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Noi e I'islám
Appunti di islamologia
(Bartolomeo Pirone)

Per poter capire quello che i musulmani di oggi fanno, e necessario e indispensabile sapere
ció che il Corano dice e chi e, in maniera specifica e propria, il Profeta che lo ha ricevuto,
testimoniato e trasmesso in assoluta fedeltá. Questo implica un diverso atteggiamento nei confronti
della complessa realtá teologica, dottrinale, culturale e storica della comunitá islamica. Tale realtá
ha avuto un suo inizio, in un arco di tempo che va grosso modo dal 61 O al 632, accentrato sulla non
comune personalitá di Muhammad; un suo sviluppo, coincidente con il periodo delle grandi
conquiste che videro crollare le possenti impalcature degli imperi bizantino e sasanide con le loro
tradizioni secolari e, infine, un periodo di costante penetrazione e impiantazione del credo islamico
nella maggior parte delle etnie e dei sistemi religiosi del tempo. Pur se in maniera piú fiacca rispetto
al travolgente ardore dell 'inizio, tale fenomeno favori la pressoché completa islamizzazione dei
paesi di conquista e delle genti conquistatrici, quali i mamelucchi, i mongoli e gli ottomani. Fu poi
in seguito alla disfatta di questi ultimi e alla frantumazione del loro poderoso impero che sorsero i
paesi arabi di oggi, nel cui assetto socio-politico, radicato nel comune patrimonio religioso e
linguistico, predominano l'uso della lingua araba, lislám e la shari'ah o Legge rivelata. Qui, in
diversi modi e misure, la minoranza cristiana continua ad essere considerata come comunitá
legalmente protetta e socialmente oggetto di tolleranza piú o meno aperta alle loro specifiche
connotazioni religiose e confessionali.
Cosa e dunque I'islám? Con questo termine si intende innanzitutto ·:fJatt-ég(�-:i.ámentorrc:Ii.Ji
assoluta.fiducia e -remissivitá del credente .ai voleri divinizsenza nessuna traccia di costrizione o di
fatalismo, ma con pieno convincimento che tutto ció che Dio vuole e sancisce e per il bene totale
della creatura che a Lui si affida e in Lui confida. Per islam si intende altresi tutto il gQlJ:IlJ.i§_�"��,1,§l}_;f
dottrin¡, tradi:z,;�onil� norme \� CQW,RPrt,a,m�nti:,.cl\e.-·'•distinguono.<la>CQll1UJÜf�· -.W121§:tJ-l!p�P,�.,1&1l1�:.�Jwe
comunitáo gruppireligioss tale patrimonio si fonda sul Corano, sulla condotta e sugli insegnamenti
del Profeta, o sunnah, sulla scuola giuridica che si segue, sulle elaborazioni esegetiche o
interpretative degli ulema alla luce del comune sentire e del criterio dell'analogia. Per islam si
intende ancora, di conseguenza, il multíforfüe'-feriornerioK'ligato·:a;I1a:,-p1:es�n,zq;i§lft1�:iRJ:l-:;:J1�i:1s,liyyK§Íf
paesi.di,appartenenzaodi1nigrªzione1ti Per musulmano intendiamo sostanzialmente ogni credente
che condivide e segue, nell' ortoprassi quotidiana, la religione musulmana, mentre con il termine
islamista si vuole individuare chiunque si interessi allo studio e alfa fenomenologia islamica nelle
sue molteplici componenti culturali, storiche, sociali, demografiche, ecc. In tale ambito esso e
sinonimo di islamologo. Il termine islamico, infine, connota il puro e semplice aggettivo, ad
indicare tutto ció che potrebbe accompagnarsi alla realtá dellislám nelle sue accezioni generali, per
cui si potranno avere espressioni come il mondo islamico, la teologia islamíca, la filosofia
islamica, ecc.
Fatte queste essenziali premesse, cominciamo con il dire che il Corano non e un libro come
tutti gli altri.
A nessuno di noi sfugge che l' abbattimento di barriere e di frontiere tra i popoli e le
prospettive di un continuo confronto che il fenomeno islamico comporta, rende improcrastinabile
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l'importanza della conoscenza del musulmana in ció con cui esso si identifica, con ció che e
vessillo individuante e personalizzante della sua identitá, attraverso le scansioni di una
testimonianza nella fede e nelle opere a questa adeguate. Si tratta pur sempre, inoltre, di una
identificazione con il suo patrimonio culturale, ispirato essenzialmente ad un testo sacro,
considerato come l'inveramento ultimo e definitivo dell'economia della salvezza, dato in deposito
ad una comunita, che e poi quella musulmana, che continua a ritenere che il farsi della storia le
appartiene in maniera privilegiata e, nell'intimo della coscienza ch'essa ha della propria missione,
insostituibile. Tale coscienza si identifica, a sua volta, con la sua strutturale identitá cosmica, nel
senso che l' as so luto monoteísmo da essa adottato e propugnato come unica forma di esternazione
religiosa, altro non e che l' affermazione della sua unicitá di elezione all' interno di un monismo
strutturale e piramidale che contempla un solo e trascendente Alláh, un solo suo ultimo profeta, una
sola sua religione che e I'islám, una sola sua comunitá che e la ummah musulmana, un solo culto,
una sola legge o shari 'ah, un solo ideal e per cui combattere, un solo fine da raggiungere in questa e
nell'altra vita. Siamo di fronte ad una sorta di anima unica e collettiva, nello stesso tempo, dove il
senso della pluralitá degli individui e pero assorbito nella sistematica identitá nella unicitá di fede e
di azione. La pur innegabile frammentazione di gruppi e sottogruppi all'interno dcll'islám non e del
tutto sintomo ed esternazione di una divisione concomitante allislám in sé, ma piuttosto
espressione di patrimoni storici e culturali nonché ambientali e sociali, a fronte dei quali I'islám
continua a pennanere l' elemento aggregante nella sua disarmante semplificazione dottrinale ed
etica.
In un corso di aggiornamento in ambito dottrinale e pastorale aperto sul molteplice e sulle
alteritá, la conoscenza di tale fenomenología invocata come intrínsecamente frutto della 'parola di
Dio', si rende necessaria perché e il musulmana stesso che ritiene necessario conoscere la veritá
fondativa dell' essere e del pensiero in ogni loro manifestarsi o farsi teofania, che e la vocazione
de lle cose che son o nei cieli e sulla terra e in ció che tra essi si pone. Naturalmente quel che
dapprima scaturisce da questa certezza e la fede nella continuitá ininterrotta della tradizione
profetica, che nellislám e vista come una vera e propria storicizzazione dell'economia della
salvezza, essenzialitá soteriologica, quindi, che tende anche, tra l'altro, a restituire dignitá di
primogenitura ad Ismaele, padre degli arabi, e a dar figura ad una serie di profeti della gens araba di
cui non troviamo traccia in altre tradizioni, ma che e central e per definire, · da una parte, la ca tena
profetica che trova in Mese il suo maggior rappresentante e, da un' altra, quella che ha in vece in
Gesú l' altro suo grande rappresentante, per farne in ultimo coincidere le missioni in quella
dell 'ultimo profeta, o sigillo dei profeti, del popo lo arabo e della comunitá musulmana. L' asse
teologico della profezia passa e si sposta cosi in un alveo etnicamente nuovo, dovela parola di Dio
parla "in chiara lingua araba".
Trattandosi di una conoscenza che e innanzi tutto coscienza di un popolo, si comprende
ancora meglio perché mai e necessario calarsi e immergersi nell' islam durante un iter testimonial e
di sacerdoti e apostoli del cristianesimo. La fonnazione missionaria ha un afflato di schietta
missione ecclesiale. La tipologia della didattica teologica fondamentale, d' altra parte, e
essenzialmente erística, ma non esclusivamente tale. Per Filium ad Patrem resta sempre l'asse della
comprensione della verita suprema, dove ogni concetto di macrocosmo e di microcosmo sono
semplicemente tasselli funzionali e temporali all' interno del mosaico della misericordiosa
incarnazione del Verbo, che conferisce alla trascendenza in sé un suo specifico coinvolgimento, e
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perció immanenza, nelle esperienze ascensionali e spirituali delle anime. Da questo punto di vista,
la cristología coranica sembra del tutto riduttiva e fortemente inaridita, almeno ad una prima lettura
dei numerosi versetti che il Corano dedica ad 'Ísá, figlio di Maria. Qui egli e ora \o/'erlfc>': tíi'IDtf1, ora
J\f}�§s_i�f, ora lAJ;;·ifet:�t ora 11-1�,��-�9_9�pql, ora s�1ty9j. . . 1i1).:á.;' l1Jªi,::Is),l9y 9,X,if}glí9 . :rci\5;rD¿i9:� e forse
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l' espressione 'lsa, figlio di Ma;ia:' ��iI; �ltro sta a significare se non l' eccezionalitá della sua nascita,
il fatto, cioé, di essere stato concepito senza seme d'uomo, ma per virtú ed opera dello Spirito del
e
Santo. Ma pur sempre il Corano ad asserire che solo lui ebbe da Dio il pennesso di compiere
miracoli e prodigi ad ogni altro profeta negati; che non fu ucciso e non fu crocifisso sulla crece",
che fu elevato da Dio al cielo" e �.ll.�.-.:;y,et�á.uñ.a.sécoñcla_vQlJªt-P:�t4t�}9�P9rt�:pgt?-it99:�ª"p�ll�Y,�fitªgf
i-Pfepa(aré:J'ültimª-:v�nµta d.iJY1:yl)cX111.rnáqF.- Dall' analisi dei termini su cui e. fondat� -b���-a p-�¡ie d�ll�
polemica solo apparentemente antitrinitaria di cui e fatto protagonista il Corano, soprattutto alla
luce di quanto asserito ne1'l,F'su:ra+-delr@ulttr<sinéetó1, dove si afferma che "Dio non genero né fu
generato"!", ci accorgiamo che ad assumere maggior peso e la vera e propria procreazione che ha
luogo di padre in figlio per il tramite di copulazione e di rapporto carnale tra uomo e donna. Si
allude ad un Dio che avrebbe preso per sé una compagna e che avrebbero poi entrambi avuto un
figlio, cosa del tutto disdicevole e inaccettabile per un Dio ineguagliabile nella sua essenza di puro
spirito. E tuttavia il dogma trinitario, nell 'unicitá della sostanza e nella molteplicitá delle Persone,
non ha nulla a che vedere con la procreazione umanal E di Maria stessa, non sempre il Corano ad e
affermare categoricamente che colui che fu da lei concepito, gestato e partorito e un ibn e non
invece un walad, anche perché Maria stessa "si conservo vergine"? 11

I
Cfr sura IV, 171: "O Gente del Libro! Non siate stravaganti nella vostra religione e non dite di Dio altro che la Veritál
Ché il Cristo Gesú figlio di Maria non e che il Messaggero di Dio, il Suo Verbo che egli depose in Maria, uno Spirito
da Lui esalato ... ". Non fu forse Giovanni stesso destinato, come asserisce il Corano, a "conformare una Parola venuta
da Dio"? Cfr sura III,39. E che cosa l'angelo annunzia a Maria, se non "la buona novella d'una Parola che viene da
Lui", di cuí in sur a III, 4 5?
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Per questo epíteto o titolo erístico cfr sure III,45; IV,157,171-172; V,17,72,75; IX,30-31.
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Cfr sura XXXIII,7 dove e annoverato tra i profeti con i quali Dio ha stretto un patto e tutti gli altri passi nei quali
viene menzionato nelle liste dei profeti suscitati da Dio in diversi tempi e per diversi popoli.
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Cfr sure IV,157,171; V,75; LXI,6: "E quando disse Gesú figlio di Maria: 'O figli d'Israele! lo sono il Messaggero di
Dio a voi inviato ... "
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Cfr sura IV,172: "11 Cristo non ha disdegnato di essere un semplice servo di Dio ... "
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Vero e che in alcuni passi coranicí e categoricamente asserito che Alláh non e Cristo, figlio di Maria, come in sura
V,17,72. In veritá l'espressione coranica inna Alláha huwa al-Masihu ibnu Maryama sta ad indicare che ció e da
escludere in modo assoluto, perché se casi fosse ci sarebbe identitá e unicitá nell'essenza tra i due tennini di paragone,
il che e chiaramente in contrasto con il primo pilastra dell'Islam che enuncia: "Non e.'e altro dio all'infuori di Alláh",
Ci sembra perció errata la traduzione di Bausani che cosi suona: "Il Cristo, figlio di Maria, e Dio", che non e, dal
punto di vista filologico, per nulla riconducibile al senso reale della terminologia in oggetto, dove e questione di due
nomi e dove lo stesso nome Allah non sta ad indicare affatto l'essenza di Dio, il cui vero nome nessuno conosce. Di
fatto, in un altro passo del Corano, pur assumendo una posizione di chiara ed esplicita condanna del contrario al fine
di ribadire l'assoluta unicitá di Dio stesso, e detto: " ... e han detto i cristiani: 'Il Cristo e il figlio di Dio"'. Cfr sura
IX,30.
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Cfr sura III,49.
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Cfr sura IV,157.
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Vedi sure IV,157-159; V,117. Piu problematica e l'interpretazione di sura III,55 dove si afferma che Dio lo fara
morire e poi I'innalzerá a sé. E' comunque diffusa tra i musulmani la convinzione che Cristo non e ancora morto e che
ven-a alla fine dei tempi, nella sua seconda venuta, per sconfiggere l' Anticristo, ristabilire la definitiva affermazione
dell'Islám, morire e risorgere come ogni altra umana creatura.
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Cfr sura CXII,3.
11
Cfr sure XXI,91; LXVI,12.
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Cosa significherebbe o potrebbe significare ció? Si potrebbe supporre, come ipotesi di


ricerca, che la cristo logia coranica ha forse perso l' ancoraggio stabile e solido con quella della
chiesa universale solo quando Muhammad, giá indiscusso capo político di un popolo, si convinse di
dover essere altresi una indiscussa guida religiosa e spirituale al servizio di un Dio uno ed unico? ,E'
plausibile supporre che la cristología sia stata solo in seguito sacrificata ad una teología
onnicomprensiva degli interventi della Provvidenza, per cui si dice a ragione nella Fiitihah: "Te noi
e
adoríamo e Te invochiamo in aiuto"? La cristología coranica certamente di gran lunga secondaria
rispetto al discorso sul Dio unico e assoluto che e íl fondamento della professione di fede in una con
il ríconoscimento della dignitá di messaggero conferita a Muhammad. E tuttavia come non restare
sbalorditi e sorpresi dei numerosissimi passi in cui si celebra l'unicitá di Dio; la sua intrínseca
natura di luce e di veritá, la sua misericordia attraverso i favori e le grazie che incessantemente
riversa sulle creature; il patto che stipula con ogni popolo e al quale resta sempre fedele; la
rivelazione, scrigno di conoscenza e di scienza, con la quale ha assistíto ogni comunitá per il tramite
della designazione e della elezione di un profeta; il dono della fede che il credente e chiamato a
testimoniare cinque volte al giorno nei tempi dedicati alla preghiera rituale e oltre; la complessa
enucleazione di nonne e regole che costituiscono l' anima operativa della fede stessa e il conforto
dei cinque pilastri sui quali si regge tutto il singolare regime di una vita autenticamente islamica?
Sono tutti punti di convergenza e di divergenza, a seconda dell'ottica di valutazione. Sono assi
teologici e prospettive del futuro dell'uomo assommate nel concetto di ummah, che vanno quindi
affrontate nella comprensione e nel rispetto del peso che l' islam di oggi, come quello di sempre,
vuole avere nel mondo attuale. Vanno percio viste in una cornice dialogica serena, rispettosa. Mai
pero servile o ipocritamente remissiva. I tempi e le modalitá della veritá appartengono solo a Dio ed
esigono intelligenze aperte e docili, capaci di accogliere la luce e farne l' accompagnatrice di ogni
loro passo e sentiero. Non si tratta di accettare vere e proprie sfide, che malamente celano sediziose
volanta di guerre e di annientamento, ma di sostituire una volta per sempre la luce del Libro al
luccichio della spada.
Si potrebbe essere indotti a ritenere, ripensando come essenziale una cristología salvífica,
che l'apparato dottrinale del Corano sía di per sé una antropología in cui il seme della Parola
vivificatrice, intesa nell' accezione veterotestamentaria di 'oracolo di Yahvé', misterica e oracolare
quindi, e si giá operante e attivo ma che possa divenirlo appieno solo se restituito ad un Cristo
incarnato, morto e risorto per la salvezza dell'umanitá. Le speranze e I'augurio che il dialogo
islamo-cristiano deve sostenere e riverberare negli animi delle persone che con noi condividono i
sentieri della salvezza, vanno indirizzate, quindi, in una sola direzione: al Padre attraverso il Figlio.
In questa veritá ci sentiamo liberi e per questa liberta consacriamo le nostre intelligenze e i nostri
cuori al rispetto e allo studio perle veritá che lislám e i musulmani ritengono di possedere. E' solo
uno degli aspetti, o forse delle fasi, di quel cammino durante il quale la Chiesa universale opera e si
prodiga, perché tutti i figli dell 'unico Dio di veritá e di amore siano una sola unita,

Considerazioni su alcuni atti di culto

Per un'adeguata e approfondita conoscenza delle molteplici realtá islamiche tanto in ambito
teologico quanto etico o comportamentale, non e male prospettare un quadro generale del fenomeno
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in sé, illustrato, innanzitutto, attraverso una esposizione concisa ed esauriente delle sue Istituzioni
'
onde acquisire un bagaglio di conoscenze essenziali.
Questa volta intendiamo farlo non piú suggerendo sussidi didattici e infonnativi piú o meno
opportuni, ma calandoci direttamente, con oculatezza e discrezione, in una sommaria rassegna di
testi autentici, originali e oggetti di consenso generale dagli inizi ad oggi.
Per prima cosa presteremo attenzione ai fondamenti dell'Islam e della sua essenziale cornice
giuridica, ossia a quel complesso di nozioni e disposizioni che costituisce il vero e proprio corpus
iuridicum della comunitá islamica in ogni tempo e in ogni luogo. Secondariamente, rivolgeremo la
nostra attenzione ad un insieme di concetti e di idee che gravitano sull 'Islam in generale e il mondo
musulmano nel loro esserci e nelle loro relazioni con il mondo o l'universo degli altri.
I1 punto focale di questa breve esposizione e un concetto di base: bisogna smettere di
pensare che Muhammad abbia da solo dato inizio e compimento a tutto il complesso delle
Istituzioni essenziali dell'Islám e della organizzazione della sua comunitá additando nel Corano
l'unico, insostituibile e invalicabile bacina di veritá teologiche e di cognizioni etiche e giuridiche.
Giá al-Ghazáli esprimeva eloquentemente questa sarta di postulato teologico con le parole: "Il
Corano e come un immenso oceano da cui proviene tutto il sapere degli antichi e dei moderni, cosi
come dal mare si ramifican o tanto i grandi fiumi quanto i ruscelli". Ha solo gettato le basi
essenziali, lasciando ai suoi Compagni e Successori il compito di modellare e definire la complessa
architettura dell' edificio islamico nei tempi successivi alla sua predicazione religiosa e sociale.
Questa diversitá nei tempi e nelle modalitá di realizzazione delle premesse impresse dal Profeta alla
sua ideazione di un ordine nuovo e di una comunitá nuova, accomunati nelle forrnulazioni
coraniche, si pone a sua volta come giustificazione storica dell' evoluzione stessa delle premesse.
Ma offre, nello stesso tempo, 1' opportunitá di seguire passo dopo passo tale evolversi con in piú
l' occasione di puntualizzare le mutuazioni e i calchi di . concetti e di elaborazioni dogmatiche ed
etiche che non sono mai state proprie all 'Islam in quanto tale. Si pensi, ad esempio, al semplice
ambito della civiltá musulmana che non e stato affatto opera dei solí arabi, ma speculare
realizzazione ad opera del simultaneo concorso di fattori e attori diversi ed eterogenei quanto a
contributo ed efficace condizionamento dei corsi storici avviati in determínate circostanze e
ambienti. Non possiamo sottacere, in effetti, come da piú partí sollecitato ed indicato, l'apporto
determinante e decisivo di componenti estranee tanto all'arabismo quanto all'Islam, come fu quello
delle popolazioni preislamiche, delle comunitá giudeo-cristiane, dei bizantini, dei persiani e, per il
tramite di questi ultimi due, della grande tradizione greco-romana innestata, attraverso i secoli, nelle
pieghe di culture indigene ed autoctone che seppero trame frutti proficui.
E come giá per queste popolazioni, anche per l'Islám la parabola evolutiva delle sue
specificitá ha pagato un tributo al tempo in una incessante evoluzione delle premesse che ando
sistemandosi, in maniera pressoché definitiva e drammaticamente esaurita, intorno all' anno Mille,
se si fa eccezione de lle due is ole andalusa e sicula dove la pres enza e il coinvolgimento dell' altro
elemento autoctono fu determinante per ulteriori sviluppi e innovazioni culturali spingendosi,
almeno in Spagna, fino all' anno 1492.
Quali furono, dunque, le basi teoriche della religione islamica, i meccanismi della sua diffusione e
gli elementi essenziali del suo culto sui quali si innestarono poi le grandi elaborazioni dogmatiche e
filosofiche che tanto hanno sbalordito, per la loro mole e quantitá, le istituzioni scientifiche di altre
contrade e di altri Paesi?
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N ei passi che seguono, tenendo in con to opere di autori musulmani o direttamente il Corano,
si cerca di delineare un quadro completo delle istanze religiose e cultuali dell'Islám insieme ad una
rappresentazione delle generalitá inerenti il fenomeno del variegato e polivalente mosaico islamico.
Proponendo questi riferimenti intendiamo introdurre chi si appresta alla loro conoscenza nel mondo
dello spirito e delle intenzioni che animano ogni singolo musulmano e la comunita alla quale egli
appartiene, nell'atto di dare compimento ai cosiddetti atti di culto o della loro sottomissione e
remissione in Alláh. N 011 e nostra premura, al momento, illustrare i concetti in sé, ma far notare in
quale atmosfera di interioritá essi si consuman o per il tramite dell' azione, elemento essenziale alla
professione della propria fede, per cuí il connubio tra fede e opere diventa un cardine della vera
pi eta e di una genuina devozione. Non ci preme delineare o formulare un' astratta dialettica dello
spirito, ma offrire un insieme di elementi che sono traccia visibile di condivise convinzioni
religiose, si da imparare cosa e e come e un musulmano nella sfera della propria individualitá e in
quella della sua appartenenza vitale ad una comunitá, Non I'idea astratta di un musulmano, bensi la
voce che ne addita I'operosita, Oggi piú che mai non ci confrontiamo con un Islam astratto ma con
musulmani che passano le nostre frontiere e vengono a bussare alle porte delle nostre istituzioni.
Non ci chiedono di togliere i nostri crocifissi dalle scuole, ma di guardarli, di osservarli, di seguirli
da vicino nelle loro preghiere, nei loro digiuni, nelle comuni contribuzioni alla stabilitá e alla
diffusione del loro universo religioso per il tramite del versamento della decima o di altri proventí,
nei loro pellegrinaggi ma, soprattutto, nel loro modo di rapportarsi a Alláh. In una parola, in quello
che sono, per come lo sono e per come lo diventano. L'operositá musulmana e essenzialmente
corale, presenza e riscatto della storia, denuncia tacita di sistemi fuorviati e devianti, ancoraggio
coraggioso e deciso alle radici del suo divenire, fonnalizzazione di una appartenenza esclusiva
proprio per il fatto di non essere come gli altri, coscienza di una superioritá elettiva perché il suo
Dio e il piú grande. L'esasperato e martellante inculcare simili assunti sta divenendo l'arma piú
letale di un certo pericoloso radicalismo e fondamentalismo verso i quali l'Islam tradizionale e
chiamato a confrontarsi con I'attualitá e la contemporaneita potrebbe, per propria costituzione,
essere incline se messo davanti ad un ipotetico o reale nemico della sua identita religiosa e
comunitaria. Si potrebbe obiettare che la massa non ha una cosi accentuata coscienza del proprio
ruolo. Pero ce l'hanno le guide, gli imam, gli ulema, la parte piú radicalmente indottrinata e
asserragliata nella spessa recinzione della tradizione, coloro che per una ragione o per un' altra
sanno di poter sommuovere la massa e altre componenti facendo emergere e rendere attuale le
risonanze piú squisitamente religiose della quotidianitá.
Tra queste potremmo ulteriormente sostare su lacune considerazioni relative ai giá noti
cinque pilastri dell'Islam, per averne una conoscenza piú approfondita grazie a testimonianze
dirette, dalle quali scaturisce quell'irrinunciabile relazionarsi al proprio passato e ai personaggi che
ne sono i fondatori per rinsaldare e rafforzare il proprio presente. Cío emerge, ad esempio, da come
viene raccomandato il tasahhud da esponenti contemporanei dell 'Islam con le parole: "A Alláh
appartengono le salutazioni, le benedizioni e le delizie di questa terra. Pace su di te, o Profeta, in
una con la misericordia e i favori di Alláh. Pace su di te e su tutti i pii serví di Alláh. Professo che
non vi e altra divinitá all' infuori di Alláh e professo che Muhammad e il suo servo e il suo in vi ato.
Dio mio, benedici Muhammad come giá benedicesti Abramo e la famiglia di Abramo. Dona a
Muhammad i tuoi favori e alla famiglia di Muhammad cosi come li donasti ad Abramo e alla
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famiglia di Abramo su questo come nell'altro mondo, poiché tu sei degno di lode e di gloria",
sviluppo di quanto giá enunciato in sura XI, 73.
_ Il costante richiamo all' elezione di Abramo e, per il suo tramite, della sua famiglia o casata,
si riverbera positivamente sulla figura stessa del Profeta e sul molo della sua casata o familiari per i
quali vengono implorate la misericordia e le benedizioni di Alláh numerose volte durante la
giornata, anche perché la formula assolve al congedo tra due persone che si incontrano, si salutano e
si dividono con l'augurio che la pace, la misericordia e le benedizioni di Alláh scendano su di loro.
Il fattore insistenza contribuisce all' assuefazione a certi atti e formule che concorrono ad acuire un
particolare spessore identitario delle persone, quasi ovunque dominato dall' aleggiante figura del
Profeta in torno al quale la comunitá si stringe vieppiú nell' imitame le azioni e nel conservame
gelosamente e prioritariamente gli insegnamenti .

