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Presentazione

«Ho giurato di uccidere chiunque minacci le persone che amo.


Il fatto che si tratti di un non-morto non mi fermerà di certo.»

Per via del suo lavoro di Risvegliante, Anita Blake ha spesso a che fare con i
non-morti e sa benissimo che non sono affatto come gli zombie che si vedono al
cinema… almeno non lo sono mai stati. Dalla telefonata che riceve dalla madre
di Micah Callahan, sembra invece che in Colorado sia all'improvviso comparsa
un'orda di creature assetate di sangue, che trasformano tutti coloro che mordono
in mostri simili a loro. E il padre di Micah è una delle vittime. Determinata a
bloccare l'epidemia e a salvare Mr Callahan, la Sterminatrice si precipita sul
posto. Ma le bastano pochi giorni per rendersi conto che questi zombie sono
molto più pericolosi di quanto pensasse. Incredibilmente veloci e forti come
vampiri, non temono nulla, né il fuoco né la luce del giorno. Eppure Anita deve
trovare un modo per fermarli, prima che annientino le persone che ama…

Le avventure di Anita Blake


Nodo di sangue
Resti mortali
Il circo dei dannati
Luna nera
Polvere alla polvere
Il ballo della morte
Dono di cenere
Blue Moon
Butterfly
Narcissus
Cerulean Sins
Incubus Dreams
Micah
Death Dance
Harlequin
Blood Noir
Skin Trade
Flirt
Bullet
Hit List
Kiss the Dead
Affliction

Laurell K. Hamilton è nata a Heber Springs (Arkansas), ma è cresciuta a Sims,


un piccolo villaggio dell'Indiana. I romanzi dedicati alla cacciatrice di vampiri
Anita Blake sono stati pubblicati con enorme successo in tutto il mondo, e
uguale fortuna ha riscosso la serie incentrata sulle vicende magiche e sensuali di
Meredith Gentry.
NARRATIVA

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© 2016 Casa Editrice Nord s.u.r.l.


Gruppo editoriale Mauri Spagnol

In copertina: foto © Shutterstock


In quarta di copertina: foto © Suzy Gorman
Grafica: Meccano Floreal

Copyright © 2013 by Laurell K. Hamilton

Titolo originale
Affliction

ISBN 978-88-429-2771-6

Prima edizione digitale 2016


Quest’opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore.
È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata.
AFFLICTION
Questo è per Anita e per me. Ad altri vent’anni in cui affrontare
le nostre paure, risolvere misteri, catturare cattivi e trovare amore.
Gli artisti e la loro arte, lo specchio e il riflesso, lo yin e lo yang,
la spinta e la trazione, separati ma uniti, alla fine diventa un atto
di collaborazione, perché per creare davvero arte
gli artisti stessi sono ricreati.
1

on la pistola che mi schiacciava la base della schiena, mi spostai in

C avanti sulla poltrona dell’ufficio e mi sentii meglio. Adesso era soltanto


la confortante pressione della fondina interna sotto la corta giacca blu
del mio tailleur. Ormai indosso la fondina ascellare solo quando devo
eseguire un mandato in qualità di marshal federale. Quando lavoro per
la Animators Inc. porto la fondina interna perché è meno probabile che si veda e
che innervosisca i clienti che incontro. In teoria, chi mi chiede di resuscitare i
morti dovrebbe avere nervi più saldi, eppure sembra che sia più spaventato dalle
armi da fuoco che dalle conversazioni con gli zombie, almeno fino a quando non
si trova faccia a faccia con un cadavere ambulante. Allora sembra che
all’improvviso non abbia più tanta paura delle armi da fuoco. Comunque, prima
di arrivare a queste situazioni da Halloween, tento sempre di tenere nascoste le
armi.
La segretaria del turno di giorno, Mary, bussò alla porta del mio ufficio ed
entrò senza aspettare che rispondessi: «Avanti!» Lavoravamo insieme da sei anni
e non lo aveva mai fatto, perciò l’interruzione non m’irritò. Capii che stava
succedendo qualcosa e smisi di controllare la lista dei miei appuntamenti per
accertarmi che non vi fossero sovrapposizioni. Conoscendo Mary, ero sicura che
si trattasse di qualcosa d’importante. Lei era fatta così.
Finalmente aveva deciso di portare sempre gli occhiali e di tenere i capelli
grigi senza più tingerli, anche se aveva mantenuto l’artificiosa acconciatura di
sempre. Era anche un po’ ingrassata, avvicinandosi alla sessantina. Nell’insieme
dimostrava dieci anni più di prima, però sembrava contenta e diceva: «Sono una
nonna, quindi va bene che lo sembri». Aveva l’espressione triste e comprensiva
che mostrava ai parenti in lutto desiderosi di destare i cari estinti dal sonno della
morte. Visto che la stava mostrando a me, il mio battito cardiaco accelerò e mi si
strinse un nodo allo stomaco.
Mentre Mary chiudeva la porta e si avvicinava alla mia scrivania, respirai
lentamente e profondamente. «Qualcosa non va?»
«Non ho voluto dirtelo al telefono con tutti i clienti che ascoltavano», replicò
Mary.
«Dirmi cosa?» domandai, sforzandomi di non alzare la voce. Se avesse
replicato un’altra volta senza dire niente, mi sarei messa a gridare.
«Sulla linea due c’è una donna che dice di essere la tua futura suocera. Le ho
risposto che non sei fidanzata, a quanto ne so, e lei ha replicato che non sapeva
come presentarsi, dato che tu convivi con suo figlio.»
In effetti, convivevo con alcuni uomini, e quasi tutti erano privi di parenti di
cui potessero considerarsi «figli». Alzando un po’ la voce, chiesi: «Il nome,
Mary. Come si chiama?»
«Morgan, Beatrice Morgan.»
Corrugai la fronte. «Non convivo con nessuno che si chiama Morgan. Non ho
mai nemmeno frequentato nessuno con questo cognome.»
«Infatti non ho riconosciuto il cognome di nessuno dei tuoi fidanzati.
Comunque lei ha detto che il padre è rimasto ferito, forse sta morendo, e ha
pensato che lui voglia esserne informato prima che sia troppo tardi. È davvero
angosciata, Anita. Mi dispiace, può anche darsi che sia pazza, però a volte le
mogli sono confuse quando i mariti soffrono. Non ho voluto semplicemente
liquidarla come una squilibrata, cioè, non conosco mica i cognomi di tutti gli
uomini che frequenti.»
L’espressione di Mary non mi permetteva d’ignorare quella telefonata. Da
anni confidavo in lei per selezionare i postulanti, perché era guidata da un ottimo
istinto nel distinguere gli psicopatici da chi soffre davvero.
«Ha detto il nome di suo figlio?»
«Mike.»
Scossi la testa. «Non ho mai frequentato nessun Mike Morgan. Non so perché
abbia chiamato qui, ma si è rivolta all’Anita Blake sbagliata.»
Rattristata, Mary annuì. «Le dirò che non conosci nessun Mike Morgan.»
«Bene. Se non ha sbagliato persona, se non sta cercando un’altra Anita
Blake, allora è una pazza.»
«Non mi sembra pazza, ma semplicemente molto turbata.»
«Sai anche tu, Mary, che la pazzia non implica che le emozioni non siano
reali. Talvolta le illusioni appaiono così reali da cancellare ogni dubbio.»
Di nuovo Mary annuì, poi uscì per andare a riferire a Beatrice Morgan che
aveva sbagliato numero.
Io ripresi a controllare la mia lista degli appuntamenti. Volevo essere sicura
di avere abbastanza tempo da dedicare a risvegliare ciascuno zombie senza
rischiare di arrivare tardi al successivo: i clienti tendono a spaventarsi se li si
lascia soli per troppo tempo ad aspettare nei cimiteri. Se non altro, molti clienti
sono società storiche e avvocati che devono verificare le disposizioni
testamentarie, quindi i parenti dei defunti sono morti a loro volta da lungo
tempo, oppure, come stabilisce una sentenza recente, non possono avvicinare gli
zombie prima che tutti i problemi testamentari siano risolti e che le cause legali
siano giudicate, altrimenti i cadaveri ambulanti, influenzati dai loro cari,
potrebbero modificare le loro ultime volontà. Non sono sicura che sia possibile
influenzare a tal punto gli zombie, però approvo la nuova sentenza. Cambiare il
beneficiario dell’eredità di un miliardario esercitando indebita influenza su un
cadavere ambulante può sconvolgere un sacco di gente.
Di nuovo Mary entrò senza bussare. «Micah! Il suo soprannome da ragazzo
era Mike, e Morgan è il cognome acquisito col secondo matrimonio da sua
madre, che prima si chiamava Callahan. Insomma, sulla linea due c’è la madre di
Micah Callahan, il cui padre è ricoverato in ospedale.»
«Merda!» Presi subito il telefono e spinsi il pulsante per ascoltare la
chiamata. «Mrs Callahan, cioè, Mrs Morgan, sono Anita Blake.»
«Oh, grazie a Dio! Mi dispiace tanto, avevo dimenticato la differenza di
cognome. Sono Beatrice Morgan ormai da diciotto anni, da quando Micah ne
aveva dodici e per noi era Mike. Quand’era ragazzino non gli piaceva essere
chiamato Micah. Pensava che Mike fosse più adulto.» Anche se si percepiva il
suo pianto soffocato, parlava con voce limpida e con ottima pronuncia, tanto che
mi domandai che cosa facesse per vivere, anche se non lo chiesi. Non era
urgente. Era una di quelle curiosità che si hanno quando si cerca di non lasciarsi
travolgere dalle emozioni. Pensare, non commuoversi, soltanto pensare.
«Lei ha detto alla nostra segretaria che il padre di Micah è rimasto ferito…»
«Sì, Rush, il mio ex, suo padre, ha subito un’aggressione. Il suo vice ha
dichiarato che è stato uno zombie, però il morso non è umano, ed è stato
infettato da qualcosa.»
«È raro che gli zombie aggrediscano le persone.»
«Lo so!» gridò Beatrice. Poi iniziò a respirare profondamente per calmarsi, e
perfino al telefono si percepì lo sforzo, tanto che mi sembrò quasi di vederla.
«Mi scusi… Quando Mike ci ha lasciati è stato orribile, ma Rush ha detto di
avere scoperto che Mike l’ha fatto per proteggerci tutti e che alcune famiglie
sono state aggredite da questa gente.»
«Quale gente?» chiesi.
«Rush non ha voluto rivelarmi nessun dettaglio perché riguardava
un’indagine di polizia. Faceva sempre così quand’eravamo sposati, mi faceva
impazzire! Comunque ha detto di avere scoperto abbastanza per sapere che le
famiglie degli altri animali mannari del gruppo erano state sterminate e che Mike
aveva dovuto convincerli di odiarci, altrimenti avrebbero ucciso anche noi. Lei
sa se tutto questo sia vero? Mike desidera rivedere il padre? Desidera rivedere
chiunque di noi?» Beatrice scoppiò di nuovo a piangere e smise di parlare. Il suo
primo matrimonio era finito da quasi vent’anni, eppure il suo primo marito
continuava a sconvolgerla così. Merda!
Ricordavo che il padre di Micah era sceriffo, e sua madre mi aveva appena
rivelato che in qualche modo aveva scoperto su Micah e sul suo gruppo mannaro
più di quanto ne sapesse qualunque altro rappresentante della legge, a parte me.
Per liberare Micah e il suo gruppo avevo dovuto uccidere senza mandato di
esecuzione, quindi ero colpevole di omicidio. Ecco perché mi preoccupava
alquanto che lo sceriffo Callahan ne sapesse più di quanto avessi immaginato.
Sapevo che Micah aveva interrotto i rapporti con la famiglia da anni, dunque mi
chiedevo quante cose sapesse suo padre e come avesse fatto a scoprirle.
«Mrs Morgan…» Toccò a me respirare profondamente per non abbandonarmi
a una dannata paranoia e per poter rassicurare la donna in lacrime con cui stavo
parlando al telefono. «Mrs Morgan, come ha saputo di potermi trovare qui? Da
chi ha avuto questo numero?» Forse se fossi riuscita a farla pensare a qualcosa di
più normale si sarebbe calmata.
Lei tirò su col naso, poi rispose con voce singhiozzante, come se stesse
cercando di soffocare la commozione: «Abbiamo visto al notiziario che Mike
dirige la Coalizione».
«La Coalizione per una Migliore Convivenza tra Licantropi e Umani?»
«Sì!» Più calma, Beatrice aggiunse: «Sì, e alcuni servizi hanno riferito che lei
convive con lui».
Mi domandai se quei servizi giornalistici avessero riferito anche di Nathaniel,
che pure viveva con noi, e della mia «frequentazione» di Jean-Claude, il vampiro
Master di St. Louis. Non guardo quasi mai i notiziari, quindi non sempre so che
cosa dicono di noi i mass media. «Perché non ha chiamato la Coalizione e non
ha chiesto direttamente di Micah?»
«L’ultima volta che abbiamo parlato, lui mi ha detto cose terribili, Ms Blake.
Credo che ora, con Rush in gravi condizioni, crollerei completamente se lui mi
parlasse di nuovo così. Per favore, può chiedere a Mike se desidera vederci, se
desidera vedere Rush, prima… in tempo per… cioè… Oddio, di solito non sono
così, ma quello che sta succedendo a Rush è così terribile, così straziante a
vedersi…»
«Che cosa gli sta succedendo? A che cosa allude?»
«Sta marcendo… Si sta decomponendo mentre è ancora vivo e consapevole,
e i medici non possono impedirlo. I farmaci possono rallentare il processo, ma
non abbastanza.»
«Mi dispiace… Non capisco… Sta dicendo che un essere soprannaturale ha
aggredito Mr Callahan, il quale adesso è afflitto da qualche malattia?»
«Sì», ansimò Beatrice.
«È una malattia conosciuta?»
«Sì, dicono che è il primo caso fuori della East Coast e che se ne sa
abbastanza da poter rallentare il processo. Purtroppo non esiste nessuna cura. Ho
sentito un’infermiera chiamarla ’peste zombie’, ma si è messa nei guai per
averlo detto. Un’altra infermiera, più anziana, ha ammonito: ’Non bisogna usare
un nome che possa piacere alla stampa’. Però i dottori sussurravano tra loro che
è soltanto questione di tempo prima che i notiziari ne parlino.»
«Perché la chiamano ’peste zombie’?» domandai, anche per avere il tempo di
pensare.
«Il processo di putrefazione procede dall’esterno verso l’interno, quindi si
rimane perennemente consapevoli. Sembra evolversi con una rapidità
incredibile, tanto che i medici sono riusciti a prolungare la sopravvivenza di un
solo altro paziente.» Beatrice si lasciò sfuggire un sospiro tremante.
«Mrs Morgan, c’è una cosa che vorrei chiederle, però temo che ne sarebbe
ancora più turbata…»
«Chieda, chieda pure…»
Ancora una volta respirai lentamente e profondamente prima di parlare. «Ha
detto che sono riusciti a prolungare la sopravvivenza… Di quanto?»
«Cinque giorni.»
Merda! pensai. «Mi lasci un indirizzo e un numero di telefono. Riferirò ogni
cosa a Micah.»
Non promisi che saremmo partiti subito, perché non potevo impegnarmi per
Micah. Aveva interrotto i rapporti con la famiglia da una decina d’anni. Io non
avrei esitato a imbarcarmi sul primo aereo, anche se i rapporti che avevo con la
mia famiglia erano a dir poco tenui, ma questo non significava che lui intendesse
fare la stessa cosa. Comunque presi nota di tutto come se fossi certa della sua
risposta.
«Grazie! La ringrazio moltissimo! Sapevo che parlare con un’altra donna
sarebbe stata la cosa giusta. Sappiamo influenzare gli uomini molto più di
quanto credano, vero?»
«A dire il vero, è Micah a influenzare me, più che il contrario.»
«Oh… Forse perché lei è in polizia come Rush? Dipende più dall’avere un
distintivo che dall’essere uomo?»
«Credo di sì.»
«Porterà qui Micah?»
Non volevo mentirle, e al tempo stesso non ero sicura che fosse in grado di
affrontare l’assoluta verità. Aveva bisogno di qualcosa cui aggrapparsi, qualcosa
di cui restare in attesa mentre guardava il suo ex marito marcire vivo. Gesù,
Giuseppe e Maria! Era terribile solo a pensarci! Non potevo lasciarla ad
affrontare una cosa così tremenda senza nessuna speranza, perciò mentii:
«Certo».
«Vede? Ho ragione! Mi ha appena detto che lo porterà qui, e questo significa
che lo influenza più di quanto creda.»
«Può darsi, Mrs Morgan, può darsi.»
«Beatrice, Bea per gli amici», disse, più calma. «Ti prego, Anita, riporta a
casa mio figlio!»
Cos’altro avrei potuto rispondere? «Lo farò… Bea.» E interruppi la
comunicazione, sperando di non averle mentito.
2

n altre circostanze avrei attenuato l’annuncio, magari chiedendo l’aiuto di

I Nathaniel, ma non c’era tempo per la gentilezza. Dovevo informare Micah


con la stessa rapidità e decisione con cui si strappa un cerotto, perché
l’unica cosa che non volevo era che suo padre morisse senza che lui
potesse dirgli addio a causa di un mio ritardo. Così mi costrinsi a non
pensare troppo alle conseguenze che la rivelazione avrebbe avuto sull’uomo che
amavo e sulla vita che avevamo costruito insieme. Come spesso mi succede, fui
semplicemente costretta ad agire.
Non volevo essere io a dargli la notizia e al tempo stesso volevo che non
fosse nessun altro. Capita di voler delegare certe cose, sapendo che non lo si
farebbe neanche se si potesse. Nonostante uno spasmodico nodo allo stomaco,
anni di esercizio mi permisero di regolare la respirazione, e quindi anche il
battito cardiaco, che invece avrebbe voluto accelerare. Chiamai Micah
direttamente al cellulare per evitare il centralino dell’ufficio.
«Come sapevi che stavo pensando a te?» esordì Micah, senza neanche
salutare, cordiale e felice che fossi io al telefono.
Lo immaginai seduto alla scrivania, con un completo confezionato su misura
per il fisico snello e atletico. Alto come me, un metro e sessanta scarso, però con
le spalle larghe e i fianchi stretti, corporatura da nuotatore benché il suo
allenamento preferito fosse la corsa. In quel momento aveva i capelli, ricci e
castani, che gli ricadevano sulle spalle perché avevamo convenuto di tagliarceli
un po’ tutti e due, pur senza violare il nostro accordo, secondo cui, se lui si fosse
tagliato i capelli, io avrei fatto altrettanto, e viceversa.
Ero troppo spaventata per replicare con qualcosa di romantico, troppo
assillata dalla necessità di riferirgli la brutta notizia. Dovevo dirglielo senza
esitare, niente giri di parole, perché qualunque cosa avessi detto avrebbe potuto
solo peggiorare la situazione, come mentire o zuccherare il veleno. Mi lasciai
avvolgere dalla sua voce colma di gioia e di amore come in una calda e
confortante coperta, poi dichiarai: «Tua madre mi ha appena chiamata».
Nell’assordante silenzio che seguì mi sentii pulsare il sangue alle tempie e il
cuore battere più forte con rumore di tuono. Il mio respiro accelerò mentre il suo
si fermava, come quello di chi si riempie i polmoni prima di gettarsi in un
burrone.
Incapace di sopportare quel silenzio, aggiunsi: «Micah, hai sentito?»
«Ho sentito.» La cordialità e la felicità erano scomparse dalla sua voce, vacua
come se l’unica emozione che poteva provare fosse una gelida collera.
Non lo avevo mai sentito così e ne fui spaventata; poi mi arrabbiai, perché
spaventarsi era stupido. D’altronde era la paura che si prova quando si riconosce
quanto sia importante una persona per se stessi e per il proprio mondo, pur
sapendo che per rovinare tutto basta qualche decisione sbagliata. Confidavo che
Micah non lo avrebbe mai fatto e al tempo stesso detestavo dipendere
emotivamente da chicchessia. Anche se mi permettevo di amare, una parte di me
ne aveva ancora paura e cercava di farmi arrabbiare con lui, come per una sorta
di attacco preventivo. Se fossi stata la prima a colpire non sarebbe stato tanto
doloroso, o almeno questa era l’idea con cui avevo convissuto nel subconscio
per anni, prima d’imparare che non è così. Purtroppo non avevo perso quella
cattiva abitudine. Dovevo soltanto ignorarla ed essere ragionevole. In ogni caso
non sopportavo di essere così angosciata solo per avere detto che sua madre
aveva telefonato e prima ancora di avergli parlato del padre! La mia reazione
non mi permetteva di sperare che lui reagisse meglio.
«Che cosa voleva?» domandò Micah, sempre con voce gelida.
Respirai lentamente e profondamente per placare tutte le smanie nevrotiche
suscitate da quel profondo coinvolgimento emotivo, poi parlai con calma, in
tono normale e un po’ freddo. Purtroppo la vecchia abitudine di preferire la
rabbia alla sofferenza era ancora parte di me, benché ci stessi lavorando, e la
conversazione aveva fatto emergere un problema che avevo. Dovevo essere
migliore, maledizione! Non ero più la ragazza triste e rabbiosa di quando io e
Micah ci eravamo conosciuti! «Tuo padre è rimasto ferito e forse sta morendo.
Cioè, probabilmente sta morendo», spiegai, senza collera né gelido distacco;
anzi, in tono di scusa. Merda! Facevo proprio schifo!
«Anita, ma che stai dicendo?»
Ricominciai daccapo e gli riferii tutto quello che sapevo, il che mi sembrò
essere maledettamente poco, date le circostanze.
«È ferito gravemente?»
«Ti ho detto tutto quello che so.»
«Mio padre sta morendo?»
«È quello che tua madre ha detto. E, a dire il vero, sembrava isterica.»
«È sempre stata molto emotiva, quasi a compensare lo stoicismo di papà.
Non riesco a pensare, Anita. Mi sento paralizzato.»
«Vuoi vedere tuo padre, vero?»
«Se mi stai chiedendo se desidero rappacificarmi con lui prima che muoia,
allora la risposta è sì.»
«Okay, prendiamo il primo aereo e vai al suo capezzale.»
«Okay…» Micah sembrava alquanto insicuro. Era molto insolito da parte
sua.
«Vuoi compagnia?»
«Cosa vuoi dire?»
«Vuoi che ti accompagni?»
«Sì.»
«Vuoi che venga anche Nathaniel?»
«Sì.»
«Allora lo chiamo e lo informo. Poi chiamo Jean-Claude per chiedergli se il
suo aereo privato è disponibile.»
«Sì… Bene… Perché non riesco a pensare?»
«Hai appena saputo che tuo padre è in ospedale, in fin di vita, e ti resta poco
tempo per rappacificarti con lui, anzi, con tutta la tua famiglia, durante una crisi
di proporzioni epiche. Prenditi qualche minuto per assimilare tutto questo…»
«Hai ragione», convenne Micah, ancora sconvolto.
«Vuoi che rimanga al telefono?»
«Non puoi chiedere dell’aereo se resti a parlare con me.» Parole ragionevoli,
pronunciate come se fosse inebetito.
«È vero, però mi sembra che tu abbia bisogno di continuare a parlare con
me.»
«È così. Ma ho più bisogno che tu provveda a organizzare il viaggio.
Concederò a me stesso qualche minuto per assimilare tutto, poi troverò qualcuno
che mi sostituisca qui in ufficio durante la mia assenza.»
«Io farò altrettanto.»
«Ti amo.»
«Ti amo di più.»
«Ti amo di più io.»
«E io ancora di più.»
Di solito ci scambiavamo quelle frasi d’amore anche con Nathaniel, ma
talvolta lo facevamo soltanto noi due. A volte, semplicemente, ne avevamo
bisogno.
3

ra già abbastanza tardi perché i vampiri iniziassero a destarsi nei

E sotterranei del Circo dei Dannati; quando chiamai per chiedere se fosse
possibile prendere a prestito l’aviogetto privato, Jean-Claude era
abbastanza sveglio da rispondere personalmente. Non aveva la voce
assonnata perché durante il giorno non dormiva davvero, bensì moriva,
quindi il risveglio era brusco e istantaneo. È come se i vampiri abbiano un
interruttore: acceso, desto; spento, morto. Il corpo si raffredda, anche se non
quanto un vero cadavere, e non cambia colore, né inizia a marcire, proprio
perché non è davvero morto. Se si è davvero morti e umani, il corpo inizia a
putrefarsi non appena il cuore si ferma. Qualcosa di simile accade coi fiori del
giardino. Immergerli in acqua rallenta il processo tanto da farli rimanere belli a
lungo, però cominciano a morire nel momento in cui li si recide. È soltanto
un’attesa della fine inevitabile. In teoria, Jean-Claude avrebbe potuto conservare
inalterato il suo aspetto per cinque miliardi di anni, fino all’esplosione del sole
che inghiottirà il pianeta. Naturalmente io nella mia carriera di sterminatrice
legalmente autorizzata avevo ammazzato abbastanza vampiri per sapere che
perfino essere master di un territorio e capo del Consiglio dei Vampiri
Americani, recentemente costituito, non lo rendeva davvero immortale, ma solo
maledettamente potente. Questa era una delle ragioni per cui era sveglio mentre
il sole splendeva ancora nel cielo. Se non si fosse trovato nelle profondità del
sottosuolo, in un sotterraneo dagli ambienti lussuosi ricavato decenni prima da
un complesso naturale di grotte, sarebbe stato ancora immerso nel sonno della
morte.
«Percepisco la tua angoscia, ma petite. Che cos’è successo?»
Glielo riferii.
«Posso organizzare il viaggio per te e per Micah, però potrò seguirvi solo
dopo avere garantito al master di quel territorio che non abbiamo intenzione di
conquistare le sue terre.»
«Non avevo pensato che sarebbe stato necessario il lasciapassare dei vamp di
quel territorio per far visita al padre di Micah in ospedale…»
«Se voi foste semplicemente una coppia non sarebbe necessario, ma tu sei la
mia serva umana e appartieni al triumvirato di potere che formiamo insieme col
lupo che risponde al mio richiamo, cioè il nostro riluttante Richard. Se tu andassi
con Richard, anziché con Micah, l’arrivo di due componenti del triumvirato in
territorio altrui sarebbe sicuramente considerato un’aggressione a scopo di
conquista.»
«Vogliamo semplicemente che Micah si rechi al capezzale del padre prima
che sia troppo tardi, ecco tutto. Senza dubbio i vampiri locali potranno accertare
che lui è davvero ricoverato.»
«Non è mai così semplice passare da un territorio a un altro per i vampiri
master e per i capi dei gruppi di animali mannari. Tu e Micah siete Nimir-Ra e
Nimir-Raj, regina e re leopardo del nostro pardo. Vi sono altri leopardi mannari
nella città natale di Micah?»
«Non lo so.»
«È necessario che tu lo scopra», suggerì pacatamente Jean-Claude.
«Merda!» imprecai, con vero sentimento. «Questa faccenda mi farà incazzare
molto in fretta.»
«Il nuovo Consiglio dei Vampiri non può permettersi di sembrare composto
di tiranni o di prepotenti. Entrare in territorio altrui senza neppure preavvisare
sembrerebbe arrogante, come ci sentissimo padroni di tutto il Paese, sicuri di
poterci recare ovunque e di poter fare il comodo nostro. I master
s’innervosirebbero e i nostri nemici potrebbero approfittarne per scatenare una
ribellione.»
«Credevo che avessimo neutralizzato anche gli ultimi ribelli. Oppure tu sai
qualcosa che io ignoro?»
«Non ci sono ribelli nel nostro Paese, che io sappia, però so per certo che vi è
scontento, perché lo scontento non manca mai. Quale che sia la forma di
governo, non accade mai che l’intera popolazione sia felice. È nella natura degli
animali politici essere odiati.»
«Vuoi dire che ci odiano perché abbiamo costituito un Consiglio che li
protegge da tutti i vampiri pazzi, assassini e criminali?»
«Voglio dire che si sono sottomessi a noi per avere protezione, e adesso che
si sentono al sicuro cominciano a valutare il potere stesso che ci consente di
proteggerli, ne diffidano e persino lo temono.»
«Be’, non è magnifico tutto questo? Quindi io, Micah e Nathaniel non
possiamo andare a trovare suo padre!»
«Perché Nathaniel?»
«Sta con noi. Micah vuole che ci sia anche lui.»
«Ah! Credevo che volessi portare Nathaniel come leopardo che risponde al
tuo richiamo, e anche Damian, come vampiro del tuo triumvirato di potere.»
Un vampiro superpotente può formare una triplice struttura di potere col suo
servo umano e con l’animale mannaro che risponde al suo richiamo, o che
appartiene allo stesso gruppo animale di quest’ultimo. Io sono la prima umana a
essere stata capace di creare un triumvirato analogo. Secondo Jean-Claude essere
negromante e sua serva umana mi ha consentito di realizzare ciò che era
metapsichicamente impossibile, però a dire il vero non sapevamo come ci fossi
riuscita. Lo avevo fatto e basta.
«Non intendo portare Damian. Appartiene alla mia struttura di potere, però
non è nostro amante.»
«A volte è tuo amante.»
«Se mi facessi accompagnare da tutti i miei amanti occasionali, ci vorrebbe
un aereo più grande.»
Jean-Claude scoppiò in quella sua risata meravigliosa e palpabile che mi
eccitava e mi faceva rabbrividire come se mi accarezzasse. Col tono profondo
della sua risata mascolina, commentò: «Verissimo, ma petite».
Avevo il cuore in gola. Bastava la sua voce a mozzarmi il fiato. «Oddio,
Jean-Claude, smettila! Non riesco a pensare quando fai così.»
Lui rise ancora, e non fu affatto d’aiuto.
Capii che lo stava facendo apposta quando mi sentii prossima all’orgasmo.
«Non osare!»
Allora il suo potere si ritirò. Non era mai riuscito a provocarmi un orgasmo
completo soltanto con la voce al telefono, prima di diventare capo del Consiglio
dei Vampiri. Sapevo che tutti i vampiri master avevano dovuto giurargli fedeltà,
però avevo tardato a capire che questo aveva aumentato enormemente il suo
potere, e cosa potesse significare esattamente. Comunque non avevamo avuto
scelta. Se non fossimo stati noi a comandare, lo avrebbe fatto qualcun altro, e io
mi fidavo solo di noi.
«Mi dispiace, ma petite, ma questo nuovo livello di potere è inebriante. Ora
capisco perché gli altri master temono il capo del Consiglio. Diventare capo e
accettare il giuramento di fedeltà degli altri master implica assorbire un poco il
potere di tutti. Una quantità di potere immensa.»
«Stai dicendo che se tu non fossi migliore, al di sopra della corruzione del
potere, allora tanto potere ti corromperebbe?»
«Non sono sempre certo di essere migliore, ma sicuramente noi, insieme,
siamo migliori.»
«Non credo affatto che la mia influenza ingentilisca sempre, Jean-Claude.»
«Infatti, però grazie alle connessioni metapsichiche abbiamo la coscienza di
Richard, il senso dell’amicizia di Micah, la gentilezza di Nathaniel, la lealtà di
Cynric e i ricordi di Jade, che ci rammentano costantemente le terribili
sofferenze che il suo master le ha inflitto. Le persone che abbiamo raccolto e
legato a noi ci hanno resi più potenti, e al tempo stesso mi aiutano a ricordare
che non sono un mostro e che non voglio esserlo.»
«È possibile non essere mostri semplicemente decidendo di non esserlo?»
Jean-Claude mi conosceva abbastanza bene per sapere che non era
l’incombente condizione di mostro a preoccuparmi. «Tu non sei un mostro, ma
petite e, se entrambi siamo consapevoli di questa possibilità, allora credo che
potremo evitare di diventarlo.»
«Insomma, cosa bisogna fare perché sia permesso a Micah, a Nathaniel e a
me di recarci all’ospedale?»
«Stai dicendo che andrete soltanto voi tre?»
«Be’, noi e il pilota.»
«Devi essere scortata dalle guardie del corpo.»
«Se portassimo guardie del corpo, non sembrerebbe davvero un’invasione?»
«Può darsi, ma, se i nostri nemici scoprissero che la mia serva umana, il
leopardo che risponde al suo richiamo e il suo re delle bestie viaggiano soli e
senza scorta, temo che la tentazione di scoprire che cosa accadrebbe a noialtri se
voi tre moriste sarebbe troppo grande.»
«Se ammazzassero un certo numero di noi che formiamo la struttura di
potere, allora anche gli altri creperebbero… Sì, ricordo la teoria.»
«È più di una teoria. Hai visto tu stessa che Nathaniel e Damian hanno
rischiato di morire quando hai prosciugato la loro energia. E, quando io e
Richard siamo stati gravemente feriti, tu ne hai subito le conseguenze. Non ho
intenzione di scoprire se la teoria sia corretta anche a proposito di quello che
accadrebbe qualora tre di noi fossero feriti simultaneamente.»
«Sono d’accordo. Comunque le guardie del corpo dovranno essere ridotte al
minimo indispensabile. Incontreremo i genitori di Micah per la prima volta. Non
spaventiamoli troppo.»
«Confidi di essere in grado di proteggere te stessa e loro anche con poche
guardie del corpo?»
«Con le guardie giuste, sì.»
«Sei davvero molto sicura di te stessa, e questo un po’ mi spaventa, benché
sia ammirevole.»
«Perché ti spaventa?»
«Perché essere pericolosa, perfino letale e pronta a uccidere senza esitare,
non ti rende invulnerabile ai proiettili.»
«E neanche alle bombe. Non sono mica Superman! So di poter essere ferita, e
con me ci saranno Micah e Nathaniel. Se rimanessero feriti non so che cosa
farei.»
«E se rimanessi ferito io?»
Ecco, quell’uomo bello e meraviglioso poteva ancora sentirsi insicuro e
chiedersi se lo amassi davvero, o quanto lo amassi. Dato che ciascuno di noi
poteva percepire le emozioni degli altri, quando non alzavamo protezioni, era
interessante che talvolta tutti noi fossimo ancora insicuri. Nel caso di Jean-
Claude, che un tempo avevo considerato il seduttore supremo, era accattivante e
aumentava il mio amore per lui.
«Ti amo, Jean-Claude. Non so cosa farei senza di te nella mia vita, nel mio
letto, nel mio cuore.»
«Molto poetico da parte tua, ma petite.»
«Abbiamo frequentato Requiem troppo a lungo, presumo.»
«Una volta superata la crisi, dovremo decidere se dovrà tornare in
permanenza a Philadelphia.»
«E diventare per sempre il luogotenente di Evangeline…»
«Sì.»
«Sai, quand’ero piccola mio padre allevava beagle. Io non volevo mai
vendere nessun cucciolo, e quando sono diventata abbastanza grande mi sono
sempre preoccupata che i nuovi proprietari avessero cura di loro come ne
avevamo noi.»
«Non lo sapevo.»
«Be’, adesso noi non stiamo vendendo cuccioli. Stiamo cedendo
maledettamente molto di più. Sono la nostra gente, i nostri amanti, i nostri amici,
e noi li stiamo mandando via. Non mi preoccupo per quelli che sono diventati
master e che domineranno i territori conquistati, bensì per quelli che
diventeranno luogotenenti di altri master.»
«Ecco perché siamo scrupolosi nell’accertare che trovino sistemazioni adatte
e che siano trattati bene.»
«Requiem non ama Evangeline.»
«No, ama te.»
Sospirai. «Non era mia intenzione farlo innamorare di me…»
«E non era mia intenzione che tu sviluppassi l’ardeur e che diventassi un
succubo, ma ormai il danno è fatto. Siamo ciò che siamo, e ora tu sei
consapevole del potere che possiedi quando fai sesso per nutrire l’ardeur.»
«Requiem è un vampiro master e ha spezzato il vincolo involontario.»
«Credo che il suo amore sia spontaneo, dovuto a quello che sei tu e a quello
che è lui, non al vincolo metapsichico. L’amore rivela molto di più a proposito di
noi stessi che degli oggetti del nostro amore.»
«E questo che significa?»
«Significa che Requiem ha bisogno di amare qualcuno. È sempre stato
disperatamente romantico, e cosa c’è di più disperato che amare senza essere
corrisposti?»
«Lo dici come se avesse bisogno di terapia…»
«Non guasterebbe.»
Sospirai. «Credi che andrebbe in terapia?»
«Sì, se glielo ordinassimo.»
«Non funzionerebbe. La terapia è efficace se il paziente è disposto ad
affrontare i propri problemi e la dura verità, nonché a lottare per migliorarsi.
Occorrono coraggio e forza di volontà.»
«Il coraggio non gli manca, però non credo che voglia guarire dalla malattia
dell’amore.»
«Non posso farci niente se non provo per lui quello che lui prova per me.»
«Infatti, non puoi.»
«Torniamo al problema che dobbiamo risolvere…»
«Mi sembra di capire che ne hai abbastanza di questo argomento…»
«Sì.» A dire il vero, ne avevo più che abbastanza, ma… «Un problema per
volta, okay?»
«Come preferisci.»
«Non è mica quello che preferisco! Non so se in altre circostanze avrei mai
incontrato i genitori di Micah, ma di sicuro non volevo che accadesse in questo
modo.»
«No, certo che no. Comunque l’aereo è a tua disposizione. Non resta che
scegliere le guardie del corpo da cui sarai accompagnata.»
«Il minimo?»
«Sei.»
«Due per uno.»
«Oui.»
«Puoi occuparti dell’aereo mentre io scelgo le guardie?»
«Certo, e ti suggerisco di scegliere soprattutto tuoi amanti, perché dovrai
nutrire l’ardeur e Micah potrebbe essere meno interessato a queste cose adesso
che sta soffrendo.»
Annuii, poi mi resi conto che non poteva vedermi. «D’accordo.»
«In passato mi sono rammaricato di non poterti presentare i miei genitori,
dato che sono morti da lunghissimo tempo, ma in momenti come questo ricordo
che ci sono cose peggiori che averli persi in un remoto passato.»
«Sì, perderli nel presente fa parecchio schifo.»
Jean-Claude rise brevemente. «Ah, ma petite, sei sempre molto forbita!»
«Tanto perché tu lo sappia, in questo momento sto corrugando la fronte.»
«Ma non dici sul serio.»
Sorrisi. «No.»
«Je t’aime, ma petite.»
«Ti amo anch’io, master.»
«Lo dici sempre con derisione, di solito roteando gli occhi. Non lo dirai mai
sul serio.»
«Davvero lo vorresti?»
«No, voglio compagni veri, non schiavi, né servi. Ho capito perché ho scelto
te e Richard. Sapevo che avreste lottato per rimanere liberi e per restare voi
stessi.»
«Sapevi anche con quanta violenza ci saremmo battuti?»
Jean-Claude scoppiò a ridere, facendomi rabbrividire da capo a piedi, seduta
alla scrivania, con gli occhi chiusi.
«Smettila…» ansimai.
«Vuoi davvero che non lo faccia mai più?»
«No…» risposi, con un sospiro tremante. «Chiamo Fredo e gli chiedo chi mi
può assegnare e chi mi consiglia di scegliere.»
«Confido che tu e il nostro ratto mannaro sarete scrupolosi.»
«Grazie. Un tempo avresti insistito per essere tu stesso a scegliere.»
«Un tempo eri attratta dai deboli. Adesso non è più così.»
«Ricorda che a quell’epoca ero attratta da te…»
«Mi hai reso migliore, Anita Blake, e questo è vero per tutti gli altri uomini, e
donne, che fanno parte della tua vita.»
«No so che dire… Sento che dovrei scusarmi, o qualcosa del genere…»
«È nella natura di alcuni condottieri trarre il meglio da coloro che li
circondano.»
«Ehi! Il capo di questa piccola congrega metapsichica non sono mica io! Sei
tu! Ricordi?»
«Io sono il capo politico. In situazioni di emergenza molti nostri seguaci
sarebbero più inclini a obbedire ai tuoi ordini che ai miei.»
«Non è vero!»
«In un combattimento succederebbe così.»
«Okay, se si tratta di violenza, allora sì, in questo sono brava. Tu sei molto
meglio come politico e come organizzatore di ricevimenti e roba simile.»
«Anche tu sai cavartela in politica, in certe circostanze.»
«Soltanto pochi agenti dell’Arlecchino sono migliori di te nella scherma.» A
dire il vero, mi ero stupita non poco nello scoprire la sua bravura con la sua arma
preferita. Alla fine avevo appreso che nel lontano passato era stato un famoso
duellista, prima come umano, poi come giovane vampiro. Mi aveva spiegato che
la sua abilità di schermidore gli aveva consentito di sopravvivere, perché,
quando gli antichi master lo avevano sfidato, lui aveva scelto l’arma prediletta e
così aveva potuto eliminarli. Ne ero venuta a conoscenza solo quando lo avevo
visto esercitarsi nella nuova palestra con le guardie del corpo.
«Stai forse blandendo il mio ego?»
«Credo di sì…»
Jean-Claude rise di nuovo, questa volta semplicemente divertito. «Non ne ho
bisogno. Io sono re e tu oltre a essere la mia regina sei il mio generale, che guida
l’attacco in prima linea e sempre lo farà. Conosci i pregi e le debolezze delle
nostre guardie del corpo meglio di quanto li conosca io, perché ti addestri e ti
alleni con loro. Hai fatto vergognare me e alcuni dei vampiri più antichi
rivelandoci la necessità di esercitarci maggiormente.»
«La maggior parte dei vampiri non può aumentare la massa muscolare perché
il corpo rimane quello che era al momento della morte, per sempre immutato e
immutabile.»
«Eppure io posso, e anche i miei vampiri possono.»
«Uno dei vampiri ribelli ha detto che puoi farlo perché assorbi il loro potere.»
«Questo accresce il mio potere, oui. Tuttavia credo che dipenda
maggiormente dal fatto che i miei legami coi nostri animali mannari sono più
intimi. A differenza della maggior parte dei master più antichi, accetto il loro
caldo potere più in un rapporto tra eguali che in un rapporto tra padrone e
schiavo.»
«Sì, non tratti i licantropi come animali da compagnia o come cose di tua
proprietà.»
«È uno dei motivi di discordia con alcuni dei vampiri più antichi.»
«Sì, be’, dovranno rassegnarsi ad accettarlo senza lamentarsi. Gli animali
mannari accorrono in massa a unirsi a noi proprio perché riconosciamo loro
eguali diritti.»
«È impossibile rendere tutti felici, perciò alla fine rendiamo felici noi stessi e
facciamo quello che possiamo per gli altri. Non voglio schiavi nel mio regno.»
«Sono d’accordo.»
«Ora devo lasciarti per provvedere all’aereo.»
«Sì, certo.»
«Stai rimandando… Perché?»
Fui costretta a pensarci un po’ e alla fine risposi con sincerità, mentre un
tempo avrei preferito morire piuttosto che ammettere una cosa del genere. «Non
so se avrò la possibilità di parlare di nuovo con te, e sentirò la tua mancanza.»
«Questo mi rende più felice di quanto possa esprimere, amore mio. Mi hai
piacevolmente sorpreso.»
«Se non dovessi dirlo abbastanza, Jean-Claude, sappi che ti amo. Amo
pranzare e cenare con te, amo vedere come ti appassioni alle partite di football di
Cynric e vederti leggere storie a Matthew prima di dormire, quando lui alloggia
da noi, e amo le mille cose sorprendenti che fai, tutto ciò che sei, perché sei tu e
ti amo.»
«Finirai per farmi piangere…»
«Un amico sveglio mi ha detto che piangere fa bene. Talvolta si è così felici
che non ci si può trattenere.»
«Jason, Nathaniel o Micah?»
«Uno di loro.» Sorrisi.
«Sono davvero amici svegli. Ora dobbiamo andare a sbrigare i nostri compiti,
ma petite. Je t’aime. Au revoir.»
«Ti amo anch’io. A presto.» Interruppi la comunicazione prima di diventare
ancora più sciocca e romantica. D’altronde era valsa la pena provare un po’
d’imbarazzo pur di sentire la felicità nella sua voce.
Se avessimo abbassato le nostre difese metapsichiche avremmo potuto
condividere ogni respiro e ogni emozione, perfino alcuni pensieri, però è sempre
bello parlare e ascoltare. Nonostante la magia che pervade le nostre vite, è bello
sentirsi dichiarare amore sincero dalle persone amate. È una cosa che non passa
mai di moda. Visto che siamo creati a immagine e somiglianza di Dio, questo
deve essere un suo dono, quindi anche Dio deve avere bisogno di un po’
d’incoraggiamento, tipo un entusiastico grido mentale: Grazie, gran lavoro con
quel tramonto, e l’ornitorinco è stato un’idea strepitosa, divertentissima! Forse è
per questo che dobbiamo pregare, perché senza preghiere Dio si sentirebbe solo.
A volte avevo l’impressione che i miei amici wiccan avessero avuto una
notevole intuizione con la faccenda del Dio e della Dea. Se la gente funziona
meglio in coppia e innamorata, e se siamo creati a immagine di Dio, allora è
logico pensare che Dio abbia bisogno di una Dea. Da quand’ero diventata più
felice con la mia vita amorosa avevo iniziato a chiedermi se Dio non si sentisse
solo senza la sua Dea. Stavo forse frequentando troppi pagani?
Recitai una preghiera di gratitudine per la mia felicità e una per il papà di
Micah, poi lasciai che Dio tornasse a occuparsi della propria vita amorosa come
lui stesso riteneva più opportuno. Chiamai Fredo per scegliere le guardie,
scuotendo la testa alle mie bizzarre e romantiche fantasie religiose. Era così
tipicamente femminile chiedersi se Dio avesse bisogno di una Moglie! Era una
cosa superiore alle mie capacità. Invece scegliere tipi pericolosi per guardarci le
spalle era una cosa che capivo alla perfezione.
4

er mezzo di un messaggio Micah mi riferì di avere chiesto a Nathaniel di

P fare i bagagli per noi, in modo da poterci incontrare direttamente in


aeroporto. Confermai di avere ricevuto il messaggio e chiamai il terzo
della nostra coppia.
Nathaniel rispose al secondo squillo. «Ciao, Anita.»
«Ciao, micino.» La maggior parte degli uomini non avrebbe apprezzato un
simile vezzeggiativo, ma lui non era come la maggior parte degli uomini.
«Micah mi ha detto che stai facendo i bagagli per tutti noi. Quando scegli i
vestiti, puoi tener presente, per favore, che stiamo andando a incontrare la sua
famiglia per la prima volta?»
«Sì, certo.»
«Ho bisogno di camicette che non siano scollate, okay?»
«Adoriamo le tue mammelle», dichiarò.
Capii dal suo tono che stava sorridendo. «Lo apprezzo. Approvo, perfino.
Però, visto che si tratta della prima volta, non ostentiamo subito le mie qualità
alla famiglia di Micah.»
«Credi forse che sceglierei soltanto indumenti adatti a ostentare tutta quella
cremosa opulenza?» replicò Nathaniel, con finta innocenza.
«Sì!»
«Ti prometto di portare qualche T-shirt, però ti ricordo che quasi tutti i tuoi
top eleganti sono scollati.»
«Perché le normali camicette di seta non mi stanno bene.»
«Non sono adatte per chi porta un reggiseno con coppa 3E, Anita. Non
sapevo che snella come sei avessi un seno naturale.»
«La genetica è una cosa meravigliosa.»
«Viva la genetica!» gridò Nathaniel, con tanto entusiasmo da farmi ridere.
«Sceglierò in modo tale che tutti noi vestiremo intonato senza imbarazzare
Micah. Promesso!»
«Grazie. Sei l’unico di cui mi fidi per questo incarico.»
«Porterò un completo anche per me, così saremo tutti eleganti quando
andremo in ospedale.» Nathaniel aveva completi elegantissimi, ma a differenza
di Micah non doveva indossarli per lavoro. Li riservava alle occasioni speciali,
come i matrimoni e certi incontri d’affari in cui tutti i seguaci di Jean-Claude
dovevano vestire nel modo più raffinato.
Nel rendermi conto che la strana felicità di Nathaniel contrastava con la
natura del nostro viaggio pensai d’interrogarlo in proposito, ma proprio in quel
momento ricevetti un avviso di chiamata. «Qualcuno mi sta chiamando.
Lasciami controllare che non sia Micah.»
«Aspetto», replicò Nathaniel, sempre allegro. Era troppo allegro, oppure era
semplicemente più bravo di me ad affrontare le emergenze di quel genere?
Era Jean-Claude. «Hai scelto come bodyguard anche lupi mannari?»
«Sì, secondo la regola tua e di Micah, cioè avere la maggior varietà possibile
di bestie mannare come bodyguard quando ci presentiamo in pubblico.»
«Dovrai cambiare le tue scelte, ma petite.»
«Perché?»
«I lupi locali ci hanno chiesto di non portare nessuno che possa sfidarli.
Come segno di buona fede chiedono che non ci sia nessuno dei nostri lupi, a
meno che un funerale non lo renda necessario, nel qual caso capirebbero.
Comunque sarebbe un’eccezione.»
«Intendi permettere che ci comandino a bacchetta?»
«No, ma accogli la loro richiesta, se vuoi che questa prima visita riguardi
soltanto Micah e suo padre in fin di vita. Se invece vuoi affrontare politicamente
i lupi mannari locali e magari anche spaventarli abbastanza da ricorrere alla
violenza, allora porta pure lupi mannari come guardie del corpo.»
«Okay, sceglierò qualcun altro.»
«Bene.»
«C’è altro che dovrei sapere?»
«Il vampiro master del territorio ha deciso di rinunciare alle consuete
formalità politiche e porge i migliori auguri a Micah. Inoltre, i suoi seguaci sono
a nostra disposizione per il trasporto e per le commissioni, in modo che voi tutti
possiate pensare soltanto alla famiglia di Micah.»
«È molto gentile da parte sua», dissi, incapace di celare il sospetto.
«Sì, è stato gentile, ma noi non siamo più semplici master in visita. Siamo i
membri del Consiglio coi nostri seguaci, quindi obbedienza e una certa
deferenza ci sono dovuti.»
«Dunque adesso che sei a capo del Consiglio possiamo risparmiarci tutte le
solite stronzate della politica vampirica?»
«In parte, sì. D’altronde, dobbiamo rispettare maggiormente i master e il loro
amor proprio, a meno che tu non voglia alimentare fermenti di ribellione tra
loro.»
«Sai che non lo voglio.»
«Allora, per favore, ricordalo quando tratti col master e coi suoi seguaci.»
«Temi che io possa essere tanto rude da spaventarlo?»
«Rude, tu? E perché mai dovrei nutrire un simile timore?» La nota di
sarcasmo, sebbene leggera, fu estremamente eloquente.
«Farò la brava. È bello da parte loro aiutarci nonostante il breve
preavviso…»
«Non hanno molta scelta», dichiarò Jean-Claude. «Il Consiglio europeo
giudicherebbe un rifiuto di queste cortesie come un grave insulto e agirebbe di
conseguenza.»
«Vale a dire?»
«Hai incontrato anche tu gli ambasciatori del Consiglio. Cosa credi che
farebbero a un master che si mostrasse scortese con loro?»
«Lo spaventerebbero a morte, lo tormenterebbero, lo torturerebbero e forse
arriverebbero a spodestarlo, se avessero qualcuno con cui sostituirlo, o perfino,
in certi casi, per il puro gusto di scatenare il caos.»
«Le azioni dell’antico Consiglio condizionano il comportamento dei master
nei nostri confronti. Da un lato ci temono, perché il Consiglio qui negli Stati
Uniti potrebbe approfittare del proprio potere e volerne sempre di più. Dall’altro,
si mostrano cortesi e ci offrono i loro servigi per placarci e per non darci motivo
d’infuriarci con loro.»
«Insomma, la reputazione dell’antico Consiglio ci rende le cose difficili e
spaventa tutti i master. Al tempo stesso, è probabile che li induca a comportarsi
meglio perché hanno paura di noi.»
«Exactement.»
«Aspetta un momento… Ai consiglieri in visita si deve offrire cibo… Ci
offriranno cibo per l’ardeur?»
«Non ho concordato nulla a questo proposito. Però, se non lo faranno,
significherà che non ci rispettano come rispettavano gli antichi consiglieri.»
Mi sforzai di non parlare in tono d’accusa. «Ti stai servendo di noi per
verificare il comportamento di Fredrico nei nostri confronti e nei tuoi…»
«Non sono stato io a organizzare la visita. A questo punto, però, sì, è una
prova per il master locale. Dobbiamo scoprire se il nostro dominio sia efficace o
inefficace, per decidere come tenere le redini del potere.»
«Preferirei non sfruttare la visita al padre di Micah in fin di vita per verificare
la lealtà dei vampiri locali.»
«Non soltanto dei vampiri, ma anche degli animali mannari. Il nostro Micah
viaggia per tutto il Paese e aiuta i gruppi di licantropi ad affrontare i loro
problemi. Promuove migliori relazioni tra gli umani e la comunità mannara. È
diventato il portavoce del movimento e spesso è chiamato a risolvere dispute a
centinaia di chilometri dal nostro territorio.»
«Cosa stai cercando di dire, Jean-Claude?»
«Abbiamo scoperto che il motivo per cui non hai altri re di altri gruppi
animali tanto legati a te quanto lo è Micah è che metapsichicamente hai già il tuo
re peloso. Tramite te, lui non ha connessioni soltanto coi leopardi, bensì anche
con molti altri animali mannari.»
«Lo so, lo so, abbiamo legami con animali mannari di ogni genere, e Micah è
un vero re leopardo in senso metapsichico, in grado di dominare col potere
soprannaturale, e non soltanto con la forza di volontà e con le azioni. Se nel mio
letto non avessi un licantropo che è un vero re, allora non sarebbe andata così.
Tuttavia pensavo che valesse soltanto qui a St. Louis. Invece stai dicendo che gli
animali mannari di tutto il Paese sono attratti dal potere di Micah senza
nemmeno rendersene conto?»
«No, sto dicendo che quando viaggia e li incontra il potere di un vero re lo
accompagna. La gente vuole essere protetta, ma petite. In America insegnano
che ognuno dovrebbe essere l’eroe della propria storia, ma la maggior parte della
gente non è adatta per questo. Vuole qualcuno da seguire e ne ha bisogno. Se ha
fortuna trova una guida buona. Se invece non è così fortunata…» Jean-Claude
non terminò la frase.
«Micah è bravo.»
«Sì, è bravo e forte, e pensa agli interessi di tutto il gruppo, ai problemi di
portata più vasta.»
«Non credo che Micah abbia chiamato i gruppi animali della propria città
natale.»
«Ecco perché l’ho fatto io per lui.»
«Forse avresti dovuto dirglielo…»
«Gliel’ho detto.»
«E lui cos’ha risposto?»
«È stato grato dell’aiuto e mi ha spiegato che la politica era proprio l’ultima
cosa che aveva in mente.»
«È naturale.»
«Questo non cambia il fatto che la sua visita ha anche aspetti politici.»
«Merda! Stai per dirmi che devo occuparmene io perché Micah non ne è in
grado?»
Jean-Claude ridacchiò. «Non esattamente. Comunque ho discusso con Fredo
dei possibili trabocchetti politici. Lui ha assicurato che ne informerà le guardie
che ti accompagneranno, però ne avrebbe scelte altre, se avesse saputo che si
trattava di una visita politica. Gli ho risposto che la tua sicurezza è più
importante della politica, quindi parti pure con le guardie che hai scelto.»
«Scommetto che non hai neppure chiesto chi abbiamo scelto…»
«Quando si tratta di scegliere soldati hai sempre la mia più assoluta e
completa fiducia.»
«Grazie. Quanto a me, confido in te e in Micah per la politica. È un vero
peccato che durante questo viaggio sia proprio io ad avere la mente più
sgombra.»
«È una vera sfortuna.»
Mi venne in mente una cosa cui avrei dovuto pensare prima. «Io mi nutro di
Rafael, il re dei ratti, e di Reece, il re cigno. Se uno di loro fosse stato mio
amante prima che incontrassi Micah sarebbe stato ’re’ nello stesso senso in cui lo
è lui?»
«Credo di no, anche se non lo so con certezza. So che i ratti e i cigni sono gli
unici gruppi animali ad avere un re nazionale. So che non nutri l’ardeur tramite
loro molto spesso, ma quando l’hai fatto ho sentito convogliare su ciascun re
l’energia di tutti i seguaci.»
Rabbrividii, e non di gioia. Era una sensazione meravigliosa sentire persone a
centinaia di chilometri di distanza cedere energia al loro re, e tramite lui a me.
Conoscevo i volti di alcuni cigni e ratti mannari anche se non li avevo mai visti
al di fuori di uno scambio di energia metapsichico. «Credi che Micah stia
cominciando a essere il re di tutti?»
«Credo che abbia la rara opportunità di diventare… il re supremo di gran
parte della comunità dei licantropi in questo Paese. E credo che abbia scelto i
ratti mannari come modello cui ispirare la propria politica.»
«Tu e Micah ne avete parlato?»
«Un po’…»
«Non credi che avrei dovuto partecipare?»
«Cosa credevi che stesse succedendo? Micah e la sua Coalizione sono
convocati in tutto il Paese per risolvere dispute tra diversi gruppi animali, in
modo da evitare il ricorso alla violenza ed essere più ’umani’. Quando un gruppo
chiede più volte di essere guidato dalla stessa persona, cosa credi che
significhi?»
«Che quella persona è il loro capo, oppure lo sta diventando.»
«Non te ne sei accorta perché non te ne sei voluta accorgere. Tu odi la
politica. Micah non vuole essere re, però è un capo troppo intelligente per non
scorgere le proprie possibilità.»
«Okay, quindi sono stata tarda e un po’ stupida. Mi dispiace.»
«Tarda, ma mai stupida. Forse incurante, di quando in quando.»
«Benissimo. Insomma, cosa dovrò fare mentre Micah sarà troppo angosciato
per occuparsi di politica?»
«Concentrati su Micah. Fredrico è stato molto comprensivo a proposito della
priorità di questa visita.»
«Sappiamo qualcosa del passato di Fredrico?»
«Sì, era un nobile spagnolo nonché un conquistador.»
«Di solito gli ex aristocratici non sono molto comprensivi, a proposito di
problemi come quello di Micah.»
«È verissimo. Ma forse lui ha paura di noi. I nobili imparano a essere molto
cortesi con coloro che sono più potenti.»
«Io preferisco l’aggressione.»
«Tu non hai mai dovuto sopravvivere in una corte nobiliare. È un’esperienza
che insegna l’umiltà.»
«L’umiltà non è una delle mie caratteristiche migliori.»
Jean-Claude proruppe in una gran risata, una pura e semplice risata. Non ero
sicura di averlo mai sentito ridere così.
Dato che non la smetteva, sbottai: «Benissimo, ridi pure quanto ti pare!
Intanto ho Nathaniel in attesa».
«Mi dispiace, ma petite, ma sei una delle persone meno umili che io abbia
mai incontrato, quando si tratta di negoziare.»
«Preferisco negoziare da un punto di forza.»
«Anche se non ne hai nessuno.»
«Siamo più forti di questo Fredrico, vero?»
«Molto più forti.»
«Allora è stato gentile perché non aveva altra scelta.»
«Sì, ma ti prego di non sottolinearlo quando incontrerai i suoi seguaci. Lascia
che conservino il loro orgoglio. Fredrico proviene da un’epoca in cui ci si
sfidava a duello all’ultimo sangue per vendicare anche il più lieve sgarbo
all’onore personale. Ti prego di non fare in modo che si senta offeso.»
«Il lupo è l’animale che risponde al suo richiamo? È per questo che sei stato
così gentile col branco del suo territorio?»
«Non, ma petite, Fredrico non ha animali che rispondono al suo richiamo.
Semplicemente, mi sono comportato secondo i desideri di Micah. Stiamo
costruendo la nostra struttura di potere sull’eguaglianza tra tutti gli esseri
soprannaturali, non sulla superiorità dei vampiri. È un nuovo approccio, molto
progressista. I nostri giovani approvano, mentre i nostri antichi diffidano o
persino disapprovano che ai licantropi sia riconosciuto maggior potere.»
«Fredrico è un ex conquistador, perciò è antico. È un problema per lui
includere i pelosi nella struttura di potere?»
«Non lo ha dichiarato.»
«Se non ha un animale che risponde al suo richiamo è poco potente come
Master della Città.»
«Infatti, e proprio per questo il suo territorio agli inizi era campagna. In
seguito, anche se nessuno aveva previsto una tale urbanizzazione, vi si è
sviluppata una città abbastanza grande e ricca da renderlo un master più
importante.»
«Se è così debole, mi sorprende che nessuno lo abbia mai sfidato.»
«Non ha mai perduto la propria abilità con la spada, e quand’è stato sfidato
ha potuto scegliere l’arma del duello.»
«Insomma, ha sempre vinto perché è uno spadaccino maledettamente bravo.»
«Sì, perché gli sfidanti non erano consiglieri, e lui, in quanto sfidato, ha
sempre potuto scegliere l’arma. Sarebbe stato considerato sleale se gli sfidanti
avessero usato gli animali che rispondevano ai loro richiami, perché lui non ne
ha nessuno.»
«Così la sua debolezza diventa una forza.»
«In parte.»
«Tu però sei un consigliere. Sarebbe diverso se dovesse affrontare te?»
«Hai combattuto al mio fianco quando Colui Che Scuote la Terra ha tentato
di annientarci. In quanto consigliere avrebbe potuto insistere per usare ogni
potere di cui era in possesso. Avrebbe potuto provocare un terremoto e ridurre in
macerie la nostra bella città.»
«Colui Che Scuote la Terra voleva che gli umani avessero di nuovo paura dei
vampiri. Un terremoto sarebbe stato inutile, perché nessuno avrebbe mai creduto
che un vampiro fosse in grado di provocarlo.»
«È vero. Comunque sarebbe stato suo diritto usare il potere di provocare
terremoti.»
«Quindi, se tu affrontassi Fredrico, potremmo scatenargli contro tutti i nostri
animali mannari, tutto quello che abbiamo, e rompergli il culo.»
«E sostituirlo con un master di nostra scelta, oui.»
«Quindi facciamo i bravi e lasciamo che salvi la faccia.»
«Oui.»
«Okay, ho capito.»
«Bene. Ora continua pure a parlare con Nathaniel. Vuoi che chiami Fredo per
dirgli che abbiamo bisogno di una nuova guardia?»
«Preferirei contribuire a scegliere il sostituto.»
«Allora non dilungarti a chiacchierare col nostro micino.»
«D’accordo. Ti amo.»
«Je t’aime, ma petite.»
Quando ripresi la conversazione, Nathaniel mi avvisò: «Sei in viva voce. Ho
dovuto continuare a fare i bagagli».
«Okay.»
«Cosa voleva Jean-Claude?»
«Te lo dirò in aereo. Adesso devo finire di scegliere le guardie del corpo.»
«Va bene.»
«Ti amo.»
«Ti amo di più.»
«Ti amo di più io.»
«E io ancora di più.»
Ebbi l’impressione che entrambi i miei leopardi mannari si sentissero
alquanto insicuri. Be’, diavolo, anch’io!
5

i solito ho paura di volare, e allacciare la cintura di sicurezza della

D grande poltrona imbottita non mi fece sentire meglio. Anche se i sedili


erano grandi, l’aereo era piccolo. Ho accennato al fatto che sono anche
claustrofobica? È per questa combinazione che volare è così
divertente.
Però, non appena Micah sedette accanto a me e mi prese la mano, smisi di
preoccuparmi delle mie paure per preoccuparmi di lui. Nonostante il volto
impassibile e gli occhiali neri, mi comunicò la propria tensione attraverso il
contatto fisico. Nella fretta di partire era la prima volta che lo vedevo da quando
gli avevo riferito la cattiva notizia.
«Come va? Tutto bene?» Nel sentirmi pronunciare quelle parole mi resi conto
di quanto fosse stupida una domanda del genere, però è così che si dice di solito.
Micah sorrise, ma in modo triste e un po’ rabbioso. Era lo stesso sorriso che
aveva quando ci eravamo conosciuti, così pieno di altre emozioni da non essere
mai felice. Era triste vederlo di nuovo sul suo volto.
Lo abbracciai, attirandolo a me, e mi lasciai abbracciare. Lui non badò alla
mia cintura di sicurezza che lo intralciava un po’. Mi appoggiai col mento sulla
sua spalla e mi fu possibile perché era alto come me. Era l’unico uomo che
avessi mai frequentato a essere alto esattamente come me, cioè un metro e
sessanta scarso. Potevamo indossare le stesse T-shirt e gli stessi jeans. Tra gli
uomini della mia vita era quello che aveva il fisico più delicato, oltre a essere il
più basso, però la sua forza, che sentivo mentre mi abbracciava, non aveva
niente di delicato. Conoscevo bene la muscolatura snella che si celava sotto il
suo completo elegante. Correva per molti chilometri ogni settimana, di solito
all’aperto, quali che fossero le condizioni del tempo. Diceva che correre era il
suo momento di riflessione.
«Non so come fare», confessò Micah, col viso affondato nei miei capelli.
«A incontrare i tuoi genitori?»
«Sì.»
Sempre abbracciandolo, accarezzai con una mano la coda di cavallo in cui
aveva raccolto i lunghi capelli folti e ricci. «Mi dispiace tanto che tu debba
ritornare a casa in circostanze come queste…»
Mi strinse così forte che stavo per protestare quando allentò la stretta. Era un
leopardo mannaro, quindi avrebbe potuto stritolare il metallo a mani nude, però
era sempre perfettamente consapevole della sua forza.
«Scusa…» Si sciolse dall’abbraccio e si addossò allo schienale.
Restando girata verso di lui, gli presi una mano. «È tutto okay. Sei
angosciato.»
«Lo sarò per tutto il tempo, probabilmente. Come posso rivederli, Anita?
Come posso affrontare mio padre, gravemente ferito, forse in fin di vita?» Micah
si girò a guardarmi senza staccare la testa dallo schienale, per parlare di un
argomento che non avevamo quasi mai discusso. «Non riesco neppure a
immaginare cosa si provi a perdere un genitore in tenera età, com’è successo a
te. È già terribile quando si è adulti…»
Annuii. «È spaventoso. Comunque tu sei cresciuto con entrambi i genitori
fino a quando non sei andato al college. Io invece avevo soltanto otto anni
quand’è morta mia madre. Ho avuto solo mio padre fino a dieci anni, poi ho
avuto anche una matrigna con cui non sono mai andata d’accordo e una
sorellastra mia coetanea. In seguito è nato Josh, da mio padre e dalla mia
matrigna. Non riesco neppure a immaginare come sarebbe stata la mia vita se
mia madre fosse sopravvissuta.»
«Io ho avuto anche il mio patrigno e i miei fratellastri.»
«Non me ne avevi mai parlato…»
Micah scrollò le spalle. «Non mi sono mai sentito vicino alla seconda
famiglia di mia madre. Dopo il divorzio mi sono schierato con papà. Anche se le
volevo bene, mia madre lo aveva lasciato. Lui non ha mai amato nessun’altra
donna, soltanto lei, come se potesse amare esclusivamente un’unica persona.»
«Quanti anni avevi quando hanno divorziato? Dodici?»
«Sì.»
Lo scrutai in viso. Come sempre in pubblico, indossava gli occhiali da sole
neri per nascondere gli occhi di leopardo, che non potevano più tornare umani
perché Chimera, il sadico che aveva sottomesso il suo pardo, lo aveva punito
costringendolo a rimanere troppo a lungo in forma animale. Amavo i suoi occhi
verdi e dorati, soprattutto in estate, quand’era abbronzato. A differenza di lui,
che si abbronzava facilmente, io, con l’eterno pallore teutonico che ho ereditato
da mio padre, non mi abbronzo mai.
«Hai detto che in origine avevi gli occhi castani… Da chi li avevi ereditati?»
gli chiesi.
Micah sorrise, questa volta senza tristezza. «Da mio padre.» Era un sorriso
pieno di amore, di felicità, di ricordi, l’orgoglio che il figlio provava ad avere gli
stessi occhi del padre. Sapevo che pure lui, come me, era stato compagno di
caccia del padre. Entrambi eravamo cresciuti cacciando e bivaccando.
«Dunque somigli a tuo padre?»
«Lui è un po’ più alto, però abbiamo la stessa corporatura. Sapeva quello che
mi sarebbe servito, così da ragazzo mi ha fatto imparare la ginnastica e le arti
marziali, non sciocchezze come il football. Gli piace guardare le partite, ma è
sempre stato troppo piccolo per giocare e sapeva che lo sarei stato anch’io,
quindi non mi ha costretto a subire la frustrazione che suo padre aveva inflitto a
lui.»
«Tuo nonno?»
«Sì, è alto uno e settantadue, più grosso di corporatura. Io e papà abbiamo
preso dalla famiglia della nonna. Non capisco come mai i tizi grandi e grossi che
sposano le cheerleader minute non si rendano conto che possono somigliare alla
madre anche i figli, non solo le figlie. Non ci pensano.»
«Mi sembra di capire che non vai molto d’accordo con tuo nonno…»
«Lui non sopportava che il figlio non fosse abbastanza grande e grosso per
giocare a football. Mio padre avrebbe potuto giocare come dilettante in una
squadra universitaria, non come professionista, anche se era comunque un atleta.
È andato al college con una borsa di studio per il baseball.»
«Il baseball è uno sport virile.»
Micah sogghignò. «Nonno Callahan giocava a football e praticava la lotta.
Era portato più di noi ad aumentare la massa muscolare, un po’ come Nathaniel.»
Come se pronunciare il suo nome lo avesse evocato, il nostro amante
s’imbarcò sull’aviogetto. Aveva i lunghi capelli raccolti in una treccia e non si
era ancora tolto gli occhiali da sole. Aveva le spalle più larghe di quelle di Micah
ed era alto quasi un metro e settanta. Aveva dovuto limitare i pesi con cui si
esercitava in palestra, altrimenti la massa muscolare sarebbe aumentata tanto da
fargli perdere la flessibilità di cui aveva bisogno come danzatore.
Micah invece doveva faticare moltissimo per diventare appena un po’ più
grosso. Coi capelli raccolti e col completo antracite che indossava, nulla
distoglieva l’attenzione dai lineamenti quasi perfetti del suo viso, con le labbra
larghe, arcuate, morbide, e col mento mascolino e dolce al tempo stesso, proprio
come la sua bellezza. Osservare che il suo viso era disadorno sarebbe stato come
dire che il David di Michelangelo è marmo disadorno.
Allora Micah mi strinse più forte la mano, e non per angoscia. Era mai
possibile che vedere il nostro terzo montare a bordo gli accelerasse il battito
cardiaco? Mi strinse la mano un po’ più forte mentre ci scambiavamo
un’occhiata. Ebbi un attimo per fissare il suo volto triangolare dalle labbra
carnose prima che scoppiasse a ridere e io lo imitassi. Fu come il dissolversi
improvviso di una tensione orribile.
Nathaniel sorrise. «Ho fatto qualcosa di divertente?»
«No», rispose Micah. «Soltanto… Oddio… Sei così…»
«Bello», conclusi.
«Sì», confermò Micah.
Arrossendo, Nathaniel ci regalò uno dei suoi grandi e luminosi sorrisi di
assoluta felicità, che gli fece splendere tutto il viso. Il rossore invece era una
novità.
«Non ti avevo mai visto arrossire», commentai.
Allora Nathaniel chinò la testa come se fosse imbarazzato, un’altra cosa che
non lo avevo mai visto fare.
Micah fu il primo ad alzarsi per avvicinarglisi. Quando cercai d’imitarlo, la
cintura di sicurezza mi trattenne ricordandomi che avevo esagerato un po’ con la
prudenza. Così rimasi seduta a guardarli mentre si abbracciavano, dapprima
virilmente, da buoni amici, senza che i loro fianchi si toccassero. Poi Micah si
scostò e si scrutarono in viso, tutti e due con gli occhiali da sole e i capelli
raccolti. In quel momento mi fu possibile osservarli di profilo, come non mi
capitava quasi mai. Se il profilo di Nathaniel era marmo scolpito, quello di
Micah, più delicato, era avorio intagliato, sempre ammesso che l’avorio possa
essere abbronzato e incorniciato di ricci.
Trattenni il fiato mentre si baciavano sulla bocca, stringendosi più forte
nell’abbraccio, con le mani di Nathaniel che accarezzavano la schiena di Micah
per sentire i muscoli attraverso il tessuto del completo elegante.
Interruppero il bacio e si girarono a guardarmi, accostando i visi e
permettendomi di ammirarli l’uno accanto all’altro, lineamenti scolpiti, labbra
dischiuse, ancora uniti in un abbraccio rilassato.
Anche se mi sarebbe piaciuto dire qualcosa di profondo e di poetico,
mormorai semplicemente: «Wow…»
Nathaniel sorrise. «Credo che le piaccia guardare.»
Anche Micah sorrise nel porgermi una mano per invitarmi a unirmi a loro.
Di nuovo cercai di alzarmi dimenticando la cintura di sicurezza, poi faticai a
sganciarla, quasi che non sapessi più come fare, e loro due risero quando
confessai: «Mi avete stordita col vostro bacio! E non ho neanche partecipato!»
«Serve aiuto?» chiese Micah, divertito.
Finalmente mi liberai e fui accolta nel loro abbraccio, immersa nelle loro
profonde risa mascoline, nel loro calore, nel loro peso, e fu meglio di quasi
qualunque cosa avessi mai immaginato. Un tempo ero stata convinta di poter
amare un singolo uomo per volta, eppure ormai amavo loro due e amavo anche
Jean-Claude. Micah e Nathaniel erano uniti, li amavo insieme, e insieme
eravamo tre. Jean-Claude era un’entità a sé stante: nonostante tutti i compagni di
letto che avevamo, io e lui eravamo una coppia. L’amore che mi univa ai due
uomini che mi stavano abbracciando non sottraeva nulla all’amore che mi univa
a Jean-Claude, anzi, vi si sommava. Tutte le relazioni si sommavano l’una
all’altra, perciò eravamo tutti più felici di quanto fossimo mai stati. Non credevo
al vivere per sempre felici e contenti. Credevo invece all’essere più felici di
quanto si fosse mai stati, perché lo stavo vivendo.
Quando piegai la testa all’indietro Nathaniel mi baciò, e sapevo che poi mi
avrebbe baciata anche Micah, unito a noi nell’abbraccio. La vita era grandiosa.
Qualunque cosa ci attendesse nella vecchia città natale di Micah, l’avremmo
affrontata e superata. Avremmo potuto farcela perché ci amavamo. L’amore non
trionfa su ogni cosa, però può aiutare a trionfare su ogni altra cosa.
6

