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Affliction 20 20laurell 20K. 20hamilton PDF
Affliction 20 20laurell 20K. 20hamilton PDF
Per via del suo lavoro di Risvegliante, Anita Blake ha spesso a che fare con i
non-morti e sa benissimo che non sono affatto come gli zombie che si vedono al
cinema… almeno non lo sono mai stati. Dalla telefonata che riceve dalla madre
di Micah Callahan, sembra invece che in Colorado sia all'improvviso comparsa
un'orda di creature assetate di sangue, che trasformano tutti coloro che mordono
in mostri simili a loro. E il padre di Micah è una delle vittime. Determinata a
bloccare l'epidemia e a salvare Mr Callahan, la Sterminatrice si precipita sul
posto. Ma le bastano pochi giorni per rendersi conto che questi zombie sono
molto più pericolosi di quanto pensasse. Incredibilmente veloci e forti come
vampiri, non temono nulla, né il fuoco né la luce del giorno. Eppure Anita deve
trovare un modo per fermarli, prima che annientino le persone che ama…
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@EditriceNord
www.illibraio.it
Titolo originale
Affliction
ISBN 978-88-429-2771-6
E sotterranei del Circo dei Dannati; quando chiamai per chiedere se fosse
possibile prendere a prestito l’aviogetto privato, Jean-Claude era
abbastanza sveglio da rispondere personalmente. Non aveva la voce
assonnata perché durante il giorno non dormiva davvero, bensì moriva,
quindi il risveglio era brusco e istantaneo. È come se i vampiri abbiano un
interruttore: acceso, desto; spento, morto. Il corpo si raffredda, anche se non
quanto un vero cadavere, e non cambia colore, né inizia a marcire, proprio
perché non è davvero morto. Se si è davvero morti e umani, il corpo inizia a
putrefarsi non appena il cuore si ferma. Qualcosa di simile accade coi fiori del
giardino. Immergerli in acqua rallenta il processo tanto da farli rimanere belli a
lungo, però cominciano a morire nel momento in cui li si recide. È soltanto
un’attesa della fine inevitabile. In teoria, Jean-Claude avrebbe potuto conservare
inalterato il suo aspetto per cinque miliardi di anni, fino all’esplosione del sole
che inghiottirà il pianeta. Naturalmente io nella mia carriera di sterminatrice
legalmente autorizzata avevo ammazzato abbastanza vampiri per sapere che
perfino essere master di un territorio e capo del Consiglio dei Vampiri
Americani, recentemente costituito, non lo rendeva davvero immortale, ma solo
maledettamente potente. Questa era una delle ragioni per cui era sveglio mentre
il sole splendeva ancora nel cielo. Se non si fosse trovato nelle profondità del
sottosuolo, in un sotterraneo dagli ambienti lussuosi ricavato decenni prima da
un complesso naturale di grotte, sarebbe stato ancora immerso nel sonno della
morte.
«Percepisco la tua angoscia, ma petite. Che cos’è successo?»
Glielo riferii.
«Posso organizzare il viaggio per te e per Micah, però potrò seguirvi solo
dopo avere garantito al master di quel territorio che non abbiamo intenzione di
conquistare le sue terre.»
«Non avevo pensato che sarebbe stato necessario il lasciapassare dei vamp di
quel territorio per far visita al padre di Micah in ospedale…»
«Se voi foste semplicemente una coppia non sarebbe necessario, ma tu sei la
mia serva umana e appartieni al triumvirato di potere che formiamo insieme col
lupo che risponde al mio richiamo, cioè il nostro riluttante Richard. Se tu andassi
con Richard, anziché con Micah, l’arrivo di due componenti del triumvirato in
territorio altrui sarebbe sicuramente considerato un’aggressione a scopo di
conquista.»
«Vogliamo semplicemente che Micah si rechi al capezzale del padre prima
che sia troppo tardi, ecco tutto. Senza dubbio i vampiri locali potranno accertare
che lui è davvero ricoverato.»
«Non è mai così semplice passare da un territorio a un altro per i vampiri
master e per i capi dei gruppi di animali mannari. Tu e Micah siete Nimir-Ra e
Nimir-Raj, regina e re leopardo del nostro pardo. Vi sono altri leopardi mannari
nella città natale di Micah?»
«Non lo so.»
«È necessario che tu lo scopra», suggerì pacatamente Jean-Claude.
«Merda!» imprecai, con vero sentimento. «Questa faccenda mi farà incazzare
molto in fretta.»
«Il nuovo Consiglio dei Vampiri non può permettersi di sembrare composto
di tiranni o di prepotenti. Entrare in territorio altrui senza neppure preavvisare
sembrerebbe arrogante, come ci sentissimo padroni di tutto il Paese, sicuri di
poterci recare ovunque e di poter fare il comodo nostro. I master
s’innervosirebbero e i nostri nemici potrebbero approfittarne per scatenare una
ribellione.»
«Credevo che avessimo neutralizzato anche gli ultimi ribelli. Oppure tu sai
qualcosa che io ignoro?»
«Non ci sono ribelli nel nostro Paese, che io sappia, però so per certo che vi è
scontento, perché lo scontento non manca mai. Quale che sia la forma di
governo, non accade mai che l’intera popolazione sia felice. È nella natura degli
animali politici essere odiati.»
«Vuoi dire che ci odiano perché abbiamo costituito un Consiglio che li
protegge da tutti i vampiri pazzi, assassini e criminali?»
«Voglio dire che si sono sottomessi a noi per avere protezione, e adesso che
si sentono al sicuro cominciano a valutare il potere stesso che ci consente di
proteggerli, ne diffidano e persino lo temono.»
«Be’, non è magnifico tutto questo? Quindi io, Micah e Nathaniel non
possiamo andare a trovare suo padre!»
«Perché Nathaniel?»
«Sta con noi. Micah vuole che ci sia anche lui.»
«Ah! Credevo che volessi portare Nathaniel come leopardo che risponde al
tuo richiamo, e anche Damian, come vampiro del tuo triumvirato di potere.»
Un vampiro superpotente può formare una triplice struttura di potere col suo
servo umano e con l’animale mannaro che risponde al suo richiamo, o che
appartiene allo stesso gruppo animale di quest’ultimo. Io sono la prima umana a
essere stata capace di creare un triumvirato analogo. Secondo Jean-Claude essere
negromante e sua serva umana mi ha consentito di realizzare ciò che era
metapsichicamente impossibile, però a dire il vero non sapevamo come ci fossi
riuscita. Lo avevo fatto e basta.
«Non intendo portare Damian. Appartiene alla mia struttura di potere, però
non è nostro amante.»
«A volte è tuo amante.»
«Se mi facessi accompagnare da tutti i miei amanti occasionali, ci vorrebbe
un aereo più grande.»
Jean-Claude scoppiò in quella sua risata meravigliosa e palpabile che mi
eccitava e mi faceva rabbrividire come se mi accarezzasse. Col tono profondo
della sua risata mascolina, commentò: «Verissimo, ma petite».
Avevo il cuore in gola. Bastava la sua voce a mozzarmi il fiato. «Oddio,
Jean-Claude, smettila! Non riesco a pensare quando fai così.»
Lui rise ancora, e non fu affatto d’aiuto.
Capii che lo stava facendo apposta quando mi sentii prossima all’orgasmo.
«Non osare!»
Allora il suo potere si ritirò. Non era mai riuscito a provocarmi un orgasmo
completo soltanto con la voce al telefono, prima di diventare capo del Consiglio
dei Vampiri. Sapevo che tutti i vampiri master avevano dovuto giurargli fedeltà,
però avevo tardato a capire che questo aveva aumentato enormemente il suo
potere, e cosa potesse significare esattamente. Comunque non avevamo avuto
scelta. Se non fossimo stati noi a comandare, lo avrebbe fatto qualcun altro, e io
mi fidavo solo di noi.
«Mi dispiace, ma petite, ma questo nuovo livello di potere è inebriante. Ora
capisco perché gli altri master temono il capo del Consiglio. Diventare capo e
accettare il giuramento di fedeltà degli altri master implica assorbire un poco il
potere di tutti. Una quantità di potere immensa.»
«Stai dicendo che se tu non fossi migliore, al di sopra della corruzione del
potere, allora tanto potere ti corromperebbe?»
«Non sono sempre certo di essere migliore, ma sicuramente noi, insieme,
siamo migliori.»
«Non credo affatto che la mia influenza ingentilisca sempre, Jean-Claude.»
«Infatti, però grazie alle connessioni metapsichiche abbiamo la coscienza di
Richard, il senso dell’amicizia di Micah, la gentilezza di Nathaniel, la lealtà di
Cynric e i ricordi di Jade, che ci rammentano costantemente le terribili
sofferenze che il suo master le ha inflitto. Le persone che abbiamo raccolto e
legato a noi ci hanno resi più potenti, e al tempo stesso mi aiutano a ricordare
che non sono un mostro e che non voglio esserlo.»
«È possibile non essere mostri semplicemente decidendo di non esserlo?»
Jean-Claude mi conosceva abbastanza bene per sapere che non era
l’incombente condizione di mostro a preoccuparmi. «Tu non sei un mostro, ma
petite e, se entrambi siamo consapevoli di questa possibilità, allora credo che
potremo evitare di diventarlo.»
«Insomma, cosa bisogna fare perché sia permesso a Micah, a Nathaniel e a
me di recarci all’ospedale?»
«Stai dicendo che andrete soltanto voi tre?»
«Be’, noi e il pilota.»
«Devi essere scortata dalle guardie del corpo.»
«Se portassimo guardie del corpo, non sembrerebbe davvero un’invasione?»
«Può darsi, ma, se i nostri nemici scoprissero che la mia serva umana, il
leopardo che risponde al suo richiamo e il suo re delle bestie viaggiano soli e
senza scorta, temo che la tentazione di scoprire che cosa accadrebbe a noialtri se
voi tre moriste sarebbe troppo grande.»
«Se ammazzassero un certo numero di noi che formiamo la struttura di
potere, allora anche gli altri creperebbero… Sì, ricordo la teoria.»
«È più di una teoria. Hai visto tu stessa che Nathaniel e Damian hanno
rischiato di morire quando hai prosciugato la loro energia. E, quando io e
Richard siamo stati gravemente feriti, tu ne hai subito le conseguenze. Non ho
intenzione di scoprire se la teoria sia corretta anche a proposito di quello che
accadrebbe qualora tre di noi fossero feriti simultaneamente.»
«Sono d’accordo. Comunque le guardie del corpo dovranno essere ridotte al
minimo indispensabile. Incontreremo i genitori di Micah per la prima volta. Non
spaventiamoli troppo.»
«Confidi di essere in grado di proteggere te stessa e loro anche con poche
guardie del corpo?»
«Con le guardie giuste, sì.»
«Sei davvero molto sicura di te stessa, e questo un po’ mi spaventa, benché
sia ammirevole.»
«Perché ti spaventa?»
«Perché essere pericolosa, perfino letale e pronta a uccidere senza esitare,
non ti rende invulnerabile ai proiettili.»
«E neanche alle bombe. Non sono mica Superman! So di poter essere ferita, e
con me ci saranno Micah e Nathaniel. Se rimanessero feriti non so che cosa
farei.»
«E se rimanessi ferito io?»
Ecco, quell’uomo bello e meraviglioso poteva ancora sentirsi insicuro e
chiedersi se lo amassi davvero, o quanto lo amassi. Dato che ciascuno di noi
poteva percepire le emozioni degli altri, quando non alzavamo protezioni, era
interessante che talvolta tutti noi fossimo ancora insicuri. Nel caso di Jean-
Claude, che un tempo avevo considerato il seduttore supremo, era accattivante e
aumentava il mio amore per lui.
«Ti amo, Jean-Claude. Non so cosa farei senza di te nella mia vita, nel mio
letto, nel mio cuore.»
«Molto poetico da parte tua, ma petite.»
«Abbiamo frequentato Requiem troppo a lungo, presumo.»
«Una volta superata la crisi, dovremo decidere se dovrà tornare in
permanenza a Philadelphia.»
«E diventare per sempre il luogotenente di Evangeline…»
«Sì.»
«Sai, quand’ero piccola mio padre allevava beagle. Io non volevo mai
vendere nessun cucciolo, e quando sono diventata abbastanza grande mi sono
sempre preoccupata che i nuovi proprietari avessero cura di loro come ne
avevamo noi.»
«Non lo sapevo.»
«Be’, adesso noi non stiamo vendendo cuccioli. Stiamo cedendo
maledettamente molto di più. Sono la nostra gente, i nostri amanti, i nostri amici,
e noi li stiamo mandando via. Non mi preoccupo per quelli che sono diventati
master e che domineranno i territori conquistati, bensì per quelli che
diventeranno luogotenenti di altri master.»
«Ecco perché siamo scrupolosi nell’accertare che trovino sistemazioni adatte
e che siano trattati bene.»
«Requiem non ama Evangeline.»
«No, ama te.»
Sospirai. «Non era mia intenzione farlo innamorare di me…»
«E non era mia intenzione che tu sviluppassi l’ardeur e che diventassi un
succubo, ma ormai il danno è fatto. Siamo ciò che siamo, e ora tu sei
consapevole del potere che possiedi quando fai sesso per nutrire l’ardeur.»
«Requiem è un vampiro master e ha spezzato il vincolo involontario.»
«Credo che il suo amore sia spontaneo, dovuto a quello che sei tu e a quello
che è lui, non al vincolo metapsichico. L’amore rivela molto di più a proposito di
noi stessi che degli oggetti del nostro amore.»
«E questo che significa?»
«Significa che Requiem ha bisogno di amare qualcuno. È sempre stato
disperatamente romantico, e cosa c’è di più disperato che amare senza essere
corrisposti?»
«Lo dici come se avesse bisogno di terapia…»
«Non guasterebbe.»
Sospirai. «Credi che andrebbe in terapia?»
«Sì, se glielo ordinassimo.»
«Non funzionerebbe. La terapia è efficace se il paziente è disposto ad
affrontare i propri problemi e la dura verità, nonché a lottare per migliorarsi.
Occorrono coraggio e forza di volontà.»
«Il coraggio non gli manca, però non credo che voglia guarire dalla malattia
dell’amore.»
«Non posso farci niente se non provo per lui quello che lui prova per me.»
«Infatti, non puoi.»
«Torniamo al problema che dobbiamo risolvere…»
«Mi sembra di capire che ne hai abbastanza di questo argomento…»
«Sì.» A dire il vero, ne avevo più che abbastanza, ma… «Un problema per
volta, okay?»
«Come preferisci.»
«Non è mica quello che preferisco! Non so se in altre circostanze avrei mai
incontrato i genitori di Micah, ma di sicuro non volevo che accadesse in questo
modo.»
«No, certo che no. Comunque l’aereo è a tua disposizione. Non resta che
scegliere le guardie del corpo da cui sarai accompagnata.»
«Il minimo?»
«Sei.»
«Due per uno.»
«Oui.»
«Puoi occuparti dell’aereo mentre io scelgo le guardie?»
«Certo, e ti suggerisco di scegliere soprattutto tuoi amanti, perché dovrai
nutrire l’ardeur e Micah potrebbe essere meno interessato a queste cose adesso
che sta soffrendo.»
Annuii, poi mi resi conto che non poteva vedermi. «D’accordo.»
«In passato mi sono rammaricato di non poterti presentare i miei genitori,
dato che sono morti da lunghissimo tempo, ma in momenti come questo ricordo
che ci sono cose peggiori che averli persi in un remoto passato.»
«Sì, perderli nel presente fa parecchio schifo.»
Jean-Claude rise brevemente. «Ah, ma petite, sei sempre molto forbita!»
«Tanto perché tu lo sappia, in questo momento sto corrugando la fronte.»
«Ma non dici sul serio.»
Sorrisi. «No.»
«Je t’aime, ma petite.»
«Ti amo anch’io, master.»
«Lo dici sempre con derisione, di solito roteando gli occhi. Non lo dirai mai
sul serio.»
«Davvero lo vorresti?»
«No, voglio compagni veri, non schiavi, né servi. Ho capito perché ho scelto
te e Richard. Sapevo che avreste lottato per rimanere liberi e per restare voi
stessi.»
«Sapevi anche con quanta violenza ci saremmo battuti?»
Jean-Claude scoppiò a ridere, facendomi rabbrividire da capo a piedi, seduta
alla scrivania, con gli occhi chiusi.
«Smettila…» ansimai.
«Vuoi davvero che non lo faccia mai più?»
«No…» risposi, con un sospiro tremante. «Chiamo Fredo e gli chiedo chi mi
può assegnare e chi mi consiglia di scegliere.»
«Confido che tu e il nostro ratto mannaro sarete scrupolosi.»
«Grazie. Un tempo avresti insistito per essere tu stesso a scegliere.»
«Un tempo eri attratta dai deboli. Adesso non è più così.»
«Ricorda che a quell’epoca ero attratta da te…»
«Mi hai reso migliore, Anita Blake, e questo è vero per tutti gli altri uomini, e
donne, che fanno parte della tua vita.»
«No so che dire… Sento che dovrei scusarmi, o qualcosa del genere…»
«È nella natura di alcuni condottieri trarre il meglio da coloro che li
circondano.»
«Ehi! Il capo di questa piccola congrega metapsichica non sono mica io! Sei
tu! Ricordi?»
«Io sono il capo politico. In situazioni di emergenza molti nostri seguaci
sarebbero più inclini a obbedire ai tuoi ordini che ai miei.»
«Non è vero!»
«In un combattimento succederebbe così.»
«Okay, se si tratta di violenza, allora sì, in questo sono brava. Tu sei molto
meglio come politico e come organizzatore di ricevimenti e roba simile.»
«Anche tu sai cavartela in politica, in certe circostanze.»
«Soltanto pochi agenti dell’Arlecchino sono migliori di te nella scherma.» A
dire il vero, mi ero stupita non poco nello scoprire la sua bravura con la sua arma
preferita. Alla fine avevo appreso che nel lontano passato era stato un famoso
duellista, prima come umano, poi come giovane vampiro. Mi aveva spiegato che
la sua abilità di schermidore gli aveva consentito di sopravvivere, perché,
quando gli antichi master lo avevano sfidato, lui aveva scelto l’arma prediletta e
così aveva potuto eliminarli. Ne ero venuta a conoscenza solo quando lo avevo
visto esercitarsi nella nuova palestra con le guardie del corpo.
«Stai forse blandendo il mio ego?»
«Credo di sì…»
Jean-Claude rise di nuovo, questa volta semplicemente divertito. «Non ne ho
bisogno. Io sono re e tu oltre a essere la mia regina sei il mio generale, che guida
l’attacco in prima linea e sempre lo farà. Conosci i pregi e le debolezze delle
nostre guardie del corpo meglio di quanto li conosca io, perché ti addestri e ti
alleni con loro. Hai fatto vergognare me e alcuni dei vampiri più antichi
rivelandoci la necessità di esercitarci maggiormente.»
«La maggior parte dei vampiri non può aumentare la massa muscolare perché
il corpo rimane quello che era al momento della morte, per sempre immutato e
immutabile.»
«Eppure io posso, e anche i miei vampiri possono.»
«Uno dei vampiri ribelli ha detto che puoi farlo perché assorbi il loro potere.»
«Questo accresce il mio potere, oui. Tuttavia credo che dipenda
maggiormente dal fatto che i miei legami coi nostri animali mannari sono più
intimi. A differenza della maggior parte dei master più antichi, accetto il loro
caldo potere più in un rapporto tra eguali che in un rapporto tra padrone e
schiavo.»
«Sì, non tratti i licantropi come animali da compagnia o come cose di tua
proprietà.»
«È uno dei motivi di discordia con alcuni dei vampiri più antichi.»
«Sì, be’, dovranno rassegnarsi ad accettarlo senza lamentarsi. Gli animali
mannari accorrono in massa a unirsi a noi proprio perché riconosciamo loro
eguali diritti.»
«È impossibile rendere tutti felici, perciò alla fine rendiamo felici noi stessi e
facciamo quello che possiamo per gli altri. Non voglio schiavi nel mio regno.»
«Sono d’accordo.»
«Ora devo lasciarti per provvedere all’aereo.»
«Sì, certo.»
«Stai rimandando… Perché?»
Fui costretta a pensarci un po’ e alla fine risposi con sincerità, mentre un
tempo avrei preferito morire piuttosto che ammettere una cosa del genere. «Non
so se avrò la possibilità di parlare di nuovo con te, e sentirò la tua mancanza.»
«Questo mi rende più felice di quanto possa esprimere, amore mio. Mi hai
piacevolmente sorpreso.»
«Se non dovessi dirlo abbastanza, Jean-Claude, sappi che ti amo. Amo
pranzare e cenare con te, amo vedere come ti appassioni alle partite di football di
Cynric e vederti leggere storie a Matthew prima di dormire, quando lui alloggia
da noi, e amo le mille cose sorprendenti che fai, tutto ciò che sei, perché sei tu e
ti amo.»
«Finirai per farmi piangere…»
«Un amico sveglio mi ha detto che piangere fa bene. Talvolta si è così felici
che non ci si può trattenere.»
«Jason, Nathaniel o Micah?»
«Uno di loro.» Sorrisi.
«Sono davvero amici svegli. Ora dobbiamo andare a sbrigare i nostri compiti,
ma petite. Je t’aime. Au revoir.»
«Ti amo anch’io. A presto.» Interruppi la comunicazione prima di diventare
ancora più sciocca e romantica. D’altronde era valsa la pena provare un po’
d’imbarazzo pur di sentire la felicità nella sua voce.
Se avessimo abbassato le nostre difese metapsichiche avremmo potuto
condividere ogni respiro e ogni emozione, perfino alcuni pensieri, però è sempre
bello parlare e ascoltare. Nonostante la magia che pervade le nostre vite, è bello
sentirsi dichiarare amore sincero dalle persone amate. È una cosa che non passa
mai di moda. Visto che siamo creati a immagine e somiglianza di Dio, questo
deve essere un suo dono, quindi anche Dio deve avere bisogno di un po’
d’incoraggiamento, tipo un entusiastico grido mentale: Grazie, gran lavoro con
quel tramonto, e l’ornitorinco è stato un’idea strepitosa, divertentissima! Forse è
per questo che dobbiamo pregare, perché senza preghiere Dio si sentirebbe solo.
A volte avevo l’impressione che i miei amici wiccan avessero avuto una
notevole intuizione con la faccenda del Dio e della Dea. Se la gente funziona
meglio in coppia e innamorata, e se siamo creati a immagine di Dio, allora è
logico pensare che Dio abbia bisogno di una Dea. Da quand’ero diventata più
felice con la mia vita amorosa avevo iniziato a chiedermi se Dio non si sentisse
solo senza la sua Dea. Stavo forse frequentando troppi pagani?
Recitai una preghiera di gratitudine per la mia felicità e una per il papà di
Micah, poi lasciai che Dio tornasse a occuparsi della propria vita amorosa come
lui stesso riteneva più opportuno. Chiamai Fredo per scegliere le guardie,
scuotendo la testa alle mie bizzarre e romantiche fantasie religiose. Era così
tipicamente femminile chiedersi se Dio avesse bisogno di una Moglie! Era una
cosa superiore alle mie capacità. Invece scegliere tipi pericolosi per guardarci le
spalle era una cosa che capivo alla perfezione.
4
E ogni altra città vista dal cielo, con le luci simili a una distesa di stelle
elettriche sulla terra. Sbarcati dall’aereo trovammo ad attenderci due
SUV neri guidati da vampiri pressoché identici e un SUV bianco cui si
appoggiava una donna molto umana, minuta e delicata come Micah,
con capelli rossi e ricci che cadevano sulle spalle. Avevo trascorso così tanto
tempo a scrutare gli occhi e il viso di Micah che riconobbi da lontano la forma
dei suoi occhi anche senza riuscire a vederne il colore. Mentre la struttura ossea
della donna era molto simile a quella di Micah, i capelli rossi e le lentiggini
erano sorprendenti. Infatti avevo sempre immaginato che i suoi genitori fossero
castani come lui. Indossava polo azzurra, blue jeans e stivali da cowboy troppo
usati e consunti per essere una scelta dettata dalla moda. Staccandosi dal SUV,
sorrise.
Micah le andò incontro con un gran sorriso. «Juliet…»
«Mike…»
Si abbracciarono con trasporto, ma senza che i loro fianchi si toccassero,
come accade tra parenti. Durante il volo di quasi quattro ore avevamo saputo che
Juliet era figlia di zio Steve, come il cugino Richie, entrambi uccisi dal
licantropo che aveva trasformato Micah in leopardo mannaro. A quell’epoca i
due cugini erano stati entrambi diciottenni. Richie aveva terminato il corso di
addestramento ed era stato in procinto di entrare in servizio attivo nell’esercito,
mentre Micah aveva lasciato il college, che già frequentava, per una vacanza.
Erano tornati entrambi per un’ultima caccia al cervo coi loro padri. Avevano
abbattuto una cerva, poi erano stati aggrediti da una belva mannara. Il padre di
Micah non aveva partecipato alla caccia perché si era dovuto recare a indagare
su una morte sospetta.
Quando Nathaniel mi prese per mano, percepii la sua tensione e mi girai a
guardarlo. Era impassibile, ma nervoso. Repressi l’impulso di abbassare le difese
che c’impedivano di percepire senza mediazioni le reciproche emozioni, col
rischio di non riuscire più a distinguere quelle di ciascuno. Non era il momento
di sprofondare nei sentimenti di Micah. Aiutarlo ad affrontare la riunione di
famiglia era già abbastanza difficile così.
«Non devi essere nervoso», sussurrai a Nathaniel.
«Dimmi che nulla cambierà fra noi tre», sussurrò lui a sua volta.
«Nulla cambierà fra noi tre.» Così dicendo gli strinsi forte la mano. Non mi
fu possibile fare altro per confortarlo, perché il vampiro di un SUV si avvicinò.
Forse un tempo avrei detto che sembrava scivolare sull’asfalto, ma in realtà
non scivolava affatto, bensì camminava semplicemente, anzi, rozzamente in
confronto alla grazia con cui si muovevano Jean-Claude, Damian, Wicked e
Truth, o Requiem, o anche, diavolo, un sacco di altri vampiri di St. Louis! Aveva
corti capelli neri e, a parte la camicia bianca, era tutto vestito di nero, inclusa la
cravatta. Erano i colori tipici di Jean-Claude, però su quel vampiro non facevano
lo stesso effetto, forse perché il suo completo era di taglio meno raffinato; anzi,
era così ordinario che chiunque avrebbe potuto indossarlo, mentre Jean-Claude
vestiva esclusivamente in uno stile del tutto personale, unico. Sarebbe stato
adatto a recitare il ruolo di «vampiro qualsiasi» come comparsa in un film.
Benché fosse noioso rispetto ai succhiasangue cui ero abituata, era un inviato del
Master della Città, quindi mi fu possibile essere cortese e sorridergli come
sorrido ai clienti anche quando non ho nessuna voglia di farlo. In modo analogo
Nathaniel gli offrì il sorriso luminoso e affascinante che dedicava al pubblico
quando si esibiva e che si cancellava dalla faccia a spettacolo concluso.
«Ms Blake, suppongo», esordì il vampiro, con voce impersonale e
insignificante come il suo abbigliamento.
Mi sforzai di non ribattere: «Be’, di sicuro non sono il dottor Livingston», e
per fortuna ci riuscii. «Sì, e questi è Mr Graison.»
Il vampiro parve sorpreso. «Mi scusi, ma la nostra etichetta non m’impone di
salutare una pomme de sang o un animale che risponde al richiamo.»
È chiamata pomme de sang la persona cui un vampiro succhia sangue
regolarmente e che spesso è anche amante. All’inizio Nathaniel era stato per me
come una pomme de sang, però erano trascorsi ormai alcuni anni da allora, e
benché fosse anche il leopardo che rispondeva al mio richiamo…
«È il nostro terzo, quindi non è solo cibo o animale da compagnia.»
«Non conosco il termine ’terzo’, Ms Blake.»
«È il terzo della nostra coppia», spiegai.
«Siamo stati informati che la sua vita amorosa coinvolge molto più di tre
individui, Ms Blake.»
Non seppi bene come replicare. «Anche se non sono monogama, ciò non
implica che i miei amanti non siano importanti per me. Consideri Nathaniel e
Micah come miei sposi.»
Il vampiro accennò un inchino muovendo soltanto la testa. «Mi scuso. Non
avevo capito che avesse tanta considerazione per i suoi amanti, a eccezione del
suo master, naturalmente.»
«Sarebbe un errore valutare le mie priorità secondo la normale etichetta dei
vampiri.»
«Mi rendo conto di avere suscitato la sua collera.»
«È tutto okay, Anita», intervenne Nathaniel.
Scossi la testa. «No, non lo è affatto.»
«Comunque, lei si trova qui per motivi personali», dichiarò il vampiro.
«Lo sa benissimo.»
«Eppure è armata…»
«Sono sempre armata. È molto raro che io non lo sia.» Lasciai la mano di
Nathaniel per poter fronteggiare il vampiro, il quale mi aveva appena
comunicato che le mie armi nascoste non erano affatto tali al suo sguardo
vampirico. O forse aveva tirato a indovinare e io gli avevo confermato che aveva
visto giusto… Merda! Non avevo nessuna voglia di giocare a chi aveva le palle
più grosse mentre cercavo di aiutare gli uomini della mia vita. O forse ero stata
io a cominciare la gara? In tal caso, lo avevo fatto involontariamente.
«Qual è il suo nome?»
«Alfredo.»
«Grandioso! Okay, Alfie, allora.»
«Come sa che il mio master mi chiama Alfie?»
Avevo usato il diminutivo per spiazzarlo e per irritarlo. Meglio ancora se
avevo indovinato! Sorrisi, compiaciuta. «Senta, apprezzo che lei sia venuto
all’aeroporto a prenderci e apprezzo che Fredrico si comporti da vampiro master
civilizzato, però sinceramente sono qui per confortare il mio fidanzato e
conoscere la sua famiglia. Non voglio gareggiare a chi è più grande, grosso e
cattivo, e non ne sento neanche la necessità. Okay?»
Fissandomi, Alfie socchiuse gli occhi. «Io non ho…»
«Senta, la faccia finita, okay? Se la smette lei, la smetto anch’io. Lei hai
voluto mostrarmi di avere scoperto che sono armata e io le ho mostrato di
conoscere il suo diminutivo, però non ho il tempo né le energie per simili
giochetti, quindi vediamo di comportarci da gente normale. Grazie per essere
passato a prenderci. Non sapevo che sarebbe arrivata anche la cugina di Micah.»
«Gente normale?» Il vampiro rise, in modo breve, brusco e molto umano.
Doveva avere meno di cinquant’anni. Se avessi usato la mia negromanzia
avrei potuto stabilirlo con un’approssimazione di un anno o due, o cinque al
massimo, ma se avessi sfoggiato così le mie facoltà metapsichiche si sarebbe
potuto sentire insultato.
«La gente normale non ha guardie del corpo. La gente normale non è trattata
regalmente dal mio master», continuò. «Lei non può essere normale, Anita
Blake. Lei è la Sterminatrice, e adesso è anche la regina americana del nostro
nuovo re, Jean-Claude. È una negromante e non so che altro. L’elenco dei suoi
poteri e titoli è troppo lungo, e grazie alla sua richiesta di evitare le formalità non
sono costretto a sciorinarlo tutto. Ma di sicuro lei non è normale, Ms Blake!»
Sarebbe stato difficile controbattere, anche se avrei voluto farlo.
Comunque in quel momento arrivò Micah, che aveva lasciato Juliet al suo
SUV. «C’è qualche problema?» domandò a bassa voce, per non essere udito
dalla cugina.
«Nessun problema», assicurai.
Allora Alfie s’inchinò a Micah. «Mi dispiace conoscerla in queste tristi
circostanze, Mr Callahan. Il mio nome è Alfie e il mio master mi ha posto a
vostra disposizione per la sera.»
Mi parve interessante che un inchino fosse dovuto a me e a Micah, ma non a
Nathaniel, che, anzi, sarebbe stato del tutto ignorato senza la mia protesta. Per
quanto ci si sforzasse, la politica vampirica non si poteva evitare.
«Grazie, Alfie.» Micah si girò verso di me con uno sguardo che conoscevo
bene, cioè per chiedermi se ci fosse qualcosa che non andava.
Intanto percepii l’arrivo di alcune delle nostre guardie del corpo, e
l’espressione di Alfie nel guardare verso di loro mi confermò che si trattava dei
due più grandi, più grossi e più cattivi. La sua incapacità di celare la
preoccupazione m’indusse a sottrarre una decina di anni alla mia valutazione
della sua età di non morto. Insomma, non poteva essere vampiro da più di
trent’anni.
Poi arrivarono anche Bram e Ares, che spesso erano di turno insieme e
sembravano la faccia nera e la faccia bianca della stessa medaglia, entrambi alti
poco più di un metro e ottanta, snelli, allenati come tutte le guardie del corpo, ma
non molto grossi. Le loro caratteristiche erano la velocità e la forza, non la
massa. Erano ex militari e si vedeva, come sempre quando si è stati in servizio
abbastanza a lungo e il congedo è ancora relativamente recente. Benché
abbronzarsi gli fosse più facile che a tanti biondi da me conosciuti, Ares aveva
quasi perso l’abbronzatura da deserto. Bram non avrebbe potuto essere più nero,
anche se avevo appreso che gli afroamericani possono abbronzarsi e perfino
scottarsi… semplicemente, ci vuole più tempo. Bram si era mostrato
silenziosamente sdegnoso quando aveva scoperto che da mia madre, messicana,
ho ereditato soltanto i ricci neri e gli occhi scuri, non la carnagione. Sono pallida
come mio padre, biondo e di origine tedesca, quindi non mi abbronzo per un
accidente di niente. Bram continuava a tenere i capelli corti, taglio militare,
perché si lamentava che i ricci lo infastidivano se crescevano troppo. Ares aveva
i capelli biondo scuro e li teneva un po’ più lunghi, abbastanza perché una donna
potesse passarci le dita, diceva, ma soltanto sul cocuzzolo, quindi aveva il collo
scoperto.
«Come possiamo proteggervi se continuate a parlare coi cattivi in nostra
assenza?» sogghignò Ares.
«In primo luogo, non sono i cattivi, sono i nostri ospiti», replicai. «In
secondo luogo, non c’è nessun pericolo.»
«L’avevo detto.» Nicky si avvicinò a sua volta, così largo di spalle da
sembrare più basso di Bram e di Ares, benché non lo fosse affatto. Oltre alla
muscolatura possente, si notavano subito in lui i capelli gialli, corti, tranne un
lungo ciuffo triangolare che gli cadeva sulla guancia destra a nascondere l’orbita
vuota dell’occhio che aveva perso da ragazzo, prima di diventare leone mannaro.
L’unico occhio che gli restava era azzurro.
«Cos’avevi detto?» domandai.
«Che te la saresti cavata da sola contro chiunque, qui», intervenne Bram, con
voce limpida e vigorosa. A differenza di Ares, parlava poco, ma di solito sapeva
quello che diceva. Ares scherzava spesso, Bram quasi mai.
«Devo considerarmi insultato?» chiese Alfie.
«No», risposi.
«Sì», rispose Ares.
«No», rispose Micah.
Con un lieve sorriso, Alfie ci fissò a uno a uno. «Non so bene cosa mi
aspettassi da voi, Ms Blake e Mr Callahan, ma questo allegro cameratismo è
inatteso.»
«Gradevole, spero», replicò Micah.
«Sì, molto illuminante», dichiarò il vampiro.
«Illuminante?» chiesi. «Perché?»
«Diffonde luce su qualcosa. Mi è parso un aggettivo molto appropriato.»
Non mi fu possibile approfondire l’argomento perché la cugina di Micah
scelse proprio quel momento per avvicinarsi e domandare: «Chi viaggia con
me?»
«Juliet, ti presento Anita e Nathaniel.»
Per prevenire abbracci, porsi la mano. Non mi piace abbracciare gli
sconosciuti e so che in parecchie famiglie si usa abbracciare a tutto spiano.
Juliet aveva una mano piccola come la mia, ma più callosa, intonata agli
stivali da lavoro. Strinse la mano anche a Nathaniel e, quando lui le sorrise,
sorrise a sua volta, ma non con gli occhi azzurri, che la fronte corrugata rendeva
meno simili a quelli di Micah nella forma. «Zia Bea dice che sei la fidanzata di
Mike. È vero, o siete soltanto conviventi? Lo chiedo, perché, se è soltanto il
solito modo con cui zia Bea affronta il problema che le crea vivere nel peccato,
allora posso aiutarvi a schivare un po’ di chiacchiere sul matrimonio.»
