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6a Tranquillitate PDF
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DE TRANQUILLITATE
ANIMI
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Seneca
Perbacco, Sereno, è già da tempo che mi chiedo - tra me e me - a cosa potrei paragonare un simi-
le stato d’animo, e non saprei accostarlo più opportunamente ad alcuna condizione se non a quel-
la di quanti, usciti da una malattia lunga e grave, di tanto in tanto sono colpiti da febbricole e da epi-
sodi di lieve malessere e, sfuggiti ormai alle ultime manifestazioni del male, tuttavia si fanno turba-
re da ipotetici sintomi e, anche se sono ormai guariti, tendono il polso ai medici e drammatizzano
ogni rialzo di temperatura. Il corpo di costoro, Sereno, non è poco sano, ma non si è ancora riabi-
tuato alla salute, così come anche il mare tranquillo, specie quando è appena uscito da una tem-
pesta, conserva un lieve tremolio. Non c’è dunque bisogno di quegli interventi troppo duri che ormai
ci siamo lasciati alle spalle, per cui, per esempio, a volte tu lotti con te stesso, altre volte ti inquieti
con te, altre ancora ti incalzi severamente, ma di ciò che viene alla fine, che tu abbia cioè fiducia in
te stesso e creda di procedere per la giusta via, non facendotene assolutamente distogliere dalle
orme incrociate dei molti che vagano in tutte le direzioni o di certi che sbandano proprio ai margini
della strada.
Quanto a ciò verso cui tendi, è qualcosa di grande, di eccelso, di vicino a dio, l’imperturbabilità.
Questa fermezza dell’animo i Greci la chiamano euthimia, sulla quale c’è quel volume egregio di
Democrito, io la chiamo tranquillità; perché non è necessario imitare e trascrivere letteralmente un
termine secondo la forma greca: la stessa cosa a cui si fa riferimento va indicata con una parola,
che deve avere l’efficacia espressiva, non l’aspetto esteriore della dizione greca. Dunque noi ci chie-
diamo in che modo l’animo possa seguire un percorso sempre uguale e felice ed essere in armonia
con se stesso e guardare con gioia a ciò che lo riguarda, non interrompendo questa felicità, ma
rimanendo in uno stato di benessere, senza mai esaltarsi o deprimersi: questo sarà la tranquillità.
In che modo si possa pervenire ad essa vediamolo in generale: tu prenderai della medicina quanto
vorrai. Frattanto bisogna esporre alla vista di tutti il male nella sua interezza, e in esso ciascuno
potrà riconoscere la propria parte; subito capirai quanto minor imbarazzo provi tu con il disprezzo di
te stesso, rispetto a coloro che, legati a una professione di immagine e affaticati dal peso del loro
alto prestigio, sono costretti a recitare una parte più per un punto d’onore che per convinzione. tutti
si trovano nella stessa condizione, sia coloro che sono tormentati dall’incostanza, dall’ansia e dal
continuo mutamento dei propositi, ai quali sempre piace di più ciò che hanno lasciato, sia quelli che
marciscono tra gli sbadigli.
