lubich. Percorsi interdiscipli-
nari, Città Nuova, Roma 2012.
20
AA.VV., Guardare tutti i fiori, Città Nuova, Roma 2014.
21
H. Blaumeiser - A.M. Rossi (edd.), Resurrezione di Roma. Dialoghi interdisci-
plinari su città, persona e relazioni a partire da un testo di Chiara Lubich, Città Nuova,
Roma 2017.
22
L’espressione «perdere Dio in sé per Dio nei fratelli» è caratteristica della
spiritualità dell’unità. Essa rimanda alla necessità di essere staccati da tutto, anche
dalla propria esperienza di Dio, per potere farsi uno con il fratello sul modello di
Gesù che «pur essendo di natura divina, […] spogliò se stesso» (Fil 2, 6-7) per farsi
uno con noi.
23
Il testo di Chiara Lubich, del 6 novembre 1949, è pubblicato integralmente in
Guardare tutti i fiori, cit., pp. 9-13.
24
In un recente libro, De l’emprise à la liberté, è stata proposta una lettura di
alcuni brani ancora inediti tratti dal Paradiso ’49, nei quali gli autori riscontrano “ele-
menti problematici, devianti” riguardo alla visione dell’unità proposta da Chiara
Lubich. «La grande domanda – si legge all’inizio del capitolo di analisi dottrinale,
La conception de l’“unité” chez Chiara Lubich – è sapere se questa unità è pensata da
Chiara Lubich in maniera adeguata, fedele al vangelo, o se la sua idea di unità pre-
senta elementi problematici, devianti, con conseguenze importanti a livello del Mo-
vimento dei Focolari e a livello della Chiesa» (tutte le traduzioni dal francese sono
a cra dall'Autore). L’analisi degli scritti di Chiara Lubich è collocata all’interno di uno

nuova umanità 233 133


alla fonte del carisma dell’unità
Unità nel Paradiso ’49: alcune osservazioni metodologiche

studio condotto a più voci (ben ventuno persone prendono la parola) sulle derive
settarie in seno a tre movimenti contemporanei: Opus Dei, Focolari, Legionari di
Cristo.
25
Cf. P. Loriga - M. Zanzucchi (edd.), La scommessa di Emmaus. Cosa fanno e cosa
pensano i focolarini nel dopo Chiara Lubich, Città Nuova, Roma 2012; J. Morán, Fedeltà
creativa, la sfida dell’attualizzazione di un carisma, Città Nuova, Roma 2017.
26
Il testo è quello a cui si fa riferimento nel già citato libro De l’emprise à la liberté
che in una versione lo riporta non nella sua versione originale. I limiti del presente con-
tributo non consentono di analizzare gli altri due testi riportati nello studio in esame.
27
Questa frase, «sono il Capo, come Gesù o come Maria (del proprio Corpo Mi-
stico)», è stata omessa nel testo citato nel libro De l’emprise à la liberté. L’immagine
analogica di una famiglia religiosa come “corpo” di cui il fondatore o la fondatrice
sono il “capo” ha altri esempi nella storia della vita consacrata.
28
Paradiso ’49, 23 novembre 1950, testo inedito.
29
L. Massignon, L’espérience mystique et les modes de stylisation littéraires, in «Le
Roseau d’Or. Œuvres et Chroniques», 20, 1927, p. 145.
30
M. de Certeau, La fable mystique, Gallimard, Paris 1982, p. 150.
31
Quell’evento è stato attentamente studiato. Cf. AA.VV., Il Patto del ’49 nell’e-
sperienza di Chiara Lubich. Percorsi interdisciplinari, cit.
32
A mano a mano che progredirà l’esperienza del “Paradiso” e l’unione mistica,
non soltanto non verrà meno questa coscienza del proprio nulla, ma renderà Chiara
ancora più cosciente dell’alterità infinita di Dio e quindi della propria nullità. Proprio per
questo ella non avrà timore di usare, anche nei confronti della propria persona, termini
arditi e di parlare con una grande autorità. È escluso ogni equivoco: l’io individuale di
Chiara non si confonde con l’Io divino, è trasparente per essere canale per qualcosa
di infinitamente più grande. Come un profeta, nella tradizione biblica, non dice parole
sue, ma quelle di Dio, così lei non esprime niente di proprio, ma soltanto l’Altro.
33
L’idea del “nulla” personale è molto ricca nel pensiero di Chiara. Rimando a due
miei studi: Sul nulla di noi, tu, in «Nuova Umanità», 116 (1998/2), pp. 233-251; Come
vivere il “nulla-tutto” dell’amore, in «Nuova Umanità», 188 (2010/2), pp. 185-215.
34
Così annota un testo del 26 agosto 1949 del Paradiso ’49. Amava anche ricor-
dare un testo di Agostino: «La tua anima non è più tua, ma di tutti i fratelli e le loro
anime sono tue, o meglio, le loro anime insieme alla tua non sono più che un’anima
sola, l’unica anima di Cristo» (Lettera 243, 4: Opere, Le Lettere, III, p. 825.)
35
Così in un altro testo del Paradiso ’49 scritto pochi mesi prima di quello in esame:
C. Lubich, Vita Trinitaria, in «Nuova Umanità», 140-141 (2002/2-3), pp. 136-137.
36
Cf. A.M. Rossi, L’uso della similitudine in Paradiso ’49 [1961], in AA.VV., Come
frecciate di luce. Itinerari linguistici e letterari nel racconto del ’49 di Chiara Lubich, Città
Nuova, Roma 2013, pp. 99-112.

134 nu 233
fabio ciardi

37
Cf. le osservazioni di Maria Caterina Atzori nel saggio La creatività linguistica
di Chiara Lubich: dentro e oltre la lingua italiana, in AA.VV., Il dire è dare. La parola
come dono e relazione nel pensiero di Chiara Lubich, CNx, Roma 2017, pp. 91-102: in
particolare pp. 96-99.
38
Come non ricordare, pur per una lontana analogia, l’azione di Paolo nei con-
fronti di un fratello con cui si devono interrompere i rapporti (cf. 2 Ts 3, 14), o che
addirittura viene “consegnato a Satana” (cf. 1 Cor 5, 1-5)?
39
Occorre inoltre collocare questa esperienza nel suo giusto contesto stori-
co. Il gruppo di persone che fanno l’esperienza descritta nel Paradiso ’49 è davvero
eterogeneo: le prime focolarine sono personalità molto diverse tra loro, piuttosto
stagliate e uniche. Se proiettiamo a quel tempo la visione dell’unità, non ben intesa,
come di uniformità, potremmo immaginare che fosse per loro davvero un tormento
vivere questo “essere uno”. Mentre invece appaiono persone felici di vivere questa
esperienza insieme. Chiara non si sarà quindi preoccupata di usare un linguaggio
cauto, che evitasse fraintendimenti, perché era già evidente dalla realtà vissuta tra
tutti che la loro esperienza era di amore e di gioia. Lo testimoniano le numerose
autobiografie di quelle prime compagne e di quei primi compagni, a cominciare da
Igino Giordani, pubblicate in diverse lingue.
40
Paradiso ’49, 1 ottobre 1949.
41
Paradiso ’49, 8 novembre 1950.
42
Proprio nel periodo nel quale scrive questi testi, Chiara Lubich parla dei ruoli
distinti che si stagliano all’interno del suo Movimento nascente, mettendo in evi-
denza e valorizzando la diversità dei doni tra coloro che formavano con lei il primo
nucleo, organizzando già l’Opera che si svilupperà negli anni in forma plurale.
43
Memoriale, FN, I, 528; cf. FN, III, 615.
44
Testo riportato da Guidetti, Introduzione, in M. Gioia (ed.), Gli scritti di Ignazio
di Loyola, UTET, Torino 1977, p. 252.
45
Adhortationes in Librum examinis, FN, II, 137.
46
In un memoriale inviato a Paolo IV egli si lamentava dell’operato di Ignazio in
questi termini: «La Bolla d’instituzione della nostra Compagnia ordina che le costi-
tuzioni e declarazioni le facciano i primi dieci fondatori; e nientedimeno le ha fatte
solo M. Ignazio, perché era padre e padrone assoluto e faceva quanto voleva» (testo
citato in P. Tacchi Venturi, Storia della Compagnia di Gesù in Italia, Civiltà Cattolica,
Roma 1922, vol. II, parte II, p. 543).
47
Ecco il passo di Nadal nel quale è espresso il pensiero di Paolo IV sul rapporto
tra Ignazio e i suoi religiosi: «Occorrebat quod dixerit [Paulus IV] post obitum Patris
[Ignatii] nos amisisse nostrum idolum» (Ibid., p. 69, nota 1).
48
Terzo Precetto, in T. Ledóchowska, Angèle Meriti et la Compagnie de S.te-Ursole
à la lumière de ses documents, Roma 1976, I, p. 263.