La sua schiettezza mi piacque. «Non abbiamo nessuna intenzione di
sposarci», dissi, con un incrocio tra un sorriso e una risata. «Non posso
presentarmi semplicemente come la sua ragazza?»
«No, credimi. Ho convissuto con mio marito, prima che ci sposassimo, e
’fidanzata’ è la simpatica e speranzosa acrobazia verbale con cui la famiglia
allude a ’vivere nel peccato’.»
In silenzio, guardai Micah.
Lui lesse sul mio viso la domanda inespressa. «Alcuni miei parenti sono
religiosi…» Per un po’ si sforzò di trovare la definizione adatta, infine rinunciò.
«Sarà imbarazzante.»
«Imbarazzante?!» Juliet rise e scosse la testa. «Oh, cugino, quanto mi sei
mancato! Eri sempre quello che metteva pace, il maestro dell’eufemismo!
Dovresti poter tornare a casa per vedere tuo padre senza doverti preoccupare di
queste stronzate. Purtroppo invece non funziona mai così, lo sai. Mi dispiace.»
«Anche a me», annuì Micah.
Cominciai ad avere la brutta sensazione che Micah potesse avere avuto più di
un motivo per evitare di riallacciare i rapporti con la famiglia dopo la morte di
Chimera. Lui e Nathaniel si erano trasferiti da me nello stesso periodo. Eravamo
sempre stati tre, mai soltanto due.
«Se dirai che Anita è la tua fidanzata, i parenti faranno finta di niente, ma non
puoi presentarla insieme con lui come hai appena fatto con me. Sai che non
puoi.»
«Potrei», ribatté Micah, in tono pacato, eppure con eccessiva emozione.
«Micah deve poter rivedere suo padre senza doversi preoccupare di
nient’altro», intervenne Nathaniel. «Io posso essere presentato semplicemente
come un amico.»
«No.» Micah lo prese per mano e scosse la testa. «No, non puoi essere
soltanto un amico.»
«Oh, Cristo! Vuoi forzare la situazione?» commentò Juliet. «Non sei
cambiato! Sei sempre stato molto tranquillo, il figlio perfetto. C’era sempre
qualcosa in cui credevi e che rifiutavi ostinatamente di rinnegare, a dispetto di
tutto.» Juliet sospirò e scosse la testa, poi guardò Nathaniel. «Non c’è niente di
personale. Devi essere una persona meravigliosa se Micah nutre per te un
sentimento tanto profondo, ma io non voglio rimanere coinvolta nella tempesta
di merda che si scatenerà quando lui ti presenterà alla nostra famiglia come…
cosa?» Guardò Micah. «Come intendi presentarlo?»
«Come nostro compagno», rispose Micah, molto deciso.
«Sono felice che tu dica così, Micah», dichiarò Nathaniel. «Però, davvero,
sinceramente, non devi preoccuparti di null’altro che di tuo padre. Dopotutto, si
tratta soltanto di parole. Non voglio renderti le cose ancora più difficili.»
Stringendogli di nuovo la mano, Micah scosse la testa. «Non sono soltanto
parole, Nathaniel, oppure, se lo sono, allora sono importanti, perché hanno un
significato e una verità.» Si rivolse a Juliet senza lasciare la mano di Nathaniel.
«Anita sarà la mia fidanzata perché, se riuscissimo a trovare un modo per
sposarci come gruppo, lo faremmo. Dato che legalmente non è possibile,
’fidanzata’ e ’compagno’ andranno benissimo.»
«Dici sul serio?» Nathaniel lo fissò. «Se potessimo sposarci come gruppo, lo
faresti?»
Micah sostenne il suo sguardo. «Sì.»
Allora Nathaniel gli gettò le braccia al collo e si abbracciarono con fervore.
Non avevo bisogno di vedere la faccia di Nathaniel per sapere che stava
piangendo. Infatti stavo piangendo anch’io, cazzo! Andai ad abbracciarli tutti e
due, i miei due uomini.
Così la decisione fu presa, Micah non si sarebbe tirato indietro e non avrebbe
sminuito Nathaniel neppure per facilitare i rapporti con la famiglia. Se poteva
farlo lui, allora potevamo farlo anche noi.
8
uando Juliet guidò il SUV bianco nel parcheggio, Nicky la seguì come
icah mi aveva detto che suo padre era alto poco meno di un metro e
L’ uomo che varcò la soglia era sul metro e settantasette, capelli castano scuro
come quelli di Micah, evidentemente ricci nonostante il taglio militare,
grandi occhi grigio-azzurri che dominavano il viso, attirando subito l’attenzione,
labbra carnose come quelle del fratello e carnagione appena più scura. I suoi bei
lineamenti però non avevano nulla della delicatezza di quelli di Micah, del padre
o della cugina Juliet. «Mike… Sei qui, dunque», esordì, con voce più profonda
di quanto mi aspettassi.
«Ciao, Jerry», disse Micah.
«Beth era sicura che saresti arrivato. Io ero sicuro del contrario.»
«Lei è sempre stata la più fiduciosa della famiglia.»
«Immagino che tutte le sorelle minori siano così.»
I due fratelli si scrutarono in silenzio, come se io e Nathaniel fossimo sulla
luna.
«Non so se siano così tutte le sorelle minori. Comunque Beth è sempre stata
gentile», replicò infine Micah.
«Cuore tenero, vuoi dire.»
Micah scrollò le spalle. «Come preferisci.»
Non li esortai ad abbracciarsi, perché non avevo mai incontrato Jerry e non
sapevo nulla del loro rapporto o del loro passato.
«Perché sei tornato, Mike?»
«Per vedere papà.»
«Se non ne valeva la pena prima che… fosse ferito, allora perché diavolo te
ne importa qualcosa adesso?»
«Jerry…»
«Che cosa? Ti aspettavi di tornare come il figliol prodigo e che tutti ti
perdonassero e dimenticassero?»
«No, non mi aspettavo che tu mi perdonassi.»
«Invece sì. T’illudevi di avere un commovente momento strappalacrime, con
tutti che piangono e dicono cose carine, e tu sei perdonato prima che lui muoia.
Ecco perché sei tornato, per essere perdonato. Be’, anche se lui dovesse
riprendere conoscenza e perdonarti, ricorda che io non lo farò mai.»
«Lo ricorderò.» La voce di Micah era bassa e pacata, il viso assolutamente
impassibile.
«Non vuoi presentarmi ai tuoi amici?»
«Non credevo che volessi essere presentato.»
«Non odio loro, fratellone, odio soltanto te.»
Per un lungo momento Micah lo fissò. Poi, restando impassibile, ci presentò:
«Anita Blake, questi è mio fratello Jerry».
Feci l’unica cosa che mi venne in mente date le circostanze, cioè lo avvicinai
per offrirgli la mano, in modo che potesse ignorarla con assoluta scortesia,
oppure stringerla.
Per un attimo Jerry parve perplesso, poi me la strinse. Non sapeva come
stringere la mano a una donna, o forse era imbarazzato perché ero la ragazza di
Micah. Comunque fu poco meglio di un rifiuto.
«E lui è Nathaniel Graison», aggiunse Micah.
Quando Nathaniel m’imitò, Jerry strinse la mano anche a lui, più fermamente
che a me. Si stava forse riprendendo dalla sorpresa causata dalla nostra cortesia?
«Mi dispiace di non essere tornato prima.» Micah si avvicinò a noi, e dunque
al fratello.
«Cosa te lo ha impedito?»
«Credevo che mi odiassi e che quindi sarebbe stato inutile.»
«Be’, hai ragione, ti odio.» Jerry aveva gli occhi lucidi. «Hai detto cose
terribili a mamma e a papà.»
«So di non poterlo spiegare, tuttavia non avevo scelta», replicò Micah.
Ebbi l’impressione che Jerry non fosse l’unico ad avere gli occhi lustri, così
mi sforzai di non guardare Micah e di non muovermi, per non rovinare tutto.
«Papà è amico di un federale», riprese Jerry. «Dice di avere visto la
documentazione di quello che ci sarebbe successo se tu non avessi convinto un
licantropo cattivo che ci odiavi.»
Mi domandai come diavolo facessero i federali a saperlo e dove avessero
raccolto quelle informazioni. Comunque non era il momento adatto per
chiederlo, e inoltre Jerry di sicuro non lo sapeva. Desideravo conoscere l’agente
federale amico di suo padre, oppure lo temevo?
«Gli avevo visto fare cose terribili alle famiglie altrui. Non potevo rischiare.»
«Sei stato bravo a farci credere di odiarci. Mamma ha pianto per settimane.
Beth non ha creduto a nulla perché non aveva sentito; era convinta che tu avessi
mentito perché credevamo che essere diventato leopardo mannaro ti avesse reso
troppo pericoloso. Quindi per anni ha creduto che ti avessimo cacciato.»
«Se Beth fosse stata presente, forse non sarei riuscito a dire tutto quello che
era necessario dire.»
«So che non avresti potuto. Non avresti mai potuto guardarla in faccia ed
essere tanto… crudele. Eri il suo fratello preferito. Anche se andavi a cacciare
con papà, e lei odiava la caccia, ha sempre voluto più bene a te.»
«No, Jerry. Non voleva più bene a me. Mi voleva bene in modo diverso, ecco
tutto.»
«Bastardo bugiardo!» inveì Jerry, con voce rotta dal pianto, prima che le
lacrime iniziassero a scorrergli sulle guance. Con voce soffocata, aggiunse: «Ti
odio, bastardo bugiardo…»
«Lo so.»
Qualcosa nella sua voce m’indusse a guardare in viso Micah. Anche lui
piangeva, col viso tutto bagnato di lacrime.
Il primo a muoversi fu Jerry, e Micah non esitò ad andargli incontro.
D’improvviso si abbracciarono, aggrappandosi l’uno all’altro e piangendo.
Mentre Jerry continuava a ripetergli che era un bastardo bugiardo, Micah gli
disse: «Ti voglio bene anch’io».
14
i solito gli obitori non sono i miei posti preferiti, però l’alternativa era
Q delle due donne era stata arrestata. Zia Bertie e zio Jamie erano stati
scortati fuori. Zia Jody e zia Bobbie erano rimaste in ospedale col
branco di poliziotti che lo presidiava in attesa che Rush Callahan
potesse tornare a casa, o non potesse. I medici avevano iniziato la
procedura per farlo uscire dal coma farmacologico, tuttavia avanzavano con
estrema lentezza e prudenza per evitare che lo shock di un risveglio troppo
rapido gli fosse fatale, come aveva spiegato il dottor Rogers. Restava un’attesa
di circa due ore, che fummo invitati a trascorrere a casa di Bea e di Ty, vicino
all’ospedale e all’università dove entrambi insegnavano.
«Non voglio andarmene», protestò Micah.
Nathaniel gli si avvicinò e mormorò: «Tutti noi abbiamo bisogno di nutrirci».
«Non ho fame», replicò Micah.
«La tua bestia sì, come la mia, e Anita deve soddisfare diverse brame.»
Non sapevo come si sentisse Micah, però io mi sentivo stupida per non avere
ricordato che non eravamo semplicemente umani. L’assenza di nutrimento ha
sugli animali mannari conseguenze ben peggiori di un calo di zuccheri. Noi, e
tutti quelli che ci accompagnavano, esercitavamo un ferreo autocontrollo sulle
nostre «brame», ma anche tale autocontrollo aveva i suoi limiti.
«Stai subendo uno stress enorme, perciò ti è più difficile esercitare un
qualunque tipo di controllo», proseguì Nathaniel.
«Detesto lasciarlo subito dopo essere tornato», dichiarò Micah.
Lo presi per mano. «I medici ci avviseranno non appena inizierà a riprendere
conoscenza, e Nathaniel ha ragione. Non vuoi che la tua famiglia abbia un
incontro inatteso con la tua bestia, vero?»
«So controllarmi molto bene», insistette Micah, sulla difensiva, una cosa rara
da parte sua.
Nathaniel lo circondò con un solo braccio in modo che io potessi continuare a
tenerlo per mano. «Il tuo autocontrollo è prodigioso, mio Nimir-Raj, superiore a
quello di chiunque altro io abbia mai incontrato. Però nessuno è perfetto,
neppure tu. Non permettere al senso di colpa di ottenebrarti la mente, non
adesso. Proprio ora che ti sei riunito ai tuoi familiari, non spaventarli con una
metamorfosi a sorpresa.»
In quel momento si avvicinò Bea. «Beth è così ansiosa di rivederti!»
Non so se fu il buon senso di Nathaniel o il desiderio di rivedere la sorella,
comunque Micah cedette e lasciammo l’ospedale.
Dato che una parte del nostro bagaglio era ancora a bordo del suo SUV, ci
accompagnò la cugina Juliet, che dopo averci aiutati a scaricare sarebbe tornata
dai figli e dal marito. «Lascerò a tutti voi un po’ di tempo per rimanere soli»,
annunciò.
Seduto accanto a lei, sul sedile anteriore, Nicky si girò a guardare Micah, al
centro del sedile posteriore, tra Nathaniel e me. «Noi possiamo rimanere in
cucina o in soggiorno, se volete parlare in privato.»
«Grazie, Nicky», disse Micah. «Non so cosa voglio. Cinque anni fa mia
madre ha venduto la casa, e io non riesco ancora ad accettarlo», riferì, molto
triste. «Non ho mai visto l’abitazione dove stiamo andando.»
Gli strinsi la mano. «Mi sembrerebbe strano se mio padre avesse venduto la
casa dove sono cresciuta.»
Nathaniel appoggiò la propria testa a quella di Micah. «Non ricordo molto
della casa in cui ho vissuto fino all’età di sette anni. In seguito non ho mai più
avuto una casa… finché non ho incontrato voi.»
«Cosa ti è successo quando avevi sette anni?» chiese Juliet.
Nathaniel sollevò la testa. «Mia madre è morta di cancro e il mio patrigno ha
ammazzato di botte mio fratello», rispose, conciso e concreto. Nudi fatti senza
emozione, come io avevo raccontato quasi sempre la morte di mia madre,
avvenuta quando avevo otto anni.
«Mi dispiace moltissimo, Nathaniel. Non lo avrei chiesto se avessi
immaginato…» Juliet si girò a guardarlo con l’espressione tipica delle persone
molto socievoli quando una semplice domanda riceve una risposta tragica.
«Non ti preoccupare. Non potevi saperlo.»
«Una vettura», avvertì Nicky.
«Sta imboccando la strada davanti a noi», annunciai, col battito cardiaco
accelerato.
«Cosa?» Juliet si girò appena in tempo per evitare un’automobile che si era
appena immessa nel traffico e riprese subito il controllo del SUV. «Scusate!»
«Non girarti più a guardare noi», ammonii. «Guida e basta, okay?»
«È soltanto che…» Juliet stringeva spasmodicamente il volante. «È una cosa
così triste…»
«Ci sono un sacco di cose tristi, qui», ribattei.
«A che ti riferisci?» Questa volta Juliet guardò nello specchietto retrovisore.
Sospirai. Avevo cominciato io, cazzo! «Ho perso mia madre quando avevo
otto anni.»
Aspettai il contributo di Nicky, che invece rimase silenzioso, con lo sguardo
fisso innanzi, a scrutare ostentatamente la strada buia. Il suo passato non era
meno tragico di quello di Nathaniel, però spettava a lui decidere se raccontarlo o
no. Non volevo certo costringerlo.
«Mi dispiace. Non riesco a immaginare come mi sarei sentita se avessi perso
mia madre quand’ero così piccola», disse Juliet.
Intanto Micah mi passò un braccio intorno alle spalle e si posò una mano di
Nathaniel sulla coscia, in modo che tutti e due ci stringessimo a lui.
Stavamo attraversando un quartiere di vecchi fabbricati modesti, alcuni simili
a case di campagna con grandi giardini, altri con giardini più piccoli perché
erano addossati ai versanti rocciosi delle montagne, invisibili nell’oscurità.
«Mi sembra così strano essere diretto a casa di mia madre in un quartiere che
non ho mai visto», confessò Micah.
«Lo credo», disse Juliet, svoltando in una strada senza uscita tra grandi case.
«È colpa mia se non sono rimasto in contatto», aggiunse Micah.
Io e Nathaniel ci stringemmo ancora di più a lui.
«Hai fatto quello che dovevi», commentai.
«Li hai protetti tutti da quel pazzo», aggiunse Nicky.
Micah sorrise. «Grazie.»
Forse, nel parcheggiare in un vialetto, Juliet si chiese a quale pazzo Nicky si
riferisse, ma la porta della casa si aprì e la madre di Micah si stagliò nella luce
della porta come in un vecchio film d’amore. Percepii la tensione di Micah, che
non era negativa.
Nel momento in cui Nathaniel si accingeva ad aprire la portiera, Nicky
intervenne: «Aspetta. Lascia che gli altri prendano posizione».
«Nessuno vi sta tendendo un’imboscata a casa di zia Bea», dichiarò Juliet.
«Probabilmente no», concesse Nicky. «Tuttavia essere prudenti non guasta.»
«Le guardie del corpo devono essere paranoiche», spiegai. «Le paghiamo
proprio per questo.»
«Non ho creduto davvero che ne aveste bisogno fino a quando non ho visto il
comportamento di Bertie e di Jamie. È stato spaventoso da parte loro.»
Nicky si sganciò la cintura di sicurezza. «Nessuno smonta se non ha la
portiera protetta.»
«Anch’io?» chiese Juliet.
«No, tu non sei nostra responsabilità.»
«Ne sono felice.» Juliet allungò una mano verso la portiera.
Nicky le toccò una spalla. «Aspetta.»
«Hai detto che posso smontare…»
«Ho detto che non devi aspettare di essere protetta. Però non voglio che tu
apra la portiera adesso.»
«Perché?»
«Illumineresti l’abitacolo, trasformando ognuno di noi in un bersaglio.»
Allora Juliet curvò le spalle e si ebbe quasi l’impressione di sentirla guardare
il mondo da una prospettiva diversa, più spaventosa e più pericolosa. Poi, nel
SUV buio, si girò verso Micah. «Devi sempre vivere così?»
«È una precauzione.»
«Per questo non volevi tornare a casa? Temevi di mettere in pericolo tutti
noi?»
«In parte, sì. Adesso però ho abbastanza aiuto e protezione per indurre i
cattivi a esitare. Vedendo Nicky e gli altri, sapranno che non siamo indifesi e che
se nuocessero alla mia famiglia vi sarebbero ripercussioni», spiegò Micah, calmo
e ragionevole. Mi piaceva quel suo modo di fare, saperlo tanto spietatamente
pratico quanto lo ero io.
Juliet cominciò: «Intendi dire…»
Nello stesso istante, Devil fu alla mia portiera e Ares a quella di Nathaniel.
Nel percepire la presenza di Bram in coda al SUV ricordai che talvolta la
vicinanza fisica di Micah mi consentiva di percepire i leopardi mannari del
nostro gruppo. Non appena le guardie aprirono le portiere, smontammo e
c’incamminammo verso la porta aperta, mentre Bea scendeva i gradini per
venirci incontro. Dopo avere assistito alla rissa in ospedale non mi sorprese
scoprire che era impaziente. È raro che le persone irascibili e aggressive siano
pazienti! Io dovrei saperlo.
Entrammo nella casa circondati dalle guardie del corpo. Con Ares al fianco,
Micah andò incontro alla madre che lo chiamava con un gesto. Io e Nathaniel ci
tenemmo per mano, affiancati da Devil e da Nicky. Scrutando l’oscurità esterna,
Bram ci seguiva. Probabilmente non era il bentornato che Micah avrebbe voluto,
però non sarebbe stato tanto male se fossimo riusciti a compiere un miracolo per
suo padre.
18
A pranzo, con la cucina isolata da una mezza parete e sgabelli da bar sui
due lati, quando dalla porta spalancata di un lungo corridoio arrivò una
giovane donna dai ricci capelli castano-ramati che le cadevano sulle
spalle. Era alta circa un metro e sessanta, snella e delicata, tranne per il
seno, analogo nelle dimensioni agli attributi più virili di Micah. Sembrava che la
natura avesse voluto compensare in quel modo la delicatezza che li
caratterizzava entrambi. Se non altro, Micah poteva nascondere più facilmente
sotto i vestiti le parti più voluminose. Invece Beth, perché quella di certo era
Beth, aveva molta più difficoltà a nascondere le proprie. Attraversò la sala già in
lacrime, si lasciò cadere addosso a Micah, che le era andato subito incontro, gli
gettò le braccia al collo, e iniziò a singhiozzare, mentre lui la stringeva a sé,
accarezzandole la schiena per cercare di confortarla.
«Sapevo che saresti arrivato! Anche se Jerry diceva di no, io lo sapevo!»
«Bethy!» chiamò una voce esile. «Tutto bene?»
Sciogliendosi dall’abbraccio, Beth si stropicciò gli occhi per nascondere le
lacrime e si girò verso il corridoio.
Nello stesso istante entrò nella sala un bambino col viso dalla carnagione
perfetta incorniciato di ricci capelli dorati e con gli occhi grandi, dello stesso
taglio di quelli di sua madre e di Jerry.
«Sto benissimo, Fen. Sono soltanto contenta che il mio fratellone sia tornato
a casa!» rispose Beth, un po’ ridendo, ancora tergendosi le lacrime dagli occhi.
«Ma tu non piangi mai quando sei contenta, Bethy.» Il bambino la chiamava
così, con una specie di ibrido tra «Beth» e «Betty», come se fosse incapace di
pronunciare correttamente i nomi. Era in pigiama, come una versione moderna
di Christopher Robin, ma senza Winnie Pooh, perché l’animale di peluche che si
tirava dietro non era un orso, qualunque cosa fosse.
Allora Beth lo prese in braccio, se lo caricò su un fianco e lo portò da noi.
«Fen, lui è Mike, mio fratello maggiore. Ricordi che ti ho parlato di lui?»
Il ragazzino guardò solennemente Micah. «Sei anche mio fratello maggiore?»
Prima che Micah potesse rispondere provenne dal corridoio lo strillo acuto di
una bambina, che subito dopo arrivò di corsa, attirando gli sguardi di tutti noi.
Era in camicia da notte e sembrava una principessa disneyana, con una treccia di
capelli oro cupo, lunga e ondeggiante. Strillava, inseguita da un ragazzino più
grande dai corti capelli castani, che gridava: «Ti ammazzo!»
«Hawthorne!» rimproverò Bea.
Hawthorne? Ah, sì, certo! Il secondo marito di Bea era professore di
letteratura. Povero ragazzino!
Mentre la bambina si gettava nelle braccia della madre, Ty intervenne:
«Hawthorne, non è così che ci si parla in questa casa!»
«Ha rovesciato tutta la Kool-Aid sul mio zaino!»
«Non è vero!» protestò la bambina, aggrappata al collo di Bea, con la faccia
affondata nei suoi capelli.
«Bugiarda! Ti ho vista! Se non avessi dovuto salvare il compito, ti avrei presa
prima che ti nascondessi dietro la mamma!» Hawthorne era arrossito di quel
tipico furore che si riserva ai fratelli e alle sorelle. Sembrava avere una leggera
abbronzatura permanente e aveva un taglio di capelli cortissimo, da ragazzo
degli anni ’50. Dimostrava undici o dodici anni. I suoi luminosi occhi azzurri
scintillavano di collera. Era davvero incazzato. Mi chiesi se fosse irascibile di
natura o se dipendesse da quello che stava succedendo in ospedale. Poi ricordai
che suo padre non era Rush, bensì Ty, che era lì in perfetta salute.
«Va tutto bene, Frost.» Bea accarezzava la lunga treccia dorata della
bambina. «Davvero hai rovesciato la Kool-Aid sullo zaino di Hawthorne? Devi
dire solo la verità. Nessuno si arrabbierà.»
Quando Frost sollevò la testa per girarsi a guardare il fratello, noi tutti
vedemmo soltanto la sua nuca. «Hawthorne è arrabbiato, adesso…»
Mi sembrava che avesse ragione.
«Sai che non è permesso mangiare e bere in camera da letto», osservò Bea.
«Mi dispiace, mammina…» Frost chinò la testa. «L’ho dimenticato…»
«Scusati con Hawthorne.»
Sottovoce, Frost si scusò.
«Tutto qui?» chiese Hawthorne. «Rovescia uno schifo di merda sul mio zaino
di scuola, sui miei compiti, e se la cava chiedendo scusa?»
«Non esprimerti in modo volgare», rimbrottò automaticamente Ty. «Frost ti
aiuterà a pulire lo zaino, poi penseremo a qualcos’altro di più adatto per
ricordarle che non le è permesso portare cibo in camera da letto.»
Hawthorne roteò gli occhi, poi ci scrutò come se fossimo appena sbucati dal
nulla. Anche se la rabbia acceca, sette estranei in soggiorno non dovrebbero
passare inosservati. Dopo un alternarsi di emozioni il suo viso si fissò in
un’arrogante aria di sfida, ma il suo sguardo era prudente, quasi nervoso. Ci
squadrò da capo a piedi valutando rapidamente le capacità fisiche di ciascuno,
perciò decisi che doveva avere almeno dodici anni e che doveva praticare
qualche sport. In breve giunse alla conclusione di essere in presenza di parecchi
altri maschi capaci di prenderlo a calci in culo.
«Quale sport pratichi?» domandai.
Sconcertato, Hawthorne distolse l’attenzione dalle guardie del corpo che
torreggiavano alle nostre spalle. «Football e ju-jitsu.»
Annuii. «Immaginavo che praticassi qualche arte marziale.»
«Perché?» domandò, socchiudendo gli occhi azzurri.
«Per come hai osservato e valutato gli uomini.»
Allora Hawthorne mi scrutò, e non mi vide come una donna o come
un’adulta, bensì come una persona. Era alto quasi esattamente come me. «Tu
quale arte marziale pratichi?»
«Ho cominciato col judo e adesso pratico arti marziali miste.»
«Davvero pratichi MMA?» chiese Hawthorne, senza riuscire a dissimulare il
tono sospettoso.
Annuii. «Sì.»
Lui guardò di nuovo le guardie del corpo. «E loro?»
«Stessa cosa.»
«Lei si addestra con noi», aggiunse Ares.
Di nuovo, Hawthorne parve insospettito. «Davvero?»
«Davvero!» rispondemmo in coro io, Nicky e Devil.
Il ragazzino guardò Micah. «Tu sei Mike, vero?»
«Sì.»
Dopo averlo scrutato in viso, Hawthorne annuì. «Somigli a Beth.»
«Lo so.»
«Anche tu ti addestri con loro?»
«No.»
«Perché?»
«Perché il mio lavoro non dipende dalle mie capacità di combattente.»
Hawthorne si rivolse a me. «Qual è il tuo lavoro?»
Scostai la giacca a rivelare il distintivo che portavo alla cintura.
«Marshal federale… Sei qui per aiutare a catturare chi ha ferito Rush?»
«Sono qui con Micah, con Mike. Sono la sua fidanzata. Però… Sì, dato che
sono qui, vorrei aiutare.»
Hawthorne guardò Nathaniel. «Tu chi sei?»
«Hawthorne!» rimproverò Bea, come se fosse stato scortese.
«Che c’è?»
«Sono Nathaniel», rispose lui, porgendo la mano al ragazzino.
Evidentemente sorpreso, Hawthorne la prese e scambiò con lui una stretta di
mano. «Ti addestri con loro?»
«No.»
«Perché?»
«Per la stessa ragione di Micah.»
Hawthorne lo squadrò da capo a piedi come per cercare di capire cosa o chi
fosse per tutti gli altri. «Non sembrano tutti marshal…»
«Hawthorne, perché non accompagni Frost e Fen a pulire il tuo zaino?»
intervenne Ty.
«Fen ha quattro anni.» Hawthorne fissò cupamente il padre. «Come può
aiutarci?»
«Sì che posso!» Fen rizzò la schiena, sempre in braccio a Beth.
Con un sospiro esagerato, Hawthorne roteò di nuovo gli occhi. «Benissimo,
porto con me i piccoli! Però so che volete soltanto che smetta di fare domande e
discorsi da adulti.» Si mostrò preoccupato, e lo era davvero. «È successo
qualcos’altro a Rush?» D’improvviso il quasi adolescente lasciò trapelare il
fanciullino.
«No, non è successo nient’altro», rispose Ty.
«Lo giuri?»
«Lo giuro.»
Dopo avere annuito, Hawthorne ci lanciò un’altra occhiata preoccupata e
indagatrice, infine porse le mani al fratellino e alla sorellina. «Andiamo, teppisti.
Io dirigo e voi pulite.»
Allora Bea posò Frost, che si girò a guardarci con le mani sui fianchi in segno
di sfida. Aveva occhi piccoli, quasi a mandorla, di un castano molto scuro. A
parte il colore dei capelli, sembrava un clone di Beth. Mi sembrò di guardare
quella che avrebbe potuto essere la figlia di Micah. «Non sono una teppista!»
protestò, picchiando un piede sul pavimento.
«Sì, invece», insistette Hawthorne. «Lo siete, tutti e due.»
«No, non lo siamo!»
«Vai con tuo fratello a pulire lo zaino», ordinò Ty.
Nell’osservare i suoi luminosi occhi azzurri e quelli grigio-azzurri di Bea, mi
chiesi come fosse possibile che avessero avuto figli con gli occhi castani. Gli
occhi castano-dorati di Fen non mi sembravano tanto incongrui, ma Frost aveva
gli occhi di Micah e di Bea in un viso che non aveva nulla di quello della madre
e neppure di quello del suo secondo marito. Cosa diavolo stava succedendo?
«Li accompagno per assicurarmi che non si ammazzino a vicenda», annunciò
Bea, lanciando a Micah un’occhiata che mi parve affettuosa e compassionevole.
«Sono felice che tu sia tornato a casa», aggiunse, prima di prendere in braccio
Fen e seguire Hawthorne e Frost.
Con le braccia intorno al collo della madre, Fen girò la testa a ripetere la
domanda: «Sei anche mio fratello maggiore?»
Nel rispondere al bambino, Micah guardò la madre. «Sì, credo di sì.»
Con aria colpevole, Bea Morgan prese la mano del marito.
19
mpugnai l’AR appeso alla tracolla tattica continuando a correre, con gli
rascinammo via la ranger Becker dal mucchio di zombie sotto cui era
T rimasta sepolta dopo avere sparato in faccia a tutti col fucile a pompa
senza essere morsa, a quanto pareva. Il suo compagno era morto, con la
gola squarciata e gli occhi vitrei a fissare la luce delle stelle. La testa
dello zombie che lo aveva ucciso gli stava ancora divorando la gola
benché fosse ormai staccata dal corpo, rimasto da qualche parte nella radura.
Spappolargli il collo e spezzargli la spina dorsale con una fucilata non avevano
salvato l’agente.
«Pete!» gridò Becker.
«È andato.» La costrinsi a girarsi e ad allontanarsi. «Muoviamoci!»
Bush mi aiutò a condurla via attraverso il carnaio di zombie decapitati e corpi
smembrati. Le vittime in un certo senso aiutavano i superstiti, perché gli zombie
che le stavano divorando dopo averle uccise e quelli che si erano uniti al
banchetto non stavano più cercando di ammazzare nessuno. Non avevo mai visto
tanti zombie cannibali fuori da un cimitero. Da dove diavolo erano sbucati?
Quando il grido del leopardo sovrastò il fragore degli spari e le urla dei
combattenti, sussultai come per uno shock violentissimo e improvviso; mi
sforzai di non contattare metapsichicamente Nathaniel, perché se lo avessi fatto
avrei turbato la concentrazione di entrambi, seppure per un solo istante.
Spappolai la testa di un altro zombie, col fucile a pompa con cui avevo sostituito
l’AR. Non avevo tempo di distrarmi, e forse neanche lui. Dovevo confidare che
Ares e Nicky lo proteggessero fino al mio arrivo, come loro confidavano che
riuscissi a cavarmela da sola.
Ci unimmo a un gruppo di agenti e ci disponemmo in cerchio per poter
sparare tutt’intorno e proteggerci a vicenda.
Finalmente girammo intorno al fabbricato, aprendoci la strada combattendo,
e io vidi i miei uomini addossati al versante roccioso della montagna che
incombeva su di loro, insieme con Al, Horton e Travers. Con calma e precisione,
Nicky e Ares sparavano senza posa, mentre il grosso leopardo ringhiava,
accovacciato ai loro piedi. Travers aveva un braccio sanguinante che pendeva
inerte, ma per il resto sembrava illeso. Nel momento in cui li vidi, l’angoscia che
mi opprimeva il petto si dissolse in un sollievo che mi fece incespicare per un
istante. Subito mi ripresi, ricominciando a farmi largo a fucilate nel procedere
verso di loro.
Quando Nicky spappolò la testa di uno zombie, il leopardo balzò a straziarne
il corpo, e la tranquillità perfino eccessiva dei tre umani mi suggerì che quella
divisione del lavoro doveva essere stata adottata già da un po’, abbastanza
perché tutti ne accettassero l’efficacia. È strano quello che sembra normale nel
bel mezzo di una battaglia.
Intanto io e il mio gruppo ci facemmo largo tra gli zombie che li
circondavano.
D’un tratto, proprio quando stavamo vincendo, un vento gelido mi accarezzò.
Ebbi il tempo di gridare: «Vampiri!»
«Dove?» chiese Bush.
La porta del fabbricato si spalancò e non ne uscirono vampiri, bensì altri
zombie, su cui torreggiava Little Henry Crawford.
29
ittle Henry era tutto nudo e non sembrava essere stato morso. Aveva
n attesa che Bush tornasse dalla radura con l’agente paramedico, Nicky
I premette le mani nude sulla ferita. «Non mi può infettare, Anita», dichiarò,
quando gli porsi un paio di guanti in lattice.
«Ares è stato infettato», osservai.
Lui mi fissò corrugando la fronte; poi, senza più discutere, prese i
guanti, li infilò e premette di nuovo le mani sulla ferita.
Ancora in forma di leopardo, Nathaniel annusò la ferita e sibilò.
Iniziai a togliermi il giubbotto antiproiettile.
«Che stai facendo, Anita?» chiese Becker, rimasta nel bosco con alcuni altri
agenti a proteggerci nell’eventualità che arrivasse qualche altro mostro, anche se
avevo sentito uno sbirro dire: «Con loro siamo più al sicuro», riferendosi
probabilmente a noi tre.
«Voglio dargli la mia T-shirt per comprimere la ferita, e prima devo togliermi
il giubbotto.» Me lo tolsi e lo lasciai cadere al suolo con un rumore metallico di
armi. Poi mi sfilai la T-shirt, restando in reggiseno, la piegai e la porsi a Nicky,
che la prese coi guanti insanguinati e probabilmente infettati. Non sapevo
esattamente come avvenisse il contagio. Tutti coloro che erano stati morsi erano
rimasti infettati? Gli altri morsi non mi erano sembrati di vampiro, bensì di
zombie o di umano. Era possibile che l’infezione contagiasse anche i vampiri e i
licantropi? In tal caso, sarebbe stata una novità.
Infilai di nuovo il giubbotto, ruvido a contatto con la pelle nuda, ma sempre
meglio che non averlo e rischiare di essere colpita da qualche pallottola vagante,
senza contare che mi permetteva di trasportare le armi. All’inizio, quando il
governo ce ne aveva imposto l’uso, avevo odiato il giubbotto. Adesso invece era
soltanto parte del mio armamento.
«Bel reggiseno», commentò qualcuno.
Mi girai verso gli agenti. Non sapevo chi avesse parlato. Potevo escludere
soltanto Becker perché era stata una voce maschile. Mi sarei potuta arrabbiare,
però era davvero un bel reggiseno, nero, di pizzo. «Grazie.» Allacciai il
giubbotto per poter indossare di nuovo la giacca.
«Le mutandine sono coordinate?»
Merda! La mia mancata ostilità al primo commento lo aveva incoraggiato.
Sollevai lo sguardo. «Chi ha parlato?»
Evidentemente a disagio, gli sbirri indietreggiarono per isolare un giovane
agente. Si era comportato in modo stupido e non volevano proteggerlo, non lì,
non mentre i feriti sanguinavano, soffrivano, agonizzavano.
Il leopardo mi si appoggiò come un grosso cane. Probabilmente Nathaniel
stava cercando di ricordarmi che non dovevo ammazzare i nostri amici.
Lo abbracciai, accarezzando la sua pelliccia calda e confortante, che contribuì
ad abbassarmi la pressione sanguigna. «E tu sei l’agente…?»