·Considerazioni sulla professione di fede

Cercheremo di illustrare, in questo breve excursus, alcuni concetti che si accompagnano alla
professione di fede nel Dio unico e assoluto per il tramite della formula la iláha illá Alláh wa
Muhammad rasúl Alláh. La illustreremo, innanzitutto, part¡ndo dalle raccolte di hadit piu
accreditate e piú comunemente diffuse tra i vari strati di genti che professano la religione islamica.
E risaputo ch' essa costituisce la quintessenza della fede islamica e la maniera di meglio e piú
appropriatamente esprimerla e testimoniarla. Di fatto il richiamo o l'invito che il muezzino rivolge
alla gente musulmana ben cinque volte al giomo perché si compia secando norma la preghiera
rituale, altro non e che una reiterata attestazione della stessa formula, La tradizione islamica vuole
anzi che il singo lo credente entri in sintonía con quanto dall' alto del minareto gli viene annunciato,
ripetendo a sua volta per ben due, con voce tale da essere udito da chi gli sta vicino: "Professo che
non vi e altro dio che Allah, professo che Muhammad e il suo inviato", e ripeterlo poi, con voce piú
sostenuta, altre due volte12. In effetti la preghiera rituale, composta di undici espressioni, comincia
con la formula del takbir, vale a dire 'Dio e grande', che viene recitato per due volte; prosegue con
il riconoscimento totale della unitá e unicitá di Dio con le parole: "Professo che non vi e altro dio
che Alláh"; a cío segue il riconoscimento della singolare elezione del Profeta con le parole:
"Professo che Muhammad e l 'inviato di Dio"; si esorta ad affrettarsi alla preghiera: "Venite alla
preghiera!", e a riconosceme l'alto vantaggio tanto in questa quanto nell'altra vita: "Venite alla
prosperitál ", si riconosce per altre due volte che "Dio e grande" e si chiude con l 'ulteriore
riconoscimento dcll'unitá e unicitá di Dio "Non vi e altro dio che Alláh". Il riconoscimento di
questa prerogativa lo desumiamo altresi dal .fatto che e rnessa in cima a tutte le altre invocazioni
espresse dalla memoria dei Novantanove nomi di Dio, la cui recitazione schiuderá le porta del
Paradiso a chi se ne fa geloso e attento attore.. che cosi comincia: "Egli e Dio all'infuori del quale
non c' e altra divinitá se non Lui"13
Il pieno riconoscimento dell' elezione di Muhammad quale messaggero o inviato di Dio,
trova poi la sua consacrazione ufficiale in un'altra testimonianza che il credente rende a piu riprese

12
Cfr Mouhieddin Abou Zakaria Yahia Ben Charaf An-Nawawi, Les Jnvocations, (a cura di N. Younes e Fawzi
Chaaban, Dar El Fiker, Beyrouth 2001, vol. I, pp. 51. Sul fatto di pronunciare il tasahhud a voce bassa o alta, cfr
Ibidem, pp. 98-99 si afferma che per alcuni tradizionistí pronunciarlo a voce alta non lo invalida affatto, pur se e
raccomandabile la prima maniera.
13
Ibídem, pp. 150-151.
8

nella maniera di manifestare la sua adesione all'islám, come quando attesta e dichiara in chiave
apologetica o di esclusivitá e assolutizzazione del suo credo: "Ho accettato Alláh come Signore,
Muhammad come messaggero e l' islam come religione". Questa esternazione de lle proprie scelte

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4

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quale si coglie meglio la puntualizzazione di questo concetto e forse quella messa sulle labbra del
Profeta dal tradizionista Abü Sa'Id al- Hudrí in cui e detto: "Colui che prima di addonnentarsi dice:
'Chiedo perdono a Dio, allinfuori del quale non v'é altra divinita, il Vivente, il Sussistente, e al
quale tornero pentito', e i:tli:!11?!%$,�.�;:a!&,�1:,.�gll�}:t:J�i�1:;i;fs,íái;';le.giittgsá,ltt:1Jó.}!, gli perdonerá i suoi peccati
fossero anche come la schiuma del mare e numerosi quanto le stelle e quanto la sabbia di 'Alig o
quanto i giorni della vita?"
Nel Sahih di Muslim, nella sezione dedicata alla fede, al-imán, ,1Mt�ú1trtif:tí;jtro;;';óap;it:ot0rntr-áttá
appunto (,�.�J.}�:{{��1�ª la iláha uts Alláh, non ee altro dio all'infuori di Alláh, si narra che a chi gli
chiedeva cosa si volesse intendere per "credere in Dio solo", il Profeta cosi rispose: "Ció significa
attestare che non c'é altro dio all'infuori di Alláh, la iláha illá Alláh, e che Muhammad e il suo
inviato, }/iJ{lj{ffilii'FfíJli#:YIMi�tt!Aftff/1/ftll:lf. Che sia il fondamento e la sostanza della fede, lo deduciamo
altresi da quanto segue e completa il detto del Profeta: "Assolvere in modo perfetto alla preghiera,
versare la zakát, osservare il digiuno durante il mese di ramadán, pagare il quinto del bottino di
guerra a favore di coloro che si sono dati alla causa di Dio".18

14
E certamente questa sinceritá o limpiditá di intenti che conferisce persuasione alle parole con le quali il Profeta
inculcava negli animi dei suoi fedeli la certezza che ogni qual volta avessero recita to la formula "Non c' e altra divini ta
all'infuori di Allah! Dio e grande!", Dio avrebbe creduto loro e ripetuto: "Non c'e altra divinitá all'infuori di Me. lo
sono grande!". Ibídem, p. 204.
15
Ibídem, pp. 55-56, 60. Sempre in ambito di perdono dei peccati al-Nawawí fa in piú di un luogo della sua opera
notare che la formula la iláha illá Alláh, pur se accompagnata da altre formule o invocazioni, ne sará sempre una
efficace misura. Vedi pp. 59, 65 dove e riportato un hadü di debole vigore nel quale e detto che quando il Profeta
cominciava a pregare soleva invocare Dio con queste parole: "Non e' e altro dio all'infuori di Te, gloria a Te! Son o
stato ingiusto con me stesso e ho commesso del male, assolvimi, ti prego, giacché nessuno all'infuori di Te puó
rimettere i peccati ... !. Vedi pure pp. 108, 126. Per altri esernpi di preghiere fatte dal Profeta e nelle quali all'inizio o
alla fine compare espressamente il tasahhud con altre formule o invocazioni vedi pp. 83, 106, 107, 109 dove leggiarno:
"Quando il Profeta termina va la sua preghiera, si passava la mano destra sulla fronte e diceva: 'Professo che non e 'e
altro dio all'infuori di Alláh, il Clemente, il Misericordioso. Signore, allontana da me ogni pena e ogni tristezza". Per
la preghiera della sera soleva poi dire: "Siamo giunti alla sera e la sovranitá appartiene a Dio, la lode e di Dio, non ee
altro dio all'infuori di Alláh, il solo, che soci non ha". Ibídem, p. 115. Tra le altre cose raccomandava, perla preghiera
del mattino e del crepuscolo, dietro demanda di Abü Bakr, di includere tra le varíe invocazioni anche la formula
"Professo che non v'e altra divinitá all'infuori di Te!". Ibidem, pp. 116-117, 124-125. Sulle preghiere del Profeta vedi
ancora pp. 127, 143, 144, 146, dovela formula e la iláha gayruka wa-la iláha uta anta", pp. 262, 295-296 dove si
parla delle preghiere che faceva ad ogni angolo della Ka'bah senza mai omettere il ricordo dell'unicitá di Dio ovvero
la recita del tahlil
Ibídem, p. 138. Invocazíone a questa símile e quella che il Profeta raccomandava dí recitare al mattino, alla sera e
16

prima di dormire, nella quale con altre parole riafferma lo stesso concetto la dove, rivolto ad Abü Bakr, come ci ha
tramandato Abü Hurayrah, disse: "Signare, tu che sei il Creatore dei cieli e della terra, Tu che conosci ció che e
nascosto e ció che e pal ese, o S ignore e Re di tutte le cose! lo professo che non e' e altra divinitá all' infuori di te e
presso di te cerco io rifugio contro il male della mia anima e del demonio e delle sue insidie". Ibidem, p. 139.
17
Nelle testimonianze dei primi tempi dell'Islám la formula subisce delle amplificazioni dovute alla devozione e alla
pietá, rna che comunque Iasciano intatto il valore di fede enunciato tramite la formula, che puó anche presentarsi con le
parole "Professo che Muhammad e il suo servitore e il suo inviato". Ibídem, p. 94, 95, 96, 97, 117
18
Cfr Al-Hafiz Zakiuddin Abdul-Azim ak-Mundhiri, Sahih Muslim, Darussalam, Riyadh 2000, vol.I, pp. 35-36.
9

Se cosi inizia il cammino spirituale di ciascun credente e altresi nella stessa maniera che
esso deve terminare, e perció il Profeta ebbe a raccomandare che a ciascun musulmano sul letto di
morte, venisse suggerito di recitare la formula la iláha tu» Alláh, a coronamento di una intera vita
spesa nella testimonianza dellunicitá di Dio 19. Vale qui la pena riportare per intero un hadit nella
cui trama narrativa confluisce un insieme di stati d' animo che ben concordano con altre singo le
parti di hadit che hanno come fulcro la raccomandazione di recitare la formula "Professo che non vi
e altro dio che Alláh e che Muhammad e il suo inviato". Narra infatti Ibn Sumásah: "Un giomo ci
recammo a casa di 'Amr Ibn al-' A� ormai prossimo a morire. Comincio a piangere e giro la faccia
verso il muro. 11 figlio disse allora: 'O padre, il messaggero di Dio non ti ha giá annunciato una
certa cosa ? Non ti ha il messaggero di Dio annunciato tale altra cosa?' Egli allora si voltó e disse:
La miglior cosa che noi si possa fare e professare che non vi e altro dio che Alláh e che Muhammad
e il suo inviato't'". .
���;�t�JRij���-��''Nonvi e altro dio cheAllaW'. E la
stessa cosa egli inculcava nei suoi fedeli nei confronti dei loro parenti prossimi a morire'".
L' eccellenza della recitazione della formula la iláha illá Alláh e celebrata dal Profeta in una
particolare situazione nella quale i suoi Compagni gli facevano notare come la gente ricca che li
circondava se ne andassero ben carichi di ogni bene pregando come pure essi facevano, osservando
la preghiera come pure loro l'osservavano, digiunando a tempo debito come anch'essi digiunavano
e dando in elemosina, sadaqah, prendendo al superfluo delle loro ricchezze. Ebbene fu allora che
Muhammad, elencando una serie di atti dai suoi Compagni compiuti, ebbe a dire: "Ciascuna
dichiarazione che non c'é altro dio all'infuori di Alláh, la iláha illá Allah, e una �adaqah"22. La
chiave di lettura di questo hadit va trovata nel fatto che il Profeta riteneva sadaqah qualsiasi opera

19
Cosi troviamo infatti scritto nel capitolo 3 del libro concernenti i funerali, kitáb al-ganá'iz, Cfr Al-Hafiz Zakiuddin
Abdul-Azim ak-Mundl�iri, op. cit., p.259. Queste due dimensioni verranno poi ridotte su piú esigua scala come inizio e
fine di una giomata ed anche in tale ambito e dato trovare qualche hadü che recita: "Ciascun musulmana che,
destandosi, dice: 'Non c' e 'dio all 'infuori di Alláh ... ' si vedrá perdonare da Dio i suoi peccati, fossero pure come la
schiuma del mare". Cfr Mouhieddin Abou Zakaria Yahia Ben Charaf An-Nawawi, op. cit., vol. I, p. 30. Lo stesso
Profeta, come tramanda sempre Ibn al-Sunní, aveva l'abitudine, svegliandosi a mezzanotte, di ripetere ben dieci volte
.la formula la iláh illá Alláh prima di rifugiarsi presso Dio contra le difficoltá di questa vita e quelle del Giorno della
resurrezione e poi attendere alla preghiera. Svegliandosi al mattino, inoltre, come ci e stato tramandato dalla moglie
'Á'isah e trasmesso da Abü Dáwud, usava dire la iláh illá Al/ah e implorare Dio di cancellare i suoi p�ccati, di essere
clemente nei suoi riguardi, di accrescere la sua conoscenza, di non lasciare che il suo cuore deviasse dopo essere stato
guidato e di accordargli la sua misericordia giacche solo Lui e il dispensatore di ogni grazia. Cfr Mouhieddin Abou
Zakaria Yahia Ben Charaf An-Nawawi, op. cit., vol. I, p. 30. Vedi pure p. 111.
20
Ibídem, pp. 209-210.
21
Ibídem, pp. 215-216. La propensione ad infiorettare cose dette dal Profeta introduce in questo hadit una serie di
varianti che pure in tal caso sono eco di altre testimonianze in altri hadit ricorrenti. Cosi si dice che chi sul letto di morte
pronuncerá la formula la iláh tus Alláh entrerá sicuramente in Paradiso e che non e assolutamente necessario ch'egli
pronunci anche la sezione concernente il fatto che Muharnmad e l'inviato di Dio; che se non la pronuncia di sua
iniziativa, i presentí dovranno insegnargliela con malta discrezione e senza indisporlo; che se la pronuncia una sola volta,
non si e tenuti ad esortarlo a pronunciarla altre volte, a meno che, pur avendola pronunciata una volta, non gli siano
uscite di bocea altre parole. Su chi usciva da questa vita come fedele servo di Dio e che, tra le altre cose, usava rendeva a
Dio onore e gloria recitando in vita che non vi e altro dio che Alláh e che Muhammad e il suo servitore e inviato,
Muhammad recitava di persona la preghiera funebre, per invocare la clemenza e la misericordfia di Dio sulla sua anima e
sul suo carpo che veniva calato nella tomba. Ibídem, p. 238.
22
Cfr Al-Hafiz Zakiuddin Abdul-Azim al-Mundhiri, op. cit., vol. 1, p. 304. Vedi pure la versione che compare in
Mouhieddin Abou Zakaria Yahia Ben Charaf An-Nawawi, op. cit., vol. I, p. 107.
10

buona che venisse fatta nei confronti degli uomini o delle creature e, a maggior ragione, nei
confronti di Dio con le diverse formule della celebrazione della sua grandezza e della sua gloria.
In una fase di passeggera o tattica tolleranza verso tradizioni e costumi dei primi credenti,
alcuni dei quali ancora legati ad usanze anteriori al culto del Dio uno ed unico come predicato da
Muhammad, usava giurare nel nome di alcune dee, tra le quali al-Lid e al- 'Uzza. Pur non vietandolo
decisamente e drasticamente il Profeta raccomandó ai suoi seguaci di aggiungere subito dopo un
tale giuramento, la formula la iláha uta Alláh , come leggiamo nel capitolo 3 del libro del
giuramento, iJ;�!J��f��gff!J¡tflff.
Come giá per altre formule, anche per questa e stato coniato un termine che ne compendia lo
spirito e le finalitá. Tale termine e tahlil ed ha una sua particolare sezione nelle raccolte di hadü,
precisamente nel capitolo 7 del kitáb al-dikr, dove Abü Hurayrah tramanda che il Profeta soleva
asserire che "non c' e altro dio all' infuori di· Alláh, il quale ha reso poten ti le sue schiere, ha dato la
vittoria al suo servo ed ha sbaragliato, da solo, le fazioni alleate. Null' altro, dopo di lui, permarrá in
eterno?". Sempre nello stesso libro, al capitolo 15, si fanno quali speciali favori e grazie sono
riservate a chi dovesse recitare la formula la iláha illá Alláh, non c'é altro dio all'infuori di Alláh,
cento volte al giorno. Ebbene avrá in serbo la stessa ricompensa prevista e promessa a chi avrá
restituito la liberta a dieci schiavi, si vedrá ascrivere a proprio favore cento buone azionr", gli
saranno cancellati cento cattive azioni'' e gli servirá da seudo contra Satana per tutta la durata di
quel giorno, fino a notte e nessuno sará in grado di compiere azione migliore della sua eccetto chi
compirá piú buone azioni di lui"27. Ció lo induceva a raccomandarla a tutti coloro che gli
chiedevano di insegnare quali parole recitare e profferire, come fu di un beduino che gliene fece
esplicita richiesta28. O come quando ebbe ad esortare i suoi a recitare la formula la iláha illá Alláh
tante volte quante sono le creature da lui create in cielo, sulla terra e in cío che si trova tra i due29
Il tahlil e fortemente raccomandato dagli uomini di scienza e di conoscenza, come leggiamo
in al-Nawawí che in un sottocapitolo del capitolo dedicato alla sinceritá e alla concentrazione in
ogni azione manifesta o celata, cosi scrive: "La maggior parte degli '��;_Wl�iWasseriscono che e
permesso invocare Dio interiormente e con le labbra a coloro che sono in stato di impuritá rituale
minore o maggiore, alla donna indisposta come a quella che e in procinto di partorire, ricorrendo
alle formule del tasbih, del tahmid, del tahlil, del takbir, della preghiera a favore del Messaggero di
Dio, dell'invocazione e di ahro'�º. �J �·
t�.:iiitl'º1�isit�;fii che i�§�ip::afre. . ;¡con l�lW,!����:istJ���,§si'qn,f 1.
Essa, infatti, figura tra le quattro

23
Ibidem, pp. 512-513.
24
Ibídem, vol. IJ, pp. 1001-1002.
25
Qui purtroppo i traduttori di al-Nawawí si concedono una vistosa svista e traducono "dieci buone azioni". Cfr
Mouhieddin Abou Zakaria Yahia Ben Charaf An-Nawawi, op. cit., vol. I, pp. 23. Ma a p. 119 e riportata una
testimonianza in cuí si parla di 'dieci' buone azioni e di 'dieci' cattive azioni tanto nel tsto arabo quanto in traduzione. In
armenia con quanto qui detto, e anche cío che il Profeta soleva attribuire alla formula del tasahhud recitata durante la
preghiera fatta dopo il tramonto del sole, capace di attirare sul credente, da parte di Dio, "una coorte armata perché lo
proteggano contro il diavolo sino al mattino, di ascrivergli dieci buone azioni, cancellargli dieci azioni cattive e
dannose ... "
26
Anche qui i traduttori di al-Nawawi traducono, erroneamente, "dieci cattive azioni". Cfr Mouhieddin
Abou Zakaria Yahia Ben Charaf An-Nawawi, op. cit., vol. 1, p. 23.
27Cfr Al-Hafiz Zakiuddin Abdul-Azim ak-Mundhiri,
op. cit., vol. I, p. 1009.
28
Riportato in Mouhieddin Abou Zakaria Yahia Ben Charaf An-Nawawi, op. cit., vol. I, p. 23.
29
Ibídem, pp. 25-26.
30
Ibídem vol. I, p. 15.
31
Ibídem, p. 18.
11

\�.�,B� ��;E�j:8�Ll,Y'�-"'��i'.�>:1t)ÍU?!q;ir�;\t�}X�'.i$;.�r(É2J "Gloria a Dio", "Lode a Dio", "Non e 'e altro dio all'infuori di
1

Allah" e "Dio e grande"32. Dignitá altissima, ma anche conforto e calore ha detta formula in sé, si
che,' stando alla testimonianza di Abü Hurayrah, essa faceva cosi esclamare il Profeta: "Ch'io dica
'Gloria a Dio', 'Lode sia a Dio', 'Non cé altro dio all'infuori di Alláh ', la iláha illaAllah, e 'Dio e
grande', mi e piú caro di ció su cui si leva il sole"33. La gamma emotiva che si sprigiona nell'animo
del Profeta al recitare la formula la iláha illá Allah si arricchisce a mano a mano che la sua fede nel
Dio uno si solidifica, si illumina di nuove luci e irradia uno spettro luminoso che da calore al cuore
e lenisce le asperitá della testimonianza. L' elaborazione della formula con corre a rendere piú
persuasiva la predicazione di Muhammad. La nascente comunitá ne e ben consapevole, bisogna
battere quanto piú possibile in tale direzione, preparare il campo perché la mole degli badil a tal
proposito prenda anima di ferro e scavi in profonditá nelle certezze del credente. Non a caso al-
Tirmidí ci ha trasmesso un hadit nel quale Muhammad afferma di aver sentito Abramo dire: "Le
piante del paradiso sono 'Gloria a Dio', 'Lode a Dio', 'Non ee altro dio all'infuori di Alláh' e 'Dio
e grandc'<".
Nel quotidiano, ossia in quegli atti e azioni che accompagnano il modo di prepararsi e di
presentarsi in mezzo ai propri simili, il buon musulmano e sollecitato, svestendosi o dismettendo
qualche capo di biancheria, di invocare il nome del Signore rendendogli ancora testimonianza di
essere lui l 'unico Dio, al di fuori del quale non sussiste altra divinitá. In questo caso la formula
invocatoria e leggermente dissimile da quella sinora vista. Essa recita infatti: " Nel nome di Dio
all'infuori del quale non esiste divinitá alcuna", La recita per intero della
sahádah e raccomandata altresi, pur se non obbligatoria sotto nessun aspetto dato che non risulta in
alcuna tradizione le gata al Profeta, dopo la tasmiyah recitata prima e dopo le abluzioni36. Sotto una
formulazione anch' essa leggermente variata, ricorre in un hadit trasmesso da Ibn 'Abbás e che
potremmo considerare come l'inno alla Veritá, Riassume il modo in cuí il Profeta soleva a volte
pregare Dio durante la preghiera della notte e di cuí si e giá detto qualcosa nella nota 2 di questa
ras se gna sulla sahádah, Vi le ggiamo infatti: "�,�t�U�Qs\¡},ti?il�g>If�fiiP{�:i;r'.ip��l�:.X�i{JJ{��i1·;}fri,!iW��i:'<fii�J}¡f
p:r-yg).'.)_..,_i._.:.:��·=�tª',:ttQ:!Q:J.X:tlª},,i,�J?J�.y!@.gif�: 'A Te la lode, tu sei il reggitore dei cieli, della terra e di chi in essi
'?.:...r:::./i·;.·z.c .,: , .-··.·,·=--<""'-· - .. ,:, ,:.:.-· ..,:·....... ·:.-.. ,,.�···...,- ...•. -�/.•:,.:,· . . ;·.• ,. ·,..

si trova; a Te la lode; Tua e la sovranitá sui cieli, sulla terra e su chi in essi si trova; a Te la lode. Tu
sei la luce dei cielí e della terra e di chi in essi si trova; a Te la lode, Tu sei la veritá, la tua prornessa
e la verita, il tuo incontro e la veritá, le tue parole sono la veritá, il paradiso e la veritá, l'inferno e la
veritá, Muhammad e la veritá, l'Ora e la verita. Oh mio Dio, a te mi sottometto; in te ho creduto; su
di te faccio affidamento, verso te mi volgo pentito, per te ho sostenuto dispute, te io prendo come

32
Ibidem, p. 22.
33
Ibidem, p. 23.
34
Ibidem, p. 28. Ció vuol dire che ciascuna formula rappresenterá per il creciente che la recita una pianta in paradiso,
nello spirito di un badil tras mes so da al-Tirmidi che recita: "Per chi ripete spesso: 'Gloria e lode a Dio', sará pian tata una
palma in Paradiso". Un esernpio in cuí il creciente faceva seguire al tasahhud una serie di invocazione tra le quali
chiedeva a Dio di essere introdotto nel Paradiso e di cercare presso di Luí rifugio contro l'Inferno, e in Cfr Mouhieddin
Abou Zakaria Yahia Ben Charaf An-Nawawi, op. cit., vol. I, p. 102.
35
Cfr Mouhieddin Abou Zakaria Yahia Ben Charaf An-Nawawi, op. cit., vol. I, p. 34.
36
Ibídem, pp. 41-43. I1 califfo 'Umar Ibn al-Battab ha tra le altre cose tramandato che per chiunque reciti la sahádah nel
fare le abluzioni, saranno aperte le otto porte del paradiso e potra entrarvi per non importa quale. Ma e una trasmissione
ritenuta debole, 11011 confortata da consenso piú o meno generale di autentici e riconosciuti tradizionisti.
12

arbitro. Cancella, dunque, i miei peccati, passati e futuri, e ció che ho fatto in segreto o in pubblico;
tu sei colui che anticipa e che ritarda: non c'é altra divinitá all'infuori di te"37.
1¡¡?it;t&fa1.tfiit�firaoeoíñañcraí0:,i;�uirtiít1{�s1f�:�:;hrÍÍ�:.1cn<isebeª:: r1JR), �1>,,pre;gán!, c\í:t:�i¡�,9-rg.�t-@.·),:píufvolt_§t?�t�
per it�!i�.il.!t<-i della formula 'Non c' e altro dio all' infuori di Alláh', la iláha illá Alláh, come pure si
raccomanda di recitarla quattro volte quando, volgendo il saluto di pace sulla moschea nella quale si
sta entrando, si teme di non essere in stato di puritá rituale. In tal caso, come in molti altri, la
formula 'Non cé altro dio all'infuori di Alláh' e seguita dalla celebrazione della grandezza di Dio
sovra ogni altra cosa visibile e invisibile, ossia con il takbir, vale a dire '�4:!��j?i;t�Je'38. Recitare la
formula la iláha illá Alláh subito dopo il takbir che precede la stato di purificazione in cui si pone
colui che fa il pellegrinaggio alla Mecca e che consiste nell' astenersi da al cune cose lecite in altre
circostanze, propizia tutta una sorta di protezioni e di interventi da parte di Dio che metteranno il
credente al riparo di ogni pericolo etico o morale, come e riportato in un lunghissimo hadit citato da
al-Nawawi39.
La recitazione della formula la iláha illá Alláh potrebbe sopperire nei casi in cui un credente
non potesse recitare la sura della Fátihah o altra sura del Corano raccomandate per alcuni motivi e
in determínate circostanze, per il semplice fatto di non saperle o di non conoscere nulla del Corano.
La recitazione della formula, magari ampliata di altri elementi convergenti sulla
celebrazione di qualitá inerenti la natura misericordiosa di Dio, concorre a lenire le tristezze e le
angustie del tempo che affliggono l'anima del credente, sradicandola dalle spire della vita mondana
e proiettandola nelle sfere della piena remissivitá nelle volontá divine. Cosi recita, infatti, una
invocazione messa sulle labbra del Profeta dal tradizionista Ibn 'Abbás: "Allorquando l'afflizione lo
;,�·-.:,:�,.-.;·-,1�·-··,;...;· _,-,.;,¡· .., ... ,.,,.� ·"'"'-'' ,-•:::c.:·,,:,:,,.:,,·., .. ,.·,.,·,·�,,'.\�.:·· ·:·,�:·:,·,�·.;cr.•.,·.··..-.' ·.,: �,,r...,,�,,:,·.;,·.i· . ,..,�� .,>:.·,; .•..,..,·,,:,· ....,.,:,�··.,..,,-.,�·;·,� >:1. ;·,,.,.,t'.�:i�·V,"·!· �·- J: :.'.;";"'"'"�';.<.: ,'"-1�:,--.:. �·_.e;,,,.:,;:,-. . .:.;·, .se·"':�
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colpiva, il ip�ss�gger2 qipiQ, . .5-.Ql�}m,.gi_re:JNon ee altra divinitá all'infuori di Alláh, il Sublime, il¡j
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f'. . · ... · · . ·�, ·' ·- ,.._.1,:•,,"<+,M-�''' ·