aggiungi quelli che, non diversamente da chi ha il sonno difficile, si rigirano e assumono ora questa
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a me sembra, carissimo Sereno, che atenodoro si sia arreso troppo alle circostanze e si sia ritirato
troppo presto. E non voglio certo negare che a un certo punto ci si debba ritirare, ma a poco a poco
e con le insegne intatte, salvaguardando l’onore delle armi: sono più rispettati e più sicuri anche
presso i nemici coloro che si arrendono con le armi in pugno. Questo è ciò che penso sia il compi-
to della virtù e di chi la ama: se la sorte avrà il sopravvento e gli precluderà la possibilità di agire,
non volti subito le spalle né fugga disarmato cercando un rifugio, come se esistesse davvero un
luogo nel quale la sorte non possa raggiungerlo, ma si dedichi agli impegni pubblici con maggiore
moderazione e si scelga un’attività nella quale possa essere utile alla cittadinanza. Non può segui-
re la carriera militare? Si candidi a cariche pubbliche. Deve vivere da privato cittadino? Faccia l’o-
ratore. Gli è imposto il silenzio? aiuti i cittadini con la sua presenza silenziosa. Gli è pericoloso anche
l’ingresso nel foro? Nelle case, agli spettacoli, durante i banchetti si comporti da buon compagno,
da amico fidato, da convitato sobrio. Non può compiere i doveri del cittadino? Compia quelli del-
l’uomo. Per questo noi nella nostra grandezza d’animo non ci siamo voluti chiudere nelle mura di
una sola città, ma ci siamo messi in contatto con tutto il mondo e abbiamo proclamato il mondo
nostra patria, per poter offrire alla virtù un campo più vasto. ti è precluso il tribunale e sei tenuto lon-
tano dai rostri o dai comizi? Guarda dietro di te quante immense regioni si aprono e quanti popoli;
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Si potrebbe forse trovare una città più sfortunata di atene, quando era straziata dai trenta tiranni?
avevano ucciso milletrecento cittadini, tutti i migliori, e non per questo smettevano, ma anzi la loro
stessa ferocia si alimentava da sola. Nella città in cui si trovava l’areopago, il più sacro dei tribuna-
li, nella quale c’era un senato e un popolo dello stesso stampo del senato, si radunava ogni giorno
un tristo collegio di carnefici e l’infelice curia era stipata di tiranni: poteva forse vivere in pace que-
sta città in cui c’erano tanti tiranni quanti sgherri? Non si poteva offrire agli animi neanche un barlu-
me di speranza di riacquistare la libertà, né si prospettava alcun rimedio possibile contro mali così
violenti; da dove infatti avrebbe preso tanti armodii la povera città? Eppure, Socrate era lì in mezzo
a tutti e consolava i senatori affranti, esortava quanti disperavano dello stato, ai ricchi atterriti per le
loro ricchezze rimproverava il tardivo pentimento per un’avidità rivelatasi fatale e a quanti volesse-
ro imitarlo offriva pubblicamente un esempio grandioso, muovendosi liberamente fra i trenta domi-
natori. Eppure proprio atene uccise quest’uomo in carcere, e un governo libero non riuscì a sop-
portare la libertà di colui che aveva osato sfidare apertamente il branco dei tiranni: sappi, dunque,
che anche in uno stato oppresso il sapiente ha la possibilità di manifestare pubblicamente il suo
pensiero, mentre in uno fiorente e felice dominano il denaro, l’invidia e mille altri vizi che portano
all’inerzia. Dunque, a seconda di come si presenti la repubblica o di come ce lo consentirà la sorte,
dispiegheremo le nostre possibilità o le contrarremo, ma in ogni caso ci muoveremo e non ci intor-
pidiremo bloccati dalla paura.
anzi, sarà davvero un uomo colui che, tra i pericoli incombenti da ogni parte, in mezzo allo strepito
di armi e catene, rifiuterà di gettare la virtù contro gli scogli e di occultarla; nascondersi infatti non
vuol dire salvarsi.
Giustamente, secondo me, Curio Dentato diceva che preferiva essere morto anziché vivere da
morto: uscire dal numero dei vivi prima di morire è il male più grande. Ma, se ti troverai in tempi trop-
po difficili da un punto di vista politico, dovrai cercare di dedicare più spazio al riposo e alle lettere
e di ripararti ogni tanto in un porto non altrimenti che durante una navigazione pericolosa, non aspet-
tando che gli eventi ti abbandonino ma facendo in modo di essere tu a separarti da loro, per tua libe-
ra scelta.
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a tale scopo dovremo esaminare dapprima noi stessi, poi i compiti che vogliamo affrontare, infine
coloro per i quali o con i quali intendiamo farlo.
