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La Mostra delle opere di Morandi a Venezia e questa, un po' allargata, che si vedrà ora a

Bologna, propone inevitabilmente più che necessariamente un quesito. II significato della


Mostra potrebbe infatti vedersi solo in una doverosa, affettuosa commemorazione del
Maestro seomparso: rna si sente subito che questa significato, che di certo è presente,
restringe la portata della Mostra stessa. Proprio il fatto di riproporre l'opera di Morandi
nel suo lungo cammino -e gli intimi sanno come Morandi, da vivo, avesse sempre
osteggiato un simile proposito -determina la richiesta di interpretare l'evento di questa
Mostra nel tempo, il nostro, in cui si produce: è una Mostra retrospettiva 0 una mostra che
ancora appartiene al presente?
Non èè un quèsito ozioso. Rècèntèmèntè abbiamo visto i tèntativi di ancorarè la
grandèzza di Morandi al di qua 0 al di Ia dal tèrrèno proprio in cui insistè èd a cui
dèvè di èssèrè quèlla chè èè . n tèntativo, da un lato, di intèrprètarla
sociologicamèntè, è fin qui nulla di malè, purchè si tènga prèsèntè chè sèmprè pèr
l'opèra d'artè quèl chè pèr primo è onta è do chè la fa opèra d'artè, è doè la sua
struttura formalè. Ma Iè èffimèrè tèoriè post-bèllichè sull'artè impègnata sèmbro
anèora una volta chè impèriosamèntè rièhièdèssèro all'opèra d'artè, a qualsiasi
opèra d'artè, un divèrso impègno da quèllo pèr cui è opèra d'artè. Sèmbro quindi
nècèssario riscattarè Morandi dall'accusa, implidta, comè grèzza antitèsi all'artè
impgnata, di formalismo. Quasi che la forma fosse il formalismo. Ora queste effimere
teorie, che non erano se non la rispol­ veratura di un ricorrente e interessato errore, in 
quanta si vo­ glia utilizzare la forza d'estasi dell'opera d'arte come forza d'urto a 
diversi fini ­ che siano religiosi 0 politici ­ queste effimere teorie hanno gia fatto il
loro tempo; ed un curiosa effetto fa ora di vederle applicate a Morandi per 
ringiovanir­ 10 nella coscienza attuale. Si sa per certo che 10 stesso Moran­ di non 
gradl affatto codesta pia intenzione, ne quella di pre­ sentarlo come profeta 
dell'informale, sempre per distaccarlo dall'immutabile presente in cui Morandi si era 
collocato, e
attivarlo nell'arte dei giovani. Ahime, anche l'informale, per quello che strutturalmente
10 designava tale, anche l'informa­ Ie e passato: solo qualche grande artista resta, e 
proprio per una ragione analoga a quella che determino la posizione soli­ taria di 
Morandi, proprio, cioe, per la salda struttura formale che il suo apparente informale 
celava. Percio anche la glo­ ria apparente di avere anticipato l'informale non serve pill
a ringiovanire Morandi, e tanto menD ad attualizzarlo fra i giovani.
Questa breve schermaglia fatta senza alcuna animosita, perche si riconosce in quegli 
errori una meritoria intenzione di affettuoso zelo, vll01e far sentire l'inevitabilita del 
quesito a proposito di questa Mostra: eretrospettiva 0 ancora appar­ tiene al presente?
La mia risposta, e rischiosamente l'anticipo, e che non sia retrospettiva e non 
appartenga al presente. Ma occorre subito una prima rettifica riguardo al presente, che
qui si intende non come il presente che realizza qualsiasi opera d'arte pur­ che tale, 
ma il presente come traguardo effettivamente vissu­ to da chi pure realizza l'opera 
d'arte come etemo presente. Al mio momenta attuale appartiene quindi di godere il 
mani­ festarsi come presente immutabile dell'opera di Morandi, ma il presente che 
questa realizza non coincide con niente di quello che la coscienza attuale riconosce 
come la direzione di marcia 0 una delle direzioni di marcia del presente. Volere 
attualizzare l'opera di Morandi in questa senso ecome impli­ dtamente dichiararla 
fuori moda, surcIassata. Un bel risulta­ to non c'e che dire. Percio sono obbligato a 
chiarire il para­con cui mi sano espresso, a proposito della Mostra, che non sia 
retrospettiva e non appartenga al presente.