: 1Longanime. Non c'é altra divinitá all'infuori di Alláh, Signore del Trono sublime! Non c'é altra s
:� divinita all' infuori di Alláh, Signore dei cieli, Signore della ten-a e Signore del nobile Trono' ,,4o.}
¡]Una invocazione a questa simile egli raccomandava di recitare nelle situazioni in cui qualche:u
;�perico lo o danno aleggiassero sulle vite dei suoi fedeli e li spronava, quindi, a rivolgersi a Dio, f
\celebrandone la sublimita e la longanimitá e riconoscendolo come Signore del Trono e dei mon�t.\:f
A""taTe uopo usava richiamare l' attenzione dei credenti sulle vicende del profeta Giona che, dal
ventre della balena, volgeva la propria vocea Dio invocandolo: "Non ee altro dio all'infuori di Te!
Gloria a Te! lo ero nel novero degli ingiusti", concludendo che ciascun musulmano avesse fatto

37
Ibídem, pp. 37-38, 143, dove, dietro testimonianza di 'Á'isah, troviamo scritto: "Quando il messaggero di Dio si
svegliava la notte, diceva: 'Non c'é altro dio all'infuori di Te, gloria a te!. Signore, ti chiedo si perdonanni i miei peccati,
imploro la tua clemenza. Accresci, o Dio, il mio sapere e non imprimere alcuna deviazione al mio cuore dopo avermi tu
guidato nel mio cammino. Accordami la tua misericordia, poiché tu sei il dispensatore d'ogni grazia! '".
38
Ibídem, pp. 48-49. Tra le diverse anime dell'Islám interpreti delle tradizioni ascritte alla persona del Profeta, non
mancavano ulema che raccomandavano di far eseguire alla tríplice formula "Dio e grande!" altre invocazioni come: "Dio
e grandemente grande e copiosa lode sia a lui resal Gloria a Dio mattino e sera! Non vi e altro dio all'infuori di Alláhl
Altri noi non adoriamo che Lui, con culto sincero e non come fanno gli increduli Non vi e altro dio che Alláh solo, fedele
alla sua promessa, soccorritore del suo servo e da solo debellatore delle fazioni alleate. Non vi e altro dio che Alláh!
Alláh e grande!". Ibídem, pp. 257-258. Vedi pure pp.276-277
39
Ibídem, pp. 63-64.
Ibídem, p. 183, 318. A p. 323 e dato trovare una supplica da questa non molto dissimile, anch'essa raccomandata in
40

caso di sconfitta o di afflizione, dove e detto: "In situazioni del genere si raccomanda di menzionare con sollecitudine
Dio, sia egli es al tato!, di implorare il suo perdono, invocarlo e ricordargli di mantenere la promessa da luí fatta nei
confronti dei credenti di venire in loro soccorso e far cosi trionfare la sua religione, formulando le invocazioni
appropriate in casi di afflizione, come "Non vi e dio all'infuori di Allah, il Signore del Trono sublime! Non vi e dio
all'infuori di Allah, il Signore dei cieli, il Signore della terra, il Signore del nobile Trono!
41
Ibídem, p. 184.
13

ricorso a detta invocazione, si sarebbe visto esaudire da Dio ogni sua domanda di soccorso42. E di
fatto espressamente raccomandata in ogni caso di necessitá o bisogno in cuí dovesse venire a
trovarsi il credente 43.
Il pieno riconoscímento della sovranitá unica, impareggiabile e ineguagliabile del Dio che sí
era svelato a Muhammad, indusse quest'ultimo a nutríre, come si e avuto modo di constatare, una
illimitata fede nell'efficacia della formula "Non cé altra divinitá all'infuori dí Allah", al punto da
porla come pietra di paragone, nella vita quotidíana, nei confronti dellautoritá legittimamente
costituita ma soverchiamente despota o angariatrice. Soleva infatti dire, come riportato da Ibn
'Umar: "Allorché temi /del male da/ un governatore o un altro rivolgiti a Dio dicendo: 'Non c' e
altra divinitá all'infuori di Alláh, il Longanime, il Generoso. Gloria a Dio, Signore dei sette cieli e
Signore del Trono sublime! Non ee altra divinitá all'infuori di Te! Possente sia la tua protezione e
maestosa la tua lode"44.
L' eccellenza della formula "Non vi e altro dio all' infuori di Alláh" risulta non solo dalle
innumerevoli volte in cui il Profeta stesso ebbe a raccomandarla in svariate circostanze e in
determinanti momenti dell' esistenza del credente, ma anche da un hadit nel quale tale intrínseca
qualitá viene formalmente indicata, come testimonia 'Amr Ibn Su' ayb per averlo appreso dal padre
e dal nonno. Hanno di fatto tramandato che un giorno il Profeta ebbe a dire: " ,;�Jj
���������l�����ij;��������ltfi �·la m�liore formu� che abbi�o
pronunciato io e i Profeti che mi hanno preceduto, e: "��,�ri;l�'i1[1'ii�tjf.1tiiiI�;i�{��l1lii;Jiff:Ii�fl1tiit�:j�[1.�l)�i(J{'i'9:J;x;�iij��j
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5

. · .·. ·'ún:�:"';�ri�-,cli invocazioni rivolte a Dio per ottenere la pioggia in casi di prolungata e
devastante siccitá, propone una particolare insistenza sul riconoscimento e sulla testimonianza che
non vi e altro Dio all'infuori di Allah: "Non vi e dio se non Allah ... Oh Dio, Tu sei Allah ... Non vi e
dio all'infuori di Te ... "46.

tfConsiderazioni sulla preghiera

In tale esercizro della fede, il musulmano fa della preghiera seudo, cede alle persuasioni
dell'invocazione, non balbetta o rumoreggia, come raccomandato in sura XVII, 110, ma pronuncia
nell' essenzialita le paro le capaci di chiarirgli i sentieri della storia e del divenire delle cose nella
semplice accezione dell'assoluto dominio e imperio della volontá di Dio. Che la giornata si costelli
di preghiere non e insolito nella vita di un musulmano e non e nemmeno un caso di condotta
eccentrica e paradossale. L' orante per eccellenza e, in veritá, colui che invoca frequentemente Dio,

42
Ibidem, p. 185.
43
Ibídem, p. 275.
44
Ibídem, pp. 187-188. Per una preghiera aquesta molto simile, cfr pp. 318, 323.
45
Ibídem, pp. 260, 298. Non solo per la tappa ad 'Arafah il Profeta raccomandava di elevare invocazioni celebrative
della unicitá di Dio o tahlil, ma per ogni altra tappa stabilita nel generale rito del pellegrinaggio alla Mecca. Ibídem, p.
301, 302, 306. Non meno solenne e l'est:rema invocazione cui il pellegrino assolve recandosi a visitare la tomba del
Profeta dove, implorando Dio per sé, per i parenti, per i compagni di viaggio, per le persone a lui care e per ogni
musulmano, riconferma, tra l'altro, e solennemente, la sua fede in Dio proclamando la sua unicitá con la formula "Non
vi e dio all'infuori di Alláh". Ibídem, p. 31 O
46
Ibídem, p. 265. Le invocazioni formulate sul riconoscimento dell'unicitá di Dio, a cuí possono altresi accompagnarsi
la menzione del fatto che Muhammad e il suo inviato, sono vivamente raccomandate durante il mese di ramadán.
Ibídem, p. 274.
14

colui che si isola per consacrarsi completamente a Dio per il tramite della preghiera, che e premessa
indispensabile per prosperare e trovare ricompensa al cospetto del Signore, come e detto in sura
LXXXVII, 14-15: "Prospererá chi si purificherá, il nome del Signore ripeterá e pregherá".
Potremmo quindi trovare scritto, a mo' di riepilogo a tal proposito, che "Alláh, sia egli lodato ed
esaltato, ha prescritto per ogni uomo che comprenda, maschio o femmina che sia, cinque preghiere
cui assolvere di giorno e di notte, vale a dire: l@i}5t�gl&i�i%u_:(ij@Jt'Jíí�ttií:il stando ritto, inchinandosi,
tor�a��� �i.tto e ���s:e������os.\ p�i due volte, ass�lvendo cosi a �!,l�i;;'[�/f.qqj l�)�í?\P�t�NJ��tis!c}i
. . .
lW!���Q:g,i;Qf:Il@, CQ�Ji��.ª-!:ff�tik�tfltJi hgfl7lt�;jf.1:Íi§}�:ij';fJ!<é[':-pQP,1.'.eti;gigf@.), q@ijfjS()¡ff}:t.�ftQ%l:7��'3fl·f la l?,y@_��ky,{��t:f(.i;§lJ
;t;-.��J:?,iJt�, C�{1J1�!i@_p;?,Sqtgr;rnJ1a P�.�¡gli:i"�tf@::.A�lft\'��r-t CQ1J;?CJ1F'1,ttr9;11gkqqf L' osservanza di queste preghiere
'• •• O•"• • ,. • :;_ .:.• -:,�·-'-.:!'• �,-, •"-' •. "' ' -- • • • • -· • :•· ,• • M ·.,·•••••O ,,. :·. ,' .... , ',, •,. ' .. :, ,,, .., • ·•· • •

nei loro tempi e modalitá fa si che il musulmana venga annoverato tra coloro che "invocano
frequentemente Dio" e riceveranno, per tal motivo, perdono e buona ricompensa.
Ma ci sono altre preghiere che non sono un obbligo indispensabile, come le preghiere fatte
dopo quella della sera, il qunut, ossia la preghiera che si rivolge a Dio restando per lungo tempo in
piedi dopo qualche preghiera ufficiale, come quella durante la notte o le nawafil, ossia le preghiere
supererogatorie che le diverse tradizioni attribuiscono al Profeta che soleva farle in aggiunta alle
preghiere prescritte .. La stessa grazia di pregare viene considerata come oggetto di preghiera e di
invocazione, come ne lle paro le del Profeta: "Quando ciascuno di voi si sveglia, dica: ':Jf;;o;g��¡���lftlfuf
c��it�m:i�!h;�'.�fil�,il�itl:l:S�MJ:�{:il?::kt�t,\�:�1;},tyí2á:iit1��o�!tqª{�t1,ttñ.:��Q�.Q,?§iJ:ri.:o,:réJpfü;I:ña11p:�r)á1i$sdfdi.:líI��P®É+91''.
La
preghiera ben fonnulata ed eseguita diventa una causa perché Dio stesso intervenga a garantire la
veritá di ció che si proclama, perché la preghiera ha il potere di calarsi nel vortice della veritá
assoluta. Cosi infatti soleva dire Muhammad: "Nessuno si sveglia per dire: 'Lode ad Alláh che ha
creato il sonno e la veglia; lode ad Alláh che mi ha fatto sorgere sano e salvo e in ottimo stato. Io
professo che Alláh da la vita ai morti e ch'Egli e onnipotente' senza che Alláh stesso, sía Egli
esaltato, dica: 11 Mio servitore ha detto il vero"'.
Tornando alla preghiera rituale, ovvero a quella che e oggetto di obbligo e di prescrizione,
bisogna notare ch' essa ha pure de lle condizioni preliminari e suoi propri elementi costitutivi,
indispensabili per riconoscere, esaltare e rispettare colui al quale esse sono rivolte. Al cospetto di
Alláh non si puó comparire in uno stato qualsiasi o con noncuranti e oltraggiosi atteggiamenti. Un
contegno ispirato alla maestá divina esige che si sia puliti dentro e fuori, per cui il musulmano che
si accinga ad assolvere alle preghiere rituali deve provvedere ad avere puliti il corpo e le vesti, a
rispettare il tempo assegnato ad ognuna di esse perché possa incontrarlo e svelargli quanto cela in
cuore puntando lo sguardo su di lui. "Quando prega il musulmano sta davanti all' Altissimo Iddio,
piú grande di ogni altra autoritá, Creatore di ogni cosa e Detentare di ogni cosa utile e nociva. E
perció doveroso ch' egli vi attenda nel migliore stato di pulizia, interiormente ed esteriormente, sia
per quel che concerne il corpo sia per qual che con cerne l' abbigliamento e il luogo; altresi doveroso
e che egli rivolga lo sguardo dove Dio stesso gli ha ordinato di volgerlo, che si attenga al tempo per
esse fissato e che sia, mentre ad esse assolve, compunto e preciso affinché consegua gli auspicati
benefici. Gli obblighi a cui bisogna attenersi prima di cominciare a pregare sono: mettersi in istato
di puritá compiendo l'abluzione di rito si che nessuna impuritá copra il corpo, I'abbigliamento, o il
luogo in cui si prega; nascondimento de lle pudende, che nell 'uomo stanno tra l 'ombelico e il
ginocchio mentre nella donna libera interessano tutto il corpo, eccezion fatta per il volto, i palmi
della mano e i piedi; porsi in direzione della Mecca; formulare il proposito di pregare avanti di
recitare il primo takbir, vale a dire la formula 'Allah e grande', e rendersi consapevole di calarsi
15

coscientemente nel tempo della preghiera. Questo insieme di atti fu cosi sintetizzato da un místico:
"La puritá rituale appartiene all'anima e la preghiera rituale al cuore: lavandoci il viso ci
distogliamo dal mondo; lavandoci le maní ci difendiamo dalle creature a destra e a sinistra·
\. '
passando la mano bagnata sulla testa ci liberiamo da noi stessi; lavandoci i piedi ci affidiamo a Dio.
E quando chiudiamo la preghiera con la formula 'Grandissimo e Dio' usciarno da tutto quel che e
nostro, per metterci in grado di conversare col Signare".
Prima ancora di dare inizio all'invito vero e proprio alla preghiera, il muezzino procede con
la le!tura o il canto di un brano del Corano, al termine del quale esalta la maestá e la grandezza
divine con la formula, ripetuta due volte, 'Alláh e grande', a cui fa seguire la professione di fede
con la formula 'Attesto che non vi e altro dio all'infuori di Alláh, attesto che Muhammad e l'inviato
di Alláh'; di poi sollecita a pregare con le parole 'Orsú, venite alla preghiera! Orsú, venite alla
prosperita', alle quali aggiunge, nella sola preghiera dell'alba le parole 'La, preghiera e migliore del
sonno!'; ripete altre due volte la formula 'Allah e grande' e termina con il tahlil, ovvero con la
formula 'Non vi e altro dio all' infuori di Alláh".
I principi ai quali bisognerebbe attenersi mentre si prega dentro la moschea o a casa o per la
strada o in qualsiasi altro luogo sono: ascoltare o leggere versetti del Corano o una sura per chi
pregasse da solo o nel molo di imám; stare ritto durante la parte iniziale della preghiera prescritta se
si e in grado di fario, posizionando le maní dietro i padiglioni auricolari quasi a voler convogliare la
voce del muezzino o dell' imam che iniziano con la formula 'Alláh e grande', ripetuta due volte; fare
un inchino profondo e poi prostrarsi fino a toccare il suolo con la fronte, restar seduti sulle
ginocchia volgendo lo sguardo a destra e a sinistra e infine guadagnare la posizione eretta. Di un
asceta si diceva: "La sua fronte, a forza di toccare terra nella prostrazione della preghiera, si era
incallita come i ginocchi delle capre".
La preghiera rituale assicura al credente, che se ne fa artefice e testimone, innanzitutto un
profondo senso di gratitudine nei confronti di Alláh e delle grazie che incessantemente riversa su di
luí· e sulla comunitá di cui fa parte. La propensione a numerare i benefici di cuí un atto si fa garante
e cosa alquanto diffusa in ambienti semitici. Come per altre cose, anche per la preghiera rituale e
prevista una serie di benefici rnorali tra cuí non solo, come si accennava, una propensione a
manifestare gratitudine nei confronti di Dio che ne e largitore, ma altre conseguenze di non minore
irnportanza. Vogliamo qui riassumerle con parole di attenti osservatori della prassi islamica che l��;I
�áfl9fJ;r¡;t®fá.Lí/afe llf!;t11.l1@gb!t�l+'é:t'ú-t'i'mª-\y;ii:§)Jtüli�Jiárl.�f 1�/2�!í�fJ�ij:�!ifüiif����§:�}i��,l.l�-:'.fl�fI'�!iJ]�fl��]�k;:i!t���;�ii��:iª

preve�endoc�si le.�ause,�i"1�alattia e_ conseguendo forza e vitalitá; �����;1m��jj�1:1,�{J�'.'>�:!c�B�,�}8!}Y-t�tl�tf


f().l),�Jf�·i,fisb,t@§ty)J.1yirJerripi,ad/ess�;Üeput¡iti¡; ha modo di ricordare la gr�ni�{z� � pot�l1�� 'cti b'i� � -cli 1;
nutrire quindi, nei suoi confronti, il dovuto timare reverenziale, il che lo mette in condizione di
eseguire con zelo le azioni buone e di astenersi da quelle nocive.
La preghiera eseguita con costanza e frequenza diventa cosi cespite di sana e corretta
formazione del fedele e concorre ad infondere nella consapevolezza del credente che siffatte qualitá
possono costituire perenne fonte di quiete per il suo spirito e renderlo amato e bene accetto a Dio e
alla gente.
16

Considerazioni sul digiuno (q,,rj" fui u re)


11 digiuno altro non e
se non l' astenersi da cibi e bevande nei tempi che vanno dal vero e
proprio sorgere dell' alba al tramonto del sole. Inizia con il primo giomo del mese di n,,'l'!fJlf!PJi,tf!JJ nono
mese dell'anno lunare, al sorgere della luna nuova. Dall'alba al tramonto del sole non si mangia e
non si beve né una mica di cibo né una goccia d' acqua. E&;:Jeí?s'iiJasfüíé1fi'é')aliiéJsf'.Itffá.Í1f[r·aoltíaf
A proposito di questo mese si tramanda che quando il Profeta vedeva sorgere la luna nuova
si ab b andonava alla se guente in vocazione: ''�:�g;ij:���,'j�,f.�?.:';Q�é]i:[Ji'.Jli:ls!{)i�J�;é;$:é,%:)]5}t�,sj'j;:$%,l;(I�t:�:ftqj\JA1�iW1
,:W,t:�:���[,i:P!1:1.j��,��:i�{�!fSJ!1:���;?{�:;f'.{:��i�it��,9Jt8Hftt�;Mt��:¡j��:1Hr�·tf A.lJiañ1i:,eri1.tmrnf.S'rgn0feNe(pJi:!r@)ttM,Q§JR,�t'.
Come ogni altro atto di vera pietá e devozione, an. che itt�,oí:gi:W:c!��fqteve essere {�i€lfttW su un preciso
17;!%®:JRi,�t{.�;r;�i obbedienza ad un precetto divino. 1:i1f���i;i.i!:flifi�,�}Jf5\�ª fo{1i1l:lfl]�,�8g�;:�tB:t.1B�,�!,�i�;'.,1?AM?J1ttJ
Ma ��J{:, :1.JJ.�Jl�-�;{�_§!-f;f¡§.���JJf:iJI. parte, lf;i,�t�&�Í;�n\e;'.:Je.,>'1:t1.tlª�i.er:Yiji:!:�lfa1 Non invece il contrario. Tale
deliberazione pone il credente in uno stato di assoluta concentrazione su cío che fa, gli conferisce
una sorta di atarassia per tutto cío che avviene attorno a lui, lo rende indifferente persino a chi lo
insulti o cerchi di fargli del male, al quale si contenta di rispondere: "Sono in digiuno, sono in
digiuno".
I benefici che se ne traggono sono i seguenti: irrobustisce lo stomaco; fa capire ai ricchi
quanto costi sopportare le fitte della fame e della sete, si da addolcirne i cuori e muoverli a pietá e a
compassione nei confronti dei poveri e dei miseri; fa si che l'uomo si abitui a tollerare e a
sopportare ció che non fa piacere, poiché colui che digiuna sopporta di astenersi dal mangiare e dal
bere per tutto il giorno; inculca negli animi dei digiunanti fiducia e timor di Dio, li sprona a tenere a
freno le passioni e a conservarsi puri nelle parole e nelle azioni, giacché colui che digiuna non ha
altro osservatore attento all'infuori di Alláh, come e ribadito a piú riprese nel Corano, specie in sure
sure IV,l; V,117; XI,93; XXXIII, 52; L,18, e perció si guarda dal commettere peccati gravi ben
sapendo che Alláh lo osserva costantemente.

Tipologie di digiuno

C'e naturalmente un digiuno che e vera e propria imposizione o precetto, contemplato dal
testo rivelato, come in sura II,183-187:
"{µ:{'.®'gí;,1�Já�·f.:&..íie!d:S�) ! W";:eii\pre'sfé:ri.ttá-;füf:@igi1¡1!?;f'., come fu prescritto a coloro che furo110 prima di voi,
nella speranza che voi possiate divenir timorati di Dio, per un numero determinato di giorni; ma chi
di voi e malato e si trovi in viaggio, digiunerá in seguito per altrettanti giomi. Quanto agli abili che
lo rompano, lo riscatteranno con nutrire un povero. Ma chi fa spontaneamente del bene, meglio sará
p er 1 ui;/;!ihl9'iii'.Y:l@J�i�u.Ji:{:�¡iré,jz�tllJAít;j�:@:,t?rtI�o:if se ben lo sap este! �tfimfúf��rijtíj}1 U�qjijg'tJ4ñ;i1,i:hi;tiá��:$:�f.ífl,ii;9:4-1�fíi
1

!1�J�i��'lªt.9?.t'��:1>-Q:2ttP-1i9)ti�·��-1fg,µí�l�fW,tr.;/:�!í:?�9P)iñl e1tl-1�,�:Y-;3,l:U���1ari{i}rgj¡{��í,tmF.�l1:;��'ÍgJJ�·:frJ::,�_�l}';��tg.��, non


appena ne vedete la luna nuova, digiunate per tutto quel mese, e dJá'J,t@})t1tal'á:t0:\dtí11:\yiffgg1or<il-í'g:iti-ñf.fü1ff
!f�'�gl·�tl�"pp'�t,tté!:h��:�t.lª'ingi;tI�i��DiÍ/. Iddio desidera agio per voi, non disagio, e vuole che compiate il
numero dei giorni e che glorifichiate Iddio, perché vi ha guidato sulla retta Vía, nella speranza che
Gli siate grati ... V'e permesso, nelle notti del mese di digiuno, d'accostarvi alle vostre donne: esse
sono una veste per voi e voi una veste per loro. Iddio sapeva che voi ingannavate voi stessi, e s'é
rivolto misericorde su di voi, condonandovi quel rigore; pertanto ora giacetevi pure con loro e
desiderate liberamente quel che Alláh vi ha concesso, bevete e mangiate, fino a quell'ora dellalba
ín cui potrete distinguere un filo bianco da un filo nero, poi compite il digiuno fino alla notte e non
17

giacetevi con le vostre donne, ma ritiratevi in preghiera nei luoghi d' orazione. Questi sono i termini
di Alláh, non li sfiorate. Cosi Iddio dichiara i suoi Segni agli uomini, nella speranza ch'essi Lo
temano".
Di questo tipo di digiuno e fatto obbligo, come si vede, ad ogni musulmano adulto e capace
di discernere, di sana costituzione e salute, non impegnato in un viaggio. Se ne fa obbligo altresi
alle musulmane che non siano tuttavia in stato di mestruo e di puerperio. Vf':�·X4p·5};1uñf·'ifpoiüF"iTiigíuñó'
y.�y'.,1;.J.1}?:�i-:cº9-�Iítúis6é';óbblig�, ma che e dovuto se, per esempio, qualcuno dovesse fi�,i!-�t?Y.tª�;E¡J:to.f\a;jf
,9i�i�&1.fí{i;t1;:�}/giofn1;lti.Yf�{1$0La�l?i,�,t§Jí9ce§.spin"'IJ.P{t.)q\1}t:lS�f:i�J±s�):jJ1�Il!'�§;á: Ve ne e un �l:;tit9'·ití'.QJ9¡che si
accosta alla consuetudine o condotta assunta dal Profeta, come e quello, ad esempio, che si compie
�Tu.:1�9:lt�l�'Mese-dirql�m-úñarr:ª,füJe, infine un tipo di digiuno che e invece proibito, come quello di chi
volesse digiunare nelle feste id al-saghir, che viene celebrata per :� il PizÍil}�r ·-]�f
e.,

��1M��,�:�� �Íf§:)J��g�:W�f,�quella me gli o cono sciu ta come1::fl:E�llf#lf!/!j)iflo anche �fi'%}��ilit�§Jli:fli�Rl-tl'.�í,:�, che