n vocio proveniente dall’esterno attirò la nostra attenzione. Con le sue

U larghe spalle Nathaniel m’impediva di vedere fuori, però lui stesso


poteva guardare, e anche Micah, così domandai: «Che succede?»
«Nicky blocca la scala, e le altre guardie non sono contente», riferì
Nathaniel.
«Nilda non è contenta», precisò Micah.
Quando entrambi si spostarono per consentirmi di guardare fuori, vidi Nicky
in fondo alla scala come un biondo muro di muscoli. Era alto circa un metro e
ottanta, quindi Nilda, la seconda donna più alta che avessi mai incontrato, lo
superava di quasi tredici centimetri. Però lui aveva le spalle tanto larghe quanto
io ero alta e una massa muscolare gigantesca che lei non avrebbe mai avuto,
anche se faceva pesi col massimo impegno: per una questione genetica, non le
era affatto facile aumentare la massa muscolare. Aveva una muscolatura
possente, ma liscia e snella. La sua abbronzatura dorata contrastava coi capelli
di un biondo quasi platino e faceva risaltare gli occhi azzurri nel viso dagli
zigomi alti e dai lineamenti così tipicamente scandinavi da farla sembrare una
modella per la pubblicità del turismo in Norvegia. Si chiamava Brunilda, come
una valchiria, e ne aveva tutto l’aspetto mentre urlava in faccia a Nicky,
furibonda, con le spalle e le braccia contratte per la tensione. Apparteneva
all’Arlecchino, cioè al gruppo di coloro che per secoli erano stati bodyguard,
spie, assassini, giudici, giurie e carnefici della comunità dei vampiri. Erano così
letali che bastava nominarli per essere braccati e uccisi. Erano stati la guardia
scelta della Madre di Tutte le Tenebre, la leggendaria prima vampira, la tenebra
incarnata, che si era servita di loro per imporre il proprio dominio assoluto. Poi
si era stufata per la noia, oppure era invecchiata, ed era caduta in «letargo» per
secoli. Così il suo dominio si era a poco a poco dissolto e l’Arlecchino si era
diviso in due fazioni, una che credeva ancora nello scopo originale e una che
non ci credeva più.
Nilda era l’animale che rispondeva al richiamo di un vampiro master
appartenuto all’Arlecchino, che adesso stava con noi. A volte avevo
l’impressione che, se fosse dipeso da lei, Nilda si sarebbe schierata con la
fazione dell’Arlecchino che era ancora incazzata con noi perché avevamo
annientato la loro padrona. Tuttavia il suo master era della vecchia scuola, quindi
non gli era mai neanche passato per la testa di lasciarle la possibilità di scegliere.
Lei era l’animale che rispondeva al suo richiamo, e per tutti i vampiri all’antica
era soltanto un’appendice del master, una macchina da combattimento che
parlava, camminava e qualche volta scopava. Comunque la mia impressione era
che in quest’ultimo caso per il master fosse come masturbarsi, quasi che lei per
lui non fosse reale.
No, non mi piaceva granché il master di Nilda, e non ero particolarmente
affezionata neppure a lei. L’avevamo scelta per la trasferta nell’intento di
favorire l’integrazione tra i bodyguard dell’Arlecchino e i nostri. Tuttavia alcuni
si adattavano meglio di altri. Mi chiedevo cosa avesse fatto Nicky per esasperare
così Nilda, che era irascibile, certo, ma ormai stava rischiando di perdere il
controllo.
Salendo in cima alla scala vidi altri due bodyguard in disparte. Devil,
soprannome affettuoso di Mefistofele, sogghignava come se si stesse godendo lo
spettacolo. Il suo bel viso dorato brillava di contentezza, a parte l’espressione
guardinga degli occhi nocciola orlati di azzurro. Sapevo che sarebbe intervenuto
senza esitare se lo scontro verbale fosse degenerato in scontro fisico. Era alto
quasi un metro e novanta, meno di Nilda, più di Nicky, e aveva le spalle più
larghe di quelle di lei e più strette di quelle di lui, oltre ad avere meno massa
muscolare di entrambi. Grande, grosso e atletico per natura, quand’era in
palestra a fare pesi era una specie di pigro felino. Si esercitava come un figlio di
puttana nell’uso delle armi e nel combattimento corpo a corpo, ma sollevare pesi
gli piaceva meno che a Nilda e a Nicky.
Serio e triste, Ethan era alto un metro e settantadue, quindi era uno dei nostri
bodyguard più bassi, però sembrava che volesse compensare la scarsa statura
con l’impegno nell’allenamento, sempre ultimo a lasciare la palestra e sempre
primo a offrirsi volontario per imparare qualcosa di nuovo. Aveva occhi grigi e
capelli corti e ondulati, più lunghi sul cocuzzolo e di un biondo quasi platinato,
dai riflessi grigi come gli occhi, con una frezza rosso cupo che correva dalla
fronte alla nuca. Anche se sembravano tinti, erano del tutto naturali.
«Non ho mai visto Nilda perdere il controllo in questo modo», commentò
Nathaniel.
«Neanch’io», rispondemmo in coro io e Micah.
Volevo intervenire per evitare la rissa. Probabilmente Nicky aveva provocato
Nilda, eppure non riuscivo a immaginare cosa potesse averle detto per farla
arrabbiare tanto. D’altronde alcuni licantropi dell’Arlecchino avevano grossi
problemi psicologici, anche se avrebbero dovuto essere spie perfette, dotate di
ferreo autocontrollo. I loro vampiri master avevano un detto: «Bisogna tenerli a
guinzaglio corto perché sono soltanto animali». A me sembrava piuttosto che
avessero subito abusi per secoli, alcuni perfino per migliaia di anni, e quindi, da
quand’erano liberi di essere persone, non sapevano come comportarsi. Oppure,
da quando potevano vivere liberamente i loro sentimenti, erano soltanto
furibondi e, non potendo vendicarsi dei master, se la prendevano con chiunque
potevano. A quanto pareva, Nilda si stava sfogando con Nicky. Cazzo!
«Nilda, calmati!» gridai dalla cima della scala.
Come se non mi avesse sentita, la vergine vichinga piantò un indice nel petto
di Nicky, e lui, provocato allo scontro fisico, contrasse i muscoli delle spalle.
«Niente risse!» gridai. «Basta così, Brunilda!»
Allora lei mi scoccò un’occhiata furente, con gli occhi azzurri diventati quasi
grigi, un’avvisaglia che stava per abbandonarsi all’ira e perdere il controllo,
come avevamo appreso tutti quanti da quand’era con noi, cioè alcuni mesi.
L’altra avvisaglia fu ancora peggiore. La sua energia dilagò come la vampa di
una fornace, così rovente da mozzare il fiato persino a me, che ero in cima alla
scala. Era tanto persino per Nilda. Secondo le vecchie regole, una tale
ostentazione avrebbe indotto la maggior parte delle bestie mannare a
riconoscersi sconfitte oppure a sfoggiare il proprio potere.
«Dici che siamo tutti uniti, ma prendi sempre le parti altrui! Abbiamo servito
la Tenebra incarnata e ora siamo nulla!» gridò Nilda, come se la sua stessa voce
fosse una vampa di calore ardente e ogni parola splendesse nell’aria trasudando
potere, visibile come una fiamma.
«Sei tu a gridare contro di me», replicai, con calma e fermezza. «Sei tu a
perdere il controllo in pubblico come una novellina. Dov’è la famosa disciplina
dell’Arlecchino?»
«Tu non sai cosa significa disciplina», ringhiò lei. «Sei una ragazzina che non
ha ancora vissuto una vita intera. Noi siamo l’Arlecchino!»
Investita dalla vampa del suo potere, così rovente da minacciare di ustionarmi
benché fossi lontana, in cima alla scala, mi sforzai di rimanere impassibile e mi
chiesi come Nicky riuscisse a resistere stoicamente a non più di mezzo metro da
lei. La vicinanza accentuava la veemenza del potere e il contatto fisico poteva
essere doloroso. Eppure Nicky era come un masso nella corrente del fiume di
potere di Nilda. Be’, se poteva resistere lui, potevo resistere anch’io.
Scendere due gradini fu come immergermi in un bagno così caldo da
arrossare dolorosamente la pelle. «Siete bravi a combattere, ma finora non sono
rimasta granché impressionata da nient’altro. E questa ragazzina comanda il tuo
culo, anzi, tutti i vostri culi.»
«È Jean-Claude che comanda. Tu sei meno di un animale che risponde al
richiamo. Sei soltanto una schiava umana. Non dovresti comandare proprio
niente.»
Ah, ecco il problema! Era peggio che essere l’amante che otteneva un
incarico dirigenziale perché andava a letto col capo. Secondo il vecchio
ordinamento della comunità dei vampiri, la gerarchia si fondava sul potere
soprannaturale, coi vampiri in cima alla piramide, con gli animali mannari al
centro e coi servi umani alla base. Gli umani puri e semplici erano null’altro che
cibo.
«Tu non hai nessuna autorità su di me, umana, e neppure Nicky!» Nilda si
avvicinò di un passo al gigante silenzioso che la fronteggiava.
«Non è lui a comandarti», replicai. Abbassai le mie difese per risvegliare le
bestie dentro di me e liberai il mio calore soprannaturale, scendendo altri due
gradini e immergendomi ancora di più nel furore di lei. La mia voce divenne
cupa e ringhiante come la sua. Avevo in me tigre, leopardo, lupo e leone, mentre
lei aveva soltanto orso, un orso bruno imparentato coi kodiak e coi grizzly, però
più grosso. Alcune delle stirpi mannare più antiche conservavano l’ultima
connessione genetica con specie animali ormai estinte. Tra gli animali che
rispondevano al richiamo dell’Arlecchino vi erano alcuni orsi mannari. Erano
bastardi grandi, grossi e cattivi, però lei ne aveva soltanto uno, mentre io avevo
un intero serraglio di bestie mannare. I marchi vampirici di Jean-Claude mi
mantenevano in forma umana, cioè impedivano la metamorfosi, o almeno
l’avevano sempre impedita fino ad allora, però le bestie erano pur sempre dentro
di me, incluse tutte le stirpi di tigre mannara. Trasmettendo il mio potere con due
parole, aggiunsi: «Sono io!»
Ormai ero abbastanza vicina per vedere i suoi occhi diventare castano-
rossicci, occhi di orso nel volto umano. Di solito la metamorfosi inizia proprio
dagli occhi, e fino a quel momento, nonostante i frequenti scoppi d’ira, Nilda
non aveva mai permesso che i suoi occhi si trasformassero. Merda! Il mio
sfoggio di potere avrebbe dovuto placarla, dimostrando che ero pronta a
respingere la sua minaccia con la mia. Invece lei stava per trasformarsi, cioè una
cosa di cui in quel momento non avevo proprio bisogno.
«Ti stai comportando come una novellina alla prima luna piena. Controllati,
oppure torna al Circo. Non abbiamo bisogno di queste stronzate.»
«Hai bisogno di sei guardie e mi è stato ordinato di essere la sesta. Non
disobbedirò agli ordini ricevuti.»
«Fredo prende ordini da me. Se io ti dico di tornare a casa, tu torni a casa.»
Mentre il potere che l’avvolgeva scintillava come la foschia del calore sopra
una strada asfaltata in estate, Nilda chinò la testa, poi riassorbì il potere e mi
guardò con occhi azzurri, di nuovo umani, anche se evidentemente era ancora
furibonda. Mi stava benissimo che fosse incazzata. Non mi stava affatto bene
invece che perdesse il controllo. «Non intendo disonorare il mio master»,
dichiarò.
Anche se la calma stava tornando, era troppo tardi per quanto mi riguardava.
Non avevo tempo di assistere Nilda nel risolvere i suoi rovelli interiori. Mi
dispiaceva per lei e capivo perfino la sua rabbia, in parte, però Micah aveva
bisogno di me e questa era la mia priorità. «Non ho tempo di aiutarti a risolvere i
tuoi problemi, Nilda. Mi dispiace che le cose ti siano andate da schifo, ma non
posso occuparmene adesso. Rimonta in macchina e fatti riaccompagnare a casa
dall’autista. Io chiamo Fredo e lo avverto.»
Senza più rabbia, Nilda mi scrutò per cercare di capirmi. Era una
caratteristica che avevo già notato: gli orsi mannari dell’Arlecchino sembravano
avere difficoltà a interpretare le espressioni dei volti umani. Io stessa avevo
ancora difficoltà a interpretare le espressioni di coloro che amavo di più,
quand’erano in forma animale. Non ne avevo mai parlato, e forse avrei dovuto,
anzi, forse in seguito lo avrei fatto, ma di sicuro non in quel momento.
«Ho riassorbito il mio potere. Ho fatto come hai chiesto. Perché vuoi
mandarmi via?» chiese Nilda, in tono ragionevole, come se fossi io a
comportarmi male.
«Perché non posso rischiare che ti comporti di nuovo così in presenza della
famiglia di Micah. Suo padre è un rappresentante della legge, quindi ci saranno
altri sbirri in ospedale: se tu manifestassi i tuoi poteri soprannaturali, potrebbero
prima spararti e poi chiedere scusa. Ricorda che è uno Stato dell’Ovest. Quando
sei in forma umana potrebbero ammazzarti e sarebbe legale, perché poi gli esami
del sangue rivelerebbero la tua licantropia. Se vuoi partire e poi farti ammazzare
mi sta benissimo, però sarebbe un guaio se il tuo master morisse insieme con te
soltanto perché sei una bambina indisciplinata. Inoltre anche le persone che amo
potrebbero soffrire a causa del tuo comportamento, e questo non intendo
permetterlo.»
Mentre i suoi occhi, tanto spalancati da sembrare laghi azzurri, si colmavano
di lacrime, Nilda si sforzò di non sbattere le palpebre, in modo da impedire che
le scorressero sulle guance. «Ti prego… Ti prego… Se mi caccerai, lui capirà
che ho fallito, e tu non sai cosa mi farebbe se lo deludessi.»
«Non ti farà nulla senza il permesso di Jean-Claude, quindi l’unica
conseguenza sarà che per qualche tempo ti sarà permesso di svolgere
esclusivamente servizio di protezione in città e lontano dai media.»
Allora Nilda emise un lungo sospiro e deglutì convulsamente, con le lacrime
che le brillavano negli occhi, raccolte, sempre senza scorrere. «Credete di
controllare l’Arlecchino, ma non è così. I master continuano a seguire le antiche
regole, e in privato ci puniscono senza pietà, come cani.»
«Non permetterei a nessuno dei nostri seguaci di maltrattare neppure i loro
cani. Vuoi forse dire che Gunnar in privato ti tortura?»
Con una mano sul viso, Nilda indietreggiò, allontanandosi da Nicky e dalla
scala.
Mi sembrò una risposta sufficiente. «Merda», mormorai, con vero
sentimento. Senza girarmi, sentii la presenza di Nathaniel alle mie spalle.
Nello stesso momento Micah mi si affiancò. «In tutto il Paese ho incontrato
antichi master che trattano in questo modo gli animali che rispondono al loro
richiamo.»
«Noi governiamo per mezzo dell’esempio, maledizione! Questo significa che
nessuno, qui a St. Louis, deve fare stronzate come questa.»
«Se tu la cacciassi, Jean-Claude dovrebbe provvedere», osservò Micah.
«Non possiamo portarla con noi», intervenne Nathaniel.
Ci girammo tutti e due a guardarlo. Tra noi era il più sottomesso, quasi
sempre gentilissimo, eppure certe volte il suo sguardo lasciava trapelare l’acciaio
che aveva dentro. Anche se non voleva comandare, ciò non significava che non
fosse forte.
«Sembri molto sicuro», commentai.
«Lo sono.» Anche se la sua espressione s’intenerì, Nathaniel scosse la testa.
«Adesso lei si sente sicura come non si sentiva più da moltissimo tempo. A
volte, quando questo succede dopo avere subito molti abusi, si crolla, perché lo
si può fare, perché alla fine si è con qualcuno che offre aiuto e sostegno. Ma, se
Nilda sta per lasciar emergere secoli di abusi, allora non può accompagnarci in
questo viaggio.»
Scrutando il suo bel volto serio, mi resi conto che Nathaniel capiva il dolore
di Nilda meglio di chiunque altro, eppure non intendeva lasciarsi influenzare
dalla sua sofferenza. Era un tipo di forza che stavo appena iniziando a
comprendere e ad apprendere. Sono una personalità dominante e il mio istinto
m’induce a proteggere gli altri. Tuttavia Nathaniel aveva ragione. Era una
decisione dura, ma giusta.
«Per anni sono stato la vittima prediletta di Chimera e capisco Nilda»,
dichiarò Micah. «Al nostro ritorno farò tutto il necessario per aiutarti a impedire
che il suo master abusi di lei. Adesso però non è lei la mia priorità.»
Scrutai i volti dei miei due uomini. «Desidero aiutarla più di quanto lo
desideriate voi perché sono una ragazza?»
«No, perché non sei stata in terapia quanto me», spiegò Nathaniel. «È tutta
questione di barriere, Anita, barriere personali. Conosci Nilda da pochi mesi
soltanto, non le vuoi bene, non siete neppure amiche. Lei sta cercando di
sottomettere tutti gli altri licantropi e si disinteressa completamente degli umani,
a parte te, perché non può ignorarti. Comunque tu non le piaci. Non fraintendere
la sua richiesta di compassione. È puramente egoistica. Pensa solo a se stessa e
alla propria sofferenza. Siamo tutti così, però abbiamo persone che ci amano e
che amiamo, come in un matrimonio. A differenza di lei, non siamo soli.»
«Credo che non abbia mai avuto nessuna possibilità», replicai.
«Non siamo stati noi ad abusare di lei», ricordò Micah.
«Lo so.»
«Se non abbiamo cura innanzitutto di noi stessi, non possiamo avere cura di
nessun altro», sentenziò Nathaniel.
Era logico. Aveva ragione. Allora perché mi sentivo così male?
«Anita…» Micah mi prese per le braccia e m’indusse a girarmi verso di lui.
«Anche questo ritardo potrebbe impedirmi di arrivare prima della morte di mio
padre, e io non devo nulla a Nilda.»
Annuii, perché da quel punto di vista aveva perfettamente ragione.
«Chiamerò Jean-Claude e Fredo dall’aereo, così non prolungheremo il ritardo.»
«Chiama anche Jake», suggerì Nathaniel, alludendo a un altro animale
mannaro dell’Arlecchino.
«Perché?» domandai.
«Jake spiegherà all’altro Arlecchino che desideri avere la possibilità di
discuterne con tutti e che ti dispiacerebbe molto se nel frattempo Nilda o
qualunque altro animale che risponde al richiamo fossero puniti.»
«L’Arlecchino ha più rispetto per Jean-Claude che per me.»
«Confido nel fatto che Jake metta in chiaro un’importante differenza tra te e
Jean-Claude.»
«Quale?»
«Jean-Claude vuole il potere e il prestigio che derivano dall’avere al proprio
servizio gli assassini e i bodyguard della Madre di Tutte le Tenebre, quindi
esiterebbe a ucciderli. Tu invece no.»
«Sono umana, Nathaniel. Non posso combattere nessuno dell’Arlecchino.
Posso soltanto ucciderli.»
«Esattamente.»
Corrugai la fronte. «Non voglio mica ucciderli…»
«Però lo faresti comunque.»
«Imbarchiamo le altre guardie e decolliamo. Basta indugi», intervenne
Micah, ponendo fine alla discussione.
Dato che l’autista era umano e non potevamo essere sicuri che Nilda non
perdesse il controllo e lo facesse a pezzi, Ethan rimase ad assisterlo nel
riaccompagnarla al Circo. La metamorfosi può essere provocata dalle emozioni
violente, dalla sofferenza non meno che dalla collera, quindi durante il decollo
mi preoccupai per Micah. Di solito volare mi spaventa maggiormente proprio al
decollo e all’atterraggio. In ogni modo tenni la mano al mio amore, troppo
preoccupata per lui per preoccuparmi per me, e fu il decollo più rilassato che
avessi mai fatto.
7

ra buio quando arrivammo in Colorado, perciò Denver mi sembrò come

E ogni altra città vista dal cielo, con le luci simili a una distesa di stelle
elettriche sulla terra. Sbarcati dall’aereo trovammo ad attenderci due
SUV neri guidati da vampiri pressoché identici e un SUV bianco cui si
appoggiava una donna molto umana, minuta e delicata come Micah,
con capelli rossi e ricci che cadevano sulle spalle. Avevo trascorso così tanto
tempo a scrutare gli occhi e il viso di Micah che riconobbi da lontano la forma
dei suoi occhi anche senza riuscire a vederne il colore. Mentre la struttura ossea
della donna era molto simile a quella di Micah, i capelli rossi e le lentiggini
erano sorprendenti. Infatti avevo sempre immaginato che i suoi genitori fossero
castani come lui. Indossava polo azzurra, blue jeans e stivali da cowboy troppo
usati e consunti per essere una scelta dettata dalla moda. Staccandosi dal SUV,
sorrise.
Micah le andò incontro con un gran sorriso. «Juliet…»
«Mike…»
Si abbracciarono con trasporto, ma senza che i loro fianchi si toccassero,
come accade tra parenti. Durante il volo di quasi quattro ore avevamo saputo che
Juliet era figlia di zio Steve, come il cugino Richie, entrambi uccisi dal
licantropo che aveva trasformato Micah in leopardo mannaro. A quell’epoca i
due cugini erano stati entrambi diciottenni. Richie aveva terminato il corso di
addestramento ed era stato in procinto di entrare in servizio attivo nell’esercito,
mentre Micah aveva lasciato il college, che già frequentava, per una vacanza.
Erano tornati entrambi per un’ultima caccia al cervo coi loro padri. Avevano
abbattuto una cerva, poi erano stati aggrediti da una belva mannara. Il padre di
Micah non aveva partecipato alla caccia perché si era dovuto recare a indagare
su una morte sospetta.
Quando Nathaniel mi prese per mano, percepii la sua tensione e mi girai a
guardarlo. Era impassibile, ma nervoso. Repressi l’impulso di abbassare le difese
che c’impedivano di percepire senza mediazioni le reciproche emozioni, col
rischio di non riuscire più a distinguere quelle di ciascuno. Non era il momento
di sprofondare nei sentimenti di Micah. Aiutarlo ad affrontare la riunione di
famiglia era già abbastanza difficile così.
«Non devi essere nervoso», sussurrai a Nathaniel.
«Dimmi che nulla cambierà fra noi tre», sussurrò lui a sua volta.
«Nulla cambierà fra noi tre.» Così dicendo gli strinsi forte la mano. Non mi
fu possibile fare altro per confortarlo, perché il vampiro di un SUV si avvicinò.
Forse un tempo avrei detto che sembrava scivolare sull’asfalto, ma in realtà
non scivolava affatto, bensì camminava semplicemente, anzi, rozzamente in
confronto alla grazia con cui si muovevano Jean-Claude, Damian, Wicked e
Truth, o Requiem, o anche, diavolo, un sacco di altri vampiri di St. Louis! Aveva
corti capelli neri e, a parte la camicia bianca, era tutto vestito di nero, inclusa la
cravatta. Erano i colori tipici di Jean-Claude, però su quel vampiro non facevano
lo stesso effetto, forse perché il suo completo era di taglio meno raffinato; anzi,
era così ordinario che chiunque avrebbe potuto indossarlo, mentre Jean-Claude
vestiva esclusivamente in uno stile del tutto personale, unico. Sarebbe stato
adatto a recitare il ruolo di «vampiro qualsiasi» come comparsa in un film.
Benché fosse noioso rispetto ai succhiasangue cui ero abituata, era un inviato del
Master della Città, quindi mi fu possibile essere cortese e sorridergli come
sorrido ai clienti anche quando non ho nessuna voglia di farlo. In modo analogo
Nathaniel gli offrì il sorriso luminoso e affascinante che dedicava al pubblico
quando si esibiva e che si cancellava dalla faccia a spettacolo concluso.
«Ms Blake, suppongo», esordì il vampiro, con voce impersonale e
insignificante come il suo abbigliamento.
Mi sforzai di non ribattere: «Be’, di sicuro non sono il dottor Livingston», e
per fortuna ci riuscii. «Sì, e questi è Mr Graison.»
Il vampiro parve sorpreso. «Mi scusi, ma la nostra etichetta non m’impone di
salutare una pomme de sang o un animale che risponde al richiamo.»
È chiamata pomme de sang la persona cui un vampiro succhia sangue
regolarmente e che spesso è anche amante. All’inizio Nathaniel era stato per me
come una pomme de sang, però erano trascorsi ormai alcuni anni da allora, e
benché fosse anche il leopardo che rispondeva al mio richiamo…
«È il nostro terzo, quindi non è solo cibo o animale da compagnia.»
«Non conosco il termine ’terzo’, Ms Blake.»
«È il terzo della nostra coppia», spiegai.
«Siamo stati informati che la sua vita amorosa coinvolge molto più di tre
individui, Ms Blake.»
Non seppi bene come replicare. «Anche se non sono monogama, ciò non
implica che i miei amanti non siano importanti per me. Consideri Nathaniel e
Micah come miei sposi.»
Il vampiro accennò un inchino muovendo soltanto la testa. «Mi scuso. Non
avevo capito che avesse tanta considerazione per i suoi amanti, a eccezione del
suo master, naturalmente.»
«Sarebbe un errore valutare le mie priorità secondo la normale etichetta dei
vampiri.»
«Mi rendo conto di avere suscitato la sua collera.»
«È tutto okay, Anita», intervenne Nathaniel.
Scossi la testa. «No, non lo è affatto.»
«Comunque, lei si trova qui per motivi personali», dichiarò il vampiro.
«Lo sa benissimo.»
«Eppure è armata…»
«Sono sempre armata. È molto raro che io non lo sia.» Lasciai la mano di
Nathaniel per poter fronteggiare il vampiro, il quale mi aveva appena
comunicato che le mie armi nascoste non erano affatto tali al suo sguardo
vampirico. O forse aveva tirato a indovinare e io gli avevo confermato che aveva
visto giusto… Merda! Non avevo nessuna voglia di giocare a chi aveva le palle
più grosse mentre cercavo di aiutare gli uomini della mia vita. O forse ero stata
io a cominciare la gara? In tal caso, lo avevo fatto involontariamente.
«Qual è il suo nome?»
«Alfredo.»
«Grandioso! Okay, Alfie, allora.»
«Come sa che il mio master mi chiama Alfie?»
Avevo usato il diminutivo per spiazzarlo e per irritarlo. Meglio ancora se
avevo indovinato! Sorrisi, compiaciuta. «Senta, apprezzo che lei sia venuto
all’aeroporto a prenderci e apprezzo che Fredrico si comporti da vampiro master
civilizzato, però sinceramente sono qui per confortare il mio fidanzato e
conoscere la sua famiglia. Non voglio gareggiare a chi è più grande, grosso e
cattivo, e non ne sento neanche la necessità. Okay?»
Fissandomi, Alfie socchiuse gli occhi. «Io non ho…»
«Senta, la faccia finita, okay? Se la smette lei, la smetto anch’io. Lei hai
voluto mostrarmi di avere scoperto che sono armata e io le ho mostrato di
conoscere il suo diminutivo, però non ho il tempo né le energie per simili
giochetti, quindi vediamo di comportarci da gente normale. Grazie per essere
passato a prenderci. Non sapevo che sarebbe arrivata anche la cugina di Micah.»
«Gente normale?» Il vampiro rise, in modo breve, brusco e molto umano.
Doveva avere meno di cinquant’anni. Se avessi usato la mia negromanzia
avrei potuto stabilirlo con un’approssimazione di un anno o due, o cinque al
massimo, ma se avessi sfoggiato così le mie facoltà metapsichiche si sarebbe
potuto sentire insultato.
«La gente normale non ha guardie del corpo. La gente normale non è trattata
regalmente dal mio master», continuò. «Lei non può essere normale, Anita
Blake. Lei è la Sterminatrice, e adesso è anche la regina americana del nostro
nuovo re, Jean-Claude. È una negromante e non so che altro. L’elenco dei suoi
poteri e titoli è troppo lungo, e grazie alla sua richiesta di evitare le formalità non
sono costretto a sciorinarlo tutto. Ma di sicuro lei non è normale, Ms Blake!»
Sarebbe stato difficile controbattere, anche se avrei voluto farlo.
Comunque in quel momento arrivò Micah, che aveva lasciato Juliet al suo
SUV. «C’è qualche problema?» domandò a bassa voce, per non essere udito
dalla cugina.
«Nessun problema», assicurai.
Allora Alfie s’inchinò a Micah. «Mi dispiace conoscerla in queste tristi
circostanze, Mr Callahan. Il mio nome è Alfie e il mio master mi ha posto a
vostra disposizione per la sera.»
Mi parve interessante che un inchino fosse dovuto a me e a Micah, ma non a
Nathaniel, che, anzi, sarebbe stato del tutto ignorato senza la mia protesta. Per
quanto ci si sforzasse, la politica vampirica non si poteva evitare.
«Grazie, Alfie.» Micah si girò verso di me con uno sguardo che conoscevo
bene, cioè per chiedermi se ci fosse qualcosa che non andava.
Intanto percepii l’arrivo di alcune delle nostre guardie del corpo, e
l’espressione di Alfie nel guardare verso di loro mi confermò che si trattava dei
due più grandi, più grossi e più cattivi. La sua incapacità di celare la
preoccupazione m’indusse a sottrarre una decina di anni alla mia valutazione
della sua età di non morto. Insomma, non poteva essere vampiro da più di
trent’anni.
Poi arrivarono anche Bram e Ares, che spesso erano di turno insieme e
sembravano la faccia nera e la faccia bianca della stessa medaglia, entrambi alti
poco più di un metro e ottanta, snelli, allenati come tutte le guardie del corpo, ma
non molto grossi. Le loro caratteristiche erano la velocità e la forza, non la
massa. Erano ex militari e si vedeva, come sempre quando si è stati in servizio
abbastanza a lungo e il congedo è ancora relativamente recente. Benché
abbronzarsi gli fosse più facile che a tanti biondi da me conosciuti, Ares aveva
quasi perso l’abbronzatura da deserto. Bram non avrebbe potuto essere più nero,
anche se avevo appreso che gli afroamericani possono abbronzarsi e perfino
scottarsi… semplicemente, ci vuole più tempo. Bram si era mostrato
silenziosamente sdegnoso quando aveva scoperto che da mia madre, messicana,
ho ereditato soltanto i ricci neri e gli occhi scuri, non la carnagione. Sono pallida
come mio padre, biondo e di origine tedesca, quindi non mi abbronzo per un
accidente di niente. Bram continuava a tenere i capelli corti, taglio militare,
perché si lamentava che i ricci lo infastidivano se crescevano troppo. Ares aveva
i capelli biondo scuro e li teneva un po’ più lunghi, abbastanza perché una donna
potesse passarci le dita, diceva, ma soltanto sul cocuzzolo, quindi aveva il collo
scoperto.
«Come possiamo proteggervi se continuate a parlare coi cattivi in nostra
assenza?» sogghignò Ares.
«In primo luogo, non sono i cattivi, sono i nostri ospiti», replicai. «In
secondo luogo, non c’è nessun pericolo.»
«L’avevo detto.» Nicky si avvicinò a sua volta, così largo di spalle da
sembrare più basso di Bram e di Ares, benché non lo fosse affatto. Oltre alla
muscolatura possente, si notavano subito in lui i capelli gialli, corti, tranne un
lungo ciuffo triangolare che gli cadeva sulla guancia destra a nascondere l’orbita
vuota dell’occhio che aveva perso da ragazzo, prima di diventare leone mannaro.
L’unico occhio che gli restava era azzurro.
«Cos’avevi detto?» domandai.
«Che te la saresti cavata da sola contro chiunque, qui», intervenne Bram, con
voce limpida e vigorosa. A differenza di Ares, parlava poco, ma di solito sapeva
quello che diceva. Ares scherzava spesso, Bram quasi mai.
«Devo considerarmi insultato?» chiese Alfie.
«No», risposi.
«Sì», rispose Ares.
«No», rispose Micah.
Con un lieve sorriso, Alfie ci fissò a uno a uno. «Non so bene cosa mi
aspettassi da voi, Ms Blake e Mr Callahan, ma questo allegro cameratismo è
inatteso.»
«Gradevole, spero», replicò Micah.
«Sì, molto illuminante», dichiarò il vampiro.
«Illuminante?» chiesi. «Perché?»
«Diffonde luce su qualcosa. Mi è parso un aggettivo molto appropriato.»
Non mi fu possibile approfondire l’argomento perché la cugina di Micah
scelse proprio quel momento per avvicinarsi e domandare: «Chi viaggia con
me?»
«Juliet, ti presento Anita e Nathaniel.»
Per prevenire abbracci, porsi la mano. Non mi piace abbracciare gli
sconosciuti e so che in parecchie famiglie si usa abbracciare a tutto spiano.
Juliet aveva una mano piccola come la mia, ma più callosa, intonata agli
stivali da lavoro. Strinse la mano anche a Nathaniel e, quando lui le sorrise,
sorrise a sua volta, ma non con gli occhi azzurri, che la fronte corrugata rendeva
meno simili a quelli di Micah nella forma. «Zia Bea dice che sei la fidanzata di
Mike. È vero, o siete soltanto conviventi? Lo chiedo, perché, se è soltanto il
solito modo con cui zia Bea affronta il problema che le crea vivere nel peccato,
allora posso aiutarvi a schivare un po’ di chiacchiere sul matrimonio.»
La sua schiettezza mi piacque. «Non abbiamo nessuna intenzione di
sposarci», dissi, con un incrocio tra un sorriso e una risata. «Non posso
presentarmi semplicemente come la sua ragazza?»
«No, credimi. Ho convissuto con mio marito, prima che ci sposassimo, e
’fidanzata’ è la simpatica e speranzosa acrobazia verbale con cui la famiglia
allude a ’vivere nel peccato’.»
In silenzio, guardai Micah.
Lui lesse sul mio viso la domanda inespressa. «Alcuni miei parenti sono
religiosi…» Per un po’ si sforzò di trovare la definizione adatta, infine rinunciò.
«Sarà imbarazzante.»
«Imbarazzante?!» Juliet rise e scosse la testa. «Oh, cugino, quanto mi sei
mancato! Eri sempre quello che metteva pace, il maestro dell’eufemismo!
Dovresti poter tornare a casa per vedere tuo padre senza doverti preoccupare di
queste stronzate. Purtroppo invece non funziona mai così, lo sai. Mi dispiace.»
«Anche a me», annuì Micah.
Cominciai ad avere la brutta sensazione che Micah potesse avere avuto più di
un motivo per evitare di riallacciare i rapporti con la famiglia dopo la morte di
Chimera. Lui e Nathaniel si erano trasferiti da me nello stesso periodo. Eravamo
sempre stati tre, mai soltanto due.
«Se dirai che Anita è la tua fidanzata, i parenti faranno finta di niente, ma non
puoi presentarla insieme con lui come hai appena fatto con me. Sai che non
puoi.»
«Potrei», ribatté Micah, in tono pacato, eppure con eccessiva emozione.
«Micah deve poter rivedere suo padre senza doversi preoccupare di
nient’altro», intervenne Nathaniel. «Io posso essere presentato semplicemente
come un amico.»
«No.» Micah lo prese per mano e scosse la testa. «No, non puoi essere
soltanto un amico.»
«Oh, Cristo! Vuoi forzare la situazione?» commentò Juliet. «Non sei
cambiato! Sei sempre stato molto tranquillo, il figlio perfetto. C’era sempre
qualcosa in cui credevi e che rifiutavi ostinatamente di rinnegare, a dispetto di
tutto.» Juliet sospirò e scosse la testa, poi guardò Nathaniel. «Non c’è niente di
personale. Devi essere una persona meravigliosa se Micah nutre per te un
sentimento tanto profondo, ma io non voglio rimanere coinvolta nella tempesta
di merda che si scatenerà quando lui ti presenterà alla nostra famiglia come…
cosa?» Guardò Micah. «Come intendi presentarlo?»
«Come nostro compagno», rispose Micah, molto deciso.
«Sono felice che tu dica così, Micah», dichiarò Nathaniel. «Però, davvero,
sinceramente, non devi preoccuparti di null’altro che di tuo padre. Dopotutto, si
tratta soltanto di parole. Non voglio renderti le cose ancora più difficili.»
Stringendogli di nuovo la mano, Micah scosse la testa. «Non sono soltanto
parole, Nathaniel, oppure, se lo sono, allora sono importanti, perché hanno un
significato e una verità.» Si rivolse a Juliet senza lasciare la mano di Nathaniel.
«Anita sarà la mia fidanzata perché, se riuscissimo a trovare un modo per
sposarci come gruppo, lo faremmo. Dato che legalmente non è possibile,
’fidanzata’ e ’compagno’ andranno benissimo.»
«Dici sul serio?» Nathaniel lo fissò. «Se potessimo sposarci come gruppo, lo
faresti?»
Micah sostenne il suo sguardo. «Sì.»
Allora Nathaniel gli gettò le braccia al collo e si abbracciarono con fervore.
Non avevo bisogno di vedere la faccia di Nathaniel per sapere che stava
piangendo. Infatti stavo piangendo anch’io, cazzo! Andai ad abbracciarli tutti e
due, i miei due uomini.
Così la decisione fu presa, Micah non si sarebbe tirato indietro e non avrebbe
sminuito Nathaniel neppure per facilitare i rapporti con la famiglia. Se poteva
farlo lui, allora potevamo farlo anche noi.
8

oi tre andammo con Juliet, e le guardie del corpo insistettero affinché

N una di loro ci accompagnasse. Non tentammo neppure di obiettare con


la logica perché sarebbe stato difficile, visto che erano lì proprio per
proteggerci. Mi aspettavo che fosse Nicky, quindi rimasi sorpresa
quando fu scelto Devil. Era strano non avere Nicky a bordo del SUV, e
non perché non mi fidassi di Devil e non stimassi le sue capacità, anzi, tutt’altro.
Semplicemente non avevo mai lasciato la città con loro due, da quando avevano
cominciato a essere spesso di turno insieme, e preferivo la compagnia di Nicky,
anche se non avrei saputo spiegarne il motivo. Devil era il più affascinante,
almeno dal punto di vista tradizionale, nonché il miglior conversatore. Invece
Nicky… be’, era Nicky. Si adattava meglio.
I bagagli erano in parte a bordo del SUV nero di Alfie, con Ares e con Bram,
che li avrebbero scaricati in albergo, e in parte sull’ultima fila di sedili del SUV
di Juliet, abbassata appositamente per accoglierli. Io, Micah e Nathaniel
occupavamo i sedili della fila centrale. Nicky ci seguiva con l’altro SUV nero,
che sarebbe stato «nostro» per tutta la durata del soggiorno in città e che
trasportava una parte del nostro armamento. Il resto delle armi era con noi a
bordo del SUV bianco. In quanto marshal federale della squadra soprannaturale
ho il dovere di tenere sempre il mio arsenale a portata di mano, in modo da
essere pronta a intervenire ovunque e in qualsiasi momento se ne presenti la
necessità. L’ordinanza relativa è stata emanata dopo che un marshal non è stato
in grado di assistere un collega che aveva chiesto aiuto. Se non altro l’ordinanza
che imponeva a ogni marshal di tenere l’«equipaggiamento» chiuso in cassaforte
quando non lo aveva con sé, imposta quando uno sterminatore era stato derubato
delle proprie armi lasciate incustodite nel bagagliaio dell’auto e una delle sue
pistole era stata usata per commettere una rapina, è stata infine abolita allorché
uno sterminatore ha portato tutto l’armamento in tribunale e ha sfidato il giudice
a trasportarlo. Comunque non si tratta di leggi, bensì di ordinanze, appunto,
emanate come reazioni estemporanee a eventi tragici, assai spesso mortali, e noi
marshal della squadra soprannaturale siamo chiamati a investigare soltanto se
muore qualcuno. L’aspetto peggiore delle ordinanze è che chi le emana non ha
mai sparato in combattimento, né portato un distintivo, tantomeno ha dovuto
decidere su una questione di vita o di morte, e mai ha dovuto decidere in una
frazione di secondo, come capita di dover fare quando si bracca un vampiro o un
licantropo.
«Devo guidare lentamente per non seminare l’altra vostra guardia del
corpo?» chiese Juliet.
«Non potresti seminare Nicky nemmeno se ci provassi», garantì Devil. «Di
sicuro non lo seminerai per caso.»
«Le strade sono insidiose di notte.»
«Juliet, non preoccuparti», intervenne Micah. «Tutti i nostri bodyguard sanno
fare il loro lavoro.»
Senza bisogno di consultarci, avevamo fatto sedere Nathaniel al posto
centrale, in mezzo a noi, in parte perché sapevo che Nathaniel voleva mantenere
il contatto fisico con Micah dopo la dichiarazione sul matrimonio, in parte
perché il contatto fisico aiutava Micah a sentirsi meglio, com’è tipico delle
bestie mannare, e in quel momento lui, sebbene fosse coraggioso, aveva bisogno
di conforto. Infatti teneva la mano a entrambi, e io mi chiedevo come si sarebbe
comportato alla presenza della famiglia. In pubblico lui e Nathaniel limitavano al
minimo il contatto fisico, a seconda delle circostanze e del prevalere o no della
tolleranza nei confronti degli affetti omosessuali. O forse Micah intendeva
costringere la sua famiglia ad accettare Nathaniel? Non ero sicura di quale
potesse essere la condotta migliore. In ogni caso avrei appoggiato qualunque sua
decisione.
Notai che la luce dei lampioni rivelava tutte le sfumature di biondo dei
capelli di Devil, che cadevano a sfiorare le spalle. Sapevo che non li voleva più
lunghi di così. «Non fraintendere, Devil… Mi sorprende che Nicky abbia
accettato senza protestare che fossi tu a viaggiare con noi.»
«Sono rimasto coi bagagli per assicurarmi che i facchini facessero bene il
loro lavoro.»
«Mi sorprende che tu sia rimasto coi bagagli», intervenne Nathaniel.
Allora Devil si girò sul sedile a guardarci. «Nicky ha fatto valere il grado.»
«Non ti è mica superiore di grado», osservai.
«È migliore di me nel combattimento, e me l’ha ricordato», spiegò Devil, con
un gran sorriso.
Scrutandolo brevemente in viso per capire se si fosse offeso, lo trovai allegro
come al solito.
«Bram dice che saresti migliore di lui se ti esercitassi di più», riferì Micah.
Il sorriso bianco di Devil scintillò nella semioscurità. «Non ho voglia di
faticare tanto.»
«Sei così abituato a essere naturalmente più forte e più veloce che questo ti
rende pigro in allenamento.» Sorrisi anch’io. Era quasi impossibile irritarsi con
Devil.
«Sono più veloce, più forte e mi alleno con impegno per quello che devo
fare.»
«Ma soltanto l’indispensabile», commentai. «Nicky si sforza di migliorare
sempre più. Tu invece no.»
«No, e non intendo farlo.»
«Sei uno scansafatiche.»
«Sì, ma sono il tuo scansafatiche!»
«C’è qualcosa che anch’io dovrei sapere a proposito di Devil?» chiese Juliet.
«È una guardia del corpo», disse Micah.
«Ne sei sicuro? Farò tutto il possibile per aiutare te e Nathaniel, ma non
posso riuscirci se non so cosa proteggere.»
«Devil non è mio amante», dichiarò Micah.
La luce di un lampione illuminò per un attimo il viso dall’espressione
maliziosa di Devil. «Oh, lo sarei, se soltanto tu dicessi sì!» disse, di nuovo
immerso nella semioscurità.
Nonostante il tono scherzoso, Juliet lo prese sul serio. «Santo cielo! Per
favore, non stuzzicatevi così in ospedale, alla presenza della famiglia.»
Devil si girò a guardarla. «Farò il bravo. Promesso.»
«Non dubitarne», interloquii. «Di solito si comporta bene.»
«Be’, per favore, comportati bene adesso!»
«Anche se scherzo in privato con Micah, non farei mai nulla per peggiorare
questa dolorosa situazione.» Serissimo, Devil si girò a guardare Micah. «Se non
l’ho ancora detto, mi dispiace molto per tuo padre.»
Micah annuì. «Grazie.»
«Sei un bravo scansafatiche», aggiunsi.
«Non dirlo agli altri. Mi rovineresti la reputazione.»
Sorridemmo tutti, come probabilmente era stato nelle sue intenzioni.
Comunque scherzare era nella sua natura. Era fatto così. C’era più di un motivo
se da bambino lo avevano soprannominato «Devil», e se il soprannome gli era
rimasto. Certo, considerato che il suo nome all’anagrafe era Mefistofele,
qualunque soprannome non avrebbe potuto essere che un miglioramento.
Micah appoggiò la testa sulla mia spalla e Nathaniel gli accarezzò il collo.
Nel guidare, Juliet ci raccontò che aveva due figli e che gestiva una fattoria
insieme col marito. I cugini della generazione di Micah erano sposati o
nell’esercito, e molti avevano figli, quindi presentarmi come sua fidanzata
avrebbe suscitato un sacco di domande sul matrimonio e sui figli. Magnifico!
Mentre Micah conversava con Juliet facemmo del nostro meglio per
confortarlo, senza però riuscire ad attenuare la sua tensione. Infine entrammo nel
parcheggio dell’ospedale, e all’improvviso sentii sulla lingua il battito accelerato
del suo cuore, condividendo le sue emozioni.
Subito innalzai di nuovo le difese che mi separavano dal mio re leopardo e mi
predisposi a incontrarne la famiglia. Accettai che mi tenesse per mano, anche se
questo mi avrebbe impedito di sfoderare subito la pistola nel caso di un attacco
dei cattivi. Comunque c’era Devil con noi, e per quella notte i cattivi erano la più
piccola delle nostre preoccupazioni. In qualsiasi momento preferirei una
sparatoria a una visita in ospedale e a una riunione di famiglia!
9

uando Juliet guidò il SUV bianco nel parcheggio, Nicky la seguì come

Q un’ombra col SUV nero.


«Visto?» commentò Devil. «Non hai seminato Nicky.»
«Sentirsi dire ’te l’avevo detto’ non piace a nessuno», ribatté Juliet.
In cerca di un posto libero, superò diverse macchine della polizia.
«Il mio lavoro è appena diventato più facile. Come mai tanta polizia?» chiese
Devil.
Juliet posteggiò accanto a un’auto dello sceriffo di contea e Nicky fu
costretto a proseguire, anche se non si scorgevano altri posti liberi.
«È ricoverato un poliziotto», spiegai. «Prima o poi succede a tutti noi.» E
slacciai la mia cintura di sicurezza.
Sganciata la propria, Devil si girò sul sedile. «Capisco amici e colleghi, ma
ho visto auto di altre città, una perfino dal Wyoming.»
«Mio padre è sceriffo di contea da molto tempo», spiegò Micah.
Fu Nathaniel a dire la verità: «Ci sono sicuramente agenti che non conoscono
lo sceriffo Callahan. Comunque, quando si sa che un rappresentante della legge è
rimasto ferito, tutti i colleghi si presentano per garantire che la famiglia abbia
tutto ciò che le occorre e che il degente non rimanga mai solo. Lo vegliano».
Juliet si girò a guardarlo. «Come lo sai? Anche tuo padre è uno sbirro?»
«No, ma sto con Anita da anni. Sono stato in ospedale sia quand’era ferita lei
sia quand’è andata a visitare colleghi feriti.»
«E ti accettano come uno di famiglia?» chiese Juliet.
«Molti poliziotti locali sì.»
«Sono più o meno abituati alla composizione del mio nucleo familiare»,
intervenni.
Juliet scosse la testa abbastanza decisamente da scrollarsi i ricci. «Be’, non so
gli altri sbirri, ma con tutta probabilità la nostra famiglia sarà maledettamente
imbarazzata dalla composizione del tuo nucleo familiare! Adesso mi scuso e la
faccio finita.»
«Ti ringrazio.» Quando Micah mi strinse una mano, gli sorrisi. «Se ti
baciassi, dovresti pulirti dal rossetto.»
«Correrò il rischio, se saremo prudenti.»
Ci baciammo gentilmente e io gli lasciai una striscia scarlatta in mezzo alle
labbra.
«Condividi la traccia del bacio veloce, perché forse non potrò più baciarti per
un po’», esortò Nathaniel.
Sullo stretto sedile posteriore, Micah si girò verso di lui. «Mi dispiace.»
«Non ti preoccupare. Sono tanti i posti in cui non possiamo baciarci in
pubblico. So che mi ami anche quando non ci baciamo.» Nathaniel si curvò su di
lui, perché era un po’ più alto, e si baciarono gentilmente.
Poi Micah lo abbracciò infilandogli le mani sotto la giacca per accarezzargli
la schiena calda e muscolosa senza avere altro impedimento che la camicia. Lo
sapevo perché anche a me piace il calore del corpo sotto la giacca. Quando
Nathaniel ricambiò l’abbraccio, il bacio divenne più appassionato. Sapevo di
avere un gran sorriso felice sulla faccia perché adoravo guardarli insieme.
«Non ti dispiace affatto, vero?» domandò Juliet.
Tardai un momento a rendermi conto che aveva interpellato me, poi mi girai
verso di lei con riluttanza perché non volevo smettere di guardare i miei due
uomini. «Non mi dispiace? Li amo, e adoro vederli insieme!»
«Pensavo che semplicemente lo tollerassi, ma un attimo fa, nel vedere la tua
espressione… Sembravi tanto felice…»
«Lo ero.»
Intanto Micah interruppe il bacio, e Nathaniel, continuando a stringerlo tra le
braccia, si abbandonò con la testa sulla sua spalla, mostrando la nuca a Juliet.
«Perché Anita non dovrebbe essere felice nel guardarci mentre ci baciamo?»
chiese Micah, continuando ad abbracciare Nathaniel affettuosamente, con
disinvoltura.
Juliet ebbe il garbo di mostrarsi imbarazzata. «Non saprei… Io sarei gelosa,
credo. O, forse, non vorrei vedere due uomini insieme…»
«Ti senti a disagio», commentò Micah, in tono pacato, quasi privo di
espressione.
«Scusa, ma… Sì, un poco. Non sapevo che ti piacessero i maschi.»
«In realtà non mi piacciono. Eppure amo Nathaniel.»
«Credimi, Juliet», intervenne Devil. «A St. Louis c’è una fila di ragazzi dal
cuore spezzato, i quali vorrebbero tanto che il nostro fascinoso Micah fosse più
attratto dagli uomini di quanto non sia. Purtroppo quando si tratta di maschi è
monogamo.» S’imbronciò come un bimbo di cinque anni, poi aprì lentamente il
viso in un gran sorriso.
Avrei voluto scoccargli un’occhiataccia, ma quel suo dannato sorriso da gatto
del Cheshire mi conquistava ogni volta. Com’era possibile che un adulto grande
e grosso come lui sapesse scherzare così maliziosamente?
Micah si girò a guardarlo. «A St. Louis ho notato un paio di maschi, oltre a
Nathaniel», dichiarò, con voce assolutamente pacata.
Mentre il suo sorriso sbiadiva, gli occhi rivelarono che Devil stava riflettendo
troppo intensamente. Sembrava quasi di vederlo esaminare tutti i modi e le
circostanze in cui Micah aveva interagito coi maschi a St. Louis. Naturalmente,
Micah aveva ribattuto così proprio per burlarsi di lui e suscitare quella reazione.
Fui costretta a girare la testa per nascondere il mio sorriso.
«Vi prendete in giro come se foste amici», osservò Juliet.
«Lo siamo», replicò Micah.
«Amici intimi», commentò Juliet, con enfasi un po’ eccessiva sull’aggettivo.
«Devil è allegramente bisessuale, ma io e lui, come ho già detto, non siamo
amanti.» Micah accarezzò i capelli di Nathaniel, che gli restava abbracciato. «Se
lo fossimo, non lo nasconderei.»
Juliet guardò Nathaniel, che non le mostrava il viso. «Ti credo.»
«Ti ha turbata vederci baciare», commentò a sua volta Micah.
Con la fronte corrugata, Juliet abbassò lo sguardo, poi lo sollevò di nuovo e
annuì. «Mi dispiace, ma è così. Credevo di essere di mentalità aperta, finché…»
«Per questo ci siamo baciati in auto, perché tu sei di mentalità aperta rispetto
ad alcuni della nostra famiglia. Comunque non si tratta soltanto della nostra
famiglia, bensì anche della polizia, di tutti. Come uomini dobbiamo essere
prudenti, se non vogliamo trovarci ad affrontare il pregiudizio di altri uomini.»
«Sì, preferirei non dovervi proteggere da qualche sbirro», interloquì Devil.
«Legalmente potrebbe essere… imbarazzante.»
«Saresti accusato di aggressione a pubblico ufficiale», dichiarai.
«Allora cosa volete che faccia? I poliziotti sono come tanti altri maschi virili.
Reagiscono male ai gay.»
«Tu sei bisessuale.» Juliet ebbe il coraggio di riconoscere e sottolineare la
distinzione.
«Per la maggior parte della gente o sei etero o sei gay», spiegò Devil. «E, se
un maschio ha rapporti con un altro maschio, allora è gay, punto e basta.»
Nathaniel scostò il viso dalla spalla di Micah. «Allo stesso modo, molti nella
comunità gay credono che, se un uomo ha rapporti con una donna, allora non è
abbastanza gay. Credono che essere bisessuali significhi non avere preso una
decisione o non voler ammettere la verità.»
«Davvero?» chiese Juliet.
Nathaniel annuì. «La comunità gay può essere di vedute ristrette non meno
della comunità etero.»
«Nicky è quasi arrivato», annunciò Devil.
Guardai verso le auto parcheggiate nell’oscurità rischiarata dalle luci
elettriche senza riuscire a vederlo. «Sono troppo bassa per vederlo dal sedile
posteriore?»
«Sì», confermò Devil.
«Ora lo vedo», disse Juliet. «Però non lo avevo visto prima che la vostra
guardia del corpo lo annunciasse.»
«Quando Nicky sarà qui smonterò io per primo, se continuerà a non esserci
nessuno nel parcheggio», dispose Devil. «Poi al mio segnale smonterà Anita.»
Juliet si girò a guardarlo. «Hai sorvegliato il parcheggio per tutto il tempo?»
«Quasi.» Devil afferrò la maniglia della portiera.
«Perché dopo di te smonterà Anita?»
«Perché con le armi è la migliore, dopo di me.»
«Con le armi da taglio sono meglio io», replicai.
Devil girò la testa verso di me, sogghignando. «Sì, però le mie armi da taglio
io le faccio da me.» Smontò dal SUV e si guardò intorno, restando dietro la
portiera spalancata.
«Che significa?» domandò Juliet.
«È una tigre mannara.»
Intanto Nicky si accostò alla vettura dalla mia parte, si chinò a sorridermi e
riprese a sorvegliare il parcheggio. In quel momento Nicky e Devil erano in
primo luogo bodyguard, e soltanto in secondo luogo amici e amanti. Nicky
proteggeva me e il mio lato del veicolo, Devil il lato del passeggero e Nathaniel.
Micah, che era in mezzo, avrebbe scelto da quale parte smontare e sarebbe stato
responsabilità della guardia che proteggeva quel lato. Aprendo la mia portiera,
Nicky annunciò che potevo smontare senza problemi.
«Non capisco», insistette Juliet. «Cosa c’entra essere una tigre mannara col
fatto che si fa i suoi pugnali?»
«Non i pugnali», spiegò Micah. «Gli artigli.»
Come faceva di rado, Nicky mi porse la mano per aiutarmi a smontare, e
proprio perché era una rarità accettai il suo aiuto pur essendo perfettamente in
grado di cavarmela da sola. Comunque non appena gli strinsi la mano mi sentii
bene. Lasciando a Micah il compito di spiegare la nostra realtà alla cugina,
approfittai del momento per scrutare Nicky. Il ciuffo triangolare gli copriva la
metà destra del viso, in cui l’unico occhio mi sorrideva come le sue labbra.
Mentre mi alzavo in punta di piedi per baciarlo sulla bocca, si scostò, diventando
serio, e sussurrò: «Polizia». Poi mi lasciò la mano in modo che potessi
raggiungere Micah e Nathaniel sul lato opposto del SUV. Infine
c’incamminammo tutti, seguiti da Nicky e da Devil.
Quando Juliet e Micah, che mi teneva per la mano sinistra, salutarono tre
agenti che indossavano uniformi diverse, mi resi davvero conto che a quella
riunione di famiglia avrebbero partecipato un sacco di sbirri. Era stato un errore
non farci scortare da Ares e da Bram, che sarebbero stati riconosciuti come ex
militari e in quanto tali sarebbero stati bene accolti dagli sbirri, a differenza di
Nicky e di Devil, i quali, belli, imponenti e armati fino ai denti, sarebbero
sembrati subito due delinquenti. Merda!
10

l vicesceriffo Al Truman era alto e magro, con mani e piedi

I sproporzionatamente grandi che lo facevano sembrare un goffo


adolescente, anche se, contrariamente alla mia prima impressione, non era
affatto goffo. Non era neppure la personificazione della disinvoltura e della
spigliatezza. Era normale, e sarei stata pronta a scommettere di non essere
l’unica persona tratta in inganno dalla sua apparente goffaggine. Mi domandai
quanti sospettati fossero rimasti sorpresi dopo averlo mal giudicato. Si tolse il
cappello da cowboy, analogo al cappello da Orso Smokey che appartiene
all’uniforme di altre forze di polizia, e iniziò con le grosse mani a strofinarne la
falda, in quella che doveva essere un’abitudine inveterata. Anche se sembravano
vagamente ondulati, i suoi capelli castani erano schiacciati dal cappello e
strapazzati da un pessimo barbiere.
«Mi dispiace molto che tu sia tornato a casa in simili circostanze, Mike»,
disse.
«Anche a me.» Micah annuì, prima di girarsi verso me e Nathaniel. «Io e Al
siamo stati al liceo insieme.»
«Ero il migliore amico di Richie. Abbiamo fatto insieme il corso di
addestramento.»
Al presumeva che fossi a conoscenza della tragedia familiare che aveva
trasformato Micah in leopardo mannaro, e aveva ragione. Comunque mi
sembrava una supposizione interessante. Sarei stata pronta a scommettere che la
madre di Micah, o qualcun altro, gli aveva detto chi ero.
«Tu devi essere Anita», aggiunse, porgendomi la mano. Sì, qualcuno aveva
parlato.
Micah esordì: «Come sapevi…?»
«Tua madre ha detto che saresti arrivato con la tua fidanzata.
Congratulazioni, eravamo tutti convinti che saresti diventato una vecchia
zitella.»
Tardai un attimo a capire che parlava con Micah, non con me.
«Dovevo solo incontrare la gente giusta», replicò Micah.
Non avrei saputo dire se qualcuno avesse notato che aveva detto «gente»
anziché «la persona» o «la donna».
Comunque il sergente Michael Horton si avvicinò e si presentò, porgendo la
mano a sua volta, senza togliersi il cappello della polizia di Stato del Colorado.
Era più giovane di tutti noi, tranne Nathaniel e Devil, anche se quest’ultimo
sembrava sempre più vecchio perché era più alto. È tendenza diffusa associare
l’età con l’altezza, come se i più bassi sembrino sempre i più giovani. Be’, anche
se il sergente Horton era alto quasi un metro e ottantacinque, io non gli attribuii
più di venticinque anni, cioè un paio d’anni più di Devil e di Nathaniel. A
giudicare dal taglio militare dei suoi capelli, se non avesse trascorso almeno
qualche anno sotto le armi, più precisamente nei Marines, avrei perso il denaro
che sarei stata pronta a scommettere.
«Lo sceriffo Callahan è un brav’uomo, un uomo in gamba», dichiarò,
stringendo la mano a Micah.
«Grazie.»
Intanto Horton guardò Devil e Nicky alle nostre spalle; era un tipo grosso e
atletico che valutava i possibili rivali. Constatare che giudicava me e Micah
indegni della minima considerazione da questo punto di vista mi suggerì che non
si sarebbe potuto contare granché su di lui in una situazione di pericolo.
Il sergente Ray Gonzales del dipartimento di polizia di Boulder approfittò del
silenzio per presentarsi. Era alto sul metro e ottanta, però sembrava più alto
perché era grande, grosso e quadrato, un po’ come Nicky, anche se la larghezza
delle sue spalle non era il risultato dell’allenamento in palestra, e anche se aveva
un po’ di pancia in lotta col cinturone, segno che si stava inflaccidendo con l’età.
Comunque era ancora solido e robusto per essere quasi sessantenne. Mi
ricordava una delle nostre guardie del corpo, Dino, che pur essendo sgraziato e
benché corresse come un elefante era possente: uno dei pochi, tra le nostre
guardie, da cui mai e poi mai avrei voluto essere picchiata sul serio.
«Sono felice del tuo ritorno, Mike», disse Gonzales, abbracciando Micah.
«Significherà molto per Rush.»
«Vorrei essere arrivato prima.»
«Quello che conta è che adesso sei qui.»
«Lo so.» Micah mi parve per qualche motivo commosso dalle parole di
Gonzales.
«Conosco Mike da quand’era bambino», dichiarò questi. «E anche Al, ora
che ci penso. Io e Rush siamo i vecchi, adesso.»
«Non saprei.» Uno sbirro in borghese offrì la mano a Micah. «Detective
Rickman, Ricky. Lavoro con Ray su a Boulder. Ray, se i giovani agenti fossero
duri la metà di quanto lo siete tu e Rush, allora ne sarei ben contento.»
«Non ho mica detto che non siamo duri!» Gonzales ridacchiò. «Ho detto che
siamo vecchi.» Mi strinse la mano con entrambe le sue. «Sono felice che lei sia
qui con Mike», aggiunse, con un sorriso cordiale e schietto.
«Grazie. Lo sono anch’io.»
«La sua reputazione la precede, marshal Blake», affermò il detective
Rickman. «Sono lieto di sapere che uno dei nostri ragazzi di campagna è riuscito
a farla sistemare.»
Non mi piaceva, e non mi piaceva il suo modo di esprimersi, così guardai
Micah per chiedergli con gli occhi come voleva che mi comportassi.
«Devo accompagnarli dentro prima che zia Bea esca a braccarmi»,
intervenne Juliet, incamminandosi per esortarci a seguirla.
«Chi sono i suoi amici?» domandò Rickman. «E perché gli occhiali da sole,
di notte? È alquanto hollywoodiano per questi paraggi.»
Decisi di tergiversare, perché non ero affatto sicura di voler rivelare al
detective Rickman le identità dei nostri amici e amanti. Nessuno di loro era
ricercato dalla polizia, ma questo non significava che tutti avessero la fedina
penale immacolata. Volevo che nessuno s’immischiasse. In più mi ero appena
resa conto che nessuno, a Denver, aveva ancora visto gli occhi felini di Micah,
perciò tutti si sarebbero aspettati che li avesse del loro colore naturale, cioè
castani. «Detective Rickman, Ricky, nessuno mi fa fare niente. Quanto a
sistemarmi, non capisco cosa intenda.»
«Matrimonio, marshal Blake, Anita. Di solito ’sistemarsi’ significa
’sposarsi’.»
«Horton, vai a sbrigare quelle commissioni per Bea», ordinò Gonzales.
Per un attimo Horton parve sul punto di ribattere che il sergente non era il
suo capo. Subito dopo, però, parve vedere sul suo viso qualcosa che lo indusse a
desistere. «A lei sta bene, detective?» chiese a Rickman.
«Sì, possiamo cavarcela anche senza di te.»
Allora Horton si allontanò, dimostrandosi molto obbediente nei confronti di
un sergente che non apparteneva alla polizia di Stato del Colorado e che non era
neppure un vecchio amico di famiglia. O Gonzales godeva di grande
reputazione, oppure Horton sperava di entrare al dipartimento di polizia di
Boulder e tentava d’ingraziarsi sia lui sia Ricky.
«Nessuno fa fare niente ad Anita», assicurò Micah. «Quanto agli occhiali da
sole… Sapete che, se un licantropo è costretto a rimanere troppo a lungo in
forma animale, può capitare che i suoi occhi non ritornino più alla forma
umana?»
«No», risposero Gonzales e Al.
«Sta dicendo che i suoi occhi non sono più umani?» chiese Rickman.
«Sì. So che si raccomanda ai poliziotti di osservare gli occhi dei licantropi
perché il cambio di colore segna l’inizio della metamorfosi, tuttavia i miei occhi
non possono più tornare alla forma umana.»
«Di quale colore sono i tuoi occhi adesso?» domandò Juliet, con una
commozione nella voce che non avrei saputo definire. Forse tristezza?
Allora Micah si tolse gli occhiali e si girò verso i lampioni. Juliet emise una
sorta di singhiozzo, coprendosi la bocca con una mano. Gonzales sembrò
schiacciato da un mondo di sofferenza. Al distolse lo sguardo e sembrò ancora
più rattristato di prima. Rickman trasalì, ma non provò certo tristezza.
«Se vi fosse possibile avvertire i vostri colleghi, ve ne sarei molto grato»,
disse Micah. «Mi piacerebbe potermi dedicare a mio padre e alla mia famiglia
senza dover temere di essere abbattuto da qualcuno che vede i miei occhi e
fraintende la situazione.»
«Buona idea», approvò Gonzales.
«Chiamo Gutterman e gli dico di avvisare gli sbirri fuori della stanza di
Rush.» Al aprì la comunicazione con la radiotrasmittente che aveva sulla spalla,
poi parlò sottovoce al microfono: «È il figlio dello sceriffo, Mike Callahan, e i
suoi occhi sono rimasti ferini».
«Come diavolo è possibile che i suoi occhi siano rimasti così?» ribatté una
voce crepitante.
«È una di quelle cose che possono succedere ai licantropi», spiegò Al. «Dillo
agli altri ragazzi. Non c’è nessun bisogno di minacciare Mike ad armi spianate,
temendo che stia per trasformarsi.»
«Che bizzarra stronzata!» commentò colui che presumibilmente era
Gutterman. «Passo parola.»
«Grazie, Gutter.»
«Le è mai capitato che qualcuno, vedendo i suoi occhi, abbia temuto che lei
stesse per trasformarsi?» domandò Rickman.
«Un paio di volte.» Micah rimise gli occhiali da sole per nascondere l’esotico
lampeggiare dello sguardo.
Quell’affermazione mi giunse nuova. Mi girai a guardare Nathaniel, che si
mostrò non meno perplesso. Se non fossimo stati in presenza di tanti sconosciuti,
avrei chiesto a Micah di raccontarmi cosa gli fosse accaduto. Con un cenno della
testa, Nathaniel mi assicurò che in seguito ne avremmo parlato col nostro
ragazzo preferito.
«Li accompagno dentro», annunciò il vicesceriffo Al.
«Bene», approvò Gonzales.
«Perché avete bisogno di bodyguard, marshal Blake?» domandò Rickman.
«Ho ricevuto minacce a causa del mio impegno presso la Coalizione per una
Migliore Convivenza tra Licantropi e Umani», rispose Micah.
«Quindi sono i suoi bodyguard», replicò Rickman.
«Crede davvero che li porterei in ospedale, alla presenza della mia famiglia,
se non fosse necessario?»
Apparentemente sconcertato, Rickman esitò prima di cambiare tattica. Indicò
Nathaniel. «Lui… non è un bodyguard.»
Allora Micah allungò all’indietro un braccio, prese Nathaniel per mano e lo
attirò accanto a sé, alla sua sinistra, mentre io ero alla sua destra. Fissando lo
sbirro dritto negli occhi, dichiarò: «Detective Rickman, le presento Nathaniel, il
nostro terzo, il nostro compagno».
Mentre Gonzales si lasciava sfuggire un suono inarticolato, Al fischiò:
«Wow! Okay…»
«Cos’ha a che fare con tutti questi gay, Blake?» insistette Rickman.
Mi fu impossibile non scoppiare a ridere, e così attirai gli sguardi sbalorditi di
tutti, tranne quello di Micah, che continuò a fissare il detective. «In primo luogo,
se gli uomini della mia vita fossero gay non mi servirebbero a granché. Giusto?
In secondo luogo, perché diavolo le interessa così tanto la mia vita sessuale?»
«In terzo luogo, perché ha un problema con Anita?» aggiunse Micah. «L’ha
appena conosciuta.»
«Non ti preoccupare, Micah. Semplicemente lo rendo nervoso», spiegai.
«Perché?» mi chiese Micah, come se Rickman non fosse presente.
«La mia reputazione lo intimidisce.»
«Quale reputazione, marshal Blake? Quella di essere un’assassina a sangue
freddo? O quella di essere una regina del vudù? O quella di essere una… donna
che si trova bene in compagnia degli uomini?»
Impiegai qualche istante per rendermi conto che rovesciando la frase «uomo
che si trova bene in compagnia delle donne» era riuscito a darmi della sgualdrina
senza dirlo esplicitamente. Infatti «donna che si trova bene in compagnia degli
uomini» sembrava una versione politicamente corretta di «mantenuta».
«Basta così.» Gonzales si parò dinanzi a Rickman, abbastanza grande e
grosso da impedire a tutti noi di vederlo. «Tu, accompagnali dentro!» ordinò,
indicando Al.
«Non mi sei superiore di grado», protestò Rickman.
«Rush Callahan è mio amico da più di trent’anni. Abbiamo combattuto
insieme, abbiamo sputato sangue insieme e ci siamo salvati la vita a vicenda più
volte di quante io ne possa contare. Siamo entrati insieme nel dipartimento di
polizia di Boulder, e lui mi ha proposto di seguirlo quando si è trasferito, una
volta diventato sceriffo. Non ti sono superiore di grado come sergente a
detective. Ti sono superiore di grado perché stai dimenticando che un collega
gravemente ferito è in fin di vita e che qui c’è suo figlio.»
«Non abbiamo bisogno di avere qui Blake e i suoi trucchi di magia. Non
abbiamo bisogno dei federali a indagare su questo caso.»
«Preoccupati della tua reputazione in un’altra occasione, Ricky», ribatté
Gonzales. «Questa non è la notte giusta.»
«Non so di quale caso lei stia parlando. Io sono qui per Micah, come amica,
come fidanzata, o quello che volete. Siamo qui per lui e per suo padre, ecco
tutto.»
«Dice di essere la sua ragazza, però è marshal federale della stramaledetta
squadra soprannaturale, quindi può fare tutto quello che accidenti vuole.»
«Sono la sua ragazza e non so di cosa diavolo lei stia parlando.»
«Vada, vada a fare la ragazza e la fidanzata, vada a incontrare la sua
famiglia.» Rickman accennò all’ospedale. «Ma se cercherà di prendersi
l’indagine mi opporrò con tutte le mie forze e farò tutto quello che è in mio
potere per assicurarmi che si rammarichi di averci pestato i piedi.»
«Pestato i piedi… Questa è davvero la migliore delle sue minacce?»
«Anita!» sussurrò Nathaniel.
Aveva ragione, ma mi sarei fatta dannare piuttosto che scusarmi con
Rickman.
«No, non è la migliore delle mie minacce», ribatté Rickman, alzando la voce.
«Portali dentro, Al, subito», ordinò Gonzales.
Fu Juliet a incamminarsi per prima. Invece Al ci seguì come per proteggerci
da un attacco alle spalle. Mentre ci allontanavamo, si sentì Rickman discutere
rabbiosamente con Gonzales.
«Dovevi proprio provocarlo così?» chiese Juliet.
Sospirai. «No, e mi dispiace. È stato infantile.»
«Sono stato testimone dei problemi che hai avuto con certi poliziotti con cui
hai collaborato», intervenne Micah. «Eppure non hai mai avuto a che fare con
Rickman, vero?»
«No», assicurai.
Quando il suo telefono squillò, Juliet si spostò in disparte per rispondere al
marito, poi si scusò e disse qualcosa a proposito dei figli.
Allora annuimmo tutti, e all’improvviso noi «ragazzi» restammo soli.
«A dire il vero, dopo quello che è successo a Rush, io accetterei tutto l’aiuto
possibile», confidò Al.
«Aiuto per cosa?»
«Ci sono state aggressioni commesse da zombie.»
«C’è in giro uno zombie assassino?»
«Non soltanto uno.» Al scosse la testa. «La cosa inquietante è proprio questa.
Non è sempre lo stesso. Cioè, lo sceriffo Callahan ha raccontato di uno zombie
cannibale negli anni ’70, ma quello fu intrappolato in una casa e bruciato, fine
del problema.»
«Gli zombie cannibali sono incredibilmente rari. Io ne ho visto soltanto uno.
A dispetto del cinema e della televisione, non si radunano a branchi.» Ciò detto,
corressi mentalmente me stessa. In tre occasioni avevo destato tutti gli zombie di
un cimitero per difendermi dai cattivi che avevano cercato di ammazzarmi.
Intanto badai a non guardare Nicky, che era stato presente in una di quelle
occasioni.
«Quindi hai avuto a che fare soltanto con un unico zombie cannibale?» chiese
Al.
«Sì», confermai.
«Questo caso è diverso. Abbiamo raccolto almeno tre diverse descrizioni.»
«Le descrizioni non corrispondono mai. Potrebbe benissimo essere un solo
zombie.»
«Un uomo, una donna e un bambino. Crediamo che si tratti di una famiglia
scomparsa sulle montagne circa un mese fa.»
Scossi la testa. «Impossibile. Nessuno risveglierebbe come zombie una
famiglia intera, se non un risvegliante con profondi rancori nei confronti della
famiglia stessa, e dovrebbero essere maledettissimi rancori. Inoltre, se le vittime
fossero assassinate e poi risvegliate come zombie, per prima cosa
massacrerebbero il loro assassino. Sarebbe un irresistibile impulso primario e
aggredirebbero chiunque tentasse d’impedirlo. Comunque tutto ciò non li
trasformerebbe necessariamente in cannibali. Qualcuno di quella famiglia aveva
facoltà metapsichiche?»
«No, o almeno non che si sappia. Perché?»
«Gli unici casi di zombie cannibali di mia conoscenza sono quelli di
risveglianti o praticanti vudù destati dopo la morte.»
Al inarcò le sopracciglia. «Cioè se tu…?» S’interruppe bruscamente.
«Scusa.»
«Nessun problema. C’è un motivo se il mio testamento stabilisce che dovrò
essere cremata.»
«Hai paura di poterti trasformare in uno zombie cannibale?»
«Perché rischiare?»
«Non potremmo evitare di parlare della morte della donna che amo, mentre
andiamo in ospedale a visitare mio padre in fin di vita?» intervenne Micah.
«Hai ragione, scusa», disse Al. «Il fatto è che qualcuno ha suggerito di
chiamare la squadra soprannaturale e ha nominato proprio marshal Blake, prima
che sapessimo che era con te. Mi dispiace, mi sto comportando da sbirro. È
soltanto che… Scusa, Mike, davvero…»
«Mi scuso anch’io», aggiunsi.
«Sei perdonata.» Micah mi strinse la mano. «Adesso, però, potresti essere,
almeno per un poco, semplicemente la mia fidanzata, anziché marshal Blake?»
«Sì, certo.» Mi vergognavo di avere dimenticato che non eravamo lì per
partecipare a un’indagine, bensì per il padre di Micah. Nonostante questo, mi
venne in mente una cosa. «Posso fare soltanto un’altra domanda da sbirro, finché
Al è con noi?»
Micah sospirò. «Una soltanto.»
«La madre di Micah ha detto che lo sceriffo Callahan è stato morso da un
essere soprannaturale. Da chi?»
«Proprio da uno degli zombie cannibali», rispose Al.
«Ha detto pure che si tratta di una cosa contagiosa, che si sta putrefacendo…
Dunque le vittime degli zombie si trasformano in zombie?»
«No, semplicemente imputridiscono e muoiono.»
«Ma gli zombie non sono contagiosi.»
«Be’, questi sì.»
«Quante sono le vittime?»
«Cinque. Adesso sappiamo di cosa si tratta grazie ai testimoni delle ultime tre
aggressioni.»
«Adesso?»
«Le prime due vittime sono morte in fretta. Poi il dottor Rogers ha trovato
casi apparentemente simili nell’East Coast, e dopo avere studiato la
documentazione di quei casi è riuscito a rallentare la degenerazione nella vittima
prima che lo sceriffo fosse aggredito.»
«Questa non è una sola domanda», osservò Nathaniel.
«No, va tutto bene», assicurò Micah. «Anita non può essere diversa da quello
che è, da chi è. Mio padre non è malato di cancro, ha qualcosa… di
soprannaturale, e nessuno è migliore di lei in questi casi.»
«Stai dicendo che posso indagare come se si trattasse di un crimine?» gli
chiesi.
«Mi hai insegnato che gli zombie non si risvegliano spontaneamente, perciò
questi zombie sono stati risvegliati da qualcuno, giusto?»
«Sì.»
«Allora questo qualcuno è responsabile perlomeno di omicidio colposo,
vero?»
«Potenzialmente, sì. In realtà spetta al giudice stabilirlo. Comunque qualcuno
ha risvegliato gli zombie, e dev’esserci un motivo se sono sfuggiti al suo
controllo e hanno compiuto alcune aggressioni. Dunque questo qualcuno ha fatto
il passo più lungo della gamba e non vuole confessare, oppure ha agito così di
proposito. In ogni caso, dobbiamo scoprire chi è. Se sarà giudicato colpevole di
’avere usato la magia per uccidere persone’ sarà inevitabilmente condannato alla
pena capitale e non rimarrà per anni nel braccio della morte, perché la sentenza
sarà eseguita nel giro di poche settimane, o al massimo di qualche mese.»
Micah annuì e si rivolse ad Al. «Dunque mio padre è stato aggredito da uno
zombie cannibale, il cui morso lo sta facendo imputridire?»
«Il dottor Rogers ti spiegherà ogni cosa.»
«Lo sto chiedendo a te», insistette Micah, scrutandolo.
«Ho già rivelato fin troppe informazioni alla presenza di civili.»
«Nicky è stato vice di Anita nell’eseguire un mandato di eliminazione.»
Micah accennò appunto a Nicky, che annuì con un dondolio del ciuffo.
«So che i marshal soprannaturali hanno molta libertà di azione quand’è
richiesta la loro collaborazione per una caccia al vampiro, ma questa non è una
caccia.»
«Potresti dire di più ad Anita se noi non fossimo presenti?» replicò Micah.
«Così lei potrebbe poi riferirvi tutto?»
«Di solito non discute con me i casi su cui sta indagando.»
«Giurami che non ti riferirà i particolari relativi a tuo padre.»
Pronto a mentire, Micah scrutò Al.
«No, Micah.» Gli strinsi la mano e mi girai verso Al. «Ti giuro che tutti i
presenti terranno la bocca chiusa, che Nicky ha partecipato a una caccia, che io
riferirò a Micah e a Nathaniel tutte le stronzate personali possibili, e che loro non
le divulgheranno a nessuno e in nessun modo.»
«E come te ne accerterai? Chiedendo loro di fare giurin giuretto?» Al scosse
la testa. «Sai che non funziona così. Di solito non sono tanto loquace a proposito
delle indagini in corso, però si tratta di Mike, e tu sei marshal federale.» Guardò
Nathaniel, che continuava a tenere l’altra mano di Micah. «Posso dire una cosa,
anche se non sono assolutamente cazzi miei?»
«Certo», acconsentì Micah, ma il suo tono chiarì che il vecchio amico
sarebbe dovuto stare bene attento a ciò che stava per dire.
«Presenta pure Nate come compagno o come preferisci, ma non rincontrare la
tua famiglia dopo quasi dieci anni tenendolo per mano. Ti prego, Mike, conosco
bene i tuoi parenti, e qui ci sono zia Bertie e zio Jamie.»
«Zia Bertie e zio Jamie? E chi sono?» domandai.
«Bertie è il diminutivo di Bertha. È la sorella di mia madre.» Micah attirò a
sé Nathaniel. «Non dovrei neanche sfiorarlo, Al? E comunque il suo nome è
Nathaniel, non Nate. Ti permetto di chiamarmi Mike perché un tempo mi
chiamavano tutti così e siamo cresciuti insieme. Adesso però il mio nome è
Micah.»
«Certo che puoi toccare… Nathaniel, ma non potresti tenere al centro Anita,
almeno per le presentazioni? È tutto quello che sto dicendo. E cercherò di
chiamarti Micah, anche se non ti assicuro di riuscire a ricordarlo.»
Allora Nathaniel baciò gentilmente Micah su una guancia. «Quando siamo a
casa, comunque, Anita dorme quasi sempre in mezzo!»
Micah lo scrutò. «A te sta bene nascondere come stanno le cose?»
«No, ma voglio poter tornare con te a far visita alla tua famiglia, in futuro. Se
tu adesso sbandierassi il nostro rapporto, mi prenderebbero in antipatia. Io
invece voglio che mi abbiano in simpatia.»
Per qualche istante Micah rimase in silenzio a riflettere sul significato di
quelle parole, poi si rivolse a me. «Se starai al centro, uno di noi due dovrà
tenerti la destra, quindi non avrai la mano libera per sfoderare la pistola.»
«A St. Louis rimango al centro quando siamo protetti dalle guardie del corpo
e non sono impegnata in nessuna indagine», ricordai.
«Come mai sono l’unico a battersi per non doversi nascondere?»
«Per un motivo molto semplice», commentò Juliet, che si era di nuovo
avvicinata a noi, una volta terminata la telefonata, e sembrava avere udito
abbastanza conversazione da suggerirle di commentarla. «Hai deciso di mostrare
a tutti il tuo fidanzato, e una volta che hai deciso di prendere una posizione ti
rifiuti di abbandonarla. Hai sempre fatto così.»
«Anch’io sono così. Anzi, ancora più di Micah», interloquii, notando sul
volto di lui un’espressione ostinata che non avevo mai visto prima.
«Talvolta quando torniamo dalla nostra famiglia, nella città in cui siamo nati,
riprendiamo le vecchie abitudini, i vecchi comportamenti, i vecchi sentimenti»,
dichiarò Nicky. «Riemergono tutti come spettri e, se non si è prudenti, si ritorna
a essere come si era un tempo.»
Tutti ci girammo a fissarlo.
«Be’, non sei soltanto un bel fusto, vero?» commentò Juliet.
Per quanto la muscolatura poderosa glielo consentiva, Nicky scrollò le spalle.
Sapevo che aveva parlato per esperienza personale. Avrei voluto chiedergli cosa
fosse accaduto durante il suo ritorno a casa, e quanto tempo fosse trascorso da
allora. Sua madre era in prigione, a quanto ne sapevo, e i suoi fratelli erano stati
adottati. Aveva forse incontrato il padre? Perché mi era così difficile immaginare
che fosse capace di tornare a casa in visita?
«Nicky è molto intelligente», affermò Micah, apparentemente imbarazzato,
un’altra cosa che non mi capitava di vedere spesso. Appoggiò la testa alla spalla
di Nathaniel, più come per riposare che per manifestare affetto, poi gli lasciò la
mano e mi spostò, in modo che mi trovassi tra loro due.
Mi piaceva camminare tenuta per mano da loro, inoltre ero sicurissima che,
nei pochi istanti che mi sarebbero stati necessari per lasciarli e sfoderare la
pistola, Nicky e Devil avrebbero aperto il fuoco.
«Grazie, Nicky», aggiunse Micah. «Avevo bisogno che qualcuno me lo
ricordasse.»
«Di solito sei tu che ricordi a noialtri di comportarci da adulti», replicò
Nicky. «Ti ho soltanto restituito il favore.»
Si scambiarono un sorriso e un cenno con la testa, un modo particolarmente
maschile di ringraziare e di dire: Nessun problema.
Sorridente e più rilassata, Juliet ci precedette.
Al ci seguì e disse: «Grazie, Nick… O Nicky?»
«Vanno benissimo tutti e due», rispose Nicky.
«Io sono Al, o Albert. E tu invece sei…?»
«Devil», rispose Mefistofele. Mi seguiva, quindi non lo vedevo, però ero
sicura che fosse impassibile o che sfoggiasse un sogghigno diabolico. Mi sarei
girata a guardarlo se non si fossero aperte le porte dell’ospedale proprio in quel
momento e un fresco odore di disinfettante non ci avesse avvolti.
Allora sentii Micah e Nathaniel trasalire e li guardai, scoprendo che entrambi
stavano arricciando il naso come se avessero fiutato qualcosa che non andava.
Nathaniel scrollò le spalle come un uccello che arruffasse le penne, o meglio, nel
suo caso, come un felino che si scrollasse la pelliccia.
«Non mi abituerò mai all’odore dell’ospedale», confessò Micah sottovoce, di
nuovo impassibile, e io capii che si riferiva al superfiuto di leopardo mannaro.
«Oh, andiamo!» replicò Al, alle nostre spalle. «È impossibile che il tuo nome
sia davvero Devil!»
«La mia sorella gemella si chiama Angel.»
«Non ci credo.»
«Nicky, diglielo tu», esortò Devil.
«Devil è il soprannome di Mefistofele e sua sorella si chiama Angel.»
Avevamo bisogno di scherzare un po’ per superare la notte, e burlarsi di Al
era un inizio.
11

er risparmiarci di dover chiedere dove andare o di dover spiegare perché

P ci trovavamo lì, Juliet e Al ci condussero subito all’ascensore.