Bisogna prima di tutto valutare se stessi, perché di solito noi riteniamo di potere più di quello che
possiamo: uno cade in disgrazia per fiducia nella sua abilità oratoria, un altro ha preteso dal suo
patrimonio più di quanto potesse sostenere, un altro ha massacrato il suo debole corpo con un com-
pito gravoso. Il carattere timido di alcuni poco si addice alla politica, che richiede un atteggiamento
deciso; l’inflessibilità di altri non si adatta alla vita di corte; alcuni non sanno controllare la propria ira
e una qualsiasi occasione di indignazione li spinge a parole imprudenti; alcuni non sanno trattene-
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Nulla tuttavia delizierà tanto l’animo quanto un’amicizia fedele e sincera. Che bene prezioso è poter
disporre di cuori in cui ogni segreto scenda con sicurezza, che tu non debba temere per quel che
sanno più di quanto non debba temere da te stesso, le cui parole allevino il dolore, il cui parere favo-
risca una decisione, la cui allegria metta in fuga la tristezza, la cui sola vista dia piacere! E natural-
mente, per quanto sarà possibile, sceglieremo coloro che sono liberi da passioni; infatti i vizi stri-
sciano e si trasmettono al vicino e danneggiano mediante il contatto.
Dunque, come in un’epidemia occorre badare a non sedersi accanto a persone già contaminate e
in preda al male, perché ci tireremo addosso il pericolo e perfino il loro solo respiro ci contagerà,
così nella scelta degli amici faremo in modo di prenderli il meno corrotti possibile: è già un principio
di malattia mescolare sano e malato. Né ti consiglierò di seguire o frequentare nessuno che non sia
sapiente perché dove troverai costui che cerchiamo da tante generazioni? Chiama pure ottimo il
meno cattivo. Difficilmente avresti la possibilità di una scelta più felice, se tu cercassi i buoni tra i
Platoni e i Senofonti e quella generazione di discepoli di Socrate, o se tu avessi la possibilità di sce-
gliere nell’età catoniana, che pure produsse molti uomini degni di nascere nella generazione di
Catone (così come ne produsse molti peggiori di quelli mai nati in nessun’altra epoca e autori dei
più gravi crimini; infatti c’era bisogno degli uni e degli altri perché Catone potesse essere compre-
so: egli doveva avere i buoni per mostrare loro la sua natura, i cattivi coi quali dar prova della sua
forza d’animo): ora, però, in tanta penuria di buoni la scelta deve essere meno esigente. Si evitino,
comunque, soprattutto quelli che sono sempre tristi e si lamentano di tutto, per i quali ogni pretesto
è buono per lagnarsi. Per quanto leale e compiacente possa essere, è tuttavia nemico della tran-
quillità un amico sconvolto e che geme di tutto.
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Passiamo ai patrimoni, che sono il motivo principale delle preoccupazioni umane; infatti, se confronti
tutto ciò per cui ci affliggiamo, morti, malattie, timori, rimpianti, sofferenze e fatiche, con i mali che
ci procura il nostro denaro, questa parte della bilancia peserà molto di più.
Dunque, dobbiamo pensare quanto più lieve dolore sia non avere che perdere: e comprenderemo
che la povertà ha tanto minori tormenti quanto meno è esposta a danni. Sbagli, infatti, se ritieni che
i ricchi sopportino le perdite con maggior coraggio: il dolore di una ferita è uguale nei corpi grandi e
in quelli piccoli. Bione disse con una battuta di spirito che farsi strappare i capelli non è meno dolo-
roso per i calvi che per chi i capelli li ha. Puoi pensare la stessa cosa dei poveri e dei ricchi: soffro-
no del medesimo tormento; ad entrambi il loro denaro si è attaccato addosso e non può essergli
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E a noi piacerà questa misura, se precedentemente ci sarà piaciuta la sobrietà, senza la quale
non ci sono ricchezze che bastino e che abbiano sufficiente consistenza, tanto più che il rimedio
è a portata di mano e la povertà stessa, con l’aiuto della frugalità, può trasformarsi in ricchezza.