nuova umanità 233 135


alla fonte del carisma dell’unità
Unità nel Paradiso ’49: alcune osservazioni metodologiche

49
141 Testamento, in ibid., I, p. 276.
50
Citato da L. Rolfo, Don Alberione, San Paolo, Alba 1975, p. 113.
51
Appunti di don Giaccardo, in ibid., p. 109.
52
Ibid., p. 111.
53
Ibid., p. 119. Tanto che il biografo annota: «L’abbandono totale nelle mani d’un
uomo è una grande sicurezza, ma anche un pericoloso tallone d’Achille. È vero che
l’unione fa la forza e che la docilità attira la benedizione di Dio in cui tutto e contenu-
to. Ma è anche vero che la tendenza all’accentramento, specie negli uomini che han-
no avuto successo nella vita, non si attenua col passare degli anni, ma si accentua
e si esaspera a misura che le capacità inventive e le energie fisiche vengono meno»
(ibid., p. 111).
54
Discorso di Chiara Lubich al XIX Congresso eucaristico nazionale, Pescara, 15
settembre 1977, in C. Lubich, L’attrattiva del tempo moderno, Scritti spirituali. 1, Città
Nuova, Roma 1978, p. 9.
55
Così nell’immediata continuazione del testo in esame, frase che non appare
nello scritto citato nel contributo pubblicato nel libro.
56
C. Lubich, La dottrina spirituale (M. Vandeleene ed.), Arnoldo Mondadori,
Milano 2001; Id., La dottrina spirituale, nuova edizione aggiornata e ampliata (M.
Vandeleene ed.), Città Nuova, Roma 2006.
57
Cf. il numero monografico di «Nuova Umanità», 140-141 (2002/2-3), La Trini-
tà – Esperienza di Dio.
58
C. Lubich, La dottrina spirituale (Città Nuova), cit., pp. 254-258, qui p. 256.
59
Ibid., p. 169.
60
Testo inedito, citato da A. Pelli, Dal Patto, l’anima. Sulle tracce di un percorso
metafisico, in «Nuova Umanità», 204 (2012/6), p. 714.
61
C. Lubich, La dottrina spirituale (Città Nuova), cit., p. 170.
62
Introduzione a C. Lubich, L’unità e Gesù Abbandonato, cit., pp. 13-14.

136 nu 233
alla fonte del carisma dell’unità

Storia di Light. 17
Il ritorno nel mondo

Via via che ci si avvicina all’Assunta – e cioè alla


festa centrale della regina – l’afflusso dei cittadini au-
menta [in Mariapoli]. Alcuni arrivano di notte alle 22,
Igino alle 24… E là opera la taumaturga locandiera, ché a
un’ora in cui tutti dormono (la Mariapoli rientra in casa
Giordani alle 22, lasciando per le strade i villeggianti costretti a
sostare nei caffè per dare a credere che gustano i mia-
(1894-1980)
confondatore golii dell’ultimo jazz o a passeggiare per le strade sature
del movimento di umidità distillata dai nevai circonvicini per far pren-
dei focolari. dere aria ai pantaloni delle pulzelle, obbligate a far la
scrittore, villeggiatura), a quell’ora dunque non è facile trovare un
giornalista e
letto, quando già un terzo della popolazione dorme sui
parlamentare
della repubblica materassi, locati sui pavimenti, per le scale, e, come per
italiana. Natalia, in soffitta, dove da tegole sconnesse e canali
sbrecciati oltre che dagli abbaini senza vetri entra l’a-
ria così salubre per l’igiene e la cultura dei raffreddori.
Eppure la carità obbliga a trovare giacigli per chiunque
arriva: e si va nelle scuole intasate, nelle pensioni ricol-
me, dovunque i mariapoliti o dormono o si accingono a
dormire e si chiede di dare un angolo, con una coperta
o magari un materasso… e aumentando la popolazione
aumenta la gioia. E allora si capisce meglio la Madonna
pellegrina, che dovunque la si conduce, sta a casa sua, e
sorride, pur tra le lagrime della immagine di monsignor
Musumeci1, mariapolita fedele.
La popolazione così cresce e tutta si sistema, non
si sa come. Per questo il tempo, di giorno in giorno,

nuova umanità 233 137


alla fonte del carisma dell’unità
Storia di Light. 17

quest’anno si fa più accigliato e ogni tanto brontola, scaricando, da agglo-


meramenti di nuvole tra le cime, barriti e piogge… Ma persino meridionali
tutti fuoco e perciò non fatti per il freddo, come quelli dell’Iraq e del Lazio,
preferiscono dormire d’agosto con sei coperte e circolare con barracani
complicati, anziché abbandonare queste pendici, dove pare circolano an-
geli in sembianze umane.
Circolare per la città vuol dire spesso star fermi per le strade: ché ogni
mariapolita ti saluta e viene a far festa, e a dirti che lui non si sognava che
esistesse questa vita qui. Più di uno è capitato a caso, e ha scoperto la gioia
come nelle favole, per un’avventura divina. E le persone che si incontrano si
scambiano l’anima; non esistono più confini, se professore o dottore, parli
con l’operaio di Crema e l’ex attivista di Pescasseroli, come con persona di
famiglia, ma di una famiglia dove si vive tutti per uno e uno per tutti.
Donde il dolore della separazione, quando si ha da tornare al lavoro, che
è come calare dal cielo in terra. Ma un calare col cuore di Gesù: e cioè con
amore e per amore dei fratelli, con l’animo di dare per essi anche la vita.
Molti tornano mutati: erano magari atei, peccatori, materialisti, acat-
tolici, separati coniugalmente…: e tornano uniti, pacificati, riconciliati col
Padre in cielo e i fratelli in terra, per l’intervento della Madre.
Erano saliti con in cuore i turbamenti della vita quotidiana: la guerra
economica delle case, a cui lo stipendio non basta, contro un mondo che
pareva atteso a derubare; e la guerra ideologica di partiti organizzati a ster-
minarsi l’un l’altro con una frenesia cannibalica; e le nausee dell’esistenza
condotta tra una buona azione e un crollo nella colpa; un’insofferenza delle
regole della morale e della legge, quasi una convinzione che non ci fosse
più niente da fare, e in attesa della fine bisognasse sbranarsi e strapparsi di
dosso la reputazione e abiti, pelle e portafoglio, l’uno all’altro.
E appena entrati in Mariapoli quella rissa era svanita, quel mondo era di-
menticato: sulla stanchezza era germogliata una vita ingenua, una rinascita.
Alcuni erano passati come villeggianti e, per poco che avevano sostato
e visto, erano rimasti sorpresi, convertiti.
Un professionista venuto in auto da Vicenza per passare una giorna-
ta a pescare trote in questi torrenti e laghetti, era sostato per la Messa:
ascoltati i canti, parlando col primo incontrato, non era andato via né quella