2
1

viene celebrata il 1 O del mese di dhu al-hijja o tre giomi dopo la medesima.
Ma come giá anticipato dal testo coranico, esistono circostanze e situazioni che dispensano
da una stretta osservanza del digiuno, come quando si teme che possano sopraggiungere infermitá o
seri disagi per il corpo o di aggravare uno stato di salute di per sé giá compromesso quando cío sia
di opinione comune o rifletta una precisa indicazione di un medico esperto nella propria
diagnostica. Una seconda ragione che potrebbe sospendere l'obbligo del digiuno e quando si e in
viaggio e bisogna percorrere una rilevante distanza. Altra causa di una sua sospensione e, per le
donne, il periodo di gestazione e di allattamento la dove esistano seri motivi per temere che la
pratica del digiuno possa nuocere al feto o al lattante. La vecchiaia, pure, quando dovesse essere
incapace di subire e tollerare un digiuno cosi come prescritto dal Corano. Tutte queste situazioni
rendono plausibile e ragionevole una completa o parziale dispensa dall' osservanza del digiuno. Chi
ne beneficia, pero, e tenuto a pagare un debito, a compensare, per cosi dire, questo obbligo
religioso cuí non ottempera nella maniera prescritta, magari dando · da mangiare ad un povero per
ogni giomo in cui interrompe il digiuno. Ció e da considerarsi come un alleggerimento e un atto di
misericordia da parte di Alláh nei confronti dei suoi adoratori, come suggeriscono sure II, 178 e
VIII,66, per non opprimerli con ció che non potrebbero tollerare, poiché Egli e compassionevole e
misericordioso con i suoi adoratori. Cosi e messo in evidenza, tra l'altro, in sure II,143,207; III,30;
IX,117,127; XVI,7,47; XXII,65; XXIV,20; LVII,9; LIX,10.
Da cío si evince che l'atto di culto in sé non esaurisce la forte carica interiore che l'Islám,
vissuto come un modo di vivere globale e totalizzante, e capace di conferire alla capacita stessa
dell'agire umano. Si e giá avuto modo di capire che il concetto di culto non e relegato in una serie
piú o meno continua o frammentata di azioni imposte o suggerite dalla Legge rivelata. Non e né
frenetica attivita né scomposta e corriva osservanza d'un insieme di precetti. Muove invece dal di
dentro, si anima di intenzione e di proposito, si smussa nella ricerca del meglio e di ció che puó
rimpiazzare il dettato del precetto non osservato per particolari circostanze, non rompe l' anelito che
di dentro l' anima pervade il corpo e ne fa parola di fede realizzata. Il culto islamico e
sostanzialmente tutto ció che il credente fa per piacere ad Alláh, per scandagliare il fondo
dell' anima e del pensiero ed erigervi un trono dominato dalla volanta di Dio. In tale ottica anche il
digiuno non e fine a se stesso, ma assolve al compito e alla funzione di purificare tale interioritá,
renderla piu disponibile, attraverso la sofferenza e la salvezza che da essa operano la benevolenza e
la misericordia di Alláh, alla comprensione dell' altro, sradica l' egoísmo e raffina il senso
18

comunitario del digiunante. Perché mai, se cosi non fosse, recuperare una tensione religiosa e
devozionale e cultuale dando da mangiare ad un povero qualora si interrompe di digiunare, fosse
anche per una giusta causa? Perché pregando si allude al fatto che Allah e detentare di ció che e fa
ben e e di ció che danneggia? Non e forse anche questa certezza che spinge il musulmana a
digiunare per trovare il timore di Dio, come allude sura II, 183? In una tradizione si tramanda che
del Profeta in digiuno Dio abbia detto: "Smette momentaneamente di bere, di mangiare e di
soddisfare ai suoi piaceri sessuali, per amore di me".
N oi cristiani abbiamo il dovere religioso e l' obbligo morale di presentarci ai musulmani con
il Corano in mano, per dimostrare di saperlo leggere ed intendere, per sfatare la convinzione, in
molti di essi radicata, che altre premure e ansie cognitive non siano in grado di animare e sostenere
una: ade�uata e teriace rícerca della veritá in altre confessíoni, tra cui quella cristiana, che in un
modo o -hell' altro va sempre piú vivendo e testimoniando le pulsioni della c�rita e del reciproco
rispetto. Considerare l 'intero arco formativo di una coscienza islamica alla luce di un percorso che
prende l'avvio dalla veritá centrale dell'unicitá assoluta di Alláh, che si sviluppa, integrando e
amplificando la premessa, nel composito universo della preghiera, del digiuno, della elemosina
legale e del pellegrinaggio, significa anche scorgere, nel sistema dottrinale e comportamentale,
l' esaltante attesa di un ricongiungimento con il proprio principio nello scenario del grande ritorno a
Dio di tutte le cose e, quindi, di ogni singola persona.

Considerazioni sulla zakiiñ

In questa cornice anche per l' elemosina legale, la cosiddetta zakáh, si pro fila una lettura
conforme allo spirito testimoniale messo in risalto nel tratteggiare le peculiaritá dei precedenti
pilastri dell'Islam. A volersi chiedere cos'é mai l'elemosina legale, verrebbe da rispondere, nello
spirito della religiosita islamica, ch'essa altro non e se il destinare una determinata parte del proprio
danaro e dei propri beni a beneficio di chi Iddio ha reso obbligatorio versada. E un obbligo che
ricade su ogni musulmana e ciascuna musulmana.
Questo principio generale viene enunciato in modo piú pertinente e individuante con le
seguenti disposizioni: e assoggettato al versamento della zakáh il musulmana libero, adulto, in
pieno possesso delle proprie facoltá mentali, in possesso di una precisa proprietá, esente da debíti.
L'ammontare della percentuale da versare sui beni posseduti: come denaro, oro, argento, merci,
bestiame e altri beni, e solitamente determinata, in una con le condizioni della sua applicazione, nei
libri éifiqh o di diritto musulmano. Perlo piú e indicato il tasso mínimo del 2,5%.
Naturalmente a fronte di questa oggettiva disponibilitá intrínseca a quanto in effetti si possiede, si
pone poi il problema di cosa versare e come versado. Qui la consuetudine musulmana evidenzia
innanzitutto cío che si possiede in fatto di monetazione corrente, soprattutto in oro e argento, ma
anche in moneta corrente, in bestiame: come cammelli, mucche, greggi, in prodotti agricoli nonché
proventi da attivitá commerciali a vario titolo.
Sul modo e per le persone a vantaggio delle quali versarla, si tiene conto di quanto detto in
sura IX, 60: "Perché il frutto delle Decime e delle elemosine appartiene ai poveri e ai bisognosi e
agli incaricati di raccoglierle, e a quelli di cui ci siam conciliati il cuore, e cosi anche per riscattare
gli schiavi e i debitori, e per la lotta sulla Vía di Alláh e per il viandante. Obbligo questo imposto da
19

Allah, e Alláh e saggio sapiente". Ma sull'interiorizzazione di questo atto, e ancora il Corano ad


intervenire esplicitamente, stabilendo il confine tra I'esterioritá e l 'interioritá con le parole: "Se le
elemosine le farete pubblicamente, buona cosa e questa; mase le farete in segreto dando dei vostri
beni ai poveri, questa e cosa migliore per voi e servirá d' espiazione per le vostre colpe, ché Dio e
bene informato di quello che fate", come detta sura II,271.
Usi a individuare e circoscrivere l'ambito concettuale espresso dai termini, i commentatori e
gli esegeti del testo coranico hanno messo in risalto che per 'povero', faqir, e qui da intendere 1l;3@1füi'
C�f}:J:?:2.�§;i�,Qe!:Q@�t:;P.Q�:9·'JtFP�Y§.$�.���}2f1:irf}F.f; per 'biso gnoso', mis kin, q;�li» c��-J::titMgg�:::m.0.�tiJp;Qs:§fij�
i��!.f�.;twer 'l'incaricato di raccoglierla', chine va in cerca di casa in casa tra la gente, come avveniva
agli albori dell'Islám e ancora dopo; per 'quelli di cui ci siam conciliati il cuore', coloro che
abbracciano la religione dell 'Islam ma la cui fede e debole, oppure coloro che si vorrebbe far
pendere verso la condivisione della fede islamica, o anche coloro dai cui animi si vorrebbe
rimuovere ogni voglia di nocumento e di male nei confronti dei musulmani; per 'schiavo', ��1li¡,)j,lf
fqµa;l�,1:-ilJp't·�iRifQ1;_t\q9J!2.n�;¡tijQ.!E����,iJJ1Q.cyjy,9:!��'j).;ffl,§\,:;�:�I,t�ªt§;Q��ª1¡t�\i,ii tJ<JlfáJ;\g�;:;p:�{;;,;�.§.S.;�J;,�;{9;fft�P.:y;�t;J; per
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Anche in questo ambito, come negli altri, il valore dell'intenzione conferisce spessore
morale ed etico all'atto in sé, orientandolo nella direzione del compiacimento divino, al quale ogni
pío musulmano deve costantemente ispirare ogni moto dell' anima e del corpo. Si <leve sapere che
nell'Islám di ogni epoca ed estrazione non cé mai stata una cultura dell'opposizione tra anima e
corpo, ma solo una loro distinzione e anche questa comunque associata ad un'armonica
composizione e interazione. L' assenza di siffatta contrapposizione ha fortunatamente
sdrammatizzato ogni aspetto del quotidiano nel suo svolgersi cadenzato e coordinato da atti e
attitudini secolari. Il concetto della sottomissione, che e essenzialmente dinamico e costruttivo,
induce a porsi nell' angolo visuale di Dio, a creare e gettare un ponte i cui costruttori siano realistici
visionari di una cittá di Dio sulla terra. In tale cornice anche la zakah viene recepita e agognata
come un'occasione per assentire ad una precisa volanta divina, per cui essa e considerata come una
disposizione attraverso la quale Alláh la impone ai ricchi e ai facoltosi perché ne traessero, i poveri,
vantaggi materiali ed essi utilitá spirituali, in una sorta di reciproco gioco delle parti per
l' esaltazione dei supremi disegni divini. Di fatto i vantaggi e i benefici che il versamento della
zakah assicura nel complesso tessuto della comunitá islamica sono molteplici.
Innanzitutto scongiura che i poveri e i bisognosi siano soffocati e danneggiati
dall 'umiliazione che consegue ad uno stato di indigenza e, nello stesso tempo, concorre al
miglioramento del loro stato di salute, debellando morbi ed epidemie che potrebbero abbattersi su di
ess1.
In secando luogo possono concorrere ad arginare tendenze alla disoccupazione e, perció,
ridurre il numero dei disoccupati e degli accattoni che seminano corruzione sulla tena e il cui danno
si riverbera su larga scala nel paese e tra la gente.
Siffatta preoccupazione di stampo prettamente sociale, tendente a salvaguardare la dignitá
creaturale di ciascun individuo, nella buona come nella cattiva sorte, si da cancellare sul sorgere la
sconcezza di un comportamento negativo ed eticamente nefasto, si riflette altresi nel terzo obiettivo
20

che il versamento della zakah intende perseguire, vale a dire la sua finalizzazione ad alleggerire il
peso deleterio che la povertá e l' indigenza impongono ai miserabili si che diminuiscano i delitti e i
malí da essi perpetrati, dato che la miseria stessa figura da sempre come una delle cause piu a monte
della consumazione di delitti e di malí che imperversano nella societa.
Come quarto scopo, la zakah dovrebbe servire a recuperare alla causa dell'Islám,
abbracciandolo come ultima e definitiva credenza religiosa, chi se ne fosse allontanato rinnegandolo
e, nello stesso tempo, fronteggiare il danno che alcuni di essi potrebbero arrecare ai musulmani. A
questo principio di recupero' e reclutamento che non rare volte si presenta come vero e proprio
proselitismo, si affiancano altre istanze di attivitá e iniziative capillari sul territorio e fuori, volte
alla diffusione e alla supremazia della religione islamica su ogni altra credenza. A tale uopo
vengono sovvenzionate fondazioni di vario tipo, che gestiscono una sorta di economía distributiva
delle risorse provenienti dal versamento della zakah.
La quinta finalitá connessa direttamente alla istituzione della zakáh ha un sapore di piú
elevata istanza sociale, temperata e pervasa da afflato piú religioso che puramente filantropico. Si
ha. una piú pertinente analogía con le direttive veterotestamentarie relative alla necessitá di avere in
considerazione gli orfani, le vedove e gli anziani e, nello stesso tempo, una piú marcata eco delle
raccomandazioni evangeliche nei riguardi delle stesse categorie. In quest'ultimo caso, infatti, la
raccomandazione a farsi carico dell' alleggerimento de lle pietose condizioni in cui esse versan o
sfocia in un vero e proprio invito ad 'amare' tali categorie. Anche nell'Islám e.'e l'attenzione a che
tale valore emerga piú consistentemente nel rapportarsi dei ricchi ai poveri e ai bisognosi. Un
atteggiamento di amorevolezza si tira dietro, di solito, anche un sentimento di simpatía che rimuove
dai cuori dei beneficati ogni traccia di astio e di odio e di rancore nei riguardi dei ricchi,
scongiurando cosi, in maniera piú determinante, le propensioni che i poveri rnanifestano a mettere
in atto ogni mezzo pur di guadagnarsi di che vivere alla giornata.
Non meno apprezzabile e altresi il riscontro che di sé lascia negli animi dei ricchi la
disponibilitá a far del bene agli indigenti. La carita, di fatto, purifica, rimuove dagli spiriti dei
facoltosi il disonore della tirchieria e dell'avarizia, inducendoli a versare senza grettezza parte dei
loro beni sotto ogni forma di pietá, di elemosina e di mutuo soccorso. Questa sesta finalitá che la
comunitá musulmana intende conseguire con la sollecitazione a versare la zakah come e quando si
puó, rappresenta la cima e l' apice del bene comunitario. Si costituisce come un cardine della
costruzione annonica ed egualitaria della ummah o grande casa della fede islamica.

Considerazioni sul pellegrinaggio alla Mecca

Anche del pellegrinaggio alla Mecca e fatto obbligo ai musulmani, almeno una sola volta in
vita, sin dagli sgoccioli dell'anno 9 dellegira. E un obbligo che incombe su ciascun musulmana
libero, dotato di capacita legale, di sana costituzione, benestante, capace di provvedere alle spese
dei suoi familiari durante il periodo del viaggio necessario al pellegrinaggio stesso in una con la
sicurezza del cammino che bisogna percorrere a tale uopo:b1w�o

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Come principio di massima, ���·�����
21

un altro in caso di infermitá o di detenzíone, ma dove esse cessassero si renderebbe obbligatorio


eseguirlo di persona 47.

Riti del pellegrinaggio

In caso si decidesse di assolvere all' obbligo del pellegrinaggio, bisogna attenersi


scrupolosarnente a tre cardini.
1) Procedere ad una completa pulízia del proprio corpo, radersi i capelli, dismettere ogni abito
confezionato per indossare una veste rituale cingendola dalla vita in giú, izar, e un manto con cui
coprire_ la p�rte superiore per poi rivolgersi a Allah, dicendo: "Wi1@.,)JA9J:,;iif1t�',���f�.minil�f�;:f,9. 1Jf�,1:W
��,g�,[���!2�i�������9��\��'. Pot ancora rivotto a Dio:
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'Wq99;µ-ii,.2,11]_iq:·Pi9,'. ec9m.11ir �CC,OJXL.f! ��� µp.9,}1,ü·:tuipet:iSOcip! 8•
Eócqm.g! ']¡¡\l¡�i:i[oñfla.;1Qe1�1t�JaJ112gt��i'�
f� il:t�glipt 1�h�ssµ.119J1aitu.pe:rsocícf. In questo consiste il ihrám'", ·
Dopo aver fatto ció, e fatto dívieto al pellegrino di coprirsi la testa o la faccia o di taglíarsi i
capelli o di tagliarsi le unghie o di indossare un abito confezionato o di litigare con qualcuno.
2) Non appena sará giunto alla Mecca, principierá dal Tempio Sacro", al-masgid al-harám, di poi
fa la deambulazione intorno alla Ka 'bah compiendo sette giri e pregando finché puó:", quindi
compie sette volte la corsa, sa 'y, tra al-Safá e al-Marwah52, cominciando da al-Safá e terminando ad

47
Nel caso in cui qualcuno si ponga in istato di sacralitá al posta di un altro onde effetuare al pasto suo il
pellegrinaggio, e opportuno formulare tale intenzione con le parole: "Jo faccio proposito di compiere il pellegrinaggio
e per esso mi consacro a Dio, sía Egli esaltato, al posta del tale. Eccomi, Signore, al posto del tale ... " e procede sino
alla fine della talbiyah. Di detta invocazione parleremo subito dopo.
48
Cfr sure VI,163; XVII) 11; XXV,2.
49
Termine con il quale si esprime la particolare consacrazione che il pellegrino fa di se stesso prima di intraprendere il
pellegrinaggio rituale. Detta consacrazione implica altresi una ferma volanta di astenersi da tutto ció che interiormente
o esteriormente possa compromettere lo stato di purificazione del pellegrino. Con lo stesso termine usa indicare altresi
l'abito che si indossa in detta circostanza. Alcuni raccomandano di dire, subito dopo aver espresso l'intenzione di
effettuare il pellegrinaggio: "Signore, a Te io consacro lamia anima, i miei capelli, la rnia pelle, la mía carne e il mio
sangue". Porsi al cospetto di Dio in piena disponibilitá di tutto il proprio essere e il fondamento della consacrazione e
della sacralizzazione che caratterizzano lo stato interiore di chi si appresta a compiere il pellegrinaggio. 11 Profeta
soleva esprimere questa realtá con le parole: "Eccomi, Signore! Eccomi! Eccomi! Tu non hai alcun associato, Lode,
grazia e sovranitá appartengono a Te! Tu non hai alcun associato!". Cfr Mouhieddin Abou Zakaria Yahia Ben Charaf
An-Nawawi, Les Invocations, cit., vol. I, p. 389. Le parole che esprimono questa atmosfera interiore che poi
accompagnerá il pellegrino in ogni tappa del suo pellegrinare, sono generalmente riassunte con il termine talbiyah. Si
consiglia di pronunciarla sempre a voce alta, soprattutto da parte degli uomini. Raccomandabile in ogni altra parte del
pellegrinaggio, si sconsiglia pero di recitarla durante la deambulazione attorno alla Ka 'bah e durante la corsa tra al-
Safá e al-Marwah.
50
Vedendo la moschea ed entrandovi, si raccomanda di alzare le mani al cielo e di esclamare: "Signare, accresci
l'onore, la grandezza, la nobiltá e la venerazione di questo Tempio; accresci l'onore , la nobiltá, la grandezza e la pietá
di coloro che lo onorano e lo venerano visitandolo in pellegrinaggio". Confortati dall'onore che Iddio riversa su di loro
al momento di contemplare il sacro Tempio essi esclamano, cosi come giá faceva i1 Profeta: "Signare! Questo e il tuo
Tempio sacro. Il tuo asilo! Deh, distogli da me il Fuoco e concedimi sicurtá contro il tuo castigo il giomo in cuí Tu
resusciterai i tuoi servitori! Fa' ch'io si adel gruppo di coloro che sono a Te vicini e di coloro che Ti obbediscono!".
Cfr Mouhieddin Abou Zakaria Yahia Ben Charaf An-Nawawi, Les Invocations, cit., vol. I, pp. 291-292.
51
Tra le invocazioni raccomandate durante questa fase, si consiglia la seguente: "N el nome di Dio 1 Dio e grande!
Signare, siamo qui perché abbiamo fede in Te, crediamo nel Tuo Libro, siamo fedeli al patto con Te stipulato e
seguiamo la tradizione del Tuo Profeta!" Ogni giro in tomo alla Ka 'bah ha una sua invocazione o piu di una. Vedi
Ibídem, pp. 292-294.
52
Sono due colline inglobate dentro il sacro recinto della moschea, ad est. La distanza che le separa viene percorsa dal
pellegrino con andatura svelta e sostenuta. Le invocazioni previste per queste due tappe, soprattutto nel mentre si copre
la distanza tra l'una e l'altra, sano di particolare fervore ed intensitá ed ínsistono sui concetti della grandezza e
dell 'unicitá di Dio, del suo potere sulla vita e sulla marte, della sua fedeltá al Patto, della sua disponibilitá a perdonare
22

al-Marwah. Quando si trovera poi nello spazio del Tempio compreso tra l'angolo in cm e
incastonata la Pietra Nera e la porta d'ingresso, al-Multazim, si raccomanda di volgere a Alláh la
seguente invocazione: "Signare, fa' che la lode a Te resa sia all'altezza dei tuoi favori ed eguagli
ció che tu accresci. Te io lodo con ogni forma di lodi, quelle da me conosciute e quelle che ignoro,
per tutte le Tue grazie, quelle da me conosciute e quelle che ignora e per ogni situazione. Signare,
fa' scendere le tu.e benedizioni e la tua pace su Muhammad e sulla sua famiglia! Fa' ch'io trovi
rifugio presso di Te contro Satana il lapidato e contro ogni sventura. Rendimi soddisfatto di ció che
mi hai accordato e benedicilo per me. Fa', o Signore, ch'io sia il piú onorato di tra coloro che
compariranno alla Tua presenza e ch'io permanga sulla retta via fino a quando T'incontreró, o
Signare dei Mondi!"53. Altre invocazioni sono altresi raccomandate quando il pellegrino dovesse
trovarsi nei pressi di al-H igr, ossia del muro di cinta introno alla Ka'bah sul lato nord, considerato
parte integrante del sacro Tempio54.
Si soffermerá alla Mecca fino all' ottavo giomo del mese di dii al-higgah. Da qui si avvierá
poi a Mina 55.
Il nono giorno si portera ad 'Arafalr" dove si soffermerá sulla montagna fosse anche
per un istante. L'indicazione di siffatto tempo pur brevissimo sta ad indicare che se in effetti tale
tappa non viene messa in atto, il pellegrinaggio stesso e da ritenersi nullo, giacché la sosta, wuqiif,
ad 'Arafah e vissuta come una componente essenziale di esso.
3) I1 decimo giorno, vale a dire i1 giorno della festa, il pellegrino sosterá in una localitá chiamata al-
Muzdalifah57. Vi si fermerá foss'anche per un istante. Dopo detta sosta, lancera dieci sassi controla
stele di al-' Aqabah, subito dopo sgozzerá una pecora a Mina e ne distribuirá le carni ai poveri e ai

ogni sarta di peccato e di colpa, della supremazia concessa all 'Islam e ai musulmani su ogni altra gente e nazione,
della possanza della religione musulmana, e sulla prerogativa di rendere a Dio un culto sincero ch'essi hanno da Lui
ricevuto in proprio. Cfr Mouhieddin Abou Zakaria Yahia Ben Charaf An-Nawawi, Les Invocations, cit., vol. I, pp.
295-297.
53
Cfr Mouhieddin Abou Zakaria Yahia Ben Charaf An-Nawawi, Les Invocations, cit., vol. I, p. 294.
54
L'invocazione a tale uopo suggerita e: "Signore, son venuto qui da Te da un lantano paese, con la speranza di
guadagnarmi i tuoi benefici. Accordamene, Ti prego, almeno uno si che non mi día pena di chiederlo ad altri , o Tu
che di ogni beneficio sei largitore!". A pellegrinaggio compiutoe prima ancora dí abbandonare definitivamente la
Mecca, e qui che il pellegrino compie la sua ultima tappa dopo aver compiuto un giro introno alla sacra Ka'bah.
Ibídem, pp. 295, 307.
55
Localitá situata lungo il cammino di 'Arafah, a circa sette chilometri ad est della Mecca. Tra le varíe invocazioni
consigliate quando si e in cammino verso questa tappa, ne citiamo una che potrebbe riassumere tutte le altre, ed e la
seguente: "Signare! Verso di Te io valgo il volto alla ricerca della Tua nobíle Faccia. Fa' che i miei peccati siano
perdonati, che il mio pellegrinaggío sía devotamente compiuto. Concedimi la Tua misericordia e non deludermi. In
veritá, Tu sei d'ogni cosa capace!". Cfr Mouhieddin Abou Zakaria Yahia Ben Charaf An-Nawawi, Les Invocations,
cit., vol. I, p. 298-301.
56
Localitá pianeggiante che si trova a circa ventuno chilometri ad est della Mecca. La circonda una teoría di colline ad
emiciclo al centro delle quali si erge il monte della Misericordia, gabal al-rahmah. Si ha anche la forma 'Arafát, come
in sura II,198 e la corsa impetuosa che i pellegrini compiono da detta localitá sino a raggiungere al-Muzdalifah e da
quest'ultima a Mina e pure detta ifádah. Dí considerevole importanza come tappa del pellegrinaggio, l'invocazione
che si eleva il giomo in cui vi si giunge e tra le piú apprezzate. Di fatto e detto: "La migliore invocazione e quella che
viene fonnulata il giomo di 'Arafah". Questo perché il giorno di 'Arafah e i1 giorno piú indicato per elevare
invocazioni e perché rappresenta tutto il pellegrinaggio, dato che e in questo giorno ch' esso ha termine. Cosi il Profeta
soleva asserire: "11 pellegrinaggio e 'Arafah". Cfr Mouhieddin Abou Zakaria Yahia Ben Charaf An-Nawawi, Les
Invocations, cit., vol. I, p. 299, nota 1.
L'invocazione costi raccomandata e: "Signare, Ti chiedo di concedenni, in questo luogo, ogni bene possibile, di
57

migliorare tutta lamia vita e di proteggermi contra ogni male. Nessuno, infatti, e capace di farlo all'infuori di Te e
nensuno al tro puó concederlo se non Tu".
23

bisognosi. Di poi si taglierá o accorcerá i capelli, quindi fa ritomo alla Mecca e compre la
deambulazione intorno alla Ka 'bah sette volte.
La stretta osservanza dei tre cardini di cui sopra, pone fine allo stato di ihrám e restituisce il
pellegrino alle scansioni giomaliere della sua devozione e del suo essere musulmano. Ció che gli
era proibito durante il rito del pellegrinaggio, diventa per lui lecito a partire dal momento in cui ha
termine la deambulazione in trono alla Ka 'bah. L 'undicesimo e il dodicesimo giomo scaglia sette
sassi contro le tre steli che si trovano lungo la strada che congiunge la Mecca a Mina. cominciando
dalla piú piccola, passando poi per la media e terminando, quindi, con la piú grande.
Ora si puó dire che il pellegrinaggio e veramente terminato e, con esso e grazie ad esso, il
musulmano ligio all' osservanza dei precetti e degli obblighi della sua Legge, prova nel profondo del
suo intimo, di aver compiuto il beneplacito di Dio58, al quale solo spetta la lode e la glorificazione.
Ora e libero di scegliere se far ritomo tra i suoi nel paese di origine o c'.asm11tiémi:�ttú'ttfb
rn,c<Yóiñ·añdtrorieL\p.teferí:fütt··· ·.e':f;ñ1igiiote;J�rt1,1g�r,f;;;·,�\risitmsralhri't0in6a:': ;: tff�1tEsrt<S·. . ,;1J?.r&íetáttréqijiJiip$iwrª,
'Méñi@ii,Bff P.�.tJt?�iJwhí:ti,rl(¡}ry¿ppn:;: 1íl.:yi§itaJ1:lle\ tomb:e .di;c�bµt/�:ªltr1er��i1;tan1:at.J Con questo ultimo atto
di culto, il pellegrinaggio si stampa e si imprime nell' animo del musulmano come f}¡'!]]lfüB)g�ª��@J
gr.é!{'.?]i?;;.�Jµigonc.:xs.
f,,,,,·. 'ii'<ii'.·/i{
\}'.,c,,;•,T,·.
s{t,9,0J}Q.:H:· QQllQ·J:lefü.1, ,{ecfe,;
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<•, ''\,•.,. •i,' .'·:·, jCC ."•· ·.l'
La sua persona ne e per sempre segnata e da oggi in
O, ;.'o' j '· ..' -. ,

poi null' altro sará oggetto dei suoi desideri se non congiungersi con i correligionari nella Mece a
celeste, ultima e suprema tappa del suo camminare sulla terra. Questa agognata esperienza lo
segnerá perfino nel nome. Non sará piu '�t5,f:aJñ.tg ma bensi W1J�f�\r]���twtmJ vale a dire tíUf��eili1It!1iííMi