abituiamoci a rimuovere da noi lo sfarzo e a misurare l’utilità, non gli ornamenti delle cose. Il cibo
plachi la fame, le bevande la sete, il piacere si limiti a scorrere entro i confini necessari; imparia-
mo a reggerci sulle nostre gambe, e adeguiamo il nostro stile di vita e le abitudini alimentari non
alle nuove mode, ma a ciò che consigliano i costumi degli avi; impariamo a rafforzare la conti-
nenza, a limitare il lusso, a moderare la vanità, ad addolcire l’ira, a guardare la povertà con occhi
sereni, a coltivare la frugalità anche se molti se ne vergogneranno, ad apprestare per i desideri
naturali rimedi preparati con poco, a tenere, per così dire, in catene le speranze smodate e le
ambizioni dell’animo proiettato verso il futuro, a fare in modo di aspettarci la ricchezza da noi piut-
tosto che dalla fortuna.
l’imprevedibilità e la malvagità del caso non possono mai essere allontanate in modo tale da evi-
tare che molte tempeste si scarichino su chi dispiega in mare numerose vele. Bisogna ridurre i
nostri averi affinché gli strali della sorte cadano nel vuoto, e per questo talvolta gli esili e le cala-
mità si sono mutati in rimedi e con piccoli fastidi sono stati eliminati danni ben più gravi. Quando
l’animo ascolta poco i consigli né può essere curato in modo più dolce, non si provvede forse al
suo bene, facendo appello alla povertà e alla privazione degli onori e al rovescio di fortuna, oppo-
nendo male a male? abituiamoci dunque a poter cenare senza una folla e a servire un minor
numero di servi, a procurarci le vesti per lo scopo per cui sono state previste e ad abitare in uno
spazio più limitato. Non soltanto nelle corse e nelle gare del circo, ma proprio in questi spazi della
vita bisogna fare curve sempre più strette. Così anche la spesa per gli studi che è la più elevata
mantiene un senso finché conserva una misura. a che cosa serve un’infinità di libri e biblioteche,
se il loro proprietario riesce sì e no in tutta la sua vita a leggerne per intero i cataloghi? una massa
di libri opprime chi studia ed è meglio affidarsi a pochi autori che passare continuamente dall’u-
no all’altro.
Quarantamila libri presero fuoco ad alessandria. Qualcuno potrebbe lodare quel bellissimo monu-
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Ma tu hai avuto in sorte un tipo di vita difficile e gli eventi della tua esistenza pubblica o privata ti
hanno imposto a tua insaputa un laccio che non puoi sciogliere né rompere: pensa che gli schiavi
in ceppi in un primo tempo mal sopportano i pesi che bloccano loro le gambe; poi, quando decido-
no di non ribellarsi ma di sopportarli, la necessità insegna loro a sopportarli con coraggio, l’abitudi-
ne con facilità. In qualsiasi genere di vita troverai divertimenti, svaghi e piaceri, se vorrai conside-
rare lievi i mali anziché renderteli insopportabili. Il più bel dono che ci abbia fatto la natura, e per il
quale dobbiamo esserle più grati è che, sapendo a quali sofferenze siamo destinati fin dalla nasci-
ta, ha trovato come sollievo delle disgrazie l’abitudine, rendendoci così familiari le peggiori calamità.