138 nu 233
igino giordani

sera né la sera appresso. Dopo una settimana confessava: «Ero venuto per
pescare e sono stato pescato».
Alcuni ufficiali erano stati conquistati dalla carità dei mariapoliti e man-
dati in congedo invece che tornare a casa sono entrati in focolare. Il cogna-
to di uno di loro, un regista, era convinto che si trattasse di un fenomeno di
pazzia progressiva: e con artificio aveva fatto avvicinare uno psichiatra al
neo-focolarino. Per motivo di interessi venne a trovarlo in Mariapoli dove
era sicuro di penetrare nella città dei matti. Penetrò e assistette alle rap-
presentazioni offerte da bambine: al par degli altri pianse durante lo spet-
tacolo; non aveva mai visto né pensato che si potesse presentare Gesù con
tanta arte e cioè con tanta adesione e purezza e profondità. E si mise anche
lui a mensa coi focolarini, confessando di aver trovato, con la vera arte, un
altro mondo.
Le conversioni non son compiute tanto da Tizio o da Caia, quanto
fruttano dalla comunità: dalla vita in cui si vede realizzata l’unità; si vede
– come qui dicono – Gesù in mezzo, secondo la promessa: «Dove due o più
si uniscono nel mio Nome, Io sono in mezzo».
Alcune conversioni sono clamorose, inusitate. Ma le più sono di dimen-
sione ordinaria.
Così una giovane ventiduenne sarda, che non si era da bambina più av-
vicinata ai sacramenti e seguiva corsi di cultura marxista, venuta in Maria-
poli è stata colpita dallo spirito di comunità. Ha trovato su un piano di luce
e di grazia quel che cercava su un piano di odio e di torbidezza, e dopo 16
anni è tornata a Gesù. Partendo non sapeva esprimere la gioia, di cui era
colma, aveva trovato la Gioia.
Le lettere che arrivano da quelli che sono rientrati nelle loro sedi dicono
nostalgia, ripetono la riconoscenza, confessano che i giorni in Mariapoli
sono stati una rivelazione – una riscossione di veli – quanto alle idee e un
lavacro quanto ai sentimenti: come per un bagno salutare. Dicono di esse-
re tornati altri, di aver ripreso le relazioni normali con sentimenti diversi,
mettendo pietà, amore, sopportazione dove prima era separazione, ostili-
tà, dispetto; e con ciò la loro giornata è come scaricata di depositi tossici e
la loro fatica assume un valore. Si è operato il ricollegamento con Dio, e le
cose più umili si integrano di valori divini.

nuova umanità 233 139


alla fonte del carisma dell’unità
Storia di Light. 17

Le anime pur lontane risalgono alla Mariapoli col desiderio, per tuffarsi
in questa socialità, che è vita del Corpo Mistico.
In non poche di queste lettere il ritorno in città appare un ritorno all’esi-
lio, dopo una parentesi di vita nella vera patria. Si riprova l’impressione che
danno certi documenti dell’epoca romana quando l’esistenza tra pagani
appariva un pellegrinaggio in terra straniera.
Per fortuna dei nuovi pellegrini essi portano dalla Mariapoli un pas-
saporto valido: la nozione e l’accettazione di Dio crocifisso abbandonato,
che in quell’abbandono supremamente redense e di quel dolore fece il più
grande atto d’amore. E la via crucis della vita quotidiana fanno con Lui l’ap-
pressamento della Resurrezione.
Si torna nel mondo senza divenir del mondo, ma con la missione di con-
sacrare il mondo: sacralizzare la vita, troppo profanata dalla morte. Difatti,
se l’eco che giunge quassù da quelli che son tornati laggiù riporta il senso
di disagio, come al contatto di una realtà cruda, col disagio però segnala
un senso di sacrificio, un’accettazione della croce, fatta con forze nuove:
le forze accumulate in questa villeggiatura dello spirito. Molti di quelli che
scrivono confessano la trasformazione radicale ricevuta per la quale son
decisi a consacrarsi a Dio e a fare dell’esistenza un’offerta al Signore, una
marcia di ritorno al Padre, con l’aiuto dei fratelli, facendo dell’amore un lie-
vito di trasformazione sociale. Delle giovinette chiedono di essere ammes-
se in focolare, come una grazia immensa; e dei giovani, i più alla vigilia della
laurea, offrono gli anni e gli studi all’Opera di Maria. Qui non scarseggiano
davvero le vocazioni; chi dirige attende a che non diventino troppe e quindi
su ciascuno prudentemente indaga e lungamente esamina.
Si scopre in sostanza che tutti sono avidi di amore, che tutti han fame di
Dio, che l’uomo non vive di solo pane: si scopre che istintivamente l’umani-
tà, nei momenti in cui sia intimamente libera, coglie nell’amore evangelico
il nucleo della vita e ad esso, se libera, si dona.
E si vede viceversa che quelli i quali hanno ancorato il cuore al denaro,
come belve alla catena, riluttano, spaventati, contro quella libertà che è
donata dalla carità e se possono mordono, e, senza capire, reagiscono, coi
modi soliti, con cui l’avversario tenta di spegnere le effusioni dello Spirito

140 nu 233
igino giordani

Santo; usando gli estintori e diffondendo malodori. La prudenza della carne


e la pigrizia della volontà li immobilizzano.
In Mariapoli ogni giorno si detta ai cittadini della Madonna una “parola
di vita” tratta dal Vangelo. Anche nella Babele ferrata, si inculcano ogni
giorno massime, tratte dai testi del materialismo per imbonire i crani; una
dice: «il sasso si è staccato dalla montagna e diverrà valanga».
Noi diciamo: «L’amore di Cristo si è distaccato dal timore di satana e
redimerà, con una invasione di luce, l’umanità».
Un docente di una scuola cattolica, appartenente a una comunità di
Fratelli dell’istruzione Cristiana, non è potuto venire in Mariapoli; ma da
lontano ne ha seguito le idealità e le iniziative; e allora ha deciso di intro-
durre nell’azione pedagogica il principio della comunione, al posto dell’e-
mulazione: uno che affratella, l’altra che allestisce la lotta di classe e la
concorrenza spietata; e ciò ha fatto mettendo Gesù in mezzo nella sco-
laresca. Scrivendo di questo suo piano d’azione nuova nell’insegnamento,
dice: «l’augurio più bello che io formulo è questo: che si accenda il fuoco
dell’unità pure nel nostro settore».
Una impressione riassuntiva degli aspetti – e degli effetti – della Ma-
riapoli si deve a un toscano, un religioso, direttore spirituale di ragazzi, il
padre Filippo M. Parenti.
Vale la pena di trascriverla.