Valore morale o virtu del pellegrinaggio

II pellegrinaggio ha una funzione unificante. Esso fa, nei precisi ternpi in cui lo si compie
tutt'insieme, quel che fa la moschea nei tempi ordinari delle cinque preghiere rituali. Concorre a
sensibilizzare i musulmani sul concetto di una unita strutturale del loro essere tali. La funzione della
moschea e quella di 'raccogliere', 'unire', 'radunare', fare dei molti un uno. La pregnanza del
termine gámi ', e proprio in questo suo ruolo che abbatte i limiti del tempo e dello spazio, annulla la

58
Questa stessa tensione interiore animava e dettava ogni movimento della mística Rabi' ah al-' Adawiyyah che cosi
soleva dire volgendosi al suo Signare: "O mio Dio, Tu sai che il mio cuore desidera solo la Tua approvazione e non
vuole altro che obbedire alle Tue Leggi. 11 mio occhio si illumina alla luce dei riti che io compio in omaggio alla Tua
Suprema Maestá. Se io fossi libera dei mei atti non vorrei restare un solo istante lontano dal Tuo servizio. Ma Tu mi
hai dato in mano a una creatura umana: ed ecco perché, come umile Tua serva, arrivo cosi tardi". Compiva il
pellegrinaggio alla Mecca con tanto desiderio di incontrare il volto del suo Signare che la Ka'bah stessa andava verso
di leí ma ella replico: "Quello che mi occorre non e la Ka'bah , ma il suo Padrone", e non volle neppure guarfdarla.
Cfr Farid ad-DTn al-i Attár, Parole di Sufz. Memoriale degli intimi di Allah, Osear Mondadori, Milano 2001, pp. 106-
107.
59
La visita alla tamba del Profeta e considerata tra le opere piú atte ad unire a Dio e tra le azioni piú meritorie e degne
di retribuzione. Giá allo scorgere gli alberi della cittá, il pellegrino alza al cielo la seguente invocazione: "Signore,
schiudi mi le porte della Tua misericordia, concedimi, per il mio proposito di visitare la tomba del Tuo Profeta, ció che
hai elargito ai Tuoi servitori e a coloro che Ti hanno obbedito. Perdonami e sii con me misericordioso, Tu che piú di
tutti meriti di essere implorato!". Sulle cerirnonie da seguire nella moschea eretta sulla tomba e sulle varie invocazioni
da riservare ad ogni sito, cfr Mouhieddin Abou Zakaria Yahia Ben Charaf An-Nawawi, Les Invocations, cit., vol. I, pp,
308-311.
24

molteplicitá, partecipa alla ummah o comunitá la sua costitutiva identitá unitaria pur preservando la
diversitá delle coscienze individuali'",
Ora, giacché siffatto raccogliersi o radunarsi nell 'unitá non realizza completamente
l'insieme delle mete che I'Islám si propone, dato che il vantaggio che ne deriva resterebbe limitato
alla popolazione di un detenninato paese o regione, Iddio ha prescritto ai musulmani che si
riunissero in comune convenendo da tutte le partí del mondo abitato in un solo ed unico luogo,
animati e infervorati tutti da una medesima ed identica religione, per un unico e semplice scopo. E
appunto durante tale circostanza che gli uomini di scienza e di conoscenza, gli oratori dai pulpiti
delle moschee e i saggi a vario tito lo richiamano l' attenzione dei pellegrini sui fondamenti
dell 'Islam e sulle diverse ramificazioni dello scibile coranico, sulle condizioni dei musulmani sparsi
per il mondo, sui loro usi e costumi, sulle loro modalitá di testimoniare la fede e le opere dettate
dalla Legge divina e le considerazioni che si impongono a proposito di tutte le altre comunita che
non condividono i loro stessi principi religiosi ed etici. Si da luogo ad una vera e propria
immersione nell 'universo delle veritá fondanti del loro credere e del loro agire.
L'Islám guarda l'Islám con i propri occhi, la forte emotivitá del presente aggredisce le
possibili immaginazioni di un futuro piu a misura della comunitá musulmana, piú dilatato, piú
rappresentativo sía a livello numerico sia a livello qualitativo. La certezza della fede rischiara le
nebulose ansie del futuro e gli partecipa la pienezza del presente che edifica e innalza a Dio un
essere totalmente consacrato al suo servizio. La massa di pellegrini cosi composta nelle preghiere e
cosi uniforme nell' osservanza del rituale, partecipa una plastica immagine dell'unitá, della
cooperazione e dell' armonía che permeano di sé genti provenienti dai quattro angoli della terra.
Non a caso il pellegrinaggio si costella di tappe e di visite ai piú significativi luoghi che furono
testimoni della rivelazione, dapprima, e dei successivi sviluppi della dottrina comportamentale, in
un secando tempo. Pur se per diverse ragioni non piú capitali politiche dell'impero islamico, �ªiijf

60
Lo stretto rapporto della moschea con la preghiera, al di la di questa sua funzione piú strettamente ideale e
univeralizzante, e opportunamente segnalata dal Profeta stesso la dove dice: "In veritá le moschee sano costruite per
cío che il loro nome índica". L'allusione e qui direttamente al termine masgid, per cuji la moschea e luogo di
prosternazione. Ma in perfetta analogía con il senso di questo hadit e l'interpretazione del termine gámi '. Certo non
siamo nello stesso ambito di una sua funzione piú normale, meglio funzionale all'atto del pregare in sé come figura in
un altro hadit in cui e detto: "Qucste mopschee non sono state erette perché vi si urini e ne ricevano sozzurra, ma son o
fatte per invocare Dio, sia Egli esaltato, e leggere il Corano". Cfr Mouhieddin Abou Zakaria Yahia Ben Charaf An-
Nawawi, Les Invocations, cit., vol. I, p. 48. In un altro hadit si evidenzia che il Signare ha delle ricompense preparate
appositamente per chi "porti fuori dalla moschea una benché mínima sporcizia". Ibídem, p. 160. Ma sulla funzione
unificante della preghiera in detti luoghi si esprime anche Abul A'la Maududi, Conoscere l Tslam, cit., p. 132, dicendo:
"Dunque, lo ripetiamo, si devano eseguire le orazioni obbligatorie, possibilmente, in comune con gli altri credenti; in
special modo l'orazione obbligatoria congregazionale del giomo del Venerdi. Questo fatto crea tra i musulmani un
legame di solidarietá e di comprensione reciproca. Questo fatto risveglia in loro il sentimento della loro unirá e nutre il
senso di appartenenza ad una cornunitá speciale. 11 fatto di eseguire in congregazione le orazioni obbligatorie inculca
in loro un profondo sentimento di fratellanza, esse sano altresi il símbolo dell'uguaglianza, perché il ricco edil pavero,
il potente e l 'umile, i dirigenti e i dipendenti, i dotti e gli illetterati, i neri e i bianchi, tutti sono nel medesimo rango e si
prostemano insieme davanti al loro Signare".
61
Del místico 'Ujmán Ibn Murzüq al-Qurasí si narra: "Una volta, al Cairo, fece la preghiera della sera in casa sua, poi
usci in compagnia del servo Abü al=Abbás al-Muqrí. Camminavano a paro; entrarono alla Mecca e pregarono
25

La possibilita di compiere riti legati alla memoria di personaggi centrali e significativi della
storia religiosa, attualizza i simboli da essi proiettati per la decifrazione del loro divenire nel
contesto delle genti e delle nazioni. Da ogni parte si conclama l'inscindibile rapporto tra il
personaggio della Scrittura e le potenzialitá storiche della sua funzione. Abramo fu e resta il
massimo símbolo dell'obbedienza e della sottomissione all'ordine di Dio, l'immagine piu diafana
della sostanzialitá della fede dentro la quale trova sussistenza l' operativitá cultuale, e tanto simbo lo
da trascendere la sua stessa origine e da divenire polo dell 'universale paternitá in rapporto alle tre
religioni monoteistiche ma, sostanzialmente, padre unico e assoluto dell 'Islam per il tramite del
figlio Ismaele'". Tanto forte e potente paludato dalla fede da soggiogare e ridurre in schiavitú il
nemico giurato del genere umano, quel Satana da luí legato e lapidato al cippo di Mina e da essere
considerato come l'amico di Dio per eccellenza63.
Questo accenno ad Abramo ci induce a dare una breve sintesi di ció che la tradizione
islamica ritiene a proposito del sacrificio che questo profeta di eccellente obbedienza e
sottomissione a Dio si accinse a fare quando l' Altissimo gli chiese di offrirgli in olocausto il suo
unico figlio. L'individuazione della vittima sacrificale in Isacco o in Ismaele comporta
conseguenze gravide di valori elettivi e testimoniali. La continuitá della linea profetica in Isacco
configura la giustificazione dei vaticini profetici riguardanti il Messia, mentre se essa viene
focalizzata sulla persona di Ismaele potrebbe offrire, come in effetti avvenne, giustificazioni elettive
che spostano l'asse della economía profetica nell'alveo della generazione di Ismaele stesso e,
quindi, finiscono con il depone a favore dell ' autenticitá dell' elezione profetica dello stesso
Muhammad, discendente di Ismaele, padre di tutti gli Arabi.

Abramo e Ismaele

Anticipiamo che in nessun passo del Corano si fa esplicita menzione di Abramo che
sacrifica il proprio figlio Ismaele sul monte in olocausto a Dio, per esternare la sua totale fiducia
nelle sue volontá e la sua piena sottomissione ai suoi voleri. I passi nei quali i due nomi sono
abbinati non sono nemmeno numerosi e per lo piú contemplano un contesto di consacrazione
elettiva e profetica. Di fatto in sura IV, 163, leggiamo: "In veritá Noi t'abbiamo dato la rivelazione
come l' abbiam data ad Abramo e a Ismaele, e a Isacco e a Giacobbe, e alle Tribu e a Gesú e a
Giobbe, e a Giona e ad Aronne e a Salomone, e a Davide demmo i Salmi". Lo stesso concetto,

lungamente nel santuario. Si diressero poi a Medina, entrarono in cittá, visitarono la tamba del Profeta. Passarono a
Gernsalemme, vi pregarono qualche tempo, poi tornarono al Cairo, arrivando prima dell'alba. Diceva Abü al-t Abbás:
'Quella notte non ho provato nessuna stanchezza'". Cfr Vite e detti di santi Musulmani, (a cura di Virginia Vacca), ed.
TEA, Torino 1988, pp. 194-195.
62
Non dissimile e di fatto lenunciato di un hadit tramandato da Ibn al-Sunni in cui e riportato: "Ci siamo svegliati con
la religione dell'Islam e la parola del culto sincero, con la religione del nostro profeta Muhammad, con la credenza di
Abramo, nostro padre, monotesista e musulmana e neppure io son del numero dei politeisti". Cfr Cfr Mouhieddin
Abou Zakaria Yahia Ben Charaf An-Nawawi, Les Jnvocations, cit., vol. 1, p. 121.
63
L'epiteto a lui esclusivo, in tutto il Corano, ce lo presenta, appunto, come l'amico o il familiare di Dio, al-tf alil,
come in sura IV,125. Il dono della familiaritá o dell' arnicizia che Iddio conferisce a qualche suo eletto, rendendolo
degno di conversare con lui, e mes so in evidenza nella vita del místico 'Abdalláh Ibn Haníf al-Antáki che tra le forme
con cui Iddio si allontana dall'uomo soleva cornprendere quella da lui evidenziata con le seguenti parole divine:
"Quante volte ti ho punito, e tu non te ne sei accorto! Non ti ho forse privato della dolcezza di conversare íntimamente
con Me?" Cfr Vite e detti di santi Musulmani, cit., p. 183.
26

formulato in maniera simmetrica, compare in sura III, 84, dove e asserito: "Di: "Crediamo in Dio e
in quel cb 'e stato rivelato a noi e in quel che stato rivelato ad Abramo e a Ismaele e a Isacco e a
Giacobbe e alle Tribu, e in ció che fu dato a Mose, e a Gesú e ai Profeti dal loro Signore senza far
distinzione alcuna fra loro, e a Lui noi tutti ci diamo". Non dissimile e il contesto espositivo di sura
II, 136, in cui leggiamo: "E <lite loro ancora: "Noi crediamo in Dio, in ció che stato rivelato a noi e
in ció che fu rivelato ad Abramo, a Ismaele, a Isacco, a Giacobbe, e alle Dodici Tribu, e in ció che
fu dato a Mosé e a Gesú, a ai profeti dal Signore; non facciamo differenza alcuna fra loro e a Lui
tutti ci di amo!"
Di affinitá concettuale e di continuitá discorsiva troviamo traccia altresi nella stessa sura II,
140, dove, a voler maggionnente enfatizzare la libera elezione di Dio al di fuori e al di la di ogni
appropriazione confessionale e apologetica si asserisce: "O pretendete voi che Abramo e Ismaele e
Isacco e Giacobbe e le Dodici Tribu fossero ebrei o cristiani?" E di loro ancora: "Ne sapete piú voi
o Dio? E chi e piú iniquo di chi cela una testimonianza ch'ebbe da Dio? Ma gli non e ignaro di ció
che voi fate ! "
Altri contesti in cui le due figure, ossia quella di Abramo e di Ismaele, sono associate in
particolari testimonianze della loro sottomissione a Dio e della loro disponibilitá ad incarnarne i
voleri, sono, tra gli altri, quelli in cui contribuiscono alla ricostruzione della sacra Ka 'bah, come
attesta sura II, 125, la dove si afferma: "E quando facemmo della Santa Casa luogo di riunione e di
si curo rifugio per gli uomini (prendete dunque il luogo dove ristette Abramo, per oratorio) ed
ingiungemmo ad Abramo e Ismaele: "Purificare la mia Casa per coloro che attorno vi correranno
venerabondi, vi pregheranno devoti, vi s' inchineranno e si prostreranno reverenti". Questo
medesimo riferimento viene altresi proposto in sura II, 127, dove si insiste sulla ristrutturazione
delle stesse fondamenta del tempio o della dimora di Alláh e della sua consacrazione al culto del
Dio uno ed unico con le parole : "E quando Abramo e Ismaele ebbero levato le fondamenta della
casa, invocarono: "Accettala da noi, o Signare! Tu che tutto ascolti e conosci"!
Come si vede i destini delle due grandi personalitá profetiche, da cuí gli Arabi musulmani
traggono la loro identitá confessionale, corrono per cosi dire con la stessa velocitá e per una
medesima finalitá, che e ancora una volta l' affermazione inequivocabile del monoteísmo islamico e
della sua originaria continuitá, come e dato desumere da sura II, 133: "Eravate forse presentí
quando venne a Giacobbe la morte ed egli disse ai figli suoi; "Che cosa adorerete, quando io non ci
saró piú?" Risposero; "Adoreremo il tuo Dio, l'Iddio dei tuoi padri, l'Iddio di Abramo, d'Ismaele e
d'Isacco, un Dio solo, al quale noi ci diamo!"
In quest'ultima citazione notiamo ancora una volta che alla menzione di Abramo e di
Ismaele fa seguito quella di Isacco, lasciandoci pensare che in effetti e qui rispettato l' ordine
cronologico tra la nascita di Ismaele e quella di Isacco, cosa ulteriormente supposta nel dettato di
sura XIV, 39, dove leggiamo "Sia lode a Dio, che malgrado la vecchiaia m'ha donato Ismaele ed
Isacco; per vero il mio Signare ascolta l'invocazione". Mase pare corretto presumere un'oggettiva
conforma a quanto appena detto, non collima con il vero e proprio contesto biblico íl fatto che
Abramo abbia avuto entrambi a vecchiaia inoltrata. Ció priverebbe in effettí la straordinarietá della
nascita di Isacco da Sara, qui non menzionata in contrasto con il ruolo occasionale della schiava
Agar, e contribuirebbe ad avallare il fatto che tanto Ismaele quanto Isacco vengono concepiti in
conseguenza di una speciale supplica e invocazione da parte di Abramo. Nel racconto bíblico
27

Ismaele nasce per diretto intervento di Sara e non dietro invocazione di Abramo angosciato
dall'assenza di una progenie sangue del suo sangue.
Ma e singolare il passaggio di sura XIX, 49 in cui, parlando di Abramo, si dice: "E allorché
si fu appartato da loro e da quelli che essi adoravano in luogo di Dio, donammo a lui Isacco e
Giacobbe e d'ognuno facemmo un Profeta. Ed elargimmo loro della Nostra grazia e donammo loro
lingua di veracita, sublime'r". Come mai qui non menziona Ismaele e ricorda invece Giacobbe?
Abbiamo forse a che fare con un contesto primitivo rispetto ai passi citati in precedenza, ovvero con
una sezione che e piú strettamente legata ad un contesto giudaico o anche cristiano nel quale si
riconosce la linea diretta Abramo-Isacco-Giacobbe? Questo stretto rapporto tra i tre e altresi
ribadito in sura XII, 38, dove e tra l'altro detto per bocea di Giuseppe: "E ho seguito la religione dei
miei padri Abramo, Isacco e Giacobbe ... ".
Questa disgiunzione delle diadi Abramo-Ismaele e Ismaele-Isacco e in effetti proposta in
altri passaggi coranici, come in sura VI, 84-86, per esempio, dove leggiamo: "E ad Abramo noi
donammo Isacco e Giacobbe, ciascuno dei quali N oi dirigemmo sulla giusta via. E prima ancora
guidammo al vero Noé e, fra i suoi discendenti David e Salomone e Giobbe e Giuseppe,e Mose e
Aronne: cosi Noi compensiamo i benefici, Ed anche Zaccaria e Giovanni e Gesú e Elia, ciascuno
dei quali fu annoverato fra i santi, e Ismaele ed Elíseo e Giona e Lot, e ciascuno levammo al di
sopra d'ogni altra creatura ... ". Come si puó notare i gmppi dei profeti sono qui combinati in
maniera del tutto insolita, ma non si puó non rilevare che la menzione di Ismaele e alquanto atípica
e del tutto rimossa dalla sua configurazione piú propria. Ma abbiamo anche sura XIX, 54, dove
ancora una volta la figura di Ismaele e assolutamente isolata e proiettata in una funzione di assoluta
fedeltá alla sua elezione da parte di Alláh, la dove leggiamo: "E nel Libro ricorda Ismaele; che fu
sincero nella sua promessa e fu Messaggero Profeta. E invitava la sua gente alla Preghiera e
all'Elemosina, e fu bene accetto al Signare".
Altri contesti un cui Ismaele e presentato unitamente ad altre figure profetiche sono sure
XXI, 85-86, dove si asserisce: "E rammenta Ismaele e Idris e l)u 'l-Kifl che tutti furon pazienti. E li
facemmo entrare nella nostra Misericordia: per vero essi sono ora fra i santi" e suraXXXVIII, 48,
dover e ancora una volta detto: "E ricorda Ismaele e Elíseo e l)u 'l-Kifl, che essi tutti son dei
migliori ! "
Ribadiamo che in nessuno dei passi or ora citati la figura di Ismaele ha una sua relazione con
il sacrificio che Abramo si apprestava a fare a Dio del suo figlio. Ci si chiede, quindi, se tale
riferimento e invece Isacco, di cui il Corano parla specificamente in piú di un contesto, al di fuori
dei passi giá citati dove, come abbiamo notato, non e indicato come il figlio dell'olocausto.
In effetti i passi coranici nei quali si fa parola di Isacco in maniera pertinente e propria sono
innanzitutto sura XI, 71, dove si afferma: "E sua moglie, ritta li presso, rise; ma le demmo la buona
novella di Isacco, e, dopo di lui, di Giacobbe't'" e in sura XII, 6 dove e detto: "E cosi il tuo Signare

64
Vedi pure sura XXI, 72 dove, parlando di Abrarno, si asserisce: "E gli demmo Isacco e Giacobbe, in sovrappiú, e ne
facemmo, tutti, dei santi". Lo stesso dicasi di sura XXIX, 27, dove si afferma: "E gli concedemmo Isacco e Giacobbe e
ponemmo nella sua progenie la Profezia e la Scrittura, e gli demmo la sua mercede nel mondo, e nell' altro egli e fra i
Buoni". 11 particolare riferimento alla Profezia e alla Scrittura e in linea con l'autentica tradizione ebraica. Non meno
eloquente e sura XXXVIII, 45-47 dove e detto: "E rammenta ancora i Nostri servi Abramo e Isacco e Giacobbe,
possenti di mano, aguzzi di vista. E di pura purificazione li purificammo: del ricordo dell'eterna Dimora! E son presso
Noi di fra gli Eletti i migliori! "
65
Passo in linea, per quanto concerne la figura di Giacobbe, con sura VI, 84.
28

ti trasceglierá, tinsegnerá l'interpretazione dei detti oscuri, e compirá su di te la Sua grazia, e sulla
famiglia di Giacobbe, come giá la compi sui tuoi padri Abramo ed Isacco, da prima. In veritá il tuo
Signore e saggio sapiente". Il fatto che si stia qui parlando di Giuseppe figlio di Giacobbe ci
conforta nel ritenere con maggiore certezza che il sostrato della narrazione e strettamente legato con
la tradizione biblica dentro la quale il binomio Abramo-Isacco, con l'esclusione di Ismaele, e piu
ligia e fedele al dettato bíblico vero e proprio. Non c'é ancora la preoccupazione di fissare il molo
di Ismaele a giustificazione di una autentica profetologia araba. Ne traiamo convinzione, ancora una
volta maggiore, grazie ad un altro passo coranico come sura XXXVII, 112-113 dove e detto: "E gli
demmo la lieta novella di Isacco, profeta, di fra i buoni. E benedicemmo lui e Isacco; ma di fra la
loro progenie, vi fu chi opero il bene e vi fu chi manifestamente fe' torto a se stesso". Sta giá forse
preparando il campo per sostenere il molo sostitutivo di un altro popolo e di una nuova nazione o
comunitá guidata da un altro inviato e profeta estraneo alla linea Isacco-Giacobbe?
Ma torniamo sulla figura di Ismaele. Ismaele, il cui significato e "Dio ascolta" alla luce di
Gn 21, 17 "Ma Dio udi la voce del fanciullo", e stato da sempre considerato il padre degli Arabi e,
soprattutto, una sorta di prefigurazione dello stesso Muhammad cosi come Isacco divenne nel
pensiero dei Padri una vera e propria prefigurazione di Cristo sacrificato sull' al tare di Dio per la
redenzione e la salvezza degli uomini.
Dallo spirito che anima sura II, 124: "E quando il suo Signore provó Abramo con certe
ingiunzioni ed egli le obbedi e Dio gli disse; "In veritá io ti faro principe del popolo", ed egli chiese:
"E che ne sará della mia posteritá?" "11 mio patto, rispose Iddio, non si applica agli empi", siamo
indotti a constatare che il Signore "mette alla prova" Abramo, cosi come giá illustrato in Gn 22, 1,
dove leggiamo: "Allora, dopo queste cose, Dio mise alla prova Abramo". 11 termine "ingiunzioni" e
espresso con la voce generica kalimát, che sta piú propriamente per "parole" pronunciate da Dio in
un contesto teofanico, vale a dire come pronunciamenti di voleri e di volontá che racchiudono un
suo particolare disegno per una creatura o per gli uomini in generale. Sono allusioni a grandi eventi,
a epoche nuove e a provvidi disegni dell' economia divina sulla storia. Gesú stesso e considerato una
kalimah di Alláh. Gli esegeti musulmani interpretano il vocabolo kalimát come delle ingiunzioni o
obblighi rituali, ricorrendo al termine fara 'id, o anche al termine amr, "ordine" o "comando" in
assoluto, come fa anche al-Tabarí'".
La prova alla quale viene sottoposto Abramo assomma la gamma di tutte le virtú che
adornano il cuore e lo spirito di fede di ogni buon musulmano. Ma e innanzitutto l'espressione di
una totale e piena rinuncia al proprio io, alle preoccupazioni con cui si segue il divenire della
propria parabola urnana nel contesto della perpetuazione del proprio sangue e ricordo nella progenie
e nella posteritá. Nessun altro come Abramo e stato mai testimonianza di questa completezza di
fede e di comportamento, come mette in risalto sura LIII, 3 7 la dove definisce Abramo come "il
fedelissimo"67 alle disposizioni di Dio e il preservato dal fuoco della geenna in conseguenza di
questa sua disponibilitá al servizio di Dio senza riserva alcuna. Non ci son o altri passi in cui si

66
Cfr al-Tabari, Kitáb al-bayán 'an ta 'wil ayy al-qur 'án, Dar al-fikr, Beirut 1995, vol. I, p. 730. Sulla natura e sul
contenuto di siffatte ingiunzioni c' e una certa dissonanza di interpretazione da parte degli stessi esegeti. Stando alla
fonte appena citata, alcuni propendono nell'interpretarle come l'insieme delle trenta norme da seguire cosi come
illustrate in sura IX, 112, in sura LXX, 22-34 e in sura XXIII, 1-10.
67
A tal proposito vedasi al-Tabari, Kitáb al-bayan, cit., vol. I, pp. 730-732, dove si esaminano e si passano in rassegna
anche le tradizioni concementi le scelte di vita affrontate da Abramo nel modo di attendere alla propria persona e
all' osservanza di atti di culto.
29

ribadisca la prova alla quale Iddio sottopose Abramo se non in sura XXXVII, 106 in cui si definisce
il carattere e la portata di tale pro va, precisando : "E questa fu pro va decisiva e chiara". Siamo
comunque indotti a ritenere che la prova alla quale Dio sottopone gli uomini e una prova con la
quale sapere "quel che hanno in petto e purificare quel che hanno in cuore'i'".
Le preoccupazione per la sua posteritá vengono tacitate dall'invio di angeli che gli portano
una buona novena, come e illustrato in sura XI, 69. A tal proposito si registrano ulteriori diversitá
interpretative da parte degli esegeti. Al-Tabarí ne elenca due: quella che la fa consistere
nell' annuncio nella nascita di Isacco e quella che starebbe ad attestare la distruzione della gente tra
la quale viveva Lot nipote di Abramo. Si ha, comunque, un preciso riferimento alla nascita di Isacco
e no di Ismaele'". Il particolare del riso a cui si abbandono Sara la contestualizza in una autentica
tradizione biblica, come si evince da Gn 18, 12: "Allora Sara rise dentro di sé, dicendo: "Proprio
adesso che sono logora, dovrei provare piacere! E mio marito e vecchiolv'", Tra gli angeli che
portano la buona novella ad Abramo figurano Gabriele e Michele71•
Ma il testo centrale per una analisi piú oggettiva in merito all'identificazione di chi sia stato
in effetti il figlio che Abramo si accinse a sacrificare e ad offrire in olocausto a Dio e sura XXXVII,
101-106 che Bausani traduce in questo modo: "E gli demmo la lieta novella di un giovane mite72. E
quando raggiunse I'etá d'andar con suo padre al lavoro, questi gli disse: "Figliuol mio, una visione

68
Cfr sura III, 154.
69
Cfr al-Tabari, Kitáb al-baydn, cit., vol. VII, parte 13, p. 89.
Sempre in sura XI, 72 si fa dire a Sara: "Ahime! Dovró io partorire mentre son vecchia, ed ecco, il mio signare e un
70

vegliardo? Certo p questa una cosa strana! " Anche a tal proposito al-Tabari, Kitáb al-bayán, cit., vol. VII, parte 13,
pp. 93-97 registra disparitá di pareri tra gli esegeti, alcuni dei quali attribuiscono questo suo ridere alla sorpresa
provata nel constatare che gli ospiti non toccavano le offerte poste davanti a loro; altri lo attribuiscono al fatto che gli
angeli siano venuti per il popolo di Lot mentre questi ultimi sono del tutto indifferenti e dediti ai loro piaceri; altri
ancora lo attribuiscono espressamente al fatto che Sara si rende perfettamente canto di essere impari al compito a
causa della vecchia sua e del marito; altri lo spiegano con il constatare che non appena ricevuto I'annuncio ebbe
nuovamente il ciclo ed altri, infine, lo ascrivono alla gioia da lei provata nel vedere come gli angeli avevano
rasserenato Abramo librandolo dal timare avvertito al loro arrivo e alla loro presenza. Al-Tabarí si schiera con coloro
che lo ascrivevano alla imminente punizione del popolo di Lot, cosa di cui Sara pravo gioia essendosi rassicurata che
lo spavento di Abramo si era dissipato, come puntualizza sura XI, 74 e come e altresi alluso in sura XXIX, 31. Bisogna
pure osservare che nel racconto coranico il riso di Sara e anteriore all' annuncio della nascita di un figlio e che la sua
reazione e piuttosto dovuta allincapacitá di cogliere la straordinarietá dellannuncio. Prava piuttosto sgomento che
ironía o incredulitá. Di tutt'altro tenore e invece la narrazione che degli stessi eventi si trova in sura LI, 24-37,
specialmente 28-29 dove e detto: "E concepi di essi timare, ma essi gli dissero: "Non temere!" e gli diedero la buona
novella di un giovane saggio. E d 'un tratto sua moglie getto un grido e si batté il viso e disse: "Ma donna sterile io
sono!" Anche a tal proposito l'identificazione del giovane saggio con Isacco e attestata in al-Tabarí, Kitáb al-bayán,
cit., vol. XIII, parte 26, p. 269. Ma in una tradizione affidata a Mugáhid e sulla sua autoritá trasmessa da altri
tradizionisti si afferma invece che qui per "giovane saggio" bisogna intendere Ismaele, il che e perentoriamente
corretto da al-Tabarí stesso alla luce del fatto che si parla di Sara e non di Agar.
71
al-Tabarí, Kitáb al-hayan, cit., vol. VII, parte 13, p. 94. In Gn 18, 2 parla di tre uomini mentre sura XI, 69 precisa
che si tratta di angeli, con un generico plurale espresso dal termine rusul. Sono quindi messi divini, angelici. Al-Tabari
ne parla come di "Gabriele e altri due angeli", da certuni chiamati Michele e Isráfíl. Cfr al-Tabarí, Kitáb al-hayan, cit.,
vol. VII, parte 13, p. 89 e vol. XI, parte 20, pp. 179-180. Ci sarebbe in veritá un altro riscontro coranico, e
precisamente sura LI, 24, in cui si dice: "Non t'é giunto il racconto dei due ospiti d' Abramo, onorati?", da cui si
potrebbe riportare la netta idea che si tratti di un passo in contraddizione con quanto esposto in sura XI, 69 dove tutto e
al plurale. Si tratta tuttavia di una errata traduzione di Bausani, purtroppo non l'unica!
72
In al-Tabarí, Kitáb al-hayan, cit., vol. XII, parte 23, p. 90 si conforma che tale giovane e da piú esegeti identificato
con Isacco.
30

di sogno mi dice che debbo immolarti al Signore ": che cosa credi tu abbia io a fare?" Rispose:
"Padre mio, fa quel che t'é ordinato: tu mi troverai, a Dio piacendo, paziente!". Or quando si furon
rassegnati al volere di Dio e Abramo ebbe disteso il figlio con la fronte aterra, allora gli gridammo:
"Abramol Tu hai verificato il tuo sogno: cosi noi compensiamo i buoni!" E questa fu prova decisiva
e chiara. E riscattammo suo figlio con sacrificio grande e lo benedicemmo fra i posteri: "Pace su
Abramo!" Cosi Noi compensiamo i buoni! Ché in veritá egli fu dei nostri serví credenti. E gli
demmo la lieta novella di Isacco, profeta, di fra i buoni.
E benedicemmo lui e Isacco; ma di fra la loro progenie, vi fu chi opero il bene e vi fu chi
manifestamente fe' torto a se stesso".
Dal contesto risulta chiaro che il giovane in questione e Isacco, il figlio dato da Dio ad
Abramo per aver costui invocato e implorato "un figlio che sia dei buoni". Qui l'espressione araba
e Rabb hab ti min al-sálihin. La stessa ricorre nel versetto 112, dove si parla di Isacco come un
profeta scelto di fra i buoni nabí min al-sálihin. La medesima espressione ricorre in XXI, 72, dove
anche di Isacco e di Giacobbe si dice wa-kullan ga 'alná sálihin, "e rendemmo tutti buoni't".
Come si e visto ci sono molti elementi di dottrina e di tradizione che legano in certo senso l 'Islam ai
due precedenti universi religiosi del giudaismo e del cristianesimo. Sono cosi chiari e spesso
provocatori da indurci a chiederci in quale misura sono tra di loro correlati. Anticipo qui, trattandosi
di materiale informativo ad uso interno della Comunitá dei Padri Rogazionisti, un mio intervento
che sará presto pubblicato negli Atti di un convegno tenutosi ad Agrigento lo scorso anno.

E l 'islam germinazione da giudaismo e cristianesimo?

E se non lo e, in quale misura esso si abbarbica sulle radici dell'uno o dell'altro fino a
confondersi almeno in apparenza con essi, o in che maniera ne prende le distanze pur ponendosi su
una medesima traiettoria di derivazione, o come potrebbe ritenersi del tutto estraneo alle istanze
dogmatiche del primo e del secondo? Ad una prima analisi del contenuto del testo sacro per i
musulmani, ossia del Corano, si ha la chiara percezione ch' esso compia il suo primo stadio di
sviluppo prendendo le mosse dalle due religioni monoteistiche ad esso anteriori, vale a dire dal
giudaismo e dal cristianesimo, conservando il primo e svuotando della sua essenzialitá il secondo.
Se e vero che qualsivoglia dottrina religiosa, sistema filosofico o trattato di una determinata scienza
ha una sua propedeutica specifica, articolata su premesse e fondamenti o, forse, su una maieutica
interna da cui si dipana poi tutto quanto e ad essa proprio, per distinguersi solo in un secando
momento da ció che potrebbe esserle simile, e altrettanto vero che il contenuto del Corano ha una
sua pulsione interna che si avvia e si sviluppa a partire dal suo porsi di fronte al giudaismo e al
cristianesimo con una serie di valutazioni e di giudizi che individuano le loro specificita e

73
Alcune tradízioni vogliono che Abramo, forse in linea con altri personaggi del Vecchio e del Nuovo Testamento che
avevano implorato un figlio in tarda eta impegnandosi a consacrarlo a Dio, abbia fatto voto di offrire a Dio in
sacrificio il figlio che Sara gli avrebbe partorito. Cosi in al-Tabari, Kitáb al-hayan, cit., vol. VII, parte 13, p. 92. Nel
sogno gli sarebbe stato sollecitato dall'angelo Gabriele a tener fede a siffatto giuramento. La tradizione islamica vuole
che le visioni dei Profeti siano vincolanti perla forte certezza chesse rivestono, non essendo possibile che qualsiasi
profeta resti vittima di errore in quel che dice e fa sotto ispírazione o rivelazione. Anche in questa tradizione si
perpetua l' identificazione del giovane con Isacco, che il Corano definisce mite nella giovinezza. In sura LI, 28 si dice
che "le diedero la buona novella di un giovane saggio".
74
A. Bausani, 1l Corano, Sansoni, Firenze 1978, p. 331 traduce in vece: " ... ene facemmo, tutti, dei san ti".
31

l' esaurimento delle medesime. In tale ottica proponiamo qui di seguito alcune considerazioni su
punti che in un senso o in un altro avvicinano o allontanano l' islam dalle sue due fon ti di
provenienza dogmatica ed etica.
Esorprendente come alcuni storici arabo-cristiani dei tempi a ridosso delle prime stesure
delle principali fonti storiche, esegetiche e teologiche dell'islám e delle elaborazioni biografiche
concementi la figura di Muhammad, testimoni altresi del nuovo contesto conseguente
all 'occupazione musulmana del territorio palestinese, egiziano e mesopotamico, non esprimano
alcuna considerazione di giudizio sull'islám. Il loro modo di presentare la travolgente irruzione
dellislám in territori in precedenza retti da monarchi cristiani, sono di una impressionante
oggettivitá cronachistica. Cosi e per Eutichio75 e per Agapio76, tanto per citame alcuni, e per
Leonzio di Damasco, estensore della Vita di santo Stefano Sabaita77. Il fenomeno riguarda pure
storici di eta piú tarda, come, per citame uno, Yahyá al-Antákí, autore di una celebre Cronaca da lui
stesso definita appendice agli Annali di Eutichio". In veritá Agapio trova una sua personale
maniera di pronunciarsi, mettendo sulle labbra dell'imperatore Eraclio la seguente considerazione:
"Vedendo come i Bizantini venivano scacciati e venuto a conoscenza di quanto gli Arabi avevano
fatto ai Persiani, Eraclio, che allora si trovava ad Antiochia, sbottó incollerito e indignato e ne fu
molto afflitto. Scrisse perció in Egitto, in Siria, in Mesopotamia e in Armenia dando disposizione di
non ingaggiare piú battaglia alcuna con gli Arabi e di non opporsi alla volontá di Dio. Sosteneva,
infatti, che era stato il Gran Dio a mandare quella sventura sugli uomini, che irrevocabile e il suo
comando e che non cé modo di ... /avendo di fatto promesso a/ Ismaele, figlio di Abramo, che dai
suoi lombi sarebbero venuti fuori /numerosi re/79.
Dopo aver ricevuto tale notizia, Eraclio scrisse a Ciro, vescovo di Alessandria, la seguente
lettera: "Alcune persone ti hanno calunniato e ti hanno accusato falsamente davanti a me, asserendo
che ti sei precipitato ad accogliere gli Arabi e ad esaudire quanto chiedevano. Sai bene che sono
stati mandati come un flagello sugli uomini, che Dio ha promesso ad Abramo, riferendosi a Ismaele,
che dai suoi lombi sarebbero usciti numerosi re, che le promesse di Dio sono vere, irrevocabili e

75
Eutichio, Gli Annali, (Introd., trad. e note a cura di B. Pirone), Franciscan Printíng Press, Cairo-Jerusalem 1987, pp.
536.
76
Per quanto con cerne i riferimenti al testo arabo rimandiamo all' edizione curata da L. Cheikho e pubblicata in CSCO,
vol. 65, tomo 10, con un monitum Editoris (1-2) senza data, una prefazione (3-5) in data 2 febbraio 1912 Beirut.
Seguendo il volume da destra a sinistra, si ha il testo arabo (3-380), una sezione dedicata alle excerpta prese da al-
Makín (381-409) e la serie delle varianti ( 409-429). La parte araba risulta pubblicata a Beirut nel 1907 per i tipi della
tipografía dei Padri Gesuiti. Il tito lo e qui Kitáb al- 'unwán al-mukallal bi-fadá 'il al-hikmah al-mutawwag bi-anwá' al-
falsafah al-mamdiih bi-haqá 'iq al-ma 'rifah. In copertina il titolo e invece dato come Historia Universalis, E. Peeters
Editare, Lovanio 1962.
77
Lecnzio di Damasco, Vita di s. Stefano Sabaita, (Testo arabo edito e tradotto, con introd., e note a cura di B.
Pirone), Franciscan Printing Press, Cairo-Jernsalem 1991, pp. 428.
78
Yal:tya al-Antákí, Cronache dell'Egitto fátimide e dell'impero bizantino, (Introd., trad. e note a cura di B. Pirone),
ed. Jaca Book, Milano 1998, pp. 399.
79
Cfr Gn 21,13. Per diverse considerazioni sul flagello delle invasioni musulmane attribuite ad Eraclio, cfr Michele il
Siro, Chronique, a cura di J.-B. Chabot, ed. Emest Leroux, Parigi 1901, vol. II, pp. 424-425. Interessante e qui
l'allusione al malinconico addio che l'imperatore diede alla Siria augurandole la pace. Un topos della letteratura
cristiana che trova il suo precedente nell'addio e nell'augurio di pace che Adamo rivolse al paradiso terrestre quando,
cacciato da esso, si volse indietro per rammaricarsi di cío che stava perdendo. O anche l'addio e I'augurio di pace che
il patriarca Zacearía rivolse a Sion e a Gerusalemme quando, dopo la devastazione della cittá ad opera delle orde
persiane di Cosroe II nel 614, veniva portato prigioniero in Persia. Cfr B. Pirone, "La presa di Gerusalemme nel
sermone del monaco Strategio", in Studia Orientalia Christiana, Collectanea 28 (1995), p. 210.
32

inevitabili. Se puoi addolcire gli Arabi e allontanarli dall 'Egitto con tutti i mezzi possibili, fallo e se
puoi riproporre loro le condizioni ad essi giá fatte e fargliele accettare, fallo. lo ti costituisco capo
dell'Egitto e te ne affido il governo. Agisci per il meglio dei suoi interessi!".
Giudizi piuttosto analitici e perentori nelle loro conclusioni appartengono invece ad altre
personalitá di rilievo della chiesa palestinese ed egiziana, come e il caso di san Giovanni
Damasceno, vissuto a lungo nella laura di san Saba, tra le irte montagne della Giudea, che individuo
nellislám un' eresia cristiana 8°. Il che fa supporre che fosse sua convinzione ritenere I'islám
profondamente abbarbicato alle radici storiche e tradizionali del giudaismo e del cristianesimo,
senza sottovalutare, quindi, quali potrebbero essere stati gli apporti di convertiti all'islám giá giudei
o cristiani.
Sostanzialmente incentrato sul senso genuino di questo giudizio del Damasceno,
constatiamo che e in atto da lungo tempo un acceso dibattito sull' origine della religione islamica e
su quali potrebbero essere i molteplici rivoli grazie ai quali han confluito nel suo interno categorie
dogmatiche, religiose, etiche e comportamentali dei due corposi sistemi religiosi giudaico e
cristiano. Una dichiarazione in tal senso appare quanto evidenziato in sura X, 94 dove, a un

;;;:�;�;;a���::;��;;;:::;!Yt:;Q,;;:��,:¡¡��:::�:::!:::::::t::
Muhammad perplesso e dubbioso riguardo ad alcuni contenuti della rivelazione che gli veniva

��lt,la;f�ti'f�:!lfA;·i,�:§J�!ñtl�iJl}iiiti)jr,,i�lt$��;1,f�it;fq���Í�;�§�:�' Rigettando in toto il comune sentire dei


81.

musulmani sull' assoluta autonomía della rivelazione coranica a fronte di ogni altra esperienza del
divino, taluni propendono a nella maggior parte del suo
contenuto, Una sorta di vera e propria genninazione iniziale
dall 'una e dall' altra, per poi prendere le distanze grazie ad una gradual e sostituzione e rimpiazzo,
che prendono l' abbrivo nel momento stesso in cui il Profeta dell 'islam ha la certezza che quella da
luí esposta e predicata e la religione di Alláh. In realtá questa assolutizzazione del predominio
dell'islám, che solo in un secando momento si dissocia dal fondamento giudaico, ad esempio, e
adombrata in sura X, 93, dove e detto: "Certo noi preparammo ai Figli d'Israele una dimora di fede
sincera e li provvedemmo delle buone cose del mondo, e non furono discordi se non quando venne
loro la Scienza82. Ma le loro discordie le decidcrá Iddio nel di della Resurrezione".
Al fine di illustrare per sommi capi e con una certa aderenza al contenuto coranico questa
presa di posizione, vorremmo partire da alcune considerazioni fin troppo assiomatiche di certuni
convertiti ali 'islam dal cristianesimo o dal giudaismo. Nella travolgente irruenza del loro zelo di

°
8
Cosi e di fatto .asserito nel capito C della sua opera sulle eresie, dove amplia il Panarion di Epifanio di Salamina.
L'opera e stata pubblicata, a cura di Raymond Le Coz sotto il titolo Écrits sur l'islam, in "Sources Chrétiennes", Parigi
1992 e in traduzione italiana a cura di Giovanni Rizzi dal titolo La centesima eresia, ed. Centro Ambrosiano, Milano
1997.
81
Vedi pure sura II, 147, ripetuto poi alla lettera in sura III, 60; sura VI, 114. Cfr anche sura XI, 17.
82
Il termine arabo 'ilm, che sta ad indicare e a caratterizzare le dinamiche di intrínseca comprensione delle
proposizioni religiose dell'Islám, che sono poi riflessi e riverberi della conoscenza che Dio ha delle cose, ricorre in
parecchi contesti del Corano, a corroborare quanto giá enunciato come punto irreversibile di fede in sura II, 109; "A
molti della Gente del Libro piacerebbe farvi tomar miscredenti dopo che voi avete accettato la Fede, per l'invidia che
nasce loro nell' animo allorché vedono manifesta la veritá; perdona te loro e lasciateli in pace, finché Dio non mandí il
suo ordine, ché Dio e, in veritá, onnipotente". Una tolleranza momentanea, quindi, che dovrá necessariamente
terminare quando la scienza o la conoscenza delle veritá supreme irrornperá a demarcare l'assolutezza delle fede e
delloperativitá musulmane nei confronti di pregresse rivelazioni. Rimandiamo esclusivamente alle sure nelle quali il
termine 'ilm e sinonimo di kitáb, di qur'iin, difurqan, come II, 120; III, 61; X, 93; XIII, 37, XVI, 27; XVII, 85; XXII,
45; XXIX, 49; XXX, 56; XXXUV, 6; XLII, 14; XLV, 17; XLVI, 23; XLVII, 16; LVIII, 11; CII, 5 'ilm al-yaqin,
33

neofiti, costoro arrivano magari ad asserire, tra l' altro, condividendo il parere di altri come loro, che
"una indiscutibile autenticitá conferisce al Corano un posto che non condivide in nessuna maniera
con l' antico e il nuovo testamento'v", Oppure: "Quando Iddio Altissirno parla nel Corano delle
sacre scritture scese prima di esso, si riferisce sempre alla Torah o al Vangelo autentici't'". Ma una
piú dichiarata ammissione che il Corano non puó fare a meno di un precedente contesto giudaico e
cristiano, traluce tra le righe di un altro passo della testimonianza di questo convertito che,
riproponendo il commento del grande esegeta al-Tabarí al versetto 152 della sura delle Donne,
riporta quanto ebbe ad affermare il tradizionista Qatádah : "Si tratta qui dei nemici di Alláh: di quei
giudei che credono alla Torah e a Mosé, ma non al Vangelo, né a Gesu; e di quei cristiani che
credono al Vangelo e a Gesú, ma non al Corano, né a Muhammad e che, rispettivamente, adottano il
giudaismo e il cristianesimo, due innovazioni che non provengono da Alláh, e che hanno
abbandonato la sottomissione (l 'islam) che e la "religione di Dio" per la quale egli ha mandato
Suoi inviati'f".
Come si

Notiamo addirittura una temporalitá intrínseca ad entrambe, nel senso che la fede dei giudei sarebbe
n�H'altro che quell� di attenersi fermamente alla Torah e alla tradizione formalmente legate alla
persona di Mosé fino alla venuta di Cristo, mentre la'fede dei cristiani null'altro sarebbe che quella
di attenersi fermamente al Vangelo e a seguire i percorsi indicati da Gesu fino alla venuta di
Muhammad. Cío significa che qualsiasi giudeo che "seguiva la Torah e la tradizione di Mose e non

83
Cfr Abdul-Hamid Gonin, Jesusfils de Marie. L 'authentique message, Editions Chama, Parigi 2005, p. 41.
84
lbidem, p. 38.
85
lbidem, p. 35. In sura IX, 111 la Torah, il Vangelo e il Corano sono presentati come tre diversi ricettacoli di una
comune promessa di Dio grazie alla quale egli compra le persone dei credenti e i loro beni "pagandoli con i giardini
del paradiso: essi combattono sulla Via di Dio, uccidono o sono uccisi. Dio l'ha promesso, con promessa solenne e
obbligante, nella Torah e nell'Evangelo e nel Corano. Or chi v'ha piü di Dio fedele ai patti? Rallegratevi dunque del
contratto di vendita che avete concluso. Questo e il Successo supremo". Per tale motivo non e in fondo concepibile che
o i giudei o i cristiani riservino per se stessi, in modo esclusivo, il diritto al paradiso, come asserisce sura II, 111:
"Dicono: "Non entreranno nel Paradiso altro che gli ebrei o i cristiani" Questo e quel che essi vorrebbero! Rispondí
loro: "Portatene la prava se siete sinceri!". Sarebbe la conseguenza logica di quanto asserito nella stessa sura al
versetto 135, dove si dice: "Vi diranno ancora: "Diventate ebrei o cristiani e sarete ben guidati!" Ma tu rispondi: "No,
noi siamo della Nazione d'Abramo, ch'era un hanif, e non giá un pagano". Bausani traduce con 'ebrei' il termine hud
di entrambi i passi, che andrebbe tuttavia meglio tradotto con 'giudei'. Il messaggio coranico intende qui sostituire alla
chiusura etnica delle due cornunitá intente a difendere la propria dignitá elettiva ad esclusione di ogni altra
confessionalitá, l 'universale sua apertura nei confronti di tutti coloro che sceglieranno di entrare tra le fila dei credenti.
In fondo e proprio grazie a questa premessa di cancellazione di ogni possibile barriera alzata contra la sua disponibilitá
ad accogliere chiunque bussasse alla sua porta che in sura II, 120 e con vigore ribadito: "E certo né ebrei né cristiani
saran contenti di te finché tu non seguirai la loro religione, ma tu rispondi: "E la guida che viene da Dio che e la vera
Guida!", ché, se t' arrendes si ai loro desideri dopo che tu hai saputo, non avrai aiuti né protettori di contra all' ira di
Dio". Da qui ad estendere l'invito ad abbracciare la religione islamica anche ai cristiani e ai giudei, il passo e breve. E
di fatto in sura II, 13 7, si puntualizza: "E se ebrei e cristiani avranno questa stessa vostra fede saranno ben guidati, ma
se vi volgeranno le spalle si porranno in aperta scissione e allora ti bastera Dio contro di loro, Dio che ascolta e
conosce". Anche in questi due passi Bausani traduce con 'ebrei' il termine che starebbe meglio per 'giudei'. Non e da
escludere che questa sua scelta sia dettata dal fatto che in tutto il testo coranico non compare mai il termine che di per
sé potesse esprimere il significato originario di 'ebreo '. Un ulteriore passo che oltre a stigmatizzare questa chiusura
reciproca delle due comunitá monoteistiche contro chi non faccia parte delle loro schiere, e il passo coranico sura III,
64 nel quale il Profeta propone di superare questa occlusione all'altro lasciando la propria fede atavica per abbracciare
la nuova religione. Vi leggiamo infatti: "Di: "O gente del Libro! Venite a un accordo equo fra noi e voi, decidiamo
cioé di non adorare che Dio e di non associare a Lui cosa alcuna, di non sceglierci fra noi padrone alcuno che non sia
Dio". Se poi non accettano dite loro: "Testimoniate almeno che noi ci siam dati tutti a Dio!".
34

le abbandonava per seguire Gesú, era perduto" e che ogni cristiano al quale pervenga la profezia di
Muhammad e non lascia quindi la tradizione di Gesú e il Vangelo, e perduto'f".
Vien da chiedersi tuttavia se, nonostante asserzioni cosi assolutiste a tutto vantaggio
dellislám, della sua dogmatica e della sua etica, del suo Profeta e dei suoi adepti, ci siano margini
di una ricostruzione oggettiva del punto di partenza, di evoluzione e di rifinitura dell' apparato
coranico rispetto sía al giudaismo sia al cristianesimo. Personalmente siamo propensi a crederlo e
cercheremo di illustrarlo qui di seguito.
Limiteremo tuttavia la nostra indagine a punti salienti delle tre religioni monoteistiche,
comincíando proprio dal monoteísmo, che e la quintessenza sía del giudaismo sia dellislám, in
particolare, differenziato invece nella problematica trinitaria propria del cristianesimo, dentro la
quale esso si illumina di valori dogmatici e spirituali di inimmaginabile fruizione del divino.
Potremmo comunque affermare che l'esposizione dei valori intrinseci dellislám segue passo per
passo il canovaccio di un costante confronto-scontro con le sue matrici giudaica e cristiana grazie al
qu�le si dipana con sempre piú crescente chiarezza e determinazione il concetto della superioritá dei
credenti sui giudei e sui cristiani, escludendo quindi, almeno nelle sue istanze di immediato impatto,
ogni realtá o parvenza di incontro. Detto canovaccio e costituito dalla tríplice denominazione "i
figli di Israele", "i cristiani" e "coloro che credono", Le prime due categorie sono inoltre
accomunate nella denominazione "!j;iifitf�;ItífFJ'tiíii", o "r!Wll&�i1fti'.tífilj1Jtii.llJí��·1IWP>iÍI¡f87, solitamente �lif
[1.�.s>Jif§§:!'.t:filfilíi;�Iffmiffl�;;tf�l0®Jt���:tg:01�\�I�i;�.�¡�,i�K��Ycr?JltJªf;ílt.i:''�:a;1.\t{ijj,�8i�1�f�Jilt�i1f, ,.iii��fit��111,�;l!i!�l\!:i-ii'Jso litamen te
denominati "O voi che credete". L' espressione "figli di Israel e" ricorre 41 volte; l' espressione
"gente del Libro" ricorre 31 volte; il termine "cristiani" 14 volte, una sola volta l 'aggettivo
"cristiano'Y" e una sola volta l'espressione "gente del Vangelo"9º. Una parallela forma di
riferimento triadico, viscerale solo nel giudaismo e nellislám per il loro carattere di religione
esclusiva e di cui sono destinatari il popolo ebraico o i banü Isrá 'il, da una parte, e la comunitá
musulmana o ummah, dall'altra, e il principio identitario racchiuso nell'espressione Libro -
Comunita - Terra91, con la conseguente garanzia immodificabile della Legge che compatta di per sé

86
Cfr Abdul-Hamid Gonin, op. cit., p. 32. Ci sembra una valutazione estremamente riduttiva delle prerogative che il
Corano assegna e riconosce a Cristo, soprattutto in sura III, 48, dove si asserisce che Dio "gli inscgnerá il Libro e la
Saggezza e la Torah e il Vangelo" .. L' esegesi coranica affronta la sequenza dei termini qui esposti sotto le voci al-
kitáb, al-hikmah, al-tawráh e al-ingil spiegandoli come capacita di scrivere con le proprie mani (al-kitáb ), la tradizione
profetica o sunnah (al-hikmahy; la rivelazione data a Mose (al-Tawráh¡ e quella invece ricevuta da lui stesso (al-IngU).
Cfr al-Tabarí, Gámi' al-boyan 'an ta'wil ayy al-qur'án, ed. Dar al-fikr, Beirut 1995, vol. III, pp. 372-373.
87
In sura ll, 146, e detto: "Coloro cui demmo il Libro lo conoscono come conoscono i figli loro, ma una banda fra loro
tien nascosta la veritá, scientemente; ma la veritá viene dal Signare, non siate dunque dubbiosi". L'espressione
"Coloro cui demmo il Libro lo conoscono come conoscono i figli loro" compare pure in sura VI, 20. Per altri contesti
cfr sure 11, 121; IV, 54; VI, 89; XXVIII, 52; XXXIV, 44.
88
La gamma delle contraddizoni che ormai distingue tra loro giudei e cristiani nell'ambito delle Scritture e pure
suffragasta, nella generale idea che ne hanno i musulmani sin dalle origini della loro religione, da quanto e detto,
seppure in forma indiretta o per una sarta di rimozione, in sura IV, 82, dove troviamo scrittto: "Non esaminano dunque
il Corano? Se venisse da altri che da Dio vi troverebbero contraddizioni numerase".
89
Vedi sura III, 67.
90
Vedi sura V, 47.
Questa triade essenziale nella componente giudaica e esemplannente analizzata da Piero Stefani nel suo articolo 11
91

Libro, il popolo e la terra pubblicato in Annali di Scienze Religiose, Dipartimento di Scienze Religiose, Universita del
Sacro Cuore, anno IV, 1999, pp. 63-88. La sostanziale differenza tra il giudaismo e l'Islám nei confronti della Legge
e che mentre nella tradizione giudaica prevale una sarta di accettazione del giogo della Legge, nelle impostazione
generale del Corano emerge il concetto che la sari'ah riflette imposizioni che non risultano gravase per il credente, in
quanto sura IV, 28 cosi recita: "Ma Dio vuol rendervi i pesi leggeri, ché l'uomo fu creato debole". E ancora, in sura II,
35

ogni modello di riferimento nella tradizione. Non sottovalutiamo, comunque, che il concetto di
tenito,!�ialita e nellislám, a differenza di quanto non sia nel giudaismo dove si discetta tutt'al piú di
un p��colo o grande Israele, di piú ampio spessore e dilatazione. La territorialitá ideale dell 'islam e,
di fatto, scon:finata quanto l' ecumene. Per tal ragione il tennine 'tena' della tradizione giudaica,
passato in arabo sotto la dizione ard, e soppiantato dal termine dar nell' espressione dar al-islam
che va intesa nello spirito di un hadü secondo il quale tutta la terra e da intendersi come una
moschea. �l��;�g��:;�11A:tP,Q:�t9:.:Í2�ériffiaE�@fi11:&si!:f. eef;�;per�tO,;FlQ:FE:e2Ee,::ciás�Í�fü(§:�fiií'i&;f
- L'ampiezza <lell'argomento da noi proposto ci induce, tuttavia, a restringere ulteriormente la
nostra indagine a quelli che sono gli insegnamenti fondativi del cristianesimo cosi come ci vengono
presentatí, analizzati e ridimensionati nel testo coranico. Accenniamo, quindi, alla natura e alla
missione di Gesú: figlio di Maria, profeta, taumaturgo, crocifisso, morto, risorto, asceso al cielo,
che alla fine dei tempi verrá di una seconda venuta; a Maria, ai cristiani: monaci, dottori, magistero;
al paradiso dei cristiani e alla questione trinitaria.
Per il mistero trinitario, che come vedremo a breve @ti$;�'t1t§'.Qflm�l2!�;�.J{ªiJ)R}l!lf1�l����Í,JJimttr*; e
�¡�����!�bisognanecessariamentepremettere
che ftl@Jfi�JiQ;��!§ll,Q/.,t,Í,:§:!Imi�:�i�:9,��$S-'�x)It���tS>,�)9\\1;.�,!J�1if,:B�k���WEJ� �0,l§titii�;.,§1;1Jp¿fJ�P-§t��-Í�}:1'!1�l:t�t;�S.:h"t.l\�
\TI-i! �ij§j¡�i¡�.yJl.t:m§:§�J"�'ifl:�t�����tc,. La professione di fede o sahádah, recita di fatto, nella sua prima
1

i,�1�te "Non vi e altra divinitá


all;infuori di Alláh", Aquesta ontología dell'Essere necessario, causa
costitutiva di ogni altro essere in forza della sua prerogativa di unico e assoluto creatore, si affianca
l' ontología della Parola, elemento dichiarativo ed espressivo della realtá divina. Di Dio si conosce o
sivsa soltanto quanto Egli stesso dice o annuncia di se stesso in modo univoco, nella concretezza
della parola, giacché nel Corano nulla di quanto afferisce al vero e o puó essere polisemantico. Per
contro, l'Ineffabile e ció che di Dio non si puó dire perché Dio stesso non l'ha detto. Non ee quindi
assorbimento o confluenza dell'uno negli altri, sotto nessun aspetto. Persino ogni essere creato
permane come e sotto il profilo della sua individuazione e del suo ruolo storico. Dal punto di vista
della fenomenología, d'altronde, o fasi epifaniche in cui Dio parla, si mostra e si manifesta,
assorbite ora si nell'istanza della fede, troviamo uri'cccezione nel místico. 11 místico musulmano,
infatti, lacera la sequenza della fede operativa nel contesto comunitario, assorbe, attraverso l' ascesi
catartica, la dimensione spirituale che lo dispone, grazie al fatto di essere divenuto altro, a
consumare dentro di sé una serie di tappe o fasi che, culminan ti nell' amore totalizzante, lo fanno
realtá nella quale il divino diviene coscienza indiata. Trascende il fenomeno per precipitarsi nel
noumenon. In tal modo il místico al-Hallág, il crocifisso dell 'islam, poté dire di sé: "lo sono la
verita", aná al-haqq. La sua emblematica figura ci fa capire che nella mística islamica puó
realmente verificarsi il superamento della soglia della conoscenza di Dio, assorbendo la
straordinarietá del divino nella straordinarieta della creatura che lo contempla e fruisce della sua
pienezza grazie alla sua realtá di essere trasfigurato. Piú che Uno sono due fatti e divenuti Uno. Il
tasawwuf e un progressivo schiarirsi e illuminarsi alla luce del divino, un divenire uno in Lui, nella
misura in cui si cessa di essere quello che si e, fino a poter dire ;"lo sono nel cuore di Dio",
piuttosto che "Dio e nel mio cuore".
Contrariamente, quindi, all' asserzione della tradizione secondo la quale non puó esserci
alcuna assimilazione a Dio o al divino, escludendo pure la feconda esperienza dei grandi mistici

178: "( ... )Con questo il vostro Signore ha voluto misericordiosamente alleggerire le precedenti sanzioni; machi, dopo
questo, trasgredisca la legge, avrá castigo cocente".
36

della cristianitá e, in maniera categorica, quella specifica e reale connotazione divina di Cristo che
poteva di redi sé: "Io e il Padre siamo Uno".
DiG�úilCor�oa��a�e·��������������������B!W
&���g1l1t��1:iit�J�;}JgfJJt�J1�;@élm��1::tfSú1;:t;I¡§J,jj"é's's�aggiiifaf;)Ífglt;Wttil\ls1ta�fü�''ªi quali egli dirá: '��;�;�¡�p)�,¡�;J_;�!�,·
�c��Wi'.��g�tlWm�;s��fj;�}.�d�g1tiI�;t',é)�Ecco che io vi creen) con dell'argilla una figura d'uccello e poi vi soffieró
sopra e diventerá un uccello v�vo col permesso di Dio; e guariró anche, col permesso di Dio, il cieco
nato e il lebbroso e risusciteró i morti e vi diró anche quel che mangiate e quel che conservate nelle
vostre case. In tutto questo vi sará un segno per voi, se siete credenti. E son �i,�uto �tt���?!1�í�J�i1(f€f
quella she fu ltifL���f ·'.;;'�]#Jfper dichiararvi lecite alcune cose che v' eran o state
proibite, e v'ho portato un segno da Dio; pertanto tJ1üitit�im,tijJ:i'�11ji�!�;¡¡fiiuJ. Hoféfréti:ttéíttiftIDI-@tr��i'tíJ
111-1to11t�'it@rr(füv.é,�e-�,i;11��;-,str:0&�sl'.{gti(.Í'�ew1&1� �@1��i;�$!����11�tlti:t-t�E�t!f '92.
N onostante la ricchezza di particolari che aleggia in tomo alla figura del Cristo descritto qui
dal Corano, manca un cardine della sua essenziale missione profetica, ovvero il riferimento al fatto
ch'egli costituisce il punto di inveramento delle molteplici profezie e vaticini dei profeti messianici,
primo fra tutti Isaia, del quale non si fa rnenzione in nessun versetto di nemmeno una delle 114 sure
che costituiscono il testo coranico. Resta ad ogni modo affennato il principio che Cristo e, nel
cristianesimo attuale, quanto di luí hanno fatto alcuni cristiani che, per personali passioni, hanno
alterato e manipolato la scrittura evangelica portata da Gesú nel · suo assolvere al compito di
messaggero di Alláh.
Il Corano delinea perció una netta opposizione tra la stragrande maggioranza dei cristiani e
Cristo, come giá in Porfirio, invischiati nell'errore che fa di luí un presunto Dio. Non e del tutto
trascurabile il fatto che anche sotto il profilo linguistica, come accennato, ill?il&ii'§tif:rl�]rf�tirn;ll�e,fü.tif
itíii�[lltf)ñli1�0CJ!r1�i��1- �;t·�%Í�?-�q��ti�ait�rt�'t:&,:'f1 J,W1 )]a'5'eMtta:��Fes�én\fat�i@ru�1Elie1;*�ª�0..11�.y0�PP!-��q�$z�1���,
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1

Ierocle nel suo L 'amico della verita intendeva stigmatizzare i cristiani che attribuivano al Nazareno
una natura divina.
��l!!tJJ,�lªiiQ1wiio.lrs.rrMYl:1J�íti.iii�áÜl.i''i-�l-;�ij�:��IBJf!§Et:�i o, meglio, nella concezione che egli ebbe
dclcristianesimo,� .�����

Un indizio favorevole ad una cosciente acqursizione dei fondamenti del cristianesimo


concepito come predicazione e vita pubblica di Cristo, sembra essere senza ombra di dubbio quanto
detto nei succitati versetti, ma non manca un ulteriore indizio, a sua volta indicatore di una
sostanziale autoritá di insegnamento e di condotta, di quanto il cristianesimo esprime e indica come
sue peculiaritá. In sura V, 82-86 si precisa il formale riconoscimento del cristianesimo come
dottrina e ortoprassi primaria nei confronti di ogni altra dottrina e religione, ivi compreso il nascente
islam. Il versetto recita infatti: "Troverai che i piu feroci nemici di coloro che credono sono i giudei
e i pagani, mentre troverai che i piu cordialmente vicini a coloro che credono sono quelli che

92
Cfr sura III, 48-51. Non dissimile e quanto asserito in sura V, 46-47: "E facemmo seguir loro Gesú, figlio di Maria,
a conferma della Torah rivelata prima di lui, e gli demmo il Vangelo pieno di retta guida e di luce, confermante la
Torah rivelata prima di esso, retta guida e ammonimento ai timorati di Dio. Giudichi dunque la gente del Vangelo
secondo quel che Iddio ha ivi rivelato, ché coloro che non giudicano secando la Rivelazione di Dio, sono i perversi".
93
Per un' adeguata conoscenza del movimento, delle testimonianze antiche e loro interpretazioni nonché per una
bibliografía aggiomata, cfr lean-Pierre Lémonon, I Giudeo-Cristiani. Testimoni dimenticati, ed. San Paolo, Cinisello
Balsamo 2007.
37

dicono:"Siamo cristiani!" Questo avviene perché fra di loro vi sono preti e monaci ed essi non sono
superbi ma anzi, quando ascoltano quel che e stato rivelato al Messaggero di Dio li vedi
versar lacrime copiose dagli occhi, a causa di quella veritá che essi conoscono, e li odi dire: "O
S ignor nostro ! Crediamo ! Annoveraci fra i testimoni del V ero! E come poi potremmo non credere
in Dio e nella Veritá che c'é giunta, noi che bramiamo che il Signore nostro ci faccia entrare, coi
Santi, nel Paradiso?" E li ricompensa Iddio, per quel che essi han detto, con giardini alla cui ombra
scorrono i fiumi, dove resteranno in eterno. Questa e la mercede di chi opera il bene. Ma quei che
rifiutan fede e smentiscono i Nostri Segni, essi son dell'Inferno". Quello che e qui detto dei
94

cristiani prendera in seguito la connotazione di una prerogativa esclusiva dei musulmani.


ILa consapevolezza della veritá nella quale il cristianesimo vive la sua pienezza di dottrina
emerge altresi in sura VI, 52 dove si raccomanda a Muhammad di non chiudere le porte ai cristiani
e isolarli quasi fossero empi e miscredenti. Nella loro fede e devozione, anzi, essi esprimono quella
stessa dimensione testimoniale di coloro che li sostituiranno. Recita infatti il versetto: "Non
respingere coloro che pregano il loro Signore mattina e sera, per desiderio del Suo volto; non sei tu
che devi do mandar con to a loro, né loro a te. Ché se tu li respingerai sarai un iniquo'v". Anche i
musulmani faranno della loro preghiera un atto che del giorno copre il mattino e la sera e altri tempi
ancora tra questi due estremi, come la preghiera del mezzodi, del pomeriggio e del vespro.
Anche i musulmani saranno in un primo momento spronati dal loro Profeta a comportarsi
come i cristiani fedeli a quanto Cristo esigeva da essi nel renderne testimonianza e nel sostenerne la
causa, come traluce da sura LXI, 14, in cui e detto: " O voi che credete! Siate gli ausiliari - ansár -
di Dio, cosi come disse Gesú figlio di Maria agli apostoli: "Chi saranno gli ausiliari - ansár - miei
verso Dio?" Ed essi rispos ero: ''N oi siamo gli ausiliari - ansár - di Dio!" Cosi una parte dei figli
d'Israele credette e un'altra parte negó la Fede, e Noi confermammo quei che avevan creduto,
contro il loro nemico; si che ne usciron vittoriosi!". E su questo parallelismo della liturgia della fede
che si consuma il profondo divario tra cristianesimo e islam.
I1 parallelismo tra Gesú e Muhamrnad e sin troppo evidente, come fin troppo evidente e il
processo di diversificazione tra le due dottrine, a tutto vantaggio della seconda che si adagia e si
sviluppa sullo stesso terreno della prima, non scalzando il fondatore o il profeta o il predicatore o
1' ammonitore, bensi tacciando di manipolazione la prima.

94
Piú particolarmente per i cristiani, questo inciso riguarda il loro rapporto con Cristo. In sura V, 17 e infatti detto:
"Rifiutan fede a Dio quelli che dicono: "Il Cristo, figlio di Maria, e Dio". Rispondi loro: "Chi potrebbe impedirlo a
Dio, se Egli volesse annientare il Cristo figlio di Maria, e sua madre e tutti coloro che sano sulla terra? A Dio
appartiene il dominio dei cieli e della terra e dello spazio fra essi; Egli crea ció che vuole, e Iddio e sovra ogni cosa
potente". Sembra richiamare la stessa argomentazione che Giovanni Battista avanzo ai farisei quando disse: "Dio puó
da queste pietre far sorgere figli ad Abramo" (Mt 3,9). In sura IX, 30 e ancora detto: "I giudei han detto: '"Uzayr e il
fíglio dí Dio!" e han detto i cristiani: "Il Cristo e il fíglio di Dio!" Questo dicono con la loro bocea imitando il dire di
coloro che prima di loro repugnarono alla fede. Dio lí maledica! In quale grave errore son caduti!". Come sí puó ben
vedere qui í giudei e í cristiani sono accomunati, nella nefandezza della loro bestemmia, agli empi pagani dellantichitá
e di ogni tempo. Non meno gravido di conseguenze fuorvianti e quanto viene rinfacciato ai cristianí nel loro culto per
Cristo e per i santi, con le parole: "Si son presí i loro dottori, ahbárahum e i loro monaci, ruhbánahum, e íl Cristo
figlio dí María come Signori, arbáb, in luogo di Dio, mentre eran stati esortati a adorare un Dio solo: non e 'e altro Dio
che Lui, glorifícato e esaltato oltre quel che a Lui assocíano!". Per quanto concerne i termini 'dottori' e 'monací' in
ambito cristiano, vedí pure sura IX, 31,39 dove ricorrono entrambí, e sura V, 82 dove il termine ruhbán ricorre
preceduto dal termine qassis, ovvero preti. Anche sura IV, 172 insiste sul carattere della natura del Cristo, del quale
asserisce: "Il Cristo non ha disdegnato d'essere un semplice servo di Dio ... ", dove ci sembra di scorgere un'eco di
quanto giá l 'apostolo Paolo intravedeva della sua profonda umiltá e sottomissione al Padre asserendo: "
95
Testo aquesto simile in sura XVIII, 28.
38

I1 superamento delle due prime dottrine viene saggiamente bilanciato su un fondamento ad


entrambe anteriore e di entrambe animatore, del quale tanto la prima quanto la seconda si
consideravano figli al punto da rivestire l' epiteto di "figli di Abramo="'. Anche questa intuizione
pulsa in un versetto del Corano, precisamente in sura III, 67 dove e detto: "Abramo non era né
ebreo, né cristiano: era un hanif, dedito intieramente a Dio e non era idolatra". Ancor piú incisivo
quanto a persone di riferimento e ció che viene asserito in sura II, 140, dove leggiamo: "O
pretendete voi che Abramo e Ismaele e Isacco e Giacobbe e le Dodici Tribu fossero ebrei o
cristiani?", Perentoria e discriminante, tale asserzione e in sura II, 135 invocata a scongiuro di un
cedimento di fede nei musulmani davanti alle insistenze di ebrei e di cristiani che li suadevano ad
aderire alla loro religione, nella quale, molto probabilmente, indicavano la loro origine: "Vi diranno
ancora: "Diventate ebrei o cristiani e sarete ben guidati!" Ma tu rispondi: "No, noi siamo della
Nazione d'Abramo, ch'era un hanif, e non giá un pagano".
Un ulteriore elemento che nel Corano gioca a favore della supremazia dellislám sul
giudaismo e sul cristianesimo e la delegittimazione di questi ultimi subentrata ad una prioritá
conclamata da entrambi, ma onnai desueta e insostenibile a causa dell'impotenza di entrambe ad
indicare una fede solida e univoca nel Dio uno ed unico. Dice infatti sura II, 113: "Gli ebrei dicono:
"I cristiani non san nulla" e i cristiani: "Non san di nulla gli ebrei", rispondono, eppure recitano e
gli uni e gli altri lo stesso Libro. E come loro dicono anche i pagani ignoranti; ma sará Dio a
giudicare dei loro dissensi, il di della Resurrezione". Si noti I'ordine di citazione: prima gli ebrei,
poi i cristiani, quindi entrambi equiparati ai pagani ignoran ti e, di conseguenza, tutt' e tre rimpiazzati
dai nuovi credenti, che son poi coloro che sanno, ovvero coloro che posseggono la vera scienza o
conoscenza che e il Corano.
La forza argomentativa che subentra a vantaggio dcllislám, e tutta nel fatto che
quest'ultimo conserva del primo e del secondo la capacita di aderire al medesimo Libro e di credere
nell' originario Dio che e stato causa tanto del giudaismo quanto del cristianesimo per il tramite
dell'elezione di Mose e di Gesú. La compresenza nelle loro singole identitá di un medesimo Dio e
di un medesimo Libro, pur se non nella medesima estensione e compiutezza, e un'ulteriore ragione
per ritenere che lislám e effettivamente germinazione da giudaismo e da cristianesimo, non fosse
altro che per effetto di questa continuitá nella trasmissione del messaggio che altrove vede elencata
tutta una serie di profeti incastonati nella luminosa catena della rivelazione, di cui quella islamica si
autodichiara sostitutiva e comprensiva97.
96
La denominazione non compare in nessun passo coranico sotto questa specifica forma, rna non sono rari i casi in cui
si fa riferirnento ad Abramo ad Isacco e a Giacobbe come "padri". Vedi a tal proposito sura XII, 38, dove Giuseppe si
rivolge ai due serví imprigionati con luí con queste parole: "E ho seguito la religione dei miei padri Abramo, Isacco e
Giacobbe: non s'addice a noi d'associare a Dio cosa alcuna. E una grazia questa che Dio ci ha dato, a noi e agli uomini
tutti, ma purtroppo i piú degli uomini non Gli sono riconoscenti". Altri contesti parlano della discendenza di
Abramo, come sura XIX, 58. Piú esplicito e il passo di sura XXII, 77-78, nel quale i musulmani sono chiamati figli di
Abramo con queste parole: "O voi che credete ... Egli vi ha prescelti, e non vi ha imposto nella religione pesi gravosi, la
religione del vostro padre Abramo. Egli vi ha chiamato Muslim giá da antico, e in questa rivelazione ancora, perché il
Messaggero sia testimone contra di voi, e voi siate testimoni contro il resto degli uomini ... ".
97
Tali riferimenti sono reperibili in piú di un passo coranico, come in sura VI, 84-86, per esempio, dove leggiamo: "E
ad Abramo noi donammo Isacco e Giacobbe, ciascuno dei quali Noi dirigemmo sulla giusta via. E prima ancora
guidammo al vero Noé e, fra i suoi discendenti David e Salomone e Giobbe e Giuseppe,e Mose e Aronne: cosi Noi
compensiamo i benéfici. Ed anche Zacearía e Giovanni e Gesú e Elia, ciascuno · dei quali fu annoverato fra i san ti, e
Ismaele ed Eliseo e Giona e Lot, e ciascuno levammo al di sopra d'ogni altra creatura ... "; in sura II, 136: "E <lite loro
ancora: "Noi crediamo in Dio, in ció che stato rivelato a noi e in ció che fu rivelato ad Abramo, a Ismaele, a Isacco, a
Giacobbe e alle Dodici Tribu, e in ció che fu dato a Mose e a Gesú, e ai profeti dal Signare; non facciamo differenza
alcuna fra loro e a Luí tutti ci diamo ! ".
39