«Connors, agente Connors», rispose il giovane, con voce limpida, senza
imbarazzo, sostenendo con calma il mio sguardo.
«Okay, agente Connors… Quest’uomo addolorato e sanguinante, che è
rimasto ferito nel combattere al tuo fianco contro zombie cannibali e vampiri, è
mio amico. Senza dubbio anche tu hai amici che nella radura sono rimasti feriti,
o peggio, vero?»
L’agente Connors annuì.
«Scusa, non ho sentito. Ti dispiace rispondere a voce alta?» Era quasi un
sollievo essere turbata da una simile inezia.
«Sì», disse Connors, con una sfumatura di collera.
«Ebbene, ti sembra appropriato, in queste circostanze, speculare a voce alta
sulla biancheria intima di una collega?»
«No», ammise, con voce limpida e ferma.
«È bello sapere che su questo siamo d’accordo.»
In quel momento Bush tornò di corsa, seguito da uno sbirro che si presentò
come agente Perkins. «Ho sentito chiamare il soccorso medico, ma… Ci sono
molti feriti.» Si accoccolò accanto ad Ares, che era tutto nudo. «Era la iena?»
«Sì», confermai.
L’agente Perkins infilò tre paia di guanti prima di accennare a Nicky di
scostarsi, poi con la torcia elettrica illuminò il collo di Ares e scosse la testa.
«Travers ha una ferita come questa al petto. È la stessa infezione che ha
contagiato lo sceriffo Callahan?»
«Sì.»
«Sembra che la ferita non si stia rimarginando. Credevo che i licantropi
guarissero più rapidamente.»
«Le ferite inflitte da altri esseri soprannaturali guariscono più lentamente.»
«Quindi non sta guarendo perché è un morso di vampiro?»
«Sì…» Quando il leopardo si strofinò contro di me, gli accarezzai la
pelliccia. «È tutto okay, Nathaniel.»
Allora lui mi spinse e io lo guardai. I suoi occhi non erano animali. Stava
cercando di dirmi qualcosa. Abbassai un po’ le mie difese per cercare di
«vedere» cosa desiderava condividere e d’improvviso fui sopraffatta da
immagini grigie, la fragranza della notte, la sensazione del mio corpo contro il
suo, non come l’avrebbe considerata una persona, bensì… Innalzai di nuovo le
difese, aggrappandomi al leopardo per non barcollare, dopo avere visto un
turbinare di colori e di forme di un vortice di pezzi di puzzle che non
componevano un’immagine completa.
La sua energia diffusa sulla mia pelle fu come una miriade di baci elettrici
sulle mie terminazioni nervose. La sua pelliccia fluì sotto le mie mani. Per la
prima volta lo ebbi tra le braccia mentre la sua forma umana usciva dalla
muscolatura e dal manto del leopardo. Pervasa dal potere della metamorfosi,
rabbrividii contro di lui, sentendo la sua pelle liscia e calda.
«Omioddio!» esclamò Becker, alle nostre spalle.
Mi chiesi se avesse assistito alla metamorfosi o se stesse fissando Nathaniel,
accovacciato e tutto nudo, coperto soltanto dalla massa lunga e folta della
capigliatura sciolta. Era rimasta in silenzio alla metamorfosi di Ares, quindi era
probabile che la sua reazione fosse dovuta alla vista di un bellissimo uomo nudo,
che non era ferito e non era privo di conoscenza. Sarebbe stato scortese provare
lussuria per un ferito. Nathaniel invece era illeso. Si adattava al mio abbraccio
come sempre, come se fosse nato per questo e, per quanto fosse stato bello
coccolare il leopardo, l’uomo era meglio per me, più confortante.
«Non ti ho mai visto tornare in forma umana dopo così breve tempo»,
commentò Nicky, rimasto accanto ad Ares insieme con l’agente Perkins.
«Non ci avevo mai provato», disse Nathaniel, con voce un po’ tremante.
Lo strinsi più forte a me, meravigliata dal suo calore, dalla morbidezza serica
della sua pelle e dei suoi capelli, in cui affondai il viso come quando si beve
qualcosa di forte per calmare i nervi, e sentii il collare di cuoio, largo intorno al
collo umano.
«Dovresti perdere conoscenza dopo la metamorfosi», aggiunse Nicky.
«Nel caso in cui io stia per perdere conoscenza… Anita, rammenti il vampiro
che mi ha morso in Tennessee?» chiese Nathaniel.
Alle informazioni già in mio possesso sui vampiri putrescenti, si era aggiunta
la scoperta della loro capacità di contagiare le persone mediante il morso quando
uno di loro aveva azzannato Nathaniel. Coricato in un letto d’albergo a strillare
di dolore, sarebbe morto se Asher e Damian non avessero drenato la malattia dal
suo corpo, a rischio delle loro stesse vite. Asher era stato abbastanza forte da
rimettersi, mentre Damian era stato quasi ucciso dalla decomposizione. Io lo
avevo salvato lasciando che si nutrisse del mio sangue. Anche se in tal modo
avevo posto a repentaglio la mia stessa vita, avevo dovuto farlo perché ero stata
io a chiedergli di salvare Nathaniel. Tutto questo era accaduto prima che
Nathaniel diventasse l’animale che rispondeva al mio richiamo e prima che
Damian diventasse il mio servo vampiro. Sembrava che fosse trascorso
moltissimo tempo da allora.
«Come potrei mai dimenticarlo?» Così dicendo, lo strinsi ancora più forte nel
mio abbraccio. Adesso che era una delle persone più importanti della mia vita,
mi sembrava inconcepibile non averlo amato, un tempo, e perfino avere fatto
tutto il possibile per evitare di diventare sua amante.
«Ares ha soltanto una forma animale, come me allora», aggiunse Nathaniel.
«Dunque non potrà guarire, come non potevo guarire io allora.»
Rimasi immobile nell’abbraccio e staccai il viso dai suoi capelli per
guardarlo negli occhi. «Ares ha un’unica forma?»
«Non lo sapevi?»
«È grosso, dominante, atletico. Credevo che tutto ciò implicasse due forme
animali.»
«Non sempre», spiegò Nicky.
«Non sono sicuro di capire ciò che state dicendo», intervenne Perkins.
«Comunque ho altri pazienti che devo finire di preparare prima dell’arrivo
dell’elicottero.»
«E Ares?» domandai.
«Lo farò trasportare in ospedale al ritorno dell’elicottero.»
«No, deve essere ricoverato il più presto possibile», obiettò Nathaniel.
«I licantropi guariscono da qualsiasi cosa, e nell’elicottero che sta arrivando
non c’è abbastanza spazio. Non posso classificare un licantropo come più grave
dei feriti umani.»
Guardai Nathaniel. «Credi che il decorso della malattia sarà così rapido in
Ares come lo è stato in te quand’eravamo in Tennessee?»
«È probabile.»
«Vedo che sei guarito perfettamente», osservò Perkins.
«Sono stato aiutato, e adesso non abbiamo qui quel genere di aiuto.»
Nathaniel mi fissò gravemente per un lungo momento. Intendeva dire che non
c’erano vampiri con noi e che, se pure ci fossero stati, avrebbero dovuto essere
abbastanza potenti per guarire Ares senza essere contagiati dall’infezione
putrescente. Asher era stato abbastanza forte, mentre Damian aveva rischiato di
soccombere.
Mi rivolsi a Perkins. «Mi creda, l’infezione lo ucciderà proprio come sta
uccidendo l’agente Travers.»
«I licantropi non possono essere contagiati dalle infezioni», insistette il
paramedico.
«Nathaniel è sopravvissuto perché per guarirlo abbiamo avuto un aiuto…
eccezionale. Con le sue sole risorse, senza questo aiuto, non sarebbe guarito,
sarebbe morto. È l’unica infezione che io abbia mai visto capace di essere fatale
ai licantropi. Le giuro che non sto mentendo per tentare di ottenere un privilegio
per il mio amico. Ho visto all’obitorio i cadaveri delle vittime dell’infezione. Un
morso presso una delle principali arterie la trasmette agli organi vitali, e se
raggiunge il cervello o il cuore è fatale.»
«Non può saperlo», replicò Perkins, ostinato. «Io invece so con certezza che
tre agenti feriti in attesa di trasporto moriranno entro due ore o anche meno se
non riceveranno le cure che non possono avere da me.»
«Senza cervello o senza cuore, i licantropi non guariscono, muoiono. La
decomposizione causata dall’infezione avrà sull’uno o sull’altro di questi organi
lo stesso effetto di un colpo di fucile a pompa, cioè lo distruggerà.»
«Adesso i medici sono in grado di rallentare il diffondersi dell’infezione»,
ribatté Perkins. «Non è più così rapida.»
«Soltanto col trattamento non lo è. Inoltre, io temo che a causa del
metabolismo più veloce si possa diffondere più rapidamente nell’organismo di
un licantropo che in quello di un umano.»
Mentre Perkins mi scrutava a occhi socchiusi, repressi l’impulso di mettermi
a urlare. Nathaniel mi strinse più forte nel suo abbraccio per tentare di calmarmi
e impedire che perdessi il controllo. Aveva ragione. Se mi fossi messa a strillare,
il gentile paramedico mi avrebbe ignorata e Ares non sarebbe stato trasportato
dal primo elicottero in arrivo.
«Senta, marshal, abbiamo due agenti che moriranno entro un’ora, senza
contare Travers.»
«Quante persone può trasportare l’elicottero?»
«Sei. Nello spazio della radura può atterrare soltanto un Black Hawk.»
«Allora può caricare due feriti in condizioni critiche, Travers, Ares e un’altra
persona.»
Il paramedico mi fissò cupamente, e questo non è mai un buon segno. «Non
voglio essere scortese, ma per il triage devo considerare la gravità delle ferite e
le probabilità di sopravvivenza. Accettare che il suo amico sia nelle stesse
condizioni di Travers non può cambiare la mia decisione. A quanto ne so, i
medici dovranno tentare di amputare la parte infetta e non abbiamo sangue per
trasfondere i licantropi, soprattutto per il gruppo AB negativo, cioè il suo tipo,
come Nicky ci ha riferito. È il gruppo sanguigno più raro in questa regione,
quindi non ce n’è mai a sufficienza.»
Non mi presi la briga di chiedere come mai Nicky conoscesse il gruppo
sanguigno di Ares. Glielo avrei chiesto in seguito, quando fossimo riusciti a
salvarlo. «Un licantropo può ricevere sangue umano, mentre un umano non può
ricevere sangue di licantropo, altrimenti rischia di essere contagiato dalla
licantropia.»
«Nella maggior parte degli Stati occidentali, incluso il Colorado, la provvista
di sangue per i licantropi è rigorosamente separata da quella per gli umani.»
«Dunque sta dicendo che, se anche fosse trasportato in ospedale, Ares non
potrebbe essere operato in tempo perché avrebbe necessità di una trasfusione…»
Il paramedico annuì. «Mi dispiace, ma è così.»
«E se ci fosse un licantropo con gruppo sanguigno 0 negativo?»
«Una persona potrebbe donarne abbastanza per un intervento conservativo,
ma quante probabilità ci sono di trovare un donatore universale per i licantropi?»
«Lo sono io.»
«Lei è gruppo 0 negativo e licantropa?»
«Sono portatrice sana di licantropia, ma non mi trasformo, perciò
tecnicamente non sono licantropa.»
«Non è possibile essere portatori di licantropia e non trasformarsi.»
«È quello che continuano a dirmi, eppure tre anni fa sono stata diagnosticata
portatrice sana di licantropia e quello che vede è tutto quello che sono.»
Fissandomi, perplesso, Perkins corrugò la fronte. «Se mi sta mentendo,
Blake…»
«Le giuro che non sto mentendo. Il mio ematocrito è registrato presso
l’agenzia dei marshal.»
Il paramedico continuò a fissarmi dubbioso.
«Sento arrivare l’elicottero», annunciò Nicky.
«Io non sento niente», disse Perkins.
«Neanch’io, ma, se Nicky dice di sentirlo, allora tra poco lo sentiremo anche
noi.»
Subito dopo udimmo in lontananza il rumore tipico del rotore di un
elicottero, e si stava avvicinando.
«Adesso lo sento», aggiunsi.
«Io continuo a non sentirlo», replicò Perkins, che in effetti lo udì soltanto un
paio di minuti più tardi.
Essendo solitamente accompagnata da licantropi e vampiri, talvolta
dimenticavo di avere anch’io un superudito. Infine dissi qualcosa che non dico
spesso: «La prego, non lo lasci morire. Non così…»
«Maledizione…» Di nuovo Perkins corrugò la fronte. «Benissimo… Nicky è
in grado di trasportarlo alla radura?»
«Sì.»
«Seguitemi, e lei dovrà imbarcarsi sull’elicottero, Blake. Dovremo sistemarla
sopra un seggiolino, e soltanto se il pilota dirà che la distribuzione del peso lo
può tollerare.»
«Sono piccola.»
«Preghi di esserlo abbastanza perché tutti quelli che ne hanno bisogno
possano essere imbarcati sull’elicottero insieme con una donatrice di sangue.»
Con facilità Nicky si caricò Ares in spalla e seguì Perkins.
Prendendomi la mano sinistra, Nathaniel mormorò: «Come va la tua fobia del
volo?»
Continuai a camminare, però rischiai d’inciampare. «Vaffanculo», sussurrai
con molto sentimento.
«Non ci avevi pensato, vero?»
«Se posso salvarlo, vado.»
Lui mi strinse forte la mano. «Ecco la mia ragazza!»
«Sì, lo sono.»
Ci baciammo gentilmente nel camminare. I suoi capelli s’impigliarono nel
primo ramo, e non sarebbe stato l’ultimo. Becker si sciolse la coda di cavallo per
consegnargli l’elastico in modo che potesse raccoglierli, e lui, nel farlo, si mostrò
inavvertitamente tutto nudo. Be’, certe buone azioni ottengono giusta
ricompensa, dopotutto.
32
l dottor Cross era alto e magro, con capelli che molti avrebbero definito
opo due barrette proteiche, bottiglie d’acqua per tutti e tre noi, e una
n un angolo del bagno trovai un piatto doccia non ribassato protetto su due
I lati da una tenda. Come aveva detto Nicky, la mia roba era in un armadietto
a muro.
Mi lavai tutto il corpo e mi applicai due volte il balsamo per capelli
senza che arrivasse nessuno, così mi rasai entrambe le gambe fin sopra il
ginocchio, con l’intenzione di completare la rasatura se ne avessi avuto il tempo.
Ci si può radere oppure no, però non va affatto bene rimanere con una gamba
rasata e l’altra no.
Mi chiesi come mai i ragazzi tardassero tanto a decidere chi doveva entrare
nella doccia con me. Scostai la tenda per guardare l’ora al telefono. Erano
passati quindici minuti. Con la pratica sono diventata rapida a fare la doccia,
probabilmente perché quasi sempre al termine di una notte di lavoro devo
pulirmi dal sangue.
In fin dei conti, quindici minuti non erano poi tanti per decidere, se si
considerava che avevo consumato molta energia per guarire e che avrei
prosciugato la persona di cui mi sarei nutrita: avrebbe potuto svolgere un altro
turno di lavoro soltanto dopo avere dormito e mangiato. Insomma, per un po’
saremmo rimasti con un bodyguard in meno.
Decisi di aspettare altri cinque minuti prima di chiamare qualcuno e di
sfruttare l’attesa per radermi anche le cosce. La pazienza non è mai stata la mia
migliore virtù.
Non sentii aprire la porta del bagno, però sentii la corrente fredda insinuarsi
nell’aria calda e vaporosa. Col rasoio in mano, mi girai mentre le tende si
aprivano, già eccitata e col battito cardiaco accelerato senza neppure sapere chi
fosse. Forse Devil aveva previsto l’effetto che mi avrebbero fatto l’attesa e la
sorpresa.
Allora apparve l’unico dei miei amanti che non mi sarei mai aspettata di
vedere lì, in quel momento, cioè Jean-Claude, pallido e tutto nudo, coi capelli
neri sciolti sulle spalle e sulla schiena. Avrei dovuto rimproverarlo per essersi
arrischiato a entrare nel territorio di un altro master. Avrei dovuto ricordargli che
sarebbe stato più al sicuro a casa, che in sostanza era il presidente dei vampiri
degli Stati Uniti e che aveva altre responsabilità oltre all’amore. Sì, avrei dovuto
dire un sacco di cose che invece non dissi.
Uscii dalla doccia per gettarmi nelle sua braccia lasciandomi sfuggire un
suono sospettosamente simile a un singhiozzo. Lui mi strinse a sé e mi sollevò il
viso per baciarmi, con quelle labbra, con quel volto… Ebbi un attimo per fissare
gli occhi blu più scuri che avessi mai visto, come se il cielo di mezzanotte
potesse essere blu, e poi lui mi baciò, e io chiusi gli occhi e mi abbandonai alle
sue labbra, alla sua bocca, alle sue mani che accarezzavano il mio corpo bagnato.
Fu come se quel bacio fosse l’aria, l’acqua, tutto ciò di cui avevo bisogno.
Quando lui mi prese in braccio, io gli avvolsi le gambe intorno ai fianchi. Poi
lui entrò nella doccia e richiuse la tenda con una mano, mentre il getto d’acqua ci
bagnava entrambi.
38
L’ acqua calda che scorreva impetuosa sui nostri visi divenne parte del nostro
bacio sempre più ardente. Sentii che lui, stretto contro di me, diventava
sempre più bramoso. Il bacio fu meraviglioso e romantico fino a quando io non
ebbi bisogno di respirare, a differenza del mio amante vampiro. Allora cercare di
trattenere il fiato per prolungare il bacio fu come annegare. Alla fine fui costretta
a girare la testa sotto l’acqua per riprendere fiato, ma non in un respiro profondo,
altrimenti avrei inalato l’acqua: soffocare nella doccia non sarebbe stato
romantico, benché fossi nuda.
Il velo argenteo dell’acqua scorreva scintillando addosso a Jean-Claude, che
teneva la testa un po’ china per potermi fissare con gli occhi blu, incorniciati
dalle ciglia nere inargentate d’acqua. Erano come profondissimi laghi blu velati
di bruma d’argento, e guardarli mentre aderiva a me, sostenendo tutto il mio
peso, fu come incassare un uno-due di romanticismo e di sesso.
Ci baciammo di nuovo sotto il getto vigoroso finché io non ebbi bisogno di
riprendere fiato per la seconda volta. Allora lui si spostò in modo che l’acqua gli
flagellasse soltanto la schiena, mi mise in piedi nell’angolo, addossata alle
mattonelle fredde, poi s’inginocchiò di fronte a me, coi lunghi capelli neri che
gli scendevano sin quasi ai fianchi, fradici. In quel momento anche i miei erano
così, fradici e lisci, e cadevano sino ai fianchi anziché arricciarsi a mezza
schiena. Le ciocche nere spalmate sul suo viso imperlato di gocce facevano
sembrare i suoi occhi ancora più blu, come il cielo al tramonto, allorché l’ultimo
lampo d’azzurro cede alle fiamme arancioni e rosse.
Quando mi si accostò con quella bocca tutta da baciare, gli posai una mano
sul viso per fermarlo. «Anche se stento a credere di poterlo dire, non abbiamo
tempo per i preliminari», annunciai, con una mezza risata tremante. «Devo
interrogare alcuni vampiri prima dell’alba.»
«Non potrai interrogarli stanotte», replicò Jean-Claude.
«Perché no?»
«Sono stato contattato da Fredrico, il Master della Città. Se ne rammarica,
però ha interceduto per i vampiri, quando ha saputo che erano stati soggiogati, e
loro… Come si usa dire? Si sono appellati al Quinto Emendamento. Potrebbero
salvarsi, se la loro testimonianza fosse preziosa.»
«Ogni ora sprecata concede al vampiro responsabile di tutto ciò una
maggiore opportunità di fuggire e di continuare a diffondere la malattia.»
«Questo è vero, ma l’arrivo dell’alba intrappolerà anche lui come intrappola
tutti noi. Nessun vampiro nuocerà a nessuno fino al nuovo sorgere del sole.»
Jean-Claude sorrise. «Tu stessa hai contribuito a creare la legge che riconosce ai
vampiri il diritto di avere assistenza legale.»
«Non immaginavo che sarebbe stata usata contro di me.»
«Spesso non prevediamo le conseguenze delle nostre azioni. Ci sforziamo di
fare cose buone, ma spesso in esse c’è anche qualcosa di cattivo.»
Non potei fare altro che annuire.
«Comunque questo sviluppo ha anche un aspetto positivo, perché mi lascia il
tempo di leccare l’acqua dal tuo corpo fino a scacciare la tristezza dai tuoi
occhi.»
«Non c’è tristezza nei miei occhi. Ho soltanto bisogno di lavorare», dichiarai.
Jean-Claude mi guardò, semplicemente, e non furono i suoi poteri vampirici
né la sua bellezza a indurmi a distogliere lo sguardo, bensì la consapevolezza che
vidi nei suoi occhi. Mi conosceva troppo bene perché potessi mentirgli e, se non
potevo mentire a lui, non potevo mentire neppure a me stessa. Ecco cosa succede
quando si concede troppa intimità alle persone, cazzo! Non ci si può più
nascondere, neppure a se stessi.
«Sto cercando di concentrarmi sul lavoro», aggiunsi, e perfino alle mie
orecchie suonò come un pio desiderio.
«Il lavoro può essere un balsamo per queste cose», mormorò Jean-Claude.
Mi costrinsi a guardarlo, inginocchiato di fronte a me, con le mani sui miei
fianchi, impassibile come soltanto i vampiri antichi sanno essere, in modo tale da
non lasciarmi nulla da giudicare, nulla cui reagire, semplicemente la sua paziente
attesa che io stessa decidessi se sfogare la collera o lasciarmi confortare.
Gli accarezzai una ciocca di capelli spalmata sulla pelle. «Quando ti ho visto
sono stata così contenta…» Gli scostai la ciocca dal viso. «Eppure so che non
dovresti essere qui e che Fredrico considera il tuo arrivo come una mossa in un
gioco di potere.» Gli spinsi all’indietro tutte le altre ciocche, pressandole sulla
nera massa della capigliatura fradicia, in modo da lasciare il viso interamente
scoperto. «So quanto sia pericoloso per te lasciare il Circo dei Dannati, ormai
diventato una fortezza, e viaggiare.» Una volta tanto dissi tutto quello che
pensavo, come se fossi troppo addolorata e troppo brutalmente sincera per
trattenermi. «Ti guardo, e tuttora mi meraviglio che tu, così bello, mi voglia
ancora dopo sei anni…» Nel momento in cui le dischiuse, gli posai un dito sulle
labbra per impedirgli di replicare. «Stai per dire, come sempre, che sono bella,
quindi devo crederti, come devo credere a tutte le altre persone
meravigliosamente belle che fanno parte della mia vita e che continuano a dirlo.
Quanto a me, confesso di non essermi mai abituata alla tua bellezza, alla
bellezza dei tuoi occhi, del tuo viso, dei tuoi capelli, del tuo corpo, tutto. Amo
che tu sia qui. Non sei stato costretto a partire; avresti potuto semplicemente
abbassare le difese per percepire tutto ciò che sento e tutto ciò che penso.»
Jean-Claude mi prese la mano e, nel baciarne gentilmente le dita, la scostò
dalla propria bocca. «Quando ti ho visto in televisione, ferita e sanguinante,
sapevo che non saresti morta, sapevo che avevamo il potere di guarirti e di
riportarti a casa. Ma non mi bastava, ma petite.» Si premette la mia mano sul
torace. «Avevo bisogno di sentirti, così. Avevo bisogno di accarezzarti, di
baciarti, di stringerti a me il più possibile… Credo di avere abbastanza potere per
sopravvivere fisicamente alla tua morte, ma il mio cuore…» Sollevò di nuovo la
mia mano per baciarla. «Il mio cuore batte per te, Anita Blake. Se avessimo
modo di sposarci senza escludere gli altri uomini della nostra vita, allora ti
chiederei in moglie.»
Soltanto con uno sforzo di concentrazione impedii alle lacrime che mi
colmavano gli occhi di spandersi sulle mie guance. Non avevo nessuna
intenzione di piangere. Quando risposi, la mia voce non lo mostrò. «Micah ha
detto quasi la stessa cosa a Nathaniel e a me.»
Jean-Claude reclinò la testa. «Allora facciamolo.»
«Cosa?»
«Anche se legalmente puoi sposare soltanto uno di noi, potremmo celebrare
una cerimonia di gruppo. I precedenti non mancano.»
«Vale a dire?»
«Un matrimonio di gruppo non può essere celebrato legalmente, però
potrebbe esserlo col rituale dell’handfasting, o ’salto della scopa’, com’era
chiamato un tempo qui in America.»
Scoppiai involontariamente a piangere. «Come sarebbe possibile? Cioè,
quanti di noi? E gli anelli? Avremmo tutti la fede nuziale e l’anello di
fidanzamento? Chi mai sarebbe disposto a sposare tanta gente tutta insieme?»
Jean-Claude sorrise, sembrava felice. «Non conosco le risposte a tutte le tue
domande estremamente ragionevoli, ma il fatto stesso che tu le ponga, anziché
rispondere semplicemente no, è più di quanto avessi sperato.»
Continuai a piangere ancora più forte, tanto che per poter rispondere fui
costretta a inghiottire il groppo che avevo in gola. «Credevi davvero che avrei
risposto no?»
«Sì. Se io avessi sognato altrimenti, per chiedertelo avrei organizzato la notte
più romantica della tua vita e avrei cospirato con gli altri uomini della nostra vita
per sconvolgerti. Invece, come del resto è sempre accaduto tra noi, mi hai posto
in svantaggio e hai gettato all’aria tutti i miei ideali romantici.» Jean-Claude mi
baciò la mano e si alzò, senza lasciarmi, poi mi sfiorò il viso con le dita,
scrutandomi come per imprimersi nella memoria ogni mio tratto, mentre il mio
pianto scemava e io scrutavo a mia volta il suo bellissimo viso.
«Anita Blake…» Jean-Claude si lasciò cadere su un ginocchio nel piatto
doccia. «Vuoi concedermi l’onore e la meraviglia di sposarmi?»
Allora ricominciai a piangere, maledizione! Poi annuii e finalmente ritrovai
la voce. «Sì, sì! Lo voglio!»
Lui mi sorrise, fulgido in viso, non per effetto di poteri vampirici o
metapsichici di qualsiasi genere, bensì per pura e semplice gioia. Dopo quasi
seicento anni era ancora semplicemente un uomo inginocchiato dinanzi a una
donna, sopraffatto dal sollievo e dalla gioia alla risposta affermativa di lei.
Quanto a me, mi permisi una volta tanto di mettere da parte la maschera da
dura e piansi, lasciandomi abbracciare. Piansi perché ero felice. Talvolta la
felicità riempie il cuore tanto da traboccare dagli occhi. Comunque piansi anche
per Ares, per quello che avevo dovuto fare, e perché se avessi dovuto rifarlo,
conoscendone le conseguenze, mi sarei comportata diversamente soltanto nel
senso che lo avrei ucciso subito, senza rischiare altre vite. Per qualche ragione
mi sentivo responsabile per le altre vittime pur sapendo che non avrei potuto
prevedere l’accaduto. Anche se ne ero consapevole razionalmente, il senso di
colpa non ha nulla a che fare con la razionalità, e neppure l’amore.
In qualche modo, il pianto, le carezze e il bacio gentile divennero qualcosa di
più impetuoso e di più bramoso. Il mio sì fu celebrato sul piatto doccia, iniziando
con Jean-Claude sopra in modo che potessi vedere tutta la sua bellezza su di me,
il suo corpo che si conficcava e si strofinava dentro e fuori di me, col getto della
doccia che ci sferzava, in una gara a scoprire se sarei riuscita a nutrire l’ardeur
prima di annegare. Poi, ridendo, mi misi in ginocchio, e quando lui mi penetrò
da dietro tacqui, restando un momento senza fiato per il puro piacere di averlo
dentro di me. Jean-Claude mi allargò le gambe e mi tenne ferma per poter
strofinare ripetutamente quel punto speciale all’interno del mio corpo, a colpi
lenti e profondi, suscitando in me una sensazione straordinaria.
«Jean-Claude… Jean-Claude… Jean-Claude…» implorai al ritmo del suo
movimento, finché il mio respiro non accelerò e il piacere si accumulò, si
avvicinò. «Omioddio… Ci sono quasi… quasi…»
Per un momento Jean-Claude interruppe il ritmo, quindi riprese ad affondare
con colpi lunghi e sinuosi dentro di me, sforzandosi di mantenere il respiro
regolare per controllare i movimenti. Il controllo del respiro permette di
controllare un sacco di cose.
Tra un colpo e l’altro, il piacere mi travolse pulsando in tutto il corpo. Strillai
di piacere sul piatto doccia, assordata dall’eco della mia stessa voce. Seppure
con le dita conficcate nelle mie natiche per tenermi ferma il più possibile, Jean-
Claude mantenne il ritmo, facendomi venire a ogni colpo in una successione
ininterrotta di orgasmi, oppure in un’unica, prolungata, rotolante onda di piacere.
«Nutriti, ma petite, nutriti perché non posso più resistere», implorò Jean-
Claude, con voce strozzata. «Libera l’ardeur e nutriti!»
E l’ardeur era là, in attesa. Con meno di un pensiero prese vita ruggendo, mi
pervase come un ulteriore piacere cavalcando l’orgasmo e si conficcò nell’uomo
dentro di me, facendolo gridare.
Ancora una volta il mio corpo fu squassato dagli spasmi, e il colpo
successivo fu così deciso e profondo che mi fece venire ancora una volta,
strillando, graffiando con le unghie le mattonelle bagnate nel tentativo di trovare
qualcosa cui aggrapparmi, in cui affondare, cui ancorarmi nel mezzo di tutto
quel piacere travolgente.
Mi nutrii della gioia di lui dentro di me, della follia del nostro amore, del
ricordo del viso di lui che mi guardava, e perfino delle lacrime che avevo sparso.
Fu un nutrimento gustoso e completo perché non mi nutrii soltanto della nostra
lussuria, bensì anche del nostro amore.
Crollai bocconi, con Jean-Claude ancora dentro di me, sforzandomi di non
sbattere la faccia sulle mattonelle, e lui si sforzò di rimanere dritto per non
inchiodarmi al piatto doccia su cui scorreva l’acqua. Le nostre braccia tremarono
in un’eco dello sforzo e del piacere.
«Ti amo, ma petite», disse lui, con voce tremante.
«Je t’aime», dissi, anch’io con voce tremante, e non soltanto per il sesso
grandioso, bensì perché ero più certa di quello che avevo appena detto di quanto
lo fossi mai stata di qualunque altra mia affermazione.
39
C una di loro perché non me l’ero fatta addosso sotto il fuoco. Altri
invece s’impegnarono parecchio a cercare di addossarmi la
responsabilità di quello che Ares aveva fatto. Avevano bisogno di dare
la colpa a qualcuno e odiavano me perché avevo ucciso l’unica altra
persona che volevano odiare.
Alla stazione di polizia, io, Devil e Nicky fummo accolti da Edward/Ted e
presentati a marshal Hatfield e agli altri; poi leggemmo le dichiarazioni dei
testimoni ed esaminammo le foto della scena del crimine e quelle delle persone
scomparse, alcune delle quali erano diventate cadaveri ambulanti di vario
genere. Detesto sprecare la notte facendo qualcosa che si può fare anche di
giorno, ma per il momento non si poteva chiedere un accidente di niente ai due
perfetti sospettati che avevano visto il grosso vampiro cattivo, cioè il vero
pericolo, perché erano protetti dal loro avvocato. Forse conoscere l’intera
documentazione del caso mi avrebbe fornito appigli per l’interrogatorio, quando
mi fosse stato finalmente concesso di condurlo, o almeno così dicevo a me stessa
per limitare la frustrazione.
Secondo la consuetudine, Nicky e Devil avrebbero dovuto attendere nell’atrio
che io finissi o che altre due guardie del corpo arrivassero a sostituirli. Avevano
il porto d’armi, conoscevano la procedura e non avrebbero rifiutato di
consegnare l’artiglieria affinché fosse custodita sotto chiave, se la polizia lo
avesse chiesto. Purtroppo trovammo a riceverci il detective Ricky Rickman. Uno
dei principali motivi per cui la gente ha paura dei licantropi è che sembrano
persone normali, perché in effetti sono persone normali. La licantropia è
semplicemente una malattia. A parte l’ematocrito e la metamorfosi, l’aspetto dei
licantropi è in tutto e per tutto umano. Io non cercavo d’ingannare nessuno.
Semplicemente non ci avevo pensato.
«Porta fuori di qui i tuoi animali, Blake!» gridò Rickman. Non era arrabbiato,
voleva soltanto che tutti sentissero, e non riusciva a mascherare il suo pomposo
compiacimento dietro la pretesa furia del giusto.
«Non sono animali, Rickman», replicai con voce calma.
Un agente in uniforme domandò: «Sono animali mannari?»
«Sì, lo sono tutti», confermò Rickman.
«Da cosa lo capisci?» A occhi sgranati, l’agente in uniforme sembrava ancora
più giovane di quello che era. Perfetto.
«Lo capisco e basta», assicurò Rickman.
«Qualunque cosa succeda, statene fuori», sussurrai a Nicky e a Devil. «Non
fate nulla che possa alimentare questo contrasto.»
«Okay, capo», rispose Devil.
Nicky si limitò ad annuire brevemente.
«Se vuoi sussurrare dolci sciocchezze ai tuoi amanti pelosi, fallo altrove»,
gridò Rickman, avvicinandosi a me e cercando di sfruttare la propria altezza per
intimidirmi.
«In primo luogo, Rickman, hai detto una stronzata», ribattei, calma, ma molto
decisa. «Sai che sono licantropi soltanto perché te l’ho detto io. In secondo
luogo, non sono animali, sono persone.»
«Il tuo ultimo animale addomesticato ha ucciso Baker e ha staccato una mano
a Billings!» mi gridò in faccia Rickman, torreggiando su di me.
Dalla folla che si radunava intorno a noi provennero alcuni mormorii ostili.
«Non devono entrare qui…»
«Fateli uscire…»
«Animali…»
«Sono mostri…»
«In primo luogo, non era il mio animale addomesticato, era un marine»,
ricordai. «In secondo luogo, era soggiogato da un vampiro, proprio come alcuni
altri agenti.»
«Non era un agente!» Rickman mi sputò in faccia. «Era uno stramaledetto
animale!»
Mi tersi la sua saliva dal viso e gli sorrisi mio malgrado. Fu uno di quei
sorrisi involontari che di solito precedono una mia reazione sgradevole,
usualmente violenta. Ero arrabbiata. Cercai di controllarmi, ma il sorriso
manifestò la mia rabbia.
«Perché diavolo stai sorridendo, Blake?» gridò Rickman.
Non ho giustificazioni per la mia reazione, che fu del tutto deliberata. Non fui
violenta – anzi, tenni le braccia distese lungo i fianchi – tuttavia avanzai di un
passo, portando il mio giubbotto antiproiettile a contatto col suo. Dato che
conosco la violenza e gli uomini, so che toccare un uomo curvo su di me a
sputarmi in faccia il proprio furore è una provocazione. In situazioni come
quella, basta il più lieve contatto fisico per passare alle mani. Molte donne non
conoscono le regole, non sanno che molte risse tra maschi cominciano come
lotte tra cani, con scambi d’insulti e linguaggio aggressivo del corpo.
Be’, quando sfiorai Rickman fu quasi doloroso, come una scossa elettrica.
Era così pieno di rabbia e di adrenalina che fu come se lo avessi picchiato.
Eravamo troppo vicini perché potesse tirarmi un pugno, quindi mi spinse con
violenza sufficiente a farmi barcollare all’indietro.
Pensai di cadere volontariamente, ma esitai troppo e persi l’occasione di farlo
sembrare un bullo. D’altronde, quando si ha a che fare con qualcuno così
furibondo, si hanno sempre occasioni in abbondanza. «Lotti come una
ragazzina», dissi.
Allora Rickman mi tirò un cazzotto. Per quanto sembrasse stupido, era uno
sbirro, aveva abbastanza esperienza da essere diventato detective e sapeva
battersi. Io ero abbastanza veloce e abbastanza abile da parare il colpo, ma anche
da incassarlo, e dovevo fare in modo che Rickman si rivelasse per quello che era.
Così mi lasciai colpire duramente alla guancia e andai giù.