«Hai il distintivo?» mi chiese Al.
«Sai che devo sempre averlo», risposi.
«Allora forse conviene che tu lo esponga in modo che gli altri sbirri
possano vederlo.»
«Vedendo il distintivo non penseranno che Anita intenda intromettersi nel
caso, proprio come Rickman teme?» domandò Micah.
«Alcuni lo penserebbero comunque. Però agli sbirri piacciono gli sbirri, e tu
piacerai di più come figlio di un collega e fidanzato di una collega. Ti aiuterà a
essere bene accolto.»
L’ascensore si fermò senza che le porte si aprissero.
«Credi davvero che ci sia necessario risultare più graditi per questo motivo?»
domandai.
Al annuì. «Può darsi.»
Lo scrutai, chiedendomi che cosa mi stesse sfuggendo. Comunque decisi di
seguire i suoi consigli perché era dalla nostra parte e, a differenza di me,
conosceva bene gli sbirri locali. Mentre le porte si aprivano e noi uscivamo
dall’ascensore lasciai le mani dei miei due amanti per il tempo necessario ad
agganciarmi il distintivo alla cintura, in modo che fosse ben visibile. Avrei
preferito quello col cordone da portare al collo, ma purtroppo lo avevo lasciato a
casa. Ero stata sciocca a non prevedere che avrebbe potuto essermi utile.
Sempre guidati da Juliet e da Al percorremmo un breve corridoio, svoltammo
un angolo, e come per magia cinque o sei sbirri si staccarono dalle pareti per
girarsi a guardarci. In primo luogo, gli sbirri hanno l’abitudine di badare a ogni
movimento perché c’è sempre il rischio che ci siano cattivi in giro. In secondo
luogo, Nicky sembrava un delinquente e Devil un pallone gonfiato
sputasentenze, cioè due tipi di persone che gli sbirri sanno di dover tenere
d’occhio.
Distratti da loro, i poliziotti non prestarono attenzione a noi tre. Fu come un
trucco di prestigiatore che ci rese invisibili. O forse io e Micah eravamo così
bassi che Al e Juliet ci nascondevano alla vista? Nathaniel era un po’ più alto,
quindi avrebbe dovuto essere almeno intravisto.
Di sicuro almeno due persone del gruppo non erano agenti di polizia, cioè un
uomo e una donna. Avrei scommesso che erano marito e moglie. Lei indossava
un completo nero, che doveva esserle andato bene dieci chili addietro, e una
camicetta bianca con colletto increspato che non migliorava certo il suo aspetto.
Aveva corti capelli neri striati di grigio: erano ricci e li aveva fatti diventare
lanosi a furia di spazzolarli. Con capelli ricci come i miei e quelli di Micah la
spazzola può produrre soltanto risultati disastrosi, come mi aveva insegnato
Jean-Claude, che li aveva quasi altrettanto ricci, e come ormai avrebbe dovuto
sapere anche quella donna, visto che dimostrava più di cinquant’anni. Portava
occhiali dalla grossa montatura nera, un crocifisso d’argento e una spilla a forma
di pastorale, che per la Chiesa simboleggia la funzione del vescovo, pastore del
suo gregge. Non avevo mai visto un gioiello simile.
«Zia Bertie!» Juliet le si avvicinò mentre lei scoccava un’occhiata ostile a
Micah e a me.
Forse ero paranoica, però sono sempre stata odiata a vista da integralisti e
fondamentalisti di vario genere, quindi perché mai zia Bertie avrebbe dovuto
reagire in modo diverso?
Se lei era zia Bertie, allora l’uomo era probabilmente zio Jamie. Era alto
almeno un metro e settantacinque, però sembrava più basso perché grasso e
panciuto. Soltanto le gambe sottili erano un vago ricordo di quello che doveva
essere stato un tempo. Sapendo che certe donne sono fiere di avere una
corporatura simile, cioè busto grosso e gambe sottili, mi chiesi se lo siano anche
certi uomini. Io avrei paura che mi venisse un infarto. A parte questo, zio Jamie
portava occhiali identici a quelli della moglie. Come lei aveva una spilla
d’argento, che sulle prime mi sembrò un bastoncino candito, ma in realtà era un
pastorale, e come lei indossava un completo, che però gli stava meglio,
probabilmente perché era grasso da più tempo e ormai sceglieva indumenti di
taglia adeguata. Non potevo fare a meno di sperare che i disturbi cardiaci non
fossero una caratteristica ereditaria della famiglia.
Gli zii non si lasciarono distrarre dai tentativi di Juliet e del vicesceriffo Al
d’intercedere a favore di Micah, il quale, ovviamente, non avrebbe mai potuto
vedere il padre senza prima avere a che fare con loro. Che gioia!
«Credevo che foste al bar per assicurarvi che tutti avessero qualcosa da
mangiare», esordì Juliet.
«Ti avevo detto che volevamo venire in aeroporto con te a prendere Mike, e
tu sei scappata», ribatté zia Bertie.
«Non sono scappata. Come ti avevo accennato, non erano soli e in macchina
non ci sarebbe stato posto per te e per zio Jamie.»
«Come facevi a sapere che erano accompagnati?» domandò zia Bertie, con
voce stridula e sgradevole.
Con una scrollata di spalle, Juliet rinunciò e si scostò dagli zii, lanciando
un’occhiata di scusa a Micah.
«Dunque il figliol prodigo è tornato», esordì zio Jamie.
«Sono qui soltanto per vedere mio padre.» Micah lasciò la mia mano e
avanzò di un passo come per affrontare da solo l’aggressione.
O magari temeva che tenermi per mano sembrasse vigliaccheria? Forse glielo
avrei chiesto più tardi. Comunque io e Nathaniel rimanemmo mano nella mano.
Mi faceva sentire meglio e mi teneva impegnata, dato che purtroppo non potevo
sparare agli zii semplicemente perché erano odiosi e scortesi.
«Chi sono queste persone che ti hanno accompagnato?» Zio Jamie pronunciò
«persone» come per sostituire un insulto volgare che le buone maniere gli
impedivano di pronunciare. Squadrò da capo a piedi Nicky e Devil, i primi a
essergli presentati da Micah, come se fossero in vendita e li giudicasse merce
scadente. «Cosa sono?»
«Persone», rispose Micah, gelido.
«Sono innaturali?»
Innaturali? «Wow!» mormorai. Non avevo pensato che Micah potesse avere
problemi con la famiglia per il fatto che era diventato licantropo. Mi ero
preoccupata soltanto del sesso. Che stupida!
«Sì, proprio come me», dichiarò Micah.
Tutti gli sbirri presenti, due in borghese e gli altri in uniforme, ondeggiarono
e sospirarono come l’erba di un prato che frusci nel vento, non avrei saputo dire
se per la piega sgradevole che la conversazione stava prendendo o perché non
erano affatto contenti che almeno tre di noi fossero «innaturali».
Lo Stato in cui ci trovavamo era uno dei pochi in cui chiunque avrebbe
potuto ammazzare Micah, o Devil, o Nicky, poi invocare la legittima difesa,
dichiarando di avere temuto per la propria vita, e farla franca senza processo,
perché gli esami del sangue eseguiti sul cadavere avrebbero dimostrato che si
trattava di un licantropo. Avrebbe rischiato un’accusa se qualche eventuale
testimone avesse dichiarato che aveva sparato senza valido motivo, ma, se
fossero opportunamente passati a miglior vita anche i testimoni, allora l’avrebbe
sfangata. Al pensiero del rischio che i miei uomini correvano, e che non avevo
considerato, mi si annodò lo stomaco per l’angoscia. Ero così abituata a sapere
che gli sbirri con cui collaboravo consideravano i miei fidanzati come persone,
da non prevedere che non tutti gli sbirri sarebbero stati altrettanto comprensivi.
Ero stata davvero stupida e imprudente.
Due sbirri erano in borghese, altri due indossavano uniformi come quella di
Al, tutti gli altri portavano uniformi diverse. Erano tutti armati e con tipica
espressione da sbirro fissavano Micah, Nicky e Devil per valutare se
costituissero una minaccia. Un tempo avrei fatto anch’io la stessa cosa? Non
appena si viene a sapere che qualcuno è un licantropo, lo si giudica
automaticamente pericoloso, giusto? Be’, sì. In sostanza, quei poliziotti avevano
appena saputo che Micah e due individui grandi, grossi e armati erano più
veloci, più forti e più duri da uccidere di tutti loro. Sapevo che, se qualcosa fosse
andato storto, gli sbirri probabilmente avrebbero prima sparato e poi interrogato.
Forse un tempo avrei reagito allo stesso modo, ma ormai i licantropi in questione
significavano troppo per me perché fossi ancora in grado di adottare il punto di
vista della polizia.
«Adesso facciamo tutti un bel respiro profondo», esortai, con voce calma e
limpida. «Sono marshal Anita Blake e gli uomini che state scrutando in questo
momento sono con me.»
«Sappiamo chi è lei», replicò uno sbirro anziano in uniforme della polizia di
Stato, e non sembrò entusiasta.
«Perché le altre bestie sono con lei?» chiese Jamie, senza che io protestassi,
perché probabilmente era quello che si stavano chiedendo anche gli sbirri, cui
potevo concedere il beneficio del dubbio in proposito, a parte la faccenda delle
bestie.
«In primo luogo, non chiamarli mai più ’bestie’», intimò Micah.
«È quello che sono», rimbeccò Jamie, sollevando una mano a indicare Micah.
«Proprio come lo sei tu.» E il suo pastorale d’argento scintillò alla luce.
«Oddio, indossi il pastorale! Ti prego, dimmi che voi due non siete diventati
Pastori del Gregge!» ribatté Micah, disgustato.
Adesso sappiamo che sono pazzi, pensai, senza dirlo.
Erano parenti di Micah, perciò intendevo fare del mio meglio per non
peggiorare la situazione. D’altronde i Pastori sono i fanatici di un nuovo gruppo
che tampina chi è rimasto vittima di aggressione soprannaturale, per cercare di
«salvarlo», dicendogli che è diventato un animale senz’anima, se licantropo,
oppure un cadavere posseduto dai demoni, se vampiro. In ogni caso, un agente
del demonio.
«Siamo qui come guardiani per proteggere le vittime dalle bestie e dai
demoni», annunciò Jamie, sgranando gli occhi.
«Lo sceriffo Callahan non è stato morso da un licantropo e neppure da un
vampiro, perciò non dovreste essere qui», commentò Al.
«Siamo parenti di Rush», rivendicò Jamie. «Abbiamo il diritto di stare qui.»
«Allora comportatevi da parenti e non da Pastori», replicò Al.
«Siamo qui per proteggere Rush, nel caso in cui torni il mostro da cui è stato
aggredito», intervenne zia Bertie.
«Lasciate questo compito alla polizia», esortò Al.
«Non quando la polizia si associa agli adoratori del diavolo e alle bestie
senz’anima. Non si può usare il demonio per proteggersi dal demonio.»
Affiancai Micah. «Chi state accusando di essere adoratore del diavolo?»
Rifiutando di lasciare la mia mano, Nathaniel mi seguì, e con l’altra mano mi
afferrò il braccio come per il timore che fossi in procinto di compiere qualche
brutta azione.
«Non prendertela, Anita. Ha appena dichiarato che suo nipote è una bestia
senz’anima», puntualizzò Micah. La sua voce lasciava trapelare la collera, e il
primo rivolo del suo potere mi scivolò addosso facendomi accapponare la pelle.
Era il licantropo dotato di maggiore autocontrollo che avessi mai conosciuto.
Talvolta proiettava appositamente il suo potere per scoraggiare altri licantropi,
come io stessa avevo cercato di fare con Nilda in aeroporto, eppure avevo
l’impressione che in quel momento fosse una reazione involontaria. I suoi zii
non potevano percepirlo, per fortuna, altrimenti ne avrebbero tratto la conferma
dei loro timori.
«Calma», mormorai.
«Ho bisogno di una breve pausa», sussurrò Micah.
Per concedergli il tempo necessario a riacquistare l’autocontrollo, feci l’unica
cosa che mi venne in mente, cioè attirare il loro «fuoco». «Come osa chiamare
’bestia senz’anima’ suo nipote, lei, ottuso e misero avanzo di cristiano?»
«Come osa porre in dubbio la mia fede cristiana, lei, adoratrice del demonio,
malvagia…?»
«Basta così, Jamie!» Al cercò d’interporsi tra me e lo zio.
«Io sono cristiana e il mio crocifisso sfolgora alla perfezione. Quanto a lei,
invece, quand’è stata l’ultima volta che ha messo alla prova la sua fede
affrontando una creatura capace di sbranarle il viso?»
Allora Nathaniel rinserrò quasi dolorosamente la stretta al mio braccio.
Non intendevo avvicinarmi a zio Jamie, però mi fanno incazzare i bigotti
come lui, sicurissimi di essere nel giusto, anche se di solito sono i meno cristiani
di tutti.
Intanto l’energia di Micah era tornata quasi normale, e che ci stesse
impiegando tanto rivelava quanto fosse arrabbiato e turbato, perché quei
bacchettoni degli zii, col loro fanatismo travestito da religione, gli stavano
impedendo di entrare nella stanza del padre.
«È la fidanzata di Micah», intervenne Juliet. «Dovrebbe bastare questo per
indurti a comportarti civilmente con lei.»
Allora zia Bertie si affiancò al marito, scostando Juliet. «È davvero la sua
fidanzata, oppure è l’eufemismo di Beatrice per dire che vivete insieme per
spassarvela?»
Ah, bene! Odiavano anche l’aspetto sessuale della nostra relazione! «Vuole
sapere se viviamo insieme per spassarcela?»
«È proprio quello che ho detto», ribatté Bertie, altezzosa, sprezzante e
compiaciuta.
«Sono sorpresa soltanto perché non sentivo nessuno parlare così da
quand’ero bambina. Credevo che ormai nessuno usasse più simili espressioni.»
Come se fosse imbarazzata, Bertie arrossì. Interessante, perché non avevo
ancora cominciato a metterla in imbarazzo. «È la sua fidanzata oppure vivete nel
peccato?»
«Potrebbe essere tutt’e due le cose, com’è successo a me con Ben»,
rammentò Juliet.
«Il fatto che Ben ti abbia sposata quando ha potuto avere il latte senza pagare
non significa che non fosse un peccato.»
«Avere il latte senza pagare?» ripetei. «Ma in che razza di modo parlate?»
Allora Jamie mi fissò con assoluto disprezzo. «Quando un uomo può avere
da una donna ciò che vuole, la usa finché ne ha desiderio, poi l’abbandona per la
prima altra donna che gli apre le gambe.»
Mentre Nathaniel mi si aggrappava disperatamente al braccio, Micah ci
affiancò. «Provo vergogna nel sapere che sei il tipo d’uomo che scopa una donna
e poi l’abbandona, zio Jamie.»
«Cosa?» Jamie lo fissò. «Io non farei mai…»
«Hai appena detto che l’uomo che fa sesso prima del matrimonio usa la
donna a proprio piacere, poi l’abbandona per la prima altra donna che gli si
concede.»
«Sì, ecco perché prima ci si sposa e si manifesta il proprio impegno al
cospetto di Dio!»
«Amo Anita e non l’abbandonerei mai per un’altra donna. Non ho bisogno
che sia Dio a dirmi che sarebbe sbagliato e provo profonda vergogna nel sapere
che, se tu non avessi sposato zia Bertie prima, te la saresti scopata per qualche
tempo per poi abbandonarla.»
«Io non avrei mai… Non ho detto questo!»
«Come osi!» gridò Bertie. «Scusati subito con tuo zio! È l’uomo migliore che
io abbia mai conosciuto e non avrebbe mai fatto una cosa del genere.»
«E Anita è la donna migliore che io abbia mai conosciuto e non mi
abbandonerebbe mai soltanto perché può fare tutto il sesso che vuole senza
sposarmi. Non mi ama soltanto per il sesso. Vero, cara?»
Non ricordavo che mi avesse mai chiamata «cara» fino a quel momento.
Comunque riuscii a rispondere soltanto: «Sì, non ti amo soltanto per il sesso
sconvolgente».
Allora Micah mi sorrise, poi si tolse gli occhiali per rivelare gli occhi da
leopardo agli zii, che indietreggiarono, trattenendo il fiato.
«I suoi occhi… Sta per trasformarsi!» gridò Bertie. «Omioddio! Aiutaci!»
Non sapeva che i poliziotti erano informati e che quindi non avrebbero estratto le
armi. Voleva che Micah fosse ucciso.
«Non si sta trasformando, Bertie», spiegò Al. «I suoi occhi sono rimasti in
forma ferina.»
Continuando a indietreggiare col marito, Bertie si girò a guardare i poliziotti.
«Proteggeteci!»
«Il vicesceriffo Gutterman ci ha informati che Mike Callahan ha occhi di
leopardo», riferì il più anziano degli agenti della polizia di Stato. «Non avete
bisogno di essere protetti da vostro nipote.»
Forse in altre circostanze avrebbe parzialmente condiviso l’atteggiamento dei
due coniugi, tuttavia aveva capito, proprio come lo avevo capito io, che Bertie
avrebbe voluto vedere il nipote crivellato di piombo in corridoio davanti alla
stanza d’ospedale in cui suo padre giaceva in fin di vita. Nessuno dei poliziotti
che ne erano stati testimoni avrebbe mai più provato nessuna simpatia per lei o
per suo marito. Ci sono confini che non si possono superare, e loro ne avevano
già superati parecchi.
Micah mi prese di nuovo per mano. «Voi non siete pastori, siete pecore. Al
primo accenno di minaccia scappate a chiedere protezione ai veri pastori, gli
agenti di polizia.»
«Non siamo pastori, marshal Blake, siamo cani da pastore.» L’anziano
poliziotto di Stato sorrise, e più che un sorriso divertito fu uno snudare di zanne.
Annuii perché conoscevo il saggio Pecore, lupi e cani da pastore contenuto
nel libro On Combat: Psicologia e fisiologia del combattimento in guerra e in
pace, del tenente colonnello Dave Grossman. «’Viviamo per proteggere il gregge
e per affrontare il lupo’», citai.
Il poliziotto di Stato annuì, con un altro sorriso fugace che lasciò freddi gli
occhi. «Esatto. Sono il comandante Walter Burke, e mi dispiace, marshal Blake,
d’incontrare lei e Mr Callahan in queste circostanze.»
«Dispiace anche a me», replicai.
Il comandante Burke si rivolse a zia Bertie e a zio Jamie. «Adesso alcuni di
questi gentili agenti vi scorteranno giù in sala d’aspetto, a raggiungere il resto
della famiglia.»
«Non possiamo permettere che vedano Rush da soli», ribatté Bertie. «È già
stato aggredito da un mostro.»
Il comandante Burke sospirò profondamente. «Vicesceriffo Gutterman,
caporale Price… scortate questi due in sala d’attesa. Se oppongono resistenza,
accusateli di aggressione a pubblico ufficiale.»
«Non osereste!» protestò Jamie.
In silenzio, il comandante Burke si girò.
Dinanzi al suo sguardo, al suo volto, al suo atteggiamento, Jamie, da brava
pecora, indietreggiò.
«In un modo o nell’altro permetterete a questo ragazzo di vedere suo padre.
Spetta a voi scegliere se farlo in sala d’attesa, oppure sul sedile posteriore di
un’auto della polizia.»
A stento mi trattenni dal gridare: «Scegliete saggiamente!»
Comunque loro scelsero saggiamente e si lasciarono scortare dai gentili
agenti di polizia in sala d’attesa, dove sicuramente li avremmo rivisti più tardi, e
sarebbe stato uno schifo.
Il comandante Burke si rivolse di nuovo a noi. «Mi dispiace che i suoi parenti
le rendano ancora più difficile quello che lo è già fin troppo, Mr Callahan.» E
lanciò un’occhiata alla mano di Nathaniel nella mia.
«Mr Graison», dichiarai.
«Mr Graison…» Burke guardò Nicky e Devil alle nostre spalle. «Mi dispiace
che non possa far visita a suo padre in ospedale senza guardie del corpo, ma, se
quelli sono sua zia e suo zio, mi dispiacerebbe maledettamente scoprire quello
che potrebbero fare eventuali estranei malintenzionati.»
«Grazie, comandante Burke», annuì Micah. «Lo apprezzo.»
«Lei è figlio di un bravo sbirro e fidanzato di un marshal federale, quindi è di
famiglia. Adesso andiamo da suo padre, e mi dispiace che il suo ritorno a casa
abbia dovuto essere così.»
Mi domandai se Burke si riferisse all’aggressione subita da Rush Callahan,
nonché alle sue attuali condizioni, oppure a quei pazzi di zia Bertie e di zio
Jamie, ma probabilmente non aveva importanza. In ogni caso, non tutti ci
odiavano, in Colorado. Buono a sapersi.
12

icah mi aveva detto che suo padre era alto poco meno di un metro e

M settanta, eppure nel letto d’ospedale sembrava più piccolo. Aveva


capelli castano-ramati, rosso cupo con riflessi castani. Mi domandai
come avrebbe descritto i propri capelli. Come rossi, forse? Mi
auguravo che riprendesse conoscenza abbastanza a lungo per
poterglielo chiedere. Per il momento il suo viso aveva quella fiacchezza che non
può derivare dal sonno, ma soltanto da potenti sedativi. Era pallido, con le
lentiggini che risaltavano come macchie d’inchiostro marrone. La delicata
struttura ossea del suo volto era la stessa di Micah, che dunque aveva preso da
lui, e non dalla madre, come avevo sempre pensato. Padre e figlio si
somigliavano molto. A parte le rughe sulla fronte e intorno agli occhi, era
soprattutto la bocca a distinguerli l’uno dall’altro. Quella di Micah era più
carnosa e più invitante ai baci, mentre quella di Rush era più sottile, più tipica
del maschio caucasico. Mi resi conto che quasi tutti gli uomini della mia vita
avevano le labbra carnose, probabilmente perché ognuno di noi sceglie gli
amanti secondo preferenze e propensioni di cui non è consapevole. Rush aveva i
capelli folti e abbastanza lunghi da incorniciare il viso. Erano ricci, meno di
quelli di Micah e dei miei, ma più di quelli di Juliet, che era uscita per lasciarci
soli, annunciando che avrebbe tentato di tenere alla larga tutti i parenti il più a
lungo possibile, probabilmente per procurare a Micah un po’ di tranquillità prima
di dover affrontare altre stronzate familiari. Uno scontro con zio Jamie e zia
Bertie era stato più che sufficiente, anche se con tutta probabilità li avremmo
rivisti, purtroppo.
«È strano», commentò Micah.
In quel momento le possibilità di stranezza erano così tante che fu strano
chiedere: «Cosa è strano?» A volte, però, è necessario porre domande ovvie.
«Mamma lo aiutava coi capelli. Dopo il divorzio, li ha sempre tenuti molto
corti per non avere problemi coi ricci. Non gli ho mai più visto i capelli così
lunghi da quando avevo dodici anni. Deve avere una nuova compagna, o
qualcosa del genere, e io non l’ho mai conosciuta.»
La sofferenza nella voce di Micah fu quasi palpabile; dato che non potevo
toccarla, lo abbracciai, stringendolo a me. Quasi automaticamente lui mi cinse
con le braccia, abbassando lo sguardo al padre disteso nel letto. Aveva rimesso
gli occhiali da sole nella custodia che teneva sempre nel taschino della giacca,
come altri tengono gli occhiali da vista. Suo padre non avrebbe riconosciuto gli
occhi con cui lui lo stava guardando, come lui ignorava tutto della sua nuova
misteriosa compagna. Avrebbero avuto moltissime cose da raccontarsi e io
pregavo che ne avessero occasione.
La penombra della stanza era rischiarata dall’unica lampada accanto al letto.
Era notte, le tende erano chiuse e i suoni dell’apparecchiatura mediante cui le
infermiere erano costantemente informate che Mr Callahan era ancora vivo
sembravano chiassosi nel silenzio.
Avvicinatosi, Nathaniel posò una mano sopra una spalla di Micah, che a sua
volta vi posò la propria mano libera. Esistono dolori troppo profondi per poter
essere espressi a parole, ma il contatto fisico può comunicare quello che le
parole non possono dire.
«Lo fiutate tutti e due?» chiese Micah.
Non chiedemmo a cosa si riferisse. Perfino il mio naso umano fiutava
l’inconfondibile odore dolciastro e aspro.
«Dolce» può sembrare l’aggettivo sbagliato, eppure la carne putrescente ha
davvero un odore dolce. Per quasi tutta la mia vita di adulta l’ho fiutato
esaminando le scene del crimine e risvegliando gli zombie, che sebbene possa
apparire strano non puzzano sempre allo stesso modo. Meno il risvegliante è
potente, più intenso è il puzzo. Ne ho visti perfino di simili ad autentici cadaveri,
e non puzzavano in quel modo neppure i miei primi zombie, benché decomposti.
Come nel caso degli ustionati, il lenzuolo bianco era sostenuto da una
struttura che ne impediva il contatto col corpo del degente. La lesione, quale che
fosse, emanava un vago sentore di putrefazione, una sorta di anticipazione della
sorte che attendeva il ferito.
Faticai a deglutire, e non per la nausea, perché avevo fiutato ben altri fetori.
L’autocontrollo di Micah era tale da suscitare l’impressione che qualcuno
dovesse piangere per lui, ma piuttosto che essere io mi sarei fatta dannare. Ero lì
per essere forte per lui, non per essere la prima a crollare in lacrime. Non
intendevo essere tanto femminuccia, cazzo!
Non sapendo cos’altro fare, in quella stanza già piena dell’odore della morte,
lo abbracciai più forte, e lui mi ricambiò, affondando il viso nei miei capelli.
Allora Nathaniel mi passò un braccio intorno alle spalle e si strinse a Micah da
dietro.
D’un tratto qualcuno bussò, piano ma in modo autorevole, e aprì la porta
senza aspettare di essere invitato. Era alto, magro, e indossava un lungo camice
bianco. Sorrise in modo professionale, brevemente, con un’allegria senza
significato, solo perché sorridere è incoraggiante. Era un sorriso che conoscevo
perché era simile a quello che io stessa riservavo ai clienti. Anche il mio era un
sorriso vacuo, e sorridevo soltanto per attenuare le loro preoccupazioni. Era un
medico, aveva a che fare con gente già molto preoccupata, quindi sorrideva.
«Io sono il dottor Rogers, e lei deve essere Mike…» Il medico porse la mano
a tutti noi, ma soprattutto a Micah, tanto somigliante al padre che tra lui e
Nathaniel non potevano esserci dubbi su chi fosse il figlio del paziente.
«Micah. Nessuno mi chiama più Mike da una decina d’anni.» Micah si staccò
da noi abbastanza per stringere la mano al medico, poi si girò verso di noi.
«Anita Blake», mi presentai.
«Nathaniel Graison.» Anche Nathaniel gli strinse la mano.
Il dottor Rogers annuì. «Sono felice che siate qui.»
Micah lo guardò con estrema serietà. «Mia madre ha riferito ad Anita che è
soltanto questione di tempo. È vero?»
«Abbiamo rallentato il progredire della malattia, però non abbiamo modo di
curarla. Mi dispiace.»
Abbassando lo sguardo al pavimento, Micah annuì e allungò le braccia
all’indietro, verso di noi. Io gli presi la mano sinistra e Nathaniel lo abbracciò a
destra.
Il medico guardò loro, poi me, poi di nuovo loro. Invece di dire qualcosa di
sgradevole, come mi aspettavo, mantenne la massima professionalità.
«Quanto tempo resta?» chiese Micah.
«Non posso rispondere con certezza.»
«Faccia un’ipotesi, mi dica quanto tempo da vivere resta a mio padre,
secondo la sua valutazione.»
Il medico scosse la testa. «Non me la sento.»
«Va bene, allora mi dica quali cure sta somministrando a mio padre.»
Dopo avere ricordato che alcuni casi simili, ma non identici, erano stati
riscontrati sulla East Coast, Rogers dichiarò: «Là i pazienti sono morti nel giro di
poche ore, ma io ho applicato i loro protocolli ai nostri pazienti e ho rallentato la
diffusione della… infezione».
«È un’infezione, dunque?»
«Sì.» Rogers parve molto sicuro.
«Che tipo d’infezione?»
«È simile alla fascite necrotizzante e l’abbiamo curata allo stesso modo, con
la rimozione del tessuto necrotico, massicce dosi di antibiotici e un periodo in
camera iperbarica.»
«Quanto… tessuto avete rimosso?» chiese Micah.
«Il minimo necessario.»
«Questa non è una risposta. Non tergiversi.»
«Se insiste, posso mostrarle la lesione. Ma non glielo consiglio.»
«Perché no?»
«Non cambierebbe alcunché e non sarebbe d’aiuto. Non è necessario che lei
la veda.»
Micah scosse la testa. «Devo sapere cosa avete fatto a mio padre.»
«Gli ho fatto esclusivamente quanto di meglio mi è stato possibile, date le
circostanze.»
Micah sospirò lentamente.
«Non è mio padre, però lei mi sta spaventando», intervenni. «Dov’è il
morso?»
«Al braccio sinistro.»
«Lo ha ancora?» chiese Micah.
Il dottor Rogers fece una smorfia. «Sì, ma, se non riusciremo a fermare
l’infezione, forse dovremo amputare. Anche se, sinceramente, credo che questo
servirebbe soltanto a rallentare il processo, non a bloccarlo.»
«Ha tentato l’amputazione con altre vittime?»
«Sì, ma troppo tardi. L’infezione si diffonde subito alla circolazione
sanguigna e poi in tutto il corpo.»
«Devo vedere», insistette Micah.
«Davvero, io non…»
«Davvero lei non vorrebbe vedere, se si trattasse di suo padre?» Micah lo
scrutò in viso. «Scommetto che invece insisterebbe per vedere.»
«Sono un medico. Osserverei le lesioni da un punto di vista professionale, per
capire cosa sta succedendo.»
«Io non sono un medico e spero che quanto immagino sia peggiore di quello
che lei sta per mostrarmi. In ogni caso, devo vedere.»
Sbuffando per l’esasperazione, Rogers prese un paio di guanti in lattice da
una scatoletta sul comodino e girò intorno al letto. «Qualunque contatto con la
ferita sembra essere estremamente doloroso, perciò teniamo sollevato il
lenzuolo.»
«Come nel caso delle ustioni», commentai.
«Nel caso di alcune ustioni, sì…» Rogers sollevò il lenzuolo e ci guardò.
«Sinceramente, non ve lo consiglio…»
«Per favore, dottor Rogers, devo vedere», replicò Micah, con voce bassa e
pacata, però stringendo la mano a me, e presumibilmente anche a Nathaniel,
come in una morsa letale.
Senza più discutere, Rogers scoprì il braccio sinistro e parte del torace al
paziente. Il morso non era più osservabile perché all’avambraccio era stata
asportata una porzione di carne grande quasi quanto i miei due pugni accostati,
però la posizione della ferita mi permise di ricostruire l’accaduto. Aggredito, lo
sceriffo Callahan aveva sollevato il braccio sinistro per proteggersi ed era stato
morso. Anch’io ho ferite da difesa dello stesso tipo, benché nessuna così
profonda. Con la spaventosa quantità di muscoli e di tendini che era stata
asportata, presumevo che, se pure fosse sopravvissuto, avrebbe potuto
riacquistare l’uso dell’arto soltanto in minima parte.
Alla vista della lesione Micah mi strinse più forte la mano e socchiuse gli
occhi, rimanendo per il resto impassibile. Non manifestava l’angoscia che io
invece stavo percependo attraverso il contatto fisico. Dio, quale autocontrollo
dimostrò in quel momento! Fu impressionante e mi rese fiera che lui fosse mio.
Poi tentò di dire qualcosa, deglutì a fatica, riprovò e infine scosse la testa.
Sperai di riuscire a porre le stesse domande che avrebbe posto lui. «I margini
della ferita sembrano più scuri di quanto dovrebbero essere, e la ferita stessa è
sbiadita. Dipende dal trattamento?»
«Temo di no.»
«Sta ricominciando a imputridire», concluse Micah, con voce vacua.
«Sì, abbiamo individuato alcuni batteri che non avevamo mai visto prima e
che non rispondono agli antibiotici.» Rogers fece per ricoprire il paziente senza
chiederci se avessimo concluso l’osservazione, però Micah non disse niente,
quindi lasciai perdere.
Con una pena immensa nelle profondità degli occhi verdi e dorati, Micah mi
fissò. «Chiedi», esortò, con voce poco più roca del normale.
«Cosa?» domandai.
«Tutto quello che vuoi sapere.»
«Non come tua ragazza, intendi?»
Lui annuì.
Inarcai un sopracciglio, però decisi di non oppormi. Volevo sapere che cosa
diavolo stesse succedendo. «Okay… Da cosa è stato aggredito lo sceriffo
Callahan?»
«Non ne siamo sicuri.»
«Ho sentito alludere a uno zombie cannibale.»
«Qualcuno ha parlato troppo», commentò Rogers.
«Sono marshal federale e appartengo alla squadra soprannaturale. Questo è il
mio lavoro.»
«La polizia locale temeva proprio che lei agisse così e che le sottraesse
l’indagine.»
«Non voglio sottrarre niente a nessuno, però non voglio nemmeno poliziotti
che nascondono informazioni a un’altra forza di polizia, perché sarebbe un buon
modo per impedire la soluzione del caso e garantire altre vittime.»
Con la sua reazione, cioè una lieve contrazione intorno agli occhi, Rogers mi
rivelò che le altre vittime dovevano essere state in condizioni perfino peggiori.
Se l’ultima vittima non fosse stata il padre di Micah, sarebbe stato solo
professionalmente interessante. Così invece era… terribile e interessante.
«Lei non vuole che altre persone siano ferite com’è accaduto a mio papà»,
dichiarò Micah, e io mi resi conto che pure lui aveva visto il medico trasalire,
quindi aveva usato di proposito l’espressione «mio papà». Volevamo maggiori
informazioni, avevamo percepito un’apertura, una disponibilità, e ne avremmo
subito approfittato, lavorandoci Rogers in coppia. Singolarmente, io e Micah
potevamo essere inesorabili, perfino spietati. Insieme lo eravamo anche di più.
«Certo che no», confermò Rogers.
«Allora ci aiuti», esortai.
«Anche se è marshal federale, lei in questo momento è soltanto la fidanzata
del figlio di un paziente, quindi una ’civile’, come ama dire la polizia.»
Mi venne in mente una cosa. «È possibile che qualcuno l’abbia trattata da
civile, nascondendo informazioni anche a lei?»
Mentre Rogers distoglieva lo sguardo, sarei stata pronta a scommettere che si
stava sforzando di rimanere impassibile mentre si chiedeva cosa o quanto dire.
Poi percepii la tensione di Micah e gli strinsi la mano per comunicargli che
dovevamo semplicemente aspettare. Il medico era come in bilico e avrebbe
potuto propendere per rivelare tutto ciò che ci occorreva sapere, oppure tacere.
Ero sicura quasi al cento per cento che mettergli fretta lo avrebbe indotto a
chiudersi nel silenzio. Era come nelle battute di caccia. Bisogna essere pazienti e
muoversi con cautela per non calpestare un rametto o un sasso, in modo da
evitare il rischio di spaventare e di far fuggire la selvaggina. Non avvertii
Nathaniel, anche se lo sentii muoversi alle nostre spalle, perché confidavo che ci
lasciasse fare, senza forzare il medico.
In silenzio, Rogers ci scrutò a lungo. Fu uno sguardo duro, non da sbirro,
forse da medico, come se io e Micah fossimo una malattia misteriosa e lui stesse
cercando di decidere se fosse in grado di scoprire ciò che eravamo davvero. «Lei
è veramente la sua fidanzata, o la sua ragazza, oppure si tratta soltanto di un
pretesto per consentirle d’intromettersi nel caso, perché altrimenti gli sbirri locali
non le avrebbero mai chiesto d’intervenire? Quando una mia collega ha
suggerito di chiamarla per un consulto, perché nessuno conosce gli zombie come
lei, sembrava quasi che avesse chiesto d’invitare il diavolo in persona. Parevano
tutti convinti che lei intendesse estrometterli dalle indagini.»
«In primo luogo, sono davvero la ragazza di Micah e la sua amante.
’Fidanzata’ è un po’ meno sostenibile, perché sicuramente lei legge i giornali,
guarda i notiziari e sa che frequento anche il nostro Master della Città. Non
posso sposare tutti.»
Allora il dottor Rogers guardò Nathaniel, che stava accanto a noi, in silenzio.
«E lei chi è, Mr Graison? Normalmente non m’immischierei, ma se decidessi di
aiutarvi la polizia potrebbe rendermi la vita difficile, e prima di correre questo
rischio voglio sapere con chi sto parlando e perché.»
«Chi potrei essere, secondo lei, per metterla nei guai con la polizia locale?»
replicò Nathaniel.
Il medico scosse la testa. «No, non stiamo giocando al gioco in cui si replica
a una domanda con un’altra domanda. Risponda, oppure abbiamo chiuso.»
«Le sembro forse uno sbirro?» domandò Nathaniel.
«No, e neppure Mike lo sembrava, prima d’iniziare a fare domande. Inoltre
marshal Blake e Mr Callahan emanano energie molto simili. So che lui è figlio di
uno sbirro, quindi può darsi che abbia imparato per osmosi. Ma in qualche modo
anche la sua energia, Mr Graison, è simile a quella di marshal Blake, e io voglio
sapere perché.»
Bastò quella richiesta a rivelare che Rogers era dotato di facoltà
metapsichiche. Probabilmente era un diagnosta portentoso, uno di quei medici
capaci di trovare la cura alla malattia più misteriosa per mezzo dell’intuito.
Avrebbe anche potuto essere una pura e semplice coincidenza, eppure in quel
momento ero assolutamente certa che fosse molto di più. Non era soltanto
apparenza, visto che Rogers era in grado di percepirci correttamente. Questo mi
rassicurava a proposito della sua capacità di curare il padre di Micah, però
significava pure che non potevamo essere reticenti con lui, né ingannarlo, perché
lo avrebbe percepito e avrebbe rifiutato di collaborare. La nostra unica scelta era
la verità.
«Lei dev’essere un prodigioso diagnosta», commentò Micah, giungendo in
un lampo alla mia stessa conclusione.
Con la fronte corrugata e gli occhi socchiusi, Rogers lo fissò. «Lo sono,
tuttavia ricorrere alle lusinghe non è una buona idea da parte sua.»
«Digli la verità, Nathaniel», esortai.
Allora Nathaniel ci abbracciò entrambi, passandoci le braccia sulle spalle, e
noi gli cingemmo i fianchi in un abbraccio collettivo. «Noi tre viviamo insieme
da quasi tre anni. Io sono danzatore esotico al Guilty Pleasures e sono un
leopardo mannaro, come Micah.»
«Questo spiega perché la sua energia è simile a quella di Mr Callahan, però
non spiega la somiglianza con quella di marshal Blake.»
«Io sono la loro Nimir-Ra, la loro regina leopardo», spiegai. «È ufficialmente
noto che sono portatrice sana di licantropia multipla, inclusa quella del
leopardo.»
«Ho letto il saggio che il dottor Nelson ha scritto su di lei. Si tratta di
un’anomalia medica. In primo luogo, la licantropia multipla dovrebbe essere
impossibile perché ogni singola forma della malattia immunizza da tutte le altre
forme, nonché da tutte le altre malattie. In secondo luogo, lei non subisce
nessuna metamorfosi. Presenta tutti i sintomi e gode di molti benefici, però non
si trasforma. Ho sentito dire che i militari sono molto interessati a tutto
questo…»
«Queste sono le voci che corrono», convenni. «Però nessuno me ne ha mai
parlato.»
«Voci che corrono…» mormorò Rogers.
Annuii. «Sì, voci che corrono.»
«Forse lei è brava quanto crede di essere, marshal Blake, ma io dovrò
continuare a vivere qui e ad avere a che fare con la polizia locale anche dopo che
lei se ne sarà andata. Vorrei essere autorizzato a parlare con lei di tutto questo.»
«In quanto marshal federale, posso esaminare i cadaveri senza nessuna
autorizzazione.»
«È proprio per questi discorsi che lei non piace agli altri sbirri.»
«Non sono qui per attirarmi simpatie. Sono qui per risolvere il caso.»
«Credevo che fosse qui per confortare Mike e la sua famiglia…»
«È così. Però sono anche uno sbirro, e nessuno conosce gli zombie come li
conosco io. Sarebbe uno spreco di risorse se io non fossi almeno consultata.»
«Chiederò che le sia dato il permesso di recarsi all’obitorio per esaminare i
cadaveri. Per tutto il resto, parli direttamente con gli sbirri.»
Prima che tentassi di persuaderlo a parlare, la porta fu aperta senza che
nessuno avesse bussato e io mi girai di scatto, allontanandomi dagli altri in modo
da avere lo spazio per estrarre la pistola, se necessario. Non fu diffidenza nei
confronti del medico, fu un semplice cedimento alla tensione accumulatasi negli
ultimi minuti. Razionalmente sapevo che Nicky, Devil e gli sbirri in corridoio
non avrebbero lasciato passare nessuno contro cui sarebbe stato necessario
sparare, però a volte non si tratta di razionalità, bensì di pura e semplice
abitudine. E io, come molti sbirri, sono abitualmente paranoica.
«La lascio parlare con suo fratello», annunciò il dottor Rogers, prima di
andarsene, passando davanti al fratello di Micah.
13

L’ uomo che varcò la soglia era sul metro e settantasette, capelli castano scuro
come quelli di Micah, evidentemente ricci nonostante il taglio militare,
grandi occhi grigio-azzurri che dominavano il viso, attirando subito l’attenzione,
labbra carnose come quelle del fratello e carnagione appena più scura. I suoi bei
lineamenti però non avevano nulla della delicatezza di quelli di Micah, del padre
o della cugina Juliet. «Mike… Sei qui, dunque», esordì, con voce più profonda
di quanto mi aspettassi.
«Ciao, Jerry», disse Micah.
«Beth era sicura che saresti arrivato. Io ero sicuro del contrario.»
«Lei è sempre stata la più fiduciosa della famiglia.»
«Immagino che tutte le sorelle minori siano così.»
I due fratelli si scrutarono in silenzio, come se io e Nathaniel fossimo sulla
luna.
«Non so se siano così tutte le sorelle minori. Comunque Beth è sempre stata
gentile», replicò infine Micah.
«Cuore tenero, vuoi dire.»
Micah scrollò le spalle. «Come preferisci.»
Non li esortai ad abbracciarsi, perché non avevo mai incontrato Jerry e non
sapevo nulla del loro rapporto o del loro passato.
«Perché sei tornato, Mike?»
«Per vedere papà.»
«Se non ne valeva la pena prima che… fosse ferito, allora perché diavolo te
ne importa qualcosa adesso?»
«Jerry…»
«Che cosa? Ti aspettavi di tornare come il figliol prodigo e che tutti ti
perdonassero e dimenticassero?»
«No, non mi aspettavo che tu mi perdonassi.»
«Invece sì. T’illudevi di avere un commovente momento strappalacrime, con
tutti che piangono e dicono cose carine, e tu sei perdonato prima che lui muoia.
Ecco perché sei tornato, per essere perdonato. Be’, anche se lui dovesse
riprendere conoscenza e perdonarti, ricorda che io non lo farò mai.»
«Lo ricorderò.» La voce di Micah era bassa e pacata, il viso assolutamente
impassibile.
«Non vuoi presentarmi ai tuoi amici?»
«Non credevo che volessi essere presentato.»
«Non odio loro, fratellone, odio soltanto te.»
Per un lungo momento Micah lo fissò. Poi, restando impassibile, ci presentò:
«Anita Blake, questi è mio fratello Jerry».
Feci l’unica cosa che mi venne in mente date le circostanze, cioè lo avvicinai
per offrirgli la mano, in modo che potesse ignorarla con assoluta scortesia,
oppure stringerla.
Per un attimo Jerry parve perplesso, poi me la strinse. Non sapeva come
stringere la mano a una donna, o forse era imbarazzato perché ero la ragazza di
Micah. Comunque fu poco meglio di un rifiuto.
«E lui è Nathaniel Graison», aggiunse Micah.
Quando Nathaniel m’imitò, Jerry strinse la mano anche a lui, più fermamente
che a me. Si stava forse riprendendo dalla sorpresa causata dalla nostra cortesia?
«Mi dispiace di non essere tornato prima.» Micah si avvicinò a noi, e dunque
al fratello.
«Cosa te lo ha impedito?»
«Credevo che mi odiassi e che quindi sarebbe stato inutile.»
«Be’, hai ragione, ti odio.» Jerry aveva gli occhi lucidi. «Hai detto cose
terribili a mamma e a papà.»
«So di non poterlo spiegare, tuttavia non avevo scelta», replicò Micah.
Ebbi l’impressione che Jerry non fosse l’unico ad avere gli occhi lustri, così
mi sforzai di non guardare Micah e di non muovermi, per non rovinare tutto.
«Papà è amico di un federale», riprese Jerry. «Dice di avere visto la
documentazione di quello che ci sarebbe successo se tu non avessi convinto un
licantropo cattivo che ci odiavi.»
Mi domandai come diavolo facessero i federali a saperlo e dove avessero
raccolto quelle informazioni. Comunque non era il momento adatto per
chiederlo, e inoltre Jerry di sicuro non lo sapeva. Desideravo conoscere l’agente
federale amico di suo padre, oppure lo temevo?
«Gli avevo visto fare cose terribili alle famiglie altrui. Non potevo rischiare.»
«Sei stato bravo a farci credere di odiarci. Mamma ha pianto per settimane.
Beth non ha creduto a nulla perché non aveva sentito; era convinta che tu avessi
mentito perché credevamo che essere diventato leopardo mannaro ti avesse reso
troppo pericoloso. Quindi per anni ha creduto che ti avessimo cacciato.»
«Se Beth fosse stata presente, forse non sarei riuscito a dire tutto quello che
era necessario dire.»
«So che non avresti potuto. Non avresti mai potuto guardarla in faccia ed
essere tanto… crudele. Eri il suo fratello preferito. Anche se andavi a cacciare
con papà, e lei odiava la caccia, ha sempre voluto più bene a te.»
«No, Jerry. Non voleva più bene a me. Mi voleva bene in modo diverso, ecco
tutto.»
«Bastardo bugiardo!» inveì Jerry, con voce rotta dal pianto, prima che le
lacrime iniziassero a scorrergli sulle guance. Con voce soffocata, aggiunse: «Ti
odio, bastardo bugiardo…»
«Lo so.»
Qualcosa nella sua voce m’indusse a guardare in viso Micah. Anche lui
piangeva, col viso tutto bagnato di lacrime.
Il primo a muoversi fu Jerry, e Micah non esitò ad andargli incontro.
D’improvviso si abbracciarono, aggrappandosi l’uno all’altro e piangendo.
Mentre Jerry continuava a ripetergli che era un bastardo bugiardo, Micah gli
disse: «Ti voglio bene anch’io».
14

uando lui e Micah si furono asciugati le lacrime abbastanza per poter

Q fingere di non avere pianto, Jerry ci condusse in sala d’attesa. Con


alcuni divani e poltrone, un tavolino ingombro di riviste che quasi mai
qualcuno leggeva e alle pareti alcuni quadri che avrebbero dovuto
essere allegri o confortanti senza riuscire a esserlo davvero, era simile
a cento altre sale d’attesa in cui mi ero recata a parlare coi parenti o coi poliziotti
a proposito dei pazienti ricoverati in chirurgia e ai mostri che li avevano
aggrediti. «Come lo bracchiamo e come lo ammazziamo?» chiedevo di solito ai
poliziotti. «Cosa può dirmi che possa aiutarmi a braccarlo e a ucciderlo?»
domandavo ai parenti. L’unica cosa che distingueva quella sala d’attesa da tutte
le altre, rendendola unica e stranamente inquietante, era la presenza dei parenti
di Micah. Forse non ci saremmo mai sposati, però Micah era parte permanente
della mia vita e mi rendeva felice come non ero mai stata, perciò quegli
sconosciuti erano miei potenziali parenti. Era un’eventualità spaventosa perfino
per noi cacciatori di vampiri duri come la roccia.
La madre di Micah aveva grandi occhi grigio-azzurri come Jerry e gli
somigliava, o meglio lui somigliava a lei. I capelli le cadevano sulle spalle,
altrettanto ricci, ma di un castano più chiaro. Aveva quella carnagione chiara e
morbida che si può avere soltanto per natura e per qualche stranissima
combinazione genetica. Aveva le labbra carnose tinte di rossetto e un trucco
perfetto, ma leggero. Se non avessi saputo che era la madre di Micah, mi sarebbe
sembrata al massimo cinquantenne. Invece doveva essere per forza più vecchia,
vero? Sicuramente era ingrassata con l’età, però era molto formosa e quelle
curve le donavano. Il tailleur esaltava le sue forme, anziché nasconderle, e
questo mi piaceva. Era sensuale, esotica, bella, ed era la madre di Micah. Era
anche una di quelle persone che abbracciano a tutto spiano. Abbracciò Micah
come se fosse l’ultima cosa solida al mondo cui aggrapparsi per avere salva la
vita, piangendo a dirotto, quindi riuscimmo a cogliere soltanto frammenti delle
sue frasi: «Così contenta che tu sia a casa… Tuo papà sarà così felice… Ti
voglio bene…»
Sentii Micah dire: «Ti voglio bene… Mi dispiace tanto…» Le altre cose che
disse furono soffocate dal pianto della madre.
Probabilmente Nathaniel sentì qualcosa di più. Comunque rimase immobile,
tenendomi per mano, in attesa che la tempesta emotiva si abbattesse su di noi.
Devil e Nicky presidiavano l’unico accesso, quindi potevano sorvegliare la sala e
proteggerci senza avvicinarsi, lasciandoci un po’ di riservatezza per la riunione
di famiglia. Bodyguard al massimo dell’efficienza e della versatilità!
Quando riuscì a districarsi abbastanza dall’abbraccio, Micah ci presentò:
«Mamma… Questa è Anita, e questo è Nathaniel…»
Bea mi abbracciò, costringendomi a lasciare la mano di Nathaniel per
ricambiarla, e subito ricominciò a piangere. «Grazie! Grazie per avere riportato a
casa Mike! Ti ringrazio moltissimo!»
«Di nulla…» mormorai, cercando di escogitare un modo per liberarmi al più
presto senza risultare scortese. Avevo il viso affondato nella sua spalla perché lei
coi tacchi era alta almeno un metro e settantacinque, e io non avevo avuto il
tempo di alzarmi in punta di piedi per evitare di essere stritolata.
«Lasciala respirare, mamma», intervenne Jerry.
Lei mi lasciò, ridendo un po’, e si asciugò gli occhi con le mani dalla
manicure perfetta. «Mi dispiace… Ho la tendenza a esagerare con gli abbracci…
Sei avvisata…»
Troppo tardi per l’avvertimento, pensai, sorridendo e limitandomi ad annuire,
visto che non avevo nulla di utile da dire. La gente la prende male se si rifiuta il
contatto fisico in situazioni come quella, perciò ho imparato a sorridere e a
tenere la bocca chiusa.
Micah attirò Nathaniel più vicino. «Mamma, questo è Nathaniel Graison.»
Non aggiunse «il nostro compagno» come aveva detto con la cugina Juliet.
Talvolta è più difficile coi genitori.
In silenzio, Bea guardò Nathaniel, poi Micah, per avere un’idea di quale
fosse il loro rapporto.
Allora Micah prese per mano Nathaniel e me, sospirò profondamente, e
annunciò: «Nathaniel è il nostro convivente».
Per un momento sul suo volto passò un’espressione che non riuscii a
interpretare, poi Bea abbracciò Nathaniel con lo stesso trasporto con cui aveva
abbracciato me. Lui esitò per un momento prima di ricambiare l’abbraccio con
espressione un po’ perplessa, ma sorridendo. «Sono così felice di conoscere te e
Anita», dichiarò Bea. «Non hai idea di quanto io sia felice di conoscere gli amici
di mio figlio!»
Nello scambiare un’occhiata con Micah cercai di dire con gli occhi: Be’, è
andata bene! Sarei stata pronta a scommettere che la mia matrigna non si
sarebbe comportata altrettanto bene. D’altronde anche Micah era stato convinto
che sua madre non avrebbe reagito così bene a Nathaniel. Forse i nostri genitori
erano più maturi di quanto fossimo disposti a riconoscere?
Al termine dell’abbraccio, Nathaniel disse: «Anch’io sono davvero felice di
conoscerla». Sorrideva, contento e sollevato, perché nessuno di noi avrebbe
scommesso che sarebbe andata così bene.
Intanto si avvicinò alla madre di Micah un uomo snello, sul metro e
ottantacinque, col cranio rasato e quasi completamente calvo, con sopracciglia
folte e quasi nere, occhi di un azzurro limpido e luminoso, occhiali dalla
montatura scura, completo nero, camicia azzurra e cravatta scura che faceva
risaltare il pallore del volto e l’azzurro degli occhi. Distratta dalla calvizie e dagli
occhiali, tardai un momento a rendermi conto che era bello. Posò le mani sulle
spalle di Bea in un gesto che, per quanto innocente, era tipico delle coppie
sposate, cui Micah reagì con una tensione che io intuii, più che vedere. «Sono
felice che tu sia potuto venire, Mike», dichiarò, porgendo la mano.
Micah la strinse. «E io sono felice di esserci.» Poi si girò verso di me.
«Anita… Nathaniel… Questi è Tyson Morgan, il… marito di mia madre.»
Ho una matrigna, quindi conosco il momento imbarazzante in cui si desidera
presentare un genitore acquisito senza volerlo riconoscere come genitore.
Il patrigno di Micah aveva mani grandi, dalle dita lunghe e sottili, analoghe
alla sua corporatura alta e snella. «Dottor Tyson Morgan. Insegno al college con
Bea.»
«Anita Blake, marshal federale.»
Allora Morgan abbozzò una sorta di sorriso sghembo, poi scosse la testa.
«Temo di sentirmi più fiero del dovuto di essere il dottor Morgan. Scusa. Ti
prego, chiamami Ty.»
«Non occorre scusarsi. È un grande merito. Dottore in cosa, dato che insegni
al college?»
«Letteratura americana.»
Intanto Micah cercava con lo sguardo tra i presenti in sala d’attesa. «Dov’è
Beth?»
«A casa, con gli altri ragazzi», rispose Ty.
Micah annuì. «Twain deve avere ormai… quattordici anni?»
«Sì», confermò Bea. «E Hawthorne dodici.»
Mi sforzai di rimanere impassibile. Chiamare qualcuno coi cognomi di
scrittori, come Mark Twain e Nathaniel Hawthorne, è qualcosa che di solito si fa
coi gatti che bazzicano i dipartimenti della facoltà di letteratura. Non certo coi
figli. Twain era tollerabile, ma… Hawthorne?! La scuola elementare doveva
essere stata un tormento brutale per quel povero ragazzo!
«Ne abbiamo altri due adesso», aggiunse Bea. «L’hai visto sulla nostra
pagina Facebook?»
Micah scosse la testa. «Uso Internet esclusivamente per lavoro. Altri due?
Maschi o femmine?»
Bea sorrise. «Un maschio e una femmina.»
«Quanti anni hanno?»
«Frost ne ha sei e Fen ne ha quattro.»
Quando Micah lo guardò, Jerry scrollò le spalle. «Ci sono parecchie cose che
non sai.» Sollevò la mano sinistra, e allora vedemmo per la prima volta la sua
fede matrimoniale.
«Con chi e da quanto tempo?» chiese Micah.
«Sono sposato da meno di due anni con Janet, infermiera qui all’ospedale.
Non la conosci. E, prima che tu lo chieda, dopo le superiori ho sposato Kelsey. È
durata circa due anni, e fin dall’inizio non ha funzionato. Con Janet invece va
bene.»
«Non so neppure cosa fai per vivere…»
«Lavoro in uno studio d’ingegneria, col fratello di Janet. È così che ci siamo
conosciuti. Da quanto tempo voi… tutti state insieme?»
«Quasi tre anni.» Micah sorrise, prendendomi di nuovo per mano. Esitò
soltanto un momento prima di prendere anche la mano di Nathaniel, e per un
attimo con l’espressione del viso parve sfidare i parenti a criticare. Con la
famiglia il nostro paziente e diplomatico Micah era più aggressivo, più simile a
me, e questo spiegava in gran parte la pazienza che aveva avuto con me
all’inizio.
Mentre Jerry non sapeva come comportarsi, Bea ci sorrise, raggiante, quasi
che le avessimo appena annunciato che stava per diventare nonna, o qualcosa del
genere. Ty si rilassò, liberandosi di una tensione che non comprendevo, e sorrise
anche lui. L’accoglienza fu grandiosa, però tanta felicità m’indusse a chiedermi
che cosa mi sfuggisse. Sospetto sempre delle cose troppo belle per essere vere,
come ammonisce non per niente un vecchio detto. Sono venuta al mondo con
una sana dose di cinismo e tanti anni di lavoro investigativo non hanno
contribuito in nessun modo a cambiarmi.
Nello stringere la mano a Nathaniel e a me, Micah passò a un altro
argomento, più o meno: «Beth sta con qualcuno? Continuo a pensare a lei come
a una ragazzina, ma ormai deve avere ventidue anni, vero?»
Tutti annuirono.
«Si è appena laureata in teologia e filosofia», disse Jerry.
Alle nostre spalle Nicky mormorò qualcosa con voce profonda, e una donna
ribatté ad alta voce: «Chi è lei e quale diritto ha d’interrogarci?»
Girandomi, scoprii che le nostre guardie del corpo avevano fermato due
donne che volevano entrare.
«Nicky… Devil… Sono le mie zie.» Micah andò loro incontro, mentre le
nostre guardie del corpo le lasciavano passare.
Una aveva capelli rossi e ricci che cadevano sulla schiena e indossava jeans,
T-shirt, giacca e stivali da lavoro. L’altra aveva i capelli tanto corti da far quasi
scomparire i ricci e portava una gonna severa, una giacca sopra una camicetta
bianca dal colletto arrotondato, e scarpe scollate. La differenza di abbigliamento
tra le due donne era tale che tardai qualche istante a rendermi conto che erano
identiche, o quasi, come se fossero l’una il riflesso dell’altra. Somigliavano
molto a Micah, a suo padre e a Juliet, che si stava affrettando a raggiungerle,
seguita a sua volta da una giovane donna con gonna alla caviglia, camicetta
bianca e capelli evidentemente ricci, benché raccolti in una treccia. Entrambe
erano struccate, ma Juliet era perfetta, stava benissimo anche senza trucco,
mentre la ragazza appariva imperfetta, quasi sciatta, come se le mancasse
qualcosa, o forse l’impressione era dovuta agli occhiali dalla montatura nera, che
parevano di dotazione militare e appartenevano senz’altro alla categoria degli
«occhiali contraccettivi», così chiamati perché chi li porta non ha nessuna
possibilità di farsi portare a letto da chicchessia. Pensai che potesse essere la
figlia della donna con la gonna severa, mentre Juliet doveva essere figlia
dell’altra donna, almeno a giudicare dalla somiglianza nel loro modo di vestire.
Micah ci presentò a zia Jody, quella coi capelli lunghi e i vestiti da
campagnola, e a zia Bobbie, quella che sembrava la maestrina di una scuola
religiosa. Erano gemelle, sorelle di Rush. Jody aveva una fattoria dove Juliet
viveva col marito e coi due figli, benché fosse figlia di Bobbie, la quale non era
una maestra e neppure una monaca mancata, bensì un’avvocato.
«Mi dispiace che Monty non possa essere qui stanotte, Mike», dichiarò zia
Bobbie, nell’abbracciare il nipote. Aveva gli occhi azzurri come Juliet, ma freddi
e impenetrabili, per nulla cordiali. Quando mi scrutò, mi sentii sotto esame.
«Monty è il mio secondo marito. È giudice, adesso.»
«Congratulazioni», disse Micah. «Ricordo Monty. Lui, papà e zio Steve
erano amici.»
Allora Bobbie sorrise, per la prima volta con vera cordialità, mostrando di
amare il marito. «È un buon giudice.» Era bello sapere che aveva trovato
l’amore due volte.
«Rex non arriverà», intervenne Jody. «Ho divorziato da lui anni fa. Adesso
vive in California, in un condomino dove deve prendersi cura soltanto di se
stesso.»
Micah l’abbraccio di nuovo, brevemente. «Mi dispiace, zia Jody.»
Lei ricambiò l’abbraccio e sorrise. «Non ti preoccupare, Mike. Non sono mai
stata più felice di quanto lo sono ora.»
«Sono contento per te.» Anche Micah sorrise, e perfino io mi unii alla festa
dei sorrisi, perché in Jody c’era qualcosa che faceva quell’effetto.
«Anch’io. Juliet e suo marito sono meravigliosi, un’altra generazione che
desidera rimanere alla fattoria.»
«No, grazie!» Bobbie finse di rabbrividire. «Io sono una ragazza di città!»
Poi sorrise, manifestando la stessa gioia della sorella, e la prese per mano.
«Quando ho avuto Juliet e ti ho detto che era in parte tua, non immaginavo che
l’avresti trasformata in una contadina!»
Lo sguardo di Jody rivelò un passato d’intimità tra sorelle molto bello da
vedere. «Ehi, abbiamo una nipote a testa!»
Quando Juliet sorrise a entrambe capii che mi sfuggiva qualcosa, però era
qualcosa di buono che aveva stretto un legame, forse una cosa da gemelle, o
forse no. In seguito lo avrei chiesto a Micah.
Intanto l’altra ragazza si era ritirata in disparte, contro una parete, come se
non condividesse quel momento di felicità familiare.
«Esther!» chiamò Bea. «Ricordi Mike, vero?»
La ragazza si allontanò piano piano dalla parete, apparentemente indecisa su
come comportarsi. «Ciao, Mike», salutò, quasi in un sussurro.
«Come stai, Essie?» chiese Micah, con voce dolce, come se quella cugina
avesse sempre avuto qualcosa di fragile o di sbagliato.
Lei gli sorrise timidamente. «Tu e Beth siete gli unici che mi chiamano
ancora Essie.»
«Io adesso mi faccio chiamare Micah. Tu preferisci Esther?»
«No, mi è sempre piaciuto essere chiamata Essie», si affrettò ad assicurare la
ragazza, fissandolo con occhi grandi e sbalorditi, così simili a quelli di Bea da
farmi capire che era cugina per parte di madre, cioè doveva essere la figlia di zia
Bertie e di zio Jamie. Povera piccola, anche se probabilmente aveva più di
vent’anni e non era più piccola. Semplicemente sembrava… molto più giovane
di quello che era. Era forse a causa dell’abbigliamento e degli occhiali orrendi?
«No, non di nuovo loro!» protestò Devil.
Quando mi girai a guardare, non vidi nulla perché avevo davanti Ty col suo
metro e ottantacinque.
Nel sentirlo imprecare sottovoce, Bea lo redarguì. «Non in presenza dei
ragazzi», raccomandò, come se avessero tutti cinque anni.
«Sono tua sorella e suo marito», annunciò lui.
«Mer… Misericordia!» proruppe Bea. «Non posso più sopportarli, per oggi!»
Lanciai uno sguardo interrogativo a Micah, muovendo soltanto le labbra:
Misericordia?
«Se conoscessi i miei nonni, capiresti perché non impreca», spiegò lui,
sottovoce.
«Suvvia, Bertie!» disse Al, che seguiva zia Bertie e zio Jamie. «Basta così,
per stanotte! Rush è gravemente ferito!»
«Rush sa di essere fuori della grazia di Dio!» ribatté Jamie.
Non fui sicura di capire cosa intendesse, però di sicuro non era niente di
buono. «Che cosa vogliono?» domandai.
«Salvare le nostre anime», rispose Micah, come se fosse molto stanco.
«La mia anima sta benissimo», dichiarai.
«Lo so.»
«Forza!» Devil si girò a guardarci, imitato da Nicky. «Ordinateci di tenerli
alla larga!»
Micah scosse la testa. «No, mi dispiace.»
«Ti prego», insistette Devil.
«Sono molto tentata», confessai.
«Moltissimo», convenne Micah. «Però lasciateli entrare.»
Mentre i due bigotti passavano, Nicky li osservò come se fossero antilopi
ferite cui restava poco da vivere.
«Mi dispiace, non sono riuscito a trattenerli», confessò Al. «A quanto pare,
non sono abbastanza peccatore per suscitare il loro interesse.»
«Sei un bravo ragazzo…» Bertie gli accarezzò un braccio.
Al scrollò le spalle. «Mi dispiace, Mike…»
«Non scusarti con lui di non essere un peccatore», rimbrottò Jamie.
«Non credo che si stesse scusando per questo, zio Jamie», corresse Micah.
«Lascia in pace il ragazzo, Jamie», intervenne zia Bobbie, già disgustata dalla
situazione, benché fosse appena arrivata.
«Se tu non avessi interferito, Bobbie, non ci sarebbe nessuna Coalizione e
centinaia di persone sarebbero state salvate, anziché diventare mostri.»
«Ho esaminato le vostre accuse, Bertie, ed erano soltanto assurdità
paranoiche», ribatté Bobbie.
«Non incoraggiamo le persone a diventare licantropi», intervenne Micah.
«Aiutiamo le famiglie che hanno parenti già diventati licantropi. Consigliamo e
sosteniamo quelli che sono stati aggrediti, senza incoraggiare nessuno a
diventare animale mannaro. Non siamo come la Chiesa della Vita Eterna. Non
facciamo proselitismo.»
«Voi e i vampiri volete che tutti diventino come voi», ribatté zia Bertie.
«Sono dicerie senza fondamento», replicò zia Bobbie.
«Non so quale sia l’origine di queste voci, tuttavia posso assicurarvi che sono
tutte menzogne», dichiarò Micah. «Aiutiamo le persone ad affrontare il trauma
delle aggressioni nel modo in cui vorrei che qualcuno avesse aiutato me.»
«Anch’io ho sentito queste dicerie, ma credevo che nessuno le prendesse sul
serio», interloquii.
«Ci sono gruppi di fanatici religiosi che ne hanno fatto una causa e le
sfruttano senza remore», dichiarò Micah, fissando gli zii bigotti.
«Tutti gli altri credono alle tue bugie, ma noi sappiamo che avete ingannato
centinaia, forse migliaia di umani innocenti!» Bertie si girò a puntare un dito
accusatore contro Bobbie. «Vite innocenti che avrebbero potuto essere salvate
dal male, se tu non ti fossi opposta a noi!»
«Non avevate basi per sostenere la necessità d’incarcerare Mike, e un giudice
ne ha convenuto con me», ribatté Bobbie.
«Di cosa stanno parlando?» chiese Nathaniel.
«Quando i miei esami del sangue sono risultati positivi alla licantropia, Jamie
e Bertie avrebbero voluto che mi consegnassi a una casa sicura. La loro Chiesa
credeva che tutti i licantropi dovessero essere isolati come lebbrosi», spiegò
Micah. «Dato che ho rifiutato di farlo volontariamente, hanno tentato di farmi
dichiarare legalmente incapace e di essere nominati miei tutori, sostenendo che il
resto della famiglia era troppo emotivamente prostrato per potermi assistere.»
«Le case sicure sono prigioni», osservò Nathaniel.
«Una volta che si è firmato per esservi accolti non se ne può uscire mai più,
nonostante tutte le assicurazioni del contrario a chi si presenta», spiegai.
«Lo so, e ho chiesto a zia Bobbie di assistermi in tribunale.»
«Grazie», dissi all’avvocato.
Lei gesticolò con noncuranza. «Non avevano nessun diritto di farlo e nessuna
base legale per sostenere la loro richiesta, però erano riusciti a presentare la
causa a un giudice che apparteneva alla loro stessa Chiesa. Una volta che l’ho
ricusato, è andato tutto benissimo.»
«Se il mostro che ti ha aggredito fosse stato in una casa sicura, Steve e Richie
sarebbero ancora vivi, e tu saresti ancora umano, invece di essere un animale»,
ribatté Bertie.
«Zia Bertie!» protestò Juliet, quasi gridando.
«Basta così», intervenne Bea, gli occhi impalliditi, quasi grigi. Avevo
l’impressione che diventassero di quel colore quando s’infuriava, anzi, sarei stata
pronta a scommetterci.
«Dimmi soltanto che questi due sono i più pazzi tra i tuoi parenti»,
commentai.
«L’ultima volta che sono stato qui, sì, lo erano», disse Micah.
«Bene», approvai.
Zio Jamie si girò verso di me come se non riuscisse più a contenersi e si fosse
deciso a vuotare il sacco. «Sappiamo chi sei, Anita Blake! Resusciti i morti dalla
tomba, qualcosa che soltanto a Dio è concesso fare!»
«Io non resuscito nessuno. Mi limito a risvegliare zombie.»
«Certo che non puoi fare quello che soltanto Dio può fare!» ribatté Bertie. «Il
demonio non è altro che una misera imitazione di Dio.»
Inarcai un sopracciglio. «Come, prego?»
Zia Jody intervenne: «Sei una persona ottusa e malvagia, Bertie».
«Sei un abominio al cospetto del Signore!» inveì Bertie. Aveva gridato con
una rabbia quasi spaventevole contro Micah e contro di me, ma con Jody era
furibonda.
«Non lo pensavi quand’eravamo alle superiori», replicò Jody, con voce
inespressiva. Eppure mutò il corso della discussione.
«Eravamo amiche, un tempo, prima che tu diventassi una pervertita»,
rimbeccò Bertie.
«Alle superiori ti piaceva moltissimo la mia perversione, poi ci siamo
spaventate a vicenda. Io ho sposato il primo uomo che mi ha voluta e tu hai
cominciato ad andare a letto con chiunque ti volesse.»
«Mamma…» Essie la fissò come se quella fosse una novità per lei.
«Io sono felice, adesso», riprese Jody. «Tu puoi forse dire lo stesso, Bertha?»
«Non chiamarmi così! Non chiamarmi mai così!»
«È il tuo nome.»
Ebbi la sensazione che mi sfuggissero parecchie cose. Poi Bertie si lanciò
addosso a Jody, Al s’interpose a tenerle separate, mentre Nicky induceva subito
zio Jamie a non intromettersi nello scontro semplicemente parandosi dinanzi a
lui. Devil si spostò tra noi e zia Bertie per costringerci a indietreggiare. Nessuno
di noi disse alle due donne di smetterla. Probabilmente loro avevano più paura di
quello che avremmo potuto fare noi, che noi di quello che avrebbero potuto fare
loro.
«Sei la puttana del demonio!» mi gridò Jamie.
«Posso picchiarlo?» chiese Nicky. «Soltanto un pugno.»
«No!» gridai, con la massima decisione.
«Chi è il demonio, secondo lui?» chiese Nathaniel. «Micah o Jean-Claude?»
Bea, Ty, zia Jody, zia Bobbie, zia Bertie e zio Jamie iniziarono a litigare,
gridando a gran voce. Juliet, Essie e tutti noialtri assistemmo come innocenti
passanti incapaci di distogliere lo sguardo da un disastro ferroviario, per quanto
spaventoso.
Accostai la bocca a un orecchio di Micah. «Non vedo l’ora di sapere
com’erano i tuoi Natali in famiglia!»
«Non li avevo mai visti litigare così», replicò lui.
Insieme con Juliet, si avvicinò a noi Essie, che di nascosto lanciava occhiate
a Devil, a Nathaniel e perfino a Micah, inducendomi a sospettare una sua cotta
infantile per il cugino non del tutto estinta.
«Ricordi Ginger Dawson, Micah?» chiese Juliet, a voce alta per essere udita
nonostante il vocio.
«Ricordo la fattoria dei Dawson», rispose lui. «Era accanto alla nostra.»
«Ricordi la figlia maggiore, quella che si è arruolata nell’esercito?»
«Vagamente.»
«Lei e zia Jody vivono insieme da quasi cinque anni.»
«Vivono insieme?» chiese Micah. «E come?»
«Come hai definito questo bel ragazzo? Vostro ’convivente’?»
«Il suo nome è Nathaniel», corressi spontaneamente.
«Sì», confermò Micah.
«Be’, è così che vivono insieme», disse Juliet.
Ci scambiammo tutti un’occhiata.
«Non ne avevo idea», ammise Micah.
Juliet annuì. «Nessuno di noi l’aveva.»
«Stai crescendo i tuoi figli coi tuoi due efebi!» strillò zia Bertie.
«Credo che quella parola non significhi quello che pensa lei», suggerii.
«Bertie è impazzita», commentò Juliet.
«Mi dispiace tanto, Mike…» Essie stava tutta raccolta in se stessa come per
dare l’impressione di non conoscere nessuno dei litiganti.
«Non ti preoccupare, Essie.» Micah le accarezzò un braccio. «I tuoi genitori
non sono certo colpa tua.»
Allora lei lo guardò con adoranti occhi azzurri senza che lui se ne accorgesse,
intento com’era a osservare il litigio in cui erano coinvolte la madre e le zie.
Invece Nathaniel lo notò e mi guardò.
«Hai contaminato un figlio!» gridò Bertie a Bea. «Guarda cos’ha portato a
casa! Smetti di vivere nel peccato prima di contaminare anche gli altri tuoi
figli!»
Noi tre e Devil ci scambiammo un’occhiata.
«Credo che si riferisca a Nathaniel», osservò Devil. «Però…»
D’un tratto Bertie afferrò Bea per i capelli e lo scontro cominciò. Il servizio
di sicurezza dell’ospedale intervenne mentre le due donne si strappavano i
capelli a vicenda e si graffiavano con le unghie. Fu abbastanza imbarazzante,
non tanto perché era coinvolta la madre di Micah, quanto per quel modo
femminile di battersi. Avrei dovuto insegnare a Bea come tirare cazzotti.
15

i solito gli obitori non sono i miei posti preferiti, però l’alternativa era

D restare e aiutare Micah a convincere la polizia a non arrestare sua


madre e sua zia. Francamente, avrei lasciato arrestare zia Bertie, se ciò
non avesse implicato l’arresto della madre di Micah. Anche la madre
di Richard Zeeman, la mia altra quasi suocera, aveva un bel
caratterino. Chissà perché gli uomini che amavo avevano mamme così… vivaci?
Forse piacevano a tutti e due donne simili alle loro care vecchie mammine? Nel
caso di Micah, ero uno sbirro come suo padre, quindi aveva trovato un due per
uno. Be’, era veramente troppo strano e freudiano per me!
Alla presenza del cadavere non ero più contenta che a cercare di capire i vivi,
però ero meno confusa. Pur sentendomi in colpa per avere lasciato Nathaniel con
Micah a sbrogliare i casini dei viventi, era già molto che il dottor Rogers fosse
riuscito a convincere gli sbirri a permettermi di esaminare le prime tre vittime.
Chiedere di essere accompagnata dai miei fidanzati sarebbe stato troppo, e poi
ho sempre fatto in modo di evitare che pure loro vedano gli orrori che vedo io
per lavoro. In quelle circostanze poi, con quanto stava succedendo a Rush
Callahan, sarebbe stato anche peggio. Immaginare ciò che gli sarebbe successo
era tremendo, perciò mi concentrai sul cadavere.
Era una donna. Sicuramente la polizia l’aveva identificata e aveva raccolto
informazioni su di lei e sulla sua famiglia. Comunque io in quel momento non
avevo bisogno di sapere nulla di tutto ciò, anzi, non volevo saperne nulla, perché
l’unico modo per conservare la sanità mentale consiste nello spersonalizzare, nel
considerare il cadavere come una cosa, e ciò non mi sarebbe stato possibile se
avessi saputo qualcosa di chi era stata. Volevo pensare a lei come a un oggetto,
non come a una donna. Era necessario. A volte temevo di essere diventata una
sorta di serial killer legalmente autorizzata a furia di ammazzare vamp e
mannari, ma quando poi osservavo le vittime capivo di essere troppo empatica
perché mi potesse succedere una cosa simile. Gli assassini seriali vedono le loro
vittime appunto come cose, come oggetti, alla stregua di una lampada, una sedia
o un albero, e quindi possono commettere i loro crimini con scarso rimorso. Non
ci si sente mica male a fracassare una sedia o una lampada, giusto?
Nell’osservare il cadavere mi sforzai di mantenere una specie di distacco zen
e di non pensare al padre di Micah nel letto d’ospedale, né a quello che doveva
avere passato quella donna prima di morire, altrimenti non avrei potuto essere di
nessun aiuto. Non riesco a funzionare se le emozioni mi fottono. Evviva! Non
sono una macchina assassina priva di emozioni!
Nel fissare il cadavere parzialmente decomposto, riuscii a pensare soltanto:
Che modo orribile di morire…
«Stupiscici, Blake», esortò il detective Rickman.
Ho accennato alla presenza di un pubblico? Oltre al dottor Rogers e alla
coroner, la dottoressa Shelley, la cui presenza era un atto dovuto, c’erano il
sergente Gonzales, il detective Rickman, il detective Conner, nonché il
comandante Walter Burke, il vicesceriffo Al e il vicesceriffo Gutterman. A
quanto pareva, Al era il più alto in grado, dato che Rush era ricoverato. Ma, se
lui era lì e c’era anche un altro vicesceriffo, chi era rimasto a servire e a
proteggere? Era una cittadina, quindi l’ufficio dello sceriffo non poteva avere
molti agenti a disposizione. Comunque non criticai Al per il modo in cui gestiva
le proprie risorse. Le conosceva e in quel momento era al comando.
La presenza del pubblico era il motivo per cui Rickman non stava
protestando istericamente per la mia intrusione. In apparenza temeva che
danneggiassi i cadaveri o che celebrassi qualche sinistro rito magico. Avevo già
incontrato sbirri come lui, alcuni ultrareligiosi e persuasi che io fossi
un’incarnazione del male, altri che detestavano le donne poliziotto in quanto
donne, oppure qualunque agente federale che osasse intromettersi nelle loro
indagini. Io ero una donna, una senzadio praticante di magia, nonché agente
federale, quindi gli altri sbirri avevano motivi in abbondanza per odiarmi.
Comunque una simile collaborazione tra sbirri di dipartimenti diversi era cosa
rara e bella a vedersi, e avevo la sensazione che fosse dovuta alla buona
reputazione e all’eccellente operato dello sceriffo Callahan. Di solito gli sbirri si
contendono la giurisdizione su un caso come cani che si disputano l’ultimo osso
con un avanzo di carne.
Sebbene la situazione sia migliorata negli ultimi anni, vale ancora la regola
generale secondo cui agli sbirri non piace condividere, tranne quando vogliono
scaricare su qualche collega la responsabilità di un caso ingarbugliato o noioso.
Il caso in oggetto era ingarbugliato, però non era affatto noioso; inoltre il
ferimento di un collega lo rendeva personale e risolverlo avrebbe giovato
notevolmente alla reputazione professionale di chiunque. Fallire avrebbe potuto
essere disastroso e stroncare la carriera. Be’, non sono certo una sostenitrice del
fallimento o del disastro.
L’affollamento mi stava procurando la soffocante impressione claustrofobica
che la stanza si potesse accartocciare fino a stritolarmi.
Alla fine, la dottoressa Shelley intervenne: «Signori, avete il permesso di
osservare, non di alitarci sul collo, quindi fate tutti quanti due passi indietro». Si
aggiustò gli occhiali con una mano guantata e scrutò severamente gli sbirri, che
non si erano mossi. «Questo aspetto dell’indagine è mia specialità, mia
competenza e mia responsabilità. Voi siete qui perché ve l’ho consentito io. Se
non intendete lasciarci spazio per lavorare, faccio sgombrare la sala. Sono stata
chiara? E adesso spostatevi indietro, maledizione!» Mi piaceva.
Gli sbirri si scambiarono occhiate, come in attesa di scoprire chi fosse
disposto a obbedire per primo, poi Gonzales indietreggiò, imitato da Burke e dai
vicesceriffi. L’ultimo fu Rickman, così cominciai a sospettare che non detestasse
soltanto me, bensì tutte le donne.
«Grazie, signori», riprese la dottoressa Shelley, senza rancore, prima di
rivolgersi a me e al dottor Rogers. «Adesso che possiamo muoverci senza urtare
qualcuno, ha qualche domanda, marshal Blake?»
«Vogliamo sapere cosa vede che a noi sfugge», intervenne Rickman. «Non
vogliamo le informazioni che già conosciamo.»
Quando Shelley si girò, non mi fu necessario vederla in viso per sapere che
gli aveva scoccato una gelida occhiata. Fu una bella occhiata, severa come quella
della maestra elementare che sa imporre il silenzio a trenta ragazzini scatenati, e
anche ostile.
Sentendone tutto il peso, Rickman si difese con un’occhiata di sfida, simile a
quelle che tutti noi avevamo già visto tante volte. «Se la informi tu, Sheila, non
sapremo mai se possa esserci davvero utile o se sia soltanto la solita federale
ficcanaso intenzionata a intromettersi.»
«Questo è il mio obitorio, Ricky, e lo gestisco come ritengo più opportuno»,
ribatté lei con voce gelida, anche se la confidenza con cui si chiamavano per
nome suggeriva che un tempo vi fosse stato tra loro due un rapporto più che
professionale. O forse lui aveva semplicemente voluto sottolineare che lei si
chiamava Sheila Shelley. Probabilmente non gli capitava molto spesso di poter
pronunciare nomi orrendi quasi quanto il suo, Ricky Rickman.
Imperterrito, Rickman insistette: «Si presume che sia una strepitosa esperta di
zombie, no? E allora che lo dimostri!»
«Sono in grado di risvegliare gli zombie dalla tomba», ricordai. «Qualcun
altro fra i presenti è capace di farlo?»
Ci furono soltanto silenzio e uno scambio di occhiate nervose.
«Forse non avrei dovuto ricordare a tutti che risveglio i morti? Spiacente, ma
è una facoltà metapsichica. La scambierei con qualche altro dono soprannaturale,
se fosse possibile, ma non funziona così. Desto gli zombie dal sonno della morte
come i mancini usano la mano sinistra o certuni hanno gli occhi azzurri a causa
di un gene recessivo. È così che funziona. Ho destato il mio primo zombie
quando avevo quattordici anni. Perciò, sì, detective Rickman, sono un’esperta di
zombie.»
«Allora, come ho detto, Blake, stupiscici.»
«Fuori del mio obitorio», ordinò la dottoressa Shelley.
«Suvvia, Sheila…»
«Smettila di chiamarmi per nome come se fossimo amiconi, detective. Hai un
problema con l’autorità femminile, lo hai sempre avuto, e sempre lo avrai, a
quanto pare.» Shelley si girò verso di me. «Mi dispiace, marshal, non è nulla di
personale. Lui è sempre così.»
«Come ha fatto a diventare detective pur essendo ancora così giovane, se
rompe sempre tanto i coglioni?» domandai.
«Quando riesce a tirarsi fuori la testa dal culo è un ottimo investigatore»,
spiegò Shelley. «Ha risolto in breve tempo alcuni grossi casi e ha salvato
parecchie vite neutralizzando rapidamente alcuni mostri, e intendo assassini, non
i mostri con cui ha a che fare lei.»
Annuii, comprendendo la differenza.
«Adesso però si sta comportando come un bambino e intralcia l’indagine»,
aggiunse, puntando un indice guantato contro Rickman. «Lo sceriffo Callahan ha
aiutato tutti i presenti a svolgere meglio il loro lavoro, e solo aiutandoci ha
letteralmente salvato parecchie vite. Non si è mai appropriato del merito, però
sappiamo tutti che cosa gli dobbiamo. Quindi adesso tutti noi lasceremo che
marshal Blake faccia il suo lavoro, rispettando la sua competenza nel
soprannaturale. Ciò che più conta, ho saputo che è fidanzata col figlio dello
sceriffo Callahan, perciò merita rispetto anche per questo. E tu, Ricky, la
rispetterai per almeno una di queste tre ragioni, per Dio! Non m’importa quale,
ma scegline una e concedile la stima che concederesti a un uomo con la sua
stessa qualifica, la sua stessa reputazione e lo stesso tipo di rapporto che la lega a
un collega ferito che tutti rispettiamo e con cui tutti siamo in debito.»
Mi sforzai di reprimere l’impulso ad applaudire. Vidi Rickman finalmente
imbarazzato e fui lieta di scoprire che poteva sentirsi a disagio. Anche gli altri
sbirri parvero vergognarsi, come se la ramanzina fosse stata in qualche modo
contagiosa o come se Rickman avesse fatto sfigurare tutti. In ogni caso,
quest’ultimo tenne la bocca chiusa e gli altri si comportarono al loro meglio
come per rimediare alle sue mancanze.
«Quando mordono, gli zombie mordono come persone, di solito», dissi. «La
spalla della prima vittima, un uomo, è brutalmente lacerata, più come avrebbe
potuto fare un animale mannaro o un vampiro.»
«I vampiri non sbranano come farebbe un terrier con un ratto», intervenne
Burke. «Uccidono con ferite nitide, precise.» Parve sicuro, nel dirlo, anche se
non sembrò contento.
Cercai di ricordare se nell’obitorio avessi toccato qualcosa che avrei preferito
non toccare a mani nude, e non riuscii a esserne sicura al cento per cento. «Ora
dovrei togliermi i guanti e poi infilarne un altro paio. Più tardi, quando avremo
finito, potrò mostrarvi le cicatrici di ciò che un vampiro mi ha fatto.»
Col suo grave sguardo di sbirro, Burke mi comunicò di non essere sicuro di
credermi.
«Conosco la letteratura. Di solito i vampiri sono considerati alla stregua di
serial killer organizzati, pianificatori metodici, mentre gli animali mannari sono
classificati come serial killer disorganizzati che martoriano vittime scelte quasi a
caso, come antilopi ferite rimaste isolate dalla mandria. Tuttavia ho conosciuto
vampiri disorganizzati e licantropi organizzati.» Ci pensai un momento, poi
scossi la testa. «Okay, ho conosciuto più vampiri inclini al massacro che animali
mannari metodici, però, credetemi, non sempre l’antilope rimane isolata dalla
mandria per puro caso. Può sembrare così, eppure la maggior parte dei predatori
sorveglia la mandria per individuarne le vittime più deboli o imprudenti, e poi
provvedere a isolarle. Il più delle volte non è mai casuale.»
«Presumo che i predatori, a due o quattro zampe, siano tutti uguali», dichiarò
Burke.
«Sì», convenni. «Umano, vampiro o licantropo, un predatore è un predatore.»
«Dall’archivio federale non risulta affatto che i vampiri divorino le vittime
come fanno i licantropi», obiettò Rickman. «Credevo che non potessero
mangiare cibo solido.»
«Il comandante ha parlato di sbranare come farebbe un terrier con un ratto,
non di mangiare», ricordai.
Rickman sembrò sconcertato.
«Hai mai visto un cane sbranare una preda soltanto per il gusto di farlo, non
per divorarla?» chiesi.
Lui scrollò le spalle.
«Hai mai giocato a tiro alla fune con un cane che facesse sul serio?» chiese
Gonzales.
Rickman scrollò di nuovo le spalle. «Mai avuto un cane.»
Tutti lo fissammo.
«Mai?» chiese Gonzales.
«Mai?» chiese Al.
«Preferisci i gatti?» chiese la dottoressa Shelley.
«No, ma ho sentito dire che Blake li preferisce.» La battuta fu innocente, ma
non il tono e neppure lo sguardo che l’accompagnava.
«È forse una raffinata allusione al fatto che Micah Callahan è un leopardo
mannaro?» ribattei, assicurandomi che il mio tono esprimesse tutto il disprezzo
possibile, che era parecchio.
«Se le pantofole di pelliccia…»
«Mi hanno detto in faccia più di una volta che sono la meretrice di Babilonia.
Credi davvero di potermi insultare insinuando che ’preferisco i gatti’?» Mimai le
virgolette nel pronunciare le ultime tre parole.
«Sì, Ricky», convenne Gonzales. «È stata davvero una pessima battuta per
uno sbirro con dieci anni di servizio.»
«Decisamente pessima», convenne Al.
«Un insulto davvero patetico, detective», aggiunse il comandante Burke.
«Suvvia, Ricky», ripresi. «Dimmi almeno che sono una dannata puttana che
va a letto coi vampiri… No, aspetta! Anche questo è un insulto per niente
originale, anzi, è proprio quello che mi hanno detto oggi quei pazzi degli zii di
Micah.»
«Va bene, va bene! Ti sei spiegata!»
«No, non ho neppure cominciato a spiegarmi. Un vampiro mi ha sbranato una
spalla e mi ha quasi spezzato una clavicola. Nella piegatura del gomito sinistro
ho un tale ammasso di tessuto cicatriziale che sono riuscita a conservare l’uso
del braccio soltanto col massimo impegno nel sollevamento pesi e nello
stretching.»
«Quindi sei una tipa tosta. Abbiamo capito.»
«Taci, Ricky», intimò Gonzales.
«Se il vampiro non cercava di divorarle le carni come avrebbe fatto un
animale mannaro, allora perché l’ha sbranata, marshal?» domandò Burke.
«Perché voleva farmi male e farmi soffrire prima di uccidermi. E qui potete
vedere tutti cosa possono fare i denti umani su un corpo.»
«Una volta ho visto una cheerleader di quaranta chili sotto PCP squarciare
coi denti la gola di un uomo», riferì Burke, scosso da un tremito, mentre il suo
sguardo perdeva per un momento la sua impassibilità professionale per lasciar
trapelare l’angoscia.
Tutti gli sbirri con abbastanza esperienza provano angoscia, anche se la
nascondono. Ci sono sempre cose che segnano in maniera indelebile la mente, il
cuore e l’anima, cose grandiosamente terribili che non si possono dimenticare né
ignorare, dopo le quali non si è mai più gli stessi. In quel momento ognuno di
noi ricordò gli orrori da cui era perseguitato e ossessionato, quali che fossero,
ricordi diversi che però esercitavano lo stesso effetto. Tutti eravamo ossessionati
e perseguitati da qualche angoscia. Perfino gli occhi di Rickman lo lasciarono
trapelare.
Mi girai a guardare Rogers e la dottoressa, scoprendo che era così anche per
loro. Sbirri, paramedici, medici, vigili del fuoco, autisti di ambulanza, tutti noi…
Non c’è bisogno di fantasmi per essere perseguitati. Ci riesce benissimo la
memoria senza nessun aiuto soprannaturale.
16

a donna era stata morsa in viso, come se lo zombie avesse tentato di

L strapparle una guancia.