Per essere retrospettiva, infatti, bisognerebbe che questa Mostra si limitasse a 
restituire una certa aura di un certo tempo. E che l'arte di Morandi nasca ad un 
determinato tri­ vio, s'innesti quindi in una situazione, eindubbio. Si potrebbe allora 
denominare come retrospettiva almeno per il periodo di Morandi che va da11911 al 
1919, in cui I'incidenza del fu­ turismo, del cubismo e della pittura metafisica offre Ie 
coordi­ nate di cultura per leggerla in chiave del suo tempo. Ho det­ to, si potrebbe, 
ma sarebbe giusto? Non edetto, infatti, che per i1 fatto di restituire i termini di una 
dialettica storica in­ discutibilmente esatta, possa essere esatta un'interpretazione che 
solo a quei termini si attenga. Non voglio neanche affer­ mare che, futurismo cubismo 
e pittura metafisica ­ potrei aggiungere Cezanne, ma ad arte 10 tengo da una parte ­ 
rappresentino il sostrato; rappresentano assai pill del sostrato, ma anche meno; perche
il sostrato e qualcosa da cui non si puo prescindere, molto pill vicino alIa sostanza 
aristotelica che ad un sottofondo. Mentre per Morandi, futurismo, cubi­ smo e pittura 
metafisica rappresentano qualcosa che ad ogni momento, in quei memorabili dipinti, e
offerto e ritolto, af­ fermato e negato, ibridato e sterilizzato. Vado accumulando 
antitesi e per spiegare un paradosso 10 moltiplico. In realm basta una parola. Morandi,
infatti, andava formando, pazien­ temente e in modo implacabiIe, iI suo codice. 
Futurismo, cu­ bismo, pittura si scontrarono in Morandi come si 8COntrarono 
latino e antico tedesco per Ie orde barbariche che distrussero l'impero romano 
d'occidente. Morandi, ed aveva ragione, non si riconobbe mai in nessuna di queste 
direttrici fondamentali della cultura figurativa europea fra il 1910 e il 1918, Non vi si 
riconobbe, ma dentro di se Ie conobbe, come miracolosamente gli artisti veri sanno 
intuire una civiita da un frammento: e Morandi, per il cubismo, dalle scarse ripro­ 
duzioni dell'epoca. 11 futurismo, si dira, ed egiusto, 10 conob­ be da vicino, e cOsIla 
pittura metafisica. Ma come se Ii avesse conosciuti da lontano.
Abbiamo un esempio recente, fra mano, per caratterizzare la differenza che _passa fra 
quella che fu la situazione di Mo­ randi fra il1911 e il 1919 e l'adeguamento ad una 
situazione di cultura che si apprende e in cui studiosamente si cerca di inserirsi. AHa 
stessa Biennale di Venezia, in cui eapparsa Ia Mostra di Morandi, era stata affiancata,
con discutibile buon gusto e assoluta inopportunita, una Mostra del primo astratti­
smo italiano.
Questo trigesimo era appunto una retrospettiva: alcuni artisti, pochi, come Fontana, di
Ii hanno poi viaggiato per conto loro, rna gli onesti esercizi da fermo che venivano 
pre­ sentati, restituivano una situazione di cultura in ritardo: una periferia culturale. 
Per quanti agganci con i cubisti, e in spe­ cial modo col primo Derain, si possano 
trovare in Morandi, non sono mai agganci che determinino una periferia culturale. C'e
sempre qualcosa che non quadra con la civilta i cui ter­ mini in parte sono presenti. Se
ci si interroga suI perche di questa differenza, non varrebbe evadere dicendo che 
Morandi era un genio e i primi astrattisti italiani non 10 erano di certo, per quanto 
elastica possa essere la nozione romantica di ge­ nio. La differenza sta qui: che mentre
nei primi astrattisti ita­ liani il codice astrattista, un misto di Mondrian e di Klee, di 
Kandinsky e di Miro, cerca disperatamente di trapassare in struttura, in Morandi, fin 
dal principio, e deliberatamente, il prelievo riguarda il codice e non la struttura. La 
struttura che intende realizzare Morandi non ela struttura futurista ­ posto che il
futurismo Ia possedesse ­ non e quella cubista ­ che violentemente l'affermo ­ ne 
quella metafisica. Per disinnescare queste culture cOsI eversive, Morandi infatti usb un
reagente e tale reagente fu Cezanne. Per questo, poco fa,rho tenuto in disparte. 