Benché fosse semplicemente umano, Rickman era alto più di un metro e
ottanta, in ottima forma; era uno sbirro, e gli sbirri sanno come picchiare, perché
a volte la loro vita dipende dall’atterrare qualcuno e accertarsi che poi stia giù.
Così finii col culo sul pavimento e con la testa che girava e rimbombava. Mi
rialzai barcollando senza attendere che mi si schiarisse la mente, perché la prima
regola del combattimento stabilisce che bisogna rimettersi in piedi il più
rapidamente possibile. Se fossi rimasta seduta sul pavimento, l’unica cosa che
avrei potuto fare sarebbe stata slogargli un ginocchio con un calcio. Invece
volevo avere qualche opzione in più. Così mi rialzai e lo fronteggiai, scattando
in guardia sulla punta dei piedi per muovermi agilmente.
Più veloce di quello che sembrava, Rickman partì subito con un altro
cazzotto. Questa volta parai con l’avambraccio; poi, facendo perno sui piedi,
spingendo con tutto il peso e ruotando il pugno come nel colpire il sacco,
replicai con un gancio destro al fianco. Mi comportai come mi era stato
insegnato in addestramento e, dato che Rickman mi aveva colpito con tutta la
sua forza, ricambiai il favore. Tuttavia erano trascorsi anni dall’ultima volta che
mi ero battuta con un semplice umano e avevo dimenticato di essere molto più
forte di un umano normale. Avevo dimenticato anche di essere portatrice sana di
numerose forme di licantropia e di essere metapsichicamente connessa ai
vampiri. Picchiai senza pensare ad altro che a picchiare bene, sentii le costole
cedere e udii una sorta di schianto soffocato. Subito dopo, un muro di agenti in
uniforme ci separò e ci spinse indietro.
Anche se mi aspettavo di udire gli insulti di Rickman, nessuno gridò. Tra gli
agenti riconobbi Bush, che mi teneva una mano sulla spalla e tentava di dividere
la propria attenzione tra me e i colleghi che aveva dietro. Nel vedere che sul lato
destro del suo viso erano fioriti alcuni lividi vistosi, ricordai di averlo steso col
calcio del Mossberg quando il vampiro lo aveva soggiogato, e per un attimo il
rammarico mi lasciò senza fiato, perché vi si associò uno di quei ridicoli pensieri
generati dal senso di colpa. Perché non avevo tentato di tramortire Ares?
Risposta: perché stronzate del genere non funzionano durante la metamorfosi,
anzi, possono soltanto peggiorare la situazione, perché si toglie di mezzo
l’umano e si lascia maggior controllo alla bestia.
Anche se razionalmente lo sapevo, il rammarico non ha nulla a che fare con
la razionalità, bensì soltanto con l’emozione, del tutto irrazionale. Così rimasi
isolata come all’interno di una piccola bolla, mentre Bush e altri agenti mi
trattenevano come se intendessi divincolarmi. Invece non mi sforzavo affatto di
aggredire di nuovo Rickman. Lo scontro era finito, per quanto mi riguardava. Se
ci eravamo battuti, era stato soltanto a causa dei sentimenti che provavo per
avere perduto Ares.
Maledetto bastardo figlio di puttana! Non ero così ingenua!
Bush mi sorrise. «Hai proprio una bella castagna, marshal Blake.»
«Ehi, eri completamente soggiogato dal vampiro. Dovevo pur fare qualcosa!»
«Non con me, col detective. Stanno dicendo che gli hai rotto una costola.»
«È soltanto una costola mobile, e le costole mobili guariscono molto più
facilmente.»
In quel momento si avvicinò un agente in borghese dalla nera chioma folta e
scompigliata. «Come va la mano, marshal?»
Aprii e chiusi più volte la mano destra senza sentire dolore. «Va benissimo.»
L’agente sorrise, evidenziando una fossetta su un lato della bella bocca.
Aveva anche begli occhi castani, non troppo scuri e non troppo chiari.
«Comunque avrà bisogno di ghiaccio sulla faccia.»
In effetti il cazzotto di Rickman mi aveva fatto male, però cominciai a
sentirlo soltanto nel momento in cui il detective che non conoscevo me ne parlò.
Se mi doleva tanto nonostante i miei poteri di guarigione, allora voleva dire che
Rickman aveva avuto intenzione di farmi molto male, quindi mi dispiacque
molto meno per la faccenda della costola.
«Sono il detective Robert MacAllister. Gli amici mi chiamano Bobby.»
Avrei voluto chiedergli se potessimo considerarci amici, ma avrei dato
l’impressione di essere ostile, oppure di voler flirtare, perciò accettai la
presentazione così com’era. «Lieta di conoscerti, detective Bobby. Io sono Anita
Blake», replicai automaticamente, guardando un gruppetto di sbirri a breve
distanza. Mi sentivo separata da tutto, lontana, quasi fluttuante. Cazzo, ero sotto
shock! Com’era possibile che fossi sotto shock per un misero cazzotto come
quello di Rickman?
Intanto Devil mi si affiancò, mi palpò gentilmente il viso e si girò a osservare
il livido. «Se continui a ordinarci di non partecipare ai combattimenti, tutte le
altre guardie del corpo inizieranno a prendersi gioco di noi.»
«Lo terrò a mente.»
«Sei appena stata dimessa dall’ospedale», aggiunse Nicky.
Mi girai a guardarlo. Il suo volto mezzo nascosto dal ciuffo era impassibile.
Avrebbe obbedito al mio ordine di non intervenire, qualunque cosa fosse
successa, anche se fosse stato costretto a limitarsi ad assistere mentre qualcuno
mi pestava selvaggiamente o cercava di ammazzarmi? Sarebbe stato
impossibilitato ad aiutarmi a causa del mio ordine esplicito? Non ne ero sicura, e
avrei dovuto tenerne conto prima d’impartire tale ordine.
Mi sentivo sfasata. Protesi la mano sinistra, e Nicky me la prese con la sua.
Di solito non tenevo per mano i miei amanti mentre erano in servizio come
bodyguard, ma in quel momento non potevo fare di meglio per scusarmi di
avergli impedito di fare il suo lavoro. Avrei dovuto esserne consapevole, eppure
non riuscivo a orientarmi, smarrita nel mio labirinto mentale, nonostante l’aiuto
della sua mano, calda e concreta nella mia. Quando lui sorrise, bastò a rendermi
felice di tenergli la mano, seppure in presenza degli sbirri.
«Ehi, Nicky», disse Bush. «Marshal Blake vi permette mai di proteggerla?»
Nicky gli sorrise. «Una volta ogni tanto.»
«No», corresse Devil. «Di solito è lei a proteggere noi.»
Interpretando la frase come una battuta, Bush si girò verso di lui, e sul suo
volto vide qualcosa che gli fece corrugare la fronte. Forse fu in procinto di
chiedergli se avesse scherzato, ma all’arrivo di qualcuno dietro di me scattò
sull’attenti, o meglio la versione da sbirro dello scattare sull’attenti.
All’improvviso MacAllister si fece serio e gli altri agenti si scostarono come
se fossimo diventati tutti contagiosi. Alle mie spalle c’era un loro superiore e,
anche se i poliziotti non avevano autorità su di me, ero pur sempre in una
stazione di polizia, la qual cosa significava che…
«Marshal Blake… Detective Rickman… Ho bisogno di parlarvi. Vi aspetto
tutti e due nel mio ufficio.»
Serio in viso, MacAllister si curvò a sussurrarmi: «Convocata nell’ufficio del
capitano la prima volta che metti piede qui dentro… Non hai perso tempo!»
«È normale per me», replicai prima di girarmi con espressione professionale,
sebbene con una mano sulla guancia, dove mi stava fiorendo un bel livido.
Avevo permesso a Rickman di picchiarmi per evitare isterismi collettivi a
proposito della licantropia di Devil e di Nicky, perché nulla può smontare le
accuse come un comportamento da bullo, per niente professionale. Be’, aveva
funzionato. Avevo un livido che destava simpatia e intendevo sfruttarlo per
scoprire se potesse assolvere a più di una funzione, nel caso in cui il capitano
fosse turbato dal fatto che avevo rotto una costola a uno dei suoi detective.
41
D perché lo zombie era già senza braccia, e gli spappolò il cranio mentre
quello cercava di azzannargli un piede.
Il rimbombo dello sparo fu doloroso nella gabbia metallica
dell’ascensore. Mi sembrò che qualcosa di duro e acuminato mi
sfondasse i timpani. Dotato di un udito molto più sensibile del mio e colto alla
sprovvista, Devil si curvò in avanti premendosi una mano sopra un orecchio, con
una smorfia di sofferenza sul viso. Gli lasciai il suo attimo di disorientamento e
scavalcai lo zombie senza braccia che cercava di alzarsi in ginocchio lasciando
quasi tutto il cervello sparpagliato sul fondo dell’ascensore.
Con l’AR imbracciato, mi appoggiai con una spalla alle porte dell’ascensore
per tenerle aperte e, nell’attesa di recuperare l’udito, scrutai il corridoio per
cercare di capire cosa stesse succedendo. Avevo imparato ad aspettare che il
disorientamento causato dalle detonazioni assordanti negli spazi ristretti
passasse, quindi rimasi a sorvegliare il corridoio mentre Devil combatteva il
dolore e lo shock.
Dapprima individuai la testa bionda di Nicky e il bianco cappello da cowboy
di Edward, tutti e due impegnati a sparare contro gli zombie. Poi ebbi una
visione d’insieme dello scontro. Il gruppo si era schierato a semicerchio dinanzi
agli ascensori, però la linea difensiva aveva quasi ceduto sulla destra, dove il
giovane Miller sanguinava, seduto contro la parete, e Mac gli comprimeva la
ferita al collo, col sangue cremisi che gli sgorgava tra le dita. Jenkins li aveva
sostituiti, armato soltanto di pistola, di cui agli zombie non fregava un cazzo.
Infatti due di essi lo aggredirono, assalendo il punto debole dello schieramento.
Maledettamente svegli per essere zombie!
Armato di una calibro 45, Gonzales sparò a bruciapelo in faccia a uno dei
due, fracassandogli il cranio e lasciandolo a brancolare alla cieca. Il cane della
rivoltella scarica scattò ripetutamente a vuoto quando si girò verso il secondo,
che lo assalì con espressione famelica e malvagia. Da non più di mezzo metro gli
sparai un proiettile frangibile che gli fece esplodere la testa in una fontana di
sangue e di materia cerebrale. C’erano anche schegge d’osso, però è sempre lo
spappolamento sanguinolento a creare l’effetto più spettacolare.
Grigiastro in viso, Gonzales mi fissò a occhi sgranati, e quell’occhiata fu
sufficiente. Aveva soccorso Jenkins e le due guardie pur sapendo di avere quasi
esaurito le munizioni.
Accanto a me, Devil sembrava ancora scosso e non aveva imbracciato l’AR.
Pur sapendo di non avere il tempo di fargli da balia, mi resi conto che non aveva
mai combattuto in quel modo. Conosceva la violenza, aveva avuto scontri a
fuoco e combattuto corpo a corpo sia in forma umana sia in forma animale, però
non si era mai trovato immerso in un caos del genere. Così lo considerai fuori
dal combattimento e cominciai a sparare agli zombie che tentavano di dilagare
attraverso la breccia nella difesa. M’impegnai a sparare per prima cosa alla metà
inferiore del viso, perché senza bocca erano parzialmente neutralizzati. Quando
fui aggredita da uno zombie con la faccia massacrata che non era più in grado di
mordermi, gli staccai una spalla e un braccio, ma con la mano che gli restava
avrebbe potuto strangolarmi o squarciarmi la gola, se fosse riuscito ad
afferrarmi.
Accanto a me sul lato opposto, Al esplose ancora alcuni colpi contro le mani
e le bocche spalancate degli zombie, prima che il carrello della sua calibro 45
rimanesse arretrato, rivelando che era senza munizioni.
Intanto Gonzales mi si affiancò impugnando un fucile a pompa e Devil si
riprese abbastanza per cominciare a distribuire armi e munizioni. Bene.
Quando vidi Al indietreggiare, sperai che fosse per prendere altre munizioni
oppure un’altra arma, e continuai a sparare contro tutto quello che si muoveva al
di fuori del nostro piccolo cerchio. Nicky era al mio fianco. Dopo avere sparato
in faccia a uno zombie, lasciò pendere l’AR dalla tracolla tattica per avere le
mani libere e afferrò lo zombie per una spalla e per un braccio. Coi muscoli
contratti tirò, strappandogli il braccio dalla spalla. Dato che lo zombie, morto da
poco, era ancora integro, in sostanza strappò un braccio a un uomo a mani nude,
e non soltanto perché era maledettamente forte, ma anche perché sapeva come
slogare una spalla. Forse in seguito gli avrei chiesto come diavolo facesse a
saperlo.
D’altronde quell’impressionante sfoggio di forza significava che Nicky aveva
esaurito le munizioni.
Tra Gonzales e me, Al impugnava di nuovo la calibro 45, che evidentemente
aveva ricaricato.
Indietreggiai, invitandoli a coprirmi se possibile, e loro chiusero la breccia.
Così permisi a Nicky di rifornirsi di caricatori e, non appena lui ebbe ricaricato
l’AR, tornammo in posizione di difesa.
«Scarico!» annunciò Edward nell’auricolare.
Indietreggiai di nuovo, aprendo una breccia che fu subito chiusa da Nicky e
dagli altri. Mentre Devil aveva i caricatori per le pistole, io avevo quelli per i
fucili. Come se ci passassimo il testimone della staffetta, consegnai un caricatore
a Edward, che subito lo inserì nell’arma. Poi tornammo entrambi a combattere e
io mi trovai tra lui e Nicky, accanto al quale Devil aveva finalmente iniziato a
sparare. Se fossimo sopravvissuti, gli avrei parlato a proposito di quanto tempo
aveva impiegato a orientarsi e avremmo dovuto progettare un programma di
addestramento per preparare al vero combattimento lui e gli altri bodyguard
inesperti. Per il momento bisognava soltanto sparare fucilate agli zombie per
spappolare loro le teste, staccare le braccia e le gambe… insomma, fare tutto il
possibile per immobilizzarli e renderli inoffensivi.
Di solito, quando si combatte, si è pieni di adrenalina e iperattenti. Talvolta
invece la battaglia diventa un monotono reiterarsi dei medesimi orrori e si
comincia a sparare senza pensare, col corpo che agisce in maniera quasi
automatica a causa del puro e semplice eccesso: troppi stimoli sonori e visivi,
troppe cose da vedere, udire, intuire, il sudore che scorre sotto il giubbotto, le
mani che dolgono a furia di sparare. Avrei cambiato arma soltanto per far
riposare le mani, tuttavia l’AR era lo strumento giusto per quel lavoro, e c’era un
sacco di lavoro da fare. Quando si è immersi in quella sorta di offuscamento da
battaglia tutto appare distante, i rumori e le voci sono come echi per le orecchie
assordate, tutto il corpo vibra nello sforzo di sparare, lottare, picchiare quando
gli avversari si avvicinano troppo e non resta altra possibilità. Si va oltre la
modalità di sopravvivenza, tutto è meccanico e spossante, cosparso di momenti
di terrore mozzafiato come gocce di cioccolato sopra una torta, a ricordare
quanto si desidera vivere e quanto bisogna impegnarsi a uccidere per riuscirci.
È proprio in momenti come questi che si possono commettere errori. Si vede
una faccia sconosciuta e si spara senza rendersi conto che non è un combattente,
perché ormai si è già ucciso troppo e si è ancora aggrediti da tanti avversari
decisi ad ammazzare, in un orribile combattimento mozzafiato, e soltanto in
seguito si pensa: Un momento! Mi è forse sfuggito qualcosa? Ho forse sparato
in faccia a qualcuno che non stava cercando di farmi fuori?
Se non si è mai stati tanto spossati e tanto traumatizzati dal puro e semplice
combattimento a oltranza, non si può capire come possano accadere cose del
genere. Per molta gente tutto ciò resta inesplicabile per mancanza di esperienza.
Se non ci si trova immersi tra i cadaveri e tra gli avversari che cercano di
afferrare, sbranare e massacrare con tutte le armi rimaste a disposizione, non si
capisce che arriva un momento in cui tutti quelli che non sono «noi» sono
«loro», e contro di «loro» si spara e basta.
Se non si è mai vissuto quell’istante di ottenebramento da battaglia, allora
non si capisce cosa stia succedendo. Ecco perché quando l’ascensore si aprì alle
nostre spalle io mi girai a guardare Devil, di cui mi sentivo responsabile, com’è
sempre giusto che sia quando si conduce un novellino al massacro.
Così vidi Devil puntare l’AR contro la SWAT in equipaggiamento completo e
seppi di non avere il tempo di gridare, senza contare che eravamo così assordati
che comunque Devil non mi avrebbe sentita neppure se avessi gridato. Vedere fu
agire. Una reazione sarebbe stata più lenta. Fu più di una reazione, perché fu il
corpo a precedere il cervello. D’istinto mi spostai davanti a Devil, tra lui e gli
agenti SWAT, che subito puntarono le armi contro di me.
Sollevando una mano a mostrare che non c’era problema, attirai l’attenzione
di Devil, il quale trasalì. In un attimo, nel vedere i suoi occhi rimettersi a fuoco e
riconoscere gli agenti SWAT che uscivano dall’ascensore, capii di non avere
sbagliato. Poi mi girai di nuovo per ricominciare a sparare, e di fronte a me non
trovai nulla. Il corridoio era pieno di zombie smembrati che si agitavano, capaci
al massimo di afferrare un piede con una mano mutilata. Era un incubo che non
poteva più nuocere, né uccidere.
«A quanto pare, siamo arrivati tardi», commentò Yancey, sollevandosi lo
schermo facciale. Se non avessi visto le sue labbra muoversi, non avrei capito.
«Non siete arrivati tardi. Dobbiamo ancora bruciare questi stramaledettissimi
bastardi figli di puttana.»
«Si rischierebbe di attivare gli ugelli spruzzatori o d’incendiare l’ospedale»,
osservò Yancey.
«Ugelli spruzzatori, sì. Incendio, no.»
«E come?» chiese Yancey, scettico.
Sogghignai, col viso tutto imbrattato di sangue e di carne di zombie, senza
che lui trasalisse. «Te lo mostro subito.»
Lanciando un’occhiata all’ammasso di cadaveri smembrati in cui eravamo
immersi fino alle ginocchia, Yancey sogghignò. «Non vedo l’ora.»
Mi piaceva Yancey.
47
L progettate per ardere per breve tempo e poi spegnersi. Infliggono danni
tali da scoraggiare i vampiri, i necrofagi, i licantropi e gli umani, ma
non gli zombie, che non si spaventano, non cedono al panico e non
rinunciano mai, per il semplice fatto che non sentono il dolore. Gli
scienziati stanno cercando di capire come mai gli impulsi nervosi permettano
agli zombie di camminare ma non di provare dolore. Se ci riuscissero, forse
potrebbero utilizzare la scoperta per restituire la capacità di movimento ai
paralitici, eppure resta tuttora un mistero. Infatti i corpi degli zombie, pur
essendo umani, almeno in origine, non si comportano come corpi dotati di
sistema nervoso umano. Per esempio, un arto troncato dovrebbe restare inerte,
anziché strisciare come un serpente mutilato.
Ammassati al centro del corridoio e circondati da granate al fosforo di
provenienza europea, i corpi smembrati degli zombie bruciavano. A differenza
delle granate americane, che esplodono e ardono rapidamente, quelle europee
dopo essere esplose avvolgono tutto quello che hanno accanto in un fuoco che
continua a bruciare finché trova alimento.
Non bisogna immaginare fiamme arancioni da caminetto. È fiamma al calor
bianco così vivida da danneggiare la retina o perfino accecare, se la si fissa
troppo a lungo. Perciò avevamo avvisato tutti di non guardare. Il calore era così
intenso che sembrava scorticarci anche se ci tenevamo tutti a distanza di
sicurezza dal mucchio di cadaveri smembrati.
«Il fuoco è sempre così luminoso quando brucia gli zombie?» chiese Yancey.
«No, è il fosforo», spiegai.
Il fetore di carne bruciata non è sempre così sgradevole. Talvolta sembra
odore di arrosto. Quello che lo rende «strano» è ciò che normalmente si rimuove
prima di cuocere la carne, cioè peli e organi interni. Comunque non sempre è
molto sgradevole e di solito gli zombie nel bruciare puzzano meno che nel
marcire. Cercai di ricordare l’odore della decomposizione, senza riuscire a
percepirlo. Forse avevo il fiuto temporaneamente anestetizzato, o forse gli
zombie non puzzavano troppo. Quelli che risveglio io non puzzano mai, neppure
se sono in putrefazione. Un vecchio risvegliante mi aveva spiegato che la magia
capace di richiamarli dalla tomba blocca temporaneamente la decomposizione, e
quindi anche il fetore che provoca.
Posai una mano su un braccio di Edward. «Ti è sembrato che gli zombie
puzzassero di decomposizione?»
Lui ci pensò, prima di rispondere: «No».
«E tu?» chiesi a Devil. «Hai avuto l’impressione che gli zombie puzzassero
come cadaveri putrescenti?»
Addossato a una parete, con gli occhi troppo spalancati alla luce del fosforo
che stava bruciando i cadaveri, Devil scosse la testa e tardò un po’ troppo a
girarsi per fissarmi, perplesso. Era sotto shock, però me ne sarei preoccupata più
tardi.
«Tu hai sentito puzza di decomposizione?» chiesi a Nicky.
«No. Però gli zombie non puzzano come i cadaveri putrescenti.»
«I miei no, e sono quelli che tu hai avuto modo di osservare.»
«È vero. Comunque ti sento spaventata. Perché?»
«Di solito gli zombie puzzano per quello che sono, cioè cadaveri, e l’intensità
del fetore dipende dal grado di decomposizione. I miei zombie non puzzano
perché io sono abbastanza potente da impedire che marciscano una volta
risvegliati. I vampiri putrescenti puzzano soltanto se lo vogliono. Hanno un
aspetto orribile, però non puzzano. I vampiri e gli zombie che abbiamo
combattuto nel bosco non puzzavano, vero?»
«No», confermò Nicky.
«Mi sta sfuggendo qualcosa», intervenne Yancey. «Perché lo stai dicendo
come se fosse una brutta cosa?»
L’allarme antincendio iniziò a ululare, ma noi, ancora parzialmente assordati
dalla sparatoria, lo udimmo come una lontana eco proveniente da una galleria.
Poi si attivarono gli spruzzatori, e i getti di acqua gelida alleviarono un poco la
fatica della battaglia. Era come se piovesse e io rimpiansi di non avere il casco,
che di solito invece detesto essere costretta a indossare quando eseguo un
mandato col sostegno della SWAT. Fui costretta a chinare la testa per evitare che
l’acqua mi offuscasse la vista e a tergermi il viso dal sangue e dalla poltiglia
degli zombie in modo che non mi scorresse negli occhi e in bocca. Sì, certo,
tenevo la bocca chiusa, eppure… Ci sono cose che a contatto con le labbra fanno
schifo, e le carni spappolate e sanguinolente degli zombie sono schifose.
Nonostante il fragore dell’acqua corrente, l’ululare dell’allarme, il ruggire del
fuoco simile a fiamma infernale al calor bianco e le orecchie parzialmente
assordate, udii il grido strozzato di Devil. Lo vidi freneticamente impegnato a
pulirsi il viso e compresi che non conosceva la regola degli idraulici e dei
cacciatori di mostri, cioè tenere la bocca chiusa. Si scostò barcollando dalla
parete, crollò in ginocchio e vomitò accanto alla pira ardente, innaffiato dagli
spruzzi degli ugelli. Allora andai ad accovacciarmi accanto a lui, cercai di
scostargli dal viso i capelli corti e sottili, e ci riuscii soltanto tirandoli indietro
ciocca per ciocca, perché erano fradici e incollati alla pelle. Lui mi lanciò
un’occhiata di traverso, con gli occhi stralunati, come un cavallo in procinto
d’imbizzarrirsi, poi vide qualcosa alle mie spalle e li spalancò per la paura.
Senza alzarmi, mi girai di scatto, imbracciando l’AR, e vidi esclusivamente il
fuoco bianco e i cadaveri smembrati che si torcevano come i tentacoli di un
polipo che tentasse di uscire dall’acqua bollente.
Mi girai di nuovo verso Devil, seguii con gli occhi la direzione del suo
sguardo, e vidi un braccio di zombie con una mano ancora integra strisciare sulle
dita verso di noi. Allora lasciai pendere l’AR dalla tracolla tattica, sfoderai la
Browning, sparai alla mano in modo che non si muovesse più tanto bene,
raccolsi il braccio e lo gettai nel fuoco.
Quando mi voltai di nuovo a guardarlo, Devil mi fissava con una sorta di
orrore, come se avessi fatto qualcosa di terribile. Sollevai la mano per
posargliela sopra una spalla, ma subito mi resi conto che forse non voleva essere
toccato da me con la stessa mano che aveva appena raccolto il braccio zombie, e
la lasciai ricadere. «Vai a vedere come sta Miller», gli dissi.
Lui annuì un po’ troppo rapidamente e un po’ troppo ripetutamente. «Mi
dispiace», dichiarò, in silenzio, muovendo soltanto le labbra.
Non gli domandai per cosa fosse dispiaciuto, perché lo sapevo. Anche se era
una mia guardia del corpo, restarmi accanto in quelle circostanze aveva spezzato
qualcosa dentro di lui. Restava da appurare se la frattura potesse essere saldata, o
se fosse permanente. Un tempo anch’io avevo vomitato sulla scena del crimine,
ma nello stesso periodo Edward mi aveva condotta ad affrontare le situazioni più
tremende e io ero riuscita a tenere duro. D’altronde, io ero io.
Appoggiandosi alla parete, Devil si rimise in piedi, fece un passo, e barcollò.
Subito lo sostenni, afferrandogli un braccio. Senza ritrarsi, nonostante la
tensione, lui mi sorrise debolmente, incerto. La sua capacità di sorridere e la sua
disponibilità a non allontanarsi da me mi sembrarono positive e promettenti. Nel
corso degli anni, altri miei amici e amanti si erano allontanati da me e non erano
più riusciti a riavvicinarsi.
Ancora un po’ tremante e malfermo sulle gambe, Devil andò verso
l’ascensore. Anche se avrei potuto farlo, decisi di non accompagnarlo. Visto che
era suo compito proteggermi, non spettava a me assisterlo. Non era per questo
che avevamo le guardie del corpo, e non avevo con lui un rapporto tale da
sentirmi obbligata a compensare quel genere di perdita. Potreste chiedere a quale
perdita io alluda. Be’, mi riferisco alla perdita della fiducia. Ormai non potevo
più confidare che mi spalleggiasse e che sapesse affrontare gli orrori della mia
vita. Il ricordo di quel momento, indelebile tanto per me quanto per lui, avrebbe
influito per sempre sulle future esperienze.
Edward mi si accostò. «Perché è un male se gli zombie e i vampiri non
puzzano?»
Gli sorrisi. Si poteva sempre contare con assoluta certezza su Edward quando
si trattava di tornare subito alle faccende concrete. «Significa che qualcosa o
qualcuno sta controllando quei resti, o almeno vi proietta abbastanza potere da
impedire che marciscano.»
Avvicinatosi a noi, Nicky parlò ad alta voce nel fragore dell’acqua e del
fuoco: «Eppure nel bosco, in montagna, i vamp e gli zombie imputridivano. Le
carni disfatte cascavano dalle ossa».
«Ho visto vampiri putrescenti decomporsi così e poi ricomporsi
integralmente e riacquistare forma umana come se non fossero mai marciti.»
«Come funziona?» chiese Yancey.
«Non lo so. So soltanto che funziona così, o che può funzionare così.»
«Vuoi dire che talvolta è diverso?»
Annuii. «I vampiri putrescenti sono speciali. Molte regole dei vamp a loro
non si applicano.»
«Quindi il vampiro che ha posseduto i vamp nel bosco è anche colui che
risveglia gli zombie?» domandò Nicky.
Stavo per rispondere affermativamente, ma mi trattenni. «Non lo so.» Se non
ci fosse stato Yancey, avrei esposto la mia teoria e mi sarei consultata con
Edward e con Nicky, ma non potevo prevedere con certezza dove saremmo
andati a parare, perciò…
«L’ascensore non funziona», annunciò Devil.
«Quando scatta l’allarme, scende al pian terreno e resta fermo in attesa che i
vigili del fuoco lo riattivino con una chiave speciale», spiegò Yancey.
«Avresti potuto dirlo subito», rimproverai.
Yancey scrollò le spalle.
«Lo sapevo anch’io», intervenne Edward.
«E non hai detto niente?» ribattei. «Perché?»
Edward si limitò a guardarmi in modo eloquente.
Allora mi rivolsi a Nicky, che aveva il ciuffo fradicio incollato alla faccia.
«Qual è la tua giustificazione?»
«Sono sociopatico. Non sono tenuto a essere gentile.»
Lo scrutai.
«Sei arrabbiata con lui, lo sento, perciò non sono tenuto a essere gentile con
lui.»
«Credevo che foste amici…»
«Cosa non ti è chiaro della parola ’sociopatico’?»
Gli ugelli smisero d’irrorarci. L’assenza improvvisa del fragore dei getti
d’acqua fu assordante e il mio corpo sentì la mancanza della pioggia gelida come
se vi si fosse abituato. Sentire me stessa ansimare mi rivelò di non avere l’udito
permanentemente danneggiato. Era bello saperlo.
Addossato alla parete, Devil si lasciò scivolare giù finché non fu seduto sul
pavimento con le ginocchia piegate. Le sue lacrime scintillavano alla luce
artificiale.
Nel guardare quelli che mi circondavano, mi resi conto che, pure se mi
avevano aiutata ad ammazzare e bruciare i mostri, non mi avrebbero aiutata
affatto a fornire sostegno emotivo. «Be’, cazzo…» mormorai, nell’avviarmi
verso Devil con l’intento di confortarlo. Percorrendo la breve distanza che ci
separava, tentai di apparire impassibile anziché irritata; innalzai ancora di più le
mie difese metapsichiche, perché talvolta Devil poteva percepire le mie
emozioni, e in quel momento non volevo che le sentisse, proprio come io non
volevo sentire le sue. In piedi accanto a lui, cercai di decidere cosa fare.
«Sapevi che stavo per sparare contro di loro», dichiarò Devil, senza
guardarmi. «Come l’hai capito?»
Tardai un poco a rendermi conto che si riferiva agli agenti SWAT. «Ho già
partecipato a battaglie di questo genere. È stato Ted a salvarmi.»
«So sparare bene, sono bravo nel corpo a corpo, ma questo non credo di
poterlo fare, Anita. Questo non è fare il bodyguard. Questa è guerra.»
«Sì, talvolta è quello che faccio.»
Devil mi guardò con occhi luccicanti di lacrime. «Non lo avevo capito.»
Mi accovacciai accanto a lui, chiedendomi se avesse bisogno di un abbraccio,
o se un abbraccio lo avrebbe fatto crollare completamente.
Fu lui a decidere per me, protendendo le braccia, e quando lo abbracciai posò
il viso sulla mia spalla e scoppiò in un pianto dirotto, con singhiozzi così violenti
da squassare ogni centimetro del suo metro e novanta scarso. Era forte, veloce,
coraggioso, tuttavia non sarebbe mai più stato una mia guardia del corpo.
Avevamo dovuto uccidere parecchi zombie. Come si sarebbe comportato se
avessimo dovuto affrontare umani, o licantropi, o vampiri? Il nostro buon
diavolo non era abbastanza duro per il mio lavoro.
Un movimento interruppe la serie di dolci frasi senza senso che stavo
mormorando per conforto sui suoi morbidi capelli biondi. In piedi a parlare con
Edward e con Yancey, Nicky intercettò il mio sguardo, e fu sufficiente. Non era
scosso. Aveva già combattuto battaglie simili in passato, come mercenario,
prima che l’ardeur mi permettesse di addomesticarlo. Ci scambiammo una lunga
occhiata, poi lui tornò alla conversazione e io a confortare Devil. Sapevamo
entrambi, io e Nicky, che Devil non avrebbe mai più lavorato con noi. Non era
un soldato, e non vi era nulla di vergognoso in questo. Tutti noi abbiamo le
nostre forze e le nostre debolezze. Semplicemente, io avevo bisogno di qualcuno
che fosse più… spietato.
Come se percepissero i miei pensieri, Nicky e Edward si girarono a
guardarmi. Forse Nicky li aveva percepiti davvero, perché era mio sposo. Invece
Edward… be’, talvolta i migliori amici intuiscono i pensieri reciproci.
Nell’osservarli capii che Edward si sarebbe trovato bene a lavorare di nuovo con
Nicky. Il suo viso era puro e semplice Edward, mentre Ted era svanito come un
sogno. La persona che mi stava osservando era la stessa che aveva minacciato di
torturarmi e di uccidermi quando ci eravamo incontrati per la prima volta, e lo
avrebbe fatto senza esitare, se il lavoro lo avesse richiesto. Ormai ero sua amica,
si preoccupava per me, sentiva la mia mancanza, confidava in me, eppure la
gelida spietatezza omicida era sempre presente in lui.
Nicky aveva la stessa espressione distaccata e gelida. Era capace di fare
quello che era necessario per sopravvivere e per portare a termine il lavoro,
quale che fosse, qualunque cosa comportasse, per quanto terribile.
Probabilmente era capace di fare cose che perfino io non avrei mai fatto.
D’altronde in certe circostanze un po’ di sociopatia è giusto per il mio mondo.
Avevo detto a Nicky che lo amavo e mi ero resa conto per la prima volta di
quanto lo amassi. Vederlo lì, assassino calmo, gelido, duro e impenetrabile come
pietra, non diminuì il mio amore, anzi, lo accrebbe.
Non ero mai stata innamorata di Devil, e nel tenerlo tra le braccia, mentre
piangeva, seppi che non lo avrei mai amato.
48
Q fermò.
Dato che volevo parlare con Jean-Claude finché mi era possibile,
avevo finito la mia scorta di pazienza. «Vogliamo soltanto andare in
camera nostra.»
Mentre il portiere ci squadrava da capo a piedi, l’espressione del suo viso
rivelò che non credeva affatto che avessimo una camera nel suo bell’albergo.
Probabilmente costava tanto che nessuno sbirro se la sarebbe mai potuto
permettere col proprio stipendio.
Quando Edward mi posò una mano sopra una spalla, mi resi conto di essere
avanzata di un passo verso il banco. «Calma», mi sussurrò.
All’improvviso avevo il cuore in gola. Mi sembrava quasi di soffocare. Cosa
mi stava succedendo? Annuii per assicurargli che avevo capito.
Col suo sorriso Devil rabbonì e rassicurò il portiere, mostrandogli la chiave
magnetica. Aveva visto le stanze mentre io ero a caccia di vampiri in montagna
con Nicky e Ares.
Pensare ad Ares mi provocò un’angoscia opprimente che, come ben sapevo,
avrei continuato a provare per qualche tempo. Se non altro, non era stato mio
amante. Me ne sentii sollevata, e subito mi rammaricai del mio sollievo, senza
per questo smettere di provarlo.
Avevamo a disposizione parecchie stanze perché Jean-Claude aveva affittato
un intero piano dell’albergo. Dunque avevamo potuto invitare Edward a restare
per la notte. Un letto c’era sicuramente, o almeno così aveva detto Devil; benché
non intendessi più averlo come aiutante nell’esecuzione di un mandato, ero certa
di potermi fidare quando riferiva a proposito delle camere e dello spazio per
dormire disponibile. C’erano molte persone cui mi affidavo per amministrare
certi aspetti della mia vita e in cui non avrei mai confidato per proteggermi,
proprio come coloro in cui confidavo affinché mi coprissero le spalle in
combattimento avrebbero fatto schifo come organizzatori o come amministratori.
Ognuno di noi aveva le proprie capacità.
Coi capelli ancora impastati di sangue e col sorriso che riservava di solito
agli approcci sessuali, Devil riuscì a rabbonire il portiere, che forse preferiva i
maschi, o forse semplicemente lo trovava simpatico. Non lo sapevo e non me ne
fregava granché, purché servisse a farci salire al più presto nelle nostre camere.