«Non sono in grado di distinguere le conseguenze del morso da
quelle dell’asportazione chirurgica.»
«Inizialmente la paziente ha rifiutato di firmare il consenso
all’asportazione della ferita», spiegò Rogers. «Ha acconsentito soltanto in
seguito, quando si è resa conto che il danno inflitto dalla malattia sarebbe
diventato più grave di quello dell’intervento chirurgico, ma ormai era troppo
tardi: la decomposizione aveva già raggiunto il cervello. Non c’è stato niente da
fare. Ho asportato la maggior quantità possibile di tessuto infetto, poi mi sono
reso conto di non poterle salvare la vita e ho cercato di fare il possibile per
rendere tollerabile la sua condizione. Quand’è infettato un organo vitale non c’è
rimedio, tranne imbottire il paziente di sedativi per alleviare il dolore e rendere
sopportabile il poco che gli rimane da vivere.»
Distolsi lo sguardo dal volto devastato della donna. «Per questo lo sceriffo
Callahan è sedato? Ha già organi vitali infettati?» Anche se mi si accelerò un
poco il battito cardiaco, mantenni un’apparenza calma, sfoggiando la mia
migliore impassibilità da sbirro.
«No, la malattia stessa è incredibilmente dolorosa. E, dato che possiamo
rallentarne il decorso, non bloccarlo, provvediamo affinché i pazienti soffrano il
meno possibile.»
«Me lo giuri», replicai.
«Lo giuro. Rush è stato fortunato a essere ferito al braccio. Credevo di avere
rimosso tutto, ma riuscirci non è possibile perché l’infezione si diffonde troppo
rapidamente. Se l’esperienza coi pazienti precedenti non ci avesse dimostrato
l’efficacia degli antibiotici ad ampio spettro e della camera iperbarica,
l’infezione sarebbe ormai diffusa ovunque. Ogni paziente c’insegna sempre
qualcosa di più.»
«Perché non siete intervenuti chirurgicamente sull’uomo ferito alla spalla?»
«È stato il primo a essere trovato ancora in vita, e il medico del pronto
soccorso ha sottovalutato la virulenza della malattia. A sua difesa si possono
considerare le condizioni della ferita, che lei stessa ha potuto osservare. È stata
trattata come un normale morso di zombie, che diffonde determinati tipi
d’infezione. Quando sono stato convocato era ormai troppo tardi. L’infezione
aveva già raggiunto il cuore e non abbiamo potuto fare nulla.»
«Sta dicendo che il suo cuore era decomposto?»
«Sì, era completamente decomposto», rispose la dottoressa Shelley. «Non
avevo mai visto nulla di simile. Benché il torace fosse in apparenza sano, quando
ho eseguito l’autopsia ho scoperto che il cuore era in condizioni simili a quelle
dei tessuti intorno alla ferita originaria.»
«Come mai il cuore e il cervello si sono decomposti? Perché non è stata
divorata prima la carne sana?»
«Non ne siamo sicuri al cento per cento», ammise Rogers. «Comunque
crediamo che questa infezione si diffonda dalla ferita al flusso sanguigno e
mediante la circolazione sanguigna raggiunga gli organi vitali, provocando la
decomposizione alle due estremità, per così dire.»
«Quindi il cervello è stato aggredito perché l’uomo per pura sfortuna era stato
azzannato al volto…»
«Sì.»
«E, se aveste saputo di dover asportare la ferita alla spalla, la vittima sarebbe
potuta sopravvivere…»
«Se non fosse stata la prima vittima, credo che avrebbe avuto probabilità
analoghe a quelle dello sceriffo», confermò Rogers.
Non mi piacque il modo in cui lo disse, cioè il riferimento alle probabilità.
D’altronde sapevamo tutti che senza la scoperta di una cura miracolosa era
soltanto questione di tempo prima che il padre di Micah morisse.
Scossi la testa per concentrarmi sul lavoro. Indizi, avevamo bisogno di
maledetti indizi. Se non ci fosse stato possibile salvare il padre di Micah, allora
forse avremmo potuto scoprire colui che aveva risvegliato gli zombie assassini
ed eliminarli tutti. La vendetta non sostituisce la cura, neppure per
approssimazione, ma talvolta è il meglio che si possa fare, ed è sempre
maledettamente meglio che non fare nulla, o almeno questo era quello che avrei
continuato a ripetere a me stessa fino a quando non avessi smesso di crederci.
«Dove sono le prime vittime, quelle che sono morte ancora più rapidamente
dell’uomo ferito alla spalla?» chiesi.
Rogers e Shelley si scambiarono l’occhiata tipica dei medici, soprattutto
chirurghi e medici legali. Non avevano nessuna voglia di rivedere i cadaveri, i
quali, evidentemente, avevano qualcosa che li turbava. Cosa diavolo era?
«Dobbiamo trasferirci nell’altro reparto», rispose Shelley.
«Quale altro reparto?»
«Dove sono conservati i cadaveri tanto decomposti che… Be’, per evitare che
il fetore contamini tutto, altrimenti non si potrebbe più lavorare.»
«Cioè il reparto in cui si conservano gli annegati e altri cadaveri in condizioni
analoghe?»
«Sì.» Shelley mi guardò incuriosita, come se non si fosse aspettata che lo
sapessi.
«Questi non hanno un fetore così insopportabile. Non dovrebbe essere
peggiore, con l’infezione?»
«Questa è una delle cose strane. Il fetore non sembra corrispondere al
processo di putrefazione. È una buona cosa per i pazienti e per le loro famiglie,
però è strana.»
Corrugando la fronte, fissai i cadaveri. «Tuttavia avete trasferito gli altri
cadaveri nell’altro reparto. Perché?»
«Nei primi cadaveri la decomposizione era più avanzata. Dal morso iniziale
si è diffusa in poche ore a una percentuale compresa tra il cinquanta e l’ottanta
per cento del corpo.»
«In poche ore?»
I medici annuirono.
«Quelle vittime sono morte nel giro di poche ore?»
«L’uomo sì. Abbiamo potuto prolungare la vita della donna per tre giorni.»
«E sono stati uccisi perché l’infezione ha raggiunto organi vitali?»
«No», risposero insieme Rogers e Shelley. Poi lei con un cenno lasciò
spiegare a lui.
«Nei primi casi sembra che l’infezione si sia diffusa più rapidamente al resto
dell’organismo fino a raggiungere un organo vitale. Sembra quasi che abbia
rallentato quando la vittima ha cominciato a morire, anche se non dovrebbe
essere così, e sottolineo ’sembra’ perché ne sappiamo troppo poco di questa
infezione per poter avere molte certezze.»
«Capisco… State indagando la malattia come noi indaghiamo il crimine…»
Rogers annuì. «In modo molto simile.»
Scossi la testa. «Non ne so abbastanza su questo genere di malattia per poter
azzardare ipotesi, ma… C’è uno schema nelle ferite inflitte alle altre vittime?»
«Uno schema? In che senso?»
«Be’, il morso al viso della donna era netto, quello alla spalla dell’uomo era
slabbrato, e sappiamo di avere a che fare con più zombie, o quello che sono.
Ebbene, mi chiedo se uno zombie aggredisca preferibilmente le braccia e le
spalle, e un altro il viso, o se ciascuno abbia semplicemente azzannato dove ha
potuto. Si riscontra una preferenza nel morso?»
«Due vittime erano ferite al volto», intervenne Burke, facendoci quasi
trasalire, come se ci fossimo dimenticati della presenza degli sbirri.
«Tre, incluso lo sceriffo, erano ferite alla spalla, al braccio o alla schiena»,
aggiunse Al.
«Avete accennato ad alcuni testimoni… Hanno descritto differenze nel modo
di aggredire da parte degli zombie?»
Dopo breve riflessione, Al guardò i colleghi, e tutti scossero la testa o
scrollarono le spalle.
«Le dichiarazioni dei testimoni sono da film dell’orrore», interloquì
Rickman. «Non nel senso che sono orribili, ma nel senso che sembrano
descrivere scene di film.»
«Cioè?» domandai.
Manifestando insicurezza per la prima volta, Rickman guardò i colleghi, e io
non seppi se considerarlo un po’ più umano e simpatico, o se preoccuparmi.
«I miei agenti sono stati i primi ad arrivare sulla scena di un’aggressione e
capisco cosa vuole dire il detective», intervenne Burke. «Gli zombie camminano
barcollando, a passi strascicati. Sono inarrestabili, però sono lenti. Tutti i
testimoni concordano invece nel dire che gli zombie assassini sono veloci
almeno come gli umani, forse perfino un po’ di più, e questa è roba da film, non
realtà.»
«L’unico zombie cannibale con cui ho avuto a che fare era più veloce di un
umano», riferii.
«Perché nutrirsi di carne umana li rende più veloci?» chiese Rickman.
Ho visto zombie che si sono nutriti di carne umana senza diventare più
veloci, ma non posso dirlo a un gruppo di poliziotti, perché sono stata io a
risvegliarli per servirmene come armi difensive, pensai. Lo avevo fatto
esclusivamente per salvare la vita a me stessa e ad altre persone innocenti, ma
sempre senza autorizzazione legale; anzi, senza neppure la garanzia di poterla
ottenere, nonostante le circostanze. Tecnicamente ero autorizzata a fare la stessa
cosa in futuro. In quanto marshal della squadra soprannaturale, potevo servirmi
delle mie facoltà metapsichiche nell’adempimento del dovere, e non esistevano
facoltà metapsichiche di cui era proibito l’uso nello svolgimento del lavoro, dato
che tale lavoro consisteva nell’eseguire condanne a morte. In realtà però non ero
sicura che la polizia potesse passarci sopra. Nella migliore delle ipotesi avrei
perso il distintivo, nella peggiore sarei stata accusata di essermi servita della
magia per uccidere e quindi la condanna a morte sarebbe stata inevitabile. Era
una zona grigia della legge, ma per verificarne i limiti avrei dovuto pagare un
prezzo troppo alto.
«Marshal Blake! Mi sente, marshal?»
Mi accorsi di non avere sentito Burke, che mi stava parlando da un po’. «Mi
scusi, può ripetere, per favore?» chiesi automaticamente. «Ero troppo assorta a
riflettere.»
«A riflettere su cosa?» chiese Rickman.
«Sui morti.» Non aggiunsi nulla, lasciando decidere a lui se mi riferissi ai
cadaveri nella sala, o agli zombie, o ai vamp, o alle altre vittime. Insomma, quali
morti?
«Perché nutrirsi di carne umana li rende più veloci?» ripeté Rickman.
«Non lo so, però so che il sangue fresco consente agli zombie di parlare e li
aiuta a essere più ’vivi’.»
«Sangue fresco? Cioè?»
«Qualcuno di voi ha mai assistito al risveglio di uno zombie dalla tomba?»
Tutti scossero la testa. Spiegare nel dettaglio il rituale avrebbe significato
fornire loro più informazioni del necessario, soprattutto se non avevano
conoscenze magiche o religiose. «Di solito si sacrifica una gallina sulla tomba.
Certi risveglianti si feriscono per usare il loro stesso sangue. In ogni caso, è
necessario sangue fresco per eseguire il rituale.»
«Cos’altro occorre?» chiese Al.
«Una lama, sale, e molti usano unguenti a base di erbe. Ogni risvegliante ha
la propria ricetta e prepara il proprio unguento. Per alcuni è essenziale per
risvegliare i morti e deriva da quelli usati dai loro maestri.»
«Non occorre altro per risvegliare i morti?» chiese Rickman.
«Occorre la facoltà metapsichica che lo permette, la quale è maledettamente
rara. Occorre un cadavere sepolto che sia morto da almeno tre giorni e bisogna
conoscerne il nome.»
«Perché dev’essere morto da tre giorni?»
«È il periodo minimo perché l’anima abbandoni il corpo.»
Tutti mi fissarono a occhi sgranati, come se li avessi sbalorditi o come se il
discorso fosse troppo complicato per le loro testoline. Non capita molto spesso
che sbirri veterani reagiscano così. Comunque non ne ero fiera. Come avrei
potuto spiegare?
«Credi nell’anima?» chiese Rickman.
«Sì», risposi.
«Credi in Dio?»
«Naturalmente.»
Al intervenne: «Allora come puoi…?»
Lo fissai, corrugando la fronte. «Concludi la frase.»
Benché sembrasse un poco a disagio, Al concluse: «Come puoi servirti della
magia nera per risvegliare i morti?»
«Oh, per l’amor del cielo! Voi ragazzi non leggete i bollettini federali sulle
differenze religiose tra pratiche legali e pratiche illegali?» domandai. Vidi Al
arrossire e mi rammaricai di averlo messo involontariamente in imbarazzo,
perché era un alleato di cui avrei probabilmente avuto bisogno. Merda!
«Scusa, siamo soltanto il dipartimento dello sceriffo di una piccola cittadina
insignificante. Non riceviamo tutti gli aggiornamenti federali.»
«Scusami tu, Al. Dopo l’incontro con gli zii di Micah, sono soltanto un po’
stanca di essere accusata di praticare la magia nera e di essere un’adoratrice del
diavolo.»
«Cristo, mi dispiace, Anita, davvero! Sono stati orribili con te. Avrei dovuto
ricordarlo!»
«Vi riferite a Bertie e a Jamie?» chiese Gonzales.
«Sì», confermò Al.
«Parliamone più tardi e ti racconterò qualche storia che li indurrà a lasciarti
in pace.»
Annuii. «Sarebbe grandioso.»
«Okay, mi scuso di nuovo», riprese Al. «Comunque, se risvegliare i morti
non è magia nera, allora cos’è?»
«Molti lo considerano vudù, ma io sono ancora di fede episcopale, quindi per
me non si tratta di una cerimonia religiosa, bensì di un rituale che mi aiuta a
concentrare una facoltà naturale di agire sui morti.»
«È così anche per altri rianimatori di zombie?» chiese Rickman.
Gli scoccai un’occhiata. «Se fossi una praticante di vudù accetterei di essere
chiamata ’sacerdotessa vudù’. Correntemente si usa ’risvegliante’, e lo accetto,
anche se il termine corretto è il latino animator, il cui significato è ’colui che
anima’, ’colui che infonde vita’, e si traduce letteralmente con ’animatore’. So
che il dipartimento di polizia di Boulder tiene seminari sui termini offensivi e sui
termini corretti o accettati che si riferiscono a particolari gruppi di persone, e gli
animatori, o risveglianti, sono il gruppo più d’élite che ci possa essere.»
«D’élite? In che senso?» domandò Rickman.
«Nel senso di capacità estremamente singolare. Probabilmente in tutto il
mondo non ci sono duecento persone capaci di risvegliare i morti, e quasi tutte
possono destare soltanto gli zombie più tipici, lenti cadaveri in decomposizione,
a stento in grado di muoversi come esseri umani e raramente in grado di parlare.
Quelli di noi che hanno la capacità di risvegliare morti capaci di rispondere alle
domande seguendo i suggerimenti sono forse una cinquantina, ma se si vuole
uno zombie che possa rispondere in modo coerente all’interrogatorio di un
avvocato oppure dire addio ai propri cari, be’, allora il numero si restringe a
venticinque, o al massimo trenta. Gli unici zombie cannibali di cui sono a
conoscenza sono stati destati dai più potenti di noi, cioè forse l’uno per cento.
Sono davvero rari quelli che sono capaci di risvegliare un gruppo di zombie
cannibali come in questo caso, e che io sappia nessuno di loro si trova entro i
confini di questo Stato.»
«Quindi dovrebbe essere qualcuno che lavora per una delle maggiori agenzie
di risveglianti?» chiese Rickman.
«Nessuno che lavori per un’agenzia farebbe mai una stronzata simile. Non
riesco neanche a immaginarlo.»
«Chi altri allora?» domandò Rickman.
«Ci sono praticanti vudù bravi o discreti. Uno di costoro che fosse davvero
potente e che avesse scelto di praticare la magia nera potrebbe farlo, ma l’unico
rimasto di cui io sia a conoscenza si trova a New Orleans, e Papa Jim è un
ottantenne, un brav’uomo sotto ogni aspetto. Ci sono anche sacerdoti e
sacerdotesse potenti, ma questo non significa che siano in grado di destare i
morti, contrariamente a quanto affermano le leggende sul vudù.»
«Credevo che tutte le sacerdotesse vudù abbastanza potenti fossero in grado
di creare zombie», intervenne Al.
Scossi la testa. «No, la capacità di destare i morti non si ottiene con la
preghiera. È un dono, come saper correre i millecinquecento metri in meno di tre
minuti e mezzo. Con la pratica si diventa più veloci, ma la base è genetica,
innata.»
«Quindi non è possibile ottenere la capacità di controllare i morti gettando un
incantesimo abbastanza malvagio?»
Ci pensai per un lungo minuto. «Sinceramente, non sono in grado di
rispondere. Non pratico la magia nera e non m’immischio nelle attività che
includono sacrifici o azioni malvagie per ottenere in cambio potere.»
«E perché c’è chi lo fa?» chiese Burke.
«Perché sono persone deboli, o spaventate, o prive di potere, che vogliono
diventare forti, o temibili, o sentirsi potenti.»
«Tu non hai bisogno di nulla di tutto questo?» chiese Rickman.
«Io no. E tu?»
Rickman parve sorpreso. «No, ma sono soltanto un detective. Non c’è nulla
che le potenze demoniche possano offrirmi.»
«Oh, detective!» Sorrisi. «Esiste un tipo di male specializzato
nell’individuare ciò che una persona desidera maggiormente e fingere di offrirlo
in cambio di un prezzo.»
«Perché dici ’fingere’?» domandò Al.
«Perché le potenze demoniache possono dare soltanto ciò che Dio ha creato,
o che qualcun altro ha creato. Non possono favorire la creazione di qualcosa di
nuovo, non ne hanno il potere. Sono parte del disegno del creatore. Non
posseggono il potere di creare. Imitano, mercanteggiano e possono conoscere i
segreti più tenebrosi o le peggiori paure. Insomma, possono sfruttare soltanto
quello che già esiste e non possono costringere nessuno a fare un accidente di
niente. Semplicemente conoscono ciò che un individuo ha fatto e tentano di
usarlo contro di lui.»
«Come sai tutte queste cose?» chiese Rickman.
«In primo luogo, sono stata cresciuta come una piccola, brava ragazza
cattolica. In secondo luogo, mi sono scontrata un paio di volte con le potenze
demoniache.»
«Hai combattuto i demoni?» chiese Al.
«Non nel modo che probabilmente intendi tu, ma… sì.»
«E hai vinto?» domandò Rickman, in tono scettico.
«Io sono qui e le vittime sono sopravvissute, perciò… Sì, ho vinto.»
«Ha mai praticato un esorcismo, marshal?» intervenne Burke.
«No. Una volta ho assistito un prete, e non voglio partecipare mai più a un
esorcismo tradizionale.»
«Perché no?»
Guardai Burke. «Se lo chiede, allora conviene che lei non lo sappia,
comandante. Non le piacerebbe.»
«Insomma, aiuti i preti a combattere i demoni?» riprese Rickman, riuscendo a
essere ancora più sprezzante.
«No, ho assistito un prete a praticare un esorcismo una sola volta. Adesso
non posso più farlo perché la Chiesa cattolica ha scomunicato tutti noi
risveglianti.»
«Con la scomunica dev’essere più difficile combattere i demoni», schernì
Rickman.
«Se la propria fede è pura, si è abbastanza al sicuro.»
«Pura?» Rickman ridacchiò. «E la tua fede sarebbe pura?»
«Non essere stronzo, Ricky», ammonì la dottoressa Shelley.
«Ha tanti amanti quanti sono i giocatori di una squadra di football! Come può
essere pura?»
Sollevai una mano per trattenere Gonzales e Burke, in procinto d’intervenire.
«Non preoccupatevi. Non è la prima volta che me lo sento dire. Comunque ho
una domanda per il detective…»
Burke sembrava scettico, Gonzales preoccupato, Al curioso, Shelley furente e
Rogers desideroso di tagliare la corda. Tuttavia mi lasciarono porre la domanda.
«Se io fossi un uomo che va a letto con tante donne, ti darebbe ugualmente
noia?»
Dopo averci pensato per un po’, Rickman scosse la testa. «No, credo di no.
Non vorrei che frequentassi mia sorella, ma… Non mi darebbe molto fastidio.»
«Perché no?»
«’Perché no’ cosa?»
«Perché non ti darebbe molto fastidio, se io fossi un uomo?»
Pensoso, Rickman corrugò la fronte, infine disse: «Sei una donna, non
dovresti andare a letto con un sacco di gente. Sei una bella donna. Non devi
comportarti come una puttana».
«Cristo, Ricky!» esclamò la dottoressa Shelley.
«Non sei sotto il mio comando, ma riferirò ai tuoi superiori», promise Burke.
Gonzales scosse la testa. «Non posso fare altro che scusarmi per lui, Anita.»
Risi, non divertita, bensì incredula. «Purtroppo non è la prima volta che sento
fare questi discorsi. Però è la prima volta che ho sentito formulare questo
ragionamento, secondo cui soltanto le donne brutte vanno a letto con molti
uomini. Questa è una novità.»
«Le belle donne non ne hanno bisogno», spiegò Rickman. «Gli uomini
corrono dietro alle belle donne.» Sembrava proprio che non capisse dove
sbagliava. Forse davvero non capiva?
«Quindi le donne brutte vanno a letto con tutti perché possono trovare uomini
soltanto facendo sesso?» chiesi.
«Ti prego, Ricky, falla finita», implorò Gonzales. «Stai mettendo in
imbarazzo te stesso e tutto il dipartimento di polizia di Denver.»
Evidentemente confuso, Rickman fissò i colleghi a uno a uno.
Allora il dottor Rogers ruppe il silenzio che aveva mantenuto fino a quel
momento: «Proprio non ci arriva, vero?»
«Cristo, Ricky!» ripeté la dottoressa Shelley. «Credevo che odiassi soltanto le
donne autorevoli e che per questo fossi offensivo. Invece sinceramente non
capisci di sbagliare!»
«In ogni caso, riferirò questo incidente ai tuoi superiori», assicurò Burke.
«Cosa?» replicò Rickman.
«Hai dato della puttana a marshal Blake», spiegò Al.
«Niente affatto!»
Sospirando, Gonzales si passò una mano sul viso. «Ecco perché eri così
sorpreso ogni volta che altre donne ti hanno accusato di averle insultate…»
Guardò me. «Ecco perché non ha subito conseguenze. Sembrava così
maledettamente innocente…»
«Perché era convinto di esserlo», convenni.
Gonzales annuì.
«È una sorta di dislessia sociale. Non ci arriva.»
Di nuovo, Gonzales annuì.
«In ogni modo, è un comportamento inaccettabile da parte di un poliziotto»,
dichiarò Burke.
Sarei stata pronta a scommettere che non si rendeva conto di avere parlato
più da militare che da sbirro. D’altronde, se si rimane sotto le armi abbastanza a
lungo è difficile sbarazzarsi completamente della mentalità e dei modi militari.
«Comportamento inappropriato», dissi.
«Molto inappropriato.» Burke annuì. «Mi scuso per tutte le scortesie che ha
ricevuto da quand’è arrivata qui, marshal. Credevo che i fanatici religiosi lassù
fossero il problema più grosso, ma a quanto pare non è così.» E scoccò
un’occhiata dura e gelida a Rickman.
Anche se forse non capiva perché il modo in cui mi aveva parlato lo avesse
cacciato nei guai, Rickman interpretò alla perfezione quell’occhiata e cercò di
reagire in modo analogo, senza riuscirci a causa della propria incertezza, dovuta
probabilmente alla consapevolezza che non potevano essere in torto tutti gli altri,
quindi doveva essere in torto lui. O forse, soltanto forse, stava ripensando a tutte
le accuse ricevute da altre donne e cominciava a chiedersi se non avessero avuto
ragione loro. Si può pur sempre sperare che perfino uomini come Rickman siano
in grado d’imparare.
Quando il dottor Rogers annunciò di dover tornare ai suoi pazienti in vita,
iniziammo tutti quanti a toglierci camici, mascherine e guanti.
«Micah potrà parlare con suo padre?» domandai.
«È in coma farmacologico. In condizioni normali potrei fargli riprendere
conoscenza in breve tempo, ma l’ultimo paziente deceduto sembra essere entrato
in stato di shock quand’è stato privato dei farmaci, quindi dovrò procedere
lentamente con lo sceriffo, nella speranza che il suo organismo si adatti e
reagisca meglio.»
«Una delle vittime è morta perché è uscita dal coma farmacologico?»
Il dottor Rogers annuì.
«Merda», imprecai sottovoce.
«Mi dispiace, marshal. Farò tutto il possibile per offrire al suo fidanzato una
possibilità di dire addio al padre.»
«Lo apprezzo molto, dottore.»
Piuttosto cupo, Rogers annuì. Non è mai buon segno quando i medici fanno
quella faccia.
Così mi dedicai all’unica attività in cui potevo essere di aiuto, cioè l’indagine
di polizia. Mi fu promesso che avrei potuto consultare le deposizioni di tutti i
testimoni e Al aggiunse qualcosa di ancora meglio: «Il vicesceriffo Gutterman
era con Rush quand’è stato aggredito. Potrai ascoltare il suo resoconto
direttamente da lui».
«Possiamo farlo subito?»
Al scosse la testa. «Gutter non è più qui. Ha risposto a una chiamata. Adesso
che io e lo sceriffo non possiamo più essere di turno, non abbiamo abbastanza
agenti perché pure Gutter possa rimanere in ospedale.»
«Potrei inviarti due delle mie auto, se ti occorrono, Al», offrì Burke.
«Lo apprezzo davvero molto, comandante, e forse la prenderò in parola.
Dipenderà soltanto da come… andranno le cose.»
Ero sicurissima che, se non fossi stata la fidanzata di Micah, avrebbe detto
qualcosa di diverso, perché una volta morto Rush Callahan non sarebbe più stato
costretto a piantonare l’ospedale, considerato che aveva pochi agenti a
disposizione. Avrei potuto dirgli che non avevo bisogno di nessuna balia, ma con
Micah ne avremmo avuto bisogno, quindi tanto valeva abituarsi subito.
Seguì un momento di silenzio colmo di disagio perché tutti i poliziotti
avevano capito alla perfezione il motivo per cui il vicesceriffo Al aveva esitato, e
tutti si domandavano se dire qualcosa o tacere.
«Non ti preoccupare, Al», assicurai. «So che è questione di tempo per il
padre di Micah, a meno che non accada un miracolo.»
«Credi nei miracoli, Anita?» chiese Al.
Annuii. «Sì, certo.»
Rickman sbuffò. «I miracoli sono roba da catechismo e da spettacolo
natalizio. Sono sbirro da troppo tempo per credere a queste stronzate!»
Prima di poter replicare fui preceduta dalla dottoressa Shelley: «Tieni per te il
tuo cinismo, Ricky. Io voglio che Rush abbia il suo miracolo e che possa vedere
suo figlio sposato a marshal Blake».
«Non succederà», obiettò Rickman.
«Ricky!» intimò Gonzales, con voce bassa e rabbiosa. «Non ucciderai Rush
prima che sia morto.»
Ancora una volta, Rickman rimase sconcertato senza sapere che cosa avesse
detto di sbagliato, tanto che mi domandai se soffrisse di qualche problema di
socializzazione, oltre che d’innata scortesia. «Non intendevo nulla del genere,
Ray, io… Anch’io voglio che Rush ce la faccia, ma i fatti sono fatti…»
«Vaffanculo i fatti!» ribatté Gonzales, torreggiando sul detective come se
fosse gigantesco, benché fossero entrambi della stessa altezza. Com’è possibile a
certe persone, Gonzales appariva imponente. Mi era stato detto che potevo
riuscirci anch’io, però non ero grande e grossa come lui, quindi non potevo
risultare altrettanto impressionante.
Allora Burke si avvicinò, mettendosi tra loro senza interporsi. «Detective
Rickman, trova qualcosa da fare e allontanati dal sergente Gonzales per qualche
tempo.»
«Mi dispiace, Ray, io…» Rickman scrollò le spalle, scosse la testa e
finalmente se ne andò, anche se sarei stata pronta a scommettere che non aveva
idea del motivo per cui il collega si era infuriato con lui.
«Non intendo rassegnarmi e rinunciare, con Rush», dichiarò Gonzales, in un
mormorio profondo e cupo. «Credo nei miracoli perché devo.»
Anche se ebbi l’impulso di posargli una mano su un braccio, mi trattenni. A
volte, quando si è abbastanza arrabbiati, il contatto fisico esaspera la collera e io
non volevo che accadesse, perciò lasciai ricadere il braccio lungo il fianco. «Io
credo nei miracoli», ribadii.
Allora Gonzales girò la testa come se gli dolessero i muscoli del collo e delle
spalle, così contratti da rivelare che aveva rischiato di spaccare la faccia a
Rickman, o che lo aveva desiderato molto. «Rush non ha altro», brontolò.
«Andiamo a berci un caffè, noi due», invitò Al, e con un breve cenno della
testa mi esortò a lasciare che si occupasse lui stesso dell’amico.
Dato che non sapevo cosa fare per Gonzales, lasciai fare ad Al; anche perché,
se c’era qualcuno cui dovevo offrire sostegno morale e conforto, quello era
Micah. Dopotutto si presumeva che fossi lì proprio per questo.
Quando arrivai in corridoio con Burke, che mi aveva accompagnata, Ares e
Bram si scostarono dalla parete, passando dal riposo all’attenti: non era da molto
tempo che avevano lasciato le forze armate. Erano tornati in ospedale appena in
tempo per scortarmi all’obitorio. Micah mi aveva suggerito di sceglierli perché i
poliziotti sarebbero stati più a loro agio con due ex militari che con Devil e
Nicky. Be’, aveva avuto ragione, e lo avevo abbracciato forte, perché ci aveva
pensato nonostante la tragedia che stava vivendo. Mi dispiaceva molto che fosse
stato costretto a provvedere anche a quello, invece che pensare soltanto a suo
padre.
Entrambi alti, snelli e muscolosi, l’uno bruno e l’altro biondo, Bram e Ares
lavoravano insieme così spesso che avevo iniziato a considerarli un’unità, come
capita con certe coppie che non si separano mai. Parlando del loro passato
militare avevano tranquillizzato gli sbirri, mentre nessuno dei parenti di Micah
poteva essere tranquillo sapendo che lui – figlio, fratello, cugino, nipote – aveva
bisogno di guardie del corpo perché era stato gravemente minacciato. Comunque
fu d’aiuto vedere il comandante Burke salutarli con un cenno della testa, un
sorriso e una stretta di mano. Poi Ares e Bram mi seguirono, com’era ormai
abitudine per tutti noi, e Burke lo notò.
«Capisco che Mike Callahan sia stato minacciato a causa del suo impegno
per la Coalizione, ma perché anche lei ha bisogno di guardie del corpo?» mi
chiese.
«I media mi hanno associata a Micah e alla Coalizione. Inoltre sono legata a
Jean-Claude, il Master della Città di St. Louis, e ci sono gruppi di fanatici che
odiano molto i vampiri. Ha visto quanto mi odiano la zia di Micah e suo marito.
Immagini gli sconosciuti…»
«Sono così pericolosi?»
«Quest’anno un fanatico ha cercato di far esplodere una bomba in uno dei
locali di Jean-Claude.» Non aggiunsi che ci aveva provato mentre io, Nathaniel,
Devil, Nicky e Cynric eravamo all’interno. Si era trattato di un umano, un servo
diurno di un gruppo di vampiri persuasi che Jean-Claude stesse costruendo un
impero del male per ridurre in schiavitù tutti i succhiasangue. Avevano sperato
che riuscire a uccidere contemporaneamente il leopardo che rispondeva al mio
richiamo, due delle tigri che rispondevano al mio richiamo e me potesse bastare
per uccidere Jean-Claude, dato che eravamo tutti metapsichicamente connessi e
di conseguenza condividevamo maledettamente molto più del semplice
benessere emotivo. In passato io stessa ero riuscita ad annientare alcuni vampiri
semplicemente uccidendo i loro servi umani. Mi chiedevo se potenzialmente si
potesse ottenere il medesimo effetto ammazzando l’animale definito moitié bête,
cioè «metà animale». Se si uccide un appartenente a una catena di potere
metapsichico, si ha l’opportunità di ammazzarli tutti.
«Quindi avete a che fare con gruppi di terroristi», commentò Burke.
Ci pensai, prima di annuire. «Qualcosa del genere.»
«Cos’è successo all’attentatore?»
«È morto.»
Allora Burke si girò a guardare le due guardie del corpo. «È un bene avere
uomini d’azione a disposizione quando se ne ha bisogno.»
«Oh, non eravamo noi», replicò Ares.
Corrugando la fronte, Burke esitò. «Gli altri bodyguard, che adesso sono di
sopra?»
«Loro erano gli ostaggi», spiegò Ares.
«Hanno partecipato al loro stesso salvataggio», aggiunse Bram, lanciando ad
Ares un’occhiata che gli cancellò il sorriso dalla faccia.
«Cos’ho detto di male? Perché mi guardi di nuovo in quel modo?»
«Cioè il modo che ti dice che stai parlando troppo?» ribatté Bram.
«Ehi!» protestò Ares.
Burke scoppiò a ridere. «Voi due lavorate insieme da parecchio tempo,
vero?»
«Infatti, signore», confermò Bram.
«Si nota molto?» chiese Ares.
«Sì», confermò Burke. «I bravi colleghi sono come coppie sposate.»
«Certi civili chiamano ’sposi di lavoro’ i colleghi», intervenni.
«Spesso in polizia si sta più col compagno di pattuglia che con la moglie»,
convenne Burke.
Mi limitai ad annuire.
«Cos’ho fatto stavolta per meritarmi quell’occhiataccia?» insistette Ares.
In silenzio, Bram lo fulminò con un’altra occhiataccia.
«Cos’ho fatto?»
«Hai lasciato intendere che le altre nostre guardie non sono così brave nel
lavoro come lo siete voi due», spiegai.
«Non è vero!» protestò Ares. A giudicare dalla sua espressione, era evidente
che non capiva affatto.
«Non ci arrivi, vero, Ares?» chiese Bram. «Devil e Nicky non sembrano
sbirri, né militari, perciò dire che sono stati ostaggi li sminuisce ancora di più
agli occhi del comandante Burke.»
Ares ci guardò, l’uno dopo l’altro, poi si rattristò e sospirò profondamente.
«Non è quello che intendevo…»
«Lo so!» Bram roteò gli occhi, proprio come un coniuge che deve avere
molta pazienza.
Girai la testa per nascondere un sorriso.
«Sono felice che marshal Blake e il giovane Callahan siano assistiti da
uomini in gamba», dichiarò Burke.
Bram lo guardò dritto negli occhi. «Nessuno di noi ha salvato marshal Blake
in quella occasione.»
Burke corrugò la fronte. «Non sono sicuro di capire…»
Bram sospirò. Guardò me, poi Ares, e infine di nuovo me. «Mi dispiace,
Anita. Avere guardie del corpo ti sminuisce come sbirro agli occhi degli altri
sbirri, come accadrebbe anche a un militare in circostanze analoghe.»
Annuii e scrollai le spalle. «Ma cosa ci si può fare?»
«Chiariamo una cosa, comandante…» Bram si volse a Burke. «Marshal
Blake ha contribuito a organizzare l’operazione per la liberazione degli ostaggi e
la neutralizzazione dell’attentatore, poi ha partecipato all’operazione con la
squadra SWAT. I nostri colleghi al piano di sopra hanno svolto un ruolo
essenziale. Inoltre anche Nathaniel Graison, l’altro civile con Micah Callahan,
ha contribuito al salvataggio. Se non fosse stato lui per primo a fare la sua parte,
l’operazione sarebbe fallita. E la minaccia è stata neutralizzata da Anita, non
dagli altri sbirri e neppure dalle guardie del corpo, bensì soltanto da lei.»
«Ti sei arrabbiato con me perché dici che parlo troppo», intervenne Ares. «E
tu cosa stai facendo, adesso?»
«È stata un’operazione di polizia», ricordò Bram. «È tutto documentato.»
Scrutai il suo stoico viso nero senza riuscire a decifrare l’espressione. La iena
non era uno degli animali che rispondevano al mio richiamo, quindi non potevo
intuire metapsichicamente il suo pensiero. «Ares ha ragione. Questo è il discorso
più lungo che io ti abbia mai sentito pronunciare.»
«Il comandante Burke è il poliziotto più alto in grado che abbiamo
conosciuto. Voglio semplicemente che sappia che tu non sei una vittima
bisognosa di essere salvata, anzi, sei tu quella che accorre a salvare gli altri.»
Sorrisi e al tempo stesso corrugai la fronte, perplessa. «Allora perché
aggiungere Nathaniel?»
«Perché è il tipo di uomo che uomini come noi tendono a sottovalutare, e non
lo merita affatto. Se avessi detto al comandante Burke che siete tipi duri soltanto
tu, Devil e Nicky, avrei emarginato Nathaniel.»
«Eppure non ha difeso ai miei occhi l’onore di Mike Callahan», osservò
Burke.
Allora Bram girò la testa, e la sua energia cambiò. Non fu come se la sua
bestia facesse capolino, però fu quasi rabbia, e Ares reagì avvicinandoglisi e
raddrizzando le spalle. «Micah non ha bisogno che qualcuno difenda il suo
onore. Lui stesso è il suo onore.»
«Senza offesa», precisò Burke.
Bram annuì. «Obbediamo agli ordini di Anita perché combatte in prima linea.
Obbediamo agli ordini di Micah perché è il nostro capo.»
«E il vostro Master della Città, Jean-Claude?»
«Rispettiamo Jean-Claude», rispose Bram.
«Però non è vostro capo come lo sono Callahan e Blake?»
Allora fu Ares a difendere Bram. «La prego di scusare il mio compagno. Non
è abituato a parlare tanto. Credo che il momento delle condivisioni sia concluso.
Vero, Anita?»
«Sì.»
In effetti, era motivo di discordia tra alcuni vampiri che le nostre guardie del
corpo obbedissero più volentieri ai miei ordini che a quelli di Jean-Claude, e che
quasi tutti i licantropi obbedissero più volentieri a Micah. Un tempo l’Arlecchino
era stato la guardia scelta della Madre di Tutte le Tenebre, capo del Consiglio dei
Vampiri, e così, adesso che lei era stata sconfitta, apparteneva a Jean-Claude, il
nuovo capo del Consiglio dei Vampiri. Non tutti i sicari dell’Arlecchino
approvavano il cambiamento. D’altronde, una volta morta la Madre di Tutte le
Tenebre, valeva in sostanza la vecchia regola «il re è morto, lunga vita al re»,
anche se, date le circostanze, si sarebbe forse dovuto dire «la regina è morta,
lunga vita al re».
Scrutandoci a uno a uno, Burke vide soltanto i nostri volti impassibili, ed era
uno sbirro troppo esperto per non capire quand’è il momento di lasciar perdere.
Comunque non mi era piaciuto che avesse chiesto di Jean-Claude. Quanto
sapevano i poliziotti della politica dei vampiri? Osservando Burke, ebbi
l’impressione che ne sapessero più di quanto supponevo, perciò mi domandai se
anche lui avesse lo stesso misterioso amico federale che aveva lo sceriffo
Callahan, e quanto ne sapesse delle avventure ignote al pubblico che tutti noi
avevamo vissuto, di cui la polizia era rimasta all’oscuro perché avevamo agito
alla maniera della vecchia scuola. Sì, intendo dire al di fuori della legge.
Così mi trovai costretta a lasciare Burke prima che ponesse domande ancora
più imbarazzanti, e purtroppo avevo un ottimo pretesto. «Ora devo tornare da
Micah e da Nathaniel. Vorrei davvero aver potuto conoscere lo sceriffo Callahan
in altre circostanze…»
Cupo in viso, Burke annuì. «Callahan è un bravo sceriffo e un brav’uomo.
Spero maledettamente che lei abbia modo di constatarlo personalmente,
marshal.»
«Anch’io, comandante.»
Ci scambiammo tutti quanti una stretta di mano, poi noi tre ci recammo
all’ascensore. Era arrivato il momento di scoprire se la madre e la zia di Micah
fossero state arrestate per aggressione. In questa trasferta il divertimento non
finiva mai!
17

uando tornammo di sopra, alcune decisioni erano state prese. Nessuna

Q delle due donne era stata arrestata. Zia Bertie e zio Jamie erano stati
scortati fuori. Zia Jody e zia Bobbie erano rimaste in ospedale col
branco di poliziotti che lo presidiava in attesa che Rush Callahan
potesse tornare a casa, o non potesse. I medici avevano iniziato la
procedura per farlo uscire dal coma farmacologico, tuttavia avanzavano con
estrema lentezza e prudenza per evitare che lo shock di un risveglio troppo
rapido gli fosse fatale, come aveva spiegato il dottor Rogers. Restava un’attesa
di circa due ore, che fummo invitati a trascorrere a casa di Bea e di Ty, vicino
all’ospedale e all’università dove entrambi insegnavano.
«Non voglio andarmene», protestò Micah.
Nathaniel gli si avvicinò e mormorò: «Tutti noi abbiamo bisogno di nutrirci».
«Non ho fame», replicò Micah.
«La tua bestia sì, come la mia, e Anita deve soddisfare diverse brame.»
Non sapevo come si sentisse Micah, però io mi sentivo stupida per non avere
ricordato che non eravamo semplicemente umani. L’assenza di nutrimento ha
sugli animali mannari conseguenze ben peggiori di un calo di zuccheri. Noi, e
tutti quelli che ci accompagnavano, esercitavamo un ferreo autocontrollo sulle
nostre «brame», ma anche tale autocontrollo aveva i suoi limiti.
«Stai subendo uno stress enorme, perciò ti è più difficile esercitare un
qualunque tipo di controllo», proseguì Nathaniel.
«Detesto lasciarlo subito dopo essere tornato», dichiarò Micah.
Lo presi per mano. «I medici ci avviseranno non appena inizierà a riprendere
conoscenza, e Nathaniel ha ragione. Non vuoi che la tua famiglia abbia un
incontro inatteso con la tua bestia, vero?»
«So controllarmi molto bene», insistette Micah, sulla difensiva, una cosa rara
da parte sua.
Nathaniel lo circondò con un solo braccio in modo che io potessi continuare a
tenerlo per mano. «Il tuo autocontrollo è prodigioso, mio Nimir-Raj, superiore a
quello di chiunque altro io abbia mai incontrato. Però nessuno è perfetto,
neppure tu. Non permettere al senso di colpa di ottenebrarti la mente, non
adesso. Proprio ora che ti sei riunito ai tuoi familiari, non spaventarli con una
metamorfosi a sorpresa.»
In quel momento si avvicinò Bea. «Beth è così ansiosa di rivederti!»
Non so se fu il buon senso di Nathaniel o il desiderio di rivedere la sorella,
comunque Micah cedette e lasciammo l’ospedale.
Dato che una parte del nostro bagaglio era ancora a bordo del suo SUV, ci
accompagnò la cugina Juliet, che dopo averci aiutati a scaricare sarebbe tornata
dai figli e dal marito. «Lascerò a tutti voi un po’ di tempo per rimanere soli»,
annunciò.
Seduto accanto a lei, sul sedile anteriore, Nicky si girò a guardare Micah, al
centro del sedile posteriore, tra Nathaniel e me. «Noi possiamo rimanere in
cucina o in soggiorno, se volete parlare in privato.»
«Grazie, Nicky», disse Micah. «Non so cosa voglio. Cinque anni fa mia
madre ha venduto la casa, e io non riesco ancora ad accettarlo», riferì, molto
triste. «Non ho mai visto l’abitazione dove stiamo andando.»
Gli strinsi la mano. «Mi sembrerebbe strano se mio padre avesse venduto la
casa dove sono cresciuta.»
Nathaniel appoggiò la propria testa a quella di Micah. «Non ricordo molto
della casa in cui ho vissuto fino all’età di sette anni. In seguito non ho mai più
avuto una casa… finché non ho incontrato voi.»
«Cosa ti è successo quando avevi sette anni?» chiese Juliet.
Nathaniel sollevò la testa. «Mia madre è morta di cancro e il mio patrigno ha
ammazzato di botte mio fratello», rispose, conciso e concreto. Nudi fatti senza
emozione, come io avevo raccontato quasi sempre la morte di mia madre,
avvenuta quando avevo otto anni.
«Mi dispiace moltissimo, Nathaniel. Non lo avrei chiesto se avessi
immaginato…» Juliet si girò a guardarlo con l’espressione tipica delle persone
molto socievoli quando una semplice domanda riceve una risposta tragica.
«Non ti preoccupare. Non potevi saperlo.»
«Una vettura», avvertì Nicky.
«Sta imboccando la strada davanti a noi», annunciai, col battito cardiaco
accelerato.
«Cosa?» Juliet si girò appena in tempo per evitare un’automobile che si era
appena immessa nel traffico e riprese subito il controllo del SUV. «Scusate!»
«Non girarti più a guardare noi», ammonii. «Guida e basta, okay?»
«È soltanto che…» Juliet stringeva spasmodicamente il volante. «È una cosa
così triste…»
«Ci sono un sacco di cose tristi, qui», ribattei.
«A che ti riferisci?» Questa volta Juliet guardò nello specchietto retrovisore.
Sospirai. Avevo cominciato io, cazzo! «Ho perso mia madre quando avevo
otto anni.»
Aspettai il contributo di Nicky, che invece rimase silenzioso, con lo sguardo
fisso innanzi, a scrutare ostentatamente la strada buia. Il suo passato non era
meno tragico di quello di Nathaniel, però spettava a lui decidere se raccontarlo o
no. Non volevo certo costringerlo.
«Mi dispiace. Non riesco a immaginare come mi sarei sentita se avessi perso
mia madre quand’ero così piccola», disse Juliet.
Intanto Micah mi passò un braccio intorno alle spalle e si posò una mano di
Nathaniel sulla coscia, in modo che tutti e due ci stringessimo a lui.
Stavamo attraversando un quartiere di vecchi fabbricati modesti, alcuni simili
a case di campagna con grandi giardini, altri con giardini più piccoli perché
erano addossati ai versanti rocciosi delle montagne, invisibili nell’oscurità.
«Mi sembra così strano essere diretto a casa di mia madre in un quartiere che
non ho mai visto», confessò Micah.
«Lo credo», disse Juliet, svoltando in una strada senza uscita tra grandi case.
«È colpa mia se non sono rimasto in contatto», aggiunse Micah.
Io e Nathaniel ci stringemmo ancora di più a lui.
«Hai fatto quello che dovevi», commentai.
«Li hai protetti tutti da quel pazzo», aggiunse Nicky.
Micah sorrise. «Grazie.»
Forse, nel parcheggiare in un vialetto, Juliet si chiese a quale pazzo Nicky si
riferisse, ma la porta della casa si aprì e la madre di Micah si stagliò nella luce
della porta come in un vecchio film d’amore. Percepii la tensione di Micah, che
non era negativa.
Nel momento in cui Nathaniel si accingeva ad aprire la portiera, Nicky
intervenne: «Aspetta. Lascia che gli altri prendano posizione».
«Nessuno vi sta tendendo un’imboscata a casa di zia Bea», dichiarò Juliet.
«Probabilmente no», concesse Nicky. «Tuttavia essere prudenti non guasta.»
«Le guardie del corpo devono essere paranoiche», spiegai. «Le paghiamo
proprio per questo.»
«Non ho creduto davvero che ne aveste bisogno fino a quando non ho visto il
comportamento di Bertie e di Jamie. È stato spaventoso da parte loro.»
Nicky si sganciò la cintura di sicurezza. «Nessuno smonta se non ha la
portiera protetta.»
«Anch’io?» chiese Juliet.
«No, tu non sei nostra responsabilità.»
«Ne sono felice.» Juliet allungò una mano verso la portiera.
Nicky le toccò una spalla. «Aspetta.»
«Hai detto che posso smontare…»
«Ho detto che non devi aspettare di essere protetta. Però non voglio che tu
apra la portiera adesso.»
«Perché?»
«Illumineresti l’abitacolo, trasformando ognuno di noi in un bersaglio.»
Allora Juliet curvò le spalle e si ebbe quasi l’impressione di sentirla guardare
il mondo da una prospettiva diversa, più spaventosa e più pericolosa. Poi, nel
SUV buio, si girò verso Micah. «Devi sempre vivere così?»
«È una precauzione.»
«Per questo non volevi tornare a casa? Temevi di mettere in pericolo tutti
noi?»
«In parte, sì. Adesso però ho abbastanza aiuto e protezione per indurre i
cattivi a esitare. Vedendo Nicky e gli altri, sapranno che non siamo indifesi e che
se nuocessero alla mia famiglia vi sarebbero ripercussioni», spiegò Micah, calmo
e ragionevole. Mi piaceva quel suo modo di fare, saperlo tanto spietatamente
pratico quanto lo ero io.
Juliet cominciò: «Intendi dire…»
Nello stesso istante, Devil fu alla mia portiera e Ares a quella di Nathaniel.
Nel percepire la presenza di Bram in coda al SUV ricordai che talvolta la
vicinanza fisica di Micah mi consentiva di percepire i leopardi mannari del
nostro gruppo. Non appena le guardie aprirono le portiere, smontammo e
c’incamminammo verso la porta aperta, mentre Bea scendeva i gradini per
venirci incontro. Dopo avere assistito alla rissa in ospedale non mi sorprese
scoprire che era impaziente. È raro che le persone irascibili e aggressive siano
pazienti! Io dovrei saperlo.
Entrammo nella casa circondati dalle guardie del corpo. Con Ares al fianco,
Micah andò incontro alla madre che lo chiamava con un gesto. Io e Nathaniel ci
tenemmo per mano, affiancati da Devil e da Nicky. Scrutando l’oscurità esterna,
Bram ci seguiva. Probabilmente non era il bentornato che Micah avrebbe voluto,
però non sarebbe stato tanto male se fossimo riusciti a compiere un miracolo per
suo padre.
18

vevamo appena visitato la stanza che fungeva da soggiorno e sala da

A pranzo, con la cucina isolata da una mezza parete e sgabelli da bar sui
due lati, quando dalla porta spalancata di un lungo corridoio arrivò una
giovane donna dai ricci capelli castano-ramati che le cadevano sulle
spalle. Era alta circa un metro e sessanta, snella e delicata, tranne per il
seno, analogo nelle dimensioni agli attributi più virili di Micah. Sembrava che la
natura avesse voluto compensare in quel modo la delicatezza che li
caratterizzava entrambi. Se non altro, Micah poteva nascondere più facilmente
sotto i vestiti le parti più voluminose. Invece Beth, perché quella di certo era
Beth, aveva molta più difficoltà a nascondere le proprie. Attraversò la sala già in
lacrime, si lasciò cadere addosso a Micah, che le era andato subito incontro, gli
gettò le braccia al collo, e iniziò a singhiozzare, mentre lui la stringeva a sé,
accarezzandole la schiena per cercare di confortarla.
«Sapevo che saresti arrivato! Anche se Jerry diceva di no, io lo sapevo!»
«Bethy!» chiamò una voce esile. «Tutto bene?»
Sciogliendosi dall’abbraccio, Beth si stropicciò gli occhi per nascondere le
lacrime e si girò verso il corridoio.
Nello stesso istante entrò nella sala un bambino col viso dalla carnagione
perfetta incorniciato di ricci capelli dorati e con gli occhi grandi, dello stesso
taglio di quelli di sua madre e di Jerry.
«Sto benissimo, Fen. Sono soltanto contenta che il mio fratellone sia tornato
a casa!» rispose Beth, un po’ ridendo, ancora tergendosi le lacrime dagli occhi.
«Ma tu non piangi mai quando sei contenta, Bethy.» Il bambino la chiamava
così, con una specie di ibrido tra «Beth» e «Betty», come se fosse incapace di
pronunciare correttamente i nomi. Era in pigiama, come una versione moderna
di Christopher Robin, ma senza Winnie Pooh, perché l’animale di peluche che si
tirava dietro non era un orso, qualunque cosa fosse.
Allora Beth lo prese in braccio, se lo caricò su un fianco e lo portò da noi.
«Fen, lui è Mike, mio fratello maggiore. Ricordi che ti ho parlato di lui?»
Il ragazzino guardò solennemente Micah. «Sei anche mio fratello maggiore?»
Prima che Micah potesse rispondere provenne dal corridoio lo strillo acuto di
una bambina, che subito dopo arrivò di corsa, attirando gli sguardi di tutti noi.
Era in camicia da notte e sembrava una principessa disneyana, con una treccia di
capelli oro cupo, lunga e ondeggiante. Strillava, inseguita da un ragazzino più
grande dai corti capelli castani, che gridava: «Ti ammazzo!»
«Hawthorne!» rimproverò Bea.
Hawthorne? Ah, sì, certo! Il secondo marito di Bea era professore di
letteratura. Povero ragazzino!
Mentre la bambina si gettava nelle braccia della madre, Ty intervenne:
«Hawthorne, non è così che ci si parla in questa casa!»
«Ha rovesciato tutta la Kool-Aid sul mio zaino!»
«Non è vero!» protestò la bambina, aggrappata al collo di Bea, con la faccia
affondata nei suoi capelli.
«Bugiarda! Ti ho vista! Se non avessi dovuto salvare il compito, ti avrei presa
prima che ti nascondessi dietro la mamma!» Hawthorne era arrossito di quel
tipico furore che si riserva ai fratelli e alle sorelle. Sembrava avere una leggera
abbronzatura permanente e aveva un taglio di capelli cortissimo, da ragazzo
degli anni ’50. Dimostrava undici o dodici anni. I suoi luminosi occhi azzurri
scintillavano di collera. Era davvero incazzato. Mi chiesi se fosse irascibile di
natura o se dipendesse da quello che stava succedendo in ospedale. Poi ricordai
che suo padre non era Rush, bensì Ty, che era lì in perfetta salute.
«Va tutto bene, Frost.» Bea accarezzava la lunga treccia dorata della
bambina. «Davvero hai rovesciato la Kool-Aid sullo zaino di Hawthorne? Devi
dire solo la verità. Nessuno si arrabbierà.»
Quando Frost sollevò la testa per girarsi a guardare il fratello, noi tutti
vedemmo soltanto la sua nuca. «Hawthorne è arrabbiato, adesso…»
Mi sembrava che avesse ragione.
«Sai che non è permesso mangiare e bere in camera da letto», osservò Bea.
«Mi dispiace, mammina…» Frost chinò la testa. «L’ho dimenticato…»
«Scusati con Hawthorne.»
Sottovoce, Frost si scusò.
«Tutto qui?» chiese Hawthorne. «Rovescia uno schifo di merda sul mio zaino
di scuola, sui miei compiti, e se la cava chiedendo scusa?»
«Non esprimerti in modo volgare», rimbrottò automaticamente Ty. «Frost ti
aiuterà a pulire lo zaino, poi penseremo a qualcos’altro di più adatto per
ricordarle che non le è permesso portare cibo in camera da letto.»
Hawthorne roteò gli occhi, poi ci scrutò come se fossimo appena sbucati dal
nulla. Anche se la rabbia acceca, sette estranei in soggiorno non dovrebbero
passare inosservati. Dopo un alternarsi di emozioni il suo viso si fissò in
un’arrogante aria di sfida, ma il suo sguardo era prudente, quasi nervoso. Ci
squadrò da capo a piedi valutando rapidamente le capacità fisiche di ciascuno,
perciò decisi che doveva avere almeno dodici anni e che doveva praticare
qualche sport. In breve giunse alla conclusione di essere in presenza di parecchi
altri maschi capaci di prenderlo a calci in culo.
«Quale sport pratichi?» domandai.
Sconcertato, Hawthorne distolse l’attenzione dalle guardie del corpo che
torreggiavano alle nostre spalle. «Football e ju-jitsu.»
Annuii. «Immaginavo che praticassi qualche arte marziale.»
«Perché?» domandò, socchiudendo gli occhi azzurri.
«Per come hai osservato e valutato gli uomini.»
Allora Hawthorne mi scrutò, e non mi vide come una donna o come
un’adulta, bensì come una persona. Era alto quasi esattamente come me. «Tu
quale arte marziale pratichi?»
«Ho cominciato col judo e adesso pratico arti marziali miste.»
«Davvero pratichi MMA?» chiese Hawthorne, senza riuscire a dissimulare il
tono sospettoso.
Annuii. «Sì.»
Lui guardò di nuovo le guardie del corpo. «E loro?»
«Stessa cosa.»
«Lei si addestra con noi», aggiunse Ares.
Di nuovo, Hawthorne parve insospettito. «Davvero?»
«Davvero!» rispondemmo in coro io, Nicky e Devil.
Il ragazzino guardò Micah. «Tu sei Mike, vero?»
«Sì.»
Dopo averlo scrutato in viso, Hawthorne annuì. «Somigli a Beth.»
«Lo so.»
«Anche tu ti addestri con loro?»
«No.»
«Perché?»
«Perché il mio lavoro non dipende dalle mie capacità di combattente.»
Hawthorne si rivolse a me. «Qual è il tuo lavoro?»
Scostai la giacca a rivelare il distintivo che portavo alla cintura.
«Marshal federale… Sei qui per aiutare a catturare chi ha ferito Rush?»
«Sono qui con Micah, con Mike. Sono la sua fidanzata. Però… Sì, dato che
sono qui, vorrei aiutare.»
Hawthorne guardò Nathaniel. «Tu chi sei?»
«Hawthorne!» rimproverò Bea, come se fosse stato scortese.
«Che c’è?»
«Sono Nathaniel», rispose lui, porgendo la mano al ragazzino.
Evidentemente sorpreso, Hawthorne la prese e scambiò con lui una stretta di
mano. «Ti addestri con loro?»
«No.»
«Perché?»
«Per la stessa ragione di Micah.»
Hawthorne lo squadrò da capo a piedi come per cercare di capire cosa o chi
fosse per tutti gli altri. «Non sembrano tutti marshal…»
«Hawthorne, perché non accompagni Frost e Fen a pulire il tuo zaino?»
intervenne Ty.
«Fen ha quattro anni.» Hawthorne fissò cupamente il padre. «Come può
aiutarci?»
«Sì che posso!» Fen rizzò la schiena, sempre in braccio a Beth.
Con un sospiro esagerato, Hawthorne roteò di nuovo gli occhi. «Benissimo,
porto con me i piccoli! Però so che volete soltanto che smetta di fare domande e
discorsi da adulti.» Si mostrò preoccupato, e lo era davvero. «È successo
qualcos’altro a Rush?» D’improvviso il quasi adolescente lasciò trapelare il
fanciullino.
«No, non è successo nient’altro», rispose Ty.
«Lo giuri?»
«Lo giuro.»
Dopo avere annuito, Hawthorne ci lanciò un’altra occhiata preoccupata e
indagatrice, infine porse le mani al fratellino e alla sorellina. «Andiamo, teppisti.
Io dirigo e voi pulite.»
Allora Bea posò Frost, che si girò a guardarci con le mani sui fianchi in segno
di sfida. Aveva occhi piccoli, quasi a mandorla, di un castano molto scuro. A
parte il colore dei capelli, sembrava un clone di Beth. Mi sembrò di guardare
quella che avrebbe potuto essere la figlia di Micah. «Non sono una teppista!»
protestò, picchiando un piede sul pavimento.
«Sì, invece», insistette Hawthorne. «Lo siete, tutti e due.»
«No, non lo siamo!»
«Vai con tuo fratello a pulire lo zaino», ordinò Ty.
Nell’osservare i suoi luminosi occhi azzurri e quelli grigio-azzurri di Bea, mi
chiesi come fosse possibile che avessero avuto figli con gli occhi castani. Gli
occhi castano-dorati di Fen non mi sembravano tanto incongrui, ma Frost aveva
gli occhi di Micah e di Bea in un viso che non aveva nulla di quello della madre
e neppure di quello del suo secondo marito. Cosa diavolo stava succedendo?
«Li accompagno per assicurarmi che non si ammazzino a vicenda», annunciò
Bea, lanciando a Micah un’occhiata che mi parve affettuosa e compassionevole.
«Sono felice che tu sia tornato a casa», aggiunse, prima di prendere in braccio
Fen e seguire Hawthorne e Frost.
Con le braccia intorno al collo della madre, Fen girò la testa a ripetere la
domanda: «Sei anche mio fratello maggiore?»
Nel rispondere al bambino, Micah guardò la madre. «Sì, credo di sì.»
Con aria colpevole, Bea Morgan prese la mano del marito.
19

«M amma… Ty… Che sta succedendo?»


Con sguardo implorante Bea fissava Micah, aggrappata alla mano di Ty,
che si ergeva diritto in tutta la sua statura, con una espressione quasi di sfida sul
volto. «È semplicemente successo…»
«Frost non è figlia di Ty, vero?» chiese Micah.
«È mia figlia, anche se dal punto di vista biologico probabilmente non lo è»,
dichiarò Ty.
«Che significa ’dal punto di vista biologico’?»
«Ti prego, Micah, non arrabbiarti… Credevo che l’avresti presa meglio di
Jerry, perché pure tu stai con due persone», dichiarò Bea, in tono di scusa, non
del tutto sicura di se stessa. Subito dopo sentì suonare il campanello e andò ad
aprire, come se fosse felice di avere un pretesto per allontanarsi da Micah.
Senza che nessuno glielo ordinasse, Bram la seguì come un’ombra
gigantesca, perché non si lascia mai una porta totalmente incustodita, soprattutto
se sta per essere aperta.
Intanto Micah cercava di assimilare la recente rivelazione. Suo padre non era
stato un marito abbandonato col cuore spezzato, aveva continuato ad andare a
letto con l’ex moglie, e probabilmente sotto c’era molto di più.
Anche se lo affiancai, insieme con Nathaniel, che gli posò una mano su un
braccio senza che lui sembrasse accorgersene, non sapevo bene cosa dire.
«Che succede?» chiese Jerry, entrando. «Di solito non chiudete la porta a
chiave prima di andare a dormire.»
«Non sono stata io a chiudere», replicò Bea.
«Siamo stati noi», intervenne Bram.
Jerry lo guardò. «Perché?»
«Se la porta è chiusa a chiave, abbiamo qualche secondo in più per reagire.»
«Reagire a cosa?» domandò Jerry.
«Qualsiasi cosa.»
Jerry scosse la testa e guardò Micah, che a sua volta lo guardava. «A
giudicare dalla tua espressione, direi che hai conosciuto Frost…»
«Sì», confermò Micah, con voce quasi strozzata per la tensione.
«Sorpresa!» commentò Jerry, allargando le braccia di scatto, come a dire: Ta-
da!
«Avresti potuto avvisarmi…»
«Oh, no, nemmeno per sogno!» Jerry scosse la testa. «Non spetta a me
fornire spiegazioni. Non ci proverei neanche.»
«Sii gentile, Jerry», implorò Bea.
«Perché? L’ho capito soltanto quando Frost aveva tre anni. Non posso
credere di essere stato tanto stupido!»
«Jerry…»
«No, mamma! Spiegalo a Mike e basta. Io sto ancora cercando di risolvere i
miei problemi rispetto a questa faccenda.» Jerry si avvicinò al fratello. «Ricorda
che tutti e due abbiamo sofferto per papà. Eravamo così arrabbiati con lei, che lo
aveva lasciato per il qui presente professore, e loro hanno continuato a
frequentarsi per tutto il tempo, ancora una coppia.»
«Non è vero», protestò Bea. «All’inizio era tutto come credevate. Amavo
Rush, però non potevo più vivere con lui. Ho incontrato Ty mentre eravamo
separati. Anche Rush avrebbe potuto trovare una nuova compagna, eppure ha
scelto di non farlo.»
«Aspettava che tu riacquistassi la ragione e che tornassi a casa, o che
permettessi a lui di tornare», ribatté Micah, e d’improvviso una sfumatura del
suo vecchio risentimento riemerse limpidamente. Certi problemi rimangono
sempre irrisolti, come se fossero conservati magicamente in contenitori a tenuta
stagna!
«Hai trent’anni, Micah David Callahan. Sei troppo vecchio per credere di
poter aggiustare una cosa che si è rotta quando ne avevi dodici.»
Micah parve un po’ imbarazzato. «Quindi hai tradito Ty con papà?»
Quando Bea lo guardò, Ty le si avvicinò e le prese di nuovo la mano. «Non
ha mai smesso di amare Rush. Quando tu te ne sei andato per sempre, tuo padre
ha iniziato a trascorrere molto più tempo qui con noi e coi ragazzi.»
«Ricordo la festa per il quarto compleanno di Twain… Ero così fiero che tutti
voi foste abbastanza cresciuti da offrire ai più piccoli una simile riunione di
famiglia…»
«Sì, ma quello che noi due allora non sapevamo era che papà dormiva qui»,
disse Jerry.
«Già da allora?» chiese Micah.
Jerry annuì.
«Vuoi raccontarlo tu?» gli chiese Bea.
«No.» Jerry si lasciò cadere sopra la poltrona più vicina.
«Allora smettila d’interrompere», redarguì lei.
In silenzio, Jerry allargò le braccia come per dire: Sicuro! Continua pure! Io
ne sono fuori!
«Non credevo di doverlo raccontare a un pubblico tanto numeroso.» Bea si
rivolse di nuovo a tutti noi.
«Possiamo aspettare in cucina, se preferisce», suggerì Bram.
«Grazie», disse Bea.
Mentre Bram e Ares sedevano sugli sgabelli da bar in cucina, Nicky e Devil
guardarono me; quando io annuii, andarono a raggiungerli. Non ebbi il coraggio
di dire a Bea che comunque col loro superudito di licantropi non avrebbero perso
una sola sillaba di quello che lei avrebbe detto. Talvolta in casi simili l’illusione
è l’unico conforto.
Sedemmo tutti sui divani, che formavano un quadrato quasi perfetto. Ty e
Bea ne occuparono uno, noi tre quello di fronte, Jerry il divanetto in mezzo.
Quando si accorse di essere fissato da tutti noi, Jerry spiegò: «Voglio vedere
le facce di tutti».
«Jerry, questo non è uno spettacolo per il tuo divertimento», osservò Ty.
«Voglio semplicemente vedere uno dei miei fratelli scoprire tutto quanto,
proprio come ho fatto io…»
«Beth lo ha capito prima di te?» chiese Micah.
«Dieci anni fa lei aveva soltanto dodici anni e viveva con mamma. Dopo
averlo scoperto, quando le ho chiesto perché non me lo avesse detto, sai cos’ha
risposto?»
«No.»
«Le piaceva trovare papà qui, la mattina, e avere tutti che prendevano il caffè
insieme. Si sentiva a casa. Noi due abbiamo perso tutto quello che credevamo
sicuro, mentre la nostra sorellina ha potuto dare un secondo morso alla mela.»
«Non avercela con Beth e con papà per essere stati felici», replicò Micah.
«Invece sì, perché io ero ancora dalla parte di lui, dopo il divorzio, e loro
invece sono andati a letto insieme per tutto il tempo», ribatté Jerry. «Ha lasciato
che io provassi tanta compassione per lui, ed era tutta una menzogna.»
«Non era una menzogna», protestò Ty.
«Be’, non era neppure la verità.»
Ty scosse il capo, senza replicare.
«Mike, come tu hai Anita e Nathaniel, io ho Rush e Ty», dichiarò Bea.
«Invece io ho soltanto una moglie, non due», intervenne di nuovo Jerry.
«Con le tue capacità di socializzazione puoi averne a stento una!» Beth tornò
dal corridoio e guardò la madre. «Ho lasciato Twain a leggere una storia ai
ragazzi.»
«Bene», approvò Bea.
Quando Beth sedette sul divanetto accanto a Jerry, fui certa che pure lei
voleva guardarci tutti in faccia, anche se non lo disse.
«Sì, io ho Anita e Nathaniel, però è stato così fin dal primo momento in cui li
ho incontrati.» Micah posò le mani sulle nostre cosce e noi posammo le nostre
mani sulle sue. «Siamo sempre stati tre, talvolta anche di più.»
Forse pronunciò questa verità per sconvolgere i familiari, o forse perché due
dei nostri amanti erano presenti e potevano sentire, o forse perché nessuno in
seguito potesse accusarlo di omissioni. Non ne ero sicura e non aveva nessuna
importanza, perché fu ignorato da tutti. Forse pensavano che la spiegazione della
loro situazione fosse sufficiente per il momento. Io aspettavo l’occasione di
chiarire tutte le sfaccettature della nostra vita amorosa. Non mi vergognavo di
quello che facevamo, però c’erano parecchie cose da spiegare e conveniva
affrontarle una per volta. Dovevamo ancora cenare prima di tornare in ospedale.
Insomma, avremmo risparmiato la nostra storia per un’altra serata.
«Amavo Rush, però non potevamo vivere insieme. Mi sono innamorata di Ty,
e nonostante questo sentivo la mancanza di Rush.» Con entrambe le mani Bea
strinse la grande mano del marito e gli sorrise con sguardo amorevole. A me
sembrò piuttosto una rassicurazione, ma forse stavo analizzando troppo. Poi Bea
guardò me e disse: «So che capisci di cosa sto parlando».
Avrei voluto ribattere: «Non coinvolgermi in questa situazione». Tuttavia
Micah mi strinse la mano, esortandomi a non dire la prima cosa che mi fosse
passata per la mente. Dovevo essere più gentile del solito coi possibili futuri
genitori acquisiti. «Non è stato esattamente così con Micah e Nathaniel», dissi.
Mi sembrava semmai che fosse com’era stato un tempo con Jean-Claude e
Richard, ma tenni la bocca chiusa perché quel rapporto non aveva funzionato
bene.
«Come ho già detto, io e Nathaniel siamo andati a vivere con Anita nello
stesso periodo», spiegò Micah. «Lei aveva conosciuto Nathaniel prima di
conoscere me, però non erano una coppia.»
Sorridendo, Nathaniel si appoggiò a lui. «Credo che, se Micah non fosse
arrivato, io e Anita non saremmo mai stati una coppia.»
«Perché no?» chiese Bea.
Nathaniel mi guardò, e io mi limitai a inarcare le sopracciglia, dato che non
avevo idea di cosa stesse per dire. Il suo sorriso si allargò. «In tre stiamo bene.
Non sono affatto sicuro che io o Micah staremmo bene con Anita in un normale
rapporto di coppia.»
«È proprio così», convenne Bea, sollevata. «Io e Rush da soli non eravamo
abbastanza l’una per l’altro, ma con Ty…» Scrollò le spalle e guardò il marito.
«Be’, lo eravamo.»
«E a te stava bene?» chiese Jerry a Ty.
«Io e Bea stavamo cominciando ad avere problemi. Ci amavamo, eppure
mancava qualcosa.» Ty guardò Bea, fulgido in viso: il ritratto del marito ancora
innamorato perso della moglie. «Rush ci ha aiutati a trovare il pezzo mancante.»
Stringendomi la mano, Micah attirò il mio sguardo: appariva sgomento, ma
non potevo chiedergli cosa non andasse. Comunque lui mi risparmiò il disturbo e
disse: «Ho capito». Si girò a guardare Nathaniel. Anche se non vidi la sua
espressione, vidi il volto di Nathaniel illuminarsi e sorrisi a entrambi, i miei due
uomini.
«Oh, per l’amor d’Iddio!» sbottò Jerry.
Tutti lo guardammo.
«Cosa ti rode?» domandai.
«Voialtri vi guardate tutti nello stesso stramaledetto modo! È il modo in cui
papà è… Cazzo!»
«Jerry, non dire parolacce!» rimproverò Bea.
«I ragazzi non sono mica qui a sentirmi.» Jerry incrociò le braccia sul petto,
afflosciandosi sul divanetto.
«Be’, credo che tutto ciò sia molto bello!» Beth sorrideva a tutti.
«Avrei voluto che almeno una delle persone di cui ho un briciolo di stima
fosse incazzata come me!»
«Hai tantissimi parenti incazzati, per usare la tua terminologia.» D’un tratto
Bea parve angosciata e invecchiata.
Allora Jerry raddrizzò la schiena, allungò una mano verso di lei, e subito la
lasciò cadere. «Non intendevo questo, mamma… Non sarei mai così stupido
come lo sono tutti loro…»
«Ormai avete conosciuto tutti i parenti di Rush e della mia famiglia che si
recano in ospedale», disse Bea. «Arriveranno anche i suoi genitori, ma soltanto
se Ty non ci sarà. Tollerano me, non lui.»
«Perché il nonno e la nonna sono così turbati?» chiese Micah.
«Fino al ferimento di Rush hanno potuto tollerare in silenzio la nostra
singolare… organizzazione familiare, poi però non è stato più possibile
nascondere il turbamento che provavano entrambi.»
«Hanno conosciuto Frost?»
Bea annuì.
«Allora non hanno voluto sapere…»
«Probabilmente. Comunque dovevamo tornare qui a prendere le cose di
Rush, perché… lui vive qui. Ha ancora la sua casa, ma sono ormai quasi sei anni
che non ci vive più veramente.» Bea notò l’inquietudine che per un momento
non riuscii a nascondere. «Che c’è, Anita? Parla, ti prego, esprimi ciò che
pensi.»
Quando lo guardai, Micah annuì e scrollò le spalle, probabilmente rendendosi
conto che ormai ci eravamo già addentrati troppo in un territorio in cui non
aveva avuto intenzione di condurmi.
«Be’, se non sanno che il figlio vive qui da sei anni, benché loro stessi abitino
in città… Abitano in città, vero?»
«Sì», confermò Bea.
«Allora ignorano da molto tempo una situazione molto evidente. Credo che
neppure conoscere il suo indirizzo li avrebbe indotti ad affrontare la realtà.»
Ty, Bea e Beth si scambiarono un’occhiata.
Jerry raddrizzò la schiena. «Che cos’è successo?»
«Tuo nonno mi ha visto piangere mentre tenevo la mano di Rush», rispose
Ty.
Jerry corrugò la fronte. «E allora?»
«Non gli hai semplicemente tenuto la mano, vero?» disse Micah, senza
condanna, senza rabbia. Anzi, nelle ultime ore non era mai stato così calmo
come in quel momento.
Evitando il suo sguardo, Ty annuì.
«Non preoccuparti», aggiunse Micah. «Comprendiamo.»
«Io no», dichiarò Jerry.
«Lasciaci soli, Jerry», invitò Beth.
«No!» ribatté Jerry.
«Ty…» disse Micah.
In silenzio, il professore lo guardò.
Allora Micah sollevò la mano di Nathaniel nella propria e ne baciò il dorso.
Con gli occhi colmi di lacrime luccicanti, Ty annuì. «Come l’hai capito?»
«Può essere stato soltanto questo, a meno che tu non lo abbia baciato e che il
nonno ti abbia visto.»
«Hanno ripudiato il figlio?» domandai.
«No.» Bea scosse la testa. «Sembrano convinti che sia tutta colpa della
maligna influenza di Ty, se…» S’interruppe per emettere un sospiro tremante.
«Quando Rush si riprenderà, credo che gli lasceranno la possibilità di lasciare la
casa, oppure cacceranno Ty.»
«Lui non lo farà», dichiarò Beth.
«No, non lo farà», confermò Bea.
Micah si volse a Nathaniel e a me. «I miei nonni non sono fanatici religiosi
come zia Bertie, però sono molto seri su certe cose. Alla fine mi hanno accettato
come licantropo perché non avevo potuto evitare di diventarlo. Non si era
trattato di una mia scelta. Se invece avessi scelto di diventare un mostro, allora
mi avrebbero ripudiato.»
«Rush è figlio loro e adesso crede di essere fuori della grazia di Dio», spiegò
Bea. «Anche se ama vivere qui con tutti noi, continua a credere in molte delle
cose che gli sono state insegnate e soffre davvero per il solo fatto di amarci
tutti.»
«Lo ha reso più felice di quanto lo abbia mai visto, mamma.» Beth si alzò per
andare a sedere accanto alla madre, che così si trovò confortata tra lei e il marito.
«Questo è abbastanza vero», convenne Jerry. «Non avevo mai visto papà
tanto felice.»
«Non ha conservato la sua casa e il suo domicilio là soltanto a beneficio dei
suoi genitori», dichiarò Ty. «È lo sceriffo, perciò deve vivere nella città che
rappresenta.»
Annuii. «Se vivesse a Boulder non potrebbe essere sceriffo.»
«No, non potrebbe», convenne Ty.
«Ama il suo lavoro», dichiarò Jerry.
«Se la preoccupazione più grande fosse quella della sua necessità di cambiare
luogo di lavoro, allora andrebbe tutto bene», osservai.
«Hai ragione, Anita», disse Bea. «Hai perfettamente ragione.»
«Gli altri ragazzi lo sanno?» chiese Micah.
«Abbiamo dovuto spiegare a Twain perché condividiamo la stessa camera da
letto», riferì Ty.
«Lo ha chiesto?» domandò Micah.
Marito e moglie annuirono.
«Tu non lo hai ancora rivisto», disse Beth. «È un ragazzo molto serio e
chiede tutto quello che vuole sapere. È una specie di disastro sociale ambulante.»
«Era già così a quattro anni, quando l’ho visto l’ultima volta.»
«Hawthorne sa che condividiamo la stessa camera, però non ha chiesto
niente», aggiunse Ty. «Accetta la situazione senza fare domande di cui preferisce
non conoscere le risposte.»
«Eravate già insieme quando Hawthorne e Twain erano piccoli?» domandò
Micah.
«Abbiamo cominciato quando Twain aveva quattro anni», rispose Ty.
«Dunque quando io ero ancora qui…»
«Sì», confermò Ty.
Micah guardò Jerry. «Nessuno di noi due lo aveva capito.»
«Ma almeno tu sei stato via per dieci anni, durante i quali è successo tutto
sotto il mio naso.»
«Il divorzio ti ha tenuto molto occupato, fratellone», osservò Beth.
Allora Micah mi strinse la mano, forse perché Beth aveva chiamato
«fratellone» anche Jerry. Mi domandai se fosse un vezzeggiativo che un tempo
aveva usato soltanto per lui. «Mi dispiace che il tuo matrimonio con Kelsey non
abbia funzionato», disse.
«Lei non ti è mai piaciuta», ricordò Jerry.
«Non è vero. Però quand’eravate al college…»
«Cosa?»
«Niente. Sono cose vecchie e tu hai divorziato. Non ha più importanza.»
Guardandosi le mani intrecciate, Jerry emise un lungo sospiro. «Ha cercato di
venire a letto con te?»
Di nuovo Micah mi strinse la mano, senza tradire in nessun altro modo la
propria tensione. «È stato molto tempo fa.»
Jerry scosse la testa. «Perché non me l’avevi mai detto, Mike?»
«Eri innamorato di lei e non credevo che lei intendesse davvero andare con
altri. Era soltanto un po’ ubriaca. Sono cose che succedono.»
«No, anche se fosse un po’ ubriaca la tua fidanzata non si offrirebbe a tuo
fratello.»
«Sono d’accordo con Jerry», dichiarai.
«Me l’hai chiesto come se io non fossi l’unico con cui ha cercato di andare a
letto», disse Micah al fratello. «E invece credo che non avesse intenzione di
offrirsi ad altri.»
«Perché?»
Micah esitò. «Aveva un particolare… interesse… ehm…»
«Una perversione, vuoi dire.» Jerry notò la perplessità che senza dubbio io e
Nathaniel lasciammo trapelare, perché spiegò: «Sanno tutti che Kelsey è
un’amante dei licantropi, una scopapelosi, o come diavolo si dice».
«Si è offerta a te dopo che sei diventato leopardo mannaro?» chiesi.
Micah annuì. «Credevo che fosse semplicemente una fantasia momentanea.»
«No, niente affatto», replicò Jerry. «Adesso vive col branco dei lupi mannari
locali e ha tutte le attenzioni pelose che desidera.»
«Mi dispiace, fratellino.»
Sempre fissandosi le mani, Jerry annuì. «Non posso competere con… be’, sai
meglio di me com’è… Kelsey ha detto che nessun umano può sostenere il
paragone.»
«Mi sorprende che non ti abbia chiesto di unirti al gruppo», commentai.
«Lo ha chiesto. Però ormai sapevo che, se pure fossi diventato un licantropo,
le mie attenzioni non le sarebbero mai bastate. Dentro di lei qualcosa si è rotto e
non può essere aggiustato.»
«Mi dispiace», intervenne Nathaniel.
Nel guardarlo, Jerry si soffermò sulle sue mani strette alle nostre. «Sono
rimasto davvero turbato quando ho scoperto che papà era una ’coppia’ con
mamma e Ty. Non mi piaceva l’idea che condividesse il letto con un altro
uomo.»
«Jerry!» rimproverò Bea, come se avesse detto qualcosa di scortese.
«Te ne vergogni?» chiese lui.
«No.»
Jerry guardò Ty.
Anche il professore rispose: «No».
«Invece io sono rimasto turbato quando ho capito che andavate a letto
insieme, tutti e tre.» Jerry si rivolse di nuovo a noi. «Da quanto tempo voi tre…
state insieme?»
«Da quasi tre anni», rispose Micah.
«Mamma, papà e Ty stanno insieme da sei. Io sono l’unico ad avere tentato i
rapporti convenzionali e in due anni ho capito che non avrebbe funzionato. Forse
avrei bisogno di trovare una bella coppia con cui sistemarmi…»
«Janet è una brava persona», dichiarò Beth.
«Credevo che pure Kelsey lo fosse.»
«Kelsey ha sempre guardato gli altri uomini, in qualunque occasione.»
«Perché non me l’hai mai detto?»
«Perché ero soltanto una ragazzina e non capivo quello che vedevo. Adesso
invece te lo direi.»
«Scusa… È soltanto che mi sento stupido per Kelsey e per non avere capito
quello che mi stava davanti agli occhi con papà, mamma e Ty.»
«Non sapevo che avessi dubbi sul matrimonio con Janet», intervenne Bea.
«Non ne ho, però penso a quanto sono stato cieco, ottuso, e mi chiedo che
cosa mi stia sfuggendo adesso.»
«Mi piacerebbe molto conoscere Janet», dichiarò Micah.
Il fratello annuì. «Se cerca di venire a letto con te, fammelo sapere, okay?»
«Non succederà questa volta. Comunque ti prometto che, se dovesse
succedere, te lo dirò.»
Jerry si rivolse a Nathaniel. «Vale anche per te, bel ragazzo.»
Sul momento Nathaniel sorrise, poi parve a disagio, infine disse: «Lo riferirò
a Micah e ad Anita».
«E noi lo diremo a te», aggiunsi.
«E non credo che mi piaccia sentirti chiamare Nathaniel ’bel ragazzo’»,
dichiarò Micah. «È un modo di dire che sembra sminuirlo, mentre lui è troppo
importante per me.»
«Scusa.» Jerry allargò le braccia.
Allora cercai di scherzare: «I miei uomini fanno questo effetto alla gente».
Ma Jerry non era dell’umore di scherzare. «Ho chiesto semplicemente di
essere informato se mai Janet ci provasse con uno di voi.»
Mi accorsi che fissava qualcosa alle mie spalle, così mi girai a guardare le
guardie del corpo sedute in cucina e cercai di vederle dal punto di vista di Jerry.
Erano tutti licantropi, tutti più alti e più muscolosi di lui, nonché, ovviamente,
più pericolosi. Lui era bello come Bram o Ares, ma non come Nicky, che
comunque non era molto più bello di lui, e soprattutto non come Devil, che era
bello quasi quanto Nathaniel e Micah. La vera differenza era che la bellezza di
Devil era più mascolina, mentre i miei fidanzati avevano una bellezza androgina,
quasi femminile.
«Non abbatterti, Jerry. A volte io stessa mi sento insicura con loro», dissi.
Jerry corrugò la fronte. «Perché?»
«Ho violato una regola fondamentale.»
«Quale regola?»
«Mai frequentare chi è più bello di te.»
Sempre accigliato, Jerry continuò a fissarmi per un lungo momento prima di
rivolgersi a Micah. «Mi sta prendendo in giro?»
Micah scosse la testa.
«Se credi che mio fratello e perfino Occhi Lilla siano più belli di te, Anita,
allora non stai guardando nello stesso specchio che vedo io.»
Toccò a me corrugare la fronte.
«Dillo e basta, Jerry», intervenne Micah. «È l’unico modo perché Anita
capisca.»
«Che io capisca cosa?» domandai.
«Sei una delle donne più belle che io abbia mai visto, e l’espressione della
tua faccia dice che non lo sai.»
«Non lo credo affatto.»
«Perché?»
Scrollai le spalle. «I miei traumi infantili non sono un problema urgente.
Possiamo parlarne un’altra volta. Nessuno ha ancora accennato al cibo?»
«Stai cambiando argomento», insistette Jerry. «Non ho mai conosciuto una
donna che voglia cambiare argomento quando si sente dire che è bella.»
«Anita è diversa da tutte le donne che hai conosciuto», sentenziò Micah,
prima di baciarmi una guancia.
Allora io mi girai per essere baciata sulle labbra e per poterlo ricambiare.
«Quando potrò aspettarmi qualche nipote?» chiese Bea, raggiante.
«Non posso avere figli.» Micah non spiegò di essersi sottoposto a vasectomia
perché Chimera si era divertito a ingravidare le licantrope e a guardarle abortire
durante la metamorfosi. Senza un aiuto competente, molto difficile da ottenere,
nessuna licantropa può portare avanti una gravidanza per più di due mesi: la
metamorfosi è troppo violenta per non procurare l’aborto. Micah non aveva
voluto essere causa di tale sofferenza e non si era mai aspettato di poter essere
liberato da Chimera, prima d’incontrare me.
«Mi dispiace moltissimo…» Bea sorrise gentilmente al figlio, poi sorrise a
Nathaniel. «Qualunque figlio avuto da Nathaniel e da Anita sarebbe tanto tuo
quanto loro, proprio come tutti i nostri figli sono di Ty e di Rush. Desidero avere
nipoti, a prescindere dal padre biologico.»
Sbalordito, Nathaniel guardò Micah.
«Sono d’accordo con mia madre», disse lui.
Mentre Nathaniel sorrideva, felice, io dichiarai: «Non intendo rimanere
incinta».
«Prima la carriera», commentò Bea. «Capisco.»
«No, non si tratta della mia carriera. È che non sono un tipo materno.»
«Non vuoi avere figli?»
«In realtà, no.»
«Se la ragazza fossi io, aspetteremmo già un bambino», dichiarò Nathaniel.
«Sono più domestico e amo i bambini.»
Gli scoccai un’occhiataccia.
Sorridendo, Micah scosse la testa. «Ceniamo, prima di dover tornare in
ospedale e prima che Anita si senta troppo a disagio.»
«Va bene. Tutti hanno portato tanto cibo che potremmo nutrire un piccolo
esercito.» Bea si alzò bruscamente come se avesse un piano.
Avrebbe lasciato perdere l’argomento, oppure si sarebbe accertata che avessi
intorno il maggior numero possibile di marmocchi deliziosi, come se i feromoni
dei loro corpicini potessero avviare il mio orologio biologico. Be’, avevo già
visto Frost e Fen… deliziosi, certo, ma non poi così tanto.
20