Quando uno, d’estate, varcato il Passo Rolle – dove si è inebria-


to a 2000 metri di libero cielo e di luce –, scende a San Martino
di Castrozza, prova quasi un senso di oppressione, di reazione:
grand’hotel lussuosi, con le relative schiavitù, jazz, mode, trucchi,
snobismo, espressioni annoiate, occhi di pesce, insomma artefici
cittadini che inquinano la semplicità nativa della montagna.
Ma se prosegue per alcuni chilometri, arriva a Fiera di Primiero,
torna a respirare liberamente. Il paese ha un volto tutto proprio,
un’atmosfera di serena gaiezza e soprattutto una gamma vastissi-
ma di lingue, di professioni, di cultura.
Lo ho constatato il giorno 15 agosto, quando vi arrivai verso mez-
zogiorno.

nuova umanità 233 141


alla fonte del carisma dell’unità
Storia di Light. 17

C’era “un’insalata russa” di tonache di frati, di preti, di suore, di


gonnelle di ogni stagione cronologica, di pantaloni di ogni foggia
e misura, un’aiuola festosa di ragazzi e ragazze dai sei ai 25 anni,
qualche zucchetto rosso di Vescovo…; operai, contadini, professo-
ri, onorevoli, professionisti di ogni stato sociale; un’allegra babele
dove una domanda in tedesco aveva una risposta in francese; un
saluto in inglese era ricambiato in italiano e in spagnolo e quando
la parola non era afferrata al volo veniva sostenuta dal gesto mimi-
co perché non cadesse nel vuoto, e legata talora con termini latini e
impacchettata con una risata, arrivata bene o male a destinazione.
Città nuova, questa, nata già adulta senza problemi urbanistici né
tracciati precostituiti, con una minuscola città satellite (Tonadico)
a cui tende fraternamente le mani, non a mezzo di strade asfaltate,
ma con viuzze e sentieri serpeggianti fra i prati e con acquedotti
nei liberi torrenti e ruscelli, con piazze circondate da pinete, con
attrezzatura alberghiera costituita da pensioni, case private, pa-
lazzo comunale, scuole, asilo, ville, baite, con letti ove lo slancio
fraterno d’ospitalità improvvisata, ha lasciato solo la rete o il mate-
rasso adagiato in terra o su di un mobile, con inservienti sui generis
(tutti a turno giovani e pelati) in panciotto o canottiera, con pranzi
essenzialisti, talvolta di fortuna – per gli arrivi imprevisti – con rap-
porti tra i “cittadini” visti non nel quadro dell’educazione civica, ma
nel caleidoscopio dell’amore, in un clima di serenità e di gioia che la
fa essere una città unica e irripetibile nel mondo moderno.

Come si vive in questa città dell’Ideale, che qualcuno potrebbe acco-


stare alla Repubblica platonica e alla città utopistica, mentre preferiamo
considerarla un’oasi del Paradiso Terrestre risparmiata dal diluvio univer-
sale, ove il re è Gesù ma un Gesù vivo che Maria offre a tutti e che tutti fan
proprio?
Sentiamo le impressioni di Marcello C. che vi è vissuto molti giorni.

Appena sceso dal pullman sulla piazzetta subito da una casa vidi
uscire ragazzi, ragazze, gente anziana che ci attorniavano festo-
si, salutandoci e stringendoci la mano. Non riuscivo a parlare e
pensavo che mi avessero scambiato per qualcun altro. Quando mi

142 nu 233
igino giordani

domandarono come mi chiamassi il mio stordimento aumentò: ma


come? Tante feste e non mi conoscevano neanche di nome…? No!
Decisamente stavo sognando.
Mi avviai tuttavia con gli altri ed entrando nella casa, notai sulla
facciata una grande scritta: Mariapoli. Salendo le scale pensai alle
valigie: «Ohimè! Dove saranno!». Mi tranquillizzarono: «Te le stan-
no portando alla baita».
Eravamo entrati in un bel salotto dove ci lasciarono con una signori-
na la quale mi spiegò che cosa tenesse insieme tutte quelle persone.
Mi disse che durante la guerra, mentre si passavano tante ore nei
rifugi, alcune ragazze e studenti avevano capito che l’unico ideale
degno di essere seguito senza timore di vederlo crollare (come allo-
ra crollava ogni altro ideale) era quello religioso. Esse scelsero Dio
come ideale supremo, cercando di amarlo in ogni prossimo.
In seguito molti altri cominciarono a vivere quella vita che si
chiamò: l’Ideale.
Cominciai così la mia vita nella città di Maria. Nella prima giorna-
ta mi parve di non poter resistere. A tavola, mancando i bicchieri,
dovetti bere in una tazza; due o tre volte dovetti spostarmi per far
posto a nuovi arrivati. A letto, quando mi ero addormentato, con la
preoccupazione delle mie valigie che ancora non avevo trovate, un
rumore di voci mi svegliò: erano arrivati tre o quattro ragazzi e non
c’erano che due letti disponibili. Il mio vicino di letto, con un sor-
riso, sprizzante letizia da ogni poro, gridò: «Evviva, si sdoppia!».
Ormai ero così abituato alle parole strane che non vi badai, se non
quando vidi che due ragazzi, tolta una materassa e una coperta dal
loro letto, ne preparavano uno per i nuovi arrivati. Pensai con rac-
capriccio: «Toccherà anche a me?».
Ma dalla seconda giornata cominciai a capire la bellezza di man-
giare in 30 centimetri di spazio per fare posto a chi non ne aveva:
era un po’ come dar da mangiare agli affamati…
Cominciai a cercare nel prossimo la parte divina e a valorizzarla,
amandola. Tutto diventa bello perché si impara a sfruttare tutto.
Era bello percorrere una lunga strada per assistere ai raduni per-
ché si poteva aiutare chi ne aveva bisogno. Era bella la pioggia per-
ché si poteva dare l’ombrello o l’impermeabile a chi non lo aveva.
Era bello dormire sul materasso disteso in terra perché il nuovo ar-

nuova umanità 233 143


alla fonte del carisma dell’unità
Storia di Light. 17

rivato era senza letto. Naturalmente vi furono dei momenti di lotta


in cui le vecchie abitudini erompevano stizzosamente…
Spesso non era facile amare il prossimo perché mi fermavo ad os-
servare l’umano, dimenticando il divino; ma sempre, al momento
giusto, Dio mi faceva scorgere il modo ideale di agire.
Presto venne il giorno della partenza; benché là stessi lasciando un
luogo in cui avevo passato giorni bellissimi, non ero triste perché
avevo la certezza che tutti i mariapoliti mi avrebbero aiutato a se-
guire il mio ideale nella città che mi attendeva.

Un’altra matricola di ingegneria così si esprime:

Quanti, arrivati lassù, per passarvi un semplice periodo di villeg-


giatura, si sono sentiti abbagliati da una luce potente che faceva
scoprire dentro di loro sentimenti contrastanti, come il desiderio
di scappare via e una forza ancora più violenta che li costringeva
a restare…!
Accanto a me per esempio dormiva un operaio della Pirelli, acce-
so comunista, il quale era venuto lassù attirato da una cartolina
illustrata inviatagli da un amico, raffigurante questo bel paesaggio
delle Dolomiti. Da 25 anni non faceva la Comunione, e, appena si
accorse cosa era la Mariapoli, ci disse che sentiva un inferno den-
tro di sé e che voleva partire la mattina dopo. Noi lo salutammo la
sera; ma al mattino successivo eccolo lì ancora: si era confessato
e lo ritrovammo traboccante di gioia. Diceva che il comunismo era
un’utopia; che il comunismo va in cerca dell’unità, lì in Mariapoli
c’era già realizzata; piangeva perché sentiva che realmente Dio lo
aveva colpito nel profondo. Non crediate però che tutto ciò dipen-
da dai componenti la Mariapoli, perché questi risultati da soli, non
li potrebbero realizzare. È Gesù che in mezzo a loro, agisce e tra-
sforma; Egli che ha detto di essere là dove due o più sono uniti nel
Suo Nome.