All’ascensore, Edward mi chiese di tenere aperta la porta mentre lui e Nicky
portavano dentro le borse piene di armi. Normalmente avrei insistito per aiutarli,
ma sarebbe stato un guaio se la porta si fosse richiusa con le armi dentro e noi
fuori. Così la tenni aperta mentre loro ammassavano il bagaglio, occupando
quasi tutto lo spazio a disposizione. Poi Edward tenne aperta la porta per
consentire di entrare a me e a Nicky, che mi cinse con un braccio senza che io
protestassi; anzi, mi strinsi a lui quanto più lo permetteva il giubbotto
antiproiettile, abbandonandomi al suo abbraccio e alla piacevole sensazione di
conforto che mi procurava. Non appena Devil ci ebbe raggiunti di corsa, Edward
entrò a sua volta lasciando che la porta si richiudesse.
«Il portiere si è offerto di aiutarci coi bagagli», annunciò Devil.
«Gli piacciono i maschi o sai affascinare anche senza implicazioni sessuali?»
domandai.
«Senza implicazioni sessuali…» Devil sogghignò. «A quanto pare, non sei
così stanca come credevo.»
Lo fissai, corrugando la fronte.
Nicky mi strinse un po’ più forte a sé, attirandosi un’occhiataccia analoga.
Il sogghigno di Devil si allargò, anziché spegnersi. «Sì, il portiere preferisce i
maschi.»
«Vuoi dire che forse lo vedrai più tardi?» chiese Edward.
«Niente di così impegnativo», assicurò Devil.
«E questo cosa vorrebbe dire?» domandai, in un tono che suonò irritato alle
mie stesse orecchie.
«Significa che non si è offerto, e al tempo stesso ha lasciato credere al
portiere che pure a lui piacciono i maschi», spiegò Nicky.
Sempre avvolta nel suo abbraccio, lo guardai dal basso, sentendomi una
bambina. Mi scostai subito da lui.
«Cos’ho fatto di male?» chiese Nicky.
«Come l’hai capito?»
«Flirtare per distrarre funziona allo stesso modo sia con le donne sia con gli
uomini, Anita.»
«Dunque l’hai fatto anche tu?»
«Quand’ero col mio primo branco di leoni sono stato usato come giovane
carino per distrarre qualcuno durante alcune missioni, perciò… sì.» Nicky
rimase impassibile e impenetrabile, nel suo modo tipico di nascondere ciò che
provava, quando provava qualcosa. Le torture e gli abusi lo avevano privato dei
sentimenti; o meglio i sentimenti che provava erano nascosti e alquanto perversi.
«Mentre sei sul lavoro, fai qualcosa di più che flirtare?» domandai.
«Non farlo», ammonì Edward.
Gli scoccai un’occhiataccia. «Che cosa?»
«Provocare le persone che ami perché hai finalmente un po’ di tempo senza
dover affrontare nessuna emergenza. Tutti i sentimenti che hai accumulato
stanno cercando uno sfogo e, se non lo troveranno, faranno a pezzi te e tutti
coloro che ti stanno intorno.»
Ci scrutammo.
Avrei voluto chiedergli quale persona cara avesse fatto soffrire, perché
sapevo che non si trattava di Donna e dei ragazzi. A chiunque si riferisse, era
stato prima che lo conoscessi. Se fossimo stati soli glielo avrei chiesto, e lui mi
avrebbe risposto soltanto se fossimo stati soli, o forse non avrebbe risposto
comunque, neppure a me.
La porta si aprì e Devil uscì per primo. Mentre Edward ispezionava il
corridoio, Nicky si parò dinanzi a me, nascondendomi alla vista, pur sapendo
che adesso che lo amavo la sua disponibilità ad assumersi il rischio di beccarsi
una pallottola al posto mio assumeva un significato del tutto nuovo.
Da un mormorio di voci maschili emerse distintamente una frase: «Spiacente,
ma sono gli ordini».
«Qualcosa non va?» domandai, reprimendo l’impulso a sporgermi dal corpo
di Nicky per sbirciare.
«Claudia è a capo dei bodyguard e pare che sia contrariata», rispose Edward,
tenendo aperta la porta dell’ascensore.
«Perché?» domandai. «Cosa abbiamo fatto?»
«Tu non sei nei guai», replicò Devil. «Noi sì.»
«Perché?» chiese Nicky.
«Per avere permesso che Anita fosse ferita, a quanto pare.»
«Quando lavoro, voi ragazzi non potete proteggermi.»
«Claudia è incaricata di provvedere alla sicurezza di Jean-Claude e di Anita»,
spiegò una voce maschile. «Quindi vi punirà tutti e due.»
«Lisandro, sei tu?»
Quando gli girai intorno, Nicky mi prese per mano anziché impedirmelo, così
uscimmo insieme dall’ascensore, tenendoci per mano.
«Sì, sono io.» Alto più di un metro e ottanta, ispanico, bello, coi lunghi
capelli neri raccolti in una coda di cavallo, Lisandro indossava giacca nera, T-
shirt nera, jeans neri e stivali neri. La giacca non nascondeva la pistola alla
cintura così bene come l’avrebbe nascosta se lui avesse avuto i fianchi meno
snelli e le spalle meno larghe, però Lisandro si allenava come tutte le altre
guardie, e con grande impegno, a differenza di Devil. Era di corporatura snella e
non sarebbe mai diventato grosso quanto Nicky, però aveva una gran bella
muscolatura, e nel combattere era più abile di quanto sembrasse. Eppure…
«Non dovresti lasciare la città per lavoro», osservai.
«Quando Jean-Claude ha deciso di partire, Rafael ha voluto le guardie
migliori. Claudia è il capo e io sono il luogotenente, perché siamo i migliori»,
dichiarò Lisandro senza affettazione e senza boria, come pura e semplice
constatazione.
Non replicai. Cosa avrei dovuto dire? Che, da quando aveva rischiato di
essere ucciso nel proteggermi durante una trasferta, non lo volevo più con me
perché non volevo trovarmi costretta a dire a sua moglie e ai suoi figli che era
morto per salvarmi la vita? O che, nell’affrontare la Madre di Tutte le Tenebre e
Morte d’Amour, l’emergenza mi aveva costretta a nutrire l’ardeur con lui, e sua
moglie aveva assicurato che non c’era problema, ma che se avesse fatto sesso
con me ancora una volta lei avrebbe divorziato e se ne sarebbe andata coi
ragazzi, e io non volevo assolutamente rischiare che tutto ciò accadesse?
«Ehi, questo significa che pure io sono uno dei migliori!» intervenne
Emmanuel, l’unico ispanico con gli occhi chiari che io abbia mai visto. In estate
si abbronzava, però mai quanto era abbronzato Lisandro normalmente. Aveva
meno di venticinque anni, anche se non avrei saputo precisare quanto, dunque
era uno dei nostri bodyguard più giovani.
«Devi esserti addestrato a nostra insaputa, perché l’ultima volta che ho
controllato non riuscivi a battermi in niente», ribatté Devil, sorridendo per
mostrare che scherzava.
«Be’, tu non te la sei cavata granché bene a proteggere Anita, vero?»
Fu una battuta, però colpì nel segno e Devil smise di sorridere; anzi, per un
attimo il suo bel viso si fece tanto serio che un rivolo di energia si disperse nel
corridoio a rivelare che era davvero incazzato. Le tigri dorate sono fiere del
dominio assoluto che di solito esercitano sulle loro bestie interiori.
«Ehi, mi dispiace», aggiunse subito Emmanuel. «Sono stato inopportuno.»
Era sinceramente imbarazzato, e ne aveva motivo.
«Dobbiamo affidare Anita alle guardie nel salone e poi scortare voi due da
Claudia. Non ho ordini per… marshal Ted», dichiarò Lisandro.
«Ho pensato che avessimo spazio per ospitarlo. Se ci sarà da combattere, sarà
meglio averlo con noi», spiegò Devil.
«Non posso certo obiettare a proposito del combattere. E abbiamo tutto il
piano per noi. Quindi possiamo accoglierlo.»
«Grazie», disse Edward con la voce di Ted, perfino sorridendo.
Lisandro lo fissò a occhi socchiusi perché sapeva esattamente chi era, mentre
Edward continuava a essere Ted per non rischiare di dimenticarsi di esserlo in
presenza degli sbirri.
«Non credevo che Claudia lavorasse fuori città», dichiarai.
«Non abbiamo avuto il tempo di richiamare Bobby Lee, e Fredo aveva un
impegno di famiglia, quindi eravamo disponibili soltanto io e Claudia.»
«Mi dispiace.» Nel dirlo, mi chiesi se Lisandro capisse per cosa mi scusavo.
Col bel viso bruno che si apriva in un sorriso luminoso, Lisandro commentò:
«Hai rischiato di morire e ti scusi perché abbiamo dovuto lasciare la città senza
preavviso…» E scosse la testa.
«Voglio le armi in camera con me», dissi. «Se saremo tutti armati, saremo più
pronti a reagire in qualsiasi momento.»
Nessuno replicò. Prendemmo le borse, e Lisandro ci precedette alla porta;
bussò con due colpi lievi e uno pesante, come un segnale. Erano tutti così alti e
grossi che non vidi chi aprì la porta; sono da sempre abituata a essere la più
piccola, soprattutto con le guardie del corpo. Lasciammo le borse accanto alla
porta perché erano un notevole ingombro anche se l’appartamento era grande.
Finalmente lo vidi. La sala era quasi interamente occupata dalle bare, che
lasciavano libero soltanto un corridoio dalla finestra al bagno. Jean-Claude
avrebbe potuto dormire nel letto, certo, ma molti vampiri antichi preferiscono
viaggiare con la bara. E poi, se durante il giorno una cameriera avesse aperto le
tende, casualmente o intenzionalmente, le conseguenze sarebbero state molto
brutte. Molte cameriere sono devotamente religiose e provengono da Paesi in cui
i vampiri non hanno diritti e possono essere ammazzati a vista, se ci si riesce
prima di essere massacrati. Semplicemente, non vale la pena rischiare. I vampiri
moderni viaggiano col sacco a pelo, che è molto più facile da trasportare. Le
bare sono per i vampiri assistiti dai servi umani e dai domestici, come Jean-
Claude. Alcune di quelle bare, infatti, erano per i servi.
Salutandolo con un bacio, lasciai che Nicky andasse con Lisandro a prendersi
una lavata di testa da Claudia per qualcosa di cui non era responsabile.
Comunque capivo la catena di comando abbastanza bene da sapere che lei si
sarebbe incazzata ancora di più se avessi interceduto per lui. Coi suoi due metri
scarsi, Claudia era la donna più alta che avessi mai conosciuto, ed era muscolosa
e larga di spalle in proporzione, eppure riusciva a essere femminile, pericolosa
ma bella. Senza trucco, con gli zigomi alti e coi lunghi capelli raccolti
solitamente in una coda di cavallo, come Lisandro, era una delle donne più belle
che avessi mai visto.
Mentre Edward con le sue borse piene di giocattoli pericolosi seguiva Nicky
e Lisandro, Devil si affacciò alla porta prima di seguirli a sua volta. «Sei sempre
intenzionata ad aiutarmi a lavarmi?»
Non mi fu possibile fare a meno di sorridere. «Certo.»
Con spinta lieve, Emmanuel lo cacciò. «Sei proprio un animale in calore!»
«Sì, hai indovinato!»
Quando la porta si fu chiusa alle loro spalle, mi girai a guardare oltre le
montagne dei nostri bagagli e le bare. Scoprii con quali bodyguard ero rimasta e
sorrisi.
La protezione di Jean-Claude era affidata a Wicked e a Truth, entrambi belli,
alti, coi capelli lunghi che cadevano sulle spalle larghe, lisci e biondissimi quelli
di Wicked, castani e un po’ ondulati quelli di Truth. Entrambi avevano una
profonda fossetta nel mento squadrato e virile. Quella di Truth si vedeva da
quando si era rasato l’ombra di barba che aveva sempre avuto prima, pur
sapendo che, come accade alla maggior parte dei vampiri, non gli sarebbe mai
ricresciuta. Benché tra loro vi fosse un anno di differenza, sembravano gemelli.
Non dubitavo che fosse stato Wicked a scegliere i completi che indossavano,
grigio chiaro per lui e grigio antracite per Truth, con camicia azzurra per
entrambi a esaltare l’azzurro degli occhi, rendendoli più azzurri di quanto li
avessi mai visti.
Nel guardarmi sembrarono per un momento l’uno l’immagine riflessa
dell’altro, poi Wicked sorrise, arrogante e beffardo, a dissolvere l’illusione,
perché Truth era di gran lunga troppo serio per sorridere così. «Non serve a
niente inviare bodyguard a proteggerti se insisti ad andare a caccia di mostri
senza di noi», esordì Wicked.
«Sei uno sciocco, fratello», commentò Truth, avanzando come un becchino
tra le bare. Sembrava di essere in un’impresa di pompe funebri!
«Avevo una guardia del corpo», replicai, con voce pacata.
«Sì, sono uno sciocco», ammise Wicked. «E mi dispiace molto per Ares.»
Quando Truth mi abbracciò, mi abbandonai alla sua forza e alla sua solidità.
Nel ricambiare il suo abbraccio trovai involontariamente le armi nascoste dalla
giacca, cioè le pistole nel sistema ascellare e la spada corta, lunga quanto il mio
busto, nel fodero sulla schiena, simile a quello in cui io portavo il pugnale lungo.
Il suo bagaglio conteneva sicuramente la spada lunga, la sua vera spada. Anche
per quella aveva un fodero da appendere sulla schiena, però non si poteva
nascondere sotto la giacca, come non si poteva nascondere la scure. D’altronde
le scuri sono come le mitragliatrici, servono per intimidire e per massacrare, non
si nascondono. Comunque aveva anche scuri piccole, e quelle da lancio in effetti
si potevano nascondere sotto la giacca, seppure a stento.
Mi piaceva che abbracciare Truth fosse sempre una sorta di corsa a ostacoli
con le armi nascoste. Probabilmente suscitavo la medesima sensazione ad alcuni
uomini della mia vita, anche se non ero sicura che a loro piacesse.
Stringendomi a sé, Truth mi accarezzò i capelli. Era uomo di poche parole,
quindi non si aspettava grandi discorsi dagli altri, e questa in certi momenti era
un’ottima cosa.
Interrompemmo l’abbraccio nello stesso momento. Guardandolo in viso
scoprii che i suoi occhi sorprendentemente azzurri erano diventati più grigi, e
capii che erano mutati perché era triste, o sentiva che io lo ero. Succede così con
gli occhi grigio-azzurri.
Avvicinatosi, Wicked dichiarò, col bel viso estremamente serio:
«Comprendiamo cosa significa essere costretti a uccidere un amico e un
compagno d’arme, Anita».
Sapevo che diceva sul serio. Secoli prima il capostipite della loro stirpe, la
loro sourdre de sang, era impazzito ed era stato posseduto da una frenetica
brama di sangue che aveva contagiato tutti i vampiri da lui creati, tranne Wicked
e Truth, i quali avevano giustiziato tutti i vampiri della loro stirpe, una stirpe di
guerrieri, prima che i carnefici del Consiglio dei Vampiri arrivassero a eseguire
le sentenze di morte.
Passai un braccio intorno ai fianchi di Wicked, senza lasciare Truth con
l’altro, e loro abbracciarono me. Fu Wicked a chinarsi per baciarmi. Era lui il più
audace in certi ambiti.
«La Madre Tenebrosa non ci ha mai concesso simili libertà.»
Ci girammo proprio verso uno dei carnefici inviati a eseguire quelle sentenze
di morte, tanto tempo prima. Era Mischa, un sicario dell’Arlecchino che per
secoli aveva portato la maschera e il nome di Graziano, il personaggio del
Dottore, uno dei «vecchi» della Commedia dell’Arte. Gli unici a vedere il suo
vero volto erano stati coloro che aveva spiato o che aveva ucciso, l’ultima cosa
vista in questo mondo da migliaia, o forse milioni, di vittime. Alcuni sicari
dell’Arlecchino avevano più di duemila anni, un periodo nel corso del quale è
possibile mietere una quantità impressionante di vite. Molti erano come le vere
spie, cioè individui così comuni e così perfettamente inseriti nell’epoca e nel
Paese in cui agiscono da risultare invisibili. Infatti le vere spie non sono come
James Bond e non hanno nessun desiderio di spiccare né di attirare l’attenzione.
Se si è così famosi che i baristi di tutto il mondo sanno che si preferisce il
Martini agitato e non shakerato, come il Bond vecchia maniera, allora non si è
una spia, bensì uno specchietto per allodole inviato ad attirare l’attenzione in
modo che le vere spie possano agire nell’ombra indagando o assassinando
furtivamente per poi scomparire.
Col suo metro e ottanta abbondante, Mischa era alto come sicario
dell’Arlecchino, con capelli simili a quelli di Wicked, folti, lisci, biondi, però di
un biondo platino anziché oro, perché era più antico e la luce del sole non li
sfiorava da oltre mille anni. I suoi occhi erano azzurri come i cieli estivi, eppure
non erano caldi, bensì gelidi. Senza dubbio era stato reclutato dall’Arlecchino
dove quei capelli biondi e quegli occhi azzurri erano parsi ordinari e non
avevano attirato l’attenzione, tipo un Paese scandinavo.
«Anita è una padrona più gentile della Madre di Tutte le Tenebre», replicò
Truth.
«Geloso?» domandò Wicked.
«La padrona di tutti noi non dovrebbe essere gentile, dovrebbe guidare.»
«Anita ci guida ovunque sia necessario andare», dichiarò Truth.
«Lo sai bene anche tu», aggiunse Wicked. «Semplicemente sei geloso perché
noi godiamo del suo favore e tu no.»
«Questo non è vero, e tu lo sai. Dici queste cose soltanto per cercare di farmi
arrabbiare.»
«Io stesso ero geloso delle guardie che godevano dei suoi favori, prima di
essere accolto nel suo letto», confessò Wicked.
«Questo vale per te. Io sono di stoffa più robusta.» Mischa si allontanò dalla
porta che aveva alle spalle, che doveva essere quella del bagno.
«Non mi hai ancora sconfitto nella scherma, né mi hai superato nel tiro al
bersaglio con la pistola», ricordò Wicked.
Arrossendo, Mischa strinse i pugni con le braccia lungo i fianchi. Per essere
un vampiro molto antico, era sorprendentemente suscettibile alle provocazioni.
Molti vampiri antichi hanno un dominio delle emozioni spaventoso, quasi…
inumano. «Vi ho superati entrambi col coltello e col fucile.»
«Comunque non hai superato nessuno di noi due con la spada e con la
pistola», insistette Truth. «E rifiuti di misurarti con me nell’uso della scure.»
Non si sarebbe immischiato se lo stesso Mischa non li avesse chiamati in causa
entrambi. Di rado era lui a iniziare uno scontro, però era sempre lui a finirlo.
Una volta coinvolto, dava importanza al risultato. Invece Wicked era più incline
a provocare e poi a lasciar perdere con una risata, senza curarsi di chi avesse
vinto o perso, almeno di solito.
«Perfino io ti ho superato con la pistola», intervenni.
«Tirare al bersaglio non è come combattere», sentenziò Mischa.
«Sparo benissimo in combattimento», ribattei.
«Il tiro che ti ho visto eseguire nel filmato trasmesso dal notiziario mi ha
molto impressionato», confessò Mischa, quasi addolorato. «Non ti avrei mai
creduta capace di compierlo.»
«È stato necessario, perciò l’ho fatto.»
Mischa annuì. «La necessità non assicura la capacità, Anita Blake. Che tu ne
sia stata capace in condizioni tanto difficili è stato… impressionante.»
«Eppure detesti riconoscerlo», osservò Wicked.
«La nostra Madre Tenebrosa era un’arma essa stessa», ricordò Mischa,
scoccandogli un’occhiata ostile. «Non aveva bisogno di armi di nessun genere e
si addestrava con noi. Era molto più pericolosa di quanto chiunque di noi
avrebbe mai potuto essere.»
«Allora questo significa che Anita è più pericolosa di tutti i sicari
dell’Arlecchino superstiti?» chiese Wicked.
«No», rispose Mischa, quasi sputando quell’unica sillaba.
«Hai detto che la Madre di Tutte le Tenebre era più potente di chiunque di
voi. Non credi allora che lo sia anche colei che l’ha uccisa?» domandò Truth.
Mischa scosse la testa.
«Discutono tra loro di come sia possibile che una donna meramente umana
abbia potuto annientare la loro Madre Tenebrosa.» Dalla camera da letto arrivò
un uomo più grande e più grosso di Mischa, alto quasi un metro e novanta, spalle
larghissime, corti capelli castani ricci e scompigliati, occhi di un cupo castano-
rossiccio che sembravano umani senza esserlo affatto. Erano occhi di orso, un
grosso e antico orso delle caverne. Era Goran, già orso mannaro quando le
principali città del mondo non erano che piccoli spiazzi per la vendita di
bestiame, e Mischa era ancora più antico. Se avessi abbassato le mie difese per
percepirli con la mia negromanzia, la loro antichità mi avrebbe fatto dolere le
ossa.
«Non esiste un solo essere umano in questa camera», dichiarai. «Dov’è Jean-
Claude?»
«Nella stanza attigua, al telefono», rispose Wicked, con una strana
intonazione quasi impercettibile. Evidentemente Jean-Claude stava parlando con
qualcuno che, chiunque fosse, non gli piaceva.
Invece Mischa non aveva nessun problema a dichiarare a voce alta cosa non
gli piaceva. «Il nostro signore e padrone è al telefono col sodomita che lo ha reso
schiavo della fica.»
«Sodomita?» chiesi.
«Si riferisce ad Asher», spiegò Wicked. «Se fossi in te, Mischa, non mi farei
sentire da Jean-Claude a parlare così del suo amato.»
«Un momento!» intervenni. «Se il significato del termine non è cambiato,
come può un sodomita rendere schiavi della fica?»
«Il significato del termine non è affatto cambiato.» Truth lanciò un’occhiata
ostile al sicario dell’Arlecchino. «Sta soltanto cercando di essere sgradevole.»
Mi avvicinai al vampiro antico e all’orso mannaro che era suo compare.
«Alla faccenda della sodomia non posso obiettare, ma non avresti dovuto dire
piuttosto ’schiavo del cazzo’?»
Accortosi che mi stavo burlando di lui, ma incerto sul come, Mischa mi fissò
con ira. Avevo notato che quasi tutti i vampiri antichi hanno difficoltà con certe
forme del linguaggio moderno, come il gergo, o come il turpiloquio, che non si
trasferisce facilmente da una lingua all’altra.
Avevo Truth alle mie spalle, e Wicked si era spostato tra le bare lungo il lato
opposto del tavolo enorme che occupava gran parte della sala. Un divano e un
tavolino erano stati addossati a una parete per fare posto alle bare. Il cucinotto
non si poteva spostare, quindi occupava lo spazio che occupava.
«È imbarazzante per tutti noi che il nostro Tenebroso Padrone stia
implorando quel sodomita di tornare a St. Louis.»
«Ti ho permesso di chiamarlo così una volta e ti ho già detto che non mi
piace, ma forse sono troppo stanca per farmi capire senza essere più esplicita.»
«Tu stessa hai ammesso di non poter respingere l’accusa di sodomia», ribatté
Mischa.
«Quello che ciascuno di noi fa in privato non ti deve riguardare, se non sei
nostro amante. E, dato che non lo sei, perché t’importa quello che facciamo o
con chi lo facciamo?»
«È un insulto per tutti noi che colui che consideriamo nostro principe si lasci
maltrattare così da un altro uomo.»
Fissandolo, corrugai la fronte. «Dunque ti consideri offeso perché pensi che
Jean-Claude si faccia mettere sotto da Asher?»
Mischa annuì. «Questa non è l’espressione che avrei usato io, però è molto
precisa, date le circostanze.»
Sorrisi, rischiando di scoppiare a ridere, ed ero troppo stanca per non dire
quello che pensavo. «Be’, se questo è quello che ti preoccupa, allora puoi
smettere di preoccuparti. Jean-Claude non si fa affatto mettere sotto da Asher, sta
sempre sopra!»
«Vuoi dire che Jean-Claude è attivo e non passivo?» replicò Mischa, senza
capire che avevo alluso al BDSM.
«Se vuoi metterla così, sì», risposi. Almeno quando sono con loro, mi dissi.
Non sapevo se invertissero i ruoli quand’erano soli. Comunque era affar loro e
non ero sicura che mi desse fastidio. In verità, anche se non li avevo mai visti
scambiarsi i ruoli, questo non voleva dire che… Oh, al diavolo! Ero troppo
stanca per crucciarmi di qualcosa che ormai non m’impensieriva più. «Sai una
cosa, Mischa? Gli uomini mi piacciono, mi piace guardare gli uomini che amo
stare insieme, sapendo che poi tutta quella forza e tutta quella bellezza saranno
consacrate a me, perciò piantala di fare l’omofobo. Sono troppo stanca per
pensare a queste stronzate.»
Non so cosa avrei aggiunto, perché in quel momento la porta fu aperta e
Jean-Claude entrò. Mischa ci guardò e quello sguardo fu sufficiente. Non
avrebbe mai rivelato a Jean-Claude quello che aveva appena detto a me, e il fatto
che fosse disposto a dirlo soltanto a me manifestava mancanza di rispetto nei
miei confronti. Aveva paura della reazione di Jean-Claude, non della mia. Così
archiviai nella memoria questa consapevolezza con l’intenzione di servirmene in
futuro, all’occorrenza, quando non fossi più stata esausta e tutta imbrattata di
sangue e di carne di morti che avevo contribuito a rendere ancora più morti.
Nel vedermi, Jean-Claude sgranò gli occhi. «Mi rendo conto che sei stata
molto impegnata stanotte, ma petite…» Aveva l’accento più marcato del solito,
quindi stava tentando di celare forti emozioni senza riuscirci del tutto, e io
apprezzavo lo sforzo perché sapevo che intendeva dire qualcosa come: Sei tutta
imbrattata di sangue e anche di peggio, quindi ti sei trovata in un tremendo
pericolo e probabilmente hai rischiato di morire… ancora una volta! Come puoi
continuare a rischiare la vita così quando io ti amo tanto? Invece di alterarsi e di
provocare un litigio, mi si avvicinò, scivolando sul pavimento e porgendo le
mani con gesto armonioso, come se intendesse invitarmi a danzare.
Fu uno di quei momenti in cui mi sentivo molto ordinaria, o magari sgraziata.
Nell’attività fisica avevo buone capacità, coordinazione, velocità, però non avrei
mai potuto rivaleggiare con la grazia e con la raffinatezza di movimenti che
erano caratteristiche di Jean-Claude, il quale aveva su di me il vantaggio di
troppi secoli di esercizio e di esperienza, e in quel momento li stava
manifestando quasi del tutto. Allora finalmente compresi che forse il timore per
la mia incolumità non era l’unico sentimento profondo che stava tentando di
mascherare.
Quando mi prese tra le braccia, non riuscii a capire se la sua conversazione
con Asher fosse andata bene o male. Mi alzai in punta di piedi mentre lui si
chinava, e nel momento in cui le nostre labbra si toccarono percepii la sua
eccitazione. Dapprima ci baciammo in modo tenero e casto, come al solito in
presenza di bodyguard al nostro servizio da poco tempo; poi in modo sempre più
appassionato, tanto da costringermi a impedire che mi ferisse con le zanne.
Interrotto il bacio, rimasi a fissare Jean-Claude quasi stupidamente, sorridente e
senza fiato. Ero piena di energia, stordita e troppo felice, non per effetto dei
poteri vampirici bensì per il puro e semplice effetto che lui esercitava su di me.
Come non capitava quasi mai, Jean-Claude scoprì le zanne in un gran sorriso.
Il suo evidente compiacimento mi rivelò allora che la conversazione con Asher
era andata bene, anzi, meglio.
«È quasi l’alba, mio signore», avvisò Mischa, con voce che trasudava
disprezzo. «Non c’è tempo per il sesso.»
In silenzio, Jean-Claude lo fissò, e quello sguardo fu sufficiente.
Nell’inchinarsi profondamente, Mischa fece ondeggiare un braccio a sfiorare
il pavimento in modo tale da suscitare quasi l’illusione di vedergli in mano un
cappello piumato. Tutti i sicari dell’Arlecchino manifestavano profonda
obbedienza con gli inchini e coi gesti. Molti, come Mischa, avevano anche il
dono di farlo esclusivamente dopo un insulto, oppure in modo sprezzante.
Valeva la pena sopportarli soltanto perché erano bravi quasi quanto credevano di
essere, tanto bravi che Claudia ne aveva scelti alcuni quando aveva ritenuto di
dover scegliere i migliori.
In pochi istanti Jean-Claude riacquistò il perfetto autocontrollo sviluppato nel
corso dei secoli. «Spiegami una cosa, Mischa…» esordì, in tono pacato. «Come
hai fatto a sopravvivere con la Madre di Tutte le Tenebre pur essendo tanto
sprezzante?»
Anche se si tradì con una contrazione delle spalle quasi impercettibile,
Mischa rispose con voce profonda e quasi priva di emozione: «Il suo
apprezzamento per le mie qualità di assassino e di spia travalicava ogni
meschina considerazione di sensualità e di orgoglio ferito».
Fu un altro insulto, forse perfino una minaccia, e io non fui l’unica a
pensarlo, perché Wicked e Truth ci affiancarono, non tanto da interporsi tra noi e
loro, ma per essere pronti a farlo se necessario.
«V’illudete davvero di poter vincere in un vero combattimento fuori dal
campo di addestramento?» chiese Mischa.
«Sì», risposero Wicked e Truth, all’unisono, pronti a sfoderare le armi.
Allora mi sciolsi dall’abbraccio di Jean-Claude per imitarli.
Da un punto di vista razionale Mischa si stava comportando di merda, la qual
cosa era tipica di lui; tuttavia le risse sono provocate di rado dalla razionalità.
«Mischa… Goran…» Jean-Claude accennò con la testa all’orso mannaro.
«Apprezzo molto le vostre capacità, altrimenti vi avrei lasciati entrambi a St.
Louis. Tuttavia non le apprezzo fino al punto di subire insulti. Dunque ti chiedo
chiaramente, Mischa, se intendevi minacciarmi…»
«No, mio signore, niente affatto», assicurò Mischa, con un tono di voce che
rivelava un contrasto interiore tra dichiarazione e sentimento.
«Dunque ammetti di esserti espresso in maniera imprecisa», aggiunse Jean-
Claude, con voce pacata, perfino cordiale.
Come tutti ci aspettavamo, Mischa disse: «No».
«Quindi mi hai minacciato.»
Mischa sembrò confuso. «No, mio signore, non…» Parve rendersi conto di
quello che aveva detto e concluse la frase molto goffamente: «Non di
proposito…»
«Goran, il tuo master è altrettanto deludente come spia?»
«No, mio signore Jean-Claude.» Forse in virtù di parecchi secoli di esercizio,
Goran s’inchinò in modo non meno elegante di Mischa, contrariamente a quanto
ci si potesse aspettare, dato che era molto più grosso di lui, e nell’inchinarsi non
riuscì a celare del tutto un sorrisetto divertito.
Con le braccia lungo i fianchi e i pugni serrati, Mischa si stava evidentemente
sforzando di dominarsi, cosa strana in un vampiro tanto antico, che in quanto
tale avrebbe dovuto possedere un autocontrollo assoluto. Era così da quando lo
avevo incontrato per la prima volta, a differenza degli altri sicari
dell’Arlecchino, tutti flemmatici, impenetrabili come se fossero privi di
sentimenti propri, tanto da risultare ancora più inquietanti dei vampiri «normali».
«Senza dubbio, tu e molti altri dell’Arlecchino siete scontenti che io sia il
vostro nuovo signore e master. So che la Madre Tenebrosa v’incaricava di spiare
i vampiri che giudicava abbastanza potenti da essere consiglieri o da costituire
una minaccia, e sono pronto a scommettere di non essere mai stato tra costoro.
Lei non mi ha mai considerato una minaccia né un rivale per nessuno, figurarsi
per lei stessa. È così, vero?»
«Sì, mio signore», confermò Mischa.
Goran sorrise. «È stato un gioco di pazienza e di sotterfugio degno di uno di
noi.»
«Un bel complimento», apprezzò Jean-Claude.
Corrugando la fronte, Mischa li scrutò entrambi.
«Ebbene, Mischa, spiegami che cosa ti preoccupa maggiormente, se essere
sottoposto all’autorità del concubino di Belle Morte, o sapere che nessuno
dell’onnisciente Arlecchino mi ha mai considerato tanto potente da essere degno
di attenzione, se non quand’è stato troppo tardi…»
«Li hai indotti a chiedersi cos’altro potrebbero essersi lasciati sfuggire»,
rivelò Goran, sempre sorridendo. «E questo mina il loro senso di superiorità.»
Con velocità accecante, Mischa si girò e lo colpì in viso. Io vidi soltanto
Goran barcollare all’indietro, sputando uno scarlatto getto di sangue. L’istante
successivo Truth afferrò il braccio di Mischa prima che con un manrovescio
potesse picchiare di nuovo l’orso mannaro, poi parò un cazzotto e rispose con
una ginocchiata. Così lo scontro cominciò.
Si batterono con l’intento di uccidere, scambiandosi colpi e parate con
rapidità fulminea, quasi invisibili all’occhio. Eppure fu come in addestramento,
perché nessuno dei due riusciva a entrare nella guardia dell’altro. Nel momento
in cui Goran tentò di portarsi alle spalle di Truth, Wicked intervenne e un altro
scontro spaventoso si scatenò nello spazio ristretto della sala ingombra di bare.
Perché i bodyguard presenti in corridoio non accorsero? Forse perché il
combattimento si svolse in modo tale che nel silenzio dell’ambiente si udirono
esclusivamente rumori che non si sentono mai nel corso di uno scontro fisico,
cioè i tonfi delle percosse, le violente espirazioni, il frusciare degli indumenti e
lo strisciare delle scarpe sulla moquette.
Mentre Jean-Claude rimaneva a guardare, io mi chiesi che cosa fare. Tutti e
quattro erano nostri bodyguard, suoi bodyguard, e si stavano battendo tra loro.
Se si fossero feriti a vicenda, saremmo rimasti di nuovo a corto di bodyguard. Se
fossi stata sola, forse avrei tentato d’interrompere la rissa; tuttavia era presente
Jean-Claude, il re, il presidente, il capo di tutti i vampiri. Se non interveniva lui,
era forse compito mio provvedere? Oppure dovevo attendere? Ma attendere
cosa? E, se avessi deciso d’intervenire, come avrei potuto fare?
Tirando un calcio circolare nello spazio angusto, Mischa rovesciò
involontariamente una bara, poi esitò, vacillando, e così fornì a Truth l’occasione
di piegarlo in due con un montante al plesso solare e di farlo girare su se stesso
con un gancio al viso. Mentre Mischa crollava sopra una bara, Lisandro ed
Emmanuel spalancarono la porta, irrompendo nella sala ad armi spianate.
Sollevai una mano per segnalare loro di non sparare, ma non fu necessario. Nel
silenzio improvviso si udivano soltanto i respiri affannosi dei combattenti. Goran
giaceva sulla moquette, Mischa era steso immobile sulla bara. In piedi, Wicked e
Truth ansimavano, come accade di rado ai vampiri, che non sempre respirano.
Dunque vincere era stato faticoso. In ogni modo, avevano vinto, e per giunta
avevano tramortito i loro avversari, un’altra cosa che accade di rado, sia coi
vampiri sia coi licantropi. Per questo sogghignavano felici e feroci. Wicked
mostrava addirittura le zanne, come non gli avevo mai visto fare, e sicuramente
anche Truth, benché non potessi vederlo perché mi mostrava la schiena. Il
sangue sul viso di Wicked rivelava che Goran aveva messo a segno almeno un
colpo.
«Wow», commentò Emmanuel.
«Fiuto che Goran è ancora vivo», dichiarò Lisandro, con la pistola puntata
alla moquette. «Mischa, invece?»
Non avevo pensato che, nel lottare, i vampiri si sarebbero potuti uccidere a
vicenda, spezzandosi la spina dorsale. Perciò domandai: «Mischa è troppo antico
e potente per morire con la spina dorsale spezzata, vero?»
Lisandro scrollò le spalle.
Guardai Jean-Claude, che sospirò e avanzò.
Quando Truth accennò a curvarsi su Mischa come per accertarsi che il cuore
pulsasse, ordinai: «No!»
Indietreggiando, Truth mi guardò. «Cosa c’è che non va?»
«A parte il fatto che potresti avere ucciso una delle nostre guardie del
corpo?»
«Sì, a parte questo», ribatté Truth, anche se ebbe il buon gusto di mostrarsi
imbarazzato.
Sfoderai la Browning e premetti la canna contro la tempia di Mischa.
«Controlla pure i segni vitali, adesso.»