re ore più tardi eravamo di nuovo in ospedale, e Rush Callahan aveva

T ripreso conoscenza. Quando sfilò dalle coperte la mano illesa, Micah la


prese e si strinse il suo braccio al petto, come per accostare il padre al
proprio cuore.
«Mike…» mormorò Rush, con voce roca per gli effetti residui dei
farmaci da cui il suo organismo era stato ripulito affinché potesse parlare col
figlio.
«Papà, mi dispiace tanto…»
«Per cosa?»
«Sai che voglio bene a te, alla mamma, a Beth, a Jerry… e a tutti i ragazzi.»
Mentre una strana espressione passava sul suo viso, Rush chiuse per un
momento gli occhi, diversi da quelli di Micah soltanto perché questi non li aveva
più castani. «Lo sai?»
Micah annuì. «Quando ho visto Frost, mamma e Ty hanno dovuto dirmelo.»
«Non è stato intenzionale che somigliasse tanto al mio ramo della famiglia»,
disse Rush, con un bel sorriso, colmo d’amore e di felicità nonostante le
circostanze.
Allora Micah strinse ancora più forte a sé il braccio del padre, annuendo un
po’ troppo rapidamente, come se non si fidasse della propria voce.
In disparte, in un angolo della stanza, io e Nathaniel ci tenevamo per mano.
Avremmo atteso fuori, se Micah non avesse voluto la nostra presenza. Sua madre
era stata incredibilmente coraggiosa e aspettava in corridoio.
«Non sei turbato sapendo che tua madre e Ty e…» Deglutendo a fatica, Rush
chiuse gli occhi, poi emise un sospiro tremante. «Sapendo tutto…»
«No, non sono affatto turbato.»
«Jerry è ancora arrabbiato.»
«Jerry è sempre arrabbiato.»
Sorridendo, Rush annuì brevemente, poi uno spasmo gli contrasse il viso. Per
poter avere quella conversazione era stato privato quasi completamente dei
sedativi.
«Lasciami chiamare l’infermiera. Stai soffrendo», disse Micah.
Ancora una volta, Rush deglutì a fatica ed emise un sospiro tremante. «Non
voglio perdere conoscenza di nuovo per i sedativi.»
«Va bene.» La voce era un po’ roca, ma Micah non stava piangendo. Voleva
essere forte per il padre.
Allora Nathaniel mi strinse forte la mano, e io, nel guardarlo, vidi che aveva
gli occhi colmi di lacrime trattenute. Quanto a me, non intendevo piangere, non
lì, non in quel momento, non alla presenza di Rush Callahan. Non volevo
piangere durante quello che forse sarebbe stato il nostro unico incontro. Non
volevo piangere, maledizione!
«Chi sono?» chiese Rush, guardandoci.
«Sono Anita e Nathaniel.»
Allora noi ci avvicinammo al letto, sempre tenendoci per mano.
«Marshal Anita Blake», disse Rush.
«Sì», confermai.
Con gli occhi castani così simili a quelli di Micah, lo sceriffo guardò
Nathaniel, con alcune piccole rughe tra gli occhi, come se stesse pensando
troppo intensamente o come se stesse pensando a un modo per dire qualcosa.
Allora Micah lasciò il padre con una mano per porgerla a noi, e io la presi,
attirando Nathaniel. «Noi tre viviamo insieme da quasi tre anni.» Micah sorrise.
«Credevo che tu e mamma non avreste approvato il mio rapporto con
Nathaniel.»
Rush rise, e la risata si spense in uno spasmo di dolore.
Lasciata la mia mano, Micah l’accostò al pulsante. «Papà, lasciami chiamare
l’infermiera…»
«No!» Rush gli strinse la mano così forte da far risaltare i muscoli contratti
dell’avambraccio, poi lo fissò con una determinazione feroce, quasi furente.
«No!»
«Va bene…» Micah riprese il braccio del padre, in modo da avere con lui il
maggior contatto fisico possibile.
«Come hai saputo che ero qui?»
«Mamma ha chiamato Anita.»
Allora Rush mi scrutò con quello sguardo da sbirro che nascondeva i
sentimenti, ma pesava, misurava e vedeva più di quanto la maggior parte della
gente potesse capire. «Si è appellata a lei da donna a donna…»
«Sì», confermai.
Lo sceriffo sorrise. «Ho letto di lei, marshal. Qual è stata la conseguenza
dell’appello al suo lato femminile?»
«Ho fatto quello che voleva.» Sorrisi anch’io. «Ho portato qui Micah.»
«Grazie…»
«È un piacere. Vorrei soltanto non averla conosciuta in queste circostanze,
signore.»
«Anch’io. E non occorre che mi chiami ’signore’. Sono Rush.»
«Allora non occorre che mi chiami ’marshal’, Rush.»
«Anita, allora.»
«Sì.»
«E Nathaniel…»
«Sì, signore», disse Nathaniel.
«Chiamami Rush.»
«Rush…» Nathaniel mi strinse più forte la mano.
«Papà, mamma ha detto che sai perché sono stato così orribile con tutti voi,
dieci anni fa.»
Rush rivolse di nuovo gli occhi al figlio. «Ho visto alcune foto di quello che
Chimera ha fatto alle altre famiglie. Allora ho capito perché lo avevi fatto.»
Anche se c’era una cosa che desideravo immensamente chiedere, quello non
era il mio momento strappalacrime.
Eppure forse mi tradii in qualche modo, perché Rush esortò: «Chiedi pure,
Anita…»
«Quali fotografie?»
«Prima di arrivare a St. Louis col suo gruppo, Chimera aveva massacrato e
torturato per tutto il Paese. I federali avevano un fascicolo sui suoi crimini,
anche se per lungo tempo non hanno saputo chi, o cosa, li avesse commessi.»
Mentre un tremito lo scuoteva in tutto il corpo, Rush strinse forte la mano di
Micah, non per affetto, bensì come avrebbe fatto una donna in travaglio. Quasi
senza fiato per il dolore, aggiunse: «Niente infermiera… Non ancora…»
«Non voglio rubare il tuo tempo parlando di vecchie indagini di polizia»,
dichiarai.
«Vuoi sapere perché un agente federale mi ha mostrato il fascicolo…» Anche
se la sua voce riprese forza, il suo volto continuò a manifestare la sofferenza.
«Sì», ammisi.
«Sì», confermò Micah.
Rush ci fissò entrambi con sguardo da sbirro, poi si concentrò su di me, e la
forza della sua personalità era talmente intensa che pregai di avere l’opportunità
di vederlo in perfetta salute. «Il nome Van Cleef significa qualcosa per te,
Anita?»
Mi sforzai di mantenere la mia faccia da sbirro. Van Cleef era il nome di uno
di quelli da cui Edward, il marshal Ted Forrester, era stato addestrato alle
operazioni clandestine, dopo il suo regolare addestramento militare come agente
delle forze speciali. A lui erano associati altri due marshal, appartenenti come me
alla squadra soprannaturale, cioè Bernardo Cavallo-Pezzato e Otto Jeffries.
Sapevo che Edward era stato per anni sicario di professione e che Ted Forrester
era il suo equivalente di Clark Kent. Quando non addestrava i nostri militari alle
operazioni più pericolose e quando non operava all’estero come mercenario,
Otto Jeffries, il cui vero nome era Olaf, aveva un passatempo, era un serial killer
e, dato che appunto vi si dedicava soltanto quando non era impegnato in
operazioni segrete, il governo sembrava deciso a mantenerlo impegnato.
Sinceramente non sapevo quanto il governo fosse informato su Edward o su
Olaf, ma Van Cleef aveva addestrato loro e Bernardo, nonché altri mercenari che
noi quattro avevamo affrontato quattro anni prima. Ebbene, gli altri erano morti
e noi no.
Il mio silenzio fu troppo lungo, perché Rush concluse: «Vedo che significa
qualcosa».
«E cosa significa per te?» domandai.
Intanto Micah ci fissava entrambi, perché non capiva. Avevo affrontato gli
uomini di Van Cleef prima di conoscerlo, se non contiamo Edward, Olaf e
Bernardo. Edward era uno dei miei migliori amici, Bernardo era un collega e un
amico, Olaf aveva una cotta per me perché considerava preliminari quello che
avevamo fatto insieme, cioè cacciare vampiri, macellare e ammazzare. L’ultima
volta che avevamo lavorato insieme, Olaf era stato aggredito da un leone
mannaro e in seguito era risultato positivo alla licantropia, poi era scomparso, e
con lui era scomparsa una donna, un medico, così avevamo presunto che
l’avesse rapita per indulgere con lei al proprio passatempo. Mi aveva scritto un
biglietto per dirmi, in sostanza, che sarebbe rimasto alla larga da me fino a
quando non avesse avuto la certezza che non lo avrei ridotto a un felino
addomesticato come avevo fatto con Nicky, da lui conosciuto sul lavoro prima
che io lo soggiogassi.
«Ho lavorato con la gente di Van Cleef», rispose Rush.
Mi sforzai di rimanere impassibile nel cercare di assimilare quella scoperta,
cioè che il padre di Micah conosceva gente così pericolosa come quella che
conoscevo io. «Perché ti hanno mostrato il fascicolo? E perché avevano un
fascicolo su Chimera e sui suoi seguaci?»
«I militari sono interessati da lungo tempo a cercare un modo per controllare
i licantropi. Erano interessati a Chimera.»
«I militari sapevano cosa stava facendo?» intervenne Micah.
«Sulle prime, no. Stavano organizzando una caccia a lui e ai suoi seguaci nel
periodo in cui siete arrivati a St. Louis. Intendevano cercare di catturarlo perché
il suo DNA, raccolto sulle vittime, aveva rivelato che era panmannaro. Volevano
studiarlo.»
«Studiarlo…» ripeté Micah, incredulo, cominciando a infuriarsi.
«L’ho saputo soltanto quest’anno.» Rush chiuse gli occhi ed emise un sospiro
tremante, mentre il sudore cominciava a imperlargli la fronte. «Sono interessati a
te, Anita.»
«Perché anch’io, in un certo senso, sono panmannara.»
Lo sceriffo riaprì gli occhi. «Sono ancora più interessati a te, perché non ti
trasformi.»
«Ci stai avvertendo?» chiese Micah.
«Potrebbero cercare di ricattarti per costringerti ad aiutarli, Anita.»
«Ricattarmi?» domandai. «E con cosa?»
«Sappiamo che Chimera e i suoi seguaci sono arrivati a St. Louis, e poi non
se ne sono mai andati.»
Mentre Rush mi scrutava con calma e decisione, mi sforzai di apparire
impenetrabile, guardinga come non mi accadeva più da parecchio tempo. «Cosa
vuoi che dica?»
«Individui come Chimera e gruppi come il suo non spariscono così, Anita.
Comunque, sono stati il tuo modo di agire e il tuo sangue a suscitare l’interesse
dei militari.»
«Non capisco a cosa ti riferisca.»
«Lo hai ucciso in uno scontro corpo a corpo, perché lui ti ha ferita, con gli
artigli o con le zanne. Le forme di licantropia hanno DNA simili a quelli dei
virus, quindi loro sanno che hai in te una parte del suo DNA e che sei dotata di
una maggiore capacità di controllo. Sei il sogno dei militari: più veloce, più
forte, più dura da uccidere, più brava a uccidere, senza mai perdere la forma
umana.»
«Tutto questo non è dovuto all’essere panmannara.»
«Allora a cosa è dovuto?»
«Crediamo che sia dovuto ai marchi vampirici. I vampiri non possono
diventare licantropi con forme moderne di licantropia, e io ero già connessa a
Jean-Claude quando sono stata contaminata.»
Rush deglutì e chiuse gli occhi, poi per un po’ si limitò a respirare. «Quindi
non sarebbe così se prima della contaminazione tu non avessi avuto i marchi
vampirici…»
«Può darsi che sia così soltanto per me. Non sono sicura che sia replicabile.»
«Se io non dovessi più riprendere conoscenza, riferisci a Gonzales quello che
hai detto a me. Lui saprà trasmetterlo a chi di dovere. Non ammettere nulla.
Digli soltanto che il tuo controllo deriva dalla tua connessione col Master di St.
Louis. Spiega che non è duplicabile.»
«Cosa non è duplicabile?» chiese Micah.
«Non è possibile creare altre persone come Anita.»
«È uno scherzo?» domandai.
«Non sprecherei mai il mio tempo con Mike per mentire, o per scherzare.»
Rush guardò il figlio. «L’ami?»
«Sì.»
«Ami Nathaniel?»
«Sì.»
«Bene, ne sono felice. Io amo tua madre, l’ho sempre amata, e amo Ty. Per
noi funziona.»
«Funziona anche per noi.»
«Sapevi che zia Jody vive con la propria ragazza?»
«Sì.»
Rush rise, e di nuovo fu squassato da uno spasmo che gli strappò un rantolo
di dolore. «Mamma e papà hanno iniziato a chiedersi dove hanno sbagliato, visto
che due dei loro figli vivono nel peccato!» Rise ancora, ma fu un suono aspro.
«Bea e Ty sono qui?»
«Sono qui fuori.»
Lo sceriffo guardò Micah con occhi lustri di febbre e il viso luccicante di
sudore. «Ti voglio bene, figliolo.»
«Ti voglio bene anch’io, papà.»
Rush si rivolse a me. «Abbi cura di lui, Anita.»
«Lo farò.»
«Nathaniel, ami il mio ragazzo?»
«Moltissimo.»
«Bene. Abbiate cura l’uno dell’altro.»
«Lo faremo. Promesso.»
Con un movimento troppo rapido e troppo prolungato, Rush annuì, poi
strinse convulsamente la mano di Micah. «Mandali qui. Se non potrò più
parlarti, sappi che ti voglio bene. So che sei buono e forte, e sono felice che tu
abbia due persone che ti amano. È molto più di quanto abbia la maggior parte
della gente.»
Con l’altra mano, Micah gli accarezzò i capelli. «Ti voglio bene, papà.»
Quindi si rivolse a noi. «Chiamate mia madre e Ty.»
Io e Nathaniel uscimmo dalla stanza, lasciando Micah solo col padre, a dire
quelle cose che si dicono alla fine, qualora se ne abbia occasione e se ci si vuole
davvero bene.
21

i nuovo in sala d’attesa, seduto sul divanetto, Micah fissava il vuoto

D stringendo le nostre mani, mentre Nicky, Devil, Ares e Bram, sparsi


per la stanza, tentavano invano di apparire innocui. I poliziotti stavano
parlando con Ares e Bram, e Devil aveva fatto ridere un po’ alcuni di
loro. Alla maniera classica della guardia del corpo, Nicky stava
appoggiato alla parete vicino al nostro divano. Di solito non si sforzava granché
di socializzare con gli sbirri, cui si aspettava di risultare antipatico.
Micah aveva rimesso gli occhiali da sole, non per nascondere gli occhi, bensì
perché tutti quanti potessimo fingere che non stesse piangendo. In silenzio,
lasciava che le lacrime gli scorressero lentamente sul viso, senza tergerle. Gli
sbirri e le guardie del corpo rispettavano la regola maschile, secondo la quale, se
un uomo piange in silenzio fingendo di non piangere, gli altri uomini fingono di
non accorgersi che sta piangendo.
Il vicesceriffo Al entrò in sala d’attesa e parlò sottovoce con alcuni sbirri, i
cui volti stoici e mesti divennero ancora più seri. Due di loro annuirono e
uscirono decisi, come se avessero qualcosa di preciso da fare.
«Cos’è successo?» domandai.
In silenzio, Al ci guardò, indugiando su Micah e lasciando trapelare per un
momento una compassione subito repressa. Si avvicinò con placida espressione
da sbirro, esitò, fissando Micah, e serrò le labbra in una linea sottile, come se
stesse valutando se comportarsi da poliziotto oppure da amico. Infine decise per
l’amico e domandò: «Mike, c’è qualcosa che posso fare?»
Senza parlare, né sollevare gli occhi nascosti dagli occhiali neri per
ricambiare il suo sguardo, Micah scosse la testa.
Allora Al comprese che voleva rimanere chiuso nel suo dolore e domandò a
me: «Ricordi gli escursionisti che Gutterman e gli altri stavano cercando?»
«Ricordo che hai detto qualcosa a proposito di una chiamata cui Gutterman
aveva risposto.»
«Gli escursionisti sono scomparsi da due giorni, tre con oggi, così li abbiamo
cercati con l’aiuto di volontari esperti della zona di montagna in cui si sono
recati.»
Annuii. «Mi pare che sia la procedura consueta in queste circostanze, anche
per evitare che si smarriscano altri civili.»
«Esatto. Dunque, tutti i volontari che abbiamo raccolto sanno quello che
fanno, eppure ne sono scomparsi due, più in gamba della maggior parte dei
poliziotti che conosco a sopravvivere in condizioni di emergenza nella natura
selvaggia. Entrambi sono eccellenti guide di caccia, ottimamente pagati e in
grado di assistere anche cacciatori molto inesperti a compiere lunghe escursioni
bivaccando nei boschi e sulle montagne.»
«Bravi maestri, dunque», commentai.
«Sì.»
«Che cos’è successo?» domandò Nathaniel.
«Sono scomparsi.»
Micah si riscosse abbastanza per guardare Al. «Chi sono?»
«Henry Crawford e Little Henry.»
«Tra i migliori della regione, o almeno lo erano dieci anni fa.»
«Henry padre ha quasi sessantacinque anni, però può ancora compiere
escursioni più lunghe e con zaino più pesante di chiunque di noi, incluso me,
tranne tuo padre. Little Henry è diventato un po’ più inquietante e taciturno di un
tempo. Comunque per qualsiasi emergenza nei boschi avrei la massima fiducia
in entrambi.»
«Little Henry è ancora paramedico?»
«Sì.»
Finalmente Micah lasciò le nostre mani per tergersi le lacrime dal viso. «Non
posso lasciare l’ospedale. Mi dispiace, Al. Mamma e Ty sono ancora con papà e
io spero di potergli parlare di nuovo.»
«Non te lo stavo chiedendo. Non lo chiedo a nessuno di voi. In ogni caso,
dopo la scomparsa dei due Henry, non voglio altri civili in montagna.»
«È la stessa zona in cui sono scomparse le prime vittime?» domandai.
«È lì vicino.»
«Dev’esserci qualcosa di molto brutto, se sono scomparsi», dichiarò Micah,
curvo in avanti, coi gomiti sulle cosce, lo sguardo fisso al pavimento, molto
preoccupato. Ricordava forse il leopardo mannaro che lo aveva aggredito?
Doveva essere accaduto sulle montagne della zona.
«Da quanto tempo sono scomparsi?» chiesi.
«Tre ore. Normalmente non ci preoccuperemmo affatto. Tuttavia le
circostanze sono inquietanti. Erano a portata di voce di alcuni altri cercatori e
sono scomparsi all’improvviso, da un minuto all’altro. Sono semplicemente
spariti.»
«Semplicemente spariti?»
«Gutterman dice che hanno gridato: ’Abbiamo trovato qualcosa’. Poi,
quand’è stato chiesto loro di confermare se avessero trovato l’assassino, non
hanno risposto.»
«Avete trovato tracce della loro ultima posizione?»
«È una zona completamente buia, dove non si vede un accidente di niente. I
cani sono impegnati nella ricerca di un bambino e di un anziano che sono
scomparsi dopo essersi allontanati da casa. Il bambino ha tre anni e il vecchio ha
il morbo di Alzheimer. In più bisogna tenere conto che qui di notte fa freddo.»
«Se non troveranno riparo, moriranno prima di domattina», osservò Micah.
«I due escursionisti scomparsi sono adulti, in buone condizioni di salute, e
non mancano di esperienza. Gli Henry sono in grado di costruirsi un riparo e di
sopravvivere durante la notte senza nessuna difficoltà.»
«Avevate cani con cui cercare subito gli escursionisti?»
«Ne avevamo uno, ma a un certo punto non è più riuscito a fiutare niente.
Sembrava completamente confuso, come se non capisse più che diavolo di usta
fosse. Il suo accompagnatore ha detto di non averlo mai visto comportarsi in
quel modo.»
«Sembrava spaventato?»
Al scosse la testa. «Perché?»
«Alcuni cani non seguono l’usta degli esseri soprannaturali, a meno di non
essere stati specificamente addestrati. Si spaventano, oppure semplicemente
rifiutano di seguirla.»
«No, all’inizio l’ha seguita, poi è arrivato in una radura e ha cominciato a
girare in tondo. L’accompagnatore gli ha fatto annusare di nuovo l’usta da una
borsa di effetti personali che avevamo, ma il cane non è più riuscito a ritrovarla.
Maledizione! Non ho mai visto nessun cane bravo come quello comportarsi
così!»
«Uno di noi potrebbe seguire l’usta», suggerì Micah.
Al scosse la testa. «No, no, basta civili!»
«Anita non è un civile, e se noi fossimo in forma animale sarebbe la nostra
accompagnatrice.»
«Davvero vuoi lasciare l’ospedale e rischiare di perdere un’altra occasione
per parlare con tuo padre?» chiese Nathaniel.
Dopo averlo guardato per un lungo momento, Micah abbassò gli occhi al
pavimento e scosse la testa. «No, credo di no…»
«Potrei farlo io», si offrì Nathaniel.
«No», dicemmo io e Micah, all’unisono.
«Perché no?» chiese lui.
Io e Micah ci scambiammo un’occhiata. Cosa avremmo potuto dire? Che lui
era più importante per noi di qualunque estraneo scomparso? Oppure che
volevamo proteggerlo, evitando che rischiasse di esporsi a qualche grave
pericolo?
«E se andassi io con Anita e con Nathaniel?» propose Nicky.
«No. Come ho detto, niente civili», insistette Al.
«Non sono mica un civile», protestò Nicky.
«Non sei uno sbirro e neanche un militare, perciò sei un civile.»
«Non nel senso che intendi tu. Non sono una vittima indifesa, non
v’intralcerò e, se ci fosse da combattere, scommetterei su me stesso.»
«Nicky è molto in gamba, Al», aggiunse Micah.
Allora si avvicinarono Ares e Bram.
«Noi eravamo nelle forze speciali», esordì Ares. «Ricordate?»
«Qualcuno deve rimanere con Micah», ribattei.
«Perché Nicky non si trasforma e non segue l’usta?» chiese Bram.
In silenzio, Nicky lo guardò e si scambiarono un’occhiata lunga e grave,
restando perfettamente impassibili.
«In forma animale posso soltanto uccidere», ammise finalmente Nicky. «In
forma umana ho più opzioni di quanto piaccia ad Anita. Perché non ti trasformi
tu?»
«Sono più versatile in forma umana», spiegò Bram.
«In forma di leopardo posso seguire l’usta come chiunque altro di voi»,
affermò Nathaniel. «Però non posso proteggere Anita o Micah, né nessun altro,
come sapete fare voi.»
«Abbiamo l’incarico di proteggere anche te», intervenne un po’ tardivamente
Devil, dopo essersi allontanato dai poliziotti, che ancora ridevano alle sue
battute.
«Vedo che stai facendo amicizia», commentai.
«Prima non mi trovavano simpatico. Adesso invece sì.»
«Devil ha ragione: abbiamo l’incarico di proteggere anche Nathaniel», disse
Bram. «Ecco perché avremmo dovuto essere in sei.»
«Sono molto meno vulnerabile di qualunque agente di polizia, e anche in
forma di felino posso comunicare ad Anita ciò che percepisco meglio di quanto
possa fare qualunque cane.»
«Quando sei in forma di felino puoi parlare?» chiese Al.
«Non esattamente.» Nathaniel scosse la testa. «Però Anita mi sente e mi
capisce.»
«E come?»
«Anita è in grado d’interpretare il suo linguaggio del corpo e le sue
espressioni anche quando Nathaniel è in forma felina, proprio come ci possiamo
capire quando siamo in forma umana», spiegò Micah. «Ci conosciamo molto
bene.»
«Come in una coppia o tra migliori amici?» suggerì Al.
«Qualcosa del genere», disse Micah, mentendo al suo vecchio amico.
Nathaniel era un leopardo nero. Io ci vedo bene di notte, ma non così bene,
quindi non sarei mai riuscita a interpretare le sue espressioni o il suo linguaggio
del corpo. Però avrei potuto percepire le sue emozioni e i suoi pensieri. Se fossi
riuscita a concentrarmi abbastanza avrei potuto camminare nel bosco e al tempo
stesso condividere le percezioni di Nathaniel quasi come se fossi stata dentro di
lui in forma di grosso e sinuoso leopardo in felpato movimento nel bosco.
Senza cercare di celare il dubbio, Al mi guardò. «Davvero?»
«Sì», confermai.
«D’accordo», decise Al. «Nathaniel in forma animale, e tu, Anita, che sei
marshal federale.»
«Anch’io, perché il mio addestramento è perfetto per questo, anche senza la
bestia che è dentro di me», dichiarò Ares.
«Perché?» chiese Al.
«Cecchino scout.»
Evidentemente impressionato, Al inarcò le sopracciglia.
Non essendo mai stata nell’esercito, non capii. Cioè, capivo «cecchino», ma
cosa diavolo era un «cecchino scout»? Comunque decisi di rimanere in silenzio e
di chiederlo in seguito, una volta che Al avesse accettato d’includere tutti quelli
che desideravano partecipare all’operazione.
«Nei boschi sono bravo quanto Nicky, forse anche meglio», affermò Devil.
«Nei boschi non credo che tu sia meglio, però sei bravo a piacere ai
poliziotti», concesse Nicky.
«Sai piacere anche tu, quando vuoi», intervenni.
Nel sorridermi, Nicky sembrò più giovane; anzi, dato che non era poi tanto
vecchio, forse sembrò semplicemente meno cinico. «Con gli sbirri posso fingere,
ma Devil è più come Micah e non ha bisogno di fingere. È naturalmente più
bravo con la gente.»
«Tu sei bravo in palestra», osservai.
«Siamo tutti più bravi in palestra», precisò Bram.
«Ehi!» protestò Devil, ma sorridendo.
«Sei un felino pigro!» accusai.
Devil si limitò a scrollare le spalle.
Così si concluse la discussione. Tutti concordarono che Nicky e Ares
avrebbero accompagnato Nathaniel e me. Dato che stavamo vincendo, tenni la
bocca chiusa e compilai mentalmente una lista di domande da porre in seguito.
«Ci serviranno alcune cose prima di partire», annunciai.
«Altre armi!» esclamarono in coro Nicky, Bram e Ares.
Arrossii un po’. «Pensavo che questo non fosse necessario dirlo.» Poi mi
rivolsi ad Al. «Dove possiamo comprare il più grosso collare da cane che si
possa trovare, e un buon guinzaglio?»
«Perché ti serve? Nathaniel in forma felina è pericoloso senza guinzaglio?»
«No, però batteremo i boschi con un gruppo di uomini armati, stanchi e
spaventati. Senza guinzaglio, Nathaniel sarebbe soltanto un gigantesco predatore
nero, e io non voglio che qualcuno gli spari per sbaglio. Se lo terrò al guinzaglio,
la squadra si abituerà all’idea che ci sta aiutando, proprio come un cane da
ricerca e da soccorso.»
«Non occorre comprare né il collare né il guinzaglio», assicurò Nathaniel.
«Invece credo che Anita abbia ragione», replicò Al. «Se sarai al guinzaglio,
sarà più facile per tutti capire che ci stai aiutando.»
«Non si tratta di questo», replicò Nathaniel.
«Hai portato i tuoi», dedussi.
Riuscendo a sembrare contento e al contempo timido, Nathaniel annuì. Si
riferiva al collare e al guinzaglio che gli avevamo regalato io e Asher, il vampiro
dai capelli d’oro, col viso angelico e dal carattere diabolico, ex luogotenente di
Jean-Claude, o suo témoin, come si usa dire col termine francese che indica il
secondo di chi deve battersi in duello. Prima di essere esiliato in un’altra città
per essersi comportato come un vampiro master plurisecolare viziato e
follemente geloso, era stato il dominatore di Nathaniel e il mio top nei nostri
giochi bondage. Il collare era stato una sua idea, e Nathaniel adorava indossarlo,
diceva che lo faceva sentire protetto e amato. Quanto a me, il collare e il
guinzaglio mi facevano soltanto incazzare, ma, se una pratica fa sentire amato un
amante e quindi ha senso per lui, è abbastanza, non deve necessariamente
apparire sensata anche a chi lo ama. Certe donne si sentono amate se il marito
lava i piatti senza che glielo si chieda. Certi uomini si sentono amati se si gioca a
videogame con loro. C’è chi si sente amato se a volte lo si porta in giro col
collare e col guinzaglio che gli si è regalato.
Sorridendo, Micah scosse la testa. «Mi mette un po’ a disagio.»
«Lo so, Micah.» Nathaniel gli posò una mano su un braccio, guardandolo con
profonda serietà. «Mi fa sentire meglio averlo con me, ecco tutto.»
Pur sembrando un po’ perplesso, Micah gli sorrise. Credo che capisse meno
di me la gioia che Nathaniel provava nel portare collare e guinzaglio. Se non
altro, a me piaceva essere sottomessa in camera da letto. A lui invece no, tranne
quando donava il sangue a Jean-Claude. Per fare quello bisognava essere
disponibili alla sottomissione. Vederli insieme era incredibilmente erotico, per
me, e lo avevo dimostrato più di una volta, però non avevamo mai chiesto a
Micah cosa provasse durante la sottomissione; anzi, non avevo mai pensato di
chiederglielo fino a quel momento, anche se probabilmente non era il momento
più adatto… Ehm… no, non lo era di certo.
«Sono nel SUV oppure in albergo?» domandai.
«Non ne sono sicuro», rispose Nathaniel. «Non ho controllato.»
«In quale valigia sono?» chiese Ares.
Nathaniel sorrise. «È utile se ti dico quella piccola e nera?»
Sorridendo a sua volta, Ares scosse la testa. «No.»
«Guardiamo nel SUV», propose Nicky. «Se non sono nel bagagliaio, allora
sono in albergo.»
Convenimmo tutti che si trattava di un buon piano. Purtroppo per eseguirlo
avremmo dovuto lasciare Micah da solo in ospedale, e non sembrava giusto, date
le circostanze.
«Non ti preoccupare, Anita», assicurò Micah, accarezzandomi il viso.
Ci abbracciammo e aderimmo l’uno all’altra col corpo e col viso,
combaciando come pezzi di puzzle, quasi fondendoci l’uno nell’altra.
«Ti amo», dissi, respirando la sua vicinanza.
«Ti amo di più», disse Micah.
Allora Nathaniel arrivò ad abbracciarci tutti e due. «Vi amo di più io.»
Lo accogliemmo nel nostro abbraccio e così ci stringemmo tutti e tre insieme
per un altro lungo momento.
Il primo a sciogliersi dall’abbraccio fu Micah. «Andate. Io starò bene.»
Annuendo, lasciai la sua mano. Invece Nathaniel continuò a tenerlo per
l’altra.
«Siate prudenti.» Micah si girò a guardare Nicky. «Tutti voi.» Gli strinse la
mano e scambiò con lui un mezzo abbraccio. «Riportameli.»
Nicky sorrise. «Sempre.»
«Va bene così», avvertì Ares. «Basta una stretta di mano.»
Sorridendo, Micah gli strinse la mano.
Devil mi si avvicinò. «Voglio un abbraccio.»
Scuotendo la testa, lo abbracciai. Quando feci per lasciarlo, lui mi prese il
viso con una mano per indurmi a guardarlo negli occhi nocciola, orlati di azzurro
e di oro pallido, insolitamente seri. Prima che potessi chiedergli che cosa lo
preoccupasse, lui sorrise. «Vai. Ci penserò io a divertire gli sbirri, visto che in
questo Bram fa schifo.»
«Non devo piacere a nessuno», spiegò Bram. «Mi basta essere bravo nel mio
lavoro.»
Allora Devil iniziò a scherzare con lui in quel modo affettuoso che nasconde
altri sentimenti. Perché mi aveva scrutata con tanta serietà? Se avessi abbassato
abbastanza le mie difese, forse avrei percepito i suoi sentimenti, magari anche i
suoi pensieri, e così avrei potuto comprendere il motivo della sua
preoccupazione. Però sarebbe stato come sbirciare senza permesso nel diario di
qualcuno, e in più avrei rischiato di aprirmi a tutti coloro con cui ero
metapsichicamente connessa, nonché di avere difficoltà a innalzare di nuovo le
difese, come mi era capitato alcune volte di recente.
I civili scomparsi nella notte avevano la priorità, o almeno così dissi a me
stessa nel seguire il vicesceriffo Al in corridoio e poi nell’atrio, affiancata da
Nathaniel, che mi aveva preso la mano sinistra, lasciandomi libera la destra,
quella con cui sfodero la pistola. Nicky e Ares ci seguivano.
22

el bagagliaio del SUV, dove le guardie le avevano collocate di

N proposito in modo che le avessi a portata di mano, c’erano le mie


armi, e per pura e fortunata coincidenza c’era anche la valigia di
Nathaniel, quindi non fummo costretti a recarci in albergo, che
peraltro non avevo ancora visto e dove probabilmente non sarei andata
prima dell’alba. Comunque sarebbe valsa la pena perdere una notte di sonno se
fossimo riusciti a trovare i due Crawford dispersi.
Con Ares alla guida del SUV, Nicky accanto a lui, io e Nathaniel sul sedile
posteriore, seguimmo Al, che ci precedeva con un SUV del dipartimento di
polizia. La mano di Nathaniel nella mia era calda e concreta nella semioscurità
della vettura che si allontanava dalla città addentrandosi fra le montagne. Non
ero preoccupata per le due guardie del corpo, benché amassi Nicky e sebbene
Ares fosse un bravo ragazzo, perché sapevano badare a loro stesse. Su mia
insistenza, Nathaniel aveva imparato a sparare bene quasi con qualsiasi arma.
Inoltre, su consiglio di Nicky, aveva iniziato a studiare autodifesa dopo essere
stato preso in ostaggio dall’attentatore, che per nostra fortuna era stato solo un
dilettante, non addestrato come noi, altrimenti Nathaniel non si sarebbe salvato.
Comunque condurlo in montagna, nella foresta, confidando che sapesse
difendersi in forma di leopardo, mi parve all’improvviso una pessima idea,
quindi mi spaventai. Per me lui significava molto più dei due sconosciuti
scomparsi e stranamente rischiare la sua vita per soccorrerli era tutta un’altra
cosa che rischiare la mia, anche se per guarire me stessa da una eventuale ferita
avrei assorbito la sua energia perché era l’animale che rispondeva al mio
richiamo. Nella maggior parte dei casi, un vampiro muore se si uccide il suo
servo umano, e viceversa. Lo stesso accade con gli animali che rispondono al
richiamo, sebbene siano più rari perfino tra i vampiri master, oppure il
succhiasangue resta talmente indebolito da risultare facile preda per i cacciatori.
Certo, ogni volta che affrontavo un pericolo mortale ponevo a repentaglio anche
la vita di Nathaniel, però averlo accanto a me era diverso, perché il pericolo e il
rischio non erano così astratti, anzi, erano estremamente concreti.
«Non sei costretto a farlo», mormorai, non per non essere sentita da Ares e
Nicky, bensì perché trovarmi a bordo di una vettura, al buio, di notte, m’induce
sempre a parlare sottovoce, a fare meno rumore possibile.
I fari del SUV erano le uniche luci nell’oscurità pressoché assoluta della
strada che si snodava tra gli alberi. Ci si dimentica sempre quanto è buia la notte
senza illuminazione elettrica. Così quando Nathaniel si girò verso di me non
riuscii a vedere il suo viso benché fosse a pochissima distanza. «Voglio essere
d’aiuto.»
«Non è il tuo lavoro.»
«In forma di leopardo sono migliore che in forma umana, Anita.»
«Migliore in cosa?»
«Migliore nel combattere, nel sopravvivere.»
«Perché?»
«La bestia ci permette di reagire in maniera più egoistica», spiegò Nicky,
girandosi a guardarci, col ciuffo che nel buio assumeva un pallore spettrale,
spiccando sull’ombra del volto. «Non pensiamo al bene altrui né a qualche altra
stronzata del genere. Reagiamo per sopravvivere. In forma di leopardo,
Nathaniel sarà maggiormente in grado di badare a se stesso.»
«Davvero?» Accarezzai la mano di Nathaniel, come se tenerla tra le mie non
fosse abbastanza.
«Sì», confermò Nicky. «Questa è una delle ragioni per cui siamo tanto
pericolosi in forma animale. Non ragioniamo così bene come in forma umana e
questo ci rende, appunto, più pericolosi.»
«In forma ibrida ragionate meglio.»
«Sì.»
«In questo caso, però, io dovrò essere in forma di leopardo», ricordò
Nathaniel.
«Così il tuo fiuto sarà molto più sviluppato», dissi.
«Sì.»
«Capisco.»
«Quando si esibisce sul palco, Nathaniel si trasforma in leopardo senza
aggredire gli spettatori. Per questo tu credi che conservi la propria umanità anche
in forma animale. Invece è il contrario, è la bestia che mantiene una traccia della
sua umanità.»
«Perciò quand’è in forma umana conserva una traccia della sua bestia?»
«Sì», rispose Nicky. «Ci sono cose di noi che ti sfuggono perché pur avendo
tante bestie dentro di te non ti trasformi.»
«Per esempio?»
«Per esempio, noi siamo le nostre bestie e le nostre bestie sono noi.»
«Non credo di capire…»
«Quando sono in forma di leopardo conservo il mio essere umano e quando
sono in forma umana conservo il mio essere leopardo», spiegò Nathaniel.
Corrugai la fronte. «Micah non parla così della sua bestia, e neppure
Richard.»
«Non paragonarci al re lupo di St. Louis», mi rimproverò Nicky. «È troppo in
conflitto con se stesso per poter integrare davvero le sue due nature.»
«E Micah?»
«Combatte duramente per salvaguardare la propria parte umana», rispose
Nicky.
«Micah non ha ancora superato il trauma di essere sopravvissuto
all’aggressione», intervenne Ares. «Chi diventa licantropo involontariamente ha
più problemi.»
«Anche tu?»
«Sì, all’inizio odiavo essere una iena mannara. Cioè, avrei preferito essere
stato aggredito da un animale più amato e più rispettato, tipo un leone o un
leopardo. I grossi felini e i lupi, quelli sì che sono sexy!»
Non mi era mai capitato di sentire da lui un tono così dimesso. «Stai dicendo
che lo avresti odiato di meno se fossi stato un animale diverso?»
«Sì, all’inizio sì.»
«E adesso?»
Quando Ares guardò nello specchietto retrovisore, i suoi occhi
lampeggiarono alla luce dei fari di un’auto incrociata dal SUV e, dato che gli
occhi umani non possono riflettere la luce in quel modo, capii che grazie alla sua
bestia aveva una vista superiore a quella umana anche quando non era in forma
animale. «Sono una iena, e la nostra società è più feroce e violenta di quelle di
tutti gli altri licantropi. Ogni posto nella gerarchia è guadagnato duramente.
Nessuna comunità, neppure quella dei leoni, compie una selezione più spietata.
Anche se abbiamo numerosi clan, i pochi esistenti in questo Paese dominano le
città in cui risiedono, se agiscono secondo la vecchia scuola.»
«Cosa intendi per ’vecchia scuola’?»
«Prima di essere integrati nella società umana, i licantropi seguivano regole
più naturali, meno civili.»
«In che senso?»
«Si combattevano guerre tra diversi gruppi animali», interloquì Nicky.
«Credevo che i gruppi animali s’ignorassero a vicenda, al di fuori di St. Louis
e della Coalizione.»
«I licantropi sono stati accolti nella società umana prima dei vampiri, quindi
non hai conosciuto il periodo in cui eravamo capaci d’invadere una città e
distruggere tutto sul nostro cammino», spiegò Nicky. «Bastava che non
lasciassimo cadaveri agli sbirri. Gli umani ci pagavano, e io e il mio branco ce
ne andavamo. Altri gruppi animali ci assoldavano per sterminare i loro rivali e
noi lo facevamo senza nessuna pietà.»
«I licantropi sono legalmente riconosciuti come umani affetti da una malattia
speciale da dieci anni, e in alcuni Stati perfino da più tempo. Non puoi essere
tanto più vecchio di me.»
«Sai che i licantropi invecchiano più lentamente degli umani, Anita», replicò
Nicky, di cui vedevo soltanto lo scintillio del ciuffo nell’oscurità dell’abitacolo.
«Quanti anni hai?»
«Trentuno.»
«Quindi soltanto uno più di me.»
«Sì», mormorò Nicky, con voce stranamente intima nel buio.
«Non ne dimostri più di venticinque.»
«E tu ne dimostri soltanto poco più di venti.»
«Merito della genetica.»
«Sicura che sia soltanto questo?»
Lo scrutai anche se non riuscivo a vedere il suo viso nell’oscurità, mentre il
SUV si addentrava sempre più tra i monti immersi nel nero della notte. «Cosa
stai insinuando?»
«Ti ho messa a disagio. Sento che sei scontenta, perciò non devo dire altro.
Sono il tuo sposo e ho il dovere di renderti esclusivamente felice.»
«Io non sono il suo sposo e neppure l’animale che risponde al suo richiamo»,
protestò Ares. «Non ha neppure il potere di chiamare le iene. Quindi lo dico io!»
«Che cosa?» domandai.
Nathaniel iniziò ad accarezzarmi la mano per tranquillizzarmi.
«Anche se tu cerchi d’ignorarlo, Damian è il vampiro che risponde al tuo
richiamo, Anita, il tuo servo vampiro, e tu condividi il quarto marchio con lui e
con Nathaniel.»
«Per puro caso», precisai, suonando sulla difensiva perfino a me stessa.
«Non importa come, importa soltanto che è successo. So che Jean-Claude
attende di scoprire se Damian inizierà a invecchiare, o se tu smetterai
d’invecchiare, prima di condividere il quarto marchio con te e con Richard.»
«Secondo la tradizione, non si può avere più di un quarto marchio da più di
un unico vampiro», obiettai. «Si può essere soltanto il servo umano di un unico
vampiro.»
«Sì, secondo la tradizione è così. Eppure tu, che sei umana e non vampira, hai
un servo vampiro, non un servo umano. In te non vi è nulla di tradizionale,
Anita.»
«Dove vuoi arrivare?»
«Sei la prima vera negromante in più di mille anni. Le regole a te non si
applicano, Anita.»
«E allora?» ribattei, astiosa. Mi sforzai di reprimere l’impulso a lasciare la
mano di Nathaniel e a rannicchiarmi imbronciata sul sedile, un impulso che
denunciava il riemergere di un vecchissimo problema. Anche se non avrei saputo
dire con certezza quale, risaliva senz’altro a prima che permettessi a me stessa di
amare gli uomini della mia vita, incluso Nathaniel, se mi sentivo spinta a
interrompere il contatto fisico tra noi. Così mi costrinsi a tenere la schiena dritta
e a non lasciare la sua mano, ora del tutto inerte. Poi feci un bel respiro lento e
profondo. «Qual è il succo del tuo discorso, Ares?»
«Il triumvirato di Jean-Claude, con te come sua serva umana e con Richard
Zeeman come lupo che risponde al suo richiamo, è menomato perché Richard
rifiuta di essere l’Ulfric di cui tutti abbiamo bisogno.»
«Sta migliorando.»
«Come Ulfric, come nostro re lupo, sì, ma come terzo del triumvirato di Jean-
Claude fa schifo. Sfrutta il suo ruolo per fare sesso con te e con Jean-Claude.
Anche se lo nega, dominare Asher gli manca, perché tormentarlo gli permetteva
di soddisfare un suo bisogno. Credo che i giochi bondage con Asher manchino a
Richard non meno che a Nathaniel e a te. Semplicemente, lui rifiuta di
ammetterlo.»
«Sto ancora aspettando che tu mi dica finalmente qual è il succo del tuo
discorso. Finora ti sei limitato a descrivere stronzate di cui sono già a
conoscenza.»
«Hai formato un triumvirato di potere con Nathaniel come leopardo che
risponde al tuo richiamo e con Damian come tuo servo vampiro.»
«Anche questa è una stronzata che conosco già.»
«Davvero? Eppure non si direbbe. Da quando lavoro per voi, ti comporti
come se il tuo triumvirato non esistesse. Non interagisci quasi mai con Damian.»
«È monogamo, e io rispetto il suo rapporto esclusivo con Cardinal.»
«Non mi riferisco soltanto al sesso e a nutrire l’ardeur. Voglio dire che non lo
usi per costruire davvero un triumvirato di potere come quello che Jean-Claude
vorrebbe forgiare.»
«Non capisco cosa intendi.»
Di nuovo Ares guardò nello specchietto retrovisore, ma in quel momento il
SUV non incrociò nessun’altra vettura, perciò i suoi occhi non scintillarono nel
suo viso simile a un’ombra. «Dimmi, Nathaniel… Sta mentendo a me o a se
stessa?»
«Preferirei non essere coinvolto in questa discussione…» Nathaniel sospirò
profondamente.
Mi girai verso di lui. «Cosa c’è che non va?»
«Sento che sei attratta da tutti gli animali che rispondono al tuo richiamo e a
quello di Jean-Claude. So quanto è stretto il legame metapsichico che ci unisce.
Eppure Damian resta sempre escluso. Sento la sua mancanza, Anita. Non posso
descriverlo in altro modo se non dicendo che, quando desti il potere, la
connessione con lui è più debole, è…» Nathaniel si girò a guardare fuori
attraverso il finestrino come in cerca d’ispirazione.
«Che cos’è?»
Nathaniel si voltò di nuovo verso di me, e perfino nell’oscurità sentii il peso
del suo sguardo. «È spezzata. Non so come o cosa, però è danneggiata, e questa
frattura impedisce a noi tre di essere tutto quello che potremmo essere dal punto
di vista del potere.»
«Non dipende soltanto da me.» Quando cercai di sfilare la mia mano dalla
sua, mi trattenne, e io non ero abbastanza infuriata per insistere. «Damian non
vuole essere maggiormente legato a noi. Ha paura di essere consumato
dall’ardeur ed è quasi maledettamente omofobo.»
«Omofobo? Davvero?» Nicky rise aspramente. «Questa è troppo buffa!»
«Perché buffa?»
«Perché chi non si sente come minimo a proprio agio nel condividere te con
un altro uomo e poi dormire nel tuo letto con altri uomini ammucchiati come una
gran cucciolata farebbe meglio a cambiare aria.»
«London non ama stare con altri uomini, né avere un pubblico», ricordò
Nathaniel.
«Per questo è stato mandato a visitare i territori di altri vampiri?» chiese
Ares.
«In parte», confermai.
Io e Nathaniel non rivelammo che London era assuefatto all’ardeur e che il
suo potere aumentava a ogni nutrimento. Non era stato assuefatto da me, bensì
da Belle Morte, la sourdre de sang di Jean-Claude, la capostipite della sua stirpe
vampirica, e per liberarsi di lei era fuggito in Inghilterra. In seguito si era unito a
noi ed era ricaduto nella vecchia abitudine. Era il cibo perfetto per me, però era
un vampiro master, più antico di Jean-Claude di alcuni secoli: se avesse
continuato ad aumentare il proprio potere nel nutrire me, si sarebbe rapidamente
avvicinato al livello di potere di Jean-Claude. Ecco perché ci eravamo dovuti
liberare di lui. Lo avevamo inviato fuori dello Stato, in quattro territori diversi,
nella speranza che ne trovasse uno adatto e ne diventasse luogotenente. Pur
essendo un master abbastanza potente da avere un proprio territorio, non
possedeva l’abilità politica necessaria nel mondo moderno. Ormai era impegnato
nell’ennesima ricognizione, non ricordavo neppure in quale Stato.
«Damian rifiuta di unirsi completamente a noi per ragioni che sono simili a
quelle di Richard», osservai.
«Credo che, se tu lo incoraggiassi con l’esempio, Damian si troverebbe più a
proprio agio nel condividere il letto con noi due. Non è abbastanza forte per
liberarsi di noi combattendo, come invece farebbe Richard.»
«In sostanza, mi stai chiedendo di soggiogare Damian per consolidare il
nostro triumvirato, anche se sarebbe una sorta di stupro metapsichico…»
«Descritta così sembra una brutta cosa.»
«Non è soltanto apparenza e descrizione.»
«Non hai avuto nessun problema a soggiogare me», ricordò Nicky.
«Tu e il tuo branco di leoni mi avevate rapita e i vostri cecchini si tenevano
pronti a uccidere Nathaniel, Micah e Jason. Non avevo molta scelta, quando ti ho
trasformato nel mio sposo.»
«Se ti può consolare un po’, non sono mai stato più felice.»
Anche se un po’ mi consolava, non lo ammisi. «Se si considera che dovresti
desiderare sopra ogni altra cosa la mia felicità e la mia serenità, non dici cose
molto rasserenanti…»
Per quanto lo consentiva la sua muscolatura possente, Nicky scrollò le spalle.
«A volte hai bisogno di sentirti dire quello che è inquietante.»
«Ah, sì? E così tu mi dici quello che ho bisogno di sentirmi dire?»
«Qualche volta.»
«E questo mi mette a disagio, e il mio disagio ti angoscia?»
«Più o meno.»
Fissandolo, corrugai la fronte, pur non sapendo se lui vedesse al buio
abbastanza bene per accorgersene. «Non sono sicura di capire davvero quale sia
la funzione dello sposo…»
«Sono quello che tu hai bisogno che io sia.»
«Visto che stai dicendo sul serio, sono felice che la iena non sia uno degli
animali che rispondono al richiamo di Anita», dichiarò Ares.
Nicky si girò verso di lui. «I vampiri master possono trasformare in sposi
anche gli umani normali, quindi in teoria potrebbe funzionare anche con te.»
Ares fu scosso da un brivido così violento che lo vidi perfino al buio. «Non
verifichiamo questa teoria, okay?»
Con le luci rosse che segnalavano una frenata, Al svoltò in una stretta strada
sterrata. Quando gli alberi ci avvolsero da entrambi i lati, l’oscurità divenne
ancora più densa, tuttavia era pur sempre rischiarata dalla luna e dalle stelle,
mentre nel folto del bosco era assoluta, come ben sapevo. Sono cresciuta
cacciando e bivaccando con mio padre, perciò so com’è l’oscurità della notte nel
bosco, e da bambina non l’avevo mai temuta. Avevo avuto paura del buio
soltanto a casa; i mostri della mia immaginazione si erano nascosti sotto il letto e
nell’armadio, non nei boschi. Ormai poche cose trovo più odiose dell’andare a
caccia di licantropi o di vampiri nei boschi. Così ero felice che non fossimo
impegnati in una caccia, quella notte.
Comunque non ero l’unica a pensare a quanto fosse tenebroso il bosco,
perché Ares osservò: «Dev’essere maledettamente buio tra gli alberi».
«Tu vedi al buio meglio di me», replicai.
«Sì, ma non molto meglio, quando sono in forma umana.»
«Allora potresti fare il gattino al guinzaglio», ribatté Nicky.
«Le iene non sono gatti.»
«Sono più imparentate coi gatti che coi cani», dichiarai.
Di nuovo Ares guardò nello specchietto retrovisore, in cui il suo viso era
riflesso come una sagoma nera. «Molti pensano che siamo imparentati coi cani.»
«In verità lo siete di più con le manguste, coi suricati e con gli zibetti, vero?»
«Sì. Come lo sai?»
«Sono laureata in biologia. E ho studiato le iene quando ho scoperto che sono
il secondo o il terzo gruppo animale più numeroso di St. Louis.»
«Meglio conoscere il nemico», sentenziò Ares.
«Sì, ma, come hai detto tu stesso, non ho nessun legame metapsichico con le
iene. Non le conosco come conosco i leoni, i leopardi, i lupi e gli altri animali
che rispondono al mio richiamo, o le bestie che ho dentro di me. Le iene
mannare e i ratti mannari mi hanno insegnato che la mia abilità coi licantropi
dipende molto dal potere vampirico. Dovrei studiare di più le bestie di cui non
sono portatrice.»
«Perché studiarle? Perché non ignorarle?»
«Micah crede che la Coalizione possa aiutare tutti i licantropi a unirsi, a
coalizzarsi, appunto, in modo da diventare più forti e poter esercitare maggiore
influenza sociale come gruppo. Be’, lo credo anch’io. È una buona idea, e
l’unico modo per realizzarla è tentare tutti quanti di trovare le cose che ci
rendono simili, che ci uniscono, non quelle che ci dividono.»
«È una risposta politica», commentò Ares.
«Può darsi, però è pur sempre la verità.»
A un’altra occhiata nello specchietto retrovisore, al buio, seguì un annuncio
di Nicky: «Ci siamo, credo».
Vidi Al parcheggiare. Sì, eravamo arrivati, ovunque diavolo fossimo.
23

ravamo nella Arapaho National Forest, dove l’oscurità dei sempreverdi

E era cosparsa di pioppi tremuli simili a pallidi spettri e l’aria profumata


di pino era più rarefatta che a Boulder, tanto che mi domandai come ci
saremmo comportati noi, sbarcati di recente da un aereo giunto da St.
Louis, sulle rive del fiume Mississippi, se avessimo dovuto correre o
combattere sulle Montagne Rocciose.
Secondo il piano, Nathaniel si sarebbe trasformato e sarebbe partito alla
ricerca delle persone scomparse. Tuttavia i poliziotti e i volontari locali non
avevano mai collaborato coi licantropi, che secondo la legge di quello Stato
dell’Ovest erano ancora animali «nocivi», inclusi i miei amanti e i miei amici.
Perciò fu necessario per prima cosa assicurare loro che Nathaniel, una volta
trasformato in leopardo, non avrebbe tentato di sbranarli e divorarli.
«Tutti sanno che i lupi mannari devono mangiare carne fresca subito dopo la
metamorfosi e nessuno di noi vuole essere la preda massacrata», dichiarò la
ranger Becker, alta quanto Nicky e Ares, coi capelli castano chiaro raccolti in
una coda di cavallo, tanto simile agli altri tre ranger, con la figura nascosta
dall’uniforme, che soltanto nell’udire la sua voce capii che era una donna.
«È soltanto una leggenda da vecchie comari», replicai.
«Ti riferisci a me, per caso?» ribatté Becker, aggressiva.
«No», assicurai.
«Puoi dire tutto quello che vuoi su di me perché sono una donna, però non
sono io a essere in un bosco di montagna in calze di nylon e tacchi alti.»
«Ho jeans e stivali nel bagagliaio dell’auto, col mio equipaggiamento da
sterminatrice.»
«Perché hai portato l’equipaggiamento se sei qui soltanto per confortare il
figlio dello sceriffo Callahan?»
«Le legge m’impone di avere sempre l’equipaggiamento a portata di mano,
anche quando viaggio per motivi personali.» Mi girai verso Al, che mi stava
accanto. «Credevo che avessi chiarito tutto prima del nostro arrivo…»
«Infatti», confermò lui.
«Allora questa gente non ha capito.»
«Sentite… Credete davvero che avrei portato qui Mr Graison se non
confidassi nel suo aiuto?» chiese Al. «Ci offre la nostra migliore opportunità di
trovare i Crawford entro stanotte. Non so voi, mai io voglio scoprire che cos’è
successo a Henry e a Little Henry.»
«Chiedilo a Mr Graison», ribatté un ranger.
«Chi ha parlato?» domandai, in tono di sfida.
Nella radura buia si avvicinò un ranger alto quasi due metri. «Io», rispose, nel
tono arrogante che è tipico di certi uomini grandi e grossi, abituati a essere
sempre i più grossi di tutti.
«Il tuo nome?»
«Travers.»
«Okay, Travers. Credi davvero che i miei uomini abbiano qualcosa a che fare
con questa faccenda?»
Il ranger mormorò qualcosa.
«Scusa, ma, se parli a voce alta quando lanci accuse infondate, allora devi
parlare a voce alta anche quando ammetti di avere sbagliato.» Sì, ormai
cominciavo ad averne abbastanza di quell’atteggiamento, e non avevo bisogno di
vedere chiaramente il suo viso per sapere che mi stava fissando con ira.
Ergendosi in tutta la sua altezza, Travers parlò con voce profonda e sgarbata:
«Ho detto che non lo credo».
«Dato che ci sono due uomini scomparsi, forse feriti, o peggio ancora, forse
dovresti smetterla di sprecare tempo a dire stronzate in cui non credi.»
Per rassicurarmi e probabilmente nell’intento di aiutarmi a calmarmi,
Nathaniel mi sfiorò la schiena.
Non sempre mi piace essere toccata quando comincio ad arrabbiarmi, perciò
fui costretta a reprimere l’impulso di scostarmi da lui; e nel rendermi conto di
volermi sottrarre al suo contatto fisico, quale che ne fosse la ragione, capii anche
di dovermi calmare. Erano moltissime le ragioni per cui non potevo permettermi
di perdere il controllo.
«Io e Little Henry ci conosciamo da moltissimo tempo», spiegò Travers.
«Voglio ritrovare lui e suo padre.»
«Allora aiutaci a trovarli», replicai, con voce più calma e con minor
probabilità di aumentare la tensione e l’ostilità.
Il sergente Michael Horton, della polizia di Stato, che avevo conosciuto in
ospedale, si avvicinò. «Se tu avessi portato Mike Callahan, avremmo qui il figlio
dello sceriffo Callahan e il capo della Coalizione. Tutti noi lo abbiamo visto in
televisione e sappiamo che è in grado di controllare… l’animale dentro di lui.
Invece non conosciamo Mr Graison. Io conosco la tua reputazione e mi fido di
te, quindi, se tu ti fidi di lui, mi fido anch’io. Però alcuni di noi, qui, hanno
bisogno di essere un po’ più rassicurati prima che lui si trasformi in qualcosa di
grosso e di carnivoro. Non è uno di noi e non è neppure un ex militare come Mr
Ares.» A quanto pareva, Horton credeva che avessi presentato le guardie del
corpo coi loro cognomi. «Mr Nicky non ha un taglio di capelli regolamentare,
però è un vero uomo.»
«Quindi dubitate di Nathaniel perché non è abbastanza virile, oppure a causa
del suo orientamento sessuale?» domandai, senza cercare di nascondere
l’incredulità.
«No, non è questo che intendevo.» Horton allargò le grosse mani come per
respingere la lezione d’insensibilità che qualcuno avrebbe potuto impartirgli se
non avesse fatto marcia indietro maledettamente in fretta.
«Horton…» Al si avvicinò. «Lascia perdere. Non cercare di spiegare quel
commento, okay? Se la smetti subito, forse possiamo fingere tutti quanti che tu
non abbia detto niente.»
«Può darsi che Horton si sia espresso in modo sbagliato, ma perché
dovremmo fidarci di Graison?» intervenne di nuovo Travers. «È un licantropo,
non è uno sbirro. Non è mai stato militare. Come possiamo essere sicuri della
sua capacità di controllare l’animale che ha dentro?»
«Digli che lavoro fa», suggerì Nicky.
«Se lo dice, perderà tutta la sua credibilità agli occhi di questi tipi», mormorò
Ares.
«Hai un suggerimento migliore?» replicò Nicky.
Per un poco Ares rifletté, poi scosse la testa. «No, mi dispiace.»
«Ho soltanto bisogno che mi permettano di trasformarmi e di cominciare a
seguire le tracce», dichiarò Nathaniel. «Non è necessario che provino simpatia
per me o che mi rispettino come persona.»
Alla luce delle torce elettriche e dei lampeggianti delle auto vidi Ares
corrugare la fronte. «Lo spogliarello lo fanno le pollastrelle, non gli uomini.»
Sogghignai. «Le pollastrelle?»
Per un attimo Ares parve imbarazzato, poi sogghignò a sua volta. «Ehi, lo sai
che fino a pochi mesi fa ero uno stronzo misogino!»
«Misogino?» ribatté Nicky. «Non sapevo che conoscessi paroloni del
genere.»
Nascondendo la mano dietro il fianco perché gli sbirri non vedessero il
gestaccio, Ares gli mostrò il medio. Allora Nicky replicò con una profonda
risatina di apprezzamento tipicamente maschile.
«Nella mia esperienza, nessuno si sa controllare bene come Nathaniel»,
annunciai a voce alta, pensando: Tranne Micah. «Lavora come danzatore e si
trasforma sul palco tanto vicino al pubblico da poterlo toccare. Se non
possedesse un controllo assoluto della propria bestia dopo la metamorfosi, allora
dovrebbe cambiare lavoro.»
«Lavora come danzatore?» chiese Travers. «In che senso?»
Dal gruppo di sbirri nell’oscurità, qualcuno rispose: «È uno spogliarellista!»
«Omioddio!» esclamò Becker. «Lavora al Guilty Pleasures!»
«Come lo sai, Becker?» chiese un ranger.
Perfino al buio, Becker parve imbarazzata.
«Allora, Becker, come lo sai?»
«Hai fatto un viaggetto per andare a vederlo senza vestiti?»
Alzai ancora di più la voce per sovrastare il coro: «Sì, danza al Guilty
Pleasures!»
«Perché non risponde direttamente lui?» chiese un agente di Boulder.
«Ho sentito dire che certi animali mannari perdono la capacità di parlare
come persone», aggiunse un altro agente.
«Se fosse così, allora Anita dovrebbe parlare per tutti», intervenne Nicky.
«Grandioso…» Ares sospirò. «Adesso ci odiano tutti!»
«È quello che siamo», ribatté Nicky. «Io non me ne vergogno. E tu?»
Ares lo fissò molto seriamente. «No.»
«Allora piantala di lamentarti.»
Si scrutarono per un lungo istante, rammentandomi che non andavano
granché d’accordo; anzi, non riuscivo a ricordare di averli mai visti lavorare
insieme. Una volta, lottando, Nicky aveva rotto un braccio ad Ares, che non se
l’era presa con lui perché Asher, sfruttando il potere che gli consentiva
d’imporre la propria volontà alle iene mannare, lo aveva costretto ad aggredirlo.
Era stata una delle cose che avevano indotto Jean-Claude a esiliare Asher.
«Non avevo mai sentito dire che perdiamo la capacità di parlare», dichiarò
Nathaniel. «Non è vero.» Avanzò di un passo, lanciandomi un’occhiata per
accertarsi che a me stesse bene: sì, mi stava bene. «Se dovessi trasformarmi in
leopardo per divorare qualcuno, non sceglierei come vittima nessuno di voi. Al
lavoro vedo ogni notte belle donne arrapate. Ecco, loro sì, varrebbe la pena
divorarle. Voi maschioni non siete il mio tipo.»
Risero tutti, alcuni un po’ nervosamente, ma risero.
«Dovremmo sentirci insultati?» gridò qualcuno.
«Sì», rispose Nathaniel, col sorriso luminoso che incantava pure gli uomini
che accompagnavano le donne a vedere il suo spettacolo. Mentre gli sbirri
ridevano, con risate più profonde e rumoreggianti, più mascoline, aggiunse:
«Non potrei mai fare il vostro lavoro, però posso seguire le tracce dei Crawford.
Anita mi metterà un collare e un guinzaglio, proprio come al cane che è stato
qui».
«Perché tenerti al guinzaglio se non sei pericoloso?» chiese Travers.
«Perché sarò un grosso leopardo nero, sembrerò cattivo e non voglio che
qualche cacciatore mi spari. Se una bella donna mi terrà al guinzaglio, nessuno
mi sparerà. Magari chi mi vedrà penserà di avere le allucinazioni, ma sarà meno
probabile che mi spari per caso.»
Nessuno seppe ribattere e per un po’ la smisero tutti quanti. Nathaniel
conquistò la loro simpatia e li fece ridere.
«Da quando sei così affascinante?» chiese Ares.
«Lo sono sempre stato», ribatté Nathaniel. «Comunque è stato nel
frequentare i bodyguard che ho imparato come parlare ai maschioni.»
«Wow!» Ares annuì e abbozzò una scrollata di spalle. «Dopotutto non sei
soltanto un bel faccino!»
Nathaniel sorrise. «Se ti prendessi in giro per avere notato che sono bello, gli
altri tipi tosti potrebbero ricavarne un’impressione sbagliata, perciò adesso mi
spoglio.»
Ares roteò gli occhi e si girò, per nasconderlo alla vista di tutti gli altri. Nicky
fece lo stesso dalla parte opposta.
Quando lo fermai, Nathaniel, senza giacca e con la camicia mezza sbottonata,
mi guardò interrogativamente.
«Prima di spogliarti, aspetta che io mi sia cambiata.»
«Perché?»
«Perché se ti vedessi nudo mentre mi spoglio potrei distrarmi.»
Mentre il suo sorriso si allargava, Nathaniel mi abbracciò, attirandomi a sé.
Il SUV, Nicky e Ares ci nascondevano alla vista degli sbirri, tuttavia… «Non
è una buona idea fare i romantici sul lavoro, tesoro.»
«Lo so, però mi piace che tu possa ammettere quanto ti eccita il mio corpo.
Hai combattuto molto e a lungo per rifiutarmi.»
Scossi la testa. «Ti desideravo. Semplicemente non volevo ammetterlo
neppure con me stessa.»
«Allora baciami, adesso, prima che ci spogliamo, così forse riuscirai a
resistere al mio fascino.»
Risi, e quando lui mi baciò smisi. Una volta cambiata, in jeans, stivali e T-
shirt, arrivò il momento di armarmi.
Cominciai col giubbotto antiproiettile, modellato appositamente per le curve
che i maschi non hanno. Poi indossai i bracciali portapugnali coi pugnali
d’argento che mi avevano salvato la vita in più di un’occasione. Erano per le
emergenze, perché con la giacca sarebbero stati difficili da sguainare. Per
l’occasione mi servivano soltanto le armi da fuoco, cioè la Browning BDM nella
fondina cosciale, la Sig Sauer P238 calibro 380 nella fondina crossdraw
assicurata al giubbotto con sistema MOLLE, e il fucile d’assalto AR-15 M4 con
tracolla tattica, con cui avevo sostituito la MP5, che prima ancora aveva
sostituito l’Uzi. Era camerato con 6,8 SPC frangibile, che, oltre ad assicurare
maggiore potenza, minore rinculo e maggiore precisione, si frammenta
all’impatto col bersaglio. In altre parole, se sparo al cattivo A, la pallottola non
lo perfora per poi conficcarsi nel buono B. Questo significa che, se si manca il
cattivo e per sbaglio si colpisce prima il buono, questi trascorrerà una pessima
nottata. Comunque non avevo nessuna intenzione di sbagliare. Di solito, quando
porto la Browning nel sistema ascellare, ho anche in un fodero sulla schiena un
pugnale con lama lunga quasi quanto il mio avambraccio e l’impugnatura
nascosta dai capelli che cadono sulle spalle. Quella notte invece avevo
qualcos’altro, cioè un Mossberg 500 Bantam in un portafucile modulare
assicurato diagonalmente al giubbotto con sistema MOLLE per poter essere
sfoderato con la mano destra. Quando avevo provato ad assicurarlo in verticale
mi aveva urtato fastidiosamente la nuca, perciò avevo cambiato. È un fucile a
pompa progettato per poter essere usato anche da un ragazzino, però è ottimo
anche per le donne di bassa statura. In ambiente urbano avrei potuto portare a
tracolla sia l’AR-15 sia il Mossberg, in modo da poterli avere sempre
contemporaneamente a portata di mano e passare dall’uno all’altro con la
massima facilità. Nel bosco invece il rischio che le tracolle o le armi
s’impigliassero nella vegetazione fitta sarebbe stato troppo elevato. Dovevo
poter correre senza dovermene preoccupare e al tempo stesso dovevo poter
sfoderare il Mossberg in un istante, se necessario. Per lo stesso motivo, cioè per
evitare che la catenina s’impigliasse e si spezzasse, tenevo il crocifisso sotto la
T-shirt. Altrimenti se avessi perduto il crocifisso me ne sarei accorta, molto
probabilmente, però sarebbe stato difficile recuperarlo al buio tra le foglie cadute
che coprivano il suolo, senza contare che, se gli esseri soprannaturali cui
avremmo dato la caccia fossero stati davvero zombie, il crocifisso non mi
sarebbe servito a un accidente di niente. Comunque era sempre bene averlo, nel
caso in cui non si fosse trattato di zombie. I caricatori di riserva del fucile a
pompa erano assicurati al calcio, mentre nelle tasche del giubbotto e in quelle
cosciali avevo i caricatori e le munizioni di scorta per le altre armi, nonché una
piccola torcia elettrica. Infilai il cellulare in una tasca chiusa dei jeans. Sopra
tutto l’equipaggiamento indossai una pesante giacca di pelle perché lassù in
montagna faceva freddo. Avevo sentito dire che eravamo sui duemilasettecento
metri di altitudine, perciò, sì, faceva freddo.
Anche Ares e Nicky indossarono i giubbotti e tutti i loro pericolosi giocattoli.
Quando fummo armati fino ai denti, Nathaniel si spogliò completamente e io
rimasi a fissarlo, muta, mentre lui se ne stava lì, tutto nudo e bellissimo, come se
non facesse affatto freddo.
«Blake!» chiamò Al, che stava sul lato opposto del SUV. «Non lasciarti
distrarre, là dietro, okay?»
«Quando non sarò più distratta da Nathaniel tutto nudo sarò morta!»
Nathaniel mi sorrise. «Spostati, se non vuoi sporcarti i vestiti.»
Ero talmente distratta che tardai un momento a capire, poi annuii e
indietreggiai, imitata da Nicky e da Ares. Le prime metamorfosi dei licantropi
sono accompagnate da uno spargimento abbondante di sangue e di fluido
limpido. In seguito, con la pratica, la perdita di sangue cessa e il fluido limpido
diminuisce, ma senza cessare, perché, a quanto pare, è una sorta di lubrificante
che facilita la metamorfosi, sia da umano a bestia, sia da bestia a umano, anche
se nel secondo caso è meno abbondante. Avevo chiesto a tutti i miei amici
mannari perché succedesse e nessuno di loro lo sapeva. Succedeva e basta.
Mentre Nicky rimaneva a scrutare l’oscurità circostante, Ares si girò verso il
SUV. Prima che potessi chiedergliene il motivo, Nathaniel liberò la sua bestia.
La scarica di energia fu così intensa da investirmi come la vampa di un forno,
con una potenza che non avevo mai percepito prima. Dentro di me, il leopardo
dal mantello nero come il carbone si destò, snudando le zanne bianche in un
ringhio. Aveva occhi oro cupo come le monete antiche, colmi di vita e di calore.
Cercai di scaricare l’energia al suolo come mi era stato insegnato, in modo che
gli alberi potessero assorbirla e crescere meglio, ma il mio leopardo non voleva,
anzi, voleva uscire per giocarci. Anche se non potevo trasformarmi, ciò non
significava che le mie bestie non lo desiderassero.
Cominciai ad ansimare come se avessi corso a perdifiato, assordata dal battito
accelerato del mio cuore, in preda a una leggera vertigine, improvvisamente
consapevole di non essere mai salita a una tale altitudine. Subito dopo, le fusa
vibrarono nell’aria e penetrarono nel mio corpo, accarezzandomi la spina
dorsale, mentre un’eco più acuta scaturiva dalle mie labbra umane. Un leopardo
delle dimensioni di un grosso pony, tre o quattro volte più grande di un leopardo
naturale, si scrollava la pelliccia e affondava gli artigli bianchi nel suolo come
per abituarsi alla nuova forma. Era così nero che se fosse stato immobile sarebbe
risultato invisibile nell’oscurità dietro il SUV. Sollevò la testa a guardarmi con
occhi grigio-azzurri, un colore insolito per i leopardi, come avevo appreso.
Sembrava che la metamorfosi avesse voluto produrre un’iride ibrida, più simile a
quella umana che a quella felina. Coi muscoli guizzanti sotto la pelliccia
scintillante alla luce della luna, mi si avvicinò e fece di nuovo le fusa, facendomi
piegare le ginocchia.
Ares mi sostenne per impedirmi di cadere. «Qualcosa non va?»
Nicky si girò verso di noi. «Cos’è successo?»
«Non ne sono sicura», risposi, quasi senza fiato, mentre il leopardo dentro di
me ringhiava e tutto il mio corpo vibrava. A volte facevo involontariamente le
fusa per la felicità. Non ringhiavo mai. Eppure…
«Ha la febbre per via della sua bestia», spiegò Ares.
«Non dovrebbe succedere», replicò Nicky.
Ares abbassò la voce: «Lo so».
Capii perché aveva sussurrato quando Al fece capolino dietro di lui. «Cosa
c’è che non va?» Quando vide Nathaniel in forma felina, sgranò gli occhi e
impallidì un po’.
«Non ne siamo sicuri», ammise Nicky, calmo e inespressivo.
A passi felpati Nathaniel si avvicinò, guardandomi con gli occhi di leopardo
colmi di preoccupazione. Anche se non poteva parlare, avevamo contato sulla
mia capacità di percepire comunque quello che provava e perfino quello che
pensava, giusto?
Nel momento in cui strofinò una guancia folta di pelliccia sulla mia mano,
crollai, costringendo Ares a reggermi di peso. Che cazzo stava succedendo? Non
avevo mai reagito così alla metamorfosi di Nathaniel, anzi, a nessuna
metamorfosi. Mentre Ares mi sosteneva in modo che sembrassi in piedi, benché
fosse lui a reggere tutto il mio peso, Nathaniel sedette sulle zampe posteriori e
mi guardò. Anche se il suo muso appariva inespressivo, come non era neppure in
forma ibrida, capii che era perplesso. Senza sapere come, riuscivo a percepire il
suo stato d’animo come mai prima, benché fosse in forma animale.
«Al, puoi darci un minuto, per favore?» chiese Nicky, sorridendo. Non
appena il vicesceriffo si fu allontanato, il suo sorriso scomparve. Era un
sociopatico, quindi sapeva recitare alla perfezione. «In quale fase del ciclo sei?»
sussurrò.
Aggrappata ad Ares come se fosse lui ad avere bisogno del mio aiuto per
sostenermi, mi sforzai di concentrarmi su Nicky. «Ciclo? Quale ciclo?»
«Il ciclo femminile, il ciclo mestruale.»
«Non ho il ciclo.»
«Lo so. Intendo dire… Se lo avessi, saresti fertile, adesso?»
Fissandolo, corrugai la fronte. «Cosa? Sai che prendo la pillola!»
Allora Nicky fece per toccarmi il viso, si trattenne e si strofinò la mano sui
calzoni come per pulirsela. «Oddio, l’energia è così densa! Come puoi
sopportare di toccarla?»
«La iena non è una delle sue bestie, ricordi?»
Nicky annuì.
«Che mi sta succedendo?» domandai.
«Sei mai stata così vicino a Nathaniel in forma di leopardo mentre eri nel
periodo di massima fertilità?»
Nel riacquistare a poco a poco il controllo di me stessa, mi aggrappai ai
fianchi di Ares per aiutarlo finalmente a sostenermi. «Non lo so, non seguo i
miei periodi di fertilità. Non mi serve, perché prendo la pillola e uso il
profilattico con quasi tutti i miei amanti.»
«Da quando sono con te, ho visto Nathaniel e Micah sempre e soltanto in
forma ibrida. Sei mai stata con loro mentre erano del tutto in forma felina?»
chiese Nicky.
Cercai di ricordarlo. Avrei voluto rispondere: «Sì, certo», ma più ci pensavo e
meno lo ricordavo. Nathaniel aveva sviluppato la capacità di assumere la forma
ibrida dopo essere diventato il leopardo che rispondeva al mio richiamo e adesso
era fiero di padroneggiare tutt’e tre le forme, non più soltanto due. Lo avevo già
visto così? No. E Micah si era mai trasformato completamente in mia presenza?
No. Chimera lo aveva costretto a rimanere in forma di leopardo talmente a lungo
che i suoi occhi non avrebbero mai più riacquistato la forma umana e lui stesso
aveva dichiarato che da allora non gli piaceva più compiere la metamorfosi
completa. Così finalmente risposi: «No».
«Nessuno di voi si trasforma completamente in presenza di Anita»,
intervenne Ares, sempre sostenendomi saldamente, ma non del tutto, perché le
gambe mi reggevano di nuovo.
«Non vuole e non può fare sesso con noi in forma animale completa»,
confermò Nicky.
«Violerebbe il tabù della bestialità», commentò Ares.
«Non si tratta di questo. I leopardi mannari possono fare sesso in forma
animale completa soltanto se la assumono sia i maschi sia le femmine.»
«Questo significa più di quello che sembra, vero?» osservai.
«Credevo che fossi laureata in biologia», ribatté Nicky.
Con un cupo brontolio d’insoddisfazione, Nathaniel attirò i nostri sguardi.
«Talvolta, quand’è nel suo periodo di massima fertilità, la femmina reagisce
più intensamente al maschio in forma animale che al maschio in forma ibrida,
perché, secondo la teoria, il maschio in forma animale emette una maggiore
quantità di feromoni», spiegò Nicky.
Quando Ares provò a lasciarmi, barcollai e mi aggrappai di nuovo a lui,
costringendolo a continuare a sorreggermi. «Non posso fare il mio lavoro in
queste condizioni», dichiarai.
«La tua mente umana troverà una soluzione», assicurò Nicky. «Aspetta
soltanto qualche minuto.»
«Come sai tutte queste cose?» domandò Ares.
«I leoni sono più sociali degli altri grossi felini. Visto che reagisci tanto
intensamente a Nathaniel in forma animale, Anita, dovrai essere prudente
quando sarete in albergo. Non lasciarti tentare dal sesso.»
Nathaniel emise un brontolio profondo e cupo.
Nicky si girò verso di lui. «Le spine del pene.»
In quel momento Nathaniel divenne il felino più deluso che avessi mai visto.
Quanto a me, mi ci volle un minuto intero per capire. «Merda! In forma di
leopardo ha il pene dotato di spine come quasi tutti i felini!»
Nicky annuì. «Se reagisci tanto intensamente a lui adesso, ti converrebbe
stare attenta nel rimanere sola con lui in camera d’albergo. I feromoni possono
letteralmente ubriacare. So che ti piace il sesso rude, ma non sono sicuro di
quanto lo sarebbe mentre lo fate tu in forma umana e lui in forma di leopardo.»
«Non ho nessuna intenzione di farlo», assicurai.
«La tua parte umana non ne ha nessuna intenzione, ma l’idea piace molto al
leopardo dentro di te, altrimenti non avresti reagito così.»
Non mi fu possibile ribattere, anche se avrei voluto. «Okay, ho capito. Niente
sesso con nessuno in forma animale.»
Per evitare il mio sguardo, Nicky chinò la testa.
«Che c’è?»
«I leoni non hanno spine identiche a quelle degli altri felini.» Nicky mi
guardò e sorrise, con l’unico occhio che scintillava, dorato, come quand’era in
forma di leone. Era la sua bestia che mi stava guardando e qualcosa l’aveva
eccitata. «I leoni maschi sono dotati più per il piacere della femmina che per il
loro.»
Nello scrutare l’unico occhio dorato che brillava nel suo bel viso mi resi
conto che l’idea lo eccitava, almeno in parte, se non del tutto. Non sapendo come
replicare alla sua evidente bramosia, scelsi di tacere. La domanda era stata posta
e tutti la ignorammo, lasciandola senza risposta. Dopo qualche altro minuto fui
di nuovo in grado di reggermi autonomamente e assicurai il collare al collo
vellutato e muscoloso di Nathaniel.
Allora Ares notò la scritta incisa sulla targhetta d’argento. «Micino? C’è
scritto davvero Micino?!»
«Sì.» Agganciai il grosso guinzaglio di cuoio al collare, e questa volta toccò a
me distogliere lo sguardo.
«Micino?!» ripeté Ares.
«È il vezzeggiativo che lei usa con lui», spiegò Nicky.
«Lo usa anche Asher», aggiunsi.
«Asher mi ha soggiogato come se fossi niente e mi ha costretto ad
aggredirvi…» Ares fu scosso da un tremito. «Non mi era mai capitato prima.»
«Non sono molti i vampiri che hanno potere sulle iene.»
«Bene.» Ares osservò di nuovo la scintillante targhetta d’argento e
sogghignò. «Micino… Gli sbirri andranno in brodo di giuggiole!»
Fissandolo, corrugai la fronte. «Lo porta soltanto in privato. Al massimo lo
indosserebbe a qualche evento feticista. Non era previsto che lo dovesse mettere
in presenza dei poliziotti.» Quando Nathaniel strofinò una guancia contro la mia
coscia, gli accarezzai la folta pelliccia affondandovi le dita fino a sentire la pelle
calda come se avesse la febbre. Mi era capitato soltanto poche volte fino a quel
momento. Pur sapendo che la maggior parte degli animali ha una temperatura
corporea superiore a quella umana, mi domandai se gli animali mannari
l’avessero sempre tanto alta. Poi chiesi a Nicky di chiamare Al per poter
finalmente cominciare la ricerca di Henry e Little Henry Crawford.
Con un sogghigno che gli andava da un orecchio all’altro, Ares rimase
accanto a me.
«Che c’è di tanto divertente?»
«Hanno tutti quanti un vezzeggiativo così carino?»
«No.»
«Ma dai! Micah ne ha sicuramente uno, e magari anche Sin…»
«Lascia perdere.»
All’arrivo di Nicky coi poliziotti fu il momento di presentare a tutti loro il
micione nero che tenevo al guinzaglio. Sapevo che ogni diffidenza si sarebbe
dissolta quando alcuni di loro lo avessero accarezzato come se fosse stato un
cagnone, ma ce n’erano altri che non volevano neppure avvicinarsi, figurarsi
toccarlo. Al aveva una giacca e uno straccio prelevati dalla vettura dei Crawford,
in modo che Nathaniel potesse annusare l’usta.
La ranger Becker lesse il nome sulla targhetta del collare: «Micino». Poi mi
lanciò un’occhiata e sorrise, con un divertimento represso che le scintillò negli
occhi perfino in quella strana luce.
Fu Travers a leggere a voce alta: «Micino?!»
Roteai gli occhi, mentre Nathaniel, fiutata l’usta, s’incamminava deciso verso
gli alberi, tirando il guinzaglio con tanta forza da costringermi a rincorrerlo. «Ha
trovato la traccia!» Per un po’ avanzò veloce, costringendomi a mantenere la sua
andatura, poi emise un breve brontolio bramoso e iniziammo a correre.
24