Circa 10 anni fa la Mariapoli era costituita solo da una decina. È una


convivenza che attuando la libertà dei figli di Dio con la dignità della perso-
na umana, deificata dalla grazia, concorre a salvare la società da quell’in-

144 nu 233
igino giordani

gorgo massiccio, poderoso, verso la schiavizzazione dello spirito, in vista di


un obiettivo di automazione dei cervelli e di mummificazione delle anime.
La Città di Maria non vuol essere che un quartiere nella città di Dio – la
Città – dove si realizza negli spiriti e nelle strutture la redenzione onde fum-
mo liberati dal peccato, che è la morte.
Questa giovinezza infine è giovinezza della fede, giovinezza della Chie-
sa. Essa dice che lo Spirito Santo non è esaurito. Con tante altre manifesta-
zioni nuove, originali della fede, anche questa dice che la Chiesa incomincia
oggi: ricomincia ogni momento. Chi rumina di decrepitezza del cristiane-
simo, esamini pensieri, sentimenti e azioni di queste creature, mamme,
papà, sacerdoti, suore, vergini, ragazzi, e poi confronti: veda se esiste altra
forza capace, come questa, di espurgare l’odio onde il mondo invecchia
e ricreare la bellezza del mistero in un mondo elettroatomico meccanico.
Con un ardimento che è poi la fiducia cieca dei figli verso la Madre – la
Madre Chiesa “Bella come Maria”, la Madre di Dio che meglio dà l’immagi-
ne e la realtà della Chiesa – essi hanno chiesto ai religiosi chiusi nei conven-
ti, alle monache chiuse dentro le grate, a tutti i consacrati nelle canoniche,
nei chiostri, negli ospedali, nelle scuole, di comunicare i tesori accumulati
di santità a quelli che stanno per le strade, al laicato, ridottisi talora per
inerzia e ignoranza a proletariato spirituale; e quei tesori donati con amore,
sono stati messi in piazza, spartiti coi laici; e i laici hanno spartito le loro
miserie coi consacrati.
Se non ci inganniamo – e per questo ci rimettiamo sempre e totalmente
nella mani dei superiori ecclesiastici – è questa una delle tante manifesta-
zioni della riscossa del bene alle forme attuali del male: un male che è po-
tente perché coalizzato collettivizzato, sorretto e svolto in comunità.
Ed ecco che sorge un ideale di santificazione nella quale il fratello fa da
“sacramento”, da apertura a Cristo e unendosi con lui in Cristo si trova il
Signore. Dove due o più si uniscono nel Nome di Lui, queste creature ane-
lano a mettere Gesù in mezzo alla società: ogni società dalla famiglia della
comunità religiosa, alla comunità di lavoro, al sindacato, al parlamento, alla
nazione, al mondo…
L’ideale è di radunare tutta l’umanità – la massa dei fratelli – in una città
di Maria; e cioè fare del mondo la stanza della Chiesa, far della società civi-

nuova umanità 233 145


alla fonte del carisma dell’unità
Storia di Light. 17

le la proiezione del Corpo Mistico che significa vivere per la vita e non per
la morte. Ché in quella città chi regna è il padre di tutti, Dio: chi governa è
la madre di ciascuno: Maria.
All’Avvento e a Santa Chiara si offrono delle abiure. Vengono da sé. Pro-
testanti che conoscono questa comunanza di vita capiscono la Chiesa e
con la Chiesa il Papa e con il Papa la Madonna. Molta gente di qui ancora
ricorda i singhiozzi accorati con cui lesse ad alta voce, l’altro anno, la sua
abiura dall’eresia il nostro Pino, venuto dal Piemonte.
C’è quest’anno una bambina svedese che deve essere luterana di nasci-
ta, ma che di fatto non ha religione alcuna: dorme coi suoi in una pensione,
ma vive tutto il giorno coi nostri e prega Maria e viene alla Messa e vuole
farsi cattolica.
E c’è un bel giovane ventenne il quale vedendo l’amore che circola, ha de-
siderato vivere la nostra vita e farsi cattolico e, nel prepararsi col catechismo
al gran passo, è stato colpito dalla presenza dei preti, sparpagliati tra la folla,
non raccolti a parte, come fermento nella massa: e anela a farsi prete.
E poi c’è un siciliano vulcanico di una trentina d’anni che da ragazzo
si fece battista. Si fece battista perché voleva una religione pura, mentre
attorno a sé aveva molta superstizione, a copertura di molto materialismo.
Sperò di trovare Dio nella Bibbia e nel tempio nudo della Protesta: e fu un
fervoroso battista per anni. Ma quel Dio che cercava troppo gli sfuggiva:
finché incontrò i popi. Nei popi vide la Chiesa che sognava. Da loro fu ama-
to: non gli fu mai chiesto di abiurare. L’abiura l’ha chiesta lui, logicamente;
e un primo desiderio di farsi sacerdote sta fiorendo nella sua anima via via
che trova la religione sognata.
L’universalità della Chiesa, la cattolicità dell’amore che sfonda tutte le
barriere, è riflessa nella varietà dei mariapolitani, dove sono rappresentate
classi e razze e ordini religiosi vari e tutte le età e condizioni culturali. Ci
sono rappresentati gli ordini religiosi più venerandi, benedettini, cistercen-
si, francescani, domenicani, gesuiti, sino agli istituti missionari più giovani,
quasi a significare la derivazione dall’unico tronco, per i rami più saldi e la
solidarietà con tutta la Chiesa; e reciprocamente tutte le famiglie religiose
vi sono rappresentate e unificate: qui veramente tutti si sentono uno, al di

146 nu 233
igino giordani

là dei vestiti e tradizioni e regole, così come tutte le parole di vita del Van-
gelo si riuniscono nell’unica legge dell’amore, verso cui si muovono.
La fraternità, con la fondamentale uguaglianza dei figli dell’unico Padre;
e la libertà appunto dei figli di Dio, si manifesta anche nell’eloquio: che tutti
si diano del tu, pur con la riverenza ai sacerdoti, ai religiosi, agli anziani, alle
donne – vorrei dire a tutti, ché si tratta dell’espressione di un amore che
vede in ciascuno il Signore.
C’è un operaio con la stampella: ha perduta una gamba durante una
rivolta sotto i nazisti; e, nella lotta per la giustizia sociale si è fatto comuni-
sta e ha imparato a soffrire e ad odiare. Ma è capitato qui ed ha ascoltato
la narrazione degli inizi del Movimento fatta da Chiara: come per servire i
poveri le prime pope lasciassero i genitori che erano sfollati e rimanessero
in città, sotto i bombardamenti. Eran povere: e pure la loro casa era piena
di sacchi di farina, pane, indumenti: tutti davano perché sapevano che esse
davano a tutti.
A volte succedeva che mancasse un paio di scarpe per un povero o una
giacca per un vecchio. E allora andavano davanti al Santissimo e pregava-
no: «Signore, donaci una giacca così, così: serve per vestire Te. Mandami
un paio di scarpe di questa misura: servono per calzare Te». Un uomo ro-
busto dall’occhio leale, di lavoratore che ha combattuto. È venuto quassù
con l’assessore democristiano, per divertirsi. Cercava il divertimento e ha
trovato la gioia. Quel che lo ha colpito è stato il vedere che i focolarini
amavano senza guardare a tessere, senza domandare generalità: e inten-
dono l’amore come servizio tanto nell’ordine spirituale quanto nell’ordine
materiale.
Il comunista ha sentito l’amore: ha visto la comunione in atto: e si è con-
vertito: e porta alla balaustra il suo volto, ancora duro, ma con uno squarcio
di luce.
Un altro è assessore comunista e dirigente della Cgil della sua città nel
Mezzogiorno. Ha sentito parlare un sacerdote focolarino e si è andato a
confessare. L’ho incontrato ieri in chiesa che si levava dalla balaustra men-
tre vi accedevo io: e istintivamente mi ha serrato un braccio; e io ho fatto
lo stesso.