Un po’ perplesso, Truth obbedì.
Come si fa in combattimento, non guardai la testa di Mischa, perché se si
fosse mossa l’avrei sentito. Invece guardai il baricentro del corpo, da cui parte il
movimento delle membra. Se il baricentro resta immobile, null’altro si muove.
Così vidi una mano contrarsi, anche se non sulla pistola nella fondina. «Non
muoverti, Mischa. Neanche di un centimetro», intimai a voce bassa e circospetta,
con l’autocontrollo che derivava dall’esperienza e dall’esercizio. Quando si ha la
canna di una pistola puntata alla tempia di qualcuno, col dito sul grilletto,
bisogna avere il controllo per evitare che una contrazione involontaria faccia
esplodere il cervello di quel qualcuno.
«Come hai capito che fingeva?» chiese Truth.
«Sono una cacciatrice di vampiri, ricordi?» Ciò detto, aggiunsi: «Adesso
Lisandro ti disarma, Mischa. Riavrai la pistola quando ti sarai calmato».
«Posso disarmarlo io», propose Truth.
«No, tu non puoi, perché altrimenti potrebbe cercare di ammazzarti e io sarei
costretta a sparargli.»
«Goran sta riprendendo conoscenza», annunciò Wicked.
«Goran… Mi senti?» chiese Jean-Claude.
«Ti sento, mio signore», rispose Goran, con voce un po’ tremante e al tempo
stesso troppo profonda a causa dei residui di testosterone extra prodotto durante
il combattimento.
«Questo scontro è terminato. Hai capito?»
«Ho capito.»
«Adesso Lisandro disarmerà il tuo master, per impedire che agisca in modo
sconsiderato.»
Attraverso la pistola, percepii le lievi contrazioni muscolari quando Mischa
assicurò prudentemente: «Non sarà necessario. Sono del tutto calmo».
«Un attimo fa stavi per sparare a tradimento a Truth», accusai.
«Ci ho pensato, ma la tua pistola contro la mia testa mi ha dissuaso.»
«E, se togliessi la mia pistola, cosa ti dissuaderebbe?»
«Sono irascibile, ma il tuo gelido acciaio ha raffreddato il mio fuoco.»
«Bel discorso, ma come faccio a sapere che poi non avvamperai di nuovo?»
«Mischa», intervenne Jean-Claude.
«Sì, mio signore…»
«Voglio la tua parola d’onore che in nessun modo e con nessun mezzo
tenterai di vendicare questo incidente su Truth o su Wicked.»
Allora Mischa sprofondò in una immobilità così assoluta che percepii il
mutamento attraverso la canna della pistola contro la sua tempia. Sapevo che, se
avessi osato distogliere lo sguardo dal suo baricentro per spostarlo sul suo viso,
avrei visto l’impenetrabile vacuità che i vampiri antichi assumono insieme con
quella immobilità che li fa sembrare statue.
«Voglio la tua parola, Mischa», ripeté Jean-Claude.
«Se rifiutassi?»
«Allora ma petite porrebbe fine a questa discussione.»
«La mia morte priverebbe anche Goran della vita.»
«Sarebbe un peccato perderlo per un motivo tanto stupido, tuttavia era
consapevole dei rischi quando si è gettato nella lotta al tuo fianco.»
«Truth ha impedito a Mischa di picchiarti una seconda volta», ricordò
Wicked. «Perché ti sei battuto al suo fianco?»
«È il mio master», disse Goran, come se ciò spiegasse ogni cosa.
«Le mogli aggrediscono i poliziotti che cercano di arrestare i mariti violenti
che abusano di loro», spiegai. «Questo è uno dei motivi per cui gli agenti
detestano rispondere alle chiamate per violenza domestica.»
«Perché una vittima dovrebbe aiutare il proprio carnefice?» chiese Truth.
«Non lo so, però succede così.»
«Il demone che si conosce è preferibile al demone che non si conosce»,
sentenziò Jean-Claude. «Mischa, voglio avere la tua parola, così poi potremo
andare tutti a dormire.»
Nell’udire quel discorso, sentii su di noi la pressione dell’alba come una
mano gigantesca esitante sopra una farfalla, con la differenza che noi eravamo le
farfalle e sapevamo cosa stava per succedere.
Finalmente Mischa diede la sua parola.
«Puoi rinfoderare la pistola, ma petite. I vampiri della vecchia scuola possono
essere molte cose, ma non rompono le promesse.»
Esitai per un istante, pur sapendo che aveva ragione. È uno dei pochi motivi
per cui è preferibile trattare coi vampiri antichi anziché coi moderni, i quali, più
deboli, mentono con la stessa facilità degli umani, e così la loro parola non vale
un cazzo.
Tolsi il dito dal grilletto e abbassai la pistola, lasciando l’impronta della
canna sulla tempia di Mischa, così profonda che se fosse stato un umano gli
sarebbe rimasto un livido. Indietreggiai prima di guardarlo negli occhi azzurri, in
cui vidi rispetto e perfino ammirazione, anziché la rabbia che mi aspettavo. Non
lo avevo previsto.
«Posso alzarmi?» domandò Mischa.
«Puoi», rispose Jean-Claude.
Immobile, Mischa guardò me.
«Hai sentito il tuo signore e master», dichiarai.
«Lui non mi ucciderebbe, tu sì.»
«Non ti sparerebbe. Non è la stessa cosa che non ucciderti.»
«È giusto, mia tenebrosa regina, ma tu hai la pistola e lui no.»
«Alzati, e non fare stupidaggini.»
Con circospezione, Mischa si alzò a sedere senza mai distogliere lo sguardo
da me. «Mi avresti ucciso…»
«È il mio lavoro.»
«Mi avresti ucciso semplicemente per timore che potessi nuocere a Truth. È
ben diverso che giustiziare con un mandato di esecuzione qualcuno che si è già
reso colpevole di omicidio. Dunque consideri Truth come amante più prezioso di
quanto pensassimo, oppure lo avresti fatto per proteggere qualunque altra vostra
guardia del corpo?»
«Non punto la pistola contro qualcuno se non sono decisa a premere il
grilletto, e non premo il grilletto se non sono decisa a uccidere. Non bluffo mai,
Mischa. Ci siamo capiti?»
«No, ma, se mi stai chiedendo se ti credo capace di uccidermi, allora la
risposta è sì. Ti guardo negli occhi e non vedo rimorso, non vedo nessun sollievo
per non avermi dovuto sparare. Semplicemente non te ne importa nulla, non
provi nessun vero sentimento a proposito di quello che è appena accaduto. Non
sapevo che tu fossi così.»
«’Così’ come?»
«Capace di uccidere a sangue freddo. Credevo che uccidessi come fai sesso, a
sangue caldo.»
«Uccidere non mi piace. Il sesso invece mi piace.»
«A me piace uccidere.» Mischa abbozzò un sorriso inquietante, e nello
scrutarmi in viso colse il guizzo di disgusto che mi lasciai sfuggire. «Ti turba che
uccidere mi piaccia. Perché? Non sono peggiore del tuo leone mannaro, Nicky,
che però è tuo amante. Se sei schizzinosa a proposito di queste cose, perché te lo
scopi?»
«Basta così», intervenne Jean-Claude, con voce tanto aspra da attirare gli
sguardi di tutti.
Di nuovo, Mischa e Goran s’inchinarono profondamente. Truth e Wicked
chinarono la testa, posando il pugno destro sul cuore. Non ebbi il tempo di
osservare Lisandro ed Emmanuel, però dubitavo che si fossero comportati in
modo altrettanto formale. Io rimasi immobile, senza capire bene perché tutto
fosse diventato tanto cerimonioso.
«L’alba è ormai imminente.» Jean-Claude mi porse la mano e io mi avvicinai
a lui, rinfoderando la pistola. Mi abbracciò e mi baciò con minor trasporto di
prima.
Sentivo l’effetto che il sole esercitava su di lui. Un tempo mi era accaduto
spesso di combattere per tutta la notte in attesa che il sorgere del sole mi aiutasse
a salvarmi dai vampiri, e in quel momento ero nelle braccia e nel cuore del
vampiro più potente del Paese. Anche se l’ironia della situazione non mi
sfuggiva, ormai avevo smesso di curarmene.
«Asher sarà qui domani notte», annunciò Jean-Claude. «Il territorio che sta
visitando è abbastanza vicino perché possa arrivare in automobile e poi tornare
in volo con noi quando partiremo.»
«Dunque desidera vederti al più presto…»
«Desidera vedere tutti noi», precisò Jean-Claude.
Anche se non lo dissi, ne dubitavo. Sapevo di chi era più innamorato Asher e,
sicuro come l’inferno, non ero io e non era Nathaniel. Ero sicurissima che fosse
Jean-Claude. Non ero altrettanto sicura a proposito della posizione occupata da
Devil in quella classifica degli affetti.
«Dunque la conversazione è andata bene», commentai.
«Benissimo.» Jean-Claude sorrise, con una manifestazione di felicità identica
a quella che avevo notato quand’era entrato nella sala.
Sorrisi anch’io, alzandomi in punta di piedi per stampare il mio sorriso sul
suo. Se chi si ama è felice, si è felici per lui, o per loro, anche se è felice o se
sono felici a causa di un altro amante. O almeno è così che funzionava per noi.
L’unica persona del nostro gruppetto a soffrire di gelosia era Asher, dunque
speravo che tornasse dopo essersi sbarazzato del mostro dagli occhi verdi che lo
perseguitava. Avrei incrociato le dita, se non fossi stata troppo impegnata a
palpare Jean-Claude.
51
U Emmanuel avevano condotto via Goran, non sapevo con certezza per
quale ragione, cioè se fosse di turno o se Claudia intendesse fargli il
terzo grado. Infatti avevo preso in disparte Lisandro per riferirgli che
Mischa aveva picchiato Goran, e che Nilda all’aeroporto di St. Louis
aveva dato in escandescenze, poi si era lasciata prendere dal panico, e per questo
era stata congedata. Volevo sapere se e quanto altri vampiri dell’Arlecchino
abusassero degli animali che rispondevano ai loro richiami, perché questo non
mi stava affatto bene.
Con me erano rimasti Nicky e Devil. Dato che eravamo ancora imbrattati di
sangue e di poltiglia di zombie, annunciai: «Adesso dobbiamo fare la doccia!»
Devil sogghignò. «Hai detto che mi avresti aiutato a lavarmi…»
«Non ho accettato di rinunciare a fare sesso nella doccia», dichiarò Nicky.
Devil lo fissò. «Ehi, ho subito un trauma!»
«Soltanto perché sei stato sverginato al combattimento non significa che tu
debba fare sesso con Anita nella doccia e io no.»
«Se continuate così, faccio la doccia da sola», minacciai.
Mi fissarono entrambi come se avessi parlato arabo.
«Adori fare sesso nella doccia», commentò Devil.
«Adori fare sesso», aggiunse Nicky.
«Sono stanca, sono di un umore schifoso e voi due discutete su chi debba fare
sesso con me nella doccia senza chiedermi se io abbia qualche preferenza. Be’,
io sono proprio qui davanti a voi in carne e ossa, ragazzi!»
Si scambiarono un’occhiata, e Devil parve imbarazzato.
Invece Nicky mi scrutò dritto in faccia come per leggermi nel pensiero, e
probabilmente ci riuscì. «Con chi vuoi fare la doccia?»
«In questo momento, con nessuno di voi due.» La risposta suonò sgarbata
perfino a me. Non sapevo neppure perché avessi replicato in quel modo. Erano
entrambi amanti meravigliosi. E con un po’ d’aiuto mi sarei ripulita anche
meglio da tutta la schifezza che avevo addosso.
«Allora chi mi aiuta a pulirmi i capelli?» chiese Devil, con un’espressione
quasi buffa. «Nicky?»
«Non spetta a me», ribatté Nicky, fissandomi.
In quel momento squillò il mio telefono. Se non fosse stata la suoneria di
Edward, non avrei risposto. «Sì, Ed… Ted, che succede?»
«Non fare stronzate.»
«Quali stronzate?»
«Devil e Nicky, tanto per cominciare.»
«Mi hai già avvisato in ascensore.»
«Sì, però sembri ancora incazzata. Conosco quel tono di voce. Significa che
sei di un umore schifoso e che stai per dire o fare qualche stronzata di cui poi
finiresti per rammaricarti.»
«Ti sei forse preso il tempo di farti la doccia prima di chiamarmi per darmi
consigli sulla mia vita intima?» Ero arrabbiata, ma anche confusa. «E da quando
mi consigli sugli uomini?»
«Sono appena uscito dalla doccia e ho pensato che, se avessi aspettato di
essere vestito, avresti cominciato a litigare con uno di loro, o con tutti e due.
Quanto alle critiche e ai consigli sulla vita intima, ce li scambiamo da quando ci
conosciamo, o quasi, e il nostro primo incontro è stato alquanto strano, se ci
pensi.»
Aveva ragione. «Di solito mi dicevi che mi complicavo la vita e mi
consigliavi di trovare qualcuno da scopare…»
«A quel tempo non capivo te, e neppure me stesso. Adesso ti raccomando di
non sfogare il tuo malumore su Nicky, che è un bravo ragazzo, e neppure su
Devil, che nella faccenda degli zombie è rimasto al nostro fianco sino alla fine,
anche se probabilmente non capiva più niente ed era così spaventato da farsela
sotto. Quindi vedi di riconoscere i loro meriti e non prendertela con loro.»
«Be’, sei proprio una fonte di saggezza in merito alla vita amorosa…»
«Se il mio ti sembra un pessimo consiglio, allora non seguirlo.»
«Non ho mica detto che è pessimo!»
«Allora non litigare con loro. Ricorda che uno lo ami e l’altro ti piace
maledettamente tanto.»
«Signorsì», risposi, in tono petulante.
«Sei libera di fare quello che ti pare, Anita. Considera però che dormire da
sola quando sei di umore così schifoso potrebbe non essere la migliore delle
idee.»
«Un tempo dormivo sempre da sola.»
«Sì, e stavi da schifo. Non riesco a capire come diavolo fai a far funzionare la
tua vita con tutta la gente che vi è coinvolta, però non ti ho mai vista più felice.
Non so in quale misura, ma di sicuro questa felicità dipende almeno in parte da
Nicky e da Devil, perciò tienilo bene a mente a partire da questo momento. Io
vado a dormire prima che qualche sbirro chiami per qualche emergenza.»
Edward interruppe la comunicazione.
Rimasi impalata, col telefono muto, mentre Devil mi guardava
interrogativamente e Nicky cercava di apparire impassibile, rivelando proprio
attraverso tale impassibilità di non essere per nulla indifferente.
Sospirai. «Scusate…»
«Per cosa?» domandarono insieme.
«Per essermi incazzata e per avere fatto la stronza, sfogando il mio umore
schifoso su voi due.»
«Va tutto bene», assicurò Nicky. «Sono il tuo sposo, quindi puoi trattarmi
come ti pare.»
«Sai che odio sapere che dici sul serio?»
«Sì, però è vero, e comunque, Anita, se tu non avessi fatto di me il tuo sposo
ti avrei uccisa, poi avrei aiutato il mio branco ad assassinare Jason, Micah e
Nathaniel. Ero, e sono tuttora, una persona molto cattiva. Sono un pessimo
soggetto, oppure lo sarei, se non fossi influenzato dalla tua moralità.»
«Lo so, lo so… Sono il tuo Grillo Parlante.»
«No, sei molto di più.» Nicky si avvicinò di un passo. «Stanotte hai detto di
amarmi, e ho sentito che dicevi sul serio.»
«Non dicevo sul serio.»
Senza replicare, Nicky mi porse una mano e io la presi.
«Okay», intervenne Devil. «Divertitevi, ragazzi. Io vado a dormire altrove.»
Io e Nicky ci scambiammo un’occhiata.
«Non deve andarsene a causa mia», dichiarò Nicky.
«Resta», dissi a Devil.
Lui scosse il capo. «Avete detto per la prima volta di amarvi. Dovreste
passare la notte da soli.»
«Perché?» domandò Nicky.
«Perché vi amate!» spiegò Devil, come se avesse perfettamente senso.
«Anche se Anita dice di amarmi, non cambia niente.»
«Non dovrebbe cambiare qualcosa, invece?»
«Perché mai?»
Devil si girò verso di me. «Spiegaglielo tu.»
«Cosa dovrei spiegargli? Sono d’accordo con lui.»
«Non volete passare la notte da soli per celebrare questa faccenda
dell’amore?»
«Una delle ragioni per cui amo Nicky è che gli sta bene condividermi con
Nathaniel, Micah, Cynric, Jean-Claude, Asher, e…» Scrollai le spalle. «Tutta la
gente della mia vita.»
«Davvero non ti disturba condividerla?» chiese Devil a Nicky.
«Nathaniel dice che sei più bravo di me a condividere, quindi perché
dobbiamo rifare questa discussione?»
«Perché sono influenzato dalla visione del clan delle tigri, secondo cui alla
fine ci s’innamora e si diventa monogami. Quando Asher tornerà, cercherò di
essere monogamo, così… Be’, credo che sia il mio modo di vedere le cose.
Sinceramente non lo so, ma… in qualche modo, l’amore non dovrebbe cambiare
tutto?»
«Se si fa nel modo giusto, con l’amore si diventa più se stessi, ci si trova,
anziché perdersi», sentenziai.
«Che significa?» domandò Devil.
«Significa che, se eravamo un felice gruppetto poliamoroso prima che io
dicessi di amare Nicky, perché mai averlo detto dovrebbe cambiare le cose?»
Dopo averci pensato, Devil annuì, si morse il labbro inferiore, annuì di
nuovo. «Okay, la tua logica batte il mio sentimentalismo, o quello che è. E
adesso?»
«La doccia non è abbastanza grande per starci tutti e tre», osservò Nicky.
«Di solito le docce negli alberghi sono abbastanza grandi per me, Nathaniel e
Micah. Per voi invece no. Anche soltanto le vostre spalle sono troppo larghe!»
Perdendo all’improvviso tutta la sua serietà, Devil sogghignò, mentre i suoi
azzurri occhi di tigre scintillavano. «Questa doccia è una delle più grandi che io
abbia mai visto in un albergo. È grande quasi quanto quella di Jean-Claude al
Circo!»
«Fantastico!» commentai.
«Allora andiamo a lavarci, poi facciamo un po’ di sesso di gruppo nella
doccia», esortò Nicky.
«Mi sembra una buona idea», approvai.
«A me sembra ottima!» esclamò Devil. «Ormai disperavo di riuscire a farti
togliere i vestiti.»
«Non credo che si stia riferendo a me», dissi.
Chinando la testa, Nicky sospirò. «Se tu fossi stato zitto, avresti potuto
tastarmi e dire di avere frainteso.»
Devil sorrise. «Ti ho visto prendere a pugni il sacco. Non voglio
fraintendimenti tra noi.»
«Abbastanza giusto. Condividiamo Anita e basta.»
«A te sta bene qualche tastatina involontaria?»
«Certo», assicurò Nicky.
Il sorriso di Devil sbocciò in quel suo gran sogghigno in parte malizioso, in
parte sensuale, e del tutto affascinante. «Fantastico!»
E lo era.
52
M entrava da una fessura tra le tende, resa ancora più dorata dai capelli
biondi che avevo sulla faccia. Nel sentir muovere il letto mi girai e,
attraverso i capelli e la luce, vidi Nicky alzarsi. Dunque l’uomo
caldo, morbido e muscoloso che mi avvolgeva da dietro era Devil.
Una delle sue braccia bloccava le mie, impedendomi di scostarmi i suoi capelli
dal viso. Mi abbracciò più strettamente, quando cercai di muovermi, e si strofinò
contro di me. A quanto pareva, gli piaceva parecchio dormire abbracciato a
qualcuno.
Un mormorio di voci attirò il mio sguardo verso la porta dischiusa. Nicky
parlò con qualcuno che non vedevo, poi spalancò l’uscio e fece entrare Edward.
Subito abbassai lo sguardo per verificare una cosa che fino a quel momento non
mi era parsa tanto importante, cioè quanto fossi coperta dal lenzuolo.
Con le braccia Devil tratteneva il lenzuolo all’altezza dei miei fianchi e mi
copriva parzialmente il seno, non abbastanza in presenza di qualcuno che non
era mio amante. Sì, Edward era uno dei miei migliori amici, però non è
esattamente la stessa cosa che una migliore amica.
Merda! Dato che Devil m’impediva di muovermi abbastanza da coprirmi col
lenzuolo, feci l’unica cosa possibile, cioè nascondermi dietro di lui. «Soltanto un
minuto, Edward!» Invano cercai di parlare in tono calmo.
Allora Edward scoppiò a ridere, e fu la sua vera risata, così rara che esservisi
abbandonato alla presenza di Nicky significava che in qualche modo lo
approvava. «Mi giro mentre ti copri», annunciò.
Non ero sicura di averlo mai sentito così contento. Non era soltanto per il mio
momento d’imbarazzo, mentre scrollavo Devil per svegliarlo e poter afferrare le
coperte. Pensai che fosse per Donna, che si stava impegnando a risolvere i propri
problemi in modo che fosse celebrato il matrimonio. Forse mi stavo
abbandonando a fantasie femminili, eppure Edward mi sembrava davvero felice.
Quando ci eravamo incontrati, anni prima, eravamo entrambi molto infelici,
anche se io non ne ero consapevole.
«Mi sposto, mi sposto…» disse Devil, mentre lo scrollavo.
Edward si era messo di schiena al letto e rideva tanto che gli tremavano le
spalle. Accanto a lui, nudo e del tutto a proprio agio, Nicky osservava la mia
lotta per recuperare le coperte e nascondere la mia nudità. Come lui, Devil se ne
fregava. Stupidi animali mannari senza pudore! E stupida io a preoccuparmene
troppo!
Quasi piegato in due, Edward rideva tanto che sembrava avere difficoltà a
respirare.
«Sono felice di rallegrare la tua mattinata», affermai, irritata.
Con le labbra increspate, Devil si sforzò di non scoppiare a ridere, mentre
Nicky splendeva di risata a stento repressa.
Avvolta nel lenzuolo come in un mantello enorme, scappai verso il bagno,
raccolsi la mia borsa da viaggio e proprio sulla soglia inciampai nel lenzuolo,
crollando sul pavimento. «Ma vaffanculo!»
Così scoppiarono a ridere anche Nicky e Devil.
Raccolti il lenzuolo e ciò che restava della mia dignità, chiusi la porta del
bagno, attutendo le risate mascoline. Nel guardarmi allo specchio roteai gli occhi
e mi resi conto di non avere la più pallida idea del motivo per cui Edward era
nella nostra stanza. Sarei stata pronta a scommettere che si trattava di lavoro,
ovvero un crimine da risolvere, cattivi da catturare, un misterioso vampiro
master da scovare. Così smisi di sorridere, anche se non proprio del tutto.
Sì, le cose andavano male, la notte precedente era stata brutale, eppure
sentivo ancora le risate dei tre uomini. Era un bel suono. Non era affatto un
brutto modo di cominciare la giornata.
55
on una mappa e spilli rossi per le vittime identificate, spilli verdi per le
U approfittava delle ore in cui i vamp non erano desti e non potevano
cacciare i cacciatori, così era possibile sorprenderli nella loro tana
diurna e conficcare loro un paletto nel cuore, oppure decapitarli
mentre dormivano il sonno della morte e non potevano difendersi.
Per lo stesso motivo, finché il sole era alto non potevamo interrogare i due
vampiri che avevamo arrestato, i quali probabilmente sarebbero stati in grado di
rispondere a tutte le nostre domande e conoscevano la tana diurna del master
sconosciuto. Sì, c’era la scocciatura dell’assistenza legale, però adesso che il
mandato era mio potevo usare tutto il potere che esso mi concedeva, incluso
quello di costringere l’avvocato a permettermi d’interrogarli in sua presenza, se
ritenevo che senza le loro informazioni si sarebbero perse altre vite.
La notte prima erano morte cinque persone, soltanto due delle quali erano
cadute nell’esercizio delle loro funzioni. Le altre tre erano astanti innocenti.
Disponevo di tutte le prove che mi occorrevano per interrogare i vampiri dopo il
tramonto e non vedevo l’ora che arrivasse l’imbrunire per poter procedere. Al
tempo stesso temevo gli assi che il master assassino nascondeva nella propria
manica di non morto. Gli zombie all’ospedale e i vampiri putrescenti immortali
si erano rivelati terribili perfino in base ai miei criteri. Da una parte, dunque, ero
ansiosa che il giorno finisse; dall’altra, non lo ero granché.
Il vicesceriffo Al si recò con tutti gli agenti disponibili a visitare le persone
che vivevano più isolate, che non rispondevano al telefono, e che nessuno
vedeva più ormai da qualche tempo. Ora che il mandato era ufficialmente mio
potevo impiegare i nostri bodyguard nelle indagini. È una facoltà concessa alla
squadra soprannaturale dopo che alcuni marshal hanno perso la vita perché,
impossibilitati a coinvolgere i civili, si erano impegnati da soli nella caccia a
cose molto cattive. Nelle indagini in cui erano stati coinvolti, alcuni civili erano
stati accusati di aggressione, e in un caso perfino di omicidio, perché avevano
operato entro i confini di alcuni Stati la cui legislazione limitava l’autodifesa.
Spesso non si considera che ogni Stato ha le proprie leggi e che le differenze
sono notevoli. Siamo ancora gli Stati Uniti d’America, e i Padri Fondatori hanno
scelto questo nome per un motivo ben preciso. Dovremmo essere un gruppo di
singoli Stati sotto l’ombrello federale, non un unico grande Stato, o almeno
questa era la concezione originaria e, anche se gli Stati non sono così autonomi
come tale concezione prevedeva, alcune differenze legislative possono risultare
sorprendenti.
Prima ancora di diventare marshal, quando già ci si aspettava che giustiziassi
legalmente i vampiri, mi ero abbondantemente informata sulle diverse
legislazioni statali. La Corte Suprema si era pronunciata a favore di alcuni civili
che avevano salvato la vita ad alcuni marshal ed erano stati comunque
condannati a pene detentive. Così era stata emanata una nuova legge a beneficio
dell’agenzia dei marshal. Si trattava in realtà della nuova formulazione e del
nuovo statuto normativo di una vecchia tradizione. In quanto detentrice del
mandato di esecuzione avevo facoltà di reclutare civili, se li ritenevo in possesso
di capacità tali da contribuire a mantenermi in vita e ad aiutarmi a limitare il più
possibile il numero delle vittime civili. In sostanza si trattava di una versione
moderna della pratica dello sceriffo del Vecchio West, che davanti al saloon
annunciava: «Formiamo una posse e andiamo a catturare questa gente».
Significava che ufficialmente potevo farmi accompagnare da Nicky.
Mentre tutti uscivano, mi ritirai in un angolo per avere un po’ di riservatezza
e telefonai a Nicky per dirgli di raggiungermi.
«Vuoi anche Devil?» chiese lui.
«Credo che per qualche tempo Devil ne abbia avuto abbastanza del mio
lavoro quotidiano.»
«Chi preferisci portare?»
«Non so esattamente chi ci sia adesso. Lisandro ha detto che sono arrivati i
migliori, e lo credo, se Claudia comanda la squadra.»
«Quindi lasci scegliere a Claudia?»
«Purché non scelga qualcuno con cui a te o a me non piace lavorare, e purché
sia qualcuno che collabora bene con la polizia.»
«Chiederò a Claudia. Hai preferenze sul prossimo incarico per Devil?»
«E tu? Siete spesso di turno insieme.»
Un suono di soddisfazione mi rivelò che probabilmente stava sorridendo.
«Sono felice che tu chieda la mia opinione, mentre potresti semplicemente
approfittare del fatto che sono tuo sposo e ordinarmi cosa fare.»
«Non credo di essere questo tipo di coniuge. A dire il vero, prima di quel tuo
commento in ospedale credevo che tu e Devil foste buoni amici.»
«Non sono sicuro di essere in grado di spiegartelo, comunque siamo amici
fino a un certo punto. Quand’è crollato, durante il combattimento all’obitorio, ha
perso molta della mia stima, come amico.»
«È perché si è mostrato debole?»
«Sì. Ma anche perché, se quella esperienza lo ha turbato, allora non potrebbe
sopportare di sapere molte delle cose che ho fatto in passato. Non si può essere
davvero amici se non ci si stima e non ci si apprezza reciprocamente in ogni
aspetto. Posso essere amico di Devil nel senso che posso lavorare con lui e
condividerti con lui come abbiamo fatto nella doccia. È stato divertente. Però
adesso so per certo che non sopporterebbe quello che sono realmente.»
In quel momento Edward si avvicinò. «Ho diritto di voto?»
Annuii. «Ted vuole dire la sua.»
«Mi sta benissimo», approvò Nicky.
Guardai Edward, inarcando le sopracciglia. «Con chi vuoi giocare?»
«Non conosco tutti quelli che sono arrivati, ma, se non posso avere Bobby
Lee o Fredo, allora prendo Lisandro. Se ci fosse, andrebbe bene anche Socrate. E
Claudia, ma non è sicura che io le piaccia.»
«Claudia non ha mai detto che non le piaci, o almeno non a me.»
«Sospetta che io ti faccia correre più pericoli di quelli da cui ti salvo.»
«Non voglio Claudia», intervenne Nicky. «In combattimento è grandiosa,
però non si sente a proprio agio con me.»
«Perché?» domandai.
«Sono un leone mannaro maschio, grosso e dominante. Dopo quello che è
successo col tuo ultimo amante che corrispondeva a queste caratteristiche, lei
non si fida di me.»
Nicky fu così gentile da non pronunciare il nome di Haven, perché sapeva
che soffrivo ancora per averlo ucciso, e in modi che stavo ancora scoprendo.
Claudia non aveva mai avuto simpatia per Haven, e mi aveva aiutato a ucciderlo
dopo che lui aveva sparato a Nathaniel e a lei stessa, e aveva ucciso un altro
leone mannaro. Era stato un gran casino.
«Okay, credo di poterlo capire», dissi. «Comunque preferirei non avere
Lisandro.»
«È bravo nel suo lavoro», osservò Nicky.
«Sì. Però l’ultima volta che ha partecipato a una mia indagine ha rischiato di
morire. Dato che è l’unico ad avere moglie e figli, preferirei non trovarmi
costretta a spiegare alla sua famiglia la perdita di un marito e di un padre.»
«Lisandro conosce i rischi», commentò Nicky.
«Se lo lasci a casa quando c’è pericolo, gli rovini il lavoro e la reputazione»,
aggiunse Edward.
Sospirai. «Può darsi… Comunque, vorrei essere assecondata, okay?»
«Se ti riferisci a me, allora basta che tu mi dica cosa vuoi», dichiarò Nicky.
«Ti ricordo che sono costretto ad assecondarti.»
«Non l’ho dimenticato. Mi riferivo a Ted.»
«Socrate è qui?» chiese Edward.
«Socrate è bravo», dichiarai.
«Sì, però non si fida di me», rivelò Nicky. «Quindi è difficile per noi lavorare
insieme.»
«Perché non si fida di te?»
«Io sono un cattivo e lui è un ex sbirro.»
«Non sei un cattivo.»
«Sì che lo sono, Anita.»
«Concordiamo sul fatto che siamo in disaccordo.»
Nicky sorrise. «Il suo senso di sbirro impazzisce quando ci sono io, e ne ha
motivo. Sono esattamente quello che Socrate crede che io sia. Semplicemente
non sono tanto bravo a nasconderlo quanto lo è Ted.»
Avrei voluto ribattere: «Ma neanche Ted è un cattivo!» Tuttavia mi trattenni,
perché, quando si trattava del mio migliore amico e di alcuni miei amanti,
aggettivi come «buono» e «cattivo» diventavano relativi. Sospirai
profondamente. Era un problema filosofico da rimandare a un altro momento.
«No, preferisco Lisandro o Domino», continuò Nicky. «Pride andrebbe bene,
però è cresciuto con Devil ed è stato addestrato con lui, quindi in un
combattimento brutale potrebbe avere gli stessi problemi. Ethan è in gamba,
eppure non sono sicuro che sia all’altezza del lavoro.»
«Pride è qui? Davvero? È la prima volta che l’altra nostra tigre dorata si trova
in trasferta.»
«Pare che Claudia gli abbia imposto di offrirsi volontario.»
«Chi altri abbiamo?»
Edward mi si accostò. «Anita, lascia che Lisandro faccia il proprio lavoro.»
«Ricordo come mi sono sentita quando ho rischiato di farlo ammazzare.
Riuscivo a pensare soltanto che non volevo dirlo ai suoi figli e a sua moglie.»
«Ho figli anch’io, e sono il marito di Donna, a parte le scartoffie, eppure non
mi lasci a casa.» Edward pronunciò queste parole affettuose con occhi azzurri
gelidi come il cielo invernale.
Mi accorsi che nella sala eravamo rimasti soltanto noi due e Hatfield, che
voleva accompagnarci per imparare il lavoro nell’unico modo efficace, cioè in
compagnia di chi sapeva già come farlo. Era rimasta all’estremità opposta della
sala, per lasciarci la nostra riservatezza. Tutti gli altri si erano divisi gli indirizzi
da controllare ed erano usciti. Dato che era praticamente solo con me, Edward
non doveva fingersi Ted.
«Suggerisco un compromesso. Portiamo Lisandro e Socrate», dissi. «Parlerò
io con Socrate. Gli dirò di moderare il suo senso di ragno con te, Nicky.»
«Credi davvero che portare Socrate possa servire a proteggere Lisandro?»
chiese Edward.
Scrollai le spalle.
«Devi lasciargli fare il suo lavoro, Anita.»
«No, non devo», obiettai, scrutandolo negli occhi.
Sostenendo il mio sguardo, Edward corrugò la fronte. «Non puoi comportarti
così con chi ha moglie e figli. I tuoi bodyguard hanno e devono avere una vita al
di fuori del lavoro, e questo implica che prima o poi altri di loro avranno
famiglia.»
«Lo so», dissi, suonando sulla difensiva alle mie stesse orecchie.
«Allora piantala di permettere ai tuoi problemi d’infanzia d’interferire con la
capacità che ha Lisandro di svolgere il suo lavoro», ribatté Edward.
«Non capisco di cosa tu stia parlando…»
«Anita…» Edward si limitò a scrutarmi.
Mi sarei voluta imbronciare, oppure abbandonare a una collera irrazionale,
cioè il modo con cui per anni avevo reagito ai problemi, evitando di affrontarli.
«Benissimo… Comunque voglio anche una terza guardia del corpo.»
«Lascia scegliere a Nicky. Ti fidi di lui?»
Sospirai. «Sì, certo.»
«Anch’io», dichiarò Edward.
Non cercai di nascondere la sorpresa. «Davvero?»
«Chi, oltre a Lisandro?» domandò Nicky.
«Io e Edward concordiamo nel lasciar scegliere a te.»
«Hai usato il suo vero nome!»
«Mi dispiace… Mi ha semplicemente colta alla sprovvista.»
«E come mai ti ha sorpresa tanto?»
«Te lo spiegherò più tardi. Voi preparatevi. Vi passiamo a prendere tra un
po’.»
«Saremo pronti. Ti amo.»
«Ti amo anch’io», replicai, prima d’interrompere la comunicazione.
«Davvero ti fidi tanto del giudizio di Nicky?» chiesi a Edward.
Lui annuì.
«È un elogio maledettamente grosso…»
«Mi conosci, Anita. Mi piace lavorare coi sociopatici disposti a tutto pur di
portare a termine il lavoro.»
«E questo cosa dice di me?»
Sorrise come il buon vecchio Ted. «Come sociopatica non sarai mai brava
quanto me, Anita, e nessuno di noi due sarà mai bravo quanto Nicky, perché lui
non si lascia condizionare dalle emozioni. Non si sente affatto urtato nei
sentimenti perché Socrate non si fida di lui. Il problema è che, a causa di questa
diffidenza, Socrate esiterà a seguirlo in combattimento, e questo implicherà un
cattivo lavoro di squadra, mentre quando si combatte il lavoro di squadra
dev’essere perfetto, molto più che nello sport.»
Non continuai la discussione, perché Edward si fidava di Nicky. Era la prima
volta che si fidava tanto di uno dei miei amanti. Anche se non aveva antipatia
per Jean-Claude, avere fiducia in lui, o negli altri, era tutt’altra cosa. Comunque
stavo tardando troppo, perciò archiviai il problema nella memoria per rifletterci
in seguito.