ell’oscurità del bosco sconosciuto, sul tappeto di aghi di pino che

N copriva quasi completamente il suolo, i sassi, le rocce, Nathaniel


correva molto più veloce che in forma umana, e io, faticando a
mantenere la sua andatura, mi curvavo e scartavo per evitare i tronchi
e le fronde, con una mano sollevata a proteggere il viso dai rami
troppo alti per lui e troppo bassi per me, svoltando quando lui svoltava, sicura
che nel seguire la sua guida nulla mi sarebbe accaduto. Ero immersa in un
profumo come di alberi di Natale, cui si mescolavano quello del guinzaglio di
cuoio, quello intenso del leopardo e quelli dello shampoo e del sapone di
Nathaniel, che con la trasformazione non erano scomparsi, come non erano
scomparsi i suoi tatuaggi, benché ovviamente nascosti dalla pelliccia.
Mediante la mia leonessa percepivo Nicky, ombra pallida tra gli alberi alla
nostra sinistra, comprendendo per la prima volta che oltre a essere legato a me
come mio sposo lo era anche come leone. In quanto sposo lui era più
consapevole di me di quanto io lo fossi di lui, mentre in quanto leone era
l’opposto. Oltre a non avere nessuna connessione con le iene, non ero
metapsichicamente legata ad Ares, quindi io e lui potevamo comunicare
esclusivamente attraverso i sensi umani. Io dovevo usare i miei occhi umani per
vederlo correre tra gli alberi alla nostra andatura, e viceversa, anche se forse lui
poteva fiutare il mio odore meglio di quanto io potessi fiutare il suo. Comunque
era al nostro fianco.
Concentrata sul leopardo accanto a me, sul suolo impervio, sulle fronde che
mi sferzavano il braccio sollevato a proteggere il volto, su Nicky che ci seguiva
come un satellite e su Ares che ci accompagnava correndo rumorosamente,
dimenticai Al e i poliziotti che ci seguivano finché non mi accorsi delle loro
grida in lontananza, dietro di noi. Allora rallentai e, nel sentire Nathaniel tirare il
guinzaglio, mi resi conto che con la sua forza soprannaturale avrebbe potuto
trascinarmi senza difficoltà e senza riguardo, anziché accettarmi come
«accompagnatrice».
«Rallenta, Nathaniel», ordinai con decisione, come mi era stato insegnato di
fare coi cani quando sembrano in procinto di comportarsi male. Il leopardo
gigantesco rallentò e girò la testa a guardarmi con un’implorazione che mio
malgrado non riuscii a decifrare. Così abbassai un po’ le difese, e d’improvviso,
attraverso la condivisione di tutte le sue percezioni olfattive, uditive, tattili, la
notte divenne colma e viva di odori, suoni, forme, di cui fino a quel momento
ero stata inconsapevole.
Gli odori ammantavano ogni cosa come una spessa coperta invisibile e
mobile che m’impregnava. Alla nostra destra c’era un esserino commestibile
dalla folta pelliccia che aveva odore di topo senza essere un topo. La fragranza
dei pini era tanto intensa che Nathaniel l’aveva filtrata, escludendola dalla
propria percezione consapevole come l’udito umano avrebbe escluso un
incessante rumore di macchinari in sottofondo. C’erano così tanti odori che la
mia mente umana, incapace di trovare parole per nominarli, riusciva a
identificarli esclusivamente associando a ciascuno un riferimento visivo, un
colore. Ero un primate, e nei primati la vista è preminente, così traducevo le
meravigliose informazioni olfattive in colori: gli odori penetranti e caldi erano
rossi, quelli morbidi e tranquilli erano blu, quelli piccanti erano marroni e rossi,
l’abete era azzurro e verde, la pineta era un oceano verde in cui potevamo
nuotare, liberi di percepire tutti gli altri odori. Fino a quel momento non mi ero
mai resa conto di quanto fosse limitato il mio mondo umano per le mie bestie, e
di quanto dovessero sentirsi frustrate a essere intrappolate in un corpo umano
tanto scarsamente dotato della capacità di fiutare odori nel vento.
Avevo sempre creduto che le mie bestie soffrissero per i limiti della loro
prigione umana, priva di artigli e di zanne, dunque scarsamente o per nulla
dotata della capacità di aggredire, di arrampicarsi, di fuggire. Finalmente, nel
condividere le percezioni di Nathaniel in forma di leopardo nella foresta, mi
rendevo conto che il tentativo della mia mente umana di decodificare gli odori,
così maldestro da fornirmi nulla più di una percezione frammentaria, era analogo
a quello di descrivere i colori a un cieco, anche se le schegge che raccoglievo mi
apparivano meravigliose. Come descrivere il rosso senza ricorrere al calore?
Eppure il fuoco era anche arancione e giallo, perfino azzurro, e c’è un motivo se
si dice «calor bianco». Come descrivere il rosso a chi non l’ha mai visto? Come
avrebbe potuto, la bestia, rendere comprensibili gli odori al mio naso umano
quasi cieco?
Quando il leopardo strofinò la sua grossa testa contro la mia mano, mi resi
conto di piangere. Stavo piangendo perché forse avevo finalmente capito quello
che in precedenza non avevo mai compreso, e mi rendevo conto dell’immensità
cui non avevo accesso.
Mentre il leopardo si strofinava contro le mie gambe, gli tenni una mano sulla
folta pelliccia vellutata per lasciarmela scorrere tra le dita, chiedendomi fino a
che punto Nathaniel in forma felina capisse perché piangevo. In ogni caso era
sufficiente che percepisse la mia tristezza, come l’avrebbe percepita qualsiasi
gatto domestico.
Anche Nicky la percepiva e mi passò un braccio intorno alle spalle per
confortarmi, obbedendo all’impulso che provava in quanto sposo, e io appoggiai
la testa al suo caldo torace muscoloso. Ricordai che avevamo chiamato Nicky
mio «sposo» per analogia con le Spose di Dracula nei famosi film dell’orrore, e
anche perché Dracula era il vampiro più famoso ad avere posseduto il potere di
creare «spose». Così, pensando a qualcosa di cui a nessun animale poteva
importare un cazzo, qualcosa di completamente estraneo al leopardo e alla
leonessa dentro di me, come il mondo olfattivo era del tutto estraneo a me, mi
distaccai dalle percezioni che Nathaniel mi trasmetteva e tornai all’interno del
mio corpo, con la sua limitata percezione, nonché all’interno della mia mente. In
breve, ritornai in me stessa.
Un po’ in disparte, Ares scrutava l’oscurità. «Oddio, quanto fracasso fanno!»
Drizzai la testa per ascoltare e, quando il leopardo si appoggiò di peso alla
mia gamba, mi aspettai che rimanesse a sua volta immobile, in ascolto. Invece
non fu così. Aveva già sentito e fiutato i poliziotti mentre io piangevo,
abbandonata al suo conforto e a quello di Nicky, sprofondata nei miei pensieri.
Nicky mi baciò la fronte. «Le percezioni di Nathaniel sono state troppo per la
tua mente umana, vero?»
Lo guardai, tergendomi le lacrime dal viso. «Sì. Come lo sai?»
«Ho percepito in parte le tue sensazioni.» Nicky posò una guancia sui miei
capelli, stringendomi al suo petto, mentre il leopardo mi leccava una mano e mi
annusava.
«Io non riesco a percepire le tue sensazioni…»
«E neanche le mie emozioni. Io invece sento le tue.»
Corrugai la fronte, riflettendo. «Essere mio sposo sembra un rapporto
unilaterale, come se a me non dovesse fregare un accidente di niente dei tuoi
sentimenti e dei tuoi bisogni, ma soltanto dei miei…»
«Sì.» Nicky si strinse più forte a me senza escludere Nathaniel, che si
strofinò contro le gambe di entrambi, non per separarci, bensì per unirci tutti e
tre.
L’energia era tranquilla, confortante. L’unica a pensare che non avremmo
dovuto essere tanto felici ero io. Avere soggiogato completamente Nicky
continuava ad angosciarmi.
Come se lo avesse sentito, e forse lo aveva sentito davvero, Nicky dichiarò:
«Sono più felice di quanto sia mai stato prima che tu mi portassi a St. Louis,
Anita».
«Non ti turba sapere che è soltanto l’effetto dei poteri vampirici,
un’illusione?»
«No.» Nicky mi baciò dolcemente, poi mi sussurrò sulle labbra: «Sono felice.
Perché dovrebbe importarmi cosa l’ha reso possibile?»
Avrei voluto replicare che gliene sarebbe dovuto importare, ma tacqui e mi
lasciai baciare di nuovo, mentre Nathaniel si strusciava tra le nostre gambe come
un gatto gigantesco. Le sue fusa fremevano contro i nostri corpi come le
vibrazioni di un motore di felicità rivestito di muscoli, di pelliccia e di bellezza,
perché era bellissimo anche in forma felina. Fu proprio come essere a letto
insieme, tutti e tre in forma umana. Forse ero inebriata da una dose di leopardo
un po’ troppo pesante.
«I poliziotti stanno per arrivare», annunciò Ares.
Ci separammo, così Al e gli sbirri ci trovarono semplicemente immobili ad
attenderli, senza abbracci né baci. D’un tratto ricordai il mio rossetto, lanciai
un’occhiata a Nicky e vidi che aveva le labbra un po’ macchiate, anche se ci
eravamo baciati dolcemente. Ormai la prova non si poteva più nascondere. Se si
fosse pulito le labbra, avrebbe soltanto peggiorato la situazione. Forse al buio
nessuno se ne sarebbe accorto… se non avessero avuto le torce elettriche a
guastare la vista notturna a loro stessi e a noi! Davvero qualche torcia illuminò
ripetutamente la faccia di Nicky, o forse fu soltanto una mia impressione, dovuta
alla mia solita paranoia?
«Mi dispiace che abbiate dovuto aspettare tanto per essere raggiunti da noi
miseri umani», esordì Travers. «Però immagino che così abbiate avuto il tempo
di sbaciucchiarvi, invece di andare in cerca delle persone scomparse.»
Dato che spiegare era impossibile come negare, non mi rimase che essere
sfrontata. «Saremmo rimasti a rigirarci i pollici in attesa del vostro arrivo, se
avessimo saputo che ne sareste stati più felici.»
«Little Henry è mio amico, e sapere che ve ne siete stati qui a baciarvi,
mentre lui potrebbe essere ferito, o anche peggio, invece di cercarlo… be’, sì, mi
disturba. Per giunta è maledettamente poco professionale.»
Mentre Nicky raddrizzava le spalle, Nathaniel emise un brontolio gutturale
che non fu di minaccia, ma neppure di gioia, e Ares si avvicinò. Allora gli sbirri
lasciarono ricadere le braccia lungo i fianchi e divaricarono le gambe.
Sospirai lentamente. «Hai ragione, non è stato affatto professionale. Non
succederà più.»
Travers parve sconcertato dalle mie scuse. «Ho sentito dire che hai un
caratteraccio e che non cedi mai, Blake…»
Scrollai le spalle. «È vero ma, quando sbaglio, sbaglio.»
«Visto che si parla di sbagliare, non potreste rimanere un po’ più col
gruppo?» intervenne Horton. «È difficile coordinare le nostre risorse se ci
sparpagliamo tutti quanti per il bosco.»
Annuii. «D’accordo.»
La luce diffusa dalle torce elettriche, incluse quelle puntate al suolo, fu
sufficiente a mostrare che Horton corrugava la fronte. «L’agente Travers ha
ragione. Hai reputazione di essere molto più scontrosa e molto meno disponibile
a collaborare…»
«Ero così quand’ero più giovane», replicai.
Anche se si sforzò di trattenersi, Horton sorrise. «Più giovane? E di quanto?»
chiese poi, perplesso. «Non puoi avere più di venticinque anni.»
«Ne ho trenta.»
«Anche se ho visto i tuoi documenti, mi sembri più giovane.»
«Perché tu sei alto e io sono bassa. Chi è più alto sembra più vecchio, chi è
più basso sembra più giovane. Non so perché, ma è così.»
Di nuovo Horton sorrise. «È abbastanza vero.»
«Possiamo ricominciare a cercare il mio amico, adesso?» chiese Travers.
Guardai il grosso leopardo seduto accanto a me, e lui mi ricambiò con occhi
felini. «Trovali. Segui l’usta.»
Il leopardo continuò a fissarmi.
Nell’eventualità che le parole non avessero più tanto significato per lui,
pensai di visualizzare quello che volevo e immaginai la giacca e il cencio che
aveva fiutato.
Allora Nathaniel si alzò, girandosi con un armonioso movimento
semicircolare, per poi avviarsi nella direzione in cui avevamo corso, senza
neanche fiutare il suolo, né il vento, nulla, come se sapesse perfettamente dove
andare.
25

l cadavere giaceva in un bosco di pioppi tremuli, che coi loro tronchi

I bianchi sembravano sentinelle spettrali. Era un bel posto per lasciare un


morto. Purtroppo quello che gli era stato fatto non era per niente bello. Era
una di quelle scene del crimine in cui il cervello all’inizio rifiuta di
elaborare ciò che la vista percepisce. Se si distoglie lo sguardo e non la si
osserva più, si è protetti dall’orrore della verità. Sfortunatamente il mio lavoro
non consiste nel distogliere l’attenzione, bensì nel concentrarla, e così osservai
ciò che restava di uno degli uomini scomparsi. Non sapevo chi fosse, anche
perché non conoscevo nessuno dei due. Ero sicura soltanto che si trattava di un
unico cadavere, e le sue condizioni erano tali che era davvero difficile sperare
che l’altro fosse ancora vivo.
A giudicare dalla corporatura era un uomo. Gli indumenti erano stati rimessi
dopo la morte, oppure erano stati scostati non più del necessario per sbranarlo.
Era qualcosa che né gli zombie né i necrofagi avrebbero potuto fare. I licantropi
avrebbero potuto farlo, ma perché? Avrebbero potuto benissimo divorare tutte le
prove, invece. Anche i vampiri avrebbero potuto farlo, ma, anche nel loro caso,
perché? Inoltre grossi pezzi di carne erano stati staccati dal cadavere, e i vampiri
non si nutrono di carne umana, perché non possono digerirla. Se gli assassini
fossero stati umani cannibali, i morsi sarebbero stati necessariamente pochi.
Invece erano come minimo dieci, inflitti da almeno due mostri diversi. Erano
forse gli stessi che avevano aggredito le vittime che avevo visto in obitorio? La
faccia era stata completamente sbranata. Non era sfigurata, era scomparsa.
Stavamo aspettando i tecnici della scientifica, che avrebbero illuminato la scena
a giorno, e allora ignorare tutto quell’orrore sarebbe stato impossibile.
Avevo chiesto a Nicky di condurre Nathaniel abbastanza lontano da
impedirgli di vedere, ma non tanto da impedirgli di fiutare, perché molto
probabilmente il suo odorato percepiva molte più cose di quante ne percepisse la
mia vista. In seguito, quando fosse stato di nuovo in forma umana e in grado di
parlare, avremmo confrontato le nostre percezioni. Per il momento volevo
evitare che il mio fidanzato vedesse gli orrori che io ero costretta ad affrontare
per lavoro. Nicky aveva acconsentito purché Ares mi rimanesse accanto, e io
non mi ero opposta. Era un veterano, era stato in guerra, senza dubbio aveva
visto orrori analoghi o perfino peggiori, quindi era in grado di sopportarli senza
batter ciglio. Ci si può burlare dei Marines finché si vuole, ma non si perdono
d’animo, non si spaventano, e questa è una qualità che mi piace.
Alla mia destra c’era il vicesceriffo Al, alto e magro. Alla mia sinistra c’era
Ares, alto come lui, snello, muscoloso, solido e forte. Aveva gli occhi vacui e
una faccia che avrei definito faccia da sbirro, se fosse stato uno sbirro. Invece
non lo era, perciò mi chiedevo se fosse una faccia da marine.
Molti sbirri e molti ranger si erano trovati qualcosa da fare ai margini della
scena del crimine, il più lontano possibile dal cadavere. Non potevo biasimare
quelli che avevano fatto di tutto per ottenere altri incarichi. Però stavo prendendo
nota mentalmente di chi era abbastanza duro per svolgere l’indagine, e di chi non
lo era.
«Omioddio!» esclamò un giovane agente, restando quasi senza fiato.
Mentre mi giravo a guardarlo, Al gli illuminò il viso col raggio della torcia
elettrica. «Tutto bene, Bush?»
«Allontanati», ordinai al giovane agente.
Bush mi fissò con occhi che sembravano in procinto di schizzare dalle orbite.
La gola gli si contraeva convulsamente.
Lo afferrai, costringendolo a girarsi, poi lo spinsi via. «Non vomitare sulla
mia scena del crimine, cazzo! Vattene!»
Lui s’incamminò barcollando verso il buio margine del bosco e iniziò a
vomitare prima ancora di arrivarci.
«Come l’hai capito?» chiese Al.
«Ho visto un sacco di cose orrende.»
Al bordo opposto della radura, altri sbirri vomitavano, e perfino altri due
agenti nel bosco. Merda! Il cadavere non puzzava ancora di decomposizione, ma
l’odore acre del vomito si mescolava a quello del sangue che si stava
coagulando. Al deglutì a fatica.
«Tutto bene?» domandai.
Lui si sforzò di annuire.
Vedere altri che vomitano fa venire da vomitare. Anni fa era capitato anche a
me. Ormai però non vomitavo più sulla scena del crimine.
Nel frattempo Horton si era avvicinato. «La tua scena del crimine?»
«Qui c’è uno stronzo soprannaturale che massacra la gente e io sono marshal
federale della squadra soprannaturale.»
«Non abbiamo chiesto l’intervento dei federali», puntualizzò Horton.
«No, infatti.» All’improvviso mi sentii stanca.
«Dunque è la nostra scena del crimine, se non decidiamo altrimenti.»
«Benissimo. Sbrigatevela da soli.»
Fissandomi, Horton corrugò la fronte. «Sai una cosa? Non sei tosta come ti
hanno descritta alcuni colleghi della polizia di Stato…»
«Preferisco tornare da Micah a scoprire come sta suo padre, piuttosto che
rimanere qui a contendermi il cadavere con te in una gara a chi piscia più
lontano.»
«Dovresti essere una grande esperta!» mi gridò Travers, dal buio al margine
opposto della radura. «Cos’ha ucciso Crawford? E dove cazzo è Little Henry?»
Aveva i pugni sui fianchi e si sforzava di nascondere gli altri sentimenti dietro la
rabbia. Probabilmente stava considerando la possibilità che pure il cadavere del
figlio, suo amico, fosse nelle stesse condizioni di quello del padre, chissà dove.
«Potrebbe essere un escursionista?» chiesi sottovoce ad Al e a Horton.
«L’escursionista è più basso», rispose Al.
«Okay… Come sappiamo che è Crawford padre e non Crawford figlio?»
«Little Henry ha i capelli lunghi fino alle spalle, mentre Henry è quasi
calvo.»
Tutti e tre guardammo il cadavere. Il sangue che lo imbrattava non
nascondeva la calvizie.
«Okay, allora questo è Henry padre.»
«Perché gli hanno sbranato la faccia?» chiese Al, ponendo una domanda da
recluta che un veterano non avrebbe mai formulato.
Non esistono motivazioni per le atrocità commesse dai cattivi. I possibili
motivi patologici non sono veri motivi. L’unica vera risposta è sempre la
medesima. Perché il cattivo fa una cosa davvero cattiva alla vittima? Perché può.
Questa è l’unica possibile risposta. Tutto il resto non è altro che chiacchiere di
avvocati e di profiler.
«Anche una delle vittime alla morgue è stata aggredita al volto», ricordai.
«Sì, ma era un morso. Questo invece… Questo non è soltanto un morso…»
Al si era posto una domanda che di solito gli sbirri smettono di porsi quando
arrivano alla sua età, ma quello cui alludeva, senza dirlo esplicitamente, era tutta
esperienza da sbirro.
«No, infatti», convenni.
«Non ho visto tutti i cadaveri all’obitorio», dichiarò Horton.
Con la coda dell’occhio vidi arrivare Travers. Quando Ares si spostò davanti
a me per intercettarlo, dissi: «No, Ares».
Lui mi fissò inarcando le sopracciglia. «È almeno dieci centimetri più alto di
me e almeno venti chili più pesante…»
«Sì, e otto di quei chili non sono muscoli.»
«Ma dodici lo sono.»
«Non importa. Tu devi proteggermi soltanto dai cattivi, non dagli altri sbirri.»
Anche se la sua faccia rivelava il desiderio di ribattere, Ares indietreggiò per
lasciare che Travers mi si avvicinasse.
«Forza, asso! Stupiscici!» quasi gridò Travers. Non aveva neppure gli occhi
lustri, eppure la sua voce roca tradiva il pianto, trattenuto con uno sforzo
immane, che la rabbia lo aiutava a sostenere. Era lo stesso metodo per respingere
il dolore che era stato per anni il mio prediletto.
«Non è stato ucciso qui», affermai, con voce calma.
«Sì, non c’è abbastanza sangue. Qui lo hanno soltanto abbandonato. Dimmi
qualcosa che non so.»
«Little Henry è grande e grosso come il padre?»
«Sì, è una delle ragioni per cui siamo amici. Siamo tutti e due grandi e grossi.
Non avevamo altra scelta che odiarci o diventare amici, e siamo diventati
amici.»
«Al mi ha detto che lui e suo padre hanno gridato di avere trovato qualcosa, e
poi più nulla.»
«Sì, io ero là. Perciò mi stai ripetendo le stronzate che so già!» gridò Travers.
Mi lasciai investire dalla sua rabbia, perché aveva tutto il diritto di sfogarsi.
Quello era il cadavere del padre del suo migliore amico, tuttora scomparso. «Hai
sentito lottare, gridare, chiedere aiuto?»
Travers scosse la testa. «No, niente.»
«Erano addestrati a combattere?»
«Henry era un marine dei battaglioni di ricognizione e si allenava in palestra.
È stato lui a insegnare il pugilato a Little Henry e a me. Little Henry era nelle
forze speciali.»
«Tutti e due sul metro e novantacinque.»
«Little Henry era quasi due metri.»
«Okay, due uomini molto alti e molto robusti, entrambi addestrati al
combattimento. Nessuna persona o nessuno zombie avrebbe mai potuto
neutralizzarli entrambi tanto rapidamente da impedire loro di chiedere aiuto o di
lanciare l’allarme.»
Travers parve riflettere. «No, si sarebbero difesi entrambi. Little Henry era
cambiato, quand’è tornato dal servizio militare. Non ne parlava mai, però gli era
successo qualcosa di brutto e la gente non gli piaceva più tanto. Per questo,
credo, è andato a lavorare col padre. Così aveva poco a che fare con altra gente e
passava molto tempo nei boschi, sui monti. Tutti e due amavano molto la
natura.»
Mi domandai se si rendesse conto di stare parlando dell’amico al passato.
Probabilmente no. «Allora perché hanno seguito i mostri?» domandai.
«Non lo so!» gridò Travers, avvicinandosi tanto da torreggiare su di me, cosa
che gli riusciva benissimo.
Ma io ci avevo fatto l’abitudine perché sono sempre stata la più piccola della
classe. Tenevo le braccia lungo i fianchi e avevo spostato un piede in avanti,
assumendo una posizione che non bastava per indurre Travers a diventare
violento, però mi avrebbe consentito di difendermi se lui mi avesse aggredita.
Benché fosse uno sbirro, e quindi un collega, era grande e grosso e afflitto per la
scomparsa dell’amico, nonché per la morte del padre di questi, e talvolta il
dolore spinge ad agire come normalmente non si agirebbe, tipo tirare un cazzotto
a una collega.
Allora Horton intervenne: «Agente Travers, andiamo a fare due passi».
«No, Blake dovrebbe essere l’esperta di mostri e non ci ha ancora detto
niente. Ha soltanto fatto una serie di domande, mentre Henry è qui… così…»
Travers si girò e si allontanò perché non lo vedessimo piangere.
Quando Horton si accinse a seguirlo, Al suggerì: «Lascialo andare».
Per un momento Horton sembrò intenzionato a ribattere e a seguire Travers,
poi seguì il suggerimento e rimase.
«Come sapevi che non ti avrebbe picchiata?» mi chiese Ares.
«Non lo sapevo.»
Ares inarcò le sopracciglia, fissandomi nel modo che il commento meritava.
«Sai, è difficile proteggerti se mi ordini di stare alla larga ogni volta che qualche
uomo grande, grosso e furibondo ti aggredisce.»
«È stata la prima volta.»
«Con me, ma ho sentito i racconti di quelli che ti scortano più spesso.»
«Sì, sono una grandissima rompicoglioni.»
«No… Be’, sì!» Ares sorrise, poi scosse la testa, corrugando la fronte.
«Comunque sei scontrosa.»
«Puoi dirlo forte.»
«Devono essere stati i nostri zombie assassini», dichiarò Al.
«Perché?» domandai.
«Perché, se non sono stati loro, allora abbiamo un altro grosso problema, e
non riesco a credere che quassù ci siano due diversi tipi di mostri cannibali. È
una zona isolata. Non ci sarebbe bisogno di un bel po’ di persone che vengano
trasformate in mostri?»
«Sì, se prima di diventare mostri si è umani.»
«Stai dicendo che il mostro che ha fatto questo non è umano, nel senso che
non è mai stato umano?»
«No.»
«Allora cosa vuoi dire?»
«Voglio dire che non so che mostro sia. Se è uno zombie, allora non ne ho
mai visti di simili. L’unico zombie cannibale che ho eliminato io stessa divorava
i cadaveri quasi completamente, quasi come un licantropo, straziandoli ancora di
più. Questo invece sembra quasi umano.»
«Vuoi dire che è stata una persona a fare questo?» chiese Horton.
«Sì.»
«La gente non fa queste cose», ribatté Al. «Soltanto i mostri le fanno.»
«Sai bene che talvolta gli stupratori e i serial killer mordono le loro vittime.»
«Sì, un morso o forse due, ma non così.»
«Alcuni serial killer asportano parti del corpo e le conservano per mangiarle
in seguito», ricordai.
«Sì, ma non un morso alla volta. Macellano le vittime, quando intendono
conservarne le carni per poi cucinarle.»
«Ti sei informato, perciò sai che da sempre gli esseri umani infliggono
stronzate orribili ai loro simili.»
«Non sto dicendo che le persone sono incapaci di fare cose come questa. Sto
dicendo che non credo che in questo caso si tratti di persone.»
«Non lo credi perché non vuoi che sia così?»
«No, non lo credo perché nessun essere umano avrebbe potuto costringere i
Crawford ad abbandonare le ricerche degli escursionisti e a seguirlo. Soltanto un
essere soprannaturale può averli sopraffatti tanto rapidamente e in assoluto
silenzio. Il gruppo di ricercatori cui appartenevano si trovava a breve distanza,
marshal. Non credo che alcuni esseri umani possano esserci riusciti.»
Annuii. «Gli zombie sono soltanto cadaveri ambulanti, vicesceriffo. Non
posseggono capacità speciali, se non quella di essere più difficili da eliminare.
Alcuni zombie cannibali sono superveloci, e tutti sono più forti dei normali
esseri umani.»
«Perché?» chiese Horton.
«’Perché’ cosa?»
«Perché tutti i non morti umani sono più forti degli umani vivi? Cioè,
all’inizio sono come noi. Allora perché essere non morti li rende più forti di
noi?»
«Ottima domanda. Vorrei avere un’ottima risposta, ma sinceramente non lo
so. Lo sono e basta.»
«Non intendo lagnarmi o contestarti, ma… tu dovresti essere l’esperta e
finora non ti ho sentito dire nulla che derivi da una competenza speciale.»
«Non avevo mai visto un’aggressione simile. Questo cadavere è diverso
perfino da quelli all’obitorio, tranne per i morsi, che comunque non sono
identici. Quelli all’obitorio hanno un morso ciascuno e sono morti d’infezione. È
un’infezione strana, e comunque è proprio l’infezione ad averli uccisi. Invece
Henry Crawford non è morto di malattia, neppure di una malattia soprannaturale.
I morsi non sono di zanne animali, quindi non sono stati licantropi. Sembrano
morsi umani e ne ho visti almeno due di diametro diverso, cioè inflitti da
individui diversi. Gli zombie cannibali sono solitari, non agiscono in gruppo, e
divorano quasi completamente i cadaveri.»
«I necrofagi non vanno a branchi?» chiese Horton.
«Sì, però sono legati al cimitero che contiene le loro tombe. È molto raro che
possano varcarne i confini, e di solito è necessario qualcosa che lo consenta,
come la negromanzia, oppure un incantesimo.»
«Se fossero arrivati fin qui, i necrofagi potrebbero fare una cosa del genere?»
chiese Al.
Nell’osservare di nuovo il cadavere, ci pensai. «È possibile, però anche loro
di solito divorano il cadavere. È cibo per loro come lo è per gli zombie cannibali.
Chi ha commesso questo scempio non l’ha fatto per nutrirsi.»
«Come lo sai?» domandò Al.
«Perché non hanno mangiato abbastanza.»
«E se avessero divorato Little Henry e si fossero limitati a torturare Henry?»
suggerì Horton.
«I necrofagi non hanno nessun potere che consenta loro di soggiogare le
vittime. Come avrebbero potuto rapirli o attirarli in una trappola senza che
avessero il tempo di chiamare aiuto o di lanciare l’allarme?»
«I vampiri possono soggiogare», osservò Horton.
«Sì, ma non divorano la carne. A un primo esame non vedo segni di zanne,
vedo soltanto morsi inflitti con dentatura umana, o simile a quella umana.»
«Quale mostro possiede denti umani e può fare una cosa del genere?»
Sospirai, e fu un sospiro troppo profondo, tanto che fiutai il fetore del
cadavere che ormai stava cominciando a decomporsi. Eppure non avrei dovuto
fiutarlo con tanta intensità. Il mio olfatto si era forse raffinato a causa del legame
con Nathaniel in forma di leopardo? Speravo di no, perché non ero sicura che
potesse essere un vantaggio sul lavoro.
«Nel folklore si racconta di molti esseri che hanno denti simili a quelli umani
e aggrediscono le persone», suggerì Horton.
«Per esempio?» domandò Al.
Scossi la testa. «Sinceramente, questo non mi ricorda nulla di cui si narri nel
mito o nel folklore. Mi dispiace, davvero. Non sono abituata a rimanere così
senza risposte.»
«Ci hai aiutati a trovare Henry», osservò Al. «È già qualcosa.»
Dopo averne convenuto, Horton guardò alle mie spalle. «Stanno arrivando le
tue guardie del corpo. Forse dovresti tornare da Mike e dalla sua famiglia…»
Mentre Nicky arrivava affiancato da Nathaniel, col guinzaglio così lento da
sfiorare il suolo, Ares annunciò: «Anita, ho chiamato Nicky».
«Perché?» domandai.
«Perché credo di vedere alcune tracce, e se mi concentro a esaminarle non
posso proteggerti.»
«Ci sono tracce ovunque, qui», osservò Horton.
«È una zona molto frequentata dai campeggiatori e dagli escursionisti»,
aggiunse Al.
«Escursionisti che camminano scalzi?» ribatté Ares.
I due sbirri si scambiarono un’occhiata.
Intanto Nicky arrivò con Nathaniel, ascoltò Ares che gli spiegava perché lo
aveva chiamato, e iniziò a scrutare il bosco buio, all’erta.
Accosciato, Ares scrutò il suolo circostante alla luce di una torcia elettrica
sfilata da una tasca, poi s’incamminò lentamente verso il bosco all’estremità
opposta della radura, curvandosi più volte a esaminare il suolo. Infine tornò da
noi. «Ci sono due serie di tracce, una di piedi nudi e una di stivali. Quelle che
sono state lasciate entrando nella radura sono più profonde di quelle che sono
state lasciate uscendone.»
«Stai pensando che le abbiano lasciate nel trasportare qui il cadavere»,
dedussi.
«Sì.»
«Puoi seguirle a ritroso?»
«Sono meno nitide tra gli alberi. Qui il suolo è più morbido. Posso dire da
quale direzione sono arrivati e in quale se ne sono andati, ma è quasi impossibile
seguirle nel bosco al buio. E, se l’altro Crawford non è stato ancora ucciso,
potrebbe non sopravvivere fino all’alba.»
«Se hai un suggerimento, è il momento di proporlo», dissi.
«Nathaniel potrebbe fiutare l’usta di uno di quelli che hanno trasportato qui il
cadavere. Se riuscisse a seguirla a ritroso, mi faciliterebbe nel trovare le tracce.»
«Non voglio che Nathaniel si avvicini al cadavere.»
«Perché? Temi che si spaventi?»
Il leopardo emise un cupo brontolio, quasi singhiozzante, e mi fissò negli
occhi. Anche se forse la sua mente non era esattamente umana, il suo sguardo
grave non era felino. Manifestava troppa intelligenza, troppa… personalità.
«Cosa vuoi fare?» domandai.
Per tutta risposta il leopardo si avvicinò al cadavere con cautela, come per
timore di contaminare le prove, vi si accoccolò accanto e ringhiò. Poi si alzò e
sembrò… perplesso, come se non riuscisse a interpretare l’odore che stava
fiutando.
«Che succede, Nathaniel?»
Il leopardo mi guardò in silenzio.
Avrei potuto abbassare le difese per condividere le sue sensazioni, ma dopo
l’ultima volta che lo avevo fatto non ero più tanto sicura che fosse una buona
idea.
«Vuoi forse chiedergli dove sia Little Henry?» chiese Horton.
Lo fissai, corrugando la fronte.
«Be’, mi sembra che tu non riesca a capirlo meglio di quanto lo capisca io.»
«Prima lo capivo benissimo. Adesso il contatto metapsichico è troppo
intenso. Proprio per questo siamo partiti di corsa e vi abbiamo distanziati. Ho
bisogno di avere maggior controllo.»
«Se potete seguire a ritroso le tracce di questo mostro fino alla tana, allora
bisogna che rimaniate con noi», dichiarò Al. «Non dovete più correre via per
conto vostro come avete fatto prima.»
«Non so con cosa abbiamo a che fare, però so che non voglio condurre
Nathaniel ad affrontarlo senza tutto il sostegno possibile da parte della polizia.»
«Abbastanza giusto.» Al annuì. «Comunque non lasciarti travolgere di nuovo
da tutta questa roba metapsichica.»
«Farò del mio meglio.» Ciò detto, mi rivolsi a Nathaniel. «Hai fiutato
l’usta?»
Il leopardo rispose allontanandosi da Nicky e da me per accostarsi ad Ares e
rimanere a fissarlo.
Anche se sapevo che non avevano nessuna connessione metapsichica, Ares
parve comprenderlo. «Vuole che io lo tenga al guinzaglio per seguire le tracce
insieme.»
«Tu con la vista e lui col fiuto», dedussi.
Ares annuì.
Con un sospiro, presi il guinzaglio dalla mano di Nicky e mi accovacciai di
fronte al grosso leopardo; gli presi il muso tra le mani, e lo scrutai negli occhi
per cercare di «vedere» Nathaniel dentro di lui. «Ti amo», sussurrai.
Allora lui fece le fusa e si strofinò contro il mio viso spingendo tanto forte da
rischiare di rovesciarmi all’indietro.
Mi aggrappai a lui in un abbraccio, poi lo lasciai, restando accovacciata. «Sii
prudente.»
Il leopardo si strofinò contro la mia spalla e mi girò intorno, tracciando un
cerchio quasi perfetto e continuando a fare le fusa. Probabilmente nel linguaggio
dei leopardi significava qualcosa come: Sarò prudente. Sii prudente anche tu. Ti
amo. O forse voleva soltanto lasciarmi il suo odore, in modo che tutti gli altri
animali mannari sapessero che appartenevo a lui. O magari voleva tutto questo
insieme, e anche di più.
Finalmente consegnai il guinzaglio ad Ares.
«Grazie per la fiducia.»
«Ho fiducia in tutti e due.»
Con un sorriso, Ares si girò per condurre Nathaniel al bordo della radura,
dove aveva perso le tracce. Il leopardo si accoccolò a fiutare il suolo e snudò le
zanne per «assaporare» l’usta.
Nicky mi posò una mano sopra una spalla. «Nathaniel può farcela, Anita.»
Mi limitai ad annuire perché non mi fidavo della mia voce.
Ringhiando nuovamente, Nathaniel si avviò deciso verso gli alberi.
«Credo che abbia trovato l’usta», dichiarai nell’incamminarmi, affiancata da
Nicky.
Lasciando soltanto alcuni agenti a presidiare la scena del crimine, Al e
Horton ci seguirono con la maggior parte degli sbirri, nella speranza di poter
salvare Crawford, anziché doverlo seppellire.
Pregai che arrivassimo in tempo e che Nathaniel non rimanesse ferito. Il
rischio faceva parte del lavoro per Ares, per Nicky e per me. Invece Nathaniel si
spogliava per vivere, e il rischio maggiore che affrontava abitualmente era che le
ammiratrici troppo ardenti gli strappassero il tanga sul palco o che lo pedinassero
dopo lo spettacolo. Aiutarci a braccare i mostri che avevano sbranato il viso di
Henry Crawford non era tra le competenze del mio amato.
26

entre il leopardo seguiva l’usta, Ares trovò di quando in quando

M qualche traccia, qualche ramo spezzato, muschio lacerato e


spiaccicato. Sembrava un vero e proprio scout indiano, e con tutta
probabilità esercitava semplicemente le capacità che aveva
sviluppato come «cecchino scout», ma nell’oscurità, in montagna,
con un felino gigantesco che gli camminava silenziosamente accanto, era
impressionante e surreale.
La nostra avanzata era lenta perché Ares stava tentando di valutare con quanti
zombie, persone, o quello che erano avevamo a che fare. Io volevo
semplicemente farla finita. Avevo i muscoli tra le scapole sempre più contratti
per la tensione. Avevo suggerito ad Al di chiamare la SWAT, però eravamo nel
bel mezzo del nulla e tecnicamente la cittadina non aveva nessuna squadra
SWAT. In via ufficiosa avrebbe potuto chiedere aiuto a Boulder, o perfino alla
squadra soccorso ostaggi dell’FBI, ma di fatto eravamo soli.
Era la presenza di Nathaniel a rendermi nervosa? Forse. Comunque non mi
piaceva non sapere cosa avesse ucciso Crawford padre. Se si fosse trattato di
umani impazziti, allora non vi sarebbe stato nessun problema. Se invece si fosse
trattato di qualcos’altro? L’unico zombie cannibale che avevo braccato in passato
era andato maledettamente vicino ad ammazzarmi. D’altronde era stato simile a
un assassino disorganizzato, cioè si era abbandonato a massacri orrendi e aveva
divorato quasi completamente i cadaveri delle proprie vittime, mentre i morsi sul
cadavere di Crawford non suggerivano nulla del genere. Com’era stato possibile
rapire lui e suo figlio a così breve distanza dalla squadra di ricerca? Avevamo
troppe domande e nessuna risposta. Però, se fossimo riusciti a salvare il figlio…
Se fossimo arrivati in tempo per salvare Little Henry…
Inciampai, e se Nicky non mi avesse afferrata per un braccio sarei caduta.
«Tutto bene?» mi sussurrò.
Scossi la testa. «Non abbiamo abbastanza informazioni. Non so cosa stiamo
braccando.»
Continuando a tenermi per il braccio, Nicky mi si accostò. «Se Nathaniel non
fosse coinvolto, ti sentiresti benissimo.»
Guardai Ares, che ci precedeva, la testa bionda quasi spettrale sopra la giacca
nera di pelle. Accanto a lui, il leopardo sembrava una forma di oscurità più densa
sotto gli alberi. «Non si tratta soltanto di Nathaniel.»
«Di cosa, allora?» Nicky mi era così vicino che avrebbe potuto baciarmi.
All’improvviso mi resi conto di voler essere baciata. Mi sarei sentita meglio
se mi avesse baciata. Il contatto fisico con gli animali cui ero metapsichicamente
connessa era estremamente confortante, come se fossero giganteschi peluche
viventi, però di solito non mi lasciavo distrarre così durante l’azione. Che cosa
mi angosciava? Era soltanto la presenza di Nathaniel? La preoccupazione per la
sua incolumità mi rendeva codarda? No, la tensione tra le scapole mi avvertiva
che c’era molto di più.
Mi fermai e fissai Nicky. «Perché lasciare il corpo proprio dove poteva essere
facilmente trovato? Perché non nasconderlo?»
«Volevano che lo trovassimo.»
«Perché catturare due uomini e ucciderne subito uno?»
«Potrebbero avere ucciso anche l’altro, Anita.»
«Lo so, ma perché, se volevano che trovassimo il cadavere? Cosa ne hanno
ricavato?»
«Gli zombie non pianificano le loro azioni.»
«Non ho mai detto che siano zombie. Che cosa ne hanno ricavato?»
«Li stiamo inseguendo.»
«Forse è proprio quello che volevano.»
«Non potevano sapere che con gli sbirri ci sarebbero stati Nathaniel e Ares.»
«In passato mi sono già servita di licantropi per braccare assassini, e i
notiziari ne hanno parlato.»
«Credi che si tratti di una trappola?»
«Può darsi. Oppure sto pensando troppo perché sono preoccupata per
Nathaniel.»
«Non dubitare di te stessa. Cosa ti dice la pancia?»
«La tensione tra le scapole mi dice che ci stanno attirando dove vogliono che
andiamo.»
«E se fosse proprio così?»
«È una trappola.»
«Se invece ti sbagliassi?»
«Allora Little Henry potrebbe rimetterci la vita.»
Davanti a noi, Ares e Nathaniel non si vedevano più. Era inaccettabile.
Ripartii a corsa moderata tra gli alberi, recuperando la capacità che avevo
sviluppato da bambina cacciando nei boschi con mio padre. Di notte bisogna
rinunciare a vedere tutto come si fa di giorno. Bisogna sentire, in un certo senso,
gli alberi e il suolo. La foresta di altissimi pini era priva di sottobosco, quindi
correre era più agevole là che nei boschi delle regioni orientali. E io, curva per
evitare i rami, correvo, affiancata da Nicky. Grande e grosso com’era, non
sapevo come riuscisse a evitare i rami bassi, ma non aveva importanza.
Potevamo sopportare qualche graffio e qualche escoriazione. Invece non ero
affatto sicura di come avrei potuto sopportarlo, se fosse accaduto qualcosa a
Nathaniel. La tensione tra le scapole si allentò con la corsa, rivelandomi che
stavo facendo la cosa giusta.
Nel vederci correre, Horton rallentò e chiese: «Qualcosa non va?»
Non avevo tempo di fermarmi a spiegare. Avevo bisogno di vedere Nathaniel
e Ares. Avevo bisogno di averli nella mia linea di tiro. Di tutto il resto mi sarei
preoccupata in seguito. Senza dubbio anche loro avevano iniziato a correre,
altrimenti non ci avrebbero distanziati tanto. Maledizione!
Il primo grido echeggiò nella sottile aria di montagna. Io accelerai e Nicky mi
superò, poi si rese conto che non avrei potuto tenere l’andatura che il suo
maggiore allungo gli consentiva e rallentò.
«Vai!» gli dissi. «Proteggi Nathaniel!»
Era il mio sposo, quindi obbedì perché era costretto a farlo, e io rimasi sola
nelle tenebre a correre alla massima velocità in direzione delle grida umane cui
s’intrecciavano quelle ringhianti del leopardo. La paura mi straziò con
un’esplosione di adrenalina che mi permise di accelerare.
27

mpugnai l’AR appeso alla tracolla tattica continuando a correre, con gli

I stivali che percuotevano il suolo, i rami che mi sferzavano, il battito


cardiaco accelerato e il respiro affannoso nell’aria rarefatta, assordata dal
rombare del mio stesso sangue alle tempie. Sapevo che gli sbirri stavano
accorrendo, ma erano come deboli segnali alla periferia del mio campo
radar. In un attimo mi resi conto che rischiavo di essere aggredita di sorpresa.
Vidi guizzare le vampe delle armi da fuoco tra i pini sempre più radi. La volontà
mi spinse a correre più veloce di quanto mi fossi mai creduta capace, finché non
mi sentii soffocare e fui parzialmente accecata da una miriade di lampi bianchi.
Mi costrinsi a rallentare, altrimenti avrei rischiato di svenire per mancanza
d’aria. I lampi bianchi erano quasi scomparsi allorché vidi un agente in uniforme
della polizia di Boulder sparare allo zombie che aveva di fronte senza accorgersi
di quello che si accingeva ad aggredirlo alle spalle.
Ero più lontano di quanto avrei voluto, ma l’agente avrebbe potuto essere
ucciso negli istanti che avrei impiegato per avvicinarmi tanto da poter sparare
con maggior sicurezza, perciò appoggiai la spalla a un tronco d’albero,
imbracciai l’AR, premetti la guancia sul calcio, sforzandomi di rimanere
immobile, e trattenni il fiato. Avevo ancora il respiro affannoso e non avevo il
tempo di rallentarlo. Mirai alla testa dello zombie e premetti il grilletto. La testa
esplose quasi completamente in uno spruzzo di sangue, materia cerebrale e
schegge d’osso. Se fosse stato umano, sarebbe morto. Purtroppo non era umano.
Trasalendo, l’agente si girò per poter fronteggiare anche il secondo zombie.
Mi staccai dall’albero e ripartii di corsa, mentre lo zombie senza testa smetteva
di barcollare e s’incamminava di nuovo verso l’agente, perché gli zombie se ne
fregano di essere senza testa. Anche un unico dito avrebbe continuato a strisciare
fino a quando non lo si fosse bruciato.
Sbucai dal bosco con l’AR imbracciato in cerca di bersagli, camminando un
po’ curva, a passi strascicati, come la SWAT mi aveva insegnato. Sembrava
un’andatura goffa, invece era più fluida e salda di una camminata normale e
quindi consentiva di sparare con maggior precisione.
La radura era illuminata dalle stelle e dai raggi delle torce elettriche ruotate a
spirale dagli sbirri che tentavano di tenerle puntate sui bersagli. Gli zombie
erano ovunque. Presso l’unico fabbricato visibile, quasi al centro della radura, un
branco di zombie accovacciati era intento a divorare qualcuno. Non vedevo chi
fosse, ma confidavo che Ares, Nicky e Nathaniel non si fossero trasformati in
cibo tanto in fretta. Dovevo crederlo e aprirmi la strada combattendo lungo il
bordo della radura per girare intorno al fabbricato, dietro il quale sicuramente si
trovavano. Le bombe incendiarie di cui ero fornita avrebbero bruciato gli
zombie, e purtroppo anche gli umani, quindi potevo usare esclusivamente le
armi da fuoco.
Lo zombie che avevo decapitato balzò sulla schiena dell’agente e, dato che
era grosso il doppio di lui, lo fece crollare in ginocchio, strappandogli un grido.
Intanto lui continuò a sparare a bruciapelo contro l’altro zombie, ma purtroppo al
busto, quindi inutilmente. Se fosse stato un vampiro gli avrebbe forse spappolato
il cuore abbastanza da «ucciderlo». Invece lo zombie barcollava e basta.
Grottescamente inconsapevole di non avere più la testa, l’altro zombie cercava
nel frattempo di azzannare l’agente per divorarlo. Quando il primo, ancora
dotato di fauci, si curvò su di lui e il percussore della pistola scattò a vuoto,
l’agente strillò.
«Copriti gli occhi!» gridai e, senza avere il tempo di aspettare per accertarmi
che avesse udito e capito, sparai quasi a bruciapelo con l’AR. Anche la testa del
primo zombie esplose in uno spruzzo di sangue, materia cerebrale e schegge
d’osso.
Carponi, coi capelli imbrattati di sangue, l’agente gridò: «Tiramelo via di
dosso! Tiralo via!»
Non sapevo se intendesse la materia cerebrale e il sangue, oppure lo zombie,
ma decisi per lo zombie. Gli appoggiai la canna dell’AR all’articolazione della
spalla e feci fuoco, staccandogli il braccio e catapultandolo all’indietro. L’agente
fuggì strisciando e rischiò di sbattere contro il primo zombie, che girava in
cerchio, apparentemente più disorientato dalla decapitazione di quanto lo fosse
l’altro. Poi l’agente cominciò a percuotere l’aria come se gli zombie fossero
ragni da cui non voleva essere toccato. Allora lo afferrai per un braccio,
aiutandolo a rialzarsi, e lo allontanai.
Benché avesse mezza faccia insanguinata, riconobbi l’agente Bush, quello
che aveva vomitato sulla scena del crimine. Aveva gli occhi sgranati e il respiro
così affannoso da rischiare d’iperventilare. Io dovevo trovare i miei uomini,
però… Cazzo!
«Bush! Mi senti?» Lo scrollai finché non fui sicura di avere la sua attenzione.
«Rallenta la respirazione, agente Bush.»
Lui annuì un po’ troppo rapidamente.
«Hai finito le munizioni?»
«Non sono servite a niente. Non li hanno fermati.»
«Spara alla testa.»
«Se gli si spara in testa, non muoiono. Invece dovrebbero morire, se gli si
spara in testa.»
«Solo nei film.»
Mi afferrò per un braccio. «Come li ammazziamo?»
«Non si può.»
«Allora cosa facciamo?»
«Hai ancora munizioni?»
Col respiro ormai regolare, Bush annuì, mentre il suo sguardo rivelava che
era tornato in sé e stava scacciando la paura. Espulse il caricatore vuoto, ne prese
uno pieno e lo inserì, eseguendo tutta l’operazione in modo istintivo, sicuro e
fluido.
«Spara alla testa. Senza bocca non possono mordere.» Mentalmente aggiunsi:
Così non possono più diffondere il contagio dell’infezione che fa imputridire.
«Mi ha aggredito lo stesso!»
«A volte lo fanno. Resta con me. Spara in faccia a tutti gli zombie fino a far
sparire la bocca.»
Col viso coperto da una maschera di sangue, Bush annuì. Impugnava la
pistola correttamente, a due mani, quasi senza tremare, e aveva gli occhi illesi.
«Andiamo, Bush. Diamoci da fare.»
«Ti seguo, marshal Blake.»
«Lo so, Bush, lo so.»
Così c’incamminammo, iniziando a sparare agli zombie, e lui tirò sempre e
soltanto alla faccia, senza sprecare piombo. Imparava in fretta.
Bene. Forse sarebbe sopravvissuto fino all’alba.
28

rascinammo via la ranger Becker dal mucchio di zombie sotto cui era

T rimasta sepolta dopo avere sparato in faccia a tutti col fucile a pompa
senza essere morsa, a quanto pareva. Il suo compagno era morto, con la
gola squarciata e gli occhi vitrei a fissare la luce delle stelle. La testa
dello zombie che lo aveva ucciso gli stava ancora divorando la gola
benché fosse ormai staccata dal corpo, rimasto da qualche parte nella radura.
Spappolargli il collo e spezzargli la spina dorsale con una fucilata non avevano
salvato l’agente.
«Pete!» gridò Becker.
«È andato.» La costrinsi a girarsi e ad allontanarsi. «Muoviamoci!»
Bush mi aiutò a condurla via attraverso il carnaio di zombie decapitati e corpi
smembrati. Le vittime in un certo senso aiutavano i superstiti, perché gli zombie
che le stavano divorando dopo averle uccise e quelli che si erano uniti al
banchetto non stavano più cercando di ammazzare nessuno. Non avevo mai visto
tanti zombie cannibali fuori da un cimitero. Da dove diavolo erano sbucati?
Quando il grido del leopardo sovrastò il fragore degli spari e le urla dei
combattenti, sussultai come per uno shock violentissimo e improvviso; mi
sforzai di non contattare metapsichicamente Nathaniel, perché se lo avessi fatto
avrei turbato la concentrazione di entrambi, seppure per un solo istante.
Spappolai la testa di un altro zombie, col fucile a pompa con cui avevo sostituito
l’AR. Non avevo tempo di distrarmi, e forse neanche lui. Dovevo confidare che
Ares e Nicky lo proteggessero fino al mio arrivo, come loro confidavano che
riuscissi a cavarmela da sola.
Ci unimmo a un gruppo di agenti e ci disponemmo in cerchio per poter
sparare tutt’intorno e proteggerci a vicenda.
Finalmente girammo intorno al fabbricato, aprendoci la strada combattendo,
e io vidi i miei uomini addossati al versante roccioso della montagna che
incombeva su di loro, insieme con Al, Horton e Travers. Con calma e precisione,
Nicky e Ares sparavano senza posa, mentre il grosso leopardo ringhiava,
accovacciato ai loro piedi. Travers aveva un braccio sanguinante che pendeva
inerte, ma per il resto sembrava illeso. Nel momento in cui li vidi, l’angoscia che
mi opprimeva il petto si dissolse in un sollievo che mi fece incespicare per un
istante. Subito mi ripresi, ricominciando a farmi largo a fucilate nel procedere
verso di loro.
Quando Nicky spappolò la testa di uno zombie, il leopardo balzò a straziarne
il corpo, e la tranquillità perfino eccessiva dei tre umani mi suggerì che quella
divisione del lavoro doveva essere stata adottata già da un po’, abbastanza
perché tutti ne accettassero l’efficacia. È strano quello che sembra normale nel
bel mezzo di una battaglia.
Intanto io e il mio gruppo ci facemmo largo tra gli zombie che li
circondavano.
D’un tratto, proprio quando stavamo vincendo, un vento gelido mi accarezzò.
Ebbi il tempo di gridare: «Vampiri!»
«Dove?» chiese Bush.
La porta del fabbricato si spalancò e non ne uscirono vampiri, bensì altri
zombie, su cui torreggiava Little Henry Crawford.
29

ittle Henry era tutto nudo e non sembrava essere stato morso. Aveva

L soltanto l’inguine imbrattato di sangue coagulato. Aveva i capelli sciolti


sulle spalle e quella che si chiama «barba alla Van Dyck», come mi
aveva spiegato Requiem, uno dei nostri vampiri. Quando il raggio di
una torcia elettrica gli illuminò il viso, ebbi l’impressione che fosse
bello e che i suoi occhi castani fossero vacui come se non ci fosse nessuno in
casa.
Era forse in stato di shock? Se tutto il sangue coagulato che aveva
sull’inguine era suo, allora ne aveva motivo.
Il più alto degli zombie era sul metro e ottanta, perciò Henry, bello come un
attore di cinema, sembrava un’isola in un mare di facce putrescenti, indenne a
parte l’inguine, appunto, dove sembrava che gli zombie avessero cominciato a
divorarlo.
Almeno due agenti gridarono: «Cristo!»
«Henry! Henry!» chiamò Travers. «Sono io, Hank!»
Henry non batté ciglio.
Qualcosa non andava, anche se non ero sicura di cosa.
Per un poco si mossero soltanto le membra degli zombie sparpagliate per la
radura, poi spirò di nuovo il potere vampirico, un alito soltanto, non abbastanza
per scatenare la reazione degli oggetti sacri, e gli zombie scattarono a velocità
accecante, invisibili agli sbirri.
Io ebbi appena il tempo di sparare in faccia a quello che mi aggrediva. Con
me spararono Nicky e Ares. Tre zombie crollarono al suolo con la testa
spappolata gettando fontane di sangue. Era troppo sangue per gli zombie;
sembrava più quello che sarebbe fuoriuscito da persone vive o da vampiri.
Allora ricordai quel brivido di potere vampirico.
Tre di loro apparvero come per magia dinanzi ai poliziotti, e non fu illusione.
Semplicemente, i vampiri sono così veloci.
Afferrata da uno di loro, Becker strillò e gli sparò nel petto. La detonazione
del fucile a pompa mi assordò l’orecchio sinistro, ma ne valse la pena, perché il
vampiro crollò al suolo con un buco al posto del cuore.
Mentre le armi da fuoco sparavano alle nostre spalle, fui costretta a spostare
Bush con una spinta per vedere Ares al suolo sotto un vampiro putrescente, che
Nicky stava cercando di strappargli di dosso a mani nude. L’ultimo vampiro
aveva aggredito Travers, che cercava di difendersi con un braccio solo, mentre
Horton prendeva la mira in attesa del momento giusto per sparargli. Nathaniel gli
straziò il viso con gli artigli e lui balzò all’indietro strillando di dolore. Gli
zombie non soffrono.
Quando Nathaniel gli squarciò il petto, il vampiro strillò di nuovo, snudando
le zanne, e inciampò in uno zombie smembrato. Così rivelò di essere morto, o
non morto, da poco. I vampiri antichi, infatti, non inciampano. Era un vampiro
putrescente, un tipo di vampiro maledettamente raro in America.
Con la sua forza enorme, Nicky strappò brutalmente l’altro vampiro da Ares
e lo immobilizzò, avvolgendogli il collo e inchiodandogli un braccio dietro la
schiena.
Ares raccolse il fucile e glielo premette sul torace. «Smetti di lottare!»
ringhiò.
Se avesse sparato a bruciapelo, avrebbe trapassato il vampiro e ferito anche
Nicky. Mi augurai che lo rammentasse.
Intanto il mostro che aveva aggredito Travers sollevò una mano tanto
decomposta che le ossa scintillarono alla luce delle torce elettriche, poi si toccò
il viso. Soltanto in quel momento mi accorsi che era una donna. Si girò per
protendere la mano in un gesto implorante verso… Verso di me? Be’, la sua
supplica era sprecata con me.
«Non farle più del male!» intervenne Bush.
Mi girai a guardarlo: il suo viso era vacuo come quello di Henry.
«È così bella», aggiunse, fissando il cadavere putrescente.
Lo picchiai in faccia col calcio del Mossberg.
«Non vedi com’è bella?» Becker mi puntò il fucile a pompa contro la nuca.
«Dobbiamo aiutarla», disse con voce sognante, come se fosse mezza
addormentata. Però mi teneva saldamente il fucile alla base del cranio. Se avesse
premuto il grilletto, sarei morta.
Proprio in quel momento il mio crocifisso sfolgorò al calor bianco insieme
con tutti gli altri oggetti sacri indossati dagli sbirri, e la luce fu così intensa che
ne fui parzialmente accecata.
Becker abbassò il fucile. «Cosa diavolo…?»
Quando feci per mirare alla vampira putrescente, scoprii che era scomparsa.
Subito mi allontanai dagli oggetti sacri e dagli agenti per cercare di scoprire in
quale direzione fosse fuggita, e la intravidi correre tra gli alberi da cui era
sbucata. Avrei voluto inseguirla, ma Little Henry crollò e io istintivamente lo
sostenni.
Era cosciente. «È bella», mormorò. «È così bella…» Poi svenne, e io mi
trovai improvvisamente a reggere da sola tutto il suo peso, che doveva superare i
novanta chili.
Una specie di brontolio sghignazzante mi fece accapponare la pelle. Mi girai
e vidi Ares ricoprirsi di pelliccia dorata e maculata alla luce delle torce
elettriche. Immaginai che avesse deciso di trasformarsi per guarire dalle ferite.
Una iena maculata grande come un pony si alzò tutta tremante, si scrollò come
un cane appena uscito dall’acqua e si lanciò di corsa attraverso la radura in
direzione degli alberi.
«Ares, no!» gridai.
In un lampo di pelliccia dorata, scomparve oltre il fabbricato. Un’ombra lo
inseguì sfrecciando e anche il leopardo nero sparì.
«Nathaniel, no! Maledizione!» Affidai Little Henry alle braccia degli sbirri in
attesa e consegnai le mie manette ad Al. «Sono abbastanza robuste per
immobilizzare il vampiro.»
Lui le guardò. «Non possiamo ammazzarlo?»
«Non abbiamo il mandato di esecuzione. Dobbiamo ottenerne uno. Se
morisse prima, sarebbe come la morte di qualsiasi sospettato in arresto.»
«Quella cosa non ha nessun diritto», intervenne Becker.
Infilato il Mossberg nel portafucile modulare, staccai l’AR dal sistema
MOLLE. «Invece sì, ne ha.» E partii di corsa verso il bosco.
«Non andare, Blake!» gridò Al.
«Potrebbe essere una trappola!» aggiunse Horton.
«Lo so!» urlai. Forse avrei potuto lasciare Ares alla sua stupidità, ma di
sicuro non potevo abbandonare il mio leopardo.
«Anita!» gridò Nicky. «Aspettami!»
«Raggiungimi!» gli dissi, senza neanche girare la testa.
Quando Nicky mi affiancò, mi ero già addentrata nel bosco e correvo a tutta
velocità sul suolo impervio, sferzata dai rami bassi, nell’aria maledettamente
rarefatta. Udivo la risata inquietante della iena e il ruggito del leopardo che la
inseguiva. Cazzo, cazzo, cazzo!
Promisi a me stessa che, se Nathaniel fosse rimasto illeso fino all’alba, non lo
avrei mai più condotto su una scena del crimine. Mai più!
Di nuovo il leopardo ruggì, e noi continuammo a sfrecciare nell’oscurità del
bosco, sempre sferzati dalle fronde.
Abbassai le mie difese quel tanto che bastava a percepire Nathaniel. Cosa
diavolo…? Le abbassai ancora di più per cercare la vampira.
A volte mi riusciva, a volte no. Quella notte mi riuscì. Era fuoco freddo
vicino al calore pulsante di Nathaniel. C’era anche un altro vampiro, e nessuno
dei due licantropi se ne sarebbe accorto prima che fosse troppo tardi.
Attingendo a risorse che non sapevo di possedere, accelerai all’andatura di
Nicky. Lui mi guardò; poi, senza una parola, accelerò ancora. Incespicai senza
rimanere indietro. Non ero sicura di riuscire a respirare, una volta giunta là,
figurarsi a combattere, ma per tutto ciò che era sacro ci sarei arrivata.
30

ro accecata da scoppi di luce grigia e bianca, mi sentivo soffocare, il

E torace mi doleva come per un attacco di cuore, eppure sentivo i vampiri


vicino. Prima vidi l’oro spento della iena, poi il nero del leopardo
accanto a lui. La vampira era di fronte a loro, addossata a un grande
albero fosco. L’avevano raggiunta e intrappolata come avrebbero fatto
due cani con una preda di caccia.
Sul tappeto di aghi di pino, piegata su un ginocchio, imbracciai l’AR,
appoggiai la guancia al calcio e mi sforzai di mirare, nonostante la vista
offuscata come da nastri di nebbia a causa della fatica. A quanto pareva, le mie
facoltà metapsichiche non m’immunizzavano all’ipobaropatia. Se non avessi
dovuto minacciare un vampiro a fucile spianato, sarei stata felice di vomitare.
Nel percepire l’energia del secondo vampiro cercai di capire dove diavolo
fosse, ma invano, perché con la vista offuscata vedevo a stento la vampira
addossata all’albero. «C’è un altro vamp. Lo sento», avvisai, ansimante e
sfiatata.
Nicky udì e comprese, perché scrutò l’oscurità sotto gli alberi alla ricerca del
secondo vampiro. «Non vedo nient’altro.»
«Nathaniel… Ares… Fiutate un altro vampiro?»
Dopo avere ruggito alla vampira, Nathaniel rizzò la testa a fiutare il vento,
imitato da Ares.
Pur restando concentrata sulla vampira e benché la vista non mi si fosse
ancora schiarita, li intravidi annusare l’aria. Vidi il leopardo scoprire le zanne
nella smorfia del Flehmen per facilitare il passaggio dei feromoni nell’organo
vomeronasale. Lui stesso mi aveva descritto questo modo di fiutare come
«assaporare» l’odore.
Il leopardo chinò la testa, sbuffò e la scrollò per dirmi di non avere fiutato
nessun altro vampiro. Allora perché io continuavo a sentirlo?
La vampira si staccò dall’albero, camminando eretta, e tutto il suo contegno
cambiò, lei stessa apparve diversa persino nella fioca luminosità. I suoi lunghi
capelli neri parvero infoltire e ondeggiarono nella brezza, benché non spirasse
nessuna brezza.
Il mio crocifisso sfolgorò come un faro bianco, privandomi completamente
della capacità di vedere bene al buio. Cazzo! «Smettila con le stronzate
vampiriche!»
«Sarà molto più divertente se non lo faccio.»
«Nicky, falle capire che dico sul serio. Sparale di poco sopra la testa.»
«Di solito spari tu stessa», osservò Nicky.
«Lo farei io, se non fossi troppo tentata di spararle dritto in testa.»
Senza discutere, Nicky obbedì, e la pallottola si conficcò nell’albero, poco
sopra la testa della vampira. La detonazione giunse attenuata alle mie orecchie,
ancora assordate dal fragore della sparatoria nella radura e dal pulsare del mio
stesso sangue alle tempie.
La iena avanzò e il leopardo ruggì. Il loro udito era infinitamente più
sensibile del mio. Non riuscivo neppure a immaginare come e quanto dovevano
essere state violente tutte le percezioni sonore di Nathaniel durante il
combattimento.
La vampira lanciò un bel grido stentoreo: «Ti prego! Non uccidermi!»
Sollevò le mani come per parare un colpo, o come se potessero proteggerla dai
proiettili. Be’, non l’avrebbero affatto protetta.
Il mio crocifisso iniziò a spegnersi. «Allora smettila di cercare di
soggiogarci», ribattei, ancora senza fiato. Stupida altitudine!
I raggi delle torce elettriche ondeggianti tra gli alberi annunciarono l’arrivo
dei poliziotti, guidati dalla fucilata e dallo sfolgorio del crocifisso. Ecco una cosa
che mi piace degli sbirri: corrono incontro al problema, invece di fuggirlo.
«Un altro trucco vampirico e gli dico di spararti», minacciai.
«Per uccidere o per ferire?» chiese Nicky.
Avrei preferito che non lo avesse chiesto, ma presumevo che la differenza
fosse significativa e che fraintendersi sarebbe stato un guaio. «Per ferire, così poi
possiamo sempre ammazzarla. Se l’ammazzassimo subito sarebbe alquanto
inutile ferirla dopo.»
«Questo è vero.» Nicky rimase con l’AR imbracciato e con la guancia sul
calcio in posizione perfettamente naturale, come se fosse capace di tenere la
vampira sotto tiro per tutta la notte.
Accompagnati da un gran fracasso e da un turbine di raggi luminosi
arrivarono gli sbirri. Alcuni si unirono a Nicky nel puntare le armi contro la
vampira. Gli altri si accostarono a me.
«Sei ferita, marshal?» chiese Bush.
«No», risposi.
«Allora perché stai seduta al suolo?» chiese Becker.
«Ho corso troppo e troppo veloce a questa cazzo di altitudine.»
«Soffri di ipobaropatia?»
«Sì.»
Becker emise una breve risata. «È troppo buffo! Quella gran tipa tosta di
Anita Blake che soffre di mal delle altitudini!»
Finalmente la vista mi si schiarì del tutto. Urrà! Lentamente mi rialzai,
sentendomi ancora un po’ tremante.
Per un attimo Bush fece per afferrarmi un braccio nell’intento di sostenermi,
poi lasciò ricadere la mano, trattandomi come avrebbe trattato qualunque altro
collega, e io lo considerai come quel complimento che era.
Mi avvicinai al gruppo degli sbirri che avevano circondato la vampira senza
tentare di ammanettarla, in attesa della mia assicurazione che farlo non sarebbe
stato in nessun modo rischioso. Allora mi accorsi che quasi tutti gli agenti, lì,
nell’oscurità del bosco, erano quelli che avevo salvato dagli zombie assassini e
quelli che si erano uniti a noi per aprirci la strada combattendo dopo aver visto
che sembravamo avere una tattica e una strategia. Io li avevo aiutati e loro erano
pronti a braccare con me i vampiri nelle tenebre. Forte!
Confidando che Nicky continuasse a tenere sotto tiro la vampira, mi spostai
tra il leopardo e la iena, e lasciai pendere l’AR dalla tracolla tattica per
accarezzare la pelliccia nera di Nathaniel e posare una mano sul dorso di Ares.
La iena era più alta del leopardo, abbastanza perché mi ci potessi appoggiare con
un gomito. Insomma, era una bestia maledettamente grossa.
La vampira fissava le due belve a occhi sgranati. Qualcuno le puntava in
faccia il raggio di una torcia, la cui luce rivelava che aveva un occhio castano
chiaro molto vivo e l’altro velato da una bianca patina opaca, come capita dopo
la morte. Gli artigli di Nathaniel le avevano squarciato il viso dall’occhio bianco
alla mandibola, però sanguinava poco, come se la carne fosse morta da molto
tempo. Le ferite al petto invece avevano sanguinato in abbondanza,
impregnandole la veste rosa come in una specie di macabro San Valentino. Una
spalla decomposta rivelava tendini e ossa, mentre l’altra era liscia e indenne.
Perché non aveva usato i suoi poteri vampirici per ricomporre tutto il corpo? I
vampiri putrescenti hanno due forme, quella umana e quella putrescente,
appunto. Molti trascorrono quasi tutto il tempo nella forma umana più integra
possibile, anche se sembrano godere dell’effetto che l’altra loro forma esercita
sulle loro vittime. Questa vampira invece non ne godeva.
«Ti prego, non ferirmi più», implorò la vampira.
«Tu però hai ferito Henry padre», replicai.
«Chi?»
«L’uomo che avete ucciso e abbandonato nel bosco di pioppi tremuli.»
Lei distolse lo sguardo. «Non volevo ferirlo. Finalmente ero diventata
abbastanza forte per ottenebrare le loro menti e fare in modo che mi vedessero
bella. Non avevo finito col primo uomo, che però ci ha costretti a ferirlo al
cospetto dell’altro uomo.»
«Hai ucciso il padre, obbligando il figlio a guardare.»
Lei mi fissò di nuovo, evidentemente spaventata. «Non volevo.»
«Nessuno ti ha costretta puntandoti un’arma da fuoco alla testa», commentò
Becker.
«Peggio», sussurrò la vampira. «Molto peggio.»
Sentivo l’altro vampiro. Era vicino. «Cosa è peggio?»
«Lui.»
«Chi è lui?»
La vampira scosse la testa. Una ciocca di capelli le cadde sul viso. Lei
l’afferrò e scoppiò a piangere. «Oddio… Forse dovrei costringerti a uccidermi…
Dev’essere senz’altro meglio che essere così…»
«Dovresti essere in grado di assumere un aspetto umano, almeno di notte.»
Con la ciocca di capelli ancora in mano, lei mi guardò. «Cos’hai detto?»
Lo ripetei.
«Se io ne fossi capace, me lo avrebbe detto. Mi avrebbe ricompensata. Ho
fatto tutto quello che mi ha chiesto.»
«Chi ti avrebbe ricompensata?»
Lei sollevò gli occhi verso qualcosa che io non potevo vedere. «No! Ti prego,
no!» Poi guardò me. «Non sono io, non uccidermi! Lui mi controlla e io non
posso rifiutarglielo!»
«Che cosa non puoi rifiutargli?»
«Qualsiasi cosa.» La sua voce risuonava lontana, come se stesse ascoltando
qualcosa che io non potevo udire. Sentii il dilatarsi della sua energia come un
vento freddo. Girò il viso verso di noi, e fu una persona diversa a guardarci
attraverso i suoi occhi. Conoscevo un unico vampiro capace di possedere tanto
completamente altri vampiri.
Sussurrai: «Viaggiatore…»
«No, riprova.» Fu la voce di lei a rispondere, ma in un tono così alieno che
identificai come maschile, pur senza essere sicura del motivo.
«Chi sei?» domandai.
«Indovina», sibilò lui.
Il mio crocifisso sfolgorò di nuovo, come tutti gli altri oggetti sacri.
«Non farlo, o la uccideremo!» intimai.
«Ne creerò altri», ribatté la voce.
«Altri vampiri?»
«Altri di tutto.» Il tono malvagio non si addiceva alla donna devastata di cui
si stava servendo.
«Non guardatela negli occhi!» gridai.
«C’è sempre qualcuno che guarda», disse la voce.
Protesi il crocifisso appeso alla catenina. «Lasciala!»
«Stai cercando di salvarla?» La voce parve divertita.
«Lei ha i suoi diritti e tu, possedendola, sei colpevole di rapimento e
invasamento.»
«Lei è mia! Mia!»
«No, non è tua.» Avanzai protendendo il crocifisso sfolgorante.
Nicky era al mio fianco, col fucile puntato. Le belve ringhiarono e
brontolarono, affiancandoci a loro volta.
«Lei è mia!» strillò la voce.
«No, non lo è!» gridai.
«A chi appartiene, allora? A chi, se non a colui che l’ha creata?»
«Appartiene a se stessa.»
Lui chiuse gli occhi della vampira per proteggersi dalla luce sacra. «Tutti i
vampiri appartengono a qualcuno, Anita Blake. Se lei non è mia, allora a chi
appartiene?»
«È mia!» Premetti il crocifisso sul braccio della vampira, che strillò.
Per un attimo lo vidi, mentre mi fissava con odio profondo attraverso la luce
al calor bianco, poi scomparve. Lo sentii lasciarla e andarsene mentre lei
strillava disperata. Staccai il crocifisso dal suo braccio e lei crollò contro
l’albero, poi si afflosciò al suolo, senza che nessuno tentasse di sostenerla,
neppure io.
Ci fissò mentre gli oggetti sacri sbiadivano come stelle morenti, infine
scoppiò a piangere. «Mi dispiace… Mi dispiace tanto…»
«Lo so», assicurai.
«L’hai scacciato! L’hai scacciato! Grazie! Grazie! Grazie!»
Credeva forse che lui fosse andato via per sempre, che quell’unica ustione
prodotta da un oggetto sacro avesse scacciato il mostro da lei definitivamente? Il
sollievo sul suo volto rivelava che questo era esattamente quello che credeva.
Non la disillusi perché avevamo necessità d’interrogarla, e se si fosse persuasa di
essere stata liberata da me probabilmente mi avrebbe detto tutto quello che
volevo sapere. Inoltre non si dovrebbero distruggere le speranze altrui se non si
ha nulla con cui sostituirle.
Anche un agente era munito di un paio delle nuove manette e senza
protestare mi permise di ammanettarla, mentre lei continuava a ripetere
ininterrottamente: «Grazie!» e: «Mi dispiace, mi dispiace tanto».
Nel frattempo Ares, sempre in forma di iena, crollò al suolo.
«Non guardarla negli occhi», raccomandai all’agente che mi aveva prestato le
manette, nel consegnargli la vampira. Poi mi accostai a Nicky e a Nathaniel,
ancora in forma di leopardo, acquattato accanto ad Ares. «Cosa gli succede?»
Nicky sollevò una mano per esporla alla luce delle torce elettriche. Era tutta
imbrattata di sangue e di pelliccia dorata.
Fiutai l’odore che avevo percepito all’ospedale. Merda! Mi lasciai cadere
accanto alla iena. «No! Maledizione! No!»
La iena fu scossa da un tremito convulso. La pelliccia si sciolse come se il
corpo umano fosse intrappolato nel ghiaccio, rivelato dall’energia che emanava
nel riprendere la propria forma. Eppure Ares avrebbe dovuto essere costretto a
rimanere in forma di iena almeno per quattro ore, se non dieci. La metamorfosi
avviene precocemente soltanto se si è abbastanza potenti per volerlo, oppure se
si è feriti troppo gravemente per mantenere la forma animale, o se si è morti.
Gli tastai il collo e trattenni il fiato in attesa di sentire la pulsazione.
La percepii. Era vivo! «C’è un ferito!» gridai. «Chiamate un medico!»
31