Nessuno potrebbe resistere, se il persistere delle avversità avesse la stessa violenza del primo
colpo. tutti siamo legati alla fortuna: la catena degli uni è d’oro, lenta, quella di altri stretta e gros-
solana, ma che importa? la medesima prigione rinchiude tutti e sono legati anche quelli che hanno
legato, a meno che tu non ritenga più leggera una catena nella sinistra. uno è tenuto legato dalle
cariche politiche, un altro dal patrimonio; alcuni sono schiacciati dalla nobiltà, altri dalle umili origi-
ni; alcuni sono soggiogati dal potere altrui, altri dal proprio; alcuni sono confinati in un solo luogo dal-
l’esilio, altri dal sacerdozio: ogni vita è una schiavitù. occorre dunque adattarsi alla propria condi-
zione e lagnarsene il meno possibile imparando a trarre profitto dai vantaggi che questa porta con
sé: non c’è nulla di così spiacevole in cui un animo sereno non sappia trovare una possibilità di
conforto. Spesso spazi molto piccoli si sono potuti utilizzare in vario modo grazie all’abilità di chi li
ha disposti e una disposizione sapiente rende abitabile anche il più piccolo spazio. Di fronte alle dif-
ficoltà usa la ragione: le asperità possono attenuarsi, le strettoie allargarsi, le situazioni pesanti fare
minor pressione su chi ha imparato a sopportarle. Non dobbiamo orientare i nostri desideri verso
mete troppo lontane, ma consentire loro uno sbocco vicino, dal momento che non sopportano di
essere completamente bloccati. abbandonati gli obiettivi di impossibile o difficile realizzazione, per-
seguiamo scopi più alla nostra portata e che lusingano le nostre speranze, ma sapendo, però, che
tutte sono ugualmente inconsistenti, e che solo all’esterno hanno un aspetto diverso, mentre all’in-
terno sono egualmente vane.
E non invidiamo chi sta più in alto: quelle che sembravano vette si sono rivelate abissi. E anco-
ra: coloro che una sorte avversa ha posto in un’altezza più esposta a cadute saranno più sicuri
se toglieranno l’orgoglio alla loro condizione orgogliosa cercando di riportare la loro fortuna a livel-
li il più possibile modesti. Ci sono, è vero, molti per i quali è necessario restare all’altezza del loro
rango, dal quale non possono scendere se non cadendone. Ma riconoscano, allora, che il loro
peso più grande è che sono costretti a essere di peso ad altri, e che non sono stati messi su un
piedistallo ma vi sono stati inchiodati; con giustizia, bontà, gentilezza e una grande generosità si
preparino molte difese per i momenti meno favorevoli nella speranza di potersi aggrappare a que-
ste con maggior sicurezza. Nulla tuttavia ci potrà proteggere da tali inquietudini dell’animo quan-
to lo stabilire sempre un limite alle nostre ambizioni, non concedendo alla sorte l’arbitrio di farci
smettere, ma fermandoci noi stessi decisamente molto prima; in questo modo alcuni desideri sti-
moleranno sì il nostro animo, ma saranno limitati, e non lo trascineranno in interminabili e incer-
te avventure.
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la prima cosa a cui dobbiamo badare, dopo queste, sarà di non affaticarci intorno a oggetti vani o
invano, cioè a non desiderare cose che non possiamo ottenere, a non capire troppo tardi e dopo
molta fatica, una volta ottenuto quel che volevamo, la vanità dei nostri desideri; insomma, evitiamo
fatiche inutili che non portano a niente o risultati sproporzionati alla fatica fatta per raggiungerli; per-
ché quasi sempre, se manca il successo o se ci si vergogna del successo ottenuto, da ciò si gene-
ra un forte dispiacere. Bisogna limitare questo correre di qua e di là, come fa una gran parte degli