nuova umanità 233 147


alla fonte del carisma dell’unità
Storia di Light. 17

Omnia vincit amor! Tutto vince l’amore, ha ricordato Chiara nella sua
narrazione; e la ascoltavano persone di ogni età e condizione accalcate
nella sala del cinema: e poche c’erano che non piangessero a sentire tra
mezzo a quali rinunzie e patimenti si era cominciato, nelle notti folgorate
dai bombardamenti: “stelle e lacrime”, come diceva sinteticamente lei.
Anche Luigina narra la storia della sua conversione. Quello che colpì lei
fu la vista delle pope, anzi delle pupille delle pope. «Avevano una luce negli
occhi…» una luce così luminosa che si vedeva pure all’oscuro. Sì, come i gatti.
Drammi complicati, sviluppi di posizioni e di interessi, sviluppi di pas-
sioni, con groviglio di vizi e abitudini, vengono disciolti nell’incandescenza
dell’amore. Interviene ora un focolarino ora una focolarina o un sacerdote o
tutti insieme: ma è difficile scernere a chi si detta la soluzione, umanamen-
te parlando, mentre è evidente l’azione dell’unità attiva e cioè del Corpo
Mistico operante o, come qui si dice, di Gesù in mezzo. Le creature sono
mezzi e perché nessuna pensi neppure d’attribuire a sé il merito, quando si
vanno ad ascoltare i beneficati di questa azione corporativa vi dicono che
essi debbono il mutamento all’aria della Mariapoli, allo spirito di questa
convivenza, all’amore che circola d’ogni intorno.
Si converte il peccatore che da anni tradisce la moglie o mena un’esi-
stenza di colpa; ma con lui si convertono anche le vittime e, convertite,
le si mettono in condizioni di non ricordare. Si provvede all’anima e per la
carità si provvede anche al suo involucro… al corpo, cercando sistemazioni
economiche, decorose ad attori e vittime di scandali.
Si trova che talora il crollo è venuto per la miseria economica. Talora per
la freddezza mortifera dell’ambiente. La mancanza di pane e più ancora la
mancanza di amore ha distrutto vocazioni, alienato sacerdoti, corrotto capi
di famiglia, depravato donne, rovinato anime: l’amore che porta con sé il
pane, sempre, ridà una vita nuova.
Non meno di 500 persone sono state ospitate gratuitamente: chi ha,
paga per chi non ha. Tra gli altri un gruppo di sei persone, due uomini, due
donne, due bambine.
Un giorno Chiara e Palmira, recatesi a Merano passano per il corso del-
la Libertà. Quel nome fa ricordare che in quella via abita un ex religioso da
cui, nei primi tempi, il Movimento era stato aiutato con simpatia. Pensano

148 nu 233
igino giordani

subito che la gita a Merano sia stata voluta dalla Provvidenza per ritrovare
le tracce di quel padre, che tanto aveva fatto per far perdere le tracce di sé:
e difatti nessuno era riuscito a ritrovarlo. Palmira aveva saputo solo che era
andato ad abitare prima a Torino, poi a Genova, poi a Merano a via della
Libertà. Senza perdere tempo si mettono ad interrogare le cameriere del
caffè. E una riesce a dar notizie designando una casa.
Fanno ricerche e trovano un tizio che ha il nome dell’ex frate, ma non è
lui: e si rifiuta sul principio di dare l’indirizzo. Ci vuole l’abilità della Palmira
per farlo parlare e scoprire che l’ex frate è un suo cugino e più volte ha ri-
cordato una certa Chiara e il suo Movimento.
«Ma Chiara è qui!» fa Palmira e fa entrare Chiara. E allora egli via via
si scioglie, telefona a Bolzano dove è il cugino omonimo; e a Bolzano lo
rintracciano in una casa povera, dove vive con una donna e due bambine di
cui la più piccola è nata da lui. Chiara con la carità invita lei, la mamma: la
quale di fronte a quella limpidezza di sguardi, smobilita via via la primitiva
diffidenza e si lascia invitare alla Mariapoli.
Dopo qualche giorno vengono così i due cugini, con le loro donne e le
bambine, preceduti da una lettera dell’ex religioso, il quale scopre la sua
commozione nel trovare un sentimento di pietà dopo che aveva da per tut-
to trovato disprezzo e abbandono.
Quando Klaus deve ripartire per la Germania è desolato. I focolarini lo
confortano; ma egli non riesce a rassegnarsi; dice di voler scappare in Sici-
lia e nascondersi su quelle montagne.
«Ma non ti puoi nascondere: con quei capelli ti riconosceranno!».
«E io li tingerò!». Sorride, ma su un fondo di desolazione, nella quale si
inchiude il presentimento della lotta che dovrà sostenere contro la coali-
zione di anticattolici con cui avrà a che fare. I nostri gli spiegano come que-
sto valga quale prova, quasi tributo di patimenti, per entrare nella Chiesa.

1
Allusione alla vicenda della statuetta della Madonna che in quegli anni lacri-
mava in una casa di Siracusa. Monsignor Ottavio Musumeci fu il fondatore, negli
anni a seguire, del Santuario della Madonna delle lacrime, nella diocesi di Siracusa,
in Sicilia.

nuova umanità 233 149


dallo scaffale di città nuova

Dialogica
per un pensare teologico
tra sintassi trinitaria e questione
del pratico
di Leopoldo Sandonà

Come liberare il dialogo da una comprensione tanto ireni-


stica quanto indeterminata? Come dar corpo a un termine
tanto invocato quanto equivocato? Il testo percorre il sen-
tiero panoramico del pensare dialogico, specialmente no-
vecentesco, per approfondire la matrice paradossalmente
generativa in ambito trinitario e giungere così, non sinteti-
camente ma prospetticamente, alle sfide attuali in campo
tanto pastorale-ecclesiale quanto etico-civile. Il metodo che
isbn ne deriva non si dà come prontuario, ma come proposta per
9788831133975 generare luoghi, relazioni e soggetti dialogici.
pagine
450
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euro 30,00

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nu 233
in biblioteca

Relazione padre-figlio,
tra tragedia greca e vangelo
M. Recalcati, Il segreto del figlio. Da Edipo al figlio ritrovato, Feltrinelli,
Milano 2017

Con un saggio dedicato al tema dell’essere figli, Massimo Recalcati


chiude una fortunata trilogia dedicata alle relazioni famigliari nell’età con-
temporanea. Se nei due precedenti lavori – Il complesso di Telemaco e Le
mani della madre – la trattazione si è concentrata sulle figure genitoriali, nel
terzo e ultimo volume viene invece proposta una riflessione sul complesso
movimento dell’ereditare, dinamica che mette in gioco l’autenticità del-
la relazione padre-figlio, letta attraverso un’interpretazione di due figure
emblematiche della storia culturale occidentale: Edipo e il figlio ritrovato
della parabola lucana. Recalcati ripropone, con la consueta piacevolezza
narrativa, alcuni dei nodi concettuali fondamentali della sua formazione
lacaniana – il rapporto con la legge e la figura del padre, la ricerca del pro-
prio desiderio e la differenza simbolica tra le generazioni – offrendo una
riflessione adatta a ogni tipo di pubblico.
La negazione della differenza tra padri e figli: si potrebbe riassumere
con queste parole la questione attorno alla quale Recalcati costruisce la
sua riflessione sul rapporto genitoriale. Un certo discorso educativo che
pone al centro le nozioni di empatia, dialogo, ascolto e comprensione ha
secondo l’Autore annullato la fondamentale differenza di ruoli tra padri e
figli, differenza che rappresenta la sola possibilità per i figli di disvelare a
se stessi la propria identità, attraverso il movimento di accettazione/rifiuto
della propria origine. Dove manca la differenza non può esserci autentica
relazione e dove manca la relazione con l’origine è difficile la costruzione di
un sé autentico: detta in altre parole, senza scontrarsi con una figura pater-
na radicalmente diversa da sé non vi è possibilità di costruire un’identità di
figlio. Lo psicanalista analizza dunque due figure della differenza attraver-