n attesa che Bush tornasse dalla radura con l’agente paramedico, Nicky

I premette le mani nude sulla ferita. «Non mi può infettare, Anita», dichiarò,
quando gli porsi un paio di guanti in lattice.
«Ares è stato infettato», osservai.
Lui mi fissò corrugando la fronte; poi, senza più discutere, prese i
guanti, li infilò e premette di nuovo le mani sulla ferita.
Ancora in forma di leopardo, Nathaniel annusò la ferita e sibilò.
Iniziai a togliermi il giubbotto antiproiettile.
«Che stai facendo, Anita?» chiese Becker, rimasta nel bosco con alcuni altri
agenti a proteggerci nell’eventualità che arrivasse qualche altro mostro, anche se
avevo sentito uno sbirro dire: «Con loro siamo più al sicuro», riferendosi
probabilmente a noi tre.
«Voglio dargli la mia T-shirt per comprimere la ferita, e prima devo togliermi
il giubbotto.» Me lo tolsi e lo lasciai cadere al suolo con un rumore metallico di
armi. Poi mi sfilai la T-shirt, restando in reggiseno, la piegai e la porsi a Nicky,
che la prese coi guanti insanguinati e probabilmente infettati. Non sapevo
esattamente come avvenisse il contagio. Tutti coloro che erano stati morsi erano
rimasti infettati? Gli altri morsi non mi erano sembrati di vampiro, bensì di
zombie o di umano. Era possibile che l’infezione contagiasse anche i vampiri e i
licantropi? In tal caso, sarebbe stata una novità.
Infilai di nuovo il giubbotto, ruvido a contatto con la pelle nuda, ma sempre
meglio che non averlo e rischiare di essere colpita da qualche pallottola vagante,
senza contare che mi permetteva di trasportare le armi. All’inizio, quando il
governo ce ne aveva imposto l’uso, avevo odiato il giubbotto. Adesso invece era
soltanto parte del mio armamento.
«Bel reggiseno», commentò qualcuno.
Mi girai verso gli agenti. Non sapevo chi avesse parlato. Potevo escludere
soltanto Becker perché era stata una voce maschile. Mi sarei potuta arrabbiare,
però era davvero un bel reggiseno, nero, di pizzo. «Grazie.» Allacciai il
giubbotto per poter indossare di nuovo la giacca.
«Le mutandine sono coordinate?»
Merda! La mia mancata ostilità al primo commento lo aveva incoraggiato.
Sollevai lo sguardo. «Chi ha parlato?»
Evidentemente a disagio, gli sbirri indietreggiarono per isolare un giovane
agente. Si era comportato in modo stupido e non volevano proteggerlo, non lì,
non mentre i feriti sanguinavano, soffrivano, agonizzavano.
Il leopardo mi si appoggiò come un grosso cane. Probabilmente Nathaniel
stava cercando di ricordarmi che non dovevo ammazzare i nostri amici.
Lo abbracciai, accarezzando la sua pelliccia calda e confortante, che contribuì
ad abbassarmi la pressione sanguigna. «E tu sei l’agente…?»
«Connors, agente Connors», rispose il giovane, con voce limpida, senza
imbarazzo, sostenendo con calma il mio sguardo.
«Okay, agente Connors… Quest’uomo addolorato e sanguinante, che è
rimasto ferito nel combattere al tuo fianco contro zombie cannibali e vampiri, è
mio amico. Senza dubbio anche tu hai amici che nella radura sono rimasti feriti,
o peggio, vero?»
L’agente Connors annuì.
«Scusa, non ho sentito. Ti dispiace rispondere a voce alta?» Era quasi un
sollievo essere turbata da una simile inezia.
«Sì», disse Connors, con una sfumatura di collera.
«Ebbene, ti sembra appropriato, in queste circostanze, speculare a voce alta
sulla biancheria intima di una collega?»
«No», ammise, con voce limpida e ferma.
«È bello sapere che su questo siamo d’accordo.»
In quel momento Bush tornò di corsa, seguito da uno sbirro che si presentò
come agente Perkins. «Ho sentito chiamare il soccorso medico, ma… Ci sono
molti feriti.» Si accoccolò accanto ad Ares, che era tutto nudo. «Era la iena?»
«Sì», confermai.
L’agente Perkins infilò tre paia di guanti prima di accennare a Nicky di
scostarsi, poi con la torcia elettrica illuminò il collo di Ares e scosse la testa.
«Travers ha una ferita come questa al petto. È la stessa infezione che ha
contagiato lo sceriffo Callahan?»
«Sì.»
«Sembra che la ferita non si stia rimarginando. Credevo che i licantropi
guarissero più rapidamente.»
«Le ferite inflitte da altri esseri soprannaturali guariscono più lentamente.»
«Quindi non sta guarendo perché è un morso di vampiro?»
«Sì…» Quando il leopardo si strofinò contro di me, gli accarezzai la
pelliccia. «È tutto okay, Nathaniel.»
Allora lui mi spinse e io lo guardai. I suoi occhi non erano animali. Stava
cercando di dirmi qualcosa. Abbassai un po’ le mie difese per cercare di
«vedere» cosa desiderava condividere e d’improvviso fui sopraffatta da
immagini grigie, la fragranza della notte, la sensazione del mio corpo contro il
suo, non come l’avrebbe considerata una persona, bensì… Innalzai di nuovo le
difese, aggrappandomi al leopardo per non barcollare, dopo avere visto un
turbinare di colori e di forme di un vortice di pezzi di puzzle che non
componevano un’immagine completa.
La sua energia diffusa sulla mia pelle fu come una miriade di baci elettrici
sulle mie terminazioni nervose. La sua pelliccia fluì sotto le mie mani. Per la
prima volta lo ebbi tra le braccia mentre la sua forma umana usciva dalla
muscolatura e dal manto del leopardo. Pervasa dal potere della metamorfosi,
rabbrividii contro di lui, sentendo la sua pelle liscia e calda.
«Omioddio!» esclamò Becker, alle nostre spalle.
Mi chiesi se avesse assistito alla metamorfosi o se stesse fissando Nathaniel,
accovacciato e tutto nudo, coperto soltanto dalla massa lunga e folta della
capigliatura sciolta. Era rimasta in silenzio alla metamorfosi di Ares, quindi era
probabile che la sua reazione fosse dovuta alla vista di un bellissimo uomo nudo,
che non era ferito e non era privo di conoscenza. Sarebbe stato scortese provare
lussuria per un ferito. Nathaniel invece era illeso. Si adattava al mio abbraccio
come sempre, come se fosse nato per questo e, per quanto fosse stato bello
coccolare il leopardo, l’uomo era meglio per me, più confortante.
«Non ti ho mai visto tornare in forma umana dopo così breve tempo»,
commentò Nicky, rimasto accanto ad Ares insieme con l’agente Perkins.
«Non ci avevo mai provato», disse Nathaniel, con voce un po’ tremante.
Lo strinsi più forte a me, meravigliata dal suo calore, dalla morbidezza serica
della sua pelle e dei suoi capelli, in cui affondai il viso come quando si beve
qualcosa di forte per calmare i nervi, e sentii il collare di cuoio, largo intorno al
collo umano.
«Dovresti perdere conoscenza dopo la metamorfosi», aggiunse Nicky.
«Nel caso in cui io stia per perdere conoscenza… Anita, rammenti il vampiro
che mi ha morso in Tennessee?» chiese Nathaniel.
Alle informazioni già in mio possesso sui vampiri putrescenti, si era aggiunta
la scoperta della loro capacità di contagiare le persone mediante il morso quando
uno di loro aveva azzannato Nathaniel. Coricato in un letto d’albergo a strillare
di dolore, sarebbe morto se Asher e Damian non avessero drenato la malattia dal
suo corpo, a rischio delle loro stesse vite. Asher era stato abbastanza forte da
rimettersi, mentre Damian era stato quasi ucciso dalla decomposizione. Io lo
avevo salvato lasciando che si nutrisse del mio sangue. Anche se in tal modo
avevo posto a repentaglio la mia stessa vita, avevo dovuto farlo perché ero stata
io a chiedergli di salvare Nathaniel. Tutto questo era accaduto prima che
Nathaniel diventasse l’animale che rispondeva al mio richiamo e prima che
Damian diventasse il mio servo vampiro. Sembrava che fosse trascorso
moltissimo tempo da allora.
«Come potrei mai dimenticarlo?» Così dicendo, lo strinsi ancora più forte nel
mio abbraccio. Adesso che era una delle persone più importanti della mia vita,
mi sembrava inconcepibile non averlo amato, un tempo, e perfino avere fatto
tutto il possibile per evitare di diventare sua amante.
«Ares ha soltanto una forma animale, come me allora», aggiunse Nathaniel.
«Dunque non potrà guarire, come non potevo guarire io allora.»
Rimasi immobile nell’abbraccio e staccai il viso dai suoi capelli per
guardarlo negli occhi. «Ares ha un’unica forma?»
«Non lo sapevi?»
«È grosso, dominante, atletico. Credevo che tutto ciò implicasse due forme
animali.»
«Non sempre», spiegò Nicky.
«Non sono sicuro di capire ciò che state dicendo», intervenne Perkins.
«Comunque ho altri pazienti che devo finire di preparare prima dell’arrivo
dell’elicottero.»
«E Ares?» domandai.
«Lo farò trasportare in ospedale al ritorno dell’elicottero.»
«No, deve essere ricoverato il più presto possibile», obiettò Nathaniel.
«I licantropi guariscono da qualsiasi cosa, e nell’elicottero che sta arrivando
non c’è abbastanza spazio. Non posso classificare un licantropo come più grave
dei feriti umani.»
Guardai Nathaniel. «Credi che il decorso della malattia sarà così rapido in
Ares come lo è stato in te quand’eravamo in Tennessee?»
«È probabile.»
«Vedo che sei guarito perfettamente», osservò Perkins.
«Sono stato aiutato, e adesso non abbiamo qui quel genere di aiuto.»
Nathaniel mi fissò gravemente per un lungo momento. Intendeva dire che non
c’erano vampiri con noi e che, se pure ci fossero stati, avrebbero dovuto essere
abbastanza potenti per guarire Ares senza essere contagiati dall’infezione
putrescente. Asher era stato abbastanza forte, mentre Damian aveva rischiato di
soccombere.
Mi rivolsi a Perkins. «Mi creda, l’infezione lo ucciderà proprio come sta
uccidendo l’agente Travers.»
«I licantropi non possono essere contagiati dalle infezioni», insistette il
paramedico.
«Nathaniel è sopravvissuto perché per guarirlo abbiamo avuto un aiuto…
eccezionale. Con le sue sole risorse, senza questo aiuto, non sarebbe guarito,
sarebbe morto. È l’unica infezione che io abbia mai visto capace di essere fatale
ai licantropi. Le giuro che non sto mentendo per tentare di ottenere un privilegio
per il mio amico. Ho visto all’obitorio i cadaveri delle vittime dell’infezione. Un
morso presso una delle principali arterie la trasmette agli organi vitali, e se
raggiunge il cervello o il cuore è fatale.»
«Non può saperlo», replicò Perkins, ostinato. «Io invece so con certezza che
tre agenti feriti in attesa di trasporto moriranno entro due ore o anche meno se
non riceveranno le cure che non possono avere da me.»
«Senza cervello o senza cuore, i licantropi non guariscono, muoiono. La
decomposizione causata dall’infezione avrà sull’uno o sull’altro di questi organi
lo stesso effetto di un colpo di fucile a pompa, cioè lo distruggerà.»
«Adesso i medici sono in grado di rallentare il diffondersi dell’infezione»,
ribatté Perkins. «Non è più così rapida.»
«Soltanto col trattamento non lo è. Inoltre, io temo che a causa del
metabolismo più veloce si possa diffondere più rapidamente nell’organismo di
un licantropo che in quello di un umano.»
Mentre Perkins mi scrutava a occhi socchiusi, repressi l’impulso di mettermi
a urlare. Nathaniel mi strinse più forte nel suo abbraccio per tentare di calmarmi
e impedire che perdessi il controllo. Aveva ragione. Se mi fossi messa a strillare,
il gentile paramedico mi avrebbe ignorata e Ares non sarebbe stato trasportato
dal primo elicottero in arrivo.
«Senta, marshal, abbiamo due agenti che moriranno entro un’ora, senza
contare Travers.»
«Quante persone può trasportare l’elicottero?»
«Sei. Nello spazio della radura può atterrare soltanto un Black Hawk.»
«Allora può caricare due feriti in condizioni critiche, Travers, Ares e un’altra
persona.»
Il paramedico mi fissò cupamente, e questo non è mai un buon segno. «Non
voglio essere scortese, ma per il triage devo considerare la gravità delle ferite e
le probabilità di sopravvivenza. Accettare che il suo amico sia nelle stesse
condizioni di Travers non può cambiare la mia decisione. A quanto ne so, i
medici dovranno tentare di amputare la parte infetta e non abbiamo sangue per
trasfondere i licantropi, soprattutto per il gruppo AB negativo, cioè il suo tipo,
come Nicky ci ha riferito. È il gruppo sanguigno più raro in questa regione,
quindi non ce n’è mai a sufficienza.»
Non mi presi la briga di chiedere come mai Nicky conoscesse il gruppo
sanguigno di Ares. Glielo avrei chiesto in seguito, quando fossimo riusciti a
salvarlo. «Un licantropo può ricevere sangue umano, mentre un umano non può
ricevere sangue di licantropo, altrimenti rischia di essere contagiato dalla
licantropia.»
«Nella maggior parte degli Stati occidentali, incluso il Colorado, la provvista
di sangue per i licantropi è rigorosamente separata da quella per gli umani.»
«Dunque sta dicendo che, se anche fosse trasportato in ospedale, Ares non
potrebbe essere operato in tempo perché avrebbe necessità di una trasfusione…»
Il paramedico annuì. «Mi dispiace, ma è così.»
«E se ci fosse un licantropo con gruppo sanguigno 0 negativo?»
«Una persona potrebbe donarne abbastanza per un intervento conservativo,
ma quante probabilità ci sono di trovare un donatore universale per i licantropi?»
«Lo sono io.»
«Lei è gruppo 0 negativo e licantropa?»
«Sono portatrice sana di licantropia, ma non mi trasformo, perciò
tecnicamente non sono licantropa.»
«Non è possibile essere portatori di licantropia e non trasformarsi.»
«È quello che continuano a dirmi, eppure tre anni fa sono stata diagnosticata
portatrice sana di licantropia e quello che vede è tutto quello che sono.»
Fissandomi, perplesso, Perkins corrugò la fronte. «Se mi sta mentendo,
Blake…»
«Le giuro che non sto mentendo. Il mio ematocrito è registrato presso
l’agenzia dei marshal.»
Il paramedico continuò a fissarmi dubbioso.
«Sento arrivare l’elicottero», annunciò Nicky.
«Io non sento niente», disse Perkins.
«Neanch’io, ma, se Nicky dice di sentirlo, allora tra poco lo sentiremo anche
noi.»
Subito dopo udimmo in lontananza il rumore tipico del rotore di un
elicottero, e si stava avvicinando.
«Adesso lo sento», aggiunsi.
«Io continuo a non sentirlo», replicò Perkins, che in effetti lo udì soltanto un
paio di minuti più tardi.
Essendo solitamente accompagnata da licantropi e vampiri, talvolta
dimenticavo di avere anch’io un superudito. Infine dissi qualcosa che non dico
spesso: «La prego, non lo lasci morire. Non così…»
«Maledizione…» Di nuovo Perkins corrugò la fronte. «Benissimo… Nicky è
in grado di trasportarlo alla radura?»
«Sì.»
«Seguitemi, e lei dovrà imbarcarsi sull’elicottero, Blake. Dovremo sistemarla
sopra un seggiolino, e soltanto se il pilota dirà che la distribuzione del peso lo
può tollerare.»
«Sono piccola.»
«Preghi di esserlo abbastanza perché tutti quelli che ne hanno bisogno
possano essere imbarcati sull’elicottero insieme con una donatrice di sangue.»
Con facilità Nicky si caricò Ares in spalla e seguì Perkins.
Prendendomi la mano sinistra, Nathaniel mormorò: «Come va la tua fobia del
volo?»
Continuai a camminare, però rischiai d’inciampare. «Vaffanculo», sussurrai
con molto sentimento.
«Non ci avevi pensato, vero?»
«Se posso salvarlo, vado.»
Lui mi strinse forte la mano. «Ecco la mia ragazza!»
«Sì, lo sono.»
Ci baciammo gentilmente nel camminare. I suoi capelli s’impigliarono nel
primo ramo, e non sarebbe stato l’ultimo. Becker si sciolse la coda di cavallo per
consegnargli l’elastico in modo che potesse raccoglierli, e lui, nel farlo, si mostrò
inavvertitamente tutto nudo. Be’, certe buone azioni ottengono giusta
ricompensa, dopotutto.
32

ltre buone azioni non furono altrettanto ricompensate. L’interno del

A Black Hawk non era molto spazioso. C’erano il pilota e il copilota,


spazio per tre barelle e due piccoli sedili per altrettanti paramedici,
uno dei quali rimase nella radura ad aiutare Perkins con gli altri feriti.
Sistemammo in qualche maniera Travers e Ares su un lato, poi
assicurammo un terzo agente ferito tra i due sedili e le barelle impilate. Così,
quando tutti furono assicurati, ci fu parecchio affollamento. Ho accennato al
fatto che sono anche claustrofobica?
Di solito guardare fuori allevia la claustrofobia, ma io non potevo perché le
barelle me lo impedivano. Per assicurarmi al sedile ero stata costretta a spostare
l’AR e il Mossberg. Le vibrazioni del rotore mi pervadevano tutto il corpo con
un ritmo regolare e tormentoso. Mi tornò la nausea che mi aveva assalito nel
bosco a causa dell’ipobaropatia, così per reprimerla mi concentrai a respirare
lentamente e profondamente. Dovevo anche fingere di non trovarmi all’interno
di una roteante macchina di morte a decine di metri di altitudine. Sentendo come
un sospiro quello che doveva essere stato un urlo, altrimenti non lo avrei udito
con le cuffie nel fragore del rotore, sollevai lo sguardo e vidi Ares che tentava di
alzarsi a sedere. Il paramedico dell’elicottero, che mi era stato appena presentato
come Lawrence, nome o cognome che fosse, si sganciò per cercare di
costringerlo a rimanere sdraiato; fu respinto con violenza, e se io non lo avessi
sostenuto sarebbe caduto addosso al ferito collocato al centro, che rimase
immobile, come Travers.
«Ares!» gridai. «Stai tranquillo!»
Lawrence sedette di nuovo, in modo che io potessi accostarmi ad Ares, il
quale mi fissò con gli occhi sgranati per la paura. Si calmò mentre mi avvicinavo
a lui con prudenza, dopo essermi sganciata, aggrappandomi anche alle barelle. I
feriti non vi badarono perché erano del tutto privi di conoscenza.
«Può calmarlo in modo che io possa controllare i suoi parametri vitali?»
chiese Lawrence attraverso il microfono e le cuffie.
«Sì», risposi, subito prima di essere sbilanciata da una leggera turbolenza.
Prontamente Ares mi afferrò. Io gli porsi la mano sinistra e lui la strinse. Le
nostre braccia si piegarono come se stessimo facendo braccio di ferro. Poi lui,
con una smorfia, si agitò sulla barella, trafitto da uno spasmo di dolore. Disse
qualcosa che non riuscii a sentire perché non aveva il microfono. Così mi tolsi la
cuffia e accostai un orecchio alle sue labbra.
«Qualcosa non va», dichiarò.
Gli gridai nell’orecchio: «Sei ferito!»
«No, è qualcosa di più. È…» Squassato da un altro spasmo, mi strinse
convulsamente la mano, e per fortuna allentò spontaneamente la presa proprio
quando mi accingevo a gridargli che stava stringendo troppo.
Gli accarezzai il viso affinché mi guardasse. «Il paramedico ha bisogno di
visitarti. Lascialo fare, okay?»
Lui stralunò gli occhi per il dolore. «Okay…»
Mi girai verso Lawrence per accennargli di avvicinarsi. Quando feci per
lasciarlo, Ares mi strinse forte la mano come per paura di essere abbandonato,
perciò mi spostai senza lasciarlo e così mi assicurai pure che non potesse più
colpire accidentalmente Lawrence. Se questi avesse avuto bisogno di più spazio,
lo avrei lasciato, ma, finché mi fosse stato possibile rimanere lì e contribuire a
calmare Ares, non mi sarei allontanata.
Non appena Lawrence iniziò a visitarlo, Ares fu scosso da un altro spasmo,
così violento che avrebbe colpito di nuovo il paramedico se io non lo avessi
tenuto per mano. Lo strinsi forte e gli gridai in faccia: «Ares, stai fermo! Ti sta
aiutando!»
«Devo soltanto visitarlo. Niente aghi, niente di sgradevole», assicurò
Lawrence a voce alta, per essere udito nel fragore dell’elicottero.
«No», protestò Ares, con voce strozzata.
«Lasciagli fare il suo lavoro, Ares», raccomandai, accostando il mio viso al
suo. In quel momento i suoi occhi si trasformarono in dorati occhi di iena, e
l’energia della sua bestia mi strisciò sulla mano, lungo tutto il braccio e lungo la
schiena. «No! Non osare trasformarti qui!»
«Non posso impedirlo… Lui vuole che mi trasformi…»
«Chi lo vuole?»
«Il vampiro, il master di lei, è… Lui può controllare… la mia bestia…»
«No, attraverso un solo morso non può.»
«Atterrate… Atterrate… Non riesco a resistere… Lui è… Mi sta
chiamando…»
«Non è possibile, non così.»
«È come il morso, la decomposizione… Trasmette una piccola parte di lui…
Non è soltanto una malattia… È lui… È lui…»
«Chi?»
Con tutto il fiato che aveva, Ares lanciò un grido inarticolato. Poi ritrovò la
voce. «Fa male… Oddio, fa male!»
«Ares! Non…»
Quasi stritolandomi la mano, Ares mi attirò a sé, in modo che lo guardassi in
viso da brevissima distanza, come se gli tenessi la testa in grembo. «Non sarò io
quando mi sarò trasformato… Capisci? Non sarò… io… Lui… controllerà… mi
controllerà… mi controllerà!»
«Merda», sussurrai.
Comunque Ares ebbe conferma dalla mia espressione che avevo capito e si
rilassò un poco, confidando che io reagissi nel modo giusto, mentre io speravo
soltanto di poterci riuscire.
«Significa quello che credo?» domandò Lawrence.
Annuii. «Dobbiamo atterrare subito.»
Lawrence scosse la testa. «Non possiamo.»
«Dobbiamo sbarcare Ares prima che si trasformi.»
Allora Lawrence parlò al microfono: «C’è spazio per atterrare subito?»
«Negativo», rispose il pilota attraverso le cuffie.
Quando Ares fu scosso da un nuovo spasmo, l’energia della sua bestia mi
fece accapponare la pelle. Il suo brontolio fu così prolungato e possente che
Lawrence lo udì nonostante il fracasso dell’elicottero, poi mi fissò a occhi
sgranati per un momento e di nuovo parlò nel microfono: «Abbiamo un
problema e dobbiamo atterrare al più presto!»
Seduto davanti a noi, il copilota si girò sul sedile. «Cosa diavolo è stato?»
«Il licantropo», rispose Lawrence.
«Sarebbe bene atterrare!» gridai.
«Negativo! Ripeto: negativo! Non c’è nessuno spazio dove si possa atterrare
senza pericolo!»
«Il licantropo sta per trasformarsi», riferii nel microfono. «Dobbiamo
sbarcarlo prima della metamorfosi.»
«Ci è stato assicurato che il licantropo era in grado di controllarsi, altrimenti
non lo avremmo imbarcato», ribatté il copilota.
«Normalmente lo è. Ma, credetemi, non sarebbe per niente piacevole se si
trasformasse nell’elicottero!»
«Abbiamo ancora almeno dieci minuti di volo prima di arrivare a un luogo
adatto all’atterraggio. Può resistere fino ad allora?»
«Ares!»
Lui mi fissò con occhi di iena e, scosso da un’altra convulsione, rischiò di
stritolarmi la mano. Soffocai a stento un grido di dolore. Me l’avrebbe
fracassata, se non avesse smesso.
«Ares! Riesci a sentirmi?»
«Sì», rispose, con voce ringhiante.
«Dieci minuti. Tieni duro per dieci minuti. Poi potremo atterrare.»
«Non credo… Non ne sono sicuro…»
«Tieni duro! Ti sbarcheremo, però devi resistere!» Alla fine fui costretta a
sfilare la mia mano dalla sua per evitare che nelle convulsioni me la frantumasse.
«Mi dispiace…» Ares strillò di nuovo, e il suo grido terminò in un ululato
singhiozzante.
Indietreggiando, Lawrence poté rifugiarsi soltanto sul suo seggiolino.
Il pilota si girò a guardare, però parlò attraverso il microfono a causa del
fragore: «Cosa diavolo è stato?»
«Dobbiamo atterrare», ribadii.
«Non c’è spazio prima di altri sette minuti di volo.»
«Anita!» gridò Ares.
Mi accostai di nuovo a lui in modo che potesse vedermi, senza offrirgli di
nuovo la mano. «Sono qui.»
«Sparami.»
«Come dici?»
«Sparami prima che mi trasformi.» Ares si divincolò sulla branda e strillò
nuovamente di dolore. «Qui non hai nessuna via di fuga.»
«Sette minuti, tieni duro soltanto per altri sette minuti.»
Ancora una volta Ares strillò, e l’ululato singhiozzante gli gorgogliò in gola.
«Ti aggredirò e non sarò io… Riesco a sentirlo… Oddio! Oddio! Sparami!»
Fissò Lawrence, con occhi stralunati. «Sparami!»
Lawrence scosse la testa. «Sono qui per salvarti il culo, non per ammazzarti.»
«Anita!»
«Sono qui, Ares.»
«Non permettergli… di usarmi… così…» Ares iniziò di nuovo a strillare e
non smise più, mentre tutto il suo corpo sussultava in preda alle convulsioni.
Sotto la pelle, i muscoli e i legamenti si contraevano e schioccavano come non
avrebbero mai dovuto fare. Stava contrastando la metamorfosi, quindi la
rallentava, rendendola molto più dolorosa. Stava cercando di guadagnare tempo
per consentirci di atterrare.
«È sempre così dolorosa?» chiese Lawrence.
Scossi la testa. «Si sta opponendo.»
«Per farci guadagnare tempo…»
Annuii. «Puoi spostare gli altri feriti un po’ più lontano?»
«E dove?»
Aveva ragione. Non c’era spazio. Travers era intrappolato sopra Ares, mentre
il terzo ferito, di cui non conoscevo il nome, era assicurato in mezzo a tutti noi.
Merda, merda, merda!
Agli strilli seguirono gli ululati sghignazzanti, poi spuntò la pelliccia, le ossa
si modificarono, e fu come se una mano gigantesca stritolasse e macellasse la
forma umana per ricomporla e rimodellarla in forma animale. Non avevo mai
assistito a una metamorfosi simile. Insieme col liquido limpido, il sangue
imbrattò tutto l’interno dell’elicottero, come accade esclusivamente quando il
licantropo si oppone alla metamorfosi. Vedendo il sangue irrorare il paziente
sconosciuto ebbi timore che gli bagnasse le ferite, trasmettendogli la licantropia,
ma durò solo un momento, perché subito dopo vi fu ben altro di cui
preoccuparsi.
Strappate le cinghie che lo bloccavano, Ares tentò di alzarsi a sedere, fu
ostacolato da Travers sopra di lui e si girò su un fianco, in gran parte nascosto
dalle coperte in cui era stato avvolto e dall’ombra in cui era immerso. I suoi
muscoli e le sue ossa si muovevano sotto la coperta come un nido di serpenti.
Il copilota gridò alla radio: «Mayday! Mayday! Mayday!»
Mentre Lawrence si assicurava al sedile, io rimasi in piedi, aggrappata
spasmodicamente con una mano al bordo di una barella e sfoderando con l’altra
la mia Browning BDM. Sì, con l’AR o col Mossberg sarei stata più sicura di
uccidere, ma i proiettili avrebbero trapassato Ares e l’elicottero. La Browning
invece avrebbe aperto qualche buco soltanto nella iena. Non avrei voluto farlo,
però come marshal sono addestrata per portare armi a bordo dei velivoli, inclusi
gli elicotteri, ai quali essere presi a colpi di arma da fuoco piace ancora meno di
quanto piaccia agli aeroplani. A dispetto di quello che si vede nei film,
danneggiare il rotore significa precipitare. Un aereo può continuare a volare con
un solo motore, oppure veleggiare come un aliante per un po’ se tutti i motori
smettono di funzionare. Invece un elicottero precipita se il rotore smette di
funzionare. Se fossi stata costretta a sparare ad Ares, avrei cercato di non
ammazzarci tutti quanti.
Il Black Hawk sobbalzò e iniziò a scendere.
«Ho trovato una radura!» gridò il pilota. «Però sarà un brutto atterraggio!
Assicuratevi!»
Dopo breve esitazione decisi di non sedermi e di non assicurarmi, altrimenti
in quello spazio ristretto non avrei avuto la certezza di poter sparare ad Ares
prima che massacrasse il pilota e il copilota. Avevo garantito che non si sarebbe
trasformato durante il volo e avevo sbagliato, quindi era mia responsabilità
proteggerli da ciò che giaceva sulla barella nell’oscurità. Un cupo e malvagio
brontolio si diffuse nella cabina.
Aggrappata saldamente con una mano, a gambe divaricate, puntai la pistola
contro la massa nera del licantropo. L’unica consolazione era che Ares in forma
di iena era troppo grosso per potersi muovere agevolmente nello spazio angusto.
Quello che per noi era un incubo, era una difficoltà anche per lui, o almeno così
dissi a me stessa sentendo l’elicottero sbattere contro qualcosa che stava sotto di
noi.
«Le cime degli alberi!» gridò Lawrence.
Era quella la causa dei rumori e degli urti, mentre il pilota cercava di atterrare
senza precipitare. Un elicottero può anche strisciare sugli alberi, purché le pale
restino indenni.
Un altro sobbalzo rischiò di farmi cadere addosso al ferito sconosciuto, ma
riuscii a rimanere aggrappata con la mano e a tenere la pistola puntata contro
Ares, che si girò e per un attimo rimase bloccato tra la propria barella e quella
sovrastante, in cui era disteso Travers. Per un attimo scorsi la iena mannara,
pallido incubo di pelliccia nello spazio ridotto. Non mi ero ancora rimessa in
piedi, quindi se avessi sparato avrei rischiato di colpire Travers. Lawrence gridò
e la iena mannara, schiantando la propria barella e sollevando quella di Travers,
si lanciò su di lui, che senza dubbio aveva già estratto la propria arma, perché
fece fuoco prima di me. Anche se lo centrai al petto, sapevo di non avergli
inflitto una ferita letale.
Di nuovo Lawrence urlò, mentre io ero quasi a cavalcioni del ferito
sconosciuto. Piantai la pistola nella pelliccia e feci fuoco due volte, di nuovo al
busto, di nuovo senza causare ferite letali! Comunque lui sembrò irritarsi, perché
si girò e mi aggredì, inchiodandomi sopra il ferito. Vidi le enormi fauci
insanguinate, gli occhi furenti, e gli sparai in bocca altri due colpi. Quello che mi
sembrò un colpo di mazza da baseball al fianco mi lasciò senza fiato. Se non
avessi ucciso il mostro, non avrei più respirato.
Vidi spuntare una mano armata di pistola. La iena le inghiottì entrambe,
troncando il braccio con un morso. Il sangue m’irrorò il viso mentre il copilota
gridava. Con un urto che scrollò tutto l’elicottero, atterrammo. Un uomo ci
crollò addosso e la iena mi respinse per aggredirlo. Pensai che fosse Lawrence,
comunque il portello dalla sua parte non fu aperto da lui.
Schiacciata dalla iena, scaricai la Browning dove mi fu possibile, ferendola in
più punti. Eppure fuggì.
Mi alzai a sedere e vidi Lawrence crollare, con una spalla sbranata da cui
spuntava la giugulare troncata. Se non era già morto, stava agonizzando. Vidi le
luci di una casa. Eravamo atterrati in una zona abitata, con famiglie e ragazzini.
E Ares era là fuori… Cazzo!
Mi girai verso la cabina di pilotaggio. Il pilota stava stringendo un laccio
emostatico intorno al moncone del copilota, il cui sangue m’imbrattava il viso.
Mi affacciai dall’elicottero, gettai la Browning, impugnai l’AR appeso alla
tracolla tattica e cercai Ares. Sarebbe dovuto scappare, invece la brama di
sangue non gli permetteva di trascurare nessuna preda.
Nel vialetto della casa era in sosta un’automobile, accanto alla quale c’era
una donna rannicchiata coi capelli che sventolavano nell’aria smossa dal rotore,
che rallentava senza essersi ancora spento. Non ero sicura che lei avesse visto la
gigantesca iena mannara. Invece l’avevano vista di certo i ragazzini impalliditi
affacciati ai finestrini dell’auto.
Fu uno di quei momenti cristallizzati in cui tutto rallenta, quando si ha
l’illusione di avere a disposizione tutto il tempo del mondo e i dettagli spiccano
come se fossero scolpiti nel diamante. I ragazzini nell’auto iniziarono a strillare,
mentre le pale del rotore rallentavano ancora sino a fermarsi sopra di me, e la
iena con la pelliccia tutta lustra di sangue correva verso la madre che si
proteggeva gli occhi dalla polvere turbinante. Imbracciai l’AR, accesi il faro,
illuminando le zampe posteriori della iena, e feci fuoco.
Atterrata dalla calibro 6,8, la iena mannara si girò a guardarmi con
un’espressione che nulla aveva di umano, poi fuggì lontano dalla donna e dai
ragazzini, verso il bosco confinante col giardino. Se ci fosse arrivata, ci sarebbe
sfuggita.
Mi appoggiai all’elicottero ormai del tutto immobile, trattenni il fiato e
ricordai le istruzioni che avevo ricevuto al poligono di tiro proprio da Ares, che
era un cecchino. Di solito tiravo a distanze comprese tra i venti e i quaranta
metri. La iena invece era già a più di novanta metri e correva, maledizione,
correva ancora, nonostante le numerose ferite.
Quando fu a centotrenta metri, ebbi la sua testa nel mirino, proprio come
Ares stesso mi aveva insegnato: «Precedi il bersaglio nella direzione del vento».
Avevo sempre avuto problemi a calcolare il vento. Comunque premetti il
grilletto.
La iena mannara crollò con un capitombolo e scomparve nell’oscurità al
margine del bosco.
Dovevo sapere, dovevo accertarmi. Balzai goffamente giù dal Black Hawk,
col fianco destro intorpidito. Mi sembrò d’impiegare tantissimo tempo ad
attraversare il giardino con l’AR imbracciato. Un faro mi seguiva dall’alto,
accompagnato dal fragore di un elicottero. Tenni gli occhi fissi sul punto in cui
era caduto il licantropo.
Il pilota mi affiancò, col fucile imbracciato, e disse qualcosa che non riuscii a
capire. Il faro ci seguì e con la sua aspra luce bianca rivelò Ares che giaceva
scomposto nell’erba. Era di nuovo umano, ma sembrava decapitato. Avrebbero
potuto identificarlo soltanto mediante le impronte digitali, perché era troppo
tardi per quelle dentali.
Rimasi immobile a osservare ciò che ne restava, con l’AR che oscillava
appeso alla tracolla tattica, poi crollai in ginocchio accanto a lui.
«È ferita?» chiese il pilota.
Scossi la testa, prima di rendermi conto di avere il fianco dolorante. Allora
mi toccai, imbrattandomi di sangue la mano. «Cazzo…»
«È ferita.»
«Sì, sono ferita…» Scivolai lentamente sull’erba, supina, a fissare il secondo
elicottero e il suo faro. Era di una rete televisiva. Eravamo in diretta su qualche
notiziario. Merda!
Tornato col kit di pronto soccorso, il pilota mi compresse la ferita al fianco.
Sarei stata pronta a scommettere di essere stata colpita dalla pallottola che il
copilota aveva sparato alla iena mannara. Lo stramaledetto fuoco amico.
Guardai il cadavere accanto a me, l’uomo accanto a me, Ares accanto a me,
ciò che ne restava, ciò che la mia pallottola gli aveva fatto…
Sarebbe rimasto molto impressionato dal mio tiro, sarebbe stato fiero di
avermi finalmente insegnato a calcolare correttamente la direzione del vento.
Forse gli avrei perfino lasciato credere di averlo fatto in quell’istante, ma non era
così. In verità ero ancora incapace di calcolare la direzione del vento e di
compiere i necessari aggiustamenti nei tiri a lunga gittata. Tuttavia non glielo
avrei detto. Era una cosa da maschi, e per qualche ragione questo pensiero mi
fece piangere. In lontananza uggiolavano le sirene delle ambulanze. Il pilota
stava premendo troppo forte, tanto che mi alzai quasi a sedere. «Ahi! Cazzo!»
Fu un movimento eccessivamente rapido. La notte fu offuscata da bande di
colore e di ombre. Non mi opposi quando l’oscurità sorse a inghiottire il mondo.
33

n quieto mormorio mi destò. Quando cercai di muovere il braccio

U sinistro, qualcosa mi trattenne. Aprendo gli occhi scoprii di avere una


flebo inserita nel braccio sinistro, immobilizzato con nastro adesivo.
Evidentemente avevo cercato di muovermi anche priva di conoscenza.
Il letto aveva le sponde. Nell’oscurità spiccava, quasi troppo luminosa,
la luce del monitor da cui giungevano segnali sonori lenti e regolari.
«Ah, bene!» Un’infermiera mi sorrise. «È sveglia!» Parlò a voce
insolitamente bassa e parve leggermi nella mente, perché aggiunse: «Il suo
fidanzato si è finalmente addormentato sul divano, povero ragazzo».
Girai la testa nella direzione in cui guardava lei e vidi al lato opposto della
stanza un tavolino, due sedie e un divano su cui dormiva Micah, sotto un panno
che non lo copriva del tutto e con la testa appoggiata sopra un piccolo cuscino. Il
viso pallido era incorniciato dai ricci sfuggiti alla treccia. Sembrava più giovane
e più fragile.
«Come sta suo padre, lo sceriffo Callahan?» sussurrai, sentendomi la gola
secca e la voce roca. Doveva essere da parecchio che ero idratata esclusivamente
attraverso la flebo.
«Bene, considerate le sue condizioni.» L’infermiera si avvicinò per
controllarmi il polso e infilarmi un termometro sotto la lingua.
Allora vidi qualcuno seduto sopra una sedia accanto al letto. Per fortuna non
potevo parlare, altrimenti avrei gridato: «Edward!»
I suoi capelli, biondi, erano tagliati corti come sempre da quando lo
conoscevo, e gli occhi azzurri e gelidi come i cieli invernali. Il suo viso era
impassibile e impenetrabile perché ero io a guardarlo, però stava seduto come il
suo alter ego, con la caviglia di una gamba appoggiata alla coscia dell’altra.
Indossava blue jeans sbiaditi alle cuciture e stivali da cowboy marroni goffrati a
volute pure marroni. Teneva sul ginocchio un vecchio cappello da cowboy con la
falda piegata e stropicciata dall’uso costante. Era di un bel bianco avorio che
contrastava col bianco della camicia dalle maniche arrotolate a scoprire gli
avambracci muscolosi. Con un cordone portava al collo il distintivo di marshal,
perciò in quel momento non era Edward, bensì Ted Forrester, marshal federale e
mio collega della squadra soprannaturale, cioè la sua identità segreta. Ted era il
Clark Kent del Superman, o supercattivo, Edward. Ormai era marshal a tempo
pieno, o quasi; all’epoca in cui lo avevo conosciuto, invece, Ted Forrester era
stato sterminatore di vampiri legalmente autorizzato, proprio come me, e Edward
era stato un sicario prezzolato dalle tariffe altissime, specializzato in licantropi e
vampiri perché gli umani erano diventati prede tanto facili da annoiarlo.
Ero ancora un po’ confusa su quanto sapesse il governo di lui come Edward e
come Ted, però era stato nel collaborare con lui a un’indagine che avevo sentito
parlare per la prima volta di Van Cleef e che avevo incontrato alcuni di quelli
che aveva addestrato o che stava addestrando. Edward non ne parlava mai molto.
«Ciao, Ted!» salutai, prima di tossire per schiarirmi la voce.
Lui sorrise, con gli occhi scintillanti, di un azzurro all’improvviso più
luminoso. Quando l’infermiera si girò a guardarlo ridiventò subito Ted, però
continuò a sorridermi perché aveva visto nei miei occhi che avevo rischiato di
gridare il suo nome sbagliato. «Ciao», disse, con voce bassa ma allegra, la voce
di Ted, dato che Edward compariva e spariva in un istante.
La sua identità segreta era diventata così vera che come Ted era fidanzato a
Donna, una vedova con due figli, la quale sapeva qualcosa delle sue attività, ma
non tutto. All’inizio mi ero molto incazzata con lui per avere sfruttato lei e i suoi
ragazzi in modo tale da perfezionare il proprio camuffamento, poi avevo capito
che li amava davvero. Io non comprendevo cosa vedesse in Donna, e lui a sua
volta non apprezzava del tutto gli amori della mia vita, perciò eravamo pari.
L’infermiera mi tolse il termometro e mi sorrise. «Niente febbre. Forse il
medico vorrà farle fare un’altra radiografia prima di dimetterla, però, a parte
questo, sembra che lei si stia rimettendo eccezionalmente bene. Le capacità di
guarigione possedute dai licantropi non cessano mai di stupirmi.»
Avrei potuto ribattere di non essere tecnicamente una licantropa, dato che non
mi trasformavo, però lasciai correre perché stavo cominciando a sentirmi un po’
come la signora che protesta troppo. «Perché una radiografia?»
«Aveva il bacino fratturato.»
Sgranai gli occhi, poi corrugai la fronte. «Ricordo di avere camminato dopo
essere stata ferita…»
«Infatti, però era una piccola frattura e a giudicare dal video lei era piena di
adrenalina, nonché sotto shock. In queste condizioni il dolore si sente soltanto in
seguito.»
«Quale video?»
«Quello che è stato trasmesso da tutti i notiziari locali», rispose l’infermiera.
«Notiziari nazionali», corresse Edward.
«Avverto il dottor Cross che si è svegliata.»
«Può togliermi la flebo?»
«Prima occorre che il dottor Cross la visiti.»
«Posso avere acqua, o almeno ghiaccio?»
«Chiedo. Il mio nome è Becky. Suoni se ha bisogno di qualcosa.»
L’infermiera tirò una tenda e uscì.
Quando la porta nascosta dalla tenda fu chiusa, domandai: «Come sei arrivato
qui?»
«In aereo.»
«Voglio dire, perché? Chi ti ha chiamato?»
«Ho chiamato io, al tuo telefono, finché non ha risposto qualcuno che mi ha
passato Micah.»
«Hai visto il notiziario…»
Edward annuì.
«E così, di punto in bianco, sei partito?»
«Tu avresti fatto lo stesso per me.»
Annuii. «Sì.»
«Non riesco a credere che tu non mi abbia chiamato prima.»
Corrugai la fronte. «Perché?»
«Affronti un’apocalisse zombie e non m’inviti?» Edward posò una mano sul
cappello e scrollò le spalle in un gesto tipico di Ted, benché fossimo soli.
Probabilmente, quando si usa una copertura abbastanza a lungo, i confini
tendono a sbiadire. Era ancora alquanto inquietante per me vedere Edward
comportarsi come Ted, anziché viceversa.
«Non sapevo che fosse un’apocalisse zombie finché non mi ci sono trovata in
mezzo. E, per l’amor d’Iddio, non dire ’apocalisse zombie’ dove c’è il rischio
che l’espressione possa arrivare ai media!»
«Troppo tardi.»
«Merda.»
Edward annuì. «La grossa novità è che hai ucciso un pericoloso animale
mannaro, salvando così una madre e i suoi figli.»
Distolsi lo sguardo, improvvisamente interessata alle mie mani sul lenzuolo.
Ricordavo i ragazzini con le facce premute contro i finestrini della vettura, e la
donna che con le mani si copriva il viso sferzato dai capelli nel vento prodotto
dalle pale dell’elicottero, e la grossa iena…
«Mi dispiace per Ares», disse Edward. «Era un bravo combattente.»
Annuii, accettando per Ares quella che da parte di Edward era una lode
immensa. «Sì, lo era.»
«Mi dispiace ancora di più che proprio tu sia stata costretta a farlo.»
Sospirai. «Sì, dispiace anche a me.»
«Una cosa che il pilota e il copilota sembrano non avere capito chiaramente è
perché sia impazzito. Ares controllava perfettamente la propria bestia, altrimenti
non sarebbe stato accolto tra le tue guardie del corpo. Cos’è andato storto?»
«È riuscito a dire soltanto che qualcuno lo aveva posseduto e lo stava
costringendo a trasformarsi.»
«Era stato morso dalla vampira che era posseduta dall’altro vampiro?»
«Sì.»
«Il morso non avrebbe dovuto essere sufficiente a consentirgli di dominare
così un licantropo.»
«Lo so.»
«Quindi questa è una novità anche per te?»
«Se un agente mi avesse raccontato questa storia, avrei risposto che aveva
frainteso e che forse il morso infetto lo aveva fatto impazzire di dolore.»
«Non avresti creduto che un unico morso inflitto da quella che era
sostanzialmente una sostituta potesse essere sufficiente per conferire a un
vampiro master il potere di dominare un licantropo come Ares.»
«Avrei detto che, per dominare così Ares, il vampiro master avrebbe dovuto
avere come minimo un contatto visivo, oppure il contatto visivo e un morso.»
«Hai percepito l’altro vampiro?»
«La sua energia era così forte che quando ha posseduto la vampira, nel bosco,
l’ho sentito fisicamente presente a poca distanza.»
«Dunque era abbastanza forte da consentirgli di colpire Ares sia con
l’infezione putrescente sia col proprio stesso potere.»
«Sì.»
«Non è possibile.»
«No.»
«Eppure è successo.»
«Sì.»
Ci scrutammo in silenzio per un poco.
«Difficile braccare e uccidere qualcuno che passa da un corpo all’altro tanto
facilmente.»
«Non l’avevamo già fatto?» domandai.
«Ti riferisci a Mammina Tenebrosa…»
«Sì, era uno spirito e saltava da un vampiro all’altro.»
«Voleva possedere il tuo corpo, per tenerselo.»
«Altrimenti non so se sarei riuscita a trattenerla in un singolo corpo
abbastanza a lungo per ucciderla.»
«Lei però non aveva i poteri di un vampiro putrescente.»
«No, infatti. Tuttavia era la prima vampira, perciò in teoria tutti i tipi di
vampiro sono discesi da lei.»
«Non ho mai creduto che Marmee Noir fosse la prima vampira in assoluto.»
«Neanch’io. Ma, se non era la prima, era comunque maledettamente antica.
L’unico essere antico quasi quanto lei era il Padre del Giorno.»
«Lo hai ucciso a Las Vegas.»
«Lo abbiamo ucciso», corressi.
Edward scosse la testa. «Non ero presente quand’è stato inflitto il colpo
fatale, perciò è tutto tuo.»
«Lo dici come se tenessimo il conto.»
«Io sì. Tu no?»
Ci pensai. «No, credo di no. Cioè, se ti riferisci ai numeri, allora sì, perché
adesso che siamo marshal la burocrazia c’impone di documentare tutto.»
«Non badi a chi di noi ha ucciso il più grosso e il più cattivo?»
Scrollai le spalle e scossi la testa. «No.»
«Be’, in questo caso, allora, essere in vantaggio su di te non è più così
divertente!»
«Non sei in vantaggio su di me.»
Sogghignò, in uno strano connubio tra Ted e Edward. «Visto che tieni il
conto?»
Sogghignai anch’io, ed ebbi perfino il garbo di mostrarmi imbarazzata. «Non
ufficialmente, però seguo le tue imprese.»
«Invece sì, tieni il conto. Semplicemente non vuoi ammetterlo.»
Di nuovo scrollai le spalle. «Non lo consideravo ’tenere il conto’. In ogni
caso, ho eliminato più mostri di te, ufficialmente.»
«Se ci aggiungi tutti quelli che ufficialmente non risultano, allora sono in
vantaggio io.»
«Sei più vecchio.»
Edward rise. Rise davvero, come faceva soltanto da quando aveva incontrato
Donna e i ragazzi, quasi come se lei gli avesse accordato il permesso di
resuscitare alcuni dei pezzi cui aveva dovuto rinunciare per essere Edward.
«Non è possibile riuscire a dormire un po’ da queste parti?» Micah si alzò a
sedere, strofinandosi gli occhi.
«Mi dispiace», dissi. «Rimettiti a dormire. Parleremo più piano.»
«No, adesso sei sveglia e voglio vederti sveglia.» Micah indossava soltanto i
calzoni del pigiama. Era snello e il corredo genetico gli impediva di aumentare la
massa muscolare, però era nerboruto e a torso nudo si vedeva mentre
attraversava la stanza, scalzo.
Desideravo sempre accarezzarlo, ma in quel momento ne sentivo il desiderio
con particolare intensità. «Per quanto tempo ho dormito?»
Micah si accostò al letto. «Ventiquattr’ore.» Posò la sua mano destra sulla
mia mano sinistra, delicatamente perché avevo la flebo. Quando gli porsi la
destra, commentò: «Rinunci alla mano con cui spari! Di solito non lo fai».
«C’è Edward, qui. Penso che possa difendere la porta.»
Micah sorrise. Si curvò a baciarmi con l’intenzione di essere casto e gentile,
per cortesia nei riguardi di Edward.
Io sfilai la mia mano dalla sua per accarezzargli il braccio nudo e caldo,
salendo fino alla nuca, dove i suoi capelli mi solleticarono, e lo attirai ancora più
contro di me.
Lui si sciolse nel bacio per un momento, poi si staccò da me e, dato che io
non volevo lasciarlo, fu costretto a togliere la mia mano dalla sua nuca. Poi mi
scrutò coi suoi occhi verdi e dorati. «Hai bisogno di cibo.»
«Non voglio le gelatine dell’ospedale.»
«Non mi sorprende.»
«Ti guarda come se volesse mangiarti», commentò Edward.
«A volte lo fa, quando non si è nutrita abbastanza.»
«Posso lasciarvi un po’ d’intimità.»
«Prima vediamo se il medico la dimette. Preferirei davvero non dover
spiegare la necessità di fare sesso in una stanza d’ospedale. Inoltre devo andare
da mio padre e da Nathaniel.»
«Cos’ha Nathaniel?»
«Mal d’altitudine, shock, metamorfosi troppo rapida da forma animale a
forma umana.»
E io ho assorbito la sua energia per guarirmi, pensai. Edward era uno dei
pochi colleghi a conoscere la verità su di me e sulle mie connessioni
metapsichiche, tuttavia…
«Anita ha attinto energia da Nathaniel per guarirsi?» domandò Edward.
Io e Micah lo guardammo, e forse fu un’occhiata non del tutto cordiale.
«Mi è capitato di essere presente quando Anita ha dovuto nutrire l’ardeur in
condizioni di emergenza. Dato che era ferita e non poteva nutrirsi normalmente,
ha dovuto attingere energia altrove.»
«Logico», commentai.
«Quasi sempre», replicò Edward.
Micah mi guardò, ricevette un cenno di assenso e si rivolse a Edward. «Non è
così semplice come attingere energia, però… Sì, Nathaniel ha perso conoscenza
per la concomitanza di tutto quello che è successo e per la grave ferita di Anita.»
«Come sta Damian?» domandai.
«Benissimo, anche se la notte scorsa si è nutrito più del normale.»
«Stanno bene anche tutti gli altri?» chiesi, per non domandare esplicitamente
se Damian avesse ferito qualcuno «nutrendosi» troppo. Era un vampiro: qualora
si fosse nutrito troppo, le conseguenze per il donatore avrebbero potuto essere
gravi.
«A quanto ne sappiamo…»
«Non potresti rispondere semplicemente sì?»
«Ho trascorso le ultime ventiquattr’ore a passare dall’una all’altra delle tre
stanze in cui sono ricoverati gli amori della mia vita e mio padre, perciò ho
diritto a esagerare un po’ con la delicatezza», disse Micah.
«Scusa.»
«Va tutto bene. Sono felice che tu sia sveglia.»
«Anch’io.»
«Mi vesto e vado da Nathaniel.»
«Salutami con un bacio.»
«Non ho ancora camicia e scarpe, Anita. Sono ancora qui.» Micah tornò al
divano per frugare in una borsa, ne trasse una bracciata d’indumenti e l’astuccio
degli articoli da toletta, con cui si recò in bagno, tra il letto e la finestra con le
tende chiuse. Sulla soglia del bagno illuminato si fermò. «Se il medico ti offre un
po’ di gelatina dell’ospedale, accetta. Anche se hai bisogno di nutrire l’ardeur, il
cibo ti aiuta a dominarlo. Non tutti quelli che baci così hanno il mio
autocontrollo.»
Mi sforzai di rimanere immobile. «Non chiedevo sesso…»
Micah mi fissò in silenzio.
«No, davvero…» Ero evidentemente sulla difensiva, quindi m’imbronciai, e
così mi resi conto di mentire a me stessa. Sentivo la brama crescere dentro di
me. Ero guarita rapidamente, però la guarigione aveva un prezzo che alla fine
doveva essere pagato. Naturalmente, Nathaniel era in fondo al corridoio, anche
lui attaccato a una flebo, e questo era un prezzo che era già stato pagato.
«Mi vesto, Edward», annunciò Micah. «Se Anita mette le mani addosso a
qualcun altro, bussa alla porta.»
«Non intendo certo mettermi a tastare gli sconosciuti», protestai cupamente.
Micah sorrise. «Qui ci sono più guardie del corpo di quando hai perso
conoscenza; molte sono disponibili come nutrimento per te, e quasi nessuna ha il
mio autocontrollo.»
Avrei voluto incrociare le braccia, ma con la flebo era troppo difficile. «Farò
la brava», dissi, sforzandomi di non mettere il broncio.
«Sei sempre brava, Anita. Basta che tu non faccia nulla che possa
imbarazzare Edward.»
«In corridoio ci sono poliziotti che aspettano di sostituirmi al capezzale di
Anita. Potremmo cominciare tutti a chiamarmi Ted, tanto per fare pratica?»
Micah annuì. «Anita, non fare nulla che possa imbarazzare Ted.»
«Sei stato chiaro», assicurai.
«Potrei aggiungere che in corridoio ci sono poliziotti che sorvegliano la tua
camera come sorvegliano quella di mio padre. Non fare nulla che possa indurli a
irrompere qui. Ci sono anche mia madre, mia sorella e mio fratello. Anche loro
sono passati a farti visita.»
Mi afflosciai sul cuscino, perdendo all’improvviso tutta la bellicosità e tutto il
malumore. «Sei stato chiaro.»
«Bene! Ti amo.»
«Ti amo anch’io.»
Micah chiuse la porta del bagno, e la stanza parve all’improvviso più buia.
Subito dopo sentii bussare. La porta della camera fu immediatamente aperta
senza che io avessi avuto il tempo di dire: «Avanti». Non rimasi sorpresa che
fosse il mio medico. Invece rimasi un po’ sorpresa che il mio medico fosse un
vampiro.
34

l dottor Cross era alto e magro, con capelli che molti avrebbero definito

I neri, ma che per me erano semplicemente scuri perché potevo paragonarli


coi miei e con quelli di Jean-Claude.
«Sì, lo so, è alquanto ironico che un vampiro porti sempre con sé una
croce nel nome», esordì, sorridendo abbastanza da rivelare le zanne sottili.
«Tuttavia ero già il dottor Cross prima di diventare non morto.»
«Quindi è una pura coincidenza?» domandai.
Lui annuì allegramente, prima di accingersi ad auscultarmi con lo stetoscopio
che portava al collo.
Quando si curvò su di me, un ciuffo gli cadde quasi sugli occhi e io ebbi
l’impulso improvviso di ravviargli i capelli. Non era da me desiderare il contatto
fisico con gli sconosciuti. Il fragore della doccia nel bagno mi annunciò che
Micah era tutto nudo e insaponato. Unirmi a lui mi parve un’ottima idea.
Alto quasi un metro e ottantacinque, il dottor Cross non sembrava a proprio
agio con la propria altezza, a differenza di quasi tutti quelli che conoscevo.
Infatti rimase curvo su di me un po’ troppo a lungo nell’aprirmi la camicia da
notte e tenermi lo stetoscopio premuto sul petto. Con la mano infilata sotto la
mia camicia da notte, girò la testa a guardare Edward. «Devo esaminare la ferita,
marshal Forrester. Credo che un poco d’intimità sia opportuno.»
«Non ho problemi», replicò Edward, scrutandoci.
«Un po’ d’intimità sarebbe gradita», assicurai, corrugando la fronte.
Edward scosse la testa. «Non credo proprio.»
«Prometto di non divorarla.» Il dottor Cross sorrise, sempre con lo
stetoscopio premuto tra le mie mammelle e la mano sotto la camicia da notte,
anche se avrebbe dovuto toglierla.
Mentre mi domandavo se si rendesse conto di quello che stava facendo, il
mio battito cardiaco accelerò. Che cosa mi stava succedendo? Avrei dovuto
essere in grado di controllarmi meglio.
«Non è questo che mi preoccupa.» Edward fece un sorriso alla Ted Forrester,
esagerato, come se tutti gli angeli stessero ballando il tip tap accanto a lui.
Nel fissarlo, corrugai la fronte ancora di più. Avrei voluto dirgli di andarsene.
Al tempo stesso ero consapevole che io e il dottor Cross non eravamo affidabili,
anche se una parte di me se ne fregava.
Il vampiro mi fissò con occhi castani orlati irregolarmente di grigio intorno
alla pupilla. Allora mi chiesi se lui stesso li definisse castani oppure nocciola.
«Dottor Cross», ammonì Edward, in tono deciso.
Come se non si fosse accorto di essere curvo su di me, immobile, a fissarmi,
il medico vampiro trasalì. «Scusate… Non mi ero reso conto di essere tanto
stanco…» Con movimenti bruschi, mi tolse lo stetoscopio dal petto, abbassò il
lenzuolo e sollevò la camicia da notte, così larga e lunga che fu costretto ad
arrotolare parecchio tessuto. «Sarebbe stato più rapido abbassarla», scherzò.
«Può darsi», convenni.
«È una taglia universale che non si adatta a tutte le pazienti», commentò
Edward.
Tenendo la camicia da notte arrotolata tra le mani, il dottor Cross si girò a
sorridergli. Poi fissò la mia nudità, corrugò la fronte e si spostò per nascondermi
a Edward, mostrandogli la schiena.
Apprezzavo la sua considerazione per il mio pudore, ma i ciuffi che gli
cadevano sulla faccia a nascondere gli occhi m’irritavano. Volevo vedere i suoi
occhi.
«Notevole…» Il dottor Cross mi palpò il fianco ferito. «La cicatrice sembra
già vecchia di qualche mese.»
Nel guardarmi, vidi una cicatrice bianca sull’anca. Il proiettile sembrava
avermi colpito sotto il giubbotto. «Se non fosse stato un proiettile d’argento, non
sono sicura che sarebbe rimasta la cicatrice.»
«Davvero? So che in teoria le pallottole normali, non d’argento, non possono
ferirla, e non possono ferire neppure me, però non l’ho mai verificato.» Il dottor
Cross rise al pensiero di essere a prova di proiettile.
«Sinceramente non lo so. È da parecchio che non rimango ferita da un
proiettile non d’argento.» Di nuovo vidi il grigio intorno alle sue pupille, che
schiariva il castano delle iridi, o forse il colore dei suoi occhi era semplicemente
castano chiaro.
«Dottor Cross!» ripeté Edward, con voce un po’ tagliente.
Il medico trasalì, rimase un momento perplesso, poi si girò verso Edward.
«Sì, marshal Forrester?»
«Marshal Blake può essere dimessa?»
Il vampiro mi guardò ancora una volta il fianco e, dato che la camicia da
notte era scivolata un’altra volta giù, fu naturale da parte sua scoprirmi di nuovo
la parte inferiore del corpo. Mi accarezzò la cicatrice, poi l’inguine.
Normalmente mi sarei incazzata. Invece aveva di nuovo il ciuffo sulla faccia e io
volevo vedere i suoi occhi. Ne avevo bisogno. Così gli toccai i capelli e lui
sollevò la testa a guardarmi negli occhi. Quando gli scostai il ciuffo dal viso,
sgranò gli occhi e dischiuse le labbra, sbalordito, quasi spaventato.
«Anita!»
La voce di Edward mi fece trasalire.
Io lasciai cadere la mano e il dottor Cross, raddrizzandosi di scatto, mi
abbassò la camicia da notte. «Mi scusi… Che cosa stavo dicendo?»
«Stava dicendo che marshal Blake sta bene.»
«Be’, sì, sta bene, molto bene, cioè, è molto bella…» Corrugò la fronte come
se faticasse a concentrarsi e a esprimersi. Si rendeva conto di essere
inappropriato e sembrava incapace di evitarlo.
«Mi riferivo alla ferita», spiegò Edward. «Sembra guarita.»
«Sì, naturalmente, è quello che intendevo.» Il dottor Cross cercò di
recuperare un atteggiamento professionale. «Vorrei fare un’altra radiografia per
essere sicuro al cento per cento che la frattura sia completamente ridotta. La
guarigione delle ossa può richiedere periodi più prolungati anche per i
licantropi.»
«Cosa implica fare un’altra radiografia?» chiese Edward.
«Non sono sicuro di capire», replicò il dottor Cross.
«Dovrà essere trasportata in lettiga oppure in sedia a rotelle?»
«La sedia a rotelle dovrebbe essere sufficiente.»
«Normalmente chi l’accompagnerebbe in radiologia?»
«Arriverebbe un tecnico di laboratorio per accompagnarla di sotto e poi
riaccompagnarla qui.»
«Non potreste farla qui?»
«Ah, sì, ottima idea…» Nel girarsi per andare alla porta, il dottor Cross urtò
la tenda, e subito la rassettò goffamente. «Mi dispiace molto… Sono così
impacciato oggi…» Finalmente si liberò dalla tenda e uscì.
«Scommetto venti dollari che torna con la sedia a rotelle e che si offre di
accompagnarti personalmente a fare la radiografia», dichiarò Edward.
Nel fissarlo corrugai la fronte, però provavo ancora la sensazione tattile dei
capelli del dottor Cross. Il fragore della doccia cessò, annunciando il ritorno
imminente di Micah. Tuttavia fare sesso col bacino fratturato sembrava una
pessima idea.
«Ho dimenticato di chiedergli di togliermi la flebo…»
«Hai dimenticato un sacco di cose.»
Sospirai. «Non l’ho fatto di proposito…»
«L’hai catturato con lo sguardo almeno due volte, Anita. Hai vampirizzato il
vampiro.»
«Non è possibile…»
«Sì, come non lo è guarire da una ferita di proiettile d’argento in poco più di
ventiquattr’ore.»
Ci scrutammo in silenzio.
La porta del bagno si aprì e nella stanza un dolce profumo di pelle pulita, di
sapone e di acqua calda si diffuse insieme col vapore.
Mi girai a guardare Micah. Aveva i capelli lisci e quasi neri, perché ancora
bagnati, che cadevano a metà schiena, un po’ più lunghi di quand’erano asciutti e
ricci. Mi piacevano. Invece la camicia e i jeans puliti che indossava… mi
deludevano. Avrei voluto vederlo nudo e bagnato. Nel rendermene conto
compresi di essere nei guai, perché sarebbe stato del tutto inappropriato in
presenza di Edward. «Ho bisogno di nutrirmi al più presto», dichiarai.
«Il medico ha detto che puoi mangiare cibo solido?»
«No.»
«Cos’ha detto?»
«Vuole fare una radiografia per assicurarsi che la frattura al bacino sia guarita
perfettamente, come la ferita di pallottola al fianco», rispose Edward. «Dovrebbe
mandare un tecnico di laboratorio per accompagnarla giù in sedia a rotelle.»
«Non ha detto di toglierle la flebo?»
«Anita ha dimenticato di chiederlo e lui ha dimenticato di dirlo.»
Corrugando la fronte, Micah ci scrutò a turno. «Cosa mi sono perso?»
«Almeno due volte Anita ha catturato con lo sguardo il medico vampiro e lui
si è quasi messo a tastarla», riferì Edward.
«È stato inappropriato?» chiese Micah, nel dirigersi verso la propria borsa
presso il divano.
«Non tanto inappropriato quanto l’ardeur desiderava che fosse», rispose
Edward.
Micah si girò verso di me. «È così, Anita?»
Sospirai, abbandonandomi sul cuscino. «Sì, credo di sì…»
«Abbiamo scommesso venti dollari che il dottor Cross si offrirà di
accompagnarla personalmente a fare la radiografia.»
«Io non ho accettato la scommessa», precisai.
«Perché sai che lo farà e sai altrettanto bene di non poter rimanere sola con
lui.»
Micah sedette sul divano per infilare calzini e stivali alla caviglia. «Di solito
non è attratta dai vampiri senza una connessione con Jean-Claude.»
«Posso dirti soltanto quello che ho visto», replicò Edward.
Infilati gli stivali sotto i jeans, che così gli facevano le gambe lunghe per
quanto possibile, Micah si alzò, se li rassettò e si sistemò la cintura dalla fibbia
d’argento. Aveva infilato nei jeans anche la camicia verde foresta che gli faceva
sembrare gli occhi più verdi, attenuandone l’oro. Il suo verde dorato cambiava
col mutare dell’umore e coi colori degli indumenti, talvolta anche da un istante
all’altro. Mi domandai se accadesse lo stesso anche al grigio degli occhi del
dottor Cross.
«Wow!» mi lasciai sfuggire.
«Che c’è?» Micah si avvicinò al letto.
«Mi stavo chiedendo se gli occhi del dottor Cross diventerebbero più grigi
con una camicia grigia, come i tuoi diventano più verdi con la camicia verde.
Eppure l’ho appena conosciuto. Non dovrei pensare a quali camicie
s’intonerebbero ai suoi occhi.»
«No, non dovresti.» Accostatosi al letto, Micah prese la mano che gli
porgevo.
Non appena ci toccammo, una calda esplosione di potere ci avvolse e ci
pervase, facendoci accapponare la pelle.
«Merda!» Micah si staccò da me.
«Non l’ho fatto apposta», dichiarai, con voce roca per la scarica di potere.
Volevo sfilargli la camicia dai calzoni. Volevo che venisse a letto con me e che
stendesse i suoi capelli bagnati sul mio corpo.
«Smettila, Anita! Smetti di proiettare il tuo bisogno!» Micah si allontanò a
ritroso dal letto.
Vedevo il sangue pulsare sulla sua gola come un animaletto intrappolato e
volevo liberarlo. Chiusi gli occhi e respirai più volte lentamente, profondamente.
Soltanto quando mi fui calmata li riaprii.
Dal divano, Micah mi fissava. «Non stavi pensando soltanto al sesso, vero?»
chiese, con voce pacata e seria.
Scossi la testa.
«Cos’altro implica l’ardeur?» intervenne Edward.
Entrambi lo guardammo, poi ci scambiammo un’occhiata, e Micah
commentò: «È tuo amico, forse uno dei tuoi migliori amici. Non so cosa sappia e
cosa non sappia».
Era strano sentire Micah dire che Edward era uno dei miei migliori amici.
Secondo i criteri femminili, non lo era. Non eravamo mai usciti insieme a fare
compere, né avevamo chiacchierato di uomini, né… Tuttavia avevamo parlato
dei nostri rapporti, che era in qualche modo diverso che parlare di maschi. Ci
fidavamo l’uno dell’altra a tal punto che lui avrebbe affidato la sua vita a me e io
avrei affidato la mia a lui, e anche… molte altre cose.
«Quando Micah si è scostato dal letto, ho visto il sangue pulsare sulla sua
gola e ho desiderato liberarlo.»
«Che significa ’liberarlo’?» chiese Edward.
«Immaginavo di squarciargli la gola per far sgorgare libero il sangue.»
«Per via dei marchi vampirici oppure delle connessioni con tutte le tue bestie
mannare?» domandò Edward.
«Un po’ di tutt’e due le cose, credo.»
Edward guardò Micah. «Se tu avessi ceduto al sesso, lei avrebbe pensato
comunque a sangue e violenza?»
«È improbabile. Ma talvolta per i licantropi la violenza si mescola al sesso»,
rispose Micah. «Comunque, se nutrirà presto l’ardeur, non squarcerà la gola a
nessuno.»
«Altrimenti?»
«Se fosse una vera licantropa, perderebbe il controllo della bestia e si
trasformerebbe, forse inaspettatamente.»
«Ma non può trasformarsi…»
«No.»
«Quanto tempo abbiamo prima che tu perda il controllo, Anita?» mi chiese
Edward.
«Non molto. Ho quasi soggiogato il medico vampiro. Avrei potuto farlo e
scoparmelo. Mi sembra cibo.»
«Sei sempre stata quasi immune allo sguardo dei vampiri, però non sei mai
stata capace d’ipnotizzare un vampiro», osservò Micah.
«Dillo a Damian. L’ho soggiogato completamente quando ho fatto di lui il
mio servo vampiro.»
Per qualche istante Micah parve riflettere. «Interessante… Hai ragione, la tua
capacità di dominare i non morti sta diventando sempre più forte.»
«Non ho nessuna connessione con questo vampiro. Prima è sempre stato
qualcuno con cui avevo interagito o che era legato a Jean-Claude. Questo
medico non ha nessuna connessione con nessuno di noi.»
«Jean-Claude è il nuovo re di tutti i vampiri del Paese, Anita. I master sono
arrivati a St. Louis da tutti gli Stati per il giuramento di sangue a Jean-Claude. Se
il master del dottor Cross ha ceduto potere a noi, allora lo stesso Cross è
diventato uno dei nostri vampiri anche se non lo avevi mai incontrato prima.»
Assimilai quella informazione. «Quindi ogni vampiro che incontro è già
potenzialmente predisposto, in un certo senso, a essere connesso a me?»
«Sì, potenzialmente.»
«Merda», commentai.
«Sì, è potenzialmente problematico.»
«A meno che non li usi come cibo», osservò Edward.
«Credi davvero che scoparmi il dottor Cross sia una buona idea?»
«No, altrimenti sarei uscito dalla stanza e avrei lasciato che la natura facesse
il suo corso.»
«Allora cosa vuoi dire… Ted?»
«Tu sei in ospedale e la famiglia di Micah vive qui, senza contare gli sbirri
che sono qua fuori in corridoio. Non puoi diventare la predatrice del buon
dottore. In seguito, però, perché non ti nutri di quello che hai a portata di mano?»
«Sai che non pratico sesso occasionale.»
«Non ho mai capito perché ti preoccupi tanto. È una necessità come
mangiare.»
«Dice colui che è monogamo e padre di due figli.»
«Il sesso con Donna non è occasionale. Comunque non ricordo di averti mai
detto se sono o non sono monogamo.»
«Stai dicendo che tradisci Donna?»
«Sto dicendo che, se sono lontano da lei e sono Edward, il sesso non è
escluso. Ted è monogamo, Edward non tanto.»
«Ti rendi conto di avere parlato due volte di te stesso in terza persona?»
intervenne Micah.
«A volte lo fa», dichiarai. «Inquietante, vero?»
«Un po’», convenne Micah.
«Perché ti preoccupa che io possa avere altre amanti quando tu vai a letto con
una ventina di persone?» chiese Edward.
«Ciascuno dei miei amanti sa di non essere l’unico. Non ho mai mentito a
nessuno, nemmeno per omissione.»
«Siamo poliamorosi», spiegò Micah. «Tutti sanno quello che tutti gli altri
stanno facendo. Se fossimo umani e potessimo essere contagiati dalle malattie
sessualmente trasmissibili, allora la sincerità contribuirebbe a proteggere la
salute di tutti.»
«Se vuoi ricordarmi che devo essere prudente, sappi che da quando sto con
Donna non ho mai praticato sesso non protetto. Non metterei mai a repentaglio
lei e la nostra famiglia.»
«Non so perché, però mi disturba pensare che tu possa tradirla.»
«Lei non ti piace nemmeno granché», osservò Edward.
«Non ho niente contro di lei. Semplicemente, non capisco il suo
coinvolgimento nella tua vita. Comunque capisco che ti rende più felice di
quanto ti abbia mai visto, e questo è sufficiente per me.»
«Da parte mia vale lo stesso per te e per alcuni tuoi amanti.»
«Credo di voler dire proprio questo… Perché rischiare la tua felicità e la tua
famiglia col sesso ’extracurricolare’? Mi sembra che sia rischiare moltissimo…»
«Sei così sicura che Donna non lo perdonerebbe?»
«Era gelosa di me quando ci siamo conosciute. Proteggeva la sua conquista e
il suo territorio. Non è una donna incline a condividere.»
«Continua a non capire te e me», disse Edward.
«Molti uomini e donne non possono essere amici senza sesso», sentenziò
Micah.
«E non si può essere amici dopo avere fatto sesso», aggiunsi. «Si può essere
innamorati o amanti, non semplicemente amici.»
«Jason è uno dei tuoi migliori amici, eppure fai sesso con lui», ricordò
Micah.
Sorrisi, pensando al biondo lupo mannaro. «Jason è diverso, è… Jason. Ed
era il migliore amico di Nathaniel, prima che io facessi sesso con loro.»
«Quel sorriso non è soltanto un sorriso d’amicizia», dichiarò Edward.
«Jason è l’unico uomo con cui fare sesso non ha cambiato l’amicizia.»
«Perché, secondo te?»
Scrollai le spalle. «Non ne sono sicura… Credo che sia semplicemente per
com’è fatto Jason, per il suo atteggiamento nei confronti del sesso, presumo…»
«Donna mi ha detto che non sarebbe un problema se andassi a letto con te»,
dichiarò Edward.
«Cosa?»
«Era convinta che facessimo sesso mentre lavoravamo insieme.»
«Entrambi le abbiamo assicurato che non è così!»
«Vede quanto siamo vicini, e nella sua mente uomini e donne non possono
essere così vicini senza sesso.»
«Quindi si è convinta che siamo sempre stati amanti e che le abbiamo
semplicemente mentito?»
«A quanto pare.»
«Credevo di piacerle…»
«Le piaci.»
Fissando Edward, corrugai la fronte. «È convinta che siamo amanti e che le
abbiamo sempre mentito da quando state insieme. Dovrebbe odiarmi…»
«Crede che tu abbia rispettato il nostro legame e anche lei, e capisce che ti
stanno a cuore i ragazzi e tutti noi come famiglia.»
«Come sai tanto esattamente cosa pensa?» domandò Micah. Io non avrei
pensato a chiederlo. Be’, per questo lui era a capo della Coalizione, mentre io
ero prevalentemente una picchiatrice.
«Mi ha detto che mi perdona per te, Anita, che capisce che non cambia nulla
tra lei e me, e che tu appartieni all’altra parte della mia vita, quella in cui c’è
violenza. Mi ha detto che sarà moglie di Ted e capisce che Edward non potrà mai
sposarsi.»
«È ancora in terapia?»
«Sì. E probabilmente è qualcosa di cui lei e il suo psicologo hanno parlato.»
«Quindi tu e Donna pensate che Ted e Edward siano due personalità
separate?» domandò Micah.
Edward annuì. «A quanto pare, sì.»
«E tu come ti senti a questo proposito?» chiesi.
«Come se Donna mi capisse meglio di chiunque altro, o quasi.»
«Quindi credi che Donna possa accettare che Edward vada a letto con altre
donne perché a lei sta bene che tu vada a letto con Anita?»
«Qualcosa del genere.»
«Ma noi non andiamo a letto insieme!» osservai.
«Quando ho provato a spiegarlo, lei si è arrabbiata con me. Mi ha detto che,
se lei poteva essere abbastanza coraggiosa da lasciarci la nostra relazione, il
minimo che io potessi fare era ammetterlo.»
«Cos’hai risposto?»
Edward guardò Micah. «Cosa credi che abbia risposto?»
«Hai risposto: ’Sì, cara’.»
Edward sorrise e annuì. «Esattamente!»
«Hai detto a Donna che facciamo sesso?»
«No, semplicemente non ho contestato la sua affermazione.»
«È la stessa cosa.»
«No», risposero Edward e Micah insieme.
«Oh, a proposito… Adesso che ha sviscerato tutta questa faccenda, ha
accettato la mia proposta e abbiamo deciso la data del matrimonio», aggiunse
Edward.
Mi ci volle un poco per assimilare la rivelazione. «Finalmente tu e Donna vi
sposate?»
«Sì.» Edward sorrise, e fu un vero sorriso. Era contento.
«Congratulazioni!»
Anche io e Micah sorridevamo.
«Quando?» chiesi.
«Quando puoi cancellare i tuoi impegni?»
«Io? Perché? Cioè, ci sarò tutta agghindata, ma ci adatteremo tutti al tuo
programma.»
«Bene, perché voglio che tu sia la mia testimone.»
«Mi piacerebbe moltissimo, ma… Non sarà un problema il fatto che Donna
mi crede tua amante?»
«Lei dice di no.»
Cercai di capire bene la situazione. «Se non mi avessi appena detto che cosa
pensa Donna, non mi sarebbe sembrato strano. Adesso invece… Wow… è
imbarazzante!»
Allora Edward fece una bella risata di cuore, quella che Donna lo aveva
aiutato a trovare.
Con una risata così potevo accettare la stranezza della situazione, vero?
«Sarei onorata di essere tua testimone», dissi, perché alla fine, davvero, cos’altro
avrei potuto dire?
«Donna ha una richiesta…»
«Quale?»
«Che uno dei tuoi amanti l’accompagni all’altare.»
«Non ne ha mai conosciuto nessuno…»
Edward scrollò le spalle. «Crede, presumo, che se fossi accompagnata da un
amante avresti meno tempo per stare con me.»
«Quindi si fida di noi, ma non davvero…»
«Non ha mai detto che si fida di noi. Ha detto che ci perdona e che capisce
quello che significhiamo l’uno per l’altra. Non ha mai detto di fidarsi di noi.»
«Questo è proprio strano! Scusa, capisco che l’ami, e tutto il resto… Questo,
però, non ha senso.»
«È logica femminile.»
«Io sono una donna.»
«Sei troppo uomo per essere così donna.»
«Non ha senso.»
«Invece sì, ha senso», intervenne Micah.
Li guardai tutti e due, a turno, cercando di decidere se fosse un complimento
o un insulto.
«Ti senti abbastanza distratta dall’ardeur e dalla brama di sangue, adesso?»
chiese Edward.
Quella domanda mi prese alla sprovvista.
«Ho notato che proporti un’emergenza da affrontare o un problema da
risolvere ti aiuta a ignorare tutta la roba metapsichica», spiegò Edward. «Sono
riuscito a confonderti e a intrigarti abbastanza perché tu vada a fare la radiografia
senza divorare il medico?»
Ci pensai, poi scoppiai a ridere. «Sì, cazzo! Continuerò a rimuginarci sopra,
sempre più perplessa, finché questa logica tortuosa non mi farà scoppiare la
testa!»
La porta fu aperta e il dottor Cross entrò affiancato dall’infermiera. «Ho
pensato di accompagnarla io stesso», annunciò, sorridendo.
Edward mi guardò. «Avresti dovuto accettare la scommessa.»
«Era truccata e lo sapevamo tutti e due.»
«E tu non ti fai mai infinocchiare dalle scommesse truccate…»
«No, se posso evitarlo.»
Ci scambiammo un sorriso.
«Quale scommessa?» Il dottor Cross continuò a sorridere, pur avendo
l’impressione che gli sfuggisse qualcosa.
«Non lo chieda», intervenne Micah. «Da anni sono l’uno il migliore amico
dell’altra. A volte bisogna semplicemente accettare in silenzio i loro momenti di
amicizia virile.»
Il dottor Cross corrugò la fronte. «Non capisco…»
«Io sono la moglie, lei è il marito e lui è il migliore amico del marito», disse
Micah. «È una spiegazione sufficiente?»
«Stranamente, sì», rispose il dottor Cross, sempre perplesso.
La sua comprensione me lo rese più simpatico, e questo fu un bene, ma anche
un male. Fu un bene perché provare simpatia è sempre meglio che provare
antipatia. Fu un male perché ero più incline a nutrirmi delle persone che mi
piacevano.
«Vai a trovare Nathaniel e tuo padre», esortò Edward. «Le faccio io da
chaperon.»
«Grazie», rispose Micah.
«Nessun problema.»
«Davvero Donna non ha preferenze su quale dei miei amanti vuole che
l’accompagni all’altare?» domandai.
«Chi è Donna?» chiese il dottor Cross.
«La mia fidanzata», rispose Edward.
«Congratulazioni.»
«Grazie. Dobbiamo decidere chi invitare al matrimonio.»
«È sempre divertente», dichiarò il dottor Cross, apparentemente serio.
E così quel vampiro non rischiò più che cercassi di divorarlo. Non avrei mai
potuto divorare nessuno che considerasse divertente organizzare un matrimonio!
35

nche se mi tolse la flebo e mi lasciò andare in bagno, il dottor Cross

A non mi permise di vestirmi. «Soltanto quando avrò visto la radiografia.