Ammettevo con me stessa che il motivo per cui non volevo che Lisandro
corresse rischi aveva a che fare col fatto che avevo perduto mia madre all’età di
otto anni. Sapevo quanto ne avevo sofferto e non volevo che i figli di Lisandro
soffrissero altrettanto. Ecco, questa era la verità. Detestavo che i miei problemi
interferissero col modo in cui svolgevo il mio lavoro. Per anni avevano
interferito con la mia vita personale, mentre il mio lavoro era stato al riparo dalle
mie nevrosi. Be’, quasi sempre, almeno…
Nel recarci tutti e tre al SUV di Edward, annunciai a Hatfield che nell’uscire
di città saremmo passati a prendere alcuni aiutanti.
Hatfield si limitò a chiedere: «I due biondi?»
«Uno dei due.»
«E altri nuovi amici?»
«Nuovi per te», intervenne Edward.
«Non vedo l’ora di conoscerli», dichiarò Hatfield.
Guardai nello specchietto retrovisore per scoprire se fosse sarcastica, e invece
mi parve del tutto sincera.
«Che c’è?» domandò.
«Stavo soltanto cercando di capire se dicessi sul serio.»
«Se c’è qualcuno o qualcosa che può aiutarmi a fare meglio il mio lavoro, mi
sta benissimo. La notte scorsa ho fatto uccidere quella gente. Ora non posso
riportarla in vita, però posso migliorare e non ripetere lo stesso errore.»
«Non sei stata tu a uccidere quelle persone, Hatfield.»
«Nessuno di voi due avrebbe trasportato quei cadaveri smembrati all’obitorio
dell’ospedale. Se la notte scorsa ci fosse stato uno di voi due a decidere, quelle
cinque persone sarebbero ancora vive. Volete forse dire che non hanno perso la
vita a causa della mia ignoranza?»
Non seppi cosa rispondere.
«Tutti commettiamo errori prima di sviluppare nuove conoscenze», sentenziò
Edward.
«Proprio così, e io intendo seguire voi due come se fossi la vostra maledetta
ombra per imparare tutto quello che posso prima che partiate.»
Non ero sicura di voler essere seguita in quel modo da Hatfield, però non
potevo rifiutare. Scambiai un’occhiata con Edward, e neppure lui rifiutò. A
quanto pareva, avevamo un terzo incomodo.
Mi chiesi come si sarebbe trovata Hatfield con Lisandro e con l’altra guardia
del corpo scelta da Nicky, chiunque fosse. Quanto a questo, mi chiedevo pure
che cosa avrebbero pensato loro di lei.
59
ravamo alla terza casa del nostro elenco. Chiunque avesse imboccato
E per sbaglio la strada bianca avrebbe visto una casa del tutto comune, a
giudicare dalla facciata. Bisognava fermarsi, smontare e andare sul retro
per vedere la finestra fracassata, la porta sfondata e i rottami sparsi sulla
terrazza da cui si ammirava un panorama montano che in altre località
più a settentrione avrebbe reso milioni, perché la casetta sarebbe stata demolita
per essere sostituita da un fabbricato più raffinato e molto più costoso, con una
terrazza più spaziosa e più elegante, che però non avrebbe potuto rendere
minimamente più bello il panorama. Le catene montuose si susseguivano fino
alle bianche cime innevate che si stagliavano sullo sfondo del cielo, belle come
una fotografia di calendario.
Nel riempirmi i polmoni di aria pulita e fresca, respirai troppo
profondamente: fiutai così il fetore di ciò che si trovava all’interno, cioè due
anziani coniugi divorati dagli zombie, e prima ancora, forse, dissanguati dai
vampiri. Era impossibile stabilirlo in base alle ossa sparpagliate e ai rimasugli di
carne. È sbalorditivo quanto diventi disgustoso in pochi giorni il fetore della
carne umana, perfino in quantità scarsa. Se i cadaveri fossero stati trascinati
all’aperto, i mangiatori di carogne avrebbero fatto pulizia completa. Invece i
mobili fracassati avevano parzialmente ostruito la porta e persino la finestra. Era
possibile che l’alto cassettone fosse stato usato per barricare la finestra, ma la
porta… Perché – e in che modo – il tavolo di cucina era stato incastrato nella
porta fracassata? Se erano stati i due coniugi, perché poi erano stati smembrati e
divorati? Noi stessi fummo costretti a rimuovere il tavolo per poter entrare.
Nicky mi si affiancò. «Hai visto di peggio, la notte scorsa.»
«Lo so.»
«Allora perché tutto questo ti preoccupa tanto?»
Era una domanda opportuna. «Hai visto le foto?»
«Sì.»
«Tutte le foto sono incorniciate. Si può osservare tutta la storia della famiglia,
dai figli neonati ai nipotini. Si amavano. Lo si vede in ogni fotografia, e dopo
quarant’anni di matrimonio sono morti in preda al terrore… A quanto pare, è
ormai da troppi anni che vedo finire male tante vite felici…»
«Le fotografie non dicono la verità, Anita. Chiunque può mentire per il
tempo necessario a scattare una foto.»
Mi voltai e vidi che Nicky stava osservando il panorama. Sapevo che era
cresciuto in una fattoria per l’allevamento del bestiame, da qualche parte, e non
gli avevo mai chiesto dove. Era forse cresciuto in una località di montagna come
quella?
«Credi che recitassero in tutte le foto e che in realtà si odiassero?»
Nicky sorrise. «No, probabilmente hai ragione, erano persone fantastiche.
Avevano una bella famiglia, erano i genitori perfetti che tutti hanno secondo le
pubblicità strappalacrime… Eppure la sadica puttana che mi ha cavato l’occhio è
ancora viva. È in carcere, ma è viva. I bambini in queste foto… Credevo che una
simile infanzia fosse pura finzione, che tutti i bambini subissero violenze com’è
capitato a me, e che fosse questo il grande segreto di cui nessuno parlava, anche
se succedeva a tutti. E poi un giorno mi sono reso conto che non era così per
tutti. Soltanto la mia era una famiglia di merda.»
Abbracciai Nicky, per quanto l’equipaggiamento lo consentiva. Oltre ai
giubbotti antiproiettile, avevamo addosso più armi di quante sarebbero state
giudicate necessarie dalla maggior parte della gente. Sarebbe stato un abbraccio
molto più confortante senza tutta quell’artiglieria, però in quel momento il
contatto fisico, sebbene limitato, era preferibile alla sua assenza.
«Quando vedo fotografie come queste m’incazzo, mi sento fregato. È
stupido, vero?»
«No, non è per niente stupido.»
Nicky aggrottò la fronte. «Sento che dici sul serio. Eppure, se non percepissi
quello che senti davvero, non lo crederei.»
«Cosa?»
«Noi, l’amore. Se non percepissi le tue emozioni, potrei continuare a
convincere me stesso che nulla di tutto questo è reale, che tutti mentono almeno
un po’ e che nulla può essere così bello come in queste foto. Tu invece non mi
permetti di crederlo. Sento quanto sei triste, quanto desideri farmi sentire meglio
e, dato che il mio compito è quello di fare in modo che tu ti senta meglio, devo
sentirmi più felice, perché tu vuoi che io mi senta molto più felice.»
«Quando si ama una persona, la sua felicità è importante.»
Nicky annuì. «Sto cominciando a capirlo.»
In quel momento Edward ci raggiunse, seguito da Hatfield, e poi da Lisandro
e da Seamus, alto, bruno, bello, molto africano, a contrasto col suo nome. Uno
col suo aspetto avrebbe dovuto essere a caccia di leoni, con la zagaglia, anziché
portare un nome irlandese. Mi fissò con occhi scuri che avrebbero potuto essere
scambiati per umani, se le iene non avessero pupille simili a quelle dei rettili e se
le iridi non fossero state di un castano che non era affatto umano. Non avrei
saputo descrivere la differenza, però stavo cominciando a riconoscerla quando la
vedevo. Alcuni secoli prima, la vampira master di nome Jane che aveva fatto di
lui l’animale che rispondeva al suo richiamo lo aveva costretto a rimanere in
forma animale tanto a lungo che i suoi occhi non potevano più riacquistare la
forma umana, proprio come quelli del mio Nimir-Raj. Io avevo aiutato Micah a
liberarsi di Chimera uccidendolo. Purtroppo Seamus non aveva nessuna
possibilità di riacquistare la libertà: se la sua master fosse morta, molto
probabilmente sarebbe morto anche lui. Non lo avrei scelto per accoglierlo nella
nostra squadra, e non perché avessi dubbi sulle sue capacità di combattente; lo
avevo visto in addestramento, sapevo che era dotato di un’agilità e di una grazia
quasi soprannaturali per un individuo alto e longilineo come lui. Fredo aveva
descritto la fluidità dei suoi movimenti come «acqua scura», così era stato
soprannominato «Acqua». Comunque sembrava che non gli importasse. A dire il
vero, sembrava che non gli importasse niente di niente. Era una grande, grossa,
nera e armoniosa macchina di morte che sembrava provare ancora meno
emozioni di tutti gli altri sociopatici.
Con la mano istintivamente posata sulla pistola, Hatfield lo osservava di
sbieco. Lui era così grande e grosso, chiuso in se stesso, impassibile e
impenetrabile da risultare sommamente inquietante. Era bello constatare che non
ero l’unica a considerarlo tale.
Se ci fossero stati altri estranei con noi, io e Nicky non ci saremmo
abbracciati tanto. Hatfield avrebbe dovuto abituarcisi, oppure aggregarsi a
qualcun altro. Io avevo bisogno di coccole.
«Che diavolo è successo qui?» domandò Hatfield.
«Questa gentile coppia di anziani coniugi è stata divorata viva dagli zombie»,
risposi.
Lei fu scossa da un tremito. «Lo so… Ma perché il tavolo bloccava la porta, e
la finestra fracassata è ostruita? Non avrebbe dovuto essere sufficiente a tenere
fuori gli zombie?»
Dimostrando quella capacità d’intuizione, Hatfield mi piacque ancora di più.
Annuii. «Sì, avrebbe dovuto essere sufficiente.»
«Se i coniugi avessero avuto motivo di barricare di nuovo la finestra e la
porta, gli zombie sarebbero rimasti intrappolati all’interno, eppure hanno
divorato le vittime e se ne sono andati», osservò Edward.
«Allora come sono usciti?» domandai.
«Avete visto l’appendichiavi con tutte le chiavi in fila?» chiese Lisandro.
Tutti annuimmo, oppure rispondemmo: «Sì».
«Volete vedere se c’è la chiave di casa?»
«Ne avranno avuta una di scorta», suggerii. «Erano sicuramente tipi
previdenti.»
«Okay, allora cerchiamo e vediamo se le chiavi sono qui», propose Lisandro.
«Sono tutte chiavi personalizzate.»
«Qualcuno ha visto la borsetta della signora?» chiesi.
Nessuno l’aveva vista.
«Allora troviamola», esortò Edward.
Non volevo rientrare in casa a fiutare di nuovo il fetore di decomposizione e
a vedere di nuovo le fotografie di gente felice. Una volta tanto, perfino Edward
sembrava un po’ turbato. L’unico apparentemente impassibile era Seamus. Mi
sarebbe piaciuto chiedere a Nicky se una tale assenza di emozioni lo inquietasse
o lo irritasse, tuttavia ero sicura che avrebbe risposto di no.
Anche nelle altre due case che avevamo ispezionato gli zombie avevano fatto
irruzione. Avevamo trovato resti di cadaveri, però nessuna era stata barricata,
tutto sembrava essersi svolto nel modo consueto in cui avvengono gli attacchi
degli zombie assassini. L’unico enigma era lì, perciò rientrammo in casa per
risolverlo. Era quello che facevamo quando non sparavamo ai mostri e non li
bruciavamo col fosforo.
60
ello scendere gli stretti gradini della ripida scala, rimpiansi di calzare
i udì uno strillo, poi Hatfield e Seamus spararono a qualcosa che non
e Seamus non fosse stato ferito, saremmo dovuti rimanere sulla scena
N lasciare che Nicky mi baciasse come aveva fatto nella doccia, con una
lenta carezza delle labbra, sfiorandomi la gola con una mano così
grande che avrebbe potuto avvolgermi il collo.
Quando il nostro bacio divenne bramoso, io inarcai il collo
all’indietro e Nicky me lo strinse un po’. Risposi inarcandomi ancora di più e
baciandolo con più ardore, mentre Nathaniel mi baciava il seno. Allora Nicky
strinse ancora di più, strappandomi gemiti di protesta, e io inarcai anche la
schiena. Il suo bacio divenne più profondo e più feroce, con la lingua e coi denti.
Leccandomi, succhiandomi e mordendomi un capezzolo, Nathaniel mi fece
inarcare, divincolare, gridare di piacere in bocca a Nicky.
La stretta di Nicky aumentò fino a togliermi l’aria, impedendomi perfino di
gemere. Nathaniel mi affondò i denti nel seno e io non strillai soltanto perché mi
era impossibile. Intanto Nicky mi costrinse a spalancare dolorosamente la bocca
come se volesse conficcare la lingua in profondità inaccessibili. Mi divincolai, in
preda al panico per mancanza d’aria, ma cercai di resistere perché mi piaceva la
sua mano forte e pericolosa intorno al mio collo. L’irruenza del bacio e del
morso fu meravigliosa, ma alla fine non riuscii più a resistere e picchiai la mano
sul letto per segnalare di smettere.
Quando Nicky interruppe il bacio e allentò la stretta per consentirmi di
riprendere aria in un lungo respiro affannoso, Nathaniel smise di mordere.
«Ti piace?» chiese Nicky, scrutandomi negli occhi.
«Sì», riuscii ad ansimare.
Lui scoprì i denti in un sogghigno feroce. «Bene, perché piace anche a me.»
Mi lasciò respirare profondamente per un po’, quindi ricominciò a stringermi la
gola e si spostò per consentire a Nathaniel di arrivare all’altra mammella. Mentre
Nicky stringeva forte, baciandomi rudemente, e di quando in quando allentava
un po’ la presa affinché potessi riprendere fiato, Nathaniel mi succhiò il
capezzolo come se stesse praticando una fellatio, poi cominciò a mordere, e
morse sempre più forte, quasi troppo. Artigliando le lenzuola attorcigliate, io mi
divincolavo, agitavo le gambe, spingevo forte coi piedi e non riuscivo a
respirare. Finalmente picchiai la mano sul braccio di Nicky, che allentò la presa
per lasciarmi riprendere fiato tra i singulti. Fissai Nathaniel che smetteva di
mordere senza riuscire a vederlo, perché avevo la vista offuscata.
«Credo che le piaccia», ridacchiò Nicky.
Nathaniel si sollevò per scrutarmi in viso. «Credo che tu abbia ragione.» E
sorrise, mentre io lo fissavo senza riuscire a mettere a fuoco il suo viso.
Nell’udire la suoneria del mio telefono che riceveva un messaggio avrei
voluto dire d’ignorarlo, ma non ero abbastanza lucida da articolare un discorso.
Era come il perdurare del piacere dopo l’orgasmo.
Nathaniel prese il telefono dal comodino. «Per il pranzo bisognerà aspettare
almeno tre quarti d’ora, perché sembra che sia in corso un banchetto.»
«Abbiamo più tempo… Magnifico…» commentò Nicky, con voce profonda,
quasi brontolante, non di leone mannaro, bensì di maschio dominante che gode
del sesso rude, o lo desidera.
Con delicatezza Nathaniel mi leccò i morsi sul seno. Fu una sofferenza
squisita, quasi un piacere. Sembrava che il mio corpo non riuscisse a interpretare
le sensazioni. «Omioddio…» sussurrai.
«Mi piacerebbe avere un bavaglio», dichiarò Nicky.
«Ad Anita non piace», osservò Nathaniel, un po’ mestamente.
Riuscii a parlare a stento: «Eppure proverei…»
Allora Nathaniel si sollevò di nuovo a scrutarmi in viso e io, con la vista non
più offuscata, mi accorsi che aveva un’espressione che non gli avevo mai visto.
«Se l’hai detto perché credi che non abbia bavagli, t’informo che non ho portato
soltanto guinzaglio e collare.»
Tardai qualche istante a capire. «Hai portato un bavaglio…»
«Ne ho portati due.»
«Pur sapendo che probabilmente non li avremmo usati…»
«Sotto stress desidero maggiormente il bondage. Avere con me qualche
attrezzo mi fa sentire meglio, e ho immaginato che questo viaggio sarebbe stato
molto stressante. Ti va di farti imbavagliare per noi?»
Mi scrutavano, entrambi col busto parzialmente sollevato in appoggio su un
braccio. Stesa in mezzo, li fissavo dubbiosa. Non credevo che volessero farmi
male davvero, altrimenti non avrei fatto sesso con loro. Con certi tipi di bondage
il piacere dipende dalla finzione, dalla minaccia, quasi. Se non si è tentati, non lo
si può capire. Io ero tentata e un po’ nervosa. Come aveva detto Nathaniel, non
mi piacevano i bavagli. Sono scomodi e non hanno un aspetto attraente. Ne
avevo provato uno, una volta, e avevo rinunciato subito. Invece Nathaniel amava
essere imbavagliato in certi tipi di bondage, anche se a me sembrava che
guastasse una bocca bella e utile.
«Mi sembra meglio con la mano intorno al collo e coi morsi al seno»,
proposi.
«Si può fare», approvò Nicky.
«Assolutamente sì», convenne Nathaniel.
Così facemmo.
65
A che fanno sembrare tutti i pazienti più piccoli, più magri e più deboli,
Little Henry era pur sempre un omone alto quasi due metri, con spalle
tanto larghe da stare a stento tra le sponde metalliche. Sembrava strano
che qualcuno potesse guardarlo e pensare: Lui! Prendo lui! Proprio
lui! Tutti i soccorritori erano stati fisicamente meno imponenti.
«Perché hanno preso proprio lui e suo padre, due ex militari delle forze
speciali, grandi, grossi e atletici?» chiesi a Nicky, esprimendo a voce ciò che
stavo mentalmente domandando a me stessa. «Hai visto anche tu gli altri
componenti della squadra di ricerca. Fra tutti, avresti scelto proprio i Crawford?»
«Nessuno dei vampiri che ho visto era un ex militare. Diventando non morti
non hanno acquistato l’esperienza che non avevano da vivi.»
«Stai dicendo che non erano in grado di distinguere chi era pericoloso da chi
non lo era?»
«Non come ne siamo in grado noi due.»
«Non c’è bisogno di addestramento militare per capire che i tipi grandi e
grossi sono più pericolosi.»
«Questo è vero.»
«È come un branco di leoni che insegue una giraffa anziché attaccare un
branco di gazzelle.»
«Se i leoni sono molto numerosi, hanno bisogno di grosse prede per nutrirsi,
e possono abbatterle. Tu stessa hai dichiarato di non avere mai visto un gruppo
di zombie cannibali più numeroso di questo.»
«Sì, ma gli zombie non li hanno divorati. Perché i leoni non hanno mangiato
la giraffa, dopo averla abbattuta?»
«Hanno divorato suo padre.»
«Lo hanno ucciso, ma non lo hanno divorato, non come hanno fatto con gli
altri. Hai visto anche tu che hanno divorato completamente le altre vittime.
Invece Crawford senior è stato soltanto sfigurato e ucciso. I leoni non hanno
banchettato a sazietà con la giraffa. Sembra quasi che gli zombie abbiano
pensato come serial killer, anziché come cadaveri ambulanti.»
«Certi vampiri sono serial killer.»
«Sì, ma ho l’impressione che non sia ciò che sta succedendo qui… Cioè,
tecnicamente molti vampiri sono serial killer perché devono nutrirsi di persone,
non perché desiderano ucciderle. Anche se il risultato è il medesimo, le
motivazioni sono molto diverse.»
«Le vittime finiscono morte comunque.»
«I serial killer godono della tortura o del metodo con cui uccidono. I cadaveri
che abbiamo trovato nel sotterraneo erano di gente morta e basta.»
«La maggior parte di quelli che ho visto aveva la gola squarciata», riferì
Nicky.
«Io ho potuto osservare soltanto quelli che avevo vicino e ho visto le gole
indenni.»
«Probabilmente hanno straziato le arterie e le vene principali.»
«Probabilmente…»
«In base a quello che mi hai detto, gli zombie avrebbero dovuto mangiare
fino a riempirsi lo stomaco e lasciare i resti a marcire…»
Annuii. «Questo è il comportamento tipico.»
«Allora perché hanno semplicemente ucciso le vittime e ammassato i
cadaveri?» chiese Nicky. «I cadaveri erano ammassati come una provvista di
legna da ardere per l’inverno.»
«Mi hanno ricordato le foto dei cadaveri dei deportati ammucchiati nei campi
di sterminio nazisti.»
«Non erano ammucchiati, Anita. Erano ordinatamente accatastati. Non è così
che si fa per sbarazzarsi dei cadaveri.»
Anche se mi venne in mente una cosa, ne domandai un’altra. «Secondo te,
perché sono stati accatastati così?»
«Per creare una scorta di cibo.»
«Gli zombie non si comportano così. E neppure gli zombie cannibali.»
«E i necrofagi?»
«Un vecchio branco di necrofagi attivo da anni senza essere scoperto
sottrarrebbe attraverso il sottosuolo i cadaveri sepolti di recente, in modo da far
apparire indisturbate le tombe, e li trasferirebbe in una cripta per divorarli in
seguito. Mi è capitato di osservare un simile comportamento, però è raro;
conosco soltanto due casi di necrofagi tanto organizzati. Di solito sono molto più
belluini.»
«Molti predatori si creano provviste di cibo, Anita. Usano modi diversi per
nascondere le prede agli altri animali, però l’intento è sempre quello di
conservarle per mangiarle in seguito, se prima non le trova e non le divora
qualche altro animale.»
Ci pensai, concludendo che Nicky aveva ragione sui predatori animali.
«Okay, consideriamo il vampiro come un predatore… Perché tanti cadaveri?»
«Dev’essere un gruppo più numeroso di quanto sappiamo.»
Scossi la testa. «Anche contando le persone scomparse e aggiungendo i
vampiri e gli zombie che abbiamo annientato, non si ottiene un gruppo
abbastanza numeroso per una tale provvista di cibo. Tra quei cadaveri c’erano gli
scomparsi. Se non li avessimo bruciati, avremmo potuto identificarli.»
«Quanti dovrebbero essere gli zombie per avere bisogno di tanto cibo?»
«Diavolo, non lo so! Non ho mai saputo di un gruppo tanto numeroso.»
«Allora, se fossero necrofagi, quanti dovrebbero essere?»
Cercai di calcolarlo mentalmente. «Il branco di necrofagi più numeroso di cui
sono a conoscenza era di oltre un centinaio di individui e si trovava nell’Europa
orientale. Ecco, un gruppo così avrebbe bisogno di una quantità di cibo come
quella.»
«I necrofagi divorano cadaveri molto decomposti, vero?»
«Sì.»
«E gli zombie?»
«No, loro mangiano carne più fresca rispetto ai necrofagi.»
«Quindi questi zombie sono simili ai necrofagi e intendevano nutrirsi di
cadaveri che avrebbero continuato a imputridire… Altrimenti di cosa potrebbe
trattarsi?»
«Il vampiro prevedeva di avere bisogno di più cibo.»
«In tal caso, il motivo può essere soltanto uno…»
«Intende creare molti altri zombie!»
«Moltissimi altri. Noi però abbiamo distrutto la sua ributtante dispensa. Di
conseguenza, se intende creare altri zombie, dovrà procurarsi altro cibo. Dove e
come potrebbe farlo?»
Sdraiato nel letto, Little Henry parlò con voce roca, come se non avesse
chiacchierato granché ultimamente: «Noi! Noi!» Ci fissava con gli occhi castani
spalancati, come scoprimmo nel girarci a guardarlo.
«’Noi’ chi?» domandai.
«La gente!» Henry spalancò gli occhi ancora di più e dischiuse le labbra
come se avesse il respiro accelerato.
«Quale gente?»
«Dio! Dio! Dio!» strillò Henry, scattando a sedere e artigliando tubi e cavi.
Il mio crocifisso sfolgorò al calor bianco. Sfoderai la pistola, perché quella
luce significava che un vampiro era vicino e stava facendo cose brutte. Nicky
m’imitò, perciò l’infermiera e il medico ci trovarono con le armi spianate
quando irruppero nella stanza.
«Cos’avete fatto?» domandò il dottor Aimes nell’accorrere al capezzale del
paziente, proteggendosi gli occhi dal crocifisso sfolgorante.
«C’è un vampiro», annunciai. Avevo conosciuto vampiri capaci di essere
invisibili di giorno perfino a me.
Il dottore e l’infermiera, minuta e bionda, faticavano a impedire che il
gigantesco Henry si strappasse tutto di dosso. Avrei chiesto a Nicky di aiutarli,
se non avessimo avuto altro da fare.
«Ispeziona gli angoli costeggiando le pareti», ordinai.
«Credi che il vamp sia sempre stato qui?»
«Non lo so. Però il mio crocifisso dice che adesso è qui.»
Con le armi puntate, io e Nicky ispezionammo il perimetro rasentando le
pareti con le spalle in modo tale da imbatterci in lui nonostante l’illusione che
forse aveva creato. Essere invisibile non significa non essere solido.
Quasi accecata dal fulgore del mio crocifisso, non indossai gli occhiali per
non essere costretta a impugnare la pistola con una sola mano. D’un tratto colsi
un movimento con la coda dell’occhio. In preda a una folle frenesia, lanciando
grida inarticolate, Henry aveva catapultato l’infermiera contro una parete.
Quando gli sbirri entrarono insieme con altre infermiere accorse ad assistere
il medico e la loro collega, i loro oggetti sacri iniziarono a sfolgorare di luce
bianco-azzurra. Subito tutti sfoderarono le pistole.
«Dov’è il vampiro?» chiese il vicesceriffo Al.
Spiegai quello che stavamo facendo. Nonostante l’affollamento della stanza e
Little Henry che continuava a rovesciare come giocattoli le infermiere che
tentavano d’immobilizzarlo, terminammo l’ispezione del perimetro.
Nicky esplorò il bagno, insieme con un agente, poi annunciò: «Libero!»
Il mio crocifisso continuava a sfolgorare anche se nella stanza non vi era
nulla.
«Non è qui, Anita», dichiarò Nicky, a voce alta per essere udito nonostante le
grida.
«Non c’è nulla, qui», confermò Al.
Allora sollevai lo sguardo al soffitto, pur sapendo che i vampiri non possono
levitare e al tempo stesso mantenere l’illusione dell’invisibilità, perché sarebbe
necessaria troppa concentrazione. Forse qualcuno potrebbe riuscirci al buio o di
notte. Con le luci accese, di giorno, era impossibile.
«Aiutate a immobilizzare Henry», ordinai.
Nicky rinfoderò la pistola e si unì a due sbirri grandi e grossi nell’assistere il
medico e le infermiere tutte peste.
Non appena i poliziotti toccarono Little Henry, la luce dei loro oggetti sacri
brillò più intensa, passando al bianco puro dell’incandescenza. Strillando ancora
più forte, Henry riuscì a liberarsi di tutti, tranne di un agente grande quasi quanto
Nicky. Alla fine riuscirono a immobilizzarlo, e nel biancore degli oggetti sacri
vidi il dottor Aimes prendere una siringa.
«Aimes, non lo faccia!» gridai.
Il medico si girò a guardarmi. Aveva perso gli occhiali e aveva una guancia
già un po’ gonfia. «Dobbiamo calmarlo, altrimenti finirà per far male a se stesso
e agli altri.»
«So dov’è il vampiro.»
«Non c’è nessuno, qui.» Aimes si girò per accingersi a infilare la siringa nella
flebo.
La stanza era così piccola che arrivai in tempo ad afferrargli il braccio e a
impedirglielo. «È dentro Henry. Guardi gli oggetti sacri quando lo toccano…»
Il medico li fissò come se fino a quel momento non se ne fosse accorto, e
forse era proprio così. Una bella sberla come quella che sembrava essersi
beccato lascia rintronati e disorientati per un po’. Si girò di nuovo verso di me,
perplesso. «Non capisco…»
«Io invece credo di capire, e dovrò fare qualcosa di molto sgradevole…»
«Più sgradevole di questo?»
«Può darsi…»
«Aiuterà il mio paziente?»
«Sì.»
«Allora proceda.»
Il medico avrebbe dovuto fare più domande, o forse io avrei dovuto aspettare
che si riprendesse. Invece non lo feci perché non volevo rischiare che ci
pensasse, che diventasse prudente e che si ricredesse.
«Cosa vuoi fare?» domandò Nicky, ancora impegnato ad aiutare gli agenti a
immobilizzare Little Henry. Faticava a bloccare un braccio a un umano e non
avrebbe dovuto, visto che sarebbe stato capace di allenarsi alla panca sollevando
una piccola automobile anziché un bilanciere.
«Scovare il vampiro», risposi semplicemente, perché non potevo spiegarlo a
gente priva di facoltà metapsichiche e di esperienza coi vampiri.
«E come?» chiese il vicesceriffo Al.
«Little Henry mi aiuterà.»
«In che modo?» insistette Al.
«È più facile mostrarlo che spiegarlo.» Iniziai a togliermi le armi e imposi a
Nicky e agli sbirri di fare lo stesso, in modo da precludere a Henry ogni
possibilità di afferrare qualunque cosa da usare come arma contro di noi.
Una volta adottate tutte le precauzioni possibili, sarei andata in esplorazione.
Avrei esplorato la mente di Little Henry Crawford.
71
mmanettato con fatica alle sponde metalliche del letto, Little Henry
A che era stata soccorsa da Little Henry. Scoprimmo altre vittime ferite
dagli zombie, inclusi due agenti di polizia. Stavano arrivando
chiamate da tutta la città. Per il momento gli zombie aggredivano
soltanto singolarmente o in coppia, però restava ancora un’ora di luce
prima che facesse buio. Sarei stata pronta a scommettere che allora gli zombie
sarebbero comparsi a gruppi più numerosi, com’era accaduto nel bosco, e i
comuni cittadini, che non erano addestrati e armati come noi, si sarebbero trovati
a mal partito. Cazzo! Perfino un agente di polizia in servizio da solo avrebbe
avuto difficoltà contro più di uno zombie! Occorrevano gruppi armati che
sapessero agire in squadra e che sapessero come sparare. E anche così, quando
gli zombie avessero attaccato in forze soverchianti, noi saremmo stati… be’,
soverchiati.
Mentre Lisandro e Devil parlavano con gli agenti SWAT e Nicky attendeva a
breve distanza, io, immobile, ignoravo l’andirivieni, il vocio e i rumori del
pronto soccorso. Chi si può chiamare quando ci si trova davvero a dover
sopravvivere a un’apocalisse zombie? Be’, io sapevo esattamente chi chiamare.
«Ted, ricordi quando ti sei lamentato perché c’era un’apocalisse zombie e
non ti avevo invitato?»
«Sì.»
«Be’, considerati invitato.»
Lui ridacchiò, come ridacchiano certi uomini quando si dice loro qualcosa di
erotico.
«Sei eccitato… Dopo quello che abbiamo visto in ospedale e nel sotterraneo,
questa faccenda ti eccita…»
«Sì.»
«C’è qualcosa che non va in te. Lo sai, vero?»
«Lo so. Dimmi dove sei.»
Chiesi l’indirizzo esatto a Devil, che aveva il GPS nel cellulare, per poi
riferirlo a Edward. «Dovremo continuare a spostarci da un pronto soccorso a un
altro.»
«Va bene. Arriviamo non appena possibile.»
«Ah… Ted?»
«Sì?»
«Porta il lanciafiamme.»
«Davvero?» Di nuovo Edward ridacchiò in modo sensuale. «Non mi stai
prendendo in giro, questa volta?»
«Arrivano rapporti di aggressioni zombie da tutto il circondario ed è ancora
giorno. All’imbrunire diventerà anche peggio.»
«Dici sempre le cose più belle», replicò Edward, ancora con quella risatina
cupa, profonda e sensuale.
«Conversazioni come queste sono una delle ragioni per cui la gente pensa che
andiamo a letto insieme.»
«Può darsi…»
«Qualcuno lì da te ha detto qualcosa che non ti piace su di noi o su di me, e tu
lo stai schernendo.»
«Farei mai una cosa del genere?»
La frase era innocente, ma il tono in cui Edward la pronunciò non lo fu
affatto. Se reagiva così, qualcuno senza dubbio si era comportato o aveva
commentato in modo tale da farlo davvero incazzare. Sapeva che certe dicerie
danneggiavano più la mia reputazione che la sua. La gente si aspetta che i
maschi siano bastardi affamati di sesso. È il solito vecchio preconcetto: «I
ragazzi sono ragazzi, si sa». Invece le ragazze disinibite sono puttane. È una
mentalità diffusa, la odio e non la capisco. Cioè, se avere una vita sessuale attiva
e disinibita è una brutta cosa, perché non giudicare gli uomini allo stesso modo
delle donne? Lo stesso vale se la si considera una bella cosa.
«Arriva più presto che puoi, e fammi sapere quale degli agenti che sono con
te ti ha fatto incazzare, così tra un massacro di zombie e l’altro ti aiuto a fargliela
pagare.»
«Dici sempre cose così dolci, tu…»
Scoppiai a ridere e interrompemmo la conversazione ridendo tutti e due.
Erano molte le ragioni, se io e Edward eravamo amici.
79
Q raggiunse.
«Se distruggessimo il corpo del vampiro, tutto questo finirebbe?»
chiese Badger.
«Credo di sì.»
«Non è una risposta molto precisa», osservò Yancey, con un sorriso che non
riusciva a cancellare la preoccupazione nei suoi occhi.
«Questo vampiro sta facendo cose che non credevo possibili, quindi la cosa
migliore che posso dire è che penso che possa funzionare. Tuttavia eravamo
convinti che il suo corpo fosse già stato distrutto da un altro marshal in un’altra
città, e vedete anche voi quali sono le conseguenze.»
«Perché non ha funzionato?»
«Perché questo vamp può impossessarsi dei corpi dei vampiri che ha creato e
degli zombie che ha destato, e devo ammettere che il suo potere sugli zombie è
una novità perfino per me.»
«Quindi si è trasferito in un altro corpo… Perché distruggere quello che ha
lasciato dovrebbe liquidarlo?» chiese Badger.
«Perché è il suo corpo originale. Se lo distruggessimo, non potrebbe più
saltare da un corpo all’altro. Potrebbe funzionare anche se lo costringessimo a
rimanere nel corpo che occupa attualmente abbastanza a lungo da poterli
distruggere entrambi.»
«La squadra di Hatfield è vicina al luogo indicato sulla mappa da Little
Henry, quindi potrebbe compiere una deviazione e andare a distruggere il corpo
originale.»
Riflettei sull’opportunità d’inviare Hatfield ad affrontare Morte d’Amour,
magari anche Seamus, e mi sembrò un modo eccellente per farla ammazzare.
«Non è una bella espressione quella che stai facendo», osservò Yancey.
«Cosa c’è che non va?»
«Ditemi una cosa… Little Henry è ancora deluso perché avete trasmesso la
sua mappa col cellulare e gli impedite di partecipare?»
«Sì», confermò Badger.
«Ma non è per questo che stai facendo quella faccia. Non te ne frega niente se
Henry è deluso», insistette Yancey. «A cosa stai pensando, in realtà?»
«Cosa sei? Un esperto delle mie espressioni facciali?»
«Sta imparando a capirti molto in fretta», commentò Lisandro.
Corrugando la fronte, mi girai a fissarlo.
Lisandro sorrise. «È la pura e semplice verità.»
«Benissimo. Non voglio mandare al massacro Hatfield e gli agenti che sono
con lei.»
«Non farai nulla del genere», assicurò Badger. «Sarai qui con noi ad aiutarci
a salvare vite, mentre lei cercherà di fare quello che potrebbe porre fine a tutto
questo prima che la situazione ci sfugga di mano.»
«Inoltre, Blake, devi smetterla di credere di essere l’unica a poter salvare il
mondo», aggiunse Yancey. «Devi lasciare una possibilità anche agli altri.»
«Hatfield è competente», riprese Badger. «Mandale un messaggio con tutte le
informazioni che reputi necessarie perché possa portare a termine la missione e
lascia che faccia il suo lavoro. E adesso voglio che tu ci dica tutto quello che sai
sugli zombie cannibali.»
«Sugli zombie in generale potrei dirvi un sacco di cose, ma gli zombie
cannibali sono così rari che se ne sa veramente poco.»
«Allora dicci quello che sai», insistette Badger. «È sempre più di quanto ne
sappiamo noialtri.»