Cezanne, per Morandi, si poteva cita­ re a diritto e a rovescio: non si sarebbe 
impennato mai. Men­ ee se doveva ammettere, da quel galantuomo che era, di ave­ re 
esposto alIa Mostra futurista della Galleria Sprovieri, si sa­ rebbe decisamente 
adontato a essere classificato, pure a quel tempo la, come futurista. E non era per 
snobismo intellettua­ Ie per cui si puo reclamare la patemita di Cezanne rna non 
ta'cognazione con Boccioni. Morandi sapeva che il suo ricorso a Cezanne non era 
stato del genere di quello a cui in seguito soggiacque Boccioni, che equivalesse a 
rinunciare in un colpo solo al codice e aHa vagheggiata struttura futurista. Per Mo­ 
randi, Cezanne era una lezione di struttura: e Cezanne in­ dubbiamente eun caso 
principe di una struttura che faticosa­ mente, tenacemente si inventa un codice. Quello
che invece Morandi cercava di estrarre da futuristi, cubisti 0 metafisici era un diverso 
codice per la struttura che inseguiva. Non che i cubisti non avessero realizzato una 
nuova struttura, rna evi­ dentemente quel che interessava Morandi non era tanto la 
struttura che avevano realizzato quanto i termini con cui l'avevano espressa. Quei 
termini nei quali, come per Ie lingue romanze si perdevano Ie declinazioni del latino, 
si era Iasciata cadere la verosimiglianza come paradigma fondamentale di fIessione. 
Morandi voleva una verosimiglianza inverosimile, una natura innaturale. Per questa 
da un lato parteggiava per i cubisti, futuristi e poi per i metafisici, daII'altro teneva a 
portata di mana la Santa Vittoria e Ie Bagnanti di Cezanne.
A guardare quel primo fatidico paesaggino del 1911, an­ cora si resta colpiti dalla sua 
pregnanza e dalla sua mancanza di codice. Quel paesaggino contiene infatti, come in 
embrio­ ne, tutte Ie componenti strutturali della pittura successiva di Morandi, rna 
pressoche inespresse, appunto perche Morandi non disponeva ancora qi un codice in 
cui esprimerle. C'e Ia risoIuzione dell'oggetto in masse semplici, Ia riduzione del co­ 
lore quasi al monocromo, il filtraggio d'una Iuce che si diffon­senza annullare la 
sorgente. Ritroveremo questi spunti ini­ ZI.ali via via nelle successive pitture dei vari 
periodi di Moran­ dI, espresse in differenti codici: rna nel paesaggio del 1911 il codice
non c'e. Ed e proprio quel che 10 rende cosl toccante
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per noi, vedere da quali basi incerte si movesse quello che do­ veva diventare uno dei 
pill grandi pittori del nostro secolo. Naturalmente, una ricerca di codice, non puo mai 
avveni­ re indipendentemente dalla struttura: rna dato che questa, in embrione, 
Morandi la possedeva gia, si capisce come si pro­ ducesse, dall'interno, la 
calamitazione verso il futurismo, il cubismo e la pittura metafisica. Ed ora si capira 
anche me­ glio perche neppure nei quadri pill boccioniani Morandi sia un futurista; e 
per il cubismo, i1 prelievo di un codice parzia­ le, che non implica integralmente la 
struttura, efin troppo evidente. Mentre il massimo avvicinamento si avra verso la 

pittura metafisica. In realta, Morandi, non eche volesse rico­ stituire Ia parvenza 
naturale dell'immagine dalle linee di for­ za dei futuristi 0 dalIe dissezioni dei cubisti: 
non alIa parven­ za naturale dell'immagine mirava, rna alIa sua struttura. Questa 
struttura, com'egli la sentiva, dissentiva e dalle ridu­ zioni futuriste e dalle 
scomposizioni cubiste, rna riduzioni e scomposizioni gli servivano a purgare l'oggetto
d'una natura­ lid illedta: illecita, bene inteso, in termini di pittura. Per
questa i prelievi futuristi e cubisti appartengono al codice che Morandi si andava 
fonnando per trarre alla luce, consolidare alla luce, la sua struttura.
Ma proprio per questa la sua pittura non va confusa con quella del Novecento, ne con 
i vari purismi cubisti da quelIo di Jeanneret­Le Corbusier a quello di Leger. Tanto 
nella pit­ tura del Novecento, anche nella migliore di Carra e di Sironi, quanta nel 
purismo cubista, l'operazione infatti è inversa: non si va dalla struttura all'oggetto, rna 
dall'oggetto alla struttura. Di qui il senso di ingombro che comunicano quegli oggetti 
grevi e fumosi, 0 passivamente meccanici. Mentre nella pittu­ ra metafisica veramente
la struttura forza l'oggetto a sperso­ nalizzarsi, a spaesarsi: ed eper questa che Ia 
massima colli­ mazione reciproca non avviene, per Morandi, con futurismo e 
cubismo, rna con Ia pittura metafisica.
Eppure non c'e completa identita di intenti fra De Chirico, Carra e Morandi. Nei 
manichini di Morandi, in quelle in-

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