uomini che va girando per case, teatri e fori: mettono il naso negli affari altrui, come se avessero
sempre qualcosa da fare. Se chiederai a qualcuno di questi mentre esce di casa: “Dove vai? che
pensi?”, ti risponderà: “Non lo so, per Ercole; ma vedrò qualcuno, farò qualcosa”. Vanno errando
senza meta cercando qualcosa da fare e non fanno le cose che avevano deciso ma quelle in cui si
sono imbattuti; il loro correre è insensato e vano, quale quello delle formiche che si arrampicano
sugli alberi, che vanno su fino alla cima e poi di nuovo giù in basso senza costrutto: una vita simile
a questa conducono molte persone, per le quali, ben a ragione, si potrebbe parlare di inerzia irre-
quieta. alcuni li compatirai come se stessero correndo verso un incendio: fino a tal punto spingono
quelli che incontrano e travolgono sé e altri, mentre corrono o a salutare qualcuno che non ricam-
bierà il loro saluto o a seguire il funerale di uno sconosciuto o al processo di uno che passa da una
causa all’altra o alle nozze di un patito del matrimonio e, dopo aver seguito tante volte una lettiga,
in alcuni luoghi l’hanno anche portata; quindi, tornando a casa con la loro stanchezza inutile, giura-
no che non sanno loro stessi perché siano usciti e dove siano stati, già pronti, il giorno dopo, a rico-
minciare daccapo. Ma via, ogni fatica deve pur avere un senso e mirare a qualcosa! Non è l’attività
che li rende esagitati, ma piuttosto false immagini di cose; infatti nemmeno i pazzi si muovono senza
una speranza: li attira l’apparenza di qualcosa la cui inconsistenza, però, la mente, in preda al deli-
rio, non riesce a cogliere. lo stesso capita a costoro che escono senza scopo, solo per far nume-
ro, sospinti qua e là da futili motivi; anche se non hanno niente da fare, il sorgere del sole li caccia
fuori e, dopo che, calcate invano le soglie di molti, hanno salutato i segretari dei potenti, da molti
respinti, a casa hanno in se stessi i più difficili interlocutori. Da questo difetto deriva quel vizio brut-
tissimo, l’origliare e il ficcare il naso negli affari pubblici e privati cercando di captare molte cose che
non si raccontano né si ascoltano senza rischi.
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Io penso che Democrito avesse questo in mente quando esordì dicendo: “Chi vuol vivere tranquillo
non faccia molte cose né in privato né in pubblico”, riferendosi, chiaramente, alle cose superflue.
Infatti, se sono necessarie, bisogna farne non solo molte ma moltissime, siano esse private o pub-
bliche; ma se nessun impegno importante ci chiama, bisogna limitare l’agire. Infatti chi fa molte cose
spesso si mette in balìa della sorte, che è ottima regola sfidare il meno possibile, mentre per il resto
occorre sempre meditare su di essa e non contare mai sulla sua attendibilità: “Navigherò se non mi
capiterà qualcosa” e “Diventerò pretore, se non vi saranno ostacoli” e “Mi riuscirà l’affare, a meno
che non capiti un imprevisto”.
Per questo potremmo dire che all’uomo saggio nulla accade inaspettatamente: non lo abbiamo sot-
tratto alle vicende umane, ma agli errori, e le cose gli accadono non come le ha volute, ma come le
ha previste; e prima di tutto egli ha pensato che qualcosa potesse andare in maniera diversa dai
suoi propositi. È poi d’obbligo che il dolore di un desiderio deluso colpisca in forma attenuata l’ani-
mo cui non è stata comunque promessa la riuscita.
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Ma non giova a nulla aver allontanato le cause del dolore privato; perché ci prende talvolta l’odio
per il genere umano, a vedere quanti delitti restano impuniti.