Il momento della consumazione dello strappo e del diniego di un ruolo ancora attivo nella
storia della fede e della devozione, e in maniera eloquente denunciato in sura II, 141, dove
leggiamo: "Questa fu una nazione ormai passata, che avrá quel che s'e guadagnata, come voi avrete
quel che avrete guadagnato né sará chiesta ragione a voi di cío che essi operarono=", Anche nello
spinoso problema di come un genuino credente possa considerarsi agli occhi di Dio, sublimandosi
nella percezione di una figliolanza elettiva con Lui che in forza del suo amore per le creature ne
diventa addirittura padre, Muhammad consuma un superamento della sua origine, tacciando di
menzogna quanto i giudei e i cristiani vanno dicendo a proposito di una loro presunta figliolanza nei
riguardi del Dio che adorano e servono nella loro fede e nel loro culto. Leggiamo infatti in sura 5,
18: "E dicono anche i giudei e i cristiani: "Noi siamo i figli di Dio e i suoi amici". Domanda dunque
loro: "Perché allora vi tortura peri vostri peccati? No! Voi non siete che uomini come gli altri che
Egli ha creato: Eglí perdona chi vuole e tormenta chi vuole. A Dio appartiene il dominio dei cieli e
della terra e dello spazio fra essi e a Luí il Divenire e diretto".
Un ulteriore segno del superamento delle fasi di rivelazioni giá consumate nell'esperienza
giudaica e in quella cristiana e, quindi, dell'innesto che sull'una e sull'altra rappresenta l'islám, e
nel versetto 19 di sura V, dove si affenna: "O gente del Libro! Ecco ve giunto il Nostro
Messaggero a istruirvi, dopo un'intenuzione nell'invio dei Messaggeri Divini, affinché non abbiate
a dire: "Nessun Messaggero c'e giunto, nessun Ammonitore e venuto a noi!" No! E venuto a voi un
Messaggero, un Ammonitore, e Dio e sovra ogni cosa potente! "99. Questo versetto coranico e a sua
volta fondato su una positiva presa di posizione da parte di Muhammad nei confronti di Gesú, del
quale riconosce, contro la posizione degli ebrei, la qualitá di Messia. Tale riconoscimento
dell 'inveramento delle precedenti preconizzazioni e vaticini mai esplicitamente formulati
nell' esposizione de lle singo le sure, e tutto racchiuso nell' ammissione che Gesú e da considerarsi
come "l'ultimo profeta inviato ai figli di Israele", come racconta e tramanda un hadit, Questa
precisazione, che fa da sfondo e presupposto alla eccezionalitá dell' elezione profetica di
Muhammad che, come riconoscerá sura XXXIII, 40, e presentato come "il sigillo dei profeti",
hátam al-nabiyyin, lascia aperta la porta ad una diversa ramificazione del profetismo, quella
appunto araba, frutto della scelta del profeta Ismaele a padre degli arabi. Per tale ragione i
musulmani saranno in seguito chiamati anche agareni o ismaeliti.
Per quanto conceme una germinazione dell'Islám dal cristianesimo, inoltre, abbiamo tutta
una serie di motivazioni che gravitano attorno alla figura e al ruolo di Cristo. Una germinazione che
sulle prime conserva l' humus di provenienza ma che finisce poi con il dissociarsi da esso nella
misura in cui invoca la sua assolutezza e singolaritá. Non suoni offensivo se si dovesse affermare
che in questo ambito la desolazione e la povertá dell'islam sano dovute all'assenza di Cristo-Dio,
figlio di Dio, fratello dell'uomo, sacerdote della Chiesa.
Altro segno dello scollamento dalla comune radice giudaico-cristiana e dato rilevarlo dalla
dichiarazione della inanita e vacuitá del patto perché infranto e disatteso nelle sue dimensioni di
fede e di opere alla fede consone. 11 riferimento al patto implica una sicura conoscenza delle

98
Questo apre uno spiraglio di interpretazione piú o meno pertinente con quanto contiene sura VI, 52, da noi piú sopra
cita to.
99
I passi del Corano che accentuano questo molo della persona di Muhammad sono innumerevoli. Sarebbe di per sé
bastante citare sura IX, 33 dove leggiarno: "Egli e Colui che ha inviato il Suo Messaggero con la retta guida e la
Religione della Veritá perché prevalga sulle religioni tutte, anche a dispetto degli ido la tri".
40

peculiaritá elettive e istituzionali del popolo ebraico come popolo eletto100 e della comunitá
cristiana individuata come tale nella sua indissociabilita dalla volontá di Cristo relativa alla sua
fondazione. Una sinanoga e una Chiesa non piu giuridicamente valide perché deprivate della loro
appartenenza ai reciproci fondatori, vale a dire Mose e Cristo. Senza piú patto non sussiste elezione,
diversificazione e identitá. L'infedeltá al patto e sinonimo di estromissione dalle promesse ad esso
concomitanti. E qui che si consuma, una volta ancora, il superamento del giudaismo e del
cristianesimo da parte dell'islám nella sostituzione della kanisah con la ummah, dell'assemblea
originaria dei giudei e dei cristiani con la comunitá dei credenti ad esse sovrapposta. Il senso di
quanto dichiara a tal proposito il Corano e sin troppo chiara e lampante. Si dice infatti in sura V, 12-
14: "E in vcritá Iddio strinse un patto coi figli d'Israele ... ma poiché essi ruppero il loro patto, li
abbiamo maledetti e indurimmo i loro cuori ... Anche con coloro che dicono : "Siamo cristiani",
abbiamo stretto un patto, ma hanno dimenticato una parte di quel che fu loro insegnato, e Noi
abbiamo suscitato fra loro un'inimicizia e un odio che dureranno fino al di della Resurrezione,
quando Iddio li informerá di quel che hanno operato". Dicevamo che la disaffezione di Muhammad
nei confronti dei cristiani raggiunse ad un certo punto la fase di una totale intolleranza, una sorta di
parossistico fastidio che vedremo riflesso in una presa di posizione da parte del califfo 'Umar che
ebbe un di ad esclamare: "Non li onoro perché Dio li ha disprezzati, non li elevo perché Dio li ha
abbassati e non li avvicino giacché Dio li ha /da sé/ allontanati'?'.
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,·��·,f:g,(;)it:é,f'iijl?Jls;i.=l�íi&;. Hanno inf�tti obliato solo "una parte di quel che fu loro insegnato" �- per il cui
ripristino viene mandato un nuovo messaggero nella persona di Muhammad, come recita la stessa
sura al versetto 15: ������
}J.n,�;�l�,?IRe�t;it�:�!Afi,; f,wj¡g��;;t��y;:ist:YI�l:(�!�\:f:1:ª5§<ilQ�tt5',?e:�,Ñ�f1'alfüí((),:gá$'n�s��fl\:�tJ�j'.
Lo stesso particolare, qui asserito senza mezzi termini, che fa di Muhammad un abrogatore
di molte specificitá delle due precedenti rivelazioni, rinsalda una connessione tra le tre almeno in
quelle partí che non sarebbero state abrogate e che, di conseguenza, operano tuttora nel credo, nella
devozione, nell' etica e nella giurisprudenza della comunitá musulmana.
In ambito cristiano un ulteriore elemento di dissociazione ruota attorno alla questione
trinitaria. Abbiamo piu volte avanzato delle riserve su detto problema mettendo in evidenza che il
Corano non offre nessun passo la cui tenninologia sia effettivamente antitrinitaria piuttosto che
antitriteista. Certo, il fatto stesso di negare che Dio abbia avuto un figlio, potrebbe obiettivamente
figurare come una negazione della seconda persona della Trinitá. Sta pero di fatto che anche in
questo caso la terminología insiste sul verbo walada, come e del resto asserito la dove si vuole
stigmatizzare la propensione all' invenzione, che fa dire ai pagani che Dio ha fatto un figlio, walada

100
Dice infatti sura V, 20: "E ricordatevi di quando Mase disse al suo popolo: "O popal mio! Ricordate la grazia che
lddio v'ha elargita, ponendo fra di voi dei Profeti, facendo di voi dei Re e dandovi quel che non aveva dato a niun altro
al mondo! O popal mio! Entrate nella Terra Santa che Iddio v'ha destinata e non volgetevi addietro, andandovene in
perdizione!". Si noti che I'espressione 'Terra santa', al-ard al-muqaddasah, e típicamente ebraica e cristiana e
costituisce il secando caso, in tutto il Corano, nel quale l'aggettivo santo, sotto la suddetta forma, viene accompagnato
ad un nome comune. 11 primo e quello di sura XX, 12 e sura LXXIX, 16 in cui Iddio ingiunge a Mese di togliersi i
calzari perché si trova "nella valle santa, muqaddas, di Tuwá".
101
Cfr Ibn an-Naqqásh, "Kitáb al-madhammah fi isti'rnál ahl adh-dhimmah" (testo arabo, introd., trad. e note a cura di
B. Pirone),, in Studia Orientalia Christiana, Collectanea, 4 (1991), The Franciscan Centre of Christian Oriental
Studies, Co-Editor Franciscan Printíng Press, Cairo-Jerusalem, p. 286.
41

. ' ' .
All· -hI02
a . I n venta e l' umco passo coranico in cui compare tale espressione. Molti altri, pur se
coniati sulle stesse radicali, esprimono talvolta un valore verbale, talaltra un sostantivo da esse
derivante, per cui troviamo che Dio non ha mai generato né e stato mai generato'l" e che Dio non ha
mai avuto un figlio, walad1°4.
Questo passo e di per sé significativo delle tre istanze supposte nella sura CXII, o sura del
Culto sincero. Pur nella sua povertá semantica, tutta incentrata sul verbo walada'í", determina una
prima istanza contro il fatto o la possibilitá che Iddio possa avere un figlio o un socio o un simile o
un uguale. La seconda istanza e una chiara denuncia del triteismo e la terza una refutazione
categorica della Trinitá. E altrettanto vero, tuttavia, che nel lessico coranico non ricorre giammai il
termine 1alü1 largamente presente e diffuso nei trattati di teología trinitaria in ambiente cristiano,
per indicare la Trinitá, La terminología coranica punta invece sul semplice numerale cardinale
talátah come in sura IV, 171, dove leggiamo: "O gente del Libro! Non siate stravaganti nella vostra
religione e non dite di Dio altro che la veritá! Ché il Cristo Gesú figlio di Maria non e che il
Messaggero di Dio, il Suo Verbo che egli depose in Maria, uno Spirito da Lui esalato. Credete
dunque in Dio e nei suoi Messaggeri e non <lite "Tre!" Basta! E sará meglio per voi! Perché Dio e
un Dio solo, troppo glorioso e alto per avere un figlio! A Lui appartiene tutto quel che nei cieli e
quel che sulla terra, Lui solo basta a proteggerci!" In sura V, 73 e meglio precisato che "sono empi
quelli che dicono: 'Dio e il terzo di Tre", ma anche in questo contesto si sta parlando di Cristo figlio
di Maria, ritenuto erroneamente e falsamente Dio. L' allusione a Cristo ritenuto Dio perché figlio di
Dio, come riterrebbero falsamente i cristiani, non e in alcun modo allusione ad una Trinitá, bensi ad
un triteismo, in quanto Maria stessa costituirebbe oggetto di indebita adorazione, per essere stata
elevata al rango di 'compagna' di Dio, come e esplicitato in sura V, 116: "E quando Dio disse: "O
Gesú figlio di Maria! Sei tu che hai detto agli uomini: 'Prendete me e mia madre come déi oltre a
Dio'?", alla quale si accostano poi i due passi in cui si esclude che Dio abbia potuto avere una
compagna, come in sura VI, 1 O 1 dove e detto: "Creatore nuovissimo dei cieli e della terra, come
potrebbe egli avere un figlio se non ha una compagna e se e Lui solo che ha creato tutte le cose, e
tutte le cose Ei solo conosce?" e in sura LXXII, 3 dove si sottolinea: "Egli infatti ( che la Maestá del
Signore nostro sia esaltata) non s'e scelta compagna né figlio".
In tutto il Corano, del resto, non si fa alcuna allusione allo Spirito Santo in quanto Dio e
terza persona della Trinitá. Tutti i passi in cui ricorre il termine rúh non riscontriamo nessun
riferimento ad altre due persone nel senso classico della dottrina trinitaria, ossia il Padre e il Figlio,
o una specifica autonomía di sostanza e di a gire dell' essere in questione. L' ermeneutica coranica lo
identifica a volte con lo spirito vitale altre con l'arcangelo Gabriele, ed e comunque un termine che
nella tradizione islamica ha il suo plurale nella forma comune arwáh, con allusioni alle potenze
angeliche o alle anime dei trapassati, come e, tra gli altri esempi, del Pozzo degli spiriti o delle
anime situato nella parte inferiore della Qubbat al-Sahrah o Cupola della Roccia, sulla spianata
delle moschee a Gerusalemme. L' assenza di qualsiasi riferimento sia al Padre sia allo Spirito Santo,
restituisce la polemica coranica contro la divinizzazione di Cristo e di Maria ad un suo circoscritto

º
1 2

103
Cfr sura XXXVII, 151-152.
Cfr sur a CXII, 3.
104
Vedi sure II, 116; IV, 171; VI, 101; X, 68; XVII, 111; XVIII, 4; XIX, 35m 88, 91, 92; XXI, 26; XXIII, 91; XXV, 2;
XXXIX, 4; XLIII, 81; LXXII, 3.
Proprio per questo nel Corano troviamo asserito, con altrettanta categoricitá, che Maria e vera madre di Gesú
105

perché ne e stata la genitrice, wálidah, come in sure II, 233 e V, 11 O.


42

ambito cultuale, condiviso da alcuni gruppi di cristiani meglio conosciuti come colliridiani o
maryamiyyún, dei quali fa menzione anche Eutichio nei suoi Annali'í", A voler essere
maggion:nente coerenti con la terminologia coranica, si potrebbe sottolineare il fatto che il termine
rüh e in un passo da noi giá citato e riferito a Cristo stesso, che viene tra l 'altro considerato "uno
spirito da Lui esalato"1 7. º
Da quanto sin qui esposto, dunque, emerge che sono del tutto assenti i valori teologici e i
rapporti linguistici che veicolano una possibile non irrazionalita della realtá trinitaria. ijfü�íX!a,'LtaHlt"élf

Le ironie che la tradizione imbastisce sul versetto in cui i cristiani sarebbero empi che
dicono che Dio e il terzo di Tre, trovano terreno fertile nel passare dei tempi, si da dare carpo ad
una sezione del testo meglio conosciuto come Libro della riprovazione del ricorso ai servigi dei
dimmi di Ibn al-Naqqás'l". Qui, tra le altre discrepanze della dottrina cristiana, si mettono alla
berlina le stravaganze dei cristiani bollati come coloro che "Adoran la croce e tre volte Dio fan
l' Adorato't". E ancora piú sprezzantemente sono apostrofati con il verso "Come puó saper di
calcolo chi rende/tre l'Uno, Signare del creato Altissimo?"110
Sorprende, tra I' altro, ma non troppo se si considera il monoteismo assoluto nell' essenza e
nell'agire, nella sostanza e negli attributi, che il Corano superi addirittura e si lasci alle spalle il
fondamento della dignitá umana e dell'elezione dell'uomo tra tutte le creature, perché "fatto ad
immagine e somiglianza di Dio", come e nel giudaismo e nel cristianesimo. Tale inciso, infatti, non
compare in nessun passo del Corano e in nessun hadit. Vero e, comunque, che il testo sacro
dei musulmani non omette di precisare che Dio creo 1 'uomo modellandolo su perfetta armonía delle
sue partí e nella bella forma da lui voluta, e tuttavia e altamente riduttivo della sua vocazione a
essere icona di Dio sulla terra, come sarebbe poi stato di Cristo grazie alla sua incarnazione in virtú
della quale rivesti corpo umano assunto dalla Vergine Maria. Sura LXXXII, 6-8 lo dice senza
ambiguitá: "O uomo ! Che cosa mai ti sedusse ad abbandonare il tuo generoso Signare? 11 quale ti ha
creato, plasmato, armoniosamente formato e nella forma ch'ha voluta t'ha forgiato'"!'. I verbi che

106
Cfr Eutichio, op. cit., p. 196, dove si dice:"( ... ) convennero a Nicea duemilaquarantotto vescovi di diverse opinioni
e religioni. C' erano infatti di quelli che affermavano che Cristo e sua madre sono due dei oltre Dio, ed eran, costoro, i
Barbarániyyah, detti anche Maryamiyyún". In realtá si tratta di due sette distinte, come si evince anche dalla lettura di
Abü al-Barakát Ibn Kabar, Misbáh al-zulmah fi T(lab al-hidmah (Lampada Tenebrarum), I pars, Maktabat al-Karüz, il
Cairo 1971, p. 38. I1 passo relativo a siffatta questione compare alla lettera nei due testi appena citati!
107
Cfr sura IV, 71.
108
Cfr lbn an-Naqqásh, op. cit., pp. 225-326.
109
Ibidem, p. 296.
110
Ibídem, p. 320, dove dice ancora: "I cristiani non si intendono di aritmetica e non la conoscono per quello che essa
veramente e, perché fanno dell'uno tre e del tre uno. lddio Altissimo dice: "E sono empi quelli che dicono: 'Dio e il
terzo di Tre'. Principio della loro fede e fondamento della loro religione, e: "N el nome del Padre, del Figlio e dello
Spirito Santo, unico Dio"".
111
Ricalca sostanzialmente quanto detto in sura XXXII, 6-9: "Egli e il Conoscitore del Visibile e dell'Invisibile, il
Potente, il Clemente, che fece bella ogni cosa che creó ... e la creazione dell'uomo comincio da fango, poi la progenie
sua fece nascere dal sueco di spregevole liquido, poi armoniosamente lo plasmó e gli insuffló del Suo spirito ... ".
L'espressione "poi armoniosamente lo plasmo" e, nell'originale arabo tumma sawwáhu. Bausani ha percio tradotto la
stessa forma verbale una prima volta con "ti ha plasmato" e una seconda volta con "armoniosamente lo plasmó". Si
veda pure sura XV, 26-29, dove la creazione dell'uomo e cosi descritta: "Noi creammo l'uomo d'argilla secca, presa
da fango nero impastato e i ginn creammo pure, da prima, di fuoco ardentissimo. Ricorda quando il tu.o Signare disse
agli angeli: "Ecco lo creero un uomo d' argilla secca, preso da fango nero impastato e quando l' avró modellato e gli
avró soffiato dentro del Mio Spirito, prostratevi davanti a lui, adoranti". Anche qui il verbo e smvwa, che pero Bausani
43

compaiono in questo contesto sono, in ordine di citazione, halaqa.sawwá, 'adala. Per forma
troviamo il classico sürah; e per quanto attiene il verbo forgiare l' originale arabo e qui rakkaba, che
di per sé esprime piú direttamente il concetto di composizione in parti annoniche e proporzionate.
Ma ci sono invero altri passi nei quali compare la voce verbale .sawwara, vale a dire formare o dare
forma a qualcosa o a qualcuno con un atto creativo, come si evidenzia in sura XL, 64: "E Dio che
v'ha dato la terra come stabile suolo e il cielo come alto palazzo, e v'ha formato, e le forme vostre
ha abbellito e delle buone cose v'ha provveduto. Beco chi e Dio: il vostro Signore! Sia dunque
112,

benedetto il Signor del Creato ! " Il dono delle forme segue quello della creazione, come e
puntualizzato in sura VII, 11: "Eppure vi abbiam creati, poi vi abbiam formati ... ", si realizza sin da
quando si e nel ventre materno, come asserisce sura III, 6: "Egli e colui che vi plasma nel ventre
delle madri, come vuole113, non c'e altro dio che Luí, il potente, il saggio".
•L' esclusivo potere che Dio ha di conferire una determinata forma ad ogni essere vi vente,
facoltá di suo esclusivo dominio, di cui nessun altro essere e dotato, concorre ad attribuire a Dio il
termine musawwir come uno dei suoi nomi piú belli, vale a dire degli al-asma' al-husná, che sono
poi null'altro che gli attributi propri o sostanziali, al-sifát al-dátiyyah, dell'unico Dio. Come la
maggior parte di essi, anche questo e menzionato in maniera esplicita nel Corano, e precisamente in
sura LIX, 24: "Egli e Dio, il Creatore, il Plasmatore, il Forgiatore, Suoi sono i Nomi-Bellissimi, e
canta le Sue lodi tutto quel cli'é nei cieli e sulla terra, egli e il Possente Sapientelv'!".
Nonostante una certa varietá tenninologica, e tuttavia assente ogni sia pur mínimo
riferimento al fatto che Dio creo l'uomo "a sua immagine e somiglianza", 'ala süratihi wa-mitálihi,
come e invece messo in evidenza nel libro del Genesi. Possiamo congetturare che la sua assenza nel
testo coranico sia voluta per scongiurare ogni possibilitá di antropomorfismo in Dio per non dare
alcun adito all'invenzione di altri esseri oltre Lui, come e in svariati passi asserito con fennezza e
determinazione. Anche in questo caso, quindi, la comune matrice scritturale subisce una
contrazione nel suo assunto di partenza, al fine di sostituirla con una descrizione di maggiore
garanzia per un monoteísmo assoluto, monolítico e intransigente. La tradizione cristiana, invece, ha
sin dai suoi albori, nelle riflessioni e nei commenti dei primi Padri e Dottori della Chiesa,
considerato tale formulazione giustificata dall'evento centrale della salvezza dell'uomo,
dall'incarnazione del Verbo che, vera icona del Padre, partecipa tale prerogativa a chi in Lui crede e
in Lui diventa fratello.

traduce con "modellare", Muta registro di traduzione anche in sura XXXVIII, 72, dove lo stessissimo versetto e
tradotto: "E quando I'avró plasmato ed avró alitato in lui del Mio spirito, gettatevi prostrati avanti a lui!". Lo stesso
verbo compare, senza complemento oggetto, in sura LXXV, 38; LXXXVII, 2; con complemento oggetto costituito di
un pronome personale in sura XVIII, 3 7. In altri contesti lo stesso verbo viene utilizzato per esprimere che nella sua
creazione Dio plasmo anche la volta del cielo, come in sura LXXIX, 28 (Bausani traduce "forgió"); plasmo anche
l'anima, come in sura XCI, 7; plasmó anche i serte cieli, come in sura 11, 29 (Bausani traduce "foggio"); Dio e altresi
capace di riplasrnare la punta delle dita dell'uorno, come ub sura LXXV,4.
112
11 verbo e qui ahsana e ricorre parimenti in sura LXIV, 3: "Egli ha creato i cieli e la terra con Veritá d'intento, e
v'ha plasmati, e forme belle v'ha dato e a Lui tutto ritorna". Ancora una volta Bausani s'abbandona al suo vezzo di
stilizzare oltre misura il testo, per cuí la stessa espressione araba wa-sawwarakum fa-ahsana suwarakum la traduce una
volta "e v'ha formato, e le forme vostre ha abbellito" e un'altra "e v'ha plasmati, e forme belle v'ha dato".
113
Stesso concetto reso ancora piú esplicito in sura LXXXII, 8, dove si dice: "e nella forma ch'ha voluta t'ha
forgiato". Come si puó notare ancora una volta, la maniera di tradurre di Bausani non e uniforme in nessuna di queste
due ultime citazioni se rapportate alla forma originaria araba.
114
Anche in questo caso la traduzione del Bausani non e del tutto uniforme,
44

Sembra comunque che, 1f}lf(l1/1'�ioo�g�µ,�l;i�, il Corano e lo sradicamento dei valori fondamentali


del cristianesimo piú di quanto non lo sia del giudaismo. Per quanto concerne quest'ultimo si puó a
ragione ritenere che lo conserva nella sua struttura originaria, nella fattispecie di un monoteismo
assoluto "lo sono il Signare Dio tuo, non avrai altri dei all'infuori di me". Questo e del resto
ribadito nella sahádah; nella pedissequa conformazione all'economia profetica alla quale, tuttavia
affianca quella araba dei fratelli dei Figli di Israele; nel predominio e nell 'applicazione della Legge
o sari'ah su ogni altra cosa; nel considerare la parola di Dio non ascoltata o ispirata bensi scritta;
nel restringere la gamma delle sacre Scritture a quelle formalmente enunciate per nome nella
rivelazione fatta scendere su Muhammad e, soprattutto, nel deferire a se stesso il sommo e
definitivo molo di giudice del vero in assoluto e del vero relativo ancora palpitante in pochi
autentici testirnoni del giudaisrno e del cristianesimo. Si esce dalla lettura del Corano con la
paradossale impressione che non sia in effetti I'islám a ridirnensionare le sue comuni radici con il
giudaismo e il cristianesimo, ma che sia addirittura il giudaismo a farsi giustizia di un cristian�imo
che nella sua fede in un Cristo ritenuto Dio e uomo ne aveva da sempre minacciato la stabilitá e il
consolidamento, mettendo fine ad ogni sua speranza di continuare ad essere la religione di Dio e il
popolo di Dio. Ci si convince poi, tuttavia, che finisce con il prevalere una sorta di estraniazione
disincantata e tuttavia lucida, inesorabile e vigorosa dal cristianesirno. Una progressiva demolizione
dei suoi fondamenti, che non risparmia nessuna delle sue peculiaritá di Chíesa e di Magistero, di cui
umilia la dimensione universale negando decisarnente I'eternitá divina di Cristo. Ma alla fine dei
conti, il messaggio non tanto implicito o reticente, resta pur quello in forza del quale il Corano
invoca ed esige che tutto converga in ció che esso presume di essere.
Si diceva all'inizio che san Giovanni Damasceno considera I'islám un'eresia cristiana.
Qualcuno ha asserito perció che "Maornetto non puó essere considerato un Profeta cristiano" e di
tale asserzione 'Abd al- Wáhid Pallavicini ha sottolineato 1' esattezza osservando che se Gesu ha
detto: "Prima che Abramo fosse, io sono", Muhammad ha precisato dicendo di sé: "Io ero quando
Adamo era ancora tra l'acqua e l'argilla"115• Malo stesso concetto di tempio o di chiesa cristiana e
dallislám inserito in un asse teologico e dogmatico che sovverte nel tempo o nella metastoria le
priori ta, in quanto la Mecca, dove Dio era adorato e testimoniato dagli angeli, esisteva prima ancora
che Adamo venisse cacciato dal paradiso, come leggiamo, per esempio, in TabarI116.
Quello dell 'islam e quindi un universalismo nella misura in cuí si riappropria del passato. In
tale prospettiva Adamo e un muslim e Noé e un muslim, muslim e altresi Abramo e muslim e Gesú,
ma Muhamrnad resta, per cosi dire, il muslim per eccellenza, perché il processo della rivelazione ha
avuto in lui il suo totale inveramento. Della Umm al-Kitáb, o matrice del Libro, ogni altro profeta
prima di lui aveva avuto una parte. Lui l'ha ricevuta invece in modo totale e perfetto. L'iniziale
pollone .si e isolato dai rarni che lo attorniavano, sta divenendo e vuole divenire gigantesco e
maestoso albero!

115
Cosi in una sua lettera pubblicata su "Il Regno" n. 14 del 15 luglio 2007 con il titolo "Gesú Profeta per
l'Islam?".
116
A tal proposito vedi al-Tabarí, Tárih al-umam wa-l-muluk, ed. Matbaat al-istiqárnah, il Caíro 1939, vol. I, p.
92.

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