Annuii. «Quando farà notte saranno più veloci, più forti e più difficili da
uccidere.»
Gli agenti si scambiarono un’occhiata.
Con un sospiro, Badger si passò una mano sui capelli cortissimi. «Cosa può
ammazzarli?»
«Il fuoco. Bisogna farli esplodere in piccolissimi pezzi e poi bruciare i
pezzi.»
«Che ne dite degli artificieri?» suggerì Nicky. «Chi sa disinnescare un
ordigno sa anche costruirne uno.»
«Questa è una buona idea», approvò Badger.
«Non è mica giusto», protestò Yancey. «Sei così grosso da sembrare capace
di esercitarti alla panca con un autocarro, e sei anche sveglio!»
Nicky sogghignò. «Non sono soltanto un bel faccino.»
Sorridemmo tutti, e avevamo bisogno di tutti i sorrisi che eravamo capaci di
racimolare per affrontare la nottata. O forse questo era soltanto il parere del mio
lato pessimista… Un momento, io non ho nessun lato ottimista! Era soltanto la
mia innata gioiosità!
«Ci sono anche i disinfestatori», dissi. «Ogni azienda ne ha almeno uno,
addestrato ad applicare misure estreme di disinfestazione.»
«Quanto possono essere estreme?» chiese Yancey.
«L’ultima volta che ho affrontato uno zombie assassino, sono andata nel
cimitero a cercare la tomba originale assistita da una squadra di disinfestatori
munita di lanciafiamme per ogni eventualità.»
«Quale vantaggio avresti ricavato dal trovare la tomba da cui era uscito lo
zombie?» domandò Badger.
«Un indizio su chi lo aveva destato avrebbe potuto condurci al suo
nascondiglio diurno, oppure avrebbe potuto rivelarci perché era diventato
cannibale. Molti zombie cannibali sono spinti da un impulso di vendetta. Se si
permette loro di vendicarsi, spesso tornano a essere normalissimi zombie che
barcollano strascicando i piedi.»
«E questi sono motivati da un desiderio di vendetta?»
«Molti zombie violenti sono vittime di omicidio. Escono dalla tomba spinti
principalmente dalla volontà di vendetta e uccidono chiunque cerchi di
ostacolarli. Alcuni arrivano a divorare persone che non hanno mai fatto loro
nulla di male quand’erano in vita. Comunque nessuno sa perché certi zombie
assassini uccidano strangolando o picchiando, senza neanche cercare di divorare
le loro vittime.»
«E sono tutti vittime di omicidio?» chiese Yancey.
«Può darsi… Molti di quelli che abbiamo potuto identificare erano persone
scomparse, perciò… Sì, credo di sì… Ma il punto è che tutti dovrebbero cercare
di ammazzare chi li ha ammazzati, e una volta uccisi i loro assassini dovrebbero
diventare innocui.»
«Sono stati uccisi da vampiri putrescenti, vero?» chiese Nicky.
«Oppure da altri zombie assassini…»
«Quindi, se si desta uno zombie assassinato da un altro zombie, lui non può
uccidere il proprio assassino perché è già morto…»
«Per uno zombie normale dovrebbero esserci due eventualità: potrebbe non
destarsi bene e quindi essere pacifico, oppure essere spinto da una brama di
vendetta insaziabile. Gli zombie che non possono vendicarsi perché i loro
assassini sono già morti continuano a uccidere freneticamente e senza sosta fino
a quando non li si brucia.»
«Stiamo forse dicendo che tutti gli zombie destati da questo vampiro
putrescente sono in cerca di una vendetta che non possono ottenere perché i loro
assassini sono già morti e di conseguenza massacrano tutti quelli che
incontrano?» domandò Yancey, corrugando la fronte come nello sforzo mentale
di comprendere la situazione.
«Penso che tu abbia fatto centro. La differenza è che questi zombie sembrano
essere controllati dal vampiro, anche se gli zombie assassini non obbediscono a
nessuno e sono imprevedibili.»
«Non è possibile destare uno zombie da usare come arma?» domandò
Yancey.
«Sì», rispondemmo in coro io e Nicky, scambiandoci un’occhiata subito
dopo.
La notte in cui ci eravamo conosciuti avevo salvato me stessa scatenando
contro i cattivi gli zombie di un intero cimitero, che loro stessi mi avevano
costretta a destare, minacciando di morte me e Micah, Nathaniel e Jason, senza
considerare che mettere tanti zombie a mia disposizione avrebbe spostato gli
equilibri a mio favore.
«Secondo la tradizione popolare, i sacerdoti vaudun sono capaci di destare
uno zombie e di scatenarlo contro i loro nemici», spiegai agli agenti SWAT.
«Vaudun, cioè vudù?» chiese Badger.
«Stessa religione, parole diverse. Di solito preferisco dire vaudun perché è
meno probabile che ricordi alla gente i mostri del cinema. Se si dice ’vudù’,
nella mente della gente scatta subito il pregiudizio. Invece si tratta di una
bellissima religione, i cui fedeli sono per la maggior parte rispettosi della legge.»
«Tutto questo significa che gli zombie vedono i vampiri, in particolare i
vampiri putrescenti, come già morti?» domandò Yancey.
Scrollai le spalle. «Presumo di sì, altrimenti andrebbero in cerca dei loro
assassini.»
«O forse non hanno ancora trovato i loro assassini», suggerì Nicky.
«In che senso?»
«Se consegnassimo loro i due vampiri arrestati, per consentire loro di
ammazzarli, quelli che sono stati uccisi da loro tornerebbero a essere zombie
normali?» domandò Nicky.
«Non lo so», ammisi.
«Hai detto che uno zombie assassino che non riesce a vendicarsi del proprio
omicida inizia a uccidere e a divorare tutti quelli che incontra…»
«Sì.»
«Allora, se consegnassimo i vampiri agli zombie, non è possibile che una
parte di costoro smetta di uccidere?»
«È possibile, ma significherebbe ignorare i diritti dei vampiri e condannarli a
essere smembrati e sbranati. Di solito i vamp sono molto più difficili da uccidere
degli umani, quindi impiegherebbero molto più tempo a crepare e soffrirebbero
molto di più. Sarebbe un modo di morire veramente orribile.»
«Esatto», convenne Nicky, in un tono che significava: E con questo?
Yancey suggerì: «Se fosse l’esecuzione di un mandato e se servisse a salvare
decine e decine di vite…»
«Saresti capace di consegnare qualcuno a cose come quella che abbiamo
visto oggi?» gli chiese Badger.
Yancey scrollò le spalle. «Era una pura e semplice idea… Stiamo soltanto
raccogliendo informazioni per decidere una strategia, mi pare.»
«Sono vampiri putrescenti», ricordò Nicky. «La donna sembrava preferire la
morte all’incapacità di assumere forma umana.»
«Dovrebbero avere due forme, una delle quali totalmente umana e attraente,
come quella che avevano in vita», spiegai.
In quel momento Devil si avvicinò, affiancato da Lisandro, e sorrise. «Come
mai siete tutti quanti tanto seri?»
«Stiamo discutendo se consegnare i due vampiri arrestati agli zombie delle
vittime che hanno assassinato, in modo che gli zombie si vendichino e che
smettano di uccidere gente innocente», riferii.
Sgranando gli occhi, Devil impallidì.
«Chi ha avuto questa bella idea?» chiese Lisandro.
«Io», rispose Nicky.
«Sei un morboso bastardo figlio di puttana», dichiarò Lisandro.
«Sì, lo sono», replicò Nicky, per niente turbato da quel giudizio spassionato.
«Non avrete intenzione di farlo davvero?» chiese Devil.
«No, perché sono cittadini tutelati dalla legge», risposi.
«Non lo sarebbero, se Anita stabilisse che hanno commesso alcuni omicidi
mentre non erano posseduti dal master», insistette Nicky.
«Avrebbero comunque i loro diritti», ribadii.
«E comunque dovrebbero essere giustiziati. Che differenza fa impalarli
durante il giorno o darli in pasto a quelli che hanno assassinato?»
«Sarebbe un’interessante applicazione del contrappasso», commentò Yancey.
«Sono persone, con tutto ciò che questo implica, oppure non lo sono»,
dichiarò Devil. «Non è possibile riconoscerli come tali e battersi affinché la
legge garantisca loro una seconda possibilità di vivere, e poi rinnegare tutto e
mentire per togliere loro questa stessa seconda possibilità.»
«Presumo che ti stia riferendo a me», replicai.
«Sì, perché il mandato di esecuzione è tuo, e tu sei l’esperta di vampiri. Se
decidi che hanno perpetrato una serie di omicidi senza essere stati costretti a
commetterli, allora sono condannati a morte.»
«Il marshal che detiene il mandato ha completa discrezione sul metodo con
cui eseguirlo», aggiunse Nicky.
«È vero?» domandò Yancey.
«Sì», risposi.
«Dunque puoi infliggere loro qualsiasi tortura, purché alla fine muoiano?»
chiese ancora Yancey.
«Sì.»
Olaf, alias marshal Otto Jeffries, torturava i vampiri prima di ucciderli. La
tortura era il suo «hobby», e il distintivo e i mandati gli consentivano di sfogare
legalmente quella passione. Avevamo motivo d’interrogarci sulla natura del
nostro lavoro, se un serial killer lo considerava un ottimo sfogo.
«Sembra che tu abbia ricordato qualcosa di brutto…»
Scossi la testa. «Cerco di essere umana quando uccido, quindi mettiamo da
parte questa idea fino al momento della disperazione.»
«Non arriveremo mai a essere tanto disperati.» Devil mi scrutò con
espressione molto seria.
«Se è un negromante così potente come credo che sia, potrebbe destare
decine e decine di zombie», avvertii.
«E gli zombie in obitorio?» ricordò Nicky.
«A che cosa alludi?»
«Erano tutti vittime di omicidio?»
«Non lo so.»
«Se non lo fossero stati, che cosa significherebbe?» domandò Yancey.
«Che tutti gli zombie destati da questo vampiro si trasformano in assassini.»
«Sta ordinando loro di uccidere», affermò Nicky.
Annuii.
«Be’, la situazione non fa altro che migliorare di momento in momento»,
commentò Yancey.
«Non è forse necessario un rituale per destare gli zombie dalla tomba?»
chiese Badger.
«Sì», confermai.
«Dunque è probabile che questo negromante abbia bisogno di compiere un
rituale. Potremmo sfruttare questa conoscenza per scovarlo?»
«Non lo so con certezza. Se ne ha bisogno, allora, sì, potenzialmente questo
mi consentirebbe di rintracciarlo.»
«In che modo?»
«Conosci il vecchio detto secondo cui c’è più di un modo per scuoiare un
gatto?»
«Sì.»
«Be’, c’è più di un modo per destare uno zombie, e c’è anche più di un modo
per scovare un negromante.»
«Hai avuto un’idea, dunque», osservò Nicky.
«Può darsi…»
«Può darsi che sia meglio di niente, perciò sentiamo di cosa si tratta», esortò
Badger.
Spiegai loro il mio «può darsi».
«Faresti da esca. Quindi, come tuo bodyguard, voto no», dichiarò subito
Lisandro.
«Non è mica un’esca», obiettò Nicky.
«Ha escogitato la versione metapsichica di buttarsi in mezzo a una rissa e
gridare: ’Prendetevela con me! Fatevi sotto!’ Be’, questo è fare da esca», ribatté
Lisandro.
«Il vampiro lo penserà senz’altro, e il punto è proprio questo», osservò
Nicky.
«Dunque, farà da esca.»
«No, sarà una sfida. Anita scommette di essere la negromante più grande, più
grossa e più cattiva.» Ancora una volta, Devil mi scrutò in viso con estrema
serietà.
«Non voglio smorzare i vostri entusiasmi, ma… E se qualcosa andasse
storto?» domandò Yancey. «E se il più grande, grosso e cattivo fosse il
vampiro?»
«Non è lui», garantì Nicky.
Non ero altrettanto fiduciosa, però confidavo che Morte d’Amour non
avrebbe saputo resistere alla tentazione d’indagare, qualora avessi destato un
mio piccolo esercito di zombie, e così si sarebbe distratto da Hatfield e dalla
squadra SWAT impegnate nella ricerca del suo corpo originale. Così forse non vi
sarebbe rientrato al cadere della notte e non avrebbe ammazzato tutti quanti. Se
Hatfield fosse riuscita a distruggere il corpo originale e se io fossi riuscita a
intrappolarlo nel corpo che occupava attualmente in città e a distruggerlo, lo
avremmo ucciso. Dovevamo ucciderlo perché dovevamo fermarlo, e non poteva
essere più fermo che da morto.
80
l cimitero era uno dei più grandi e antichi della città. Si poteva osservare il
I trascorrere degli anni nel mutare delle lapidi, da quelle ornate di belle
statue di angeli a quelle del tutto disadorne e di più facile manutenzione.
Era una sorta di archeologia visibile, come abbracciare alcuni secoli con un
unico sguardo e abbassare gli occhi dal cielo al suolo, dove la praticità
aveva il sopravvento su Dio e su tutti i suoi angeli.
Il tramonto era una distesa spettacolare di rosa, viola e cremisi brillanti come
luci al neon, come se una regina della disco-music avesse dipinto il cielo col
rossetto, incendiandolo. Dubito di avere mai visto un cielo più sgargiante al
crepuscolo.
Presi la mano di Nicky, che mi era accanto a guardare il tramonto. Il piano
sarebbe anche potuto fallire, perciò avevo deciso di non rinunciare all’intimità
coi miei ragazzi; se gli altri sbirri mi avessero presa in giro per questo motivo,
pazienza. Ci attendeva uno scontro come quello dell’ospedale, ma con molti più
zombie e nessun corridoio a contenerli. Se centinaia di zombie assassini si
fossero destate, il cimitero sarebbe stato uno dei luoghi più sicuri della città,
oppure uno dei più pericolosi. In ogni caso, lo avremmo scoperto soltanto
quando fosse stato troppo tardi.
«I tramonti sono sempre così da queste parti», commentò Yancey.
Mi girai a guardarlo senza lasciare la mano di Nicky, che dunque si girò con
me, com’è tipico delle coppie, che quasi sempre guardano nella medesima
direzione. «Davvero?»
«Si può pensare che alla lunga i tramonti spettacolari diventino noiosi, invece
non succede mai», intervenne Badger.
La squadra SWAT era rimasta con noi nell’eventualità che il piano
funzionasse e che il grosso vampiro cattivo arrivasse. Willy si era appostato su
un luogo elevato e faceva quello che i tiratori scelti sanno fare meglio, cioè
aspettava un mio segnale per sparare al cattivo. Machete era con lui per
proteggerlo nel caso in cui uno zombie si fosse avvicinato furtivamente e avesse
cercato di divorarlo mentre si accingeva a sparare.
«Come si potrebbe mai trovare noioso qualcosa di così bello?» commentò
Devil.
«Molte persone smettono di percepire quello che vedono troppo di frequente,
sebbene sia meraviglioso», spiegai.
Devil scosse la testa. «Non lo capisco.»
«Mi piace che tu non lo capisca.»
Incerto, Devil sorrise. «Si smette di apprezzare le cose meravigliose della vita
soltanto perché le si vede tutti i giorni?»
«No.» Mi girai verso Nicky e mi alzai in punta di piedi per baciarlo
gentilmente, attirando un’occhiata sorpresa e alquanto compiaciuta che mi fece
sorridere. Sapeva che evitavo le manifestazioni d’affetto in pubblico alla
presenza della polizia, soprattutto coi miei amanti secondari. Poi mi avvicinai a
Devil, gli posai le mani sulle braccia, lo scrutai nel bel viso dagli occhi castani
orlati d’oro e d’azzurro, e mi alzai in punta di piedi, invitandolo a chinarsi per
baciarmi. «Non mi stanco mai delle cose meravigliose della mia vita», spiegai
dopo il bacio, tenendogli le mani sulle braccia. «Ti stimo molto per essere qui
con noi anche se hai paura degli zombie.»
«Sono la tua guardia del corpo, Anita. Se me ne andassi proprio ora, farei
proprio schifo nel mio lavoro.»
Sorrisi. «In effetti…»
«Mi sento completamente trascurato», intervenne Lisandro. «Non sono
meraviglioso anch’io?»
«Mi è stato riferito che tua moglie e i tuoi figli ti considerano
meravigliosamente meraviglioso.»
Lisandro sogghignò. «Non posso negarlo.»
«Io non sono sposato», dichiarò Yancey. «Posso avere un bacio?»
«So di avere cominciato io, baciando più di un uomo sul lavoro, ma non
lasciare che le mie smancerie ti vadano alla testa.»
«Ti assicuro che non mi sono andate alla testa.»
Soltanto dopo qualche istante mi resi conto che aveva risposto con un doppio
senso e scoppiai a ridere. «Dovrei arrabbiarmi, ma questa è stata sottile!»
«Grazie.» Yancey sogghignò. «In effetti, è venuta bene.»
«Le tue feste sono sempre le migliori», esordì Edward, con la più allegra
voce di Ted, nell’attraversare il prato insieme con due agenti SWAT.
Sapevo che gli altri due agenti della sua squadra, un tiratore scelto e la sua
scorta, si erano appostati su un altro punto elevato, imitando Willy e Machete. Il
dipartimento di polizia aveva assegnato parecchi dei suoi uomini migliori alla
realizzazione del mio piano «può darsi» e io speravo che salvassimo la pelle tutti
quanti.
Per prima cosa, Edward ci presentò i due agenti che lo accompagnavano.
Alto quanto Devil, di una magrezza quasi emaciata, Lindell era soprannominato
Paris. Nessuno spiegò per quale ragione a un tipo brutto come lui fosse stato
affibbiato il nome della città dell’amore, e io non lo domandai perché ho
imparato che i soprannomi sono qualcosa di personale, talvolta di molto
personale, soprattutto tra gli agenti delle squadre speciali. Alto poco più di un
metro e ottanta, rosso di capelli, pallido e lentigginoso, solido e compatto,
Shrewsbury era un concentrato di energia pronto a esplodere a comando; il suo
soprannome era Strawberry, abbreviato in Berry.
Col sorriso radioso di Ted, Edward mi si avvicinò.
«Se non hai portato il lanciafiamme, m’incazzo», gli dissi.
«È nel bagagliaio, Anita. Sai che, se dico una cosa, la faccio.»
Sorrisi e lanciai un’occhiata a Paris, perché Edward con un occhiolino quasi
impercettibile mi aveva indicato che era stato lui a scocciarlo a proposito della
nostra presunta relazione amorosa, tanto da indurlo a schernirlo. «So che
mantieni sempre le promesse, Ted.» Aggiunsi un sorriso al tono beffardo e mi
accorsi che Devil mi fissava, perplesso. Avevo completamente dimenticato di
avere promesso a Ted di aiutarlo a deridere lo scocciatore, quindi avevo
dimenticato di dirlo ai miei ragazzi. Oh, be’… «Ascoltatemi tutti, è molto
importante. Al tramonto arriveranno in volo alcuni vampiri. Sono miei intimi
amici e compagni, quindi non scambiateli per cattivi e non sparate.»
«Come distinguiamo un vampiro da un altro?» chiese Paris.
«Stai forse dicendo che tutti i vampiri sono uguali?»
Paris corrugò la fronte. «Sto dicendo che il nostro principale sospettato è un
vampiro, perciò come faremo a riconoscerli?»
«I tre che si uniranno a noi arriveranno letteralmente volando, cioè
scenderanno dal cielo grazie al loro potere. Invece il vamp cattivo non può
volare, a quanto ne so.»
«Credevo che fosse soltanto fantasia… Intendi dire che possono volare
davvero?»
«Alcuni vamp master sanno levitare. Il volo vero e proprio è molto raro, ma
questi tre ne sono capaci.»
«Chi arriva a giocare con noi?» chiese Edward.
«Wicked, Truth e Jane, che non hai ancora conosciuto.»
«Una vampira di nome Jane?» chiese Paris.
«Sì.»
«Credevo che tutti i vampiri avessero nomi esotici, tipo Jean-Claude, o quelli
che hai appena nominato… Wicked e Truth.»
Sembrava proprio che Paris non riuscisse a smettere di parlare abbastanza a
lungo per cominciare a pensare. Forse il soprannome non gli derivava da Parigi,
bensì da Paride, che aveva provocato la guerra di Troia.
Non fu lo spegnersi del tramonto ad annunciarmi che arrivava la notte. Fu
come premere un interruttore interiore e riuscire a respirare più agevolmente
l’aria rarefatta, o allentare finalmente una tensione accumulata per tutto il giorno.
Sentendo Jean-Claude destarsi per la notte, seppi che aveva aperto gli occhi e
che percepiva la fredda brezza notturna sul mio viso. Non invidiavo Claudia, che
aveva il compito di spiegargli ogni cosa.
Sentii anche Wicked e Truth diventare consapevoli della notte e di tutte le sue
possibilità. Claudia li avrebbe informati che erano stati offerti come volontari per
guardarmi le spalle e per fungere da mia batteria metapsichica. Se fosse arrivato
Seamus, loro due e Lisandro ci avrebbero forse consentito di sconfiggerlo senza
sparargli a vista col rischio di uccidere anche Jane, la sua master. Per evitare ciò
avremmo cercato a tutti i costi di non sparargli, a meno di non esservi costretti.
Quando sentì crepitare la radio, Badger parlò al microfono assicurato al
giubbotto: «Roger». Poi si rivolse a me. «Stiamo ricevendo rapporti su branchi
di zombie.»
«Quanto numerosi?»
«Tra cinque e venti, secondo i testimoni, perciò è probabile che siano in
realtà dieci o quindici.»
Il mio telefono squillò e io riconobbi la suoneria. «Jean-Claude…»
«Cos’hai fatto, ma petite?»
«Il mio lavoro.»
«Sai che sarei stato al tuo fianco…»
«Ne ho parlato con Claudia. Abbiamo saputo da alcuni dei bodyguard più
antichi che, se tu fossi qui con me di persona, Morte d’Amour potrebbe sfidarti
per diventare re di tutti i vampiri. Sarebbe un rischio troppo grosso, e tu lo sai.»
«Potrei sostenerti col mio potere…»
«Sì, ma se rimarrò ferita tu avrai la capacità di mantenermi in vita con la tua
energia. Se invece rimanessimo feriti entrambi, saremmo fottuti davvero.»
Jean-Claude rise, di quella meravigliosa risata palpabile che sembrava
accarezzarmi come se fosse la sua stessa mano, facendomi rabbrividire. «Dici
sempre le cose più dolci…»
«Sai che ho ragione.»
«Vorrei poterlo negare e recarmi in volo accanto a te.»
«Ti amo.»
«Je t’aime, ma petite.»
«Stanotte, quando arriva, bacia Asher per me.»
«Non arriverà stanotte. Tutte le strade che conducono alla città e tutti gli
aeroporti sono stati chiusi. È stata mobilitata la guardia nazionale.»
«Una piccola apocalisse zombie e chiamano i grossi calibri…»
«Il grosso calibro sei tu, ma petite.»
«Non puoi vedermi, ma sto sorridendo.»
«Lo sento, che stai sorridendo.»
Una folata gelida che non era di vento notturno mi fece accapponare la pelle.
«Sento vampiri in avvicinamento. Devo andare. Je t’aime, mon fiancé.»
«È la prima volta che mi chiami così. Ti amo, ma petite.»
Feci il segnale concordato per annunciare una presenza vampirica, sperando
che i tiratori scelti rammentassero che non significava necessariamente una
presenza cattiva. Nel protendermi verso il potere riconobbi Wicked e Truth, e
concentrandomi sentii l’aria sui loro corpi mentre volavano verso di me. Se non
fossero stati vincolati a Jean-Claude da un giuramento di sangue e se non fossero
stati miei amanti, non sarei mai riuscita a individuarli con tanta precisione.
Tuttavia mi appartenevano, e io ero perfettamente consapevole di ciò che
possedevo.
Anche Jane era vincolata a Jean-Claude dal giuramento di sangue; quando la
cercai, percepii in un lampo che era una vampira e che era vicina, null’altro.
Dunque non dipendeva dalla connessione con Jean-Claude. La mia capacità di
percepire con tanta ampiezza e precisione Wicked e Truth dipendeva forse dal
fatto che erano miei amanti e che nutrivo l’ardeur con loro? In seguito avremmo
potuto chiarirlo e compiere qualche esperimento che mi permettesse
d’individuare ciò che distingueva i vampiri che potevo rintracciare da quelli che
non potevo rintracciare.
Tesi, gli agenti SWAT posarono le mani sulle armi all’atterraggio dei vampiri.
Edward non fece una piega: non era la prima volta che assisteva allo spettacolo.
Truth toccò il suolo qualche istante prima di Wicked. Entrambi si rannicchiarono
per assorbire l’impatto e si raddrizzarono, alti e belli, pressoché identici in viso.
Wicked indossava un ampio trench sopra un completo elegante; Truth jeans neri
infilati in autentici stivali rinascimentali risuolati di recente e giacca di pelle nera
sopra una T-shirt nera con la scritta NON PREOCCUPARTI, SONO PROPRIO DIETRO DI
TE E TI USO COME SCUDO UMANO. La seconda parte della frase era in corpo più
piccolo. Nell’avvicinarsi, Wicked aveva un sorriso malizioso e Truth un sorriso
di sincera felicità nel vedermi.
Dato che stavo per chiedere loro di rischiare la vita non come guardie del
corpo bensì come i famigli di una strega, andai loro incontro porgendo le mani.
Si scambiarono un’occhiata e le presero tra le loro dita. Allora infilai le braccia
sotto il trench e sotto la giacca per cingerli ai fianchi, accarezzando la T-shirt di
cotone e la camicia di seta. Mi fissarono coi visi identici abbelliti dalle fossette
sul mento, poi mi abbracciarono, l’uno le spalle, l’altro la schiena.
«Non che mi lamenti, ma… Come mai sei tanto espansiva?» chiese Wicked.
«Vi sto chiedendo molto, stanotte.»
«Siamo le tue guardie del corpo, Anita. Se le nostre vite ti occorrono, sono
tue», disse Truth.
Li strinsi più forte a me. «Non voglio le vostre vite.»
«Qualunque cosa tu voglia, l’avrai», promise Truth.
«Tutto ciò che la nostra signora chiede», aggiunse Wicked.
«Ecco perché vi abbraccio!»
Con l’ampio mantello nero che si gonfiava nella brezza, Jane atterrò come
una guerriera ninja, poi gettò indietro il cappuccio a rivelare i capelli biondissimi
e i grandi occhi azzurri. Gli uomini rimanevano affascinati dalla sua delicata
bellezza fino al momento in cui non assaggiavano la sua gelida spietatezza. Era
alta circa come me, delicata ma formosa, perché era stata reclutata in un’epoca in
cui una magrezza eccessiva significava povertà o malattia. Era taciturna e
riservata come tutti i sicari dell’Arlecchino, tanto gelida e controllata quanto
Goran e il suo master erano teste calde incapaci di controllarsi. Scivolò verso di
noi, col mantello gonfio e ondeggiante che sembrava dotato di vita propria. Non
so come ci riuscisse, però era l’unica dell’Arlecchino a creare quell’effetto
melodrammatico col mantello. Come Seamus era Acqua a causa della sua grazia,
così lei era Ghiaccio, perché nulla la turbava. Era inesorabile e paziente come un
ghiacciaio ed era circonfusa da qualcosa di alquanto spaventoso. Non mi aveva
mai fatto niente di male, non era mai stata neppure sgarbata con me, eppure la
trovavo inquietante.
Mi sciolsi dall’abbraccio a Wicked e Truth per andare incontro a Jane e mi
scusai per avere posto a repentaglio l’animale che rispondeva al suo richiamo.
«Mi dispiace che Seamus sia stato compromesso…»
«Stava svolgendo il suo lavoro», replicò Jane, gelida.
Okay, tanti saluti ai convenevoli. «Riesci a percepire Seamus?»
«Sì.»
«È ancora vincolato a te?»
«Sì e no.»
«In che senso?»
«Morte d’Amour non ha spezzato completamente il nostro legame. È quasi
come se condividessimo Seamus, e questo non è possibile.»
«Se Seamus arriverà, avrai occasione di riconquistarlo completamente. Ma se
tenterà di combatterci… Non possiamo lasciare che questo accada, Jane.»
«Lo capisco. È troppo pericoloso…»
«Ti rendi conto delle conseguenze?»
«Se lui morisse, potrei morire anch’io; anzi, è quasi una certezza, ora che la
nostra Madre Tenebrosa è morta e non condivide più il suo potere con noi», disse
Jane. «Noi, le sue guardie del corpo, siamo molto indebolite.» Il tono della sua
voce rimase immutato, quasi stesse chiacchierando di ciò che avremmo fatto
l’indomani se non avesse piovuto.
«Mi dispiace, però non posso essere dispiaciuta della ragione per cui è
successo.»
«Lo capisco.»
«Okay, allora, ti presento a tutti…»
Così feci, e Paris fu l’unico a tentare di flirtare con Jane, che lo guardò come
se fosse meno di nulla, un foruncolino sul culo dell’universo, di cui a lei non
sarebbe potuto importare di meno. Gli agenti SWAT rimasero turbati da Wicked
e Truth per la stessa ragione per cui erano rimasti turbati da Devil, Nicky e
Lisandro, cioè non erano abituati a incontrare uomini che suscitavano in loro
l’interrogativo: Riuscirei a vincere? Nonostante la loro cordialità, vidi che
Wicked se n’era accorto. Non avrei saputo dire se anche Truth se ne fosse
accorto, o se non gliene fregasse nulla. Se ce ne fosse stato il tempo, Wicked li
avrebbe provocati un po’, con gentilezza, solo per divertirsi.
Mi accingevo a tentare una cosa che nessun risvegliante avrebbe mai osato
tentare, a parte pochissimi, i quali però avrebbero avuto bisogno di compiere un
sacrificio umano per riuscirci, e quindi avrebbero commesso un crimine, dal
momento che i sacrifici umani sono molto illegali. Tuttavia mi era capitato più di
un caso in cui il potere aveva desiderato dilatarsi all’esterno del cerchio tracciato
affinché lo zombie destato non ne uscisse e nulla vi entrasse. Ci sono cose capaci
di possedere i cadaveri, soprattutto se sono freschi, e di abbandonarli soltanto
quando iniziano a marcire. In passato avevo destato accidentalmente cimiteri
interi e c’era stata gente che era morta all’interno del cerchio perché il potere lo
aveva spezzato, dilagando in tutto il cimitero. Una volta mi era successo senza il
cerchio protettivo, ma col sostegno di un vampiro. Era proprio quello che mi
proponevo di ripetere, questa volta senza oppormi al potere, anzi, lanciandolo a
briglia sciolta. In altre parole, intendevo destare volontariamente il maggior
numero possibile di zombie. Volevo allettare Morte d’Amour affinché venisse a
giocare con me. Credeva che avere dentro di sé un po’ del potere della Madre di
Tutte le Tenebre lo rendesse il più grande, grosso e cattivo negromante, e io
intendevo fare tutto quello che potevo per dimostrargli che ero io la migliore.
Avevo bisogno che si avvicinasse abbastanza da poterlo chiudere all’interno di
un cerchio. Poi non avrei dovuto fare altro che tenerlo intrappolato nel corpo di
cui si serviva e avvisare Hatfield di bruciare il corpo originale. Lei non lo aveva
ancora scovato, però aveva trovato la vecchia miniera abbandonata in cui era
nascosto. Era un vero labirinto, come aveva detto Little Henry. Pregavo che
Hatfield lo trovasse prima dell’arrivo di Morte d’Amour, altrimenti saremmo
stati fottuti tutti quanti. Per poterlo uccidere, bisognava bruciare entrambi i corpi.
Essere allo scoperto avvantaggiava i tiratori scelti e al tempo stesso ci
esponeva all’eventuale tiro nemico, ma Seamus non era granché col fucile e
l’Amante della Morte non usava armi da fuoco. Se ci avesse uccisi, lo avrebbe
fatto per mezzo degli zombie o dei vampiri putrescenti, nulla di così preciso e
pulito come un proiettile.
Nicky mi si avvicinò per sussurrarmi: «Che stai aspettando?»
«Credo di avere paura.»
«Paura di non farcela?»
«No, paura di farcela.»
«E questo ti spaventa?»
Sospirai profondamente e risposi con assoluta sincerità: «Per anni ho
combattuto la mia negromanzia, per evitare di fare proprio quello che adesso mi
accingo a fare volutamente».
«Cioè creare un tuo esercito di non morti?»
Annuii.
«Cosa ti spaventa di più?»
«La possibilità che mi piaccia troppo.»
«Va bene gioire di quello che siamo bravi a fare, Anita.»
«Gioire di certe cose non va affatto bene, è pericoloso.»
«Nel senso che non dovresti godere nel ferire o nell’ammazzare la gente?»
«Sì, esatto.»
«Ti senti in colpa per qualcuno che hai ucciso?»
«No.»
«Neanch’io. E adesso fai quello che devi fare, Anita. Libera il potere dalla
gabbia e scopri fin dove arriva.»
«E se si allontanasse tanto da non poter più essere rimesso in gabbia?»
«L’esercito di zombie sarà controllato da te, perciò saranno zombie buoni,
perché tu sei la mia bussola morale e indichi sempre il nord. Non permettere ai
tuoi dubbi e ai problemi altrui d’indurti a pensare altrimenti.»
«Sei sicuro di essere sociopatico?»
«Sicurissimo. Perché?»
«Perché non credevo che i sociopatici fossero bravi a confortare.»
«Sappiamo essere bravissimi a confortare, perché trascorriamo la vita a
fingere per mimetizzarci e per impedire a chiunque di sospettare che non
abbiamo idea del motivo per cui le persone sono gentili l’una con l’altra.»
«Ti rendi conto che questo non è del tutto confortante, vero?»
«Sì, ma con te non devo fingere. Sai già che sono sociopatico, e mi ami
comunque.»
Edward si avvicinò. «Scusate se interrompo, ma perché questo indugio?»
«È colpa mia», ammisi. «Mi preoccupo di cose che non dovrebbero
preoccuparmi.»
«Vuoi un po’ di aiuto per schiarirti la mente?»
Scossi la testa. «Sto bene. Mi ha aiutato Nicky.»
«Anita ha uno di quei momenti in cui si chiede cosa succederebbe se uccidere
fosse piacevole», dichiarò Nicky. «Si chiede se questo la renderebbe una cattiva
persona.»
Edward annuì come se fosse un discorso del tutto sensato. «Allora è
piacevole. Non possiamo controllare quello che fa scattare i nostri interruttori.
Non giudicare, Anita. Accetta e basta.»
Avrei voluto discutere, ma sarebbe stato più che stupido discutere coi due
sociopatici della mia vita. «Perché mai espongo i miei dilemmi morali a voi
due?»
«Perché in realtà non hai nessun dilemma morale a proposito della violenza,
Anita. Semmai hai paura di essere giudicata male perché ne godi, quindi ne parli
con le uniche due persone della tua vita che non ti giudicano.»
Mi fu impossibile discutere con Edward, anche se avrei voluto. «Be’,
cazzo…»
«Vai a destare zombie come quella negromante spaccaculi che sappiamo che
sei.» Edward mi accarezzò la testa, ben sapendo che è una cosa che odio.
«Non vezzeggiarmi!»
«Scusa. Se hai bisogno di conforto, posso aiutarti, altrimenti fai il tuo lavoro,
in modo che l’esercito di non morti del malvagio negromante non si divori tutta
la simpatica popolazione di Boulder.»
«Se lo faccio, sono la negromante buona, oppure semplicemente un’altra
negromante cattiva?»
«Sei la nostra negromante. E adesso vai a giocare coi vampiri e a destare un
po’ di zombie!»
«Benissimo! Voi ragazzi trasferitevi altrove.» Così andai a prendere i miei
vampiri e ad abbracciare la mia negromante interiore, sperando che fosse quella
buona.
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«Ci è stato insegnato l’assioma di Lord Acton: tutto il potere corrompe, il potere
assoluto corrompe assolutamente. Lo credevo quando ho iniziato a scrivere
questi libri, ma ora non credo più che sia sempre vero. Non sempre il potere
corrompe. Il potere può purificare. Quello che io credo sia sempre vero a
proposito del potere è che il potere sempre rivela.»
Robert Caro
«Quando il potere porta l’uomo all’arroganza, la poesia gli ricorda i suoi limiti.
Quando il potere restringe il campo dei suoi interessi, la poesia gli ricorda la
ricchezza e la varietà della sua esistenza. Quando il potere corrompe, la poesia
purifica.»
John F. Kennedy
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