Quando avrai pensato quanto sia rara la franchezza e quanto sconosciuta l’onestà e come la lealtà
non compaia se non quando conviene, e ci viene in mente la gran quantità di delitti fortunati e quan-
to siano ugualmente odiosi i guadagni e le perdite del vizio e l’ambizione sia ormai così incapace di
mantenersi nei suoi limiti da cercare lustro nella disonestà, allora l’animo è respinto nel buio e come
se fossero stati sradicati i valori, che non offrono più speranza né alcuna utilità, spuntano le tene-
bre. a questo dunque dobbiamo piegare il nostro spirito, a che tutti i vizi della gente ci appaiano non
odiosi ma ridicoli e ad imitare piuttosto Democrito che Eraclito. Questi, infatti, ogni volta che usciva
in pubblico piangeva, quello invece rideva, a questo tutto ciò che facciamo sembravano disgrazie,
a quello sciocchezze. occorre dunque saper sdrammatizzare ogni cosa e sopportarla a cuor leg-
gero: è più congeniale alla natura umana ridere della vita che piangerne. aggiungi che acquista
meriti maggiori presso gli uomini chi ride piuttosto che chi piange di loro: quello lascia intravedere
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Segue la considerazione che non senza motivo suole rattristare e mettere in ansia. laddove la sorte
dei buoni è cattiva, laddove Socrate viene costretto a morire in carcere, Rutilio a vivere in esilio,
Pompeo e Cicerone a offrire il collo ai loro clienti, e lo stesso Catone, ritratto vivente della virtù, a
gettarsi sulla spada per dichiarare pubblicamente la fine sua e quella della repubblica, è inevitabi-
le tormentarsi per il fatto che la sorte paghi così iniqui compensi; e allora che cosa potrebbe cia-
scuno sperare per sé, vedendo che i migliori subiscono il peggio? Che significa dunque? Guarda
come ciascuno di loro abbia sopportato e, se furono forti, rimpiangili con il loro stesso animo, se
morirono da femmine e da vigliacchi, con la loro morte non si è perduto nulla: o sono degni della
tua ammirazione per il loro valore, o sono indegni del tuo rimpianto per la loro viltà. Che cosa infat-
ti ci potrebbe essere di più vergognoso per gli uomini più grandi se, morendo da coraggiosi ren-
dessero gli altri vili?
lodiamo chi per tanti motivi è degno di lodi e diciamo: “tanto più sei forte, tanto più sei felice! Sei
sfuggito a ogni sorta di disgrazie, all’invidia, alla malattia; sei uscito di prigione; agli dei non sei sem-
brato degno di una cattiva sorte, ma anche indegno ormai di essere aggredito da lei”. Quanto a colo-
ro che cercano di sottrarsi e in punto di morte si voltano a guardare la vita, bisogna spingerli con la
forza. Non piangerò nessuno che sia lieto, nessuno che pianga: quello asciuga le mie lacrime, que-
sto con le sue lacrime si rende indegno di qualsiasi compianto.
Io dovrei piangere Ercole perché viene bruciato vivo, o Regolo perché è trafitto da tanti chiodi, o
Catone, perché strazia le sue ferite? tutti costoro col sacrificio di una piccola parte della loro esi-
stenza hanno trovato il modo di diventare eterni, e morendo sono giunti all’immortalità.
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altro motivo non futile di preoccupazione è l’ansia di darsi un contegno e non mostrarsi a nessuno
come si è: qual è la vita di molti, finta e basata sull’ostentazione; è un tormento, infatti, esercitare
un continuo controllo su di sé e spaventa l’essere scoperti in un atteggiamento diverso da quello
abituale. Né ci liberiamo mai dall’ansia, se pensiamo di essere giudicati ogni volta che qualcuno ci
guarda; poiché, intanto, possono accadere molte cose che ci scoprono anche se non lo vogliamo,
e poi, quand’anche andasse a buon fine questo esasperato controllo di noi stessi, non è poi così
felice e spensierata la vita di chi vive sempre sotto una maschera. Quanto piacere procura invece
una semplicità sincera e senza fronzoli, che non nasconde in alcun modo la propria indole! anche
questa vita, comunque, corre il pericolo di essere disprezzata, se tutto è mostrato a tutti; ci sono
alcuni che rifiutano tutto ciò a cui sono andati troppo vicino.
Comunque la virtù non corre il rischio di avvilirsi se è esposta agli occhi di tutti ed è meglio essere
disprezzati per un eccesso di sincerità che tormentati da una continua finzione. usiamo tuttavia in
questo una certa misura: c’è una bella differenza tra il vivere con semplicità e il vivere in modo tra-
sandato.
occorre anche sapersi ritirare a lungo in se stessi; infatti l’incontro con persone diverse disturba il
nostro equilibrio, risveglia le passioni ed esaspera ciò che nell’animo è ancora debole e non com-
pletamente guarito. Bisogna, tuttavia, alternare queste due situazioni, la solitudine e la compagnia: