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FILOSOFICO?
Francesco Bertoldi
Già il fatto di saltare a piè pari un periodo di mille anni dovrebbe lasciare
almeno un po' perplesso chiunque, anche non addetto ai lavori, fosse dotato,
anche in misura minima, di senso della storia (oltre che, ovviamente, di buon
senso). Ma la perplessità diventerebbe decisamente un grave sospetto allorché
ci si chiedesse se quei mille anni non siano trascurati proprio per quel
pregiudizio sul Medioevo, che condiziona ancora pesantemente l'approccio a
tale civiltà.
1. Originalità medioevale
Una nuova concezione delle facoltà umane: non possiamo non ricordare che i
medioevali furono maestri insuperati nell'arte dell'introspezione; le loro
riflessioni sul rapporto tra l'anima e le sue potenze, sulle potenze conoscitive,
dai sensi esterni al centro ineffabile, l'apex mentis, e ancora sul rapporto tra
intelletto e volontà, superano di gran lunga, per quantità certamente, ma anche
per profondità le analoghe riflessioni dei filosofi greci.
3. Quanto al problema del male, è vero che, come si fa sin troppo notare, S.
Agostino utilizza degli strumenti concettuali offertigli da Plotino. Non sempre
si osserva un analogo zelo nei manuali scolastici nel rimarcare le pur non lievi
differenze: l'identificazione del male col non-essere è funzionale, nel
platonismo (antico e nuovo) a una soluzione ontologica del problema che
svigorendo al massimo la consistenza/bontà della materia addita quale unica
salvezza la fuga (intellettuale) verso le Idee o l'Uno; la soluzione agostiniana è
imperniata invece sul male morale, che ha la súa origine nella libertà
dell'uomo a cui pertanto è demandato il compito di estirpare il male, in un
agire buono' che aderisca al Bene che le si fa, per grazia, incontro
prevenendola e sostenendola.
In terzo luogo l'Aquinate può quindi vantare una più radicale e spregiudicata
impostazione, mentre il greco poteva al massimo parlare di una " meraviglia "
di fronte all'esser-così del reale, il filosofo cristiano può fondare
teoreticamente quell'originario " stupore " di fronte all'esserci del reale, che è
la spinta più autentica e profonda al domandare filosofico.
Al tempo stesso che unitario, il mondo che emerge dalla metafisica tomista,
pur senza l'accentuazione bonaventuriano-scotista, è un mondo in cui la
concretezza individuale ha un maggior peso che in Aristotele. Al filosofo
greco interessa l'universale, sia esso l'essenza o la legge; il filosofo cristiano,
senza trascurare l'universale, è preoccupato di fondare il valore del singolare.
Egli sa infatti per Fede che ogni singolare è voluto da Dio, o di più, che Dio
stesso ha assunto la singolarità di un corpo e di una anima umana e si fa
incontro all'uomo in una storia, che è fatta di eventi particolari, per salvare le
particolari persone umane, che Egli ama di amore infìnito.
Sempre riguardo all'etica: mentre per il greco la vita morale è una faccenda
individuale, un calcolo dei modi per ottenere la massima felicità da un reale
che è ultimamente impersonale, per il filosofo cristiano essa è rapporto
dialogico con Chi " scruta i cuori e le menti ", e al Quale si deve, dovendogli
ontologicamente tutto, una incondizionata obbedienza. Dovere e felicità
vengono così a coincidere.
Una volta appurato che il Medioevo filosofico non è la fotocopia del pensiero
greco, non siamo che a metà del nostro compito. Si potrebbe infatti obiettare
che i filosofi cristiano-medioevali furono sì originali, ma ormai non hanno più
niente da dire, dal momento che la civiltà ha preso una direzione
diametralmente opposta al loro teocentrismo; per cui, se non altro per ragioni
di tempo, è meglio puntare su quei filosofi greci il cui pensiero meglio si
confà alle moderne istanze antropocentriche.
a) La soggettività
L'uomo cessa di guardare a sé stesso come un ente naturale, come una "cosa
tra le cose" (tema sviluppato a fondo da parecchi filosofi contemporanei, a
partire da Hegel) e diventa consapevole della sua irriducibile specificità di
soggetto autocosciente e progettante proprio in virtù della rivoluzione
intellettuale operata dalla Rivelazione cristiana.
È con il Cristianesimo che l'uomo prende coscienza della sua infinita dignità,
e della sua superiorità di fronte al cosmo naturale, che viene spogliato di quei
caratteri sacrali, ora attribuiti al Trascendente soltanto, e che viene piuttosto
concepito come assoggettato all'uomo, e creato per il suo bene. Ed è da questa
coscienza della centralità del soggetto, pur intesa in modo deformato rispetto
al Cristianesimo tradizionale, che prendono l'avvio, dicevamo, quelle due
essenziali problematiche, quella gnoseologica e quella politica.
b) Soggettività e conoscenza
1. La messa in discussione del valore della conoscenza, come han ben visto
tutti i più autorevoli interpreti della modernità, da Hegel a Maritain, muove
proprio dal superamento di una "ingenua" fiducia nell'oggettivo a partire da
una accentuata conoscenza di sé, che nel filone "laico" giunge a porre la
propria misura come discriminante di ogni certo, ma che in ogni caso esige un
paragone serrato con la propria soggettività.
L'uomo moderno dunque indaga sul valore della sua conoscenza in virtù di
una nuova autocoscienza, e cioè in vista di prendere fino in fondo la propria
esistenza, individuale e sociale nelle proprie mani, in vista di possedersi, per
così dire, e di non essere più in balia di un oggettivo a lui estraneo. Sia poi che
trovi questo possesso di sé in sé stesso, come nel filone " laico " delle
modernità, sia che lo trovi nell'Altro, come nel filone Cristiano.
Nel primo caso, che è, come noto, il caso della corrente di fatto egemone, al
punto tale da essersi potuto presentare a lungo come l'unica, si cercherà di
prendere le distanze da quella concezione cristiana che sottomette " ancora " il
soggetto umano all'Oggettività del Trascendente. Si finirà anzi coi
confonderla in qualche modo con la visione ellenica: che sia al cosmo o a Dio
è sempre a qualcosa di altro che ci si conforma e assoggetta. Resta nondimeno
vero, per quella stessa prospettiva laica, che senza la tappa intermedia della
cultura cristiano-medioevale, imperniata sulla Soggettività Trascendentale,
non si sarebbe potuto compiere il passaggio dalla oggettività immanente degli
antichi alla immanente soggettività dei moderni.
Se poi volessimo cercare una verifica più analitica di questo assunto molto
generale non faticheremmo a constatare che buona parte dello strumentario
concettuale di cui si avvale la gnoseologia moderna le viene, neanche troppo
indirettamente, dalla elaborazione della scolastica.
3. Un altro tema, non solo trascurato ma sovente distorto, è quello relativo alla
scienza. Ci si sofferma infatti sugli ostacoli che gli ecclesiastici posero alla
rivoluzione scientifica, enfatizzando il processo a Galileo. E si dimentica
d'altro canto il fatto ben più fondamentale, che l'idea di una manipolazione
della natura, che è se non l'intenzione consapevole di ogni singolo scienziato,
almeno l'humus culturale entro cui storicamente si è potuta sviluppare la
scienza, è inscindibilmente connessa alla già accennata desacralizzazione del
cosmo naturale, la quale a sua volta è di indubbia origine biblicocristiana.
4. Non possiamo che limitarci a degli accenni, dato il carattere del presente
contributo, ma dobbiamo almeno brevemente ricordare che la vicenda
filosofica moderna presenta delle troppo evidenti e strutturali analogie con la
vicenda teologica a lei contemporanea perché si possa pensare a un casuale
parallelismo. Alludiamo ad esempio alla buona armonia tra razionalismo
filosofico con la sua tendenza ad espungere il mistero dallo scibile (e dal
reale), e il razionalismo teologico cattolico, animato da un simile benché
meno radicale orientamento: o, ancora, al felice accordo tra naturalismo
filosofico, con la sua idea di autonomia-autosuflìcienza della natura e delle
sue energie, e la teologia della " natura pura ", prevalsa nel cattolicesimo
moderno propensa a concepire l'ordine naturale come in sé compiuto.
Ora, se non è dubbio che il filosofìco abbia influito sul teologico, ci pare
almeno altrettanto verosimile ritenere che anche la teologia abbia influito sul
,corso della vicenda del pensiero "profano". E, ancora una volta, la teologia
moderna non può essere adeguatamente compresa se si prescinde
dall'intelligenza che del Cristianesimo ebbero gli autori medioevali.
-1 Il tema politico infine è stato a sua volta largamente determinato dalle idee
cristiano-medioevali. Anzitutto è indiscutibilmente di origine cristiana l'idea
di storia quale abbiamo noi oggi; né i greci né alcuna civiltà extraeuropea può
vantare una simile concezione (29). L'idea di un progresso storico poi non può
essere certo ritenuta secondaria nella filosofia e nella cultura postmedioevale,
e da Herder e Lessing in poi essa è intimamente connessa alla riflessione
politica, che appunto da tali pensatori si è sviluppata nel senso di una radicale
riprogettazione dell'umano convivere, idea che è nettamente innovativa
rispetto al pensiero greco. La stessa utopia platonica infatti rimane ancorata,
nonostante tutto, all'oggettività determinata dal finito, mentre i progetti
contemporanei sono animati da un anelito per così dire infinitistico, di globale
riplasmazione del reale da parte di una soggettività capace di autodeificarsi (ci
si passi il termine).
3. Conclusione
Quanto abbiamo detto è poco, da un punto di vista filologico, ma sufficiente,
pensiamo, a sollecitare una riflessione in ordine all'insegnamento della
filosofia, che riteniamo quanto mai opportuna.