nuova umanità 233 151


in biblioteca

so le quali legge due opposte possibilità di relazione al padre: la negazione


da un lato e il ritorno al padre dall’altro.
La negazione dell’origine viene incarnata dalla figura di Edipo, colui che
«non sa chi è, non sa da dove viene, non conosce la propria provenienza».
Edipo è un figlio non voluto, abbandonato dal padre per paura che usurpi
il suo trono – simbolicamente, per paura che il figlio sopravviva al padre
superandolo –, e «più rifiuta il proprio destino, più vi resta impigliato senza
alcuna possibilità di liberarsene». Edipo è figura della negazione da parte di
un padre che non riesce a rinunciare al possesso sul proprio figlio, che non
sopporta il peso della propria finitezza nel confronto con l’infinito mistero e
con l’infinita alterità della vita che ha generato e che è destinata a prendere
il suo posto. La negazione di una relazione fondamentale con la propria
origine spinge Edipo a ripetere tale rifiuto pur nella ricerca ossessiva del-
la propria identità: l’assassinio del padre Laio diventa allora un parricidio
che simbolicamente ripropone il gesto subìto dal figlio rifiutato. Il parri-
cidio rappresenta la realizzazione cruenta della libertà del figlio che, non
accettata, cerca di realizzarsi negando l’esistenza del padre. In una vicenda
umana caratterizzata da successi, Edipo rimane radicalmente estraniato
da se stesso, lontano da una verità tanto dolorosa quanto necessaria per-
ché marcata dall’inaggirabile mancanza di una relazione strutturante (per
quanto mancante, o potremmo dire presente nella forma della mancanza).
Opposta alla figura edipica, Recalcati presenta quella del figlio ritrova-
to come simbolo dell’erede autentico. Il padre della parabola evangelica,
infatti, si dimostra capace di rinunciare alle proprie aspirazioni sul figlio
concedendogli l’eredità anzitempo e permettendogli di partire secondo
il suo desiderio, assecondando dunque il distacco necessario a costituire
una propria identità. Tuttavia, l’autenticità dell’eredità non si concretizza
tanto nel concedere la partenza, quanto nell’accoglimento del ritorno: il
figlio che si ripresenta alla casa del padre dopo aver dilapidato le sue so-
stanze riceve una nuova accoglienza, gli viene concesso di riaccedere al
luogo della propria origine dopo averla negata. Il figlio è erede autentico
perché attraverso l’erranza si rende cosciente della propria provenienza,
attraverso l’allontanamento e il rifiuto è capace di riappropriarsi in modo
nuovo della propria origine e di riconoscere il proprio debito radicale.

152 nu 233
Relazione padre-figlio, tra tragedia greca e vangelo

Ci si trova in questo caso di fronte a una relazione di sofferta libertà in due


sensi: da parte di un padre capace di rinunciare al possesso sul figlio e da
parte di un figlio che riconosce il proprio inestinguibile debito nei confronti
del padre. In tale relazione si legge uno dei motivi fondamentali del primo
volume della trilogia – Il complesso di Telemaco –, nel quale viene descritta
una figura paterna che non incarna la legge, ma se ne fa umile garante nei
confronti del figlio: il padre capace di riaccogliere è un padre capace di tra-
sgredire la legge in nome della relazione, non un legislatore ma un amante
capace di trasgredire in nome della relazione.
L’essere padre e l’essere figlio sono dunque presentati come appar-
tenenti a un unico movimento, a una relazione che dà senso all’essere di
entrambi e che prende il nome di eredità. Centrale in tale movimento è l’ac-
cettazione dell’alterità dell’altro: il padre della parabola evangelica accetta
di non comprendere la scelta compiuta dal figlio, accoglie l’incomprensibi-
lità del figlio che ha cresciuto e si fida della sua ricerca di autonomia, senza
mai chiudere le porte della relazione. La relazione rimane in questo caso
autentica – e permette al figlio di realizzarsi in quanto figlio – perché muta,
e muta perché è espressione di libertà; al contrario, il parricidio di Edipo
è destinato a ripetersi all’infinito perché marchiato da un radicale rifiuto
dell’esistenza dell’altro. La relazione che dona identità è quella capace di ri-
generarsi a partire dalla libertà dell’altro, in questo caso del figlio che tenta
di trovare se stesso e che si trova perché accettato anche nel suo fallimen-
to. Ecco che il movimento del buon ereditare – che coincide con il processo
di conquista di un’identità propria da parte del figlio – si gioca sul delicato
equilibrio tra accoglienza della propria origine e desiderio di autenticità,
dove «appartenenza ed erranza sono due poli irrinunciabili nel processo di
umanizzazione della vita».
Un ultimo aspetto da sottolineare riguarda la dialettica tra innocenza
e colpa, che emerge in modo particolare nella vicenda edipica. Edipo è «il
figlio che, nell’innocenza assoluta, diviene colpevole». Come può Edipo es-
sere considerato innocente? Non è egli responsabile di ciò che fa?
La colpa di Edipo risiede nella non conoscenza, nel vuoto relazionale
che struttura la sua identità, dal quale metaforicamente egli tenta conti-
nuamente di fuggire: in questo senso è innocente perché non è origine del

nuova umanità 233 153


in biblioteca

suo male, ma è d’altra parte responsabile degli atti che compie, compre-
sa l’uccisione del padre. Edipo è tragicamente colpevole pur rimanendo
innocente.
D’altra parte, se ci rivolgiamo alla parabola del figlio ritrovato possiamo
certamente riconoscere un merito alla figura paterna capace di perdono e
accoglienza, così come lo possiamo individuare nella capacità del figlio di
rientrare umilmente alla casa paterna riconoscendo il proprio fallimento.
Emergono due situazioni nelle quali le categorie morali della colpa e
del merito sono radicalmente insufficienti, quasi a voler indicare come
– uscendo dalla finzione narrativa – quando ci si addentra nel territorio sa-
cro delle relazioni filiali (e delle relazioni in generale) imputare colpe e re-
sponsabilità sia sempre riduttivo. Il fallimento di una relazione genitoriale
rappresenta più un dolore da accogliere che un errore da imputare, così
come è la sovrabbondanza dell’amore a costituire il centro della parabola
piuttosto che la buona condotta in senso moralistico.
In sintesi, le figure descritte da Recalcati non rappresentano esempi di
carattere moralistico, quanto piuttosto delle chiavi di lettura che permetto-
no una lettura profonda delle vicende personali e che – come tutti i grandi
racconti – aprono uno squarcio di conoscenza sulle profondità misteriose
delle relazioni umane.

Federico Rovea

154 nu 233
english summary

controcorrente Instead of embarking on yet another


reform of the treaties, the European
Charity as Political Logic Union should first of all work towards
A. Lo Presti a “political reconfiguration”. This pro-
p. 5 cess should lead to a fundamental po-
litical option in favour of a European
In the Christian tradition, politics is un- democratic sovereignty and a labour-
derstood as a high form of charity. Chia- based economy.
ra Lubich defines it as the “love of loves”.
What do such expressions mean? It is
particularly useful to explore the logic of Towards the Elections
politics in our time where neo-soverei- P. Giusta
gnties take advantage of the Christian
religion for electoral success. p. 27
It seems likely that the European Par-
liament elections of May 2019 will
Focus show an important growth in Euro-
sceptic parties, at the expense of the
europe and its future traditional parties, such the European
For a European Democratic People’s Party, the Party of European
Sovereignty Socialists and Liberals. Nevertheless,
it is unlikely that the Eurosceptics will
P. Ferrara gain the majority in Parliament. It is
p. 9 more likely that the European People’s
The European Union suffers from a Party will continue to be the strongest
serious crisis of consensus on its poli- political grouping, even though it will
cies, though not necessarily a systemic be weakened. It is likely, therefore, that
crisis of legitimacy of its institutions. the next President of the Commission
What then is the problem with Europe? will come from this grouping. Never-
It is in the public policies put in place theless, the growth in the Eurosceptic
by these institutions (endorsed and representation will mean that there
even promoted by the member States). will be stronger opposition, which may
Faced with the shockwaves of globali- have a more important impact on fu-
zation, the institutions – which have ture policy directions of the European
undergone strong structural inter-gov- Union than it did in the past.
ernmental constraints – have respond-
ed with measures of incomplete ad-
aptation and partial mitigation, rather
than with measures of transformation
and social protection. How should the
European project be reformulated?

nuova umanità 233 155


english summary

East and West: the Two Lungs violent way, we need a mechanism that
of Europe makes dialogue and the evaluation of
opposing interests possible. Respect for
P. Tóth national sovereignty is not opposed to
p. 37 democratic integration; it is rather the
This article offers a framework for a precondition for the latter. We should
dialogue between the different cultural therefore imagine Europe as a shared
realities of Europe, with a special accent good, with decision-making structures
on the relation between East and West. operative at various levels.
Western Europe lives and suffers the
challenges of multi-religious and mul-
Our Yes to Europe.
ticultural society, while the East is still
caught up in the tensions generated by The Contribution of Together for
ethnic and identity differences. The atti- Europe in the Current Situation
tude of the West towards the East is of- G. Proß
ten characterized by a criticism of a lack
of democratic culture and a paternalism p. 61
that wishes to see the processes of de- The Author sets out the fundamental
mocratization accelerated. The attitude principles, challenges and the contribu-
of the East towards the West is marked tion of Together for Europe to the cur-
by the protest at modal and cultural rent situation of Europe. Together for
decline which seems to suffocate the Europe is a network that has brought
development of human dignity. In order together movements and associa-
to respond to the these challenges, per- tions of various churches over the last
manent platforms for intra-European twenty years. These have been years
dialogue are. of intense meeting, collaboration and
reciprocal esteem between the various
realities that compose it. It has organ-
Democratizing the Old Continent ized important international meetings,
W. Baier but also local collaborations focussing
p. 49 on social, political and cultural engage-
ment and prayer. The task of Together
The European Union is facing important for Europe is to help the formation of a
difficulties: injustice and division be- constructive and sustainable “together”
tween the rich and the poor are on the during this period of European crisis,
increase. In the current conditions and emphasizing hope through a shared and
structures, there seems no reason to ex- positive commitment, and the convic-
pect a voluntary change of behaviour. If, tion that unity is possible in a reconciled
despite this, we wish to avoid a situation diversity.
where the dissatisfaction grows to the
point that it has to discharge itself in a

156 nu 233
english summary

scripta manent punti cardinali


The “Founding Mothers" The Right to Water
P. Ferrara Ed. M. Sgrulloni
p. 73 p. 85
The idea of a European Union goes back The text traces the birth and develop-
to the intuition and political will of the ment of the right to water as a funda-
“founding father” in the beginning of the mental human right. Attention is fo-
1950s: Robert Schuman, Konrad Ade- cussed on one continent in particular,
nauer and Alcide De Gasperi. Without Africa, where the right to water is seen
wishing to play down their role, this as a point of departure for the improve-
article seeks to set out a different per- ment of the living conditions of millions
spective on the essential premises for and the connected enjoyment of other
the European project (and beyond). It rights which are closely related to the
looks at four women of the 20th cen- right to drinkable water.
tury, each of whom shares an intense
civil passion. These are María Zambra-
no with her interpretation of a Europe Ethics and Trinitarian
constantly in tension between “agony” Anthropology
and “resurrection”; Hannah Arendt with
A. Ferrari
her critical observations on the connec-
tion between human rights and citizen- p. 101
ship (interesting to today’s discussions This research wishes to demonstrate
on the conditions of refugees and mi- that the trinitarian mystery revealed by
grants); Simone Weil with her concep- and shared in Jesus is the cornerstone
tion of “obligations” towards the human on which the whole Christian novelty
being; and Chiara Lubich and her vision rests. If this is lived by a community, it
of the European Union in the broader becomes a paradigm that can illuminate
context of political commitment to uni- the whole of personal, social and human
versal fraternity. morality. The ethic that emerges can re-
spond to today’s challenges and repre-
parole chiave sents a clear expression of a planetary
humanism.
Sharing
G. Iorio
p. 81

nuova umanità 233 157


english summary

alla fonte del carisma dell’unità Story of Light. 17. The return to the
Unity in Paradise ’49: Some world
Methodological Observations I. Giordani
F. Ciardi p. 137
p. 113 Giordani continues to describe the life
in the Mariapolis with his witty but pro-
This essay analyses some unpublished found prose. This time, the object of his
texts from Chiara Lubich’s Paradise ’49. attention is the innumerable conversions
This text explores the theme of unity with that take place in those days. People
great doctrinal and experiential richness. from various states of life and the most
Such is the complexity of the theme that various convictions, often far from faith
it has given rise to certain readings em- in both their thought and practice, meet
phasizing “problematic and deviant ele- the living Jesus in the Mariapolis, who is
ments”. Such difficulties are often found present in the reciprocal love between
in mystical writings. The Author offers brothers and sisters, and in the pureness
some methodological considerations for of the gospel life. This meeting brings
the interpretation of mystical texts so as about a transformation and brings them
to avoid misunderstandings. back to God.

in biblioteca
p. 151

158 nu 233
dallo scaffale di città nuova

Quando un papa si dimette


la storia di Celestino V
di Mario Dal Bello

“Il gran rifiuto”: ieri come oggi, sulle tracce del mistero di un
Papa che sceglie di dimettersi.

isbn
9788831164566
pagine
120
prezzo
euro 14,00

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nu 233
dallo scaffale di città nuova

Non fare come gli ipocriti


la lotta tra essere e apparire
dai Vangeli alla 1 Corinti
di Pasquale Basta

Apparire significa non essere, l’essere invece è e non ha biso-


gno di apparire. Di conseguenza chi non è ostenta. Dio, però,
non guarda ciò che guarda l’uomo, Dio scruta i cuori. A Lui
non interessano le apparenze vane, ma le verità profonde che
si muovono nell’animo umano. Diversamente dall’attenzione
che troppo spesso l’uomo rivolge alla sola esteriorità, il discor-
so pervasivo che attraversa la Scrittura è molto più interessa-
to a ciò che esso ritiene intimo e autentico.

isbn
9788831188036
pagine
160
prezzo
euro 16,00

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nu 233
Prossimo numero 234
Il Paradiso ’49: interpreti
e protagonisti
233
Con scritti inediti
di Chiara Lubich, 233
nuova umanità trimestrale di cultura
Igino Giordani…

controcorrente
La carità come logica politica – A. Lo Presti

L’Europa e il suo futuro nuova umanità


Focus
L’Europa e il suo futuro
Per una sovranità democratica europea – P. Ferrara
Verso le elezioni – P. Giusta
Est e Ovest: i due polmoni d’Europa – P. Tóth
Democratizzare il Vecchio continente – W. Baier
Il nostro sì all’Europa – G. Proß
scripta manent
Le “madri fondatrici” – M. Zambrano, H. Arendt, S. Weil, C. Lubich
parole chiave
Condivisione – G. Iorio
punti cardinali
Il diritto all’acqua – M. Sgrulloni
Etica e antropologia
trinitaria – A. Ferrari
Fondata da Chiara Lubich nel 1978, alla fonte del carisma dell’unità
Nuova Umanità è una rivista multitematica Unità nel Paradiso ’49 – F. Ciardi
che, alla luce del carisma dell’unità, Storia di Light. 17 – I. Giordani
dialoga con le prospettive culturali in biblioteca
del mondo contemporaneo.

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Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46)
art. 1, comma 1, Aut. GIPA/C/RM/27/2012 a. xli / gennaio-marzo 2019
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€ 9,00 i.i.
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