Ho la sensazione che una volta vestita taglierebbe la corda!»
«Ha capito come sei fatta, Anita», commentò Edward.
Gli scoccai un’occhiataccia, poi approfittai di quello che mi si
offriva e andai in bagno. Una volta chiusa la porta, mi vidi per la prima volta allo
specchio. Avevo i ricci tutti scompigliati, il viso struccato, di un pallore
grigiastro, e perfino le occhiaie scure, che non ho quasi mai. Insomma, avevo un
pessimo aspetto. L’attrazione provata da Micah e dal dottor Cross si poteva
spiegare soltanto coi poteri vampirici, altrimenti avrei visto allo specchio
qualcosa di completamente diverso. Ognuno di noi è il più severo critico di se
stesso, presumo.
Mormorai: «Buon Dio…»
«Ha detto qualcosa, marshal Blake?» chiese il dottor Cross, dimostrando di
avere udito sovrumano.
«Sto benissimo. Mi stavo semplicemente guardando i capelli.»
«Ha un aspetto magnifico», assicurò lui, attraverso la porta chiusa.
Lo ignorai. Mi ravviai i capelli con le dita per quanto possibile. Avevo
bisogno di una doccia, di cibo di ogni genere, di riposo. Nel lavarmi i denti
assegnai parecchi punti extra a Micah per avermi baciata tanto
appassionatamente poco prima. Al posto suo non avrei avuto altrettanto
trasporto. Con l’amore certe cose hanno meno importanza, soprattutto se si è
felici che l’amore della propria vita sia ancora vivo. Sì, questo migliora tutto.
Ero stata ferita e ricoverata abbastanza spesso da sapere che quando ci si
trasferisce in sedia a rotelle da un reparto all’altro dell’ospedale si ha freddo se
non s’indossa altro che la camicia da notte, perciò accettai la coperta offertami
dal medico. Una volta accomodata sulla sedia, con la coperta in grembo,
domandai: «Dov’è la mia roba?»
«Ha una borsa d’indumenti vicino al divano», rispose il dottor Cross.
«Non si riferisce agli abiti.» Edward mostrò un piccolo zaino appeso alla
sedia che aveva occupato. «Ho chiesto agli agenti di consegnarmi la tua roba
quando sono arrivato.»
«Il mio giubbotto non può stare in quello zaino. Ti prego, dimmi che non me
l’hanno tagliato in ambulanza!»
Edward sorrise. «Il tuo giubbotto è intatto. Ho affidato un po’ del tuo
equipaggiamento alle tue guardie del corpo.»
«Cosa c’è lì dentro?»
«Abbastanza perché tu non ti senta disarmata.»
«Grandioso.»
«Non credo che lei abbia bisogno di armi per scendere qualche piano,
marshal Blake.»
Edward stava già aprendo lo zaino. «Può discutere con noi, se vuole, ma è
destinato a perdere, dottore.»
«Quindi dovrei rassegnarmi di buon grado, è così?»
«È così.» Edward mi consegnò la Browning BDM.
Per abitudine espulsi il caricatore per accertarmi che fosse pieno, anche se
Edward era la persona di cui mi fidavo di più in tutto il pianeta per farmi
restituire un’arma. Poi infilai la pistola in grembo, sotto la coperta. Il suo peso fu
confortante e sentirla sotto la mano lo fu ancora di più.
«Vuoi i pugnali?» chiese Edward.
«No. Dovrei comunque toglierli prima di fare la radiografia.» Porsi la mano
per avere tutta la borsa.
«Prometto che ti accompagno se mi lasci portare tutta la roba.»
Ci pensai, davvero, e alla fine annuii, sorridendo.
«Grazie.» Edward mi ringraziò per la fiducia che gli accordavo, dato che la
sedia a rotelle mi avrebbe permesso di portare la borsa.
Non aveva importanza che mi avesse custodito le armi mentre ero stata priva
di conoscenza. Certe cose hanno a che fare col conforto, non obbediscono alla
logica. Mi piace avere sempre le armi a portata di mano e, soprattutto, detesto
essere disarmata dopo essere stata ferita.
Quando Edward aprì la porta perché il dottor Cross potesse spingermi fuori,
fui ancora più felice di avere la coperta, perché in corridoio c’era una vera e
propria folla.
Ci sono sempre poliziotti in ospedale quand’è ricoverato un collega,
soprattutto se è rimasto ferito in servizio. Non sempre si raduna tanta gente per
me, perché non appartengo a nessun dipartimento locale e tendo ad accarezzare
la gente contropelo, però non avrei mai potuto lamentarmi della solidarietà in
Colorado, visto che il corridoio era pieno di poliziotti del dipartimento di
Boulder, agenti della polizia di Stato, e sbirri che non conoscevo, sia in uniforme
sia in borghese, col distintivo alla cintura oppure appeso al collo, come lo
portava Edward.
«Blake…»
«Marshal…»
«Signora…»
Mentre tutti mi stringevano la mano o salutavano con un cenno della testa,
vidi contro la parete in fondo Devil e Nicky, che riuscivano a non attirare
l’attenzione pur essendo grandi e grossi. Ci scambiammo un sorriso, ma loro non
cercarono di avvicinarsi, limitandosi a farmi sapere che erano presenti.
Probabilmente non avrei potuto essere più al sicuro che con tanta polizia, e la
presenza dei bodyguard poteva sembrare eccessiva. Comunque ero contenta di
vederli lì, non tanto per la potenziale protezione, quanto nell’eventualità che
l’ardeur si aprisse la strada combattendo attraverso l’enigma propostomi da
Edward. In quel momento i poliziotti avevano simpatia per me, mi
consideravano una di loro, ma se li avessi coinvolti in un’orgia indotta dal potere
vampirico mi avrebbero senz’altro esclusa dai loro elenchi di persone cui inviare
gli auguri di Natale.
Nel rispondere alle domande, il dottor Cross continuò a spingermi lungo il
corridoio, assistito da Edward in modalità buon vecchio Ted Forrester. Ci
seguivano Nicky e Devil. Anche se non li vedevo, li percepivo come fiamma
ossidrica nel campo di fiammiferi di tanta fervida umanità benintenzionata.
Energeticamente ardevano tutti, ma alcuni con più luce e con più calore, e io
percepivo le differenze.
D’un tratto un violentissimo crampo allo stomaco mi costrinse a piegarmi in
avanti.
«Tutto bene, marshal?» Il dottor Cross si curvò su di me.
Emisi un lento sospiro. «La guarigione rapida consuma energia, dottore.
Credo di dovermi nutrire.»
«Certo, avrei dovuto pensarci.»
Mentre il dottor Cross ordinava alle infermiere di portarmi qualcosa da
mangiare, il corteo che ci accompagnava si sciolse. Qualcuno si recò a visitare lo
sceriffo Callahan, altri tornarono al loro lavoro. Probabilmente alcuni agenti in
uniforme appartenevano a dipartimenti piccoli come quello di Al, i quali non
potevano fare a meno di loro se non per brevi periodi.
Dalla porta in fondo al corridoio arrivò l’agente Bush, coi corti capelli castani
ancora tutti schiacciati, come se fosse rimasto in auto a lungo e fosse ancora così
fresco d’accademia da tenere il cappello perfino al volante. «Marshal Blake!
Lieto di vederti sveglia!»
«Lieta di essere sveglia, agente Bush.»
«Volevo soltanto annunciarti personalmente che i vampiri che hanno
provocato tutto questo saranno eliminati prima dell’alba.»
«Stai scherzando?»
«No. I vampiri che hanno creato gli zombie cannibali saranno giustiziati
stanotte.»
«Non sono stati loro!»
Bush corrugò la fronte. «Eravamo là, li abbiamo visti…»
«Hai sentito anche tu cos’ha detto la vampira, Bush. Era posseduta da un
vampiro più grande, più grosso e più cattivo di lei.»
«Mentono tutti quando sono catturati, Blake, lo sai.»
«In questo caso, però, non ha mentito. Ho sentito l’energia dell’altro
vampiro. L’ho percepito dentro lei e ho sentito quando se n’è andato. La sua
energia era così forte che mi aspettavo di vederlo comparire da un momento
all’altro, ma non ne aveva bisogno per controllarla. È stato lui a diffondere
l’infezione putrescente che ha contagiato lo sceriffo Callahan e ha fatto
impazzire Ares, costringendolo ad aggredire la gente. I due vampiri che abbiamo
arrestato sono i nostri unici testimoni, gli unici che possono consentirci di
catturare il vampiro master che è il vero responsabile di tutto. Se moriranno,
perderemo la nostra risorsa migliore. Giustiziateli pure, se volete, ma non farete
altro che aiutare i cattivi, perché m’impedirete d’interrogarli e così il vampiro
master continuerà a creare vampiri e a diffondere l’infezione.»
«Rifiutano di parlare con noi», replicò Bush. «Non dicono niente.»
«So quali domande porre, Bush. Se saranno giustiziati prima che io possa
interrogarli, non potrò scovare il vampiro master che è responsabile della loro
condizione.»
«La loro condizione?»
«Tutti e due i vampiri sono morti da poco. Sono non morti da meno di un
mese, quindi alcune delle persone scomparse che stavate cercando sono proprio
loro. Avete confrontato le impronte digitali?»
«Sono vampiri per cui è stato emesso un mandato di esecuzione. Non
dobbiamo fare altro che giustiziarli.»
«Lo so. Sto dicendo che ucciderli renderà soltanto molto più difficile scovare
questo bastardo.»
«Chi dovrà eseguire il mandato?» chiese Edward.
«Marshal Hatfield.»
«È considerata cortesia professionale offrire l’esecuzione del mandato al
marshal che è rimasto ferito o che ha perduto alcuni colleghi durante la caccia al
vampiro», ricordò Edward.
«Ci aspettavamo che marshal Blake rimanesse in ospedale almeno per
qualche giorno…»
«Sono un prodigio medico», dichiarai. «Ho bisogno che quei vampiri
rimangano in vita per poterli interrogare.»
«Chiamerò per avvertire, poi mi recherò sul posto per fare il possibile.»
Edward appese la borsa con tutti i miei giocattoli pericolosi allo schienale della
sedia a rotelle in modo che rimanessi libera di usare la Browning nascosta sotto
la coperta che tenevo in grembo.
«L’accompagno e poi avviso per radio, marshal Forrester», dichiarò Bush.
«Avvisa subito per radio», suggerii.
Nell’incamminarsi con Edward verso la porta in fondo al corridoio, Bush
iniziò a parlare nel microfono applicato alla spalla dell’uniforme. Confidavo che
Edward facesse tutto il possibile per mantenere in vita i vampiri arrestati. Mi
sarei incazzata parecchio se Hatfield avesse giustiziato gli unici due vampiri che
sicuramente avevano visto in faccia il grosso vampiro cattivo. Senza di loro
saremmo tornati al punto di partenza.
«E così la Sterminatrice raccomanda di non giustiziare i vampiri», commentò
un agente di alta statura, coi capelli neri e con gli occhi castani così scuri da
sembrare quasi neri. Benché fosse in borghese si vedeva che era muscoloso e
terribilmente atletico. Il suo livello di energia mi diceva che apparteneva alla
SWAT o a qualcosa del genere. I militari delle forze speciali suscitano talvolta la
medesima impressione.
«Sono lusingata che la SWAT sia scesa a tenermi compagnia», dissi.
Quegli occhi scurissimi lasciarono trapelare una vaga sorpresa. «Cosa mi ha
tradito?»
Accennai a lui nell’insieme. «Questo…»
Lui corrugò la fronte. «Ha appena indicato tutto di me.»
«Esattamente.»
Allora sorrise.
Un altro agente si massaggiò il ventre che sporgeva dal cinturone. «Sì,
Yancey, non hai tutto l’equipaggiamento che abbiamo noialtri.»
«Se avessi tutto l’equipaggiamento che hai tu, Carmichael, mi caccerebbero
dalla SWAT!» Così dicendo, si massaggiò l’addome piatto.
Sarei stata pronta a scommettere che aveva gli addominali scolpiti, e questo
fu un semplice pensiero innocuo. Quello successivo, il desiderio di sfilargli la
camicia dai calzoni per verificare se la mia intuizione fosse giusta, non fu
altrettanto innocuo. «Nicky, puoi portarmi la borsa?»
Gli sbirri furono costretti a spostarsi per lasciarlo passare. Quasi tutti lo
osservarono distrattamente. L’agente Yancey della locale squadra SWAT lo
scrutò come fanno i tipi molto atletici e duri quando non sono abituati a
incontrare qualcuno che li costringa a chiedersi: Riuscirei a stenderlo? Oppure le
prenderei? Be’, Yancey era più alto di Nicky, anche se non di Devil, ma le spalle
di Nicky erano così larghe che non mancavano mai d’impressionare i tipi grandi
e grossi convinti di avere le spalle larghe fino a quando non si trovavano a
confrontarsi con lui.
Non potei fare a meno di sorridere, e il divertimento contribuì a scacciare
l’impulso di mettere le mani addosso agli sconosciuti.
«Certi poliziotti non sono contenti che lei si circondi di licantropi dopo quello
che è successo», commentò Yancey.
«La mia guardia del corpo ci ha aggrediti perché era stata soggiogata dallo
stesso vampiro che poco prima aveva già soggiogato alcuni agenti, incluso
Bush.»
Yancey sollevò le mani come per mostrarsi disarmato. «La SWAT sta
eseguendo sempre più mandati a sostegno degli sterminatori. Siamo addestrati
all’eventualità che qualcuno di noi venga soggiogato e ci aggredisca, e lei,
marshal Blake, ha fatto una di quelle cose che tutti noi preghiamo di non dover
mai fare. Sono qui perché la SWAT vuole farle sapere che tutti noi la rispettiamo
per quello che ha fatto e siamo dispiaciuti che abbia dovuto farlo. Hermes, della
squadra SWAT di St. Louis, parla estremamente bene di lei.»
«Mi fa piacere.»
«La squadra SWAT di Boulder non accetta ancora i sensitivi perché nella
maggior parte dei casi non sono in grado di utilizzare le loro facoltà speciali e al
tempo stesso di svolgere il loro dovere di agenti, almeno secondo il rapporto che
ha motivato questo divieto.»
«In altre parole, i sensitivi nella maggior parte dei casi non possono sparare
dritto e al tempo stesso usare i loro poteri.»
«Qualcosa del genere.» Yancey mi scrutò molto seriamente, come per
valutarmi. «Lei invece ne è capace, vero?»
«Sì, ne sono capace.»
«Considerate le circostanze, è stato un tiro maledettamente buono, marshal.»
«È stato proprio Ares a insegnarmi a sparare così.» Respirai profondamente
per alleviare l’angoscia, sentendomi gli occhi improvvisamente caldi. Oddio,
non avevo nessuna intenzione di piangere.
Nicky mi posò una mano sopra una spalla.
«Non capisco», confessò Yancey.
«L’uomo che ho ucciso, Ares, era cecchino scout prima che un nemico lo
aggredisse, trasmettendogli la licantropia, a causa della quale è stato costretto a
congedarsi per motivi di salute. Sono brava nel tiro con la pistola e nel
combattimento corpo a corpo, ma nel tiro a lunga gittata non valevo granché. È
stato lui a insegnarmi.» Posai una mano su quella di Nicky, che intrecciò le sue
dita alle mie, aiutandomi a mantenere il controllo di me stessa. Sotto la coperta
strinsi la pistola così forte da conficcarmi il calcio nel palmo, e anche la solidità
dell’arma mi fu d’aiuto. È strano come impugnare una pistola aiuti ad affrontare
il dolore causato da un’altra arma.
«Sì, ho saputo che era un cecchino scout e che è stato lui a rintracciare i
vampiri. Non sapevo che le avesse insegnato a sparare.»
«Mi ha insegnato il tiro a lunga gittata. Molto tempo prima avevo già
imparato il tiro a breve gittata…»
«Mi dispiace, marshal. Non intendevo… ravvivare ricordi dolorosi…»
Annuii e abbassai gli occhi perché non mi fidavo a guardarlo in viso. Non ero
sicura di sapere quale suo sentimento mi avrebbe turbata maggiormente, se
troppa compassione o troppo poca. Comunque era preferibile non scoprirlo.
«Devo accompagnare marshal Blake a fare una radiografia», disse il dottor
Cross.
«Sì, certo.» Yancey indietreggiò.
Il dottor Cross mi spinse verso gli ascensori. Nicky mi rimase accanto,
sempre con la sua mano nella mia, mentre Devil ci seguiva. I poliziotti rimasero
indietro e io ne fui grata. In ascensore, quando l’unico estraneo con noi era il
dottor Cross, la prima lacrima dolorosa e rovente mi strisciò giù sulla guancia.
Senza togliere la sua mano dalla mia, Nicky me l’asciugò col pollice.
Affiancandomi dal lato opposto, Devil mi accarezzò i capelli. «Va tutto bene,
Anita.»
Scossi la testa, e le lacrime sgorgarono senza ritegno. «No, per niente.»
Cedetti alla sofferenza, all’orrore, all’ingiustizia di tutto quello che era accaduto,
e mi abbandonai al pianto.
36

opo due barrette proteiche, bottiglie d’acqua per tutti e tre noi, e una

D radiografia, fu appurato che la frattura era completamente saldata.


Nell’uscire dall’ascensore al piano della mia camera, il mio telefono
iniziò a squillare. Nicky lo sfilò dallo zaino e me lo porse. Era
Edward.
«I vampiri sono vivi o sono morti?» chiesi.
«Ho ritardato l’esecuzione, senza riuscire a convincerli che pure i vamp erano
stati soggiogati. Avevi ragione nel supporre che poteva trattarsi di persone
scomparse. Sono due escursionisti arrivati qui circa un mese fa. Hai indovinato.»
«Sono brava coi morti.»
«Alcuni sbirri locali sembrano tanto meno felici quanto più si scopre che hai
ragione.»
«Perché?»
«Dato che noi due confidiamo l’uno nell’altra, non so spiegare perché, però
succede così. Secondo me, si tratta di gelosia professionale. Marshal Hatfield è
estremamente decisa a dare prova di se stessa e sembra avere l’impressione che
la tua reputazione nuoccia a tutte le donne che portano un distintivo, ovunque
operino.»
«Presumo che tu non intenda la mia reputazione d’inesorabile rappresentante
della legge…»
«No, intendo l’altra reputazione.»
«Oh! Quella di assassina a sangue freddo che prima spara e poi fa
domande?»
Edward ridacchiò. «No, l’altra.»
«Quella di essere avvantaggiata nel lavoro perché sono un mostro anch’io?»
Edward rise. «No, l’altra ancora!»
«Cioè quella di frequentare troppi uomini?»
«Qualcosa del genere», confermò Edward, abbassando la voce.
«Lei è lì, vero?»
«Sì», rispose, con voce normale.
«Hai già difeso il mio onore?»
Di nuovo, Edward abbassò la voce: «È difficile difendere il tuo onore quando
tutti credono che io sia una delle tue conquiste».
«Avevo dimenticato questa diceria.»
«Io no.»
«Gli sbirri ti tormentano a causa mia?»
«Sono soltanto gelosi.»
«Del mio successo nel lavoro.»
«Sì.»
«O perché pensano che me la faccia con te?»
«Anche», ammise Edward, con la risatina cui non si abbandonava quasi mai
quando impersonava Ted.
«Arrivo al più presto a interrogare i vamp.»
«Il mandato è di Hatfield. Devi convincere lei.»
«E lei già mi odia…»
«Sì!»
«Perfetto.»
Mentre Nicky teneva aperta la porta, il dottor Cross mi spinse in camera.
«Assicurati di mangiare prima di arrivare qui», raccomandò Edward.
«Ho già mangiato due barrette proteiche.»
«Credo che tu abbia bisogno di qualcosa di più sostanzioso.»
«Mi dispiace interrompervi, soprattutto mentre state cercando di salvare
alcuni vampiri come me, però abbiamo bisogno di questa camera», intervenne il
dottor Cross. «È libera di accorrere al soccorso.»
«Resta in linea, Ted.» Mi rivolsi al medico. «Grazie, doc. Quanto a Nathaniel
Graison… È dimesso anche lui?»
«Sì, Mr Graison può lasciare l’ospedale con lei, anche se consiglierei a tutti
voi di bere copiose quantità di acqua, visto che avete sofferto di ipobaropatia.
Non mi guardi così, marshal, perché il male delle altitudini ha aggravato le
vostre condizioni.»
«Quanta acqua dobbiamo bere?» chiese Devil.
«Sa della raccomandazione di berne almeno otto bicchieri al giorno?»
«Sì.»
«Be, dovrete berne il doppio. Ordine del medico.»
«Non ne avremo mai il tempo», obiettai.
Il dottor Cross scrollò le spalle. «Allora è possibile che lei o Mr Graison
soffriate di nuovo di ipobaropatia.»
«Mi hanno sparato, doc.»
«A Mr Graison non hanno sparato.»
Non seppi come replicare.
«So che è uno degli animali che rispondono al suo richiamo e che ha
assorbito energia da lui per guarire se stessa.»
Non cercai di fingermi sorpresa.
«C’è un motivo se il medico assegnato a questo reparto è un vampiro. A volte
occorre un cittadino soprannaturale per comprenderne un altro.»
Annuii. «Quindi ha sempre saputo cosa non andava?»
«All’inizio, no. Comunque sono serio nell’affermare che l’ipobaropatia ha
contribuito ad aggravare le vostre condizioni, sottoponendo a ulteriore stress i
vostri organismi.»
«Berranno abbastanza acqua», garantì Nicky.
Lo fissai, corrugando la fronte.
«Voglio che guariate alla perfezione tutti e due», insistette Nicky.
E così l’ebbe vinta. «D’accordo.»
«Vado a firmare i documenti per le dimissioni», annunciò il dottor Cross.
«Intanto lei può fare la doccia e vestirsi.»
«Non sono sicura di avere il tempo di fare la doccia.»
«Hai tutto il tempo», intervenne Edward, ancora al telefono. «Probabilmente
sarà anche la tua unica occasione per procurarti tutte le proteine che ti
occorrono.»
«Ti ho detto che ho già mangiato due barrette.»
«Credo che tu ci debba aggiungere qualche grosso maschio.»
«Alludi al fatto che dovrei nutrire l’ardeur prima di arrivare lì?»
«Non credo che fosse un’allusione, ma… Sì, proprio così.» Edward abbassò
di nuovo la voce: «Ho indotto Hatfield ad andarsene, disgustata. Credo che il
mio accenno a qualche grosso maschio l’abbia convinta che stavamo flirtando».
«Sarebbe un pessimo flirtare. Tu sei molto più raffinato.»
«Grazie. Comunque nutriti, Anita. Non voglio che tu perda il controllo
proprio qui.»
Sospirai. «Sono d’accordo.»
«Nicky e Devil sono ancora con te?»
«Sì.»
«Sai che per molte donne non sarebbe un problema.»
«Non si tratta di questo, ma di dover fare sesso prima di poter combattere il
crimine.»
«Sei guarita da una frattura al bacino e da una ferita di arma da fuoco in poco
più di ventiquattr’ore, e per poter beneficiare di questa capacità di guarigione
devi fare sesso molto più spesso del normale. Non è un cattivo affare.»
Ci pensai. «Ben detto.»
«Saresti già stata definitivamente estromessa da questa indagine se tu non
fossi in grado di guarire meglio di chiunque io conosca.»
«Mi nutrirò.»
«Sbrigati, però. Devi interrogare i vampiri prima dell’alba.»
«Maledizione! Prima quasi mi ordini di fare sesso, poi m’imponi anche una
scadenza! Cristo!»
Edward rise. «Fai quello che devi fare e arriva qui prima dell’alba.»
Interruppe la comunicazione, già parlando con qualcun altro che si trovava alla
sua estremità del mondo.
«Be’, avete sentito… Ho bisogno di nutrirmi, così poi possiamo andare a
interrogare i vampiri.»
«Chi di noi?» chiese Nicky.
«Io», si offrì Devil.
Tutti e due lo guardammo.
Sorridendo, Devil sollevò le mani aperte come per assicurare di non avere
intenzioni ostili. «L’ultima volta che ti sei nutrita abbondantemente di Nicky, lo
hai quasi ammazzato, ricordi?»
«So di non dover fare sesso con lui due volte di seguito», assicurai.
«È il tuo sposo, quindi non può isolare la sua energia quando tu nutri
l’ardeur, e non vogliamo che il suo cuore si fermi per questo, vero?»
Ne convenimmo entrambi.
Poi Devil fece un’espressione che non riuscii a decifrare, a parte capire che
non era contento. «È così difficile fare sesso con me anziché con Nicky?»
Allora capii che si preoccupava perché preferivo Nicky a lui e che si sentiva
inadeguato. Era vero che preferivo Nicky, ma non perché Devil non fosse
meraviglioso di suo. Semplicemente era arrivato troppo tardi, cioè quando avevo
ormai amanti principali in abbondanza. Quando si era unito a noi era stato così
sicuro di se stesso da risultare arrogante, perciò mi rammaricavo di averlo
indotto a dubitare di se stesso, pur sapendo che Asher lo aveva condizionato
molto a questo proposito.
Mi avvicinai a lui, gli posai una mano su un braccio e lo scrutai in viso. «Sei
bello e appetitoso, e io non ho mai detto il contrario.»
«Dici sul serio, eppure preferisci scopare Nicky anziché me.»
«Tu sei più bello di me», intervenne Nicky.
«Grazie. Però Anita ha già un sacco di bei maschi nella sua vita. Bella faccia
e sesso grandioso non le bastano. Ha bisogno di molto di più.»
«Può anche darsi che io abbia bisogno di qualcosa di più, ma questo non
sarebbe un cattivo inizio.» Mi alzai in punta di piedi a cercare di baciarlo, eppure
sarebbe stato inutile se lui non si fosse curvato, visto che era alto quasi un metro
e novanta.
Si lasciò baciare, ma i suoi occhi nocciola, orlati di azzurro e di oro pallido,
rimasero seri. «Non è un cattivo inizio, ma ora so cosa significa amare ed essere
amati, e mi manca.»
«Ti manca Asher…»
Devil annuì.
«Se riuscisse a smetterla con le sfuriate di gelosia, mancherebbe di più anche
a me.»
«Nemmeno a me piace questo suo aspetto, però lo amo completamente e lui
amava me.»
«Hai più avuto sue notizie?»
«Mi ha detto di trovarmi una ragazza e di sistemarmi, perché lui ha trovato
un ragazzo cui piacciono soltanto i maschi. Non voleva essere in secondo piano
rispetto alla prima fica di passaggio.»
Mi abbassai, chiedendomi se lo avesse riferito anche a Jean-Claude. Se lui lo
sapeva, allora non aveva condiviso la notizia con me. «Sì, sembra tipico di Asher
quando si sente di merda.»
«Pensare che ha trovato qualcun altro con cui rimpiazzarmi mi turba davvero,
Anita. Credevo di non poter vivere senza avere altri amanti, soprattutto donne.
Adesso invece non lo so più…»
«Rinunceresti alle donne per Asher?» chiese Nicky.
«Forse potrei», rispose Devil. «Sarebbe difficile, però per Asher potrei farlo.
Non mi aspettavo di sentire tanto la sua mancanza.»
«Ti è mai mancato tanto qualcun altro, prima d’ora?» chiesi.
Devil scosse la testa, rammentandomi che era più giovane di me e che senza
dubbio aveva condotto una vita più «protetta» della maggior parte degli altri
uomini della mia vita.
Gli posai di nuovo una mano su un braccio. «Anch’io sento la sua
mancanza.»
Lui mi sorrise mestamente. «Davvero?»
«Più di ogni altra cosa mi manca il bondage, con lui che sottometteva
Nathaniel e me. Sto scoprendo che trovare qualcuno da cui essere dominati in
camera da letto può essere tanto difficile quanto trovare qualcuno con cui uscire
la sera.»
«Dirai a Jean-Claude di riportarlo a casa?»
«Intendevo parlargliene comunque.»
«Davvero?»
«Jean-Claude è sprecato come direttore del Circo dei Dannati. Per gli affari è
più necessario al Guilty Pleasures, quindi dobbiamo riavere Asher come
direttore del Circo.»
«Chi ti ha parlato dei problemi amministrativi?» chiese Nicky.
«Jason mi ha detto che può dirigere il Guilty Pleasures, ma non possiede la
voce magicamente seducente di Jean-Claude. Inoltre ci sono clienti molto fedeli
che sentono tantissimo la mancanza di Jean-Claude.»
«Forse Jean-Claude preferisce le donne, però anche lui sente molto la
mancanza di Asher», dichiarò Devil.
«Sono innamorati l’uno dell’altro da qualche secolo», ricordai.
«E Micah non ama essere presentato come ’il nostro Micah’ agli incontri con
gli altri capi soprannaturali», aggiunse Nicky.
Aggrottai la fronte. «Non me ne ha mai accennato.»
«Da circa un mese, Jean-Claude si comporta con lui in modo tale da
suggerire che Micah è non soltanto tuo amante, ma anche molto di più.»
«Jean-Claude non mi ha detto di desiderare che Micah sia qualcosa di più di
un donatore di sangue», replicai.
«Se Jean-Claude vuole un altro amante maschio, perché non l’ha chiesto a
me?» intervenne Devil.
«Avresti accettato?»
«Non avrei rifiutato.»
«Credo che Jean-Claude eviti Devil perché pensa che Asher s’incazzerebbe
se sapesse che i suoi due uomini si scopano a vicenda senza di lui», spiegò
Nicky.
Lo fissai a occhi sgranati.
Nicky scrollò le spalle. «Asher non è granché nel poliamore. Non gli piace
condividere, se non è lui stesso al centro dell’attenzione.»
«E non lo era con nessuno, se non con me», aggiunse Devil. «Poi io ho
tentato di aggiungere una donna, oltre ad Anita, e lui non l’ha sopportato.»
«Adesso vorresti non averlo fatto», commentai.
«Talvolta lo rimpiango, ma, se non avessi chiesto quello che credevo di
desiderare, allora non avrei capito di poter sentire tanto la mancanza di qualcuno
e non mi sarei reso conto di quanto significhi Asher per me.»
«Credo che nessuno di voi lo avrebbe capito se non aveste avuto modo di
sentirne la mancanza», sentenziò Nicky.
«Quando torneremo a casa ne parlerò con Jean-Claude», promisi.
«Grazie.» Devil sembrò ancora più triste. «Se ha trovato qualcuno con cui
sostituire me e Jean-Claude, allora non sono più certo di volere il suo ritorno.
Non credo che riuscirei a sopportare di vederlo con un altro uomo, se sapessi di
averlo perso.»
Non sapendo cosa replicare, feci l’unica cosa che mi venne in mente di fare,
cioè lo abbracciai, e lui ricambiò l’abbraccio. Per puro conforto ci aggrappammo
l’uno all’altra nel ricordo delle sfuriate di gelosia di Asher.
«Tutto questo è molto commovente», osservò Nicky. «Tuttavia non ci
condurrà a nutrire rapidamente l’ardeur.»
Ci girammo entrambi a guardarlo, io in modo tutt’altro che cordiale.
«Nicky ha ragione», disse invece Devil. «La tristezza non è un afrodisiaco.»
Mi scostai abbastanza per guardarlo in viso. «Cosa vuoi che faccia?»
«Stai davvero rifiutando l’occasione di nutrire l’ardeur?» chiese Nicky.
«Soltanto questa volta. Sarebbe davvero così strano se dicessi che devo
chiamare Asher per scoprire se vuole soltanto punirmi o se davvero ha trovato
un altro e non mi vuole più nella sua vita?» replicò Devil.
«Vuoi scoprirlo prima che io discuta con Jean-Claude della possibilità di
richiamare a casa Asher», dissi.
«Sì.»
«Intendi rinunciare a tutte le donne, inclusa Anita?» domandò Nicky.
Devil ci pensò, poi scosse la testa. «Sono la tigre dorata che risponde al suo
richiamo e devo essere libero per rispondere alle sue necessità, perché lei è un
tipo di vampiro che ha bisogno anche del sesso.»
«Quindi è l’unica eccezione», concluse Nicky.
Devil annuì.
«Ma non avevi cercato altre donne perché affermavi che Anita ha già così
tanti amanti che con lei non avevi abbastanza fica?»
Scoccai un’occhiataccia a Nicky.
«Scusa, ho dimenticato che non ti piace questo termine. Comunque la
domanda è valida, visto che riguarda il motivo del litigio che ha condotto a
esiliare Asher.»
«Nicky ha ragione, Anita.» Devil sospirò. «È un’ottima domanda.»
«Okay. Hai un’ottima risposta?»
Devil sorrise, poi si rattristò. Fu come un passaggio di nubi davanti al sole in
una giornata estiva. «Non prima di avere parlato con Asher.»
«Credi davvero che parlargli ti permetterà di trovare una valida risposta?»
chiese Nicky.
«Troverò una risposta, anche se non so con certezza se sarà buona o cattiva.»
Nicky scosse la testa. «Non mi sarei mai innamorato di nessuno se Anita non
mi avesse soggiogato, perché credo che innamorarsi sia semplicemente stupido.»
«L’amore sarebbe stupido?» replicò Devil.
«Rende deboli», spiegò Nicky.
Devil annuì. «Sì, può succedere.»
Allora mi resi conto che, seppure in modo a dir poco indiretto, Nicky aveva
confessato di essere innamorato di me. Dato che non vi aveva attribuito grosso
peso, feci lo stesso, ripromettendomi di rifletterci e di decidere se fosse
necessario parlarne in seguito, anche se ero propensa a votare no.
«Credi che abbia imparato la lezione?» domandai.
«Asher?» chiese Nicky.
«Sì.»
«No.»
«Non lo credo neppure io», convenni. «Però per un po’ si comporterà
meglio.»
«Eppure lo rivogliamo tutti e due», osservò Devil.
«A quanto pare, lo rivogliamo tutti quanti.»
«Non ha senso.»
«No, non ne ha. D’altronde, sarebbe amore, se fosse logico?»
Per un poco Devil ci pensò, poi scosse la testa. «No, credo di no.» Mi sorrise.
«Comunque continuo a credere che per Nicky sia troppo pericoloso nutrirti
adesso. Meglio non rischiare altri incidenti quasi letali.»
Scrutai Nicky, che mi ricambiò serio, quasi impenetrabile. Mi resi conto che
era stato altrettanto impassibile anche nel parlare d’amore, così andai ad
abbracciarlo, cingendogli i fianchi con le mani. Lui mi ricambiò istintivamente e
rimanemmo a fissarci, io dal basso, lui dall’alto.
«Non ho nessuna intenzione di rischiare un’altra volta di uccidere Nicky»,
dichiarai.
Lentamente Nicky sorrise, stringendomi più forte a sé. «Buono a sapersi»,
mormorò con voce dolce.
«Comunque, Anita deve ancora nutrire l’ardeur», ricordò Devil.
«Di chi vuoi nutrirti?» domandò Nicky.
«Chi è disponibile? Mi è stato detto che sono arrivate altre guardie del corpo,
ma non quali.»
«Vado a vedere chi c’è in camera di Nathaniel», annunciò Devil.
«Dov’è la sua camera?» chiesi.
«In fondo al corridoio.»
Stringendomi più forte a sé, Nicky attirò il mio sguardo. «Lui ti ha già nutrita
abbastanza. Ti occorre carne fresca.»
«Non pensavo di nutrirmi di Nathaniel. Ho soltanto voglia di vederlo.»
«Tanto per cominciare, devi lavarti. Poi Devil manderà qualcuno.»
Corrugai la fronte. «Mi piacerebbe poter scegliere.»
«Non ti manderemo nessuno di cui tu non ti sia già nutrita e con cui tu non
abbia già fatto sesso, perciò che importanza ha?» Nicky mi fissò come se fossi
sciocca.
«Che ne dici di una sorpresa?» propose Devil. «Mentre sei nella doccia, il tuo
amante si spoglia e si unisce a te. Sarebbe romantico e spontaneo.»
Corrugando la fronte, lo fissai.
Nicky mi girò la testa verso la porta del bagno. «Là dentro troverai sapone,
shampoo, rasoi, tutto quello che ti occorre. Vai a lavarti. Prima di finire, ti
nutrirai.»
Con la fronte corrugata, fissai anche lui.
«Vai, Anita.» Nicky mi spinse verso il bagno. «Vai, così potrai interrogare i
vampiri prima dell’alba.»
«L’avevo dimenticato», confessai.
«Quando hai un gran bisogno di nutrirti tendi a dimenticare le cose
importanti. Lavati. Noi ti porteremo il cibo da asporto, poi andremo a prendere i
cattivi.»
Non sottolineai quanto fosse ironico che Nicky, col suo passato, definisse
«cattivo» qualcun altro. Mi limitai a entrare in bagno e a cominciare a lavarmi.
Essermi tanto distratta da dimenticare che avevamo una scadenza per
interrogare i testimoni rivelava che avevo esaurito quasi completamente le mie
energie. Avevo bisogno di sbrigarmi a lavarmi e a nutrirmi, nonché ad avere
risposte dai vampiri prigionieri. Insomma, tutto dipendeva da una serie di
sveltine!
37

n un angolo del bagno trovai un piatto doccia non ribassato protetto su due

I lati da una tenda. Come aveva detto Nicky, la mia roba era in un armadietto
a muro.
Mi lavai tutto il corpo e mi applicai due volte il balsamo per capelli
senza che arrivasse nessuno, così mi rasai entrambe le gambe fin sopra il
ginocchio, con l’intenzione di completare la rasatura se ne avessi avuto il tempo.
Ci si può radere oppure no, però non va affatto bene rimanere con una gamba
rasata e l’altra no.
Mi chiesi come mai i ragazzi tardassero tanto a decidere chi doveva entrare
nella doccia con me. Scostai la tenda per guardare l’ora al telefono. Erano
passati quindici minuti. Con la pratica sono diventata rapida a fare la doccia,
probabilmente perché quasi sempre al termine di una notte di lavoro devo
pulirmi dal sangue.
In fin dei conti, quindici minuti non erano poi tanti per decidere, se si
considerava che avevo consumato molta energia per guarire e che avrei
prosciugato la persona di cui mi sarei nutrita: avrebbe potuto svolgere un altro
turno di lavoro soltanto dopo avere dormito e mangiato. Insomma, per un po’
saremmo rimasti con un bodyguard in meno.
Decisi di aspettare altri cinque minuti prima di chiamare qualcuno e di
sfruttare l’attesa per radermi anche le cosce. La pazienza non è mai stata la mia
migliore virtù.
Non sentii aprire la porta del bagno, però sentii la corrente fredda insinuarsi
nell’aria calda e vaporosa. Col rasoio in mano, mi girai mentre le tende si
aprivano, già eccitata e col battito cardiaco accelerato senza neppure sapere chi
fosse. Forse Devil aveva previsto l’effetto che mi avrebbero fatto l’attesa e la
sorpresa.
Allora apparve l’unico dei miei amanti che non mi sarei mai aspettata di
vedere lì, in quel momento, cioè Jean-Claude, pallido e tutto nudo, coi capelli
neri sciolti sulle spalle e sulla schiena. Avrei dovuto rimproverarlo per essersi
arrischiato a entrare nel territorio di un altro master. Avrei dovuto ricordargli che
sarebbe stato più al sicuro a casa, che in sostanza era il presidente dei vampiri
degli Stati Uniti e che aveva altre responsabilità oltre all’amore. Sì, avrei dovuto
dire un sacco di cose che invece non dissi.
Uscii dalla doccia per gettarmi nelle sua braccia lasciandomi sfuggire un
suono sospettosamente simile a un singhiozzo. Lui mi strinse a sé e mi sollevò il
viso per baciarmi, con quelle labbra, con quel volto… Ebbi un attimo per fissare
gli occhi blu più scuri che avessi mai visto, come se il cielo di mezzanotte
potesse essere blu, e poi lui mi baciò, e io chiusi gli occhi e mi abbandonai alle
sue labbra, alla sua bocca, alle sue mani che accarezzavano il mio corpo bagnato.
Fu come se quel bacio fosse l’aria, l’acqua, tutto ciò di cui avevo bisogno.
Quando lui mi prese in braccio, io gli avvolsi le gambe intorno ai fianchi. Poi
lui entrò nella doccia e richiuse la tenda con una mano, mentre il getto d’acqua ci
bagnava entrambi.
38

L’ acqua calda che scorreva impetuosa sui nostri visi divenne parte del nostro
bacio sempre più ardente. Sentii che lui, stretto contro di me, diventava
sempre più bramoso. Il bacio fu meraviglioso e romantico fino a quando io non
ebbi bisogno di respirare, a differenza del mio amante vampiro. Allora cercare di
trattenere il fiato per prolungare il bacio fu come annegare. Alla fine fui costretta
a girare la testa sotto l’acqua per riprendere fiato, ma non in un respiro profondo,
altrimenti avrei inalato l’acqua: soffocare nella doccia non sarebbe stato
romantico, benché fossi nuda.
Il velo argenteo dell’acqua scorreva scintillando addosso a Jean-Claude, che
teneva la testa un po’ china per potermi fissare con gli occhi blu, incorniciati
dalle ciglia nere inargentate d’acqua. Erano come profondissimi laghi blu velati
di bruma d’argento, e guardarli mentre aderiva a me, sostenendo tutto il mio
peso, fu come incassare un uno-due di romanticismo e di sesso.
Ci baciammo di nuovo sotto il getto vigoroso finché io non ebbi bisogno di
riprendere fiato per la seconda volta. Allora lui si spostò in modo che l’acqua gli
flagellasse soltanto la schiena, mi mise in piedi nell’angolo, addossata alle
mattonelle fredde, poi s’inginocchiò di fronte a me, coi lunghi capelli neri che
gli scendevano sin quasi ai fianchi, fradici. In quel momento anche i miei erano
così, fradici e lisci, e cadevano sino ai fianchi anziché arricciarsi a mezza
schiena. Le ciocche nere spalmate sul suo viso imperlato di gocce facevano
sembrare i suoi occhi ancora più blu, come il cielo al tramonto, allorché l’ultimo
lampo d’azzurro cede alle fiamme arancioni e rosse.
Quando mi si accostò con quella bocca tutta da baciare, gli posai una mano
sul viso per fermarlo. «Anche se stento a credere di poterlo dire, non abbiamo
tempo per i preliminari», annunciai, con una mezza risata tremante. «Devo
interrogare alcuni vampiri prima dell’alba.»
«Non potrai interrogarli stanotte», replicò Jean-Claude.
«Perché no?»
«Sono stato contattato da Fredrico, il Master della Città. Se ne rammarica,
però ha interceduto per i vampiri, quando ha saputo che erano stati soggiogati, e
loro… Come si usa dire? Si sono appellati al Quinto Emendamento. Potrebbero
salvarsi, se la loro testimonianza fosse preziosa.»
«Ogni ora sprecata concede al vampiro responsabile di tutto ciò una
maggiore opportunità di fuggire e di continuare a diffondere la malattia.»
«Questo è vero, ma l’arrivo dell’alba intrappolerà anche lui come intrappola
tutti noi. Nessun vampiro nuocerà a nessuno fino al nuovo sorgere del sole.»
Jean-Claude sorrise. «Tu stessa hai contribuito a creare la legge che riconosce ai
vampiri il diritto di avere assistenza legale.»
«Non immaginavo che sarebbe stata usata contro di me.»
«Spesso non prevediamo le conseguenze delle nostre azioni. Ci sforziamo di
fare cose buone, ma spesso in esse c’è anche qualcosa di cattivo.»
Non potei fare altro che annuire.
«Comunque questo sviluppo ha anche un aspetto positivo, perché mi lascia il
tempo di leccare l’acqua dal tuo corpo fino a scacciare la tristezza dai tuoi
occhi.»
«Non c’è tristezza nei miei occhi. Ho soltanto bisogno di lavorare», dichiarai.
Jean-Claude mi guardò, semplicemente, e non furono i suoi poteri vampirici
né la sua bellezza a indurmi a distogliere lo sguardo, bensì la consapevolezza che
vidi nei suoi occhi. Mi conosceva troppo bene perché potessi mentirgli e, se non
potevo mentire a lui, non potevo mentire neppure a me stessa. Ecco cosa succede
quando si concede troppa intimità alle persone, cazzo! Non ci si può più
nascondere, neppure a se stessi.
«Sto cercando di concentrarmi sul lavoro», aggiunsi, e perfino alle mie
orecchie suonò come un pio desiderio.
«Il lavoro può essere un balsamo per queste cose», mormorò Jean-Claude.
Mi costrinsi a guardarlo, inginocchiato di fronte a me, con le mani sui miei
fianchi, impassibile come soltanto i vampiri antichi sanno essere, in modo tale da
non lasciarmi nulla da giudicare, nulla cui reagire, semplicemente la sua paziente
attesa che io stessa decidessi se sfogare la collera o lasciarmi confortare.
Gli accarezzai una ciocca di capelli spalmata sulla pelle. «Quando ti ho visto
sono stata così contenta…» Gli scostai la ciocca dal viso. «Eppure so che non
dovresti essere qui e che Fredrico considera il tuo arrivo come una mossa in un
gioco di potere.» Gli spinsi all’indietro tutte le altre ciocche, pressandole sulla
nera massa della capigliatura fradicia, in modo da lasciare il viso interamente
scoperto. «So quanto sia pericoloso per te lasciare il Circo dei Dannati, ormai
diventato una fortezza, e viaggiare.» Una volta tanto dissi tutto quello che
pensavo, come se fossi troppo addolorata e troppo brutalmente sincera per
trattenermi. «Ti guardo, e tuttora mi meraviglio che tu, così bello, mi voglia
ancora dopo sei anni…» Nel momento in cui le dischiuse, gli posai un dito sulle
labbra per impedirgli di replicare. «Stai per dire, come sempre, che sono bella,
quindi devo crederti, come devo credere a tutte le altre persone
meravigliosamente belle che fanno parte della mia vita e che continuano a dirlo.
Quanto a me, confesso di non essermi mai abituata alla tua bellezza, alla
bellezza dei tuoi occhi, del tuo viso, dei tuoi capelli, del tuo corpo, tutto. Amo
che tu sia qui. Non sei stato costretto a partire; avresti potuto semplicemente
abbassare le difese per percepire tutto ciò che sento e tutto ciò che penso.»
Jean-Claude mi prese la mano e, nel baciarne gentilmente le dita, la scostò
dalla propria bocca. «Quando ti ho visto in televisione, ferita e sanguinante,
sapevo che non saresti morta, sapevo che avevamo il potere di guarirti e di
riportarti a casa. Ma non mi bastava, ma petite.» Si premette la mia mano sul
torace. «Avevo bisogno di sentirti, così. Avevo bisogno di accarezzarti, di
baciarti, di stringerti a me il più possibile… Credo di avere abbastanza potere per
sopravvivere fisicamente alla tua morte, ma il mio cuore…» Sollevò di nuovo la
mia mano per baciarla. «Il mio cuore batte per te, Anita Blake. Se avessimo
modo di sposarci senza escludere gli altri uomini della nostra vita, allora ti
chiederei in moglie.»
Soltanto con uno sforzo di concentrazione impedii alle lacrime che mi
colmavano gli occhi di spandersi sulle mie guance. Non avevo nessuna
intenzione di piangere. Quando risposi, la mia voce non lo mostrò. «Micah ha
detto quasi la stessa cosa a Nathaniel e a me.»
Jean-Claude reclinò la testa. «Allora facciamolo.»
«Cosa?»
«Anche se legalmente puoi sposare soltanto uno di noi, potremmo celebrare
una cerimonia di gruppo. I precedenti non mancano.»
«Vale a dire?»
«Un matrimonio di gruppo non può essere celebrato legalmente, però
potrebbe esserlo col rituale dell’handfasting, o ’salto della scopa’, com’era
chiamato un tempo qui in America.»
Scoppiai involontariamente a piangere. «Come sarebbe possibile? Cioè,
quanti di noi? E gli anelli? Avremmo tutti la fede nuziale e l’anello di
fidanzamento? Chi mai sarebbe disposto a sposare tanta gente tutta insieme?»
Jean-Claude sorrise, sembrava felice. «Non conosco le risposte a tutte le tue
domande estremamente ragionevoli, ma il fatto stesso che tu le ponga, anziché
rispondere semplicemente no, è più di quanto avessi sperato.»
Continuai a piangere ancora più forte, tanto che per poter rispondere fui
costretta a inghiottire il groppo che avevo in gola. «Credevi davvero che avrei
risposto no?»
«Sì. Se io avessi sognato altrimenti, per chiedertelo avrei organizzato la notte
più romantica della tua vita e avrei cospirato con gli altri uomini della nostra vita
per sconvolgerti. Invece, come del resto è sempre accaduto tra noi, mi hai posto
in svantaggio e hai gettato all’aria tutti i miei ideali romantici.» Jean-Claude mi
baciò la mano e si alzò, senza lasciarmi, poi mi sfiorò il viso con le dita,
scrutandomi come per imprimersi nella memoria ogni mio tratto, mentre il mio
pianto scemava e io scrutavo a mia volta il suo bellissimo viso.
«Anita Blake…» Jean-Claude si lasciò cadere su un ginocchio nel piatto
doccia. «Vuoi concedermi l’onore e la meraviglia di sposarmi?»
Allora ricominciai a piangere, maledizione! Poi annuii e finalmente ritrovai
la voce. «Sì, sì! Lo voglio!»
Lui mi sorrise, fulgido in viso, non per effetto di poteri vampirici o
metapsichici di qualsiasi genere, bensì per pura e semplice gioia. Dopo quasi
seicento anni era ancora semplicemente un uomo inginocchiato dinanzi a una
donna, sopraffatto dal sollievo e dalla gioia alla risposta affermativa di lei.
Quanto a me, mi permisi una volta tanto di mettere da parte la maschera da
dura e piansi, lasciandomi abbracciare. Piansi perché ero felice. Talvolta la
felicità riempie il cuore tanto da traboccare dagli occhi. Comunque piansi anche
per Ares, per quello che avevo dovuto fare, e perché se avessi dovuto rifarlo,
conoscendone le conseguenze, mi sarei comportata diversamente soltanto nel
senso che lo avrei ucciso subito, senza rischiare altre vite. Per qualche ragione
mi sentivo responsabile per le altre vittime pur sapendo che non avrei potuto
prevedere l’accaduto. Anche se ne ero consapevole razionalmente, il senso di
colpa non ha nulla a che fare con la razionalità, e neppure l’amore.
In qualche modo, il pianto, le carezze e il bacio gentile divennero qualcosa di
più impetuoso e di più bramoso. Il mio sì fu celebrato sul piatto doccia, iniziando
con Jean-Claude sopra in modo che potessi vedere tutta la sua bellezza su di me,
il suo corpo che si conficcava e si strofinava dentro e fuori di me, col getto della
doccia che ci sferzava, in una gara a scoprire se sarei riuscita a nutrire l’ardeur
prima di annegare. Poi, ridendo, mi misi in ginocchio, e quando lui mi penetrò
da dietro tacqui, restando un momento senza fiato per il puro piacere di averlo
dentro di me. Jean-Claude mi allargò le gambe e mi tenne ferma per poter
strofinare ripetutamente quel punto speciale all’interno del mio corpo, a colpi
lenti e profondi, suscitando in me una sensazione straordinaria.
«Jean-Claude… Jean-Claude… Jean-Claude…» implorai al ritmo del suo
movimento, finché il mio respiro non accelerò e il piacere si accumulò, si
avvicinò. «Omioddio… Ci sono quasi… quasi…»
Per un momento Jean-Claude interruppe il ritmo, quindi riprese ad affondare
con colpi lunghi e sinuosi dentro di me, sforzandosi di mantenere il respiro
regolare per controllare i movimenti. Il controllo del respiro permette di
controllare un sacco di cose.
Tra un colpo e l’altro, il piacere mi travolse pulsando in tutto il corpo. Strillai
di piacere sul piatto doccia, assordata dall’eco della mia stessa voce. Seppure
con le dita conficcate nelle mie natiche per tenermi ferma il più possibile, Jean-
Claude mantenne il ritmo, facendomi venire a ogni colpo in una successione
ininterrotta di orgasmi, oppure in un’unica, prolungata, rotolante onda di piacere.
«Nutriti, ma petite, nutriti perché non posso più resistere», implorò Jean-
Claude, con voce strozzata. «Libera l’ardeur e nutriti!»
E l’ardeur era là, in attesa. Con meno di un pensiero prese vita ruggendo, mi
pervase come un ulteriore piacere cavalcando l’orgasmo e si conficcò nell’uomo
dentro di me, facendolo gridare.
Ancora una volta il mio corpo fu squassato dagli spasmi, e il colpo
successivo fu così deciso e profondo che mi fece venire ancora una volta,
strillando, graffiando con le unghie le mattonelle bagnate nel tentativo di trovare
qualcosa cui aggrapparmi, in cui affondare, cui ancorarmi nel mezzo di tutto
quel piacere travolgente.
Mi nutrii della gioia di lui dentro di me, della follia del nostro amore, del
ricordo del viso di lui che mi guardava, e perfino delle lacrime che avevo sparso.
Fu un nutrimento gustoso e completo perché non mi nutrii soltanto della nostra
lussuria, bensì anche del nostro amore.
Crollai bocconi, con Jean-Claude ancora dentro di me, sforzandomi di non
sbattere la faccia sulle mattonelle, e lui si sforzò di rimanere dritto per non
inchiodarmi al piatto doccia su cui scorreva l’acqua. Le nostre braccia tremarono
in un’eco dello sforzo e del piacere.
«Ti amo, ma petite», disse lui, con voce tremante.
«Je t’aime», dissi, anch’io con voce tremante, e non soltanto per il sesso
grandioso, bensì perché ero più certa di quello che avevo appena detto di quanto
lo fossi mai stata di qualunque altra mia affermazione.
39

uando ci fummo lavati e asciugati, raccontai a Jean-Claude dei

Q vampiri putrescenti, degli zombie cannibali, del misterioso vampiro


master che creava e soggiogava vampiri, e nel raccontare mi resi conto
di una cosa… «L’unico motivo per cui non abbiamo cercato di curare
Ares nello stesso modo in cui Asher e Damian hanno curato Nathaniel,
in Tennessee, è che con noi non c’era nessun vampiro. Ma tu adesso sei qui e
potresti curare il papà di Micah!»
Eravamo vestiti e Jean-Claude con le sue lunghe dita eleganti mi stava
ravviando i ricci.
Scostandomi abbastanza per scrutarlo in viso, scoprii che la sua espressione
non era affatto rassicurante. «Perché non puoi?»
«Avrei potuto tentare, se fossi arrivato subito. Ma ormai sono trascorsi alcuni
giorni, i medici hanno asportato la ferita iniziale e la decomposizione si è diffusa
a zone dell’organismo che non hanno ferite.»
«Come lo sai?»
«Nicky mi ha riferito ogni cosa mentre ero in volo. È un osservatore molto
scrupoloso e obiettivo quando tu non sei cosciente e non gli trasmetti le tue
emozioni.»
«Quindi sapevi già tutto quello che ti ho appena detto a proposito dei
vampiri…»
Jean-Claude si arrotolò uno dei miei ricci intorno a un dito. «Sì, ma tu mi hai
riferito dettagli che non ho potuto avere da Nicky. A parte essere un leone
mannaro, lui non possiede vere facoltà metapsichiche o magiche, quindi il suo
resoconto è stato parziale. Tu hai aggiunto l’aspetto metapsichico che avevo
necessità di conoscere. A te posso porre domande cui lui non può rispondere.»
«Per esempio?»
«Morte d’Amour, l’Amante della Morte, dovrebbe essere morto, ma anche la
Madre di Tutte le Tenebre non era morta anche se avrebbe dovuto esserlo. È
stato lui? È possibile che sia stato Morte d’Amour tornato dal regno dei morti,
per così dire?»
In procinto di negarlo, mi trattenni e mi costrinsi a riflettere, mentre Jean-
Claude, serio come un bambino, continuava ad arricciarmi i ricci. Lo lasciai fare,
sia perché poi avrei avuto una chioma grandiosa, sia perché sapevo che lo
rilassava; di solito giocherellava coi miei capelli o coi suoi quand’era nervoso o
quand’eravamo in procinto di partecipare a un evento pubblico. «Ho percepito
l’energia di Morte d’Amour quand’era unito a Mammina Tenebrosa. Be’, quella
che ho percepito qui non era la stessa. Il vampiro non ha creato quella illusione
tipica dei consiglieri, tipo comparire in una visione sopra le nostre teste, o dentro
le nostre teste. Per poter parlare con noi, ha dovuto usare come una marionetta la
vampira che aveva creato.»
«Comunque, hai percepito la sua energia… Era la medesima?»
«Nel percepire la sua presenza, non ho pensato: ’Oh, è Morte d’Amour’, se
questo è quello che intendi.»
«Sì, è quello che intendo. Dunque non è lui.»
«No.» Continuai a pensarci, perché c’era qualcosa che mi tormentava, come
se avessi dimenticato qualcosa d’importante.
«Che succede, ma petite? Sembri turbata…»
«L’Amante della Morte era capace di possedere i vampiri in questo modo?»
«No, non ne ha mai avuto il potere.»
«Era in grado di controllare gli zombie?»
«No.»
«Allora abbiamo a che fare con un vampiro master capace di passare da un
corpo all’altro come il Viaggiatore, di creare vampiri putrescenti come Morte
d’Amour, di controllare gli zombie come un negromante e di controllare i
licantropi attraverso il morso dei vampiri posseduti… Come diavolo è
possibile?»
«Il Viaggiatore può utilizzare il corpo di quasi qualunque vampiro, oppure
dell’animale che risponde al suo richiamo. Invece questo master può usare
soltanto i vampiri che lui stesso ha creato, e questo era un dono posseduto dalla
Madre Tenebrosa. Mi è stato raccontato che, quand’era giovane, era in grado di
controllare tutti i tipi di non morti, non soltanto i vampiri.»
«E il morso putrescente che permette di controllare i licantropi?»
«Come quello sessuale di Belle Morte, questo potere si è sviluppato
all’interno della stirpe di Morte d’Amour, che è stato creato dalla Madre di Tutte
le Tenebre. Molti potenti vampiri master sono in grado di controllare attraverso il
morso gli animali che rispondono ai loro richiami.»
«Non attraverso il morso di un vampiro creato e posseduto, però…»
«Non ne sono sicuro. Chiederò al Viaggiatore se possiede questa capacità.»
«Ma da dove diavolo sbuca questo vampiro? Non ci sono molti vampiri
putrescenti in America…»
«Questo è vero, e dovrei percepirne uno tanto potente. Invece non posso.»
Mi girai, inducendolo a smettere di arricciarmi i capelli. «Hai ragione! Tu sei
il re e puoi percepire, almeno in parte, tutti i vampiri che ti hanno prestato
giuramento di sangue.»
«Anche tu percepisci i vampiri.»
«Sì, se non sono master e se non cercano di nascondersi.»
«Credo che ormai neppure certi vampiri master siano in grado di nascondersi
alla tua negromanzia. Da quando sono diventato capo di tutti i vampiri del Paese,
i poteri di tutti noi sono aumentati.»
«Ti hanno ceduto potere affinché tu li protegga dai vampiri cattivi.»
«Temevano la Madre di tutti noi, e quello che Morte d’Amour ha costretto il
proprio discendente a fare, ad Atlanta.»
«Non ha posseduto il Master di Atlanta, però lo ha fatto impazzire per
costringere lui e i suoi vampiri a massacrare la gente. È abbastanza simile a
quello che sta facendo questo master.»
«Forse questo master non si sta nascondendo dalla legge umana, bensì dal
Consiglio.»
«In che senso?»
«Questo nuovo master è potente, però non è più potente della Madre di Tutte
le Tenebre e, se è un vampiro putrescente, allora discende da Morte d’Amour.
Ciò significa che, fino a quando non sono stati annientati entrambi, lui deve
avere temuto di essere posseduto o distrutto da loro.»
«Prima di rivelarsi a noi avrebbe dunque aspettato che eliminassimo tutti
quelli di cui aveva paura? È questo che ipotizzi?»
«Non sono sicuro che sia così semplice, perché suona del tutto folle.
D’altronde la follia non è affatto logica, anche se ai folli appare perfettamente
tale.»
«La follia non è mai logica, se non nella mente del folle.»
«È esattamente quello che intendevo dire.»
«Quindi, adesso che grazie a noi non ha più paura di nessuno, il nuovo
master ci sfida. Oppure pensi che sia troppo pazzo perfino per questo?»
«Propendo per la tua seconda ipotesi.»
«Merda! Avrà un corpo che possiamo trovare e distruggere?»
«Il Viaggiatore lo ha, e fra tutti noi è il più antico che sia rimasto a possedere
la facoltà di balzare da un corpo all’altro. Se qualcuno annientasse il suo corpo
originale, allora morirebbe davvero.»
«Eppure Mammina Tenebrosa non è morta quando il suo corpo è stato
annientato.»
«Non, ma petite. Tuttavia il corpo intrappolato a Parigi non era il suo corpo
originale, o almeno così mi è stato riferito.»
Ci pensai, poi scossi la testa. «Hai ragione, non lo era. Non era la prima volta
che cambiava corpo, e questa era proprio una delle ragioni per cui voleva
impossessarsi del mio, o farmi restare incinta e possedere il nascituro.»
Rabbrividii, come se percepissi ancora la malvagità di lei dentro di me. Era stata
l’incarnazione della tenebra, la notte medesima dotata di respiro e di vita per
potersi insinuare in camera attraverso la finestra e fare tutto ciò che si teme possa
accadere nell’oscurità. E io non ero l’unica ad avere avuto paura della
TENEBRA, scritto a lettere maiuscole. Mentre Jean-Claude ricominciava ad
arricciarmi i ricci, aggiunsi: «Uccidere i vampiri che viaggiano in spirito è
maledettamente difficile».
«Oui! Per prima cosa, bisogna intrappolarli in un corpo abbastanza a lungo
per poterli annientare.»
«L’ultima volta ha funzionato soltanto perché lei voleva possedere il mio
corpo, quindi vi è rimasta tanto da permettermi di ucciderla con la mia
negromanzia e con l’aiuto del tuo potere.»
«Allora bisogna scoprire che cosa questo nuovo vampiro master desidera
tanto da essere indotto a rimanervi, in modo che tu e Edward possiate
annientarlo.»
«Puoi aiutarci a trovarlo? Cioè, sei il re e sei metapsichicamente connesso a
quasi tutti i vampiri. Puoi sfruttare questa connessione per braccarlo?»
«In tutta sincerità, non lo so. I poteri attribuiti alla Madre, che era a capo del
Consiglio, dipendevano più dalla sua magia che dalla sua condizione di capo del
Consiglio dei Vampiri, e io non sono il primo vampiro, né il creatore della nostra
società. Sono un capo, ma non quel genere di capo.»
«Forse possiamo usare la vampira che è stata creata dal master come
connessione per rintracciarlo, come una sorta di cellulare metapsichico. Si
accende il telefono e si risale alla fonte da cui lei riceve i messaggi.»
«È una buona idea. Vale la pena tentare.»
«Eppure non credi che funzionerà…»
«Lo ignoro, e questa è la verità.»
Cercando di escogitare un modo per scovare il nuovo grosso vampiro cattivo,
sospirai profondamente e cambiai argomento: «Dunque non c’è nulla che si
possa fare per il padre di Micah?»
«Nulla che i vampiri possano fare, temo. Tuttavia abbiamo salvato l’agente
Travers.» Per poter continuare ad arricciarmi i capelli, Jean-Claude m’impedì di
girare la testa a guardarlo.
«Hai succhiato via… la decomposizione da Travers?»
«No, non io. È stato Truth.»
«Hai portato con te Wicked e Truth?»
«Sono le mie principali guardie del corpo.»
«È stato molto più rischioso per Truth. Non è potente quanto te.»
«Avrei potuto curare io l’agente, ma se qualcosa fosse andato storto sarei
stato tentato di assorbire energia dai vampiri locali, perché se avessi avuto
abbastanza energia disponibile per sopravvivere non avrei permesso a me stesso
d’imputridire a morte per salvare uno sconosciuto. D’altronde, se in occasione
della mia prima visita in questo territorio avessi agito così senza prima chiedere
il permesso di colui che ne è il master, mi sarei costruito una reputazione analoga
a quella dei consiglieri europei, cioè sarei sembrato un mostro, e non voglio che
ciò accada.»
«Dunque nutrirsi di questa decomposizione è tanto pericoloso perfino per
te?»
«Hai visto tu stessa cos’è accaduto a Damian quando ha aiutato Asher a
guarire Nathaniel. Se non fossi stata presente come sua master per offrirgli
sangue sano e potente, Damian non avrebbe avuto nessuna speranza di
guarigione o di recupero, e sarebbe morto.»
«Eppure Asher non ha avuto nessun problema, e non era neppure così potente
com’è adesso. Di sicuro non era potente quanto lo sei tu.»
«Sinceramente, non rischierei tutto ciò che sono e tutto ciò che ho per salvare
un estraneo.»
«Non rischieresti per il padre di Micah?»
«Potrei, ma ormai non è più possibile curarlo. Nessun vampiro può più
purificare il suo sangue. L’infezione è troppo diffusa in tutto il corpo.» Jean-
Claude ricominciò pazientemente ad arricciarmi i capelli.
«Edward ha accennato al fatto che i media hanno parlato di ’apocalisse
zombie’ e che i notiziari di tutto il mondo hanno parlato di me…»
«Oui», confermò Jean-Claude.
«Dovremo passare tra i giornalisti per arrivare in albergo? Per questo mi stai
arricciando i capelli?»
«La polizia li tiene alla larga per riguardo alla famiglia di Micah.» Jean-
Claude passò a occuparsi della nuca, che è la zona più problematica per
l’acconciatura di tutti quelli che hanno capelli lunghi e ricci.
«Credevo che potessimo parlare coi giornalisti.»
«Non stanotte. Abbiamo programmato una conferenza stampa per domani.»
«Allora perché ti stai dedicando tanto ai miei capelli?»
Jean-Claude esitò, prima di continuare ad arricciarmi ogni singolo riccio.
«Per essere impegnato in un’attività manuale mentre rifletto.»
«Dunque sei nervoso…»
«Oui.»
Corrugai la fronte. «Stai ripensando alla proposta?»
«Mon Dieu! No, no di certo!» Jean-Claude mi abbracciò, poi mi posò le mani
sulle spalle per scrutarmi in viso. «Accettando mi hai reso molto felice, ma
petite. Non dubitare mai dell’estasi che mi procurano il nostro fidanzamento e la
prospettiva di annunciarlo ufficialmente.»
«Ufficialmente?» Le rughe sulla mia fronte si approfondirono. «Perché?»
«Perché sono il re dei vampiri d’America, e i sovrani non si fidanzano in
segreto. Quando tu, Micah e chiunque altro decideremo di coinvolgere avrete
scelto i coniugi e organizzato il matrimonio di gruppo, allora annunceremo
quello che tutti desideriamo annunciare, qualunque cosa sarà.»
«Okay, mi sembra molto ragionevole. Ma allora perché sei nervoso?»
«Sembra sciocco…» Jean-Claude si scostò e si passò le mani sullo sparato di
pizzo bianco sotto la giacca di velluto nero. Il colletto, alto e ricamato in bianco,
era slacciato. Lo teneva sempre abbottonato a incorniciare il mento, tranne
quand’era in privato, a fine giornata.
«Tutto bene?»
Lui sbuffò. «Ho più di seicento anni, dovrei avere superato queste
sciocchezze!»
«Quali sciocchezze?»
«Dobbiamo radunare i nostri giovani e ritirarci in albergo, ma ho saputo che
il nostro chat è con la propria famiglia…»
«Dunque andiamo a vedere come sta suo padre. È difficile, ma…»
Jean-Claude scosse la testa. «Non è la triste sorte di suo padre che mi mette
in ansia.»
«Allora cos’è?»
«Essere presentato alla sua famiglia…»
«Non ti ha presentato?»
«Non ne ha avuto il tempo. Sono accorso subito da te.» Jean-Claude sospirò.
«Vorrei salutare Micah e confortarlo, ma non sono certo che lo desideri alla
presenza della famiglia. Sono un maschio, sono un vampiro, e ho saputo che i
suoi parenti sono molto religiosi…»
Sorrisi. «Qualcuno di loro lo è, ma i suoi genitori non avranno nulla da
obiettare a un rapporto tra due uomini.» Ciò detto, gli spiegai l’«accordo
familiare» dei genitori di Micah.
Jean-Claude scoppiò a ridere. «Micah si era tanto preoccupato di quello che
avrebbero pensato del suo rapporto con Nathaniel… E per tutto questo tempo i
suoi genitori hanno vissuto in un ménage-à-trois! È incredibile!»
Annuii, sorridendo. «Hanno accettato senza problemi la licantropia, quindi
penso che pure il vampirismo per loro non sarà un problema.»
«Dunque hanno accolto in famiglia te e Nathaniel?»
«Sì, è andato tutto benissimo.»
«Comunque un ménage-à-trois è molto più accettabile del nostro rapporto di
gruppo.»
«Ti preoccupa il modo in cui Micah ti presenterà alla famiglia?»
Jean-Claude rispose soltanto con la sua aggraziata scrollata di spalle che
poteva significare tutto e niente.
Andai ad abbracciargli i fianchi e, quando lui mi abbracciò le spalle, sollevai
lo sguardo e sorrisi. «Credo che la tua preoccupazione per Micah e per la sua
famiglia sia molto dolce.»
«Non è dolce, ma petite, è ridicola. So che l’unico uomo che ama è
Nathaniel.»
«Non lo ami come ami Asher.»
«Questo è vero, però Asher non è più con noi.»
«A questo proposito, ho promesso a Devil di parlarti di Asher.»
«Cosa vuoi dirmi di Asher e del nostro bel diavolo?»
«Devil sente la sua mancanza.»
«Molti di noi la sentono», replicò Jean-Claude, in un tono che mi permise di
comprendere quanto quel «noi» includesse anche lui.
«Gli hai parlato ultimamente?»
«Sì.»
Scrutai il suo bel viso impenetrabile. Mi stava nascondendo i suoi pensieri e i
suoi sentimenti perché non voleva condividerli o perché temeva che ne sarei
stata turbata.
Allora ebbi un’intuizione perspicace, o quella che mi parve potenzialmente
tale. «Asher ti ha parlato del suo nuovo amante?»
Jean-Claude assunse quella immobilità assoluta di cui gli umani sono
incapaci, una immobilità analoga a quella del serpente che sembra un ramo in
attesa che il pericolo si allontani o che la preda si avvicini.
«Interpreto il tuo silenzio come un sì.»
«In effetti, ha accennato al suo nuovo amante», rivelò Jean-Claude, in un
tono assolutamente privo di espressione che un tempo avrei interpretato come
maledettissima indifferenza, mentre ormai sapevo che talvolta significava
maledettissima premura.
«Devil aveva intenzione di chiamare Asher mentre io ero sotto la doccia.»
«Davvero?» replicò Jean-Claude, sempre con voce del tutto inespressiva.
«Sì.» Lo strinsi più forte nel mio abbraccio. «Asher gli ha detto cose cattive.
Devil voleva scoprire cosa avesse detto sul serio e cosa avesse detto soltanto per
ferirlo.»
«Asher ha la capacità innata di pronunciare discorsi crudeli.»
Annuii. «Devil sente la sua mancanza tanto da essere disposto a rinunciare a
tutti, tranne che a lui.»
L’espressione impassibile e impenetrabile di Jean-Claude si sciolse un poco.
«Cos’ha indotto Mefistofele a cambiare idea?»
«Non aveva mai sentito la mancanza di nessuno come sente quella di Asher.»
«Non era mai stato innamorato prima?»
«A quanto pare, no.»
«Soltanto l’amore può rendere infernale una separazione.»
«È proprio vero.»
Allora Jean-Claude si rilassò, abbracciandomi affettuosamente, anziché
limitarsi a cingermi le spalle con le braccia. L’inquietante immobilità da rettile
scomparve e il suo corpo riacquistò una mobilità che non era esclusivamente
fisica, bensì pure energetica, come se lui avesse la capacità d’immobilizzare
anche la propria energia. Era forse davvero così? Forse l’immobilità vampirica è
anche qualcosa di metapsichico, ossia la capacità di bloccare qualunque forma di
«movimento»?
«È normale che tu senta molto la mancanza di Asher.» Posai la testa sul suo
petto. La sua giacca aveva una morbidezza tale che non poteva essere di
autentico velluto, bensì esclusivamente di moderno tessuto sintetico, molto più
morbido.
«Davvero, ma petite? Sento la sua mancanza, eppure non credo che abbia
appreso la lezione che intendevamo impartirgli. Al telefono è stato fin troppo
eloquente a proposito del suo nuovo amante, una iena mannara che non gli nega
nulla.»
Quando cercai di scostarmi per scrutarlo in viso, Jean-Claude mi trattenne
contro il suo petto, e io non insistetti, perché talvolta lo faceva nei momenti in
cui non era sicuro di riuscire a mantenersi impassibile. Per i vampiri antichi tale
incapacità è qualcosa di potenzialmente pericoloso. Secoli di persecuzioni
scatenate da espressioni sbagliate nei momenti sbagliati hanno insegnato alla
maggior parte dei vampiri a nascondere i sentimenti, tanto che per loro è
diventato arduo manifestare le emozioni, come mi aveva confidato una volta lo
stesso Jean-Claude. Probabilmente nel suo caso ciò aveva cessato di essere vero
quando si era avvicinato metapsichicamente a tutti i suoi servi dal sangue caldo,
come me. Noi gli avevamo ceduto una parte del nostro calore, e lui,
assorbendolo, aveva perduto una parte dell’autocontrollo assoluto sviluppato con
tanta difficoltà.
«Non sapevo che fosse una iena mannara», dissi, con la guancia premuta sul
velluto sintetico che gli copriva il torace.
«Sì, ma non è il capo delle iene locali. È soltanto il più bel ragazzo che sia
rimasto ammaliato dal fascino di Asher», dichiarò stancamente Jean-Claude.
«Seducendo la giovane iena mannara, Asher ha forse fatto incazzare il
capobranco?»
«Il capobranco è una donna, Dulcia. Dato che l’ho mandato nella sua città,
Asher sembra essersi convinto che io mi aspettassi da lui un comportamento più
eterosessuale.»
«Di conseguenza si è comportato in modo del tutto opposto, cercando
soltanto maschi.»
«Oh, ha fatto molto di peggio! Prima ha sedotto Dulcia, poi l’ha ignorata per
dedicarsi esclusivamente al nuovo amante.»
«Per la miseria! Sta cercando di farsi ammazzare?»
Scostandosi, Jean-Claude scosse la testa. «Se Asher non fosse stato mio
ambasciatore, Dulcia ne avrebbe fatto un esempio. Mi ha chiamato per
raccontarmi i suoi misfatti.»
«La società delle iene è matriarcale. Per questo Narcissus non ammette donne
nel suo clan. Teme che una donna lo spodesterebbe, proprio come avviene tra le
iene selvagge.»
«Lo so, ma petite.»
«Forse Asher lo ignora. Non si dedica alla ricerca come facciamo tu, io,
Micah, Nathaniel, e perfino Nicky… Come facciamo tutti quanti, cazzo!
Narcissus ha organizzato il proprio gruppo in modo diverso da com’è di solito la
società delle iene e, se Asher non ha mai frequentato altri gruppi, forse non sa
quanto le iene possano essere pericolose.»
Dopo un attimo di riflessione, Jean-Claude annuì. «Saggia osservazione, ma
petite. Potresti avere ragione. La nostra padrona, Belle Morte, si è sempre servita
di lui come di un’arma minacciosa, pronta a ferire. All’inizio anch’io ero
soltanto un’arma del suo arsenale, poi ho imparato a porre più domande e a
raccogliere più risposte.»
«Asher non è un pianificatore…»
«Temo di no.»
«Anche se è abbastanza potente per diventare master di un territorio, non ne
ha il temperamento.»
«No, non ce l’ha.»
«E non lo avrà mai.»
Ci scambiammo un’occhiata, semplicemente, e fu sufficiente.
«Non ho altra alternativa che permettere a Dulcia di ucciderlo per vendicare
l’insulto, oppure ordinargli di tornare a casa da noi.»
Scossi la testa. «Non possiamo permettere che lei lo uccida.»
«No.»
«Quanto tempo è passato dalla fesseria che ha fatto?»
«Meno di un mese.»
«Dopo essersi comportato bene per quasi cinque mesi, avrebbe tentato
all’improvviso di suicidarsi mediante le iene mannare?»
«Parrebbe proprio così.»
«In origine lo abbiamo esiliato per un mese, poi per tre, perché tu hai detto
che stava ottenendo grande successo diplomatico…»
«Infatti, e nessuno di noi credeva che avesse imparato ad apprezzare la
propria casa e le persone care, perciò ho deciso di lasciarlo là ancora per qualche
tempo.»
«Ricordo che intendevi richiamarlo almeno per una visita dopo un periodo di
sei mesi. Come te, tutti noi speravamo che in sei mesi imparasse ad apprezzare
quello che aveva con noi, e magari che decidesse perfino di entrare in terapia per
risolvere i suoi problemi di gelosia e d’irascibilità.»
«Tutto questo è verissimo, ma petite.»
«Tuttavia non sapeva che, se si fosse comportato bene ancora per un mese, lo
avremmo richiamato a casa.»
«No, non lo sapeva.»
«E così, quando in cinque mesi di buon comportamento non ha ottenuto
quello che voleva, ha deciso di agire come uno stupido adolescente.»
«C’è una parte di lui che sarà sempre uno stupido adolescente. Non so
perché, però è sempre stato così.»
«Se non riesce a ottenere attenzione facendo il bravo, la ottiene facendo il
cattivo.»
«Verissimo.»
«In conclusione, Asher non ha imparato un accidente di niente. Riportarlo a
casa sarà come ricompensare il suo cattivo comportamento, e tale ricompensa lo
indurrà a comportarsi di nuovo male, come sempre avviene in questi casi.»
«Che cosa vorresti che facessi, ma petite? Tu non intendi permettere che
Dulcia lo uccida, e io non credo che Micah possa accettare di limitarsi a
trasferirlo in un’altra città, dopo che ha guastato i buoni rapporti col gruppo di
Dulcia che lui stesso era riuscito a creare con la sua attività diplomatica.»
«Spostare il problema non lo risolverebbe.»
«No, infatti.» Jean-Claude si addossò alla parete e prese a massaggiarsi le
tempie come se avesse mal di testa.
Non ricordavo di avergli mai visto compiere quel gesto, e non aveva mai
avuto mal di testa, a quanto ne sapevo. «Tutto bene?» chiesi.
«No, niente affatto. Se io non amassi Asher, potremmo semplicemente
lasciare che siano le sue stesse azioni a segnare il suo destino, perché nello stato
d’animo in cui si trova attualmente insisterà con le provocazioni fino a ottenere
una reazione.»
«Come possiamo comportarci?»
«Non lo so. Vorrei non amarlo.»
«Anch’io.»
Jean-Claude mi guardò. «Tu non lo ami come ami me, o Micah, o Nathaniel.
Non sono neppure certo che t’importi di lui quanto t’importa di Nicky o di
Cynric. Cos’è lui per te?»
«Amo Asher, ma so che alcuni dei miei più profondi sentimenti per lui sono
un riflesso dei tuoi, e so quanto lo ami tu, quindi sinceramente non sempre sono
in grado di dire dove finiscono i miei sentimenti e dove iniziano i tuoi.»
«Mi dispiace per questo. Non vorrei che tu fossi tormentata da mon
chardonneret. È sufficiente che uno soltanto di noi due sia così stregato e
angosciato.»
«Asher non è il mio cardellino. Questo è il vezzeggiativo che tu usi per lui. In
camera da letto, con Nathaniel, ha cercato d’indurmi a chiamarlo master, ma tu
sei l’unica persona su questo pianeta che posso chiamare master, ed
esclusivamente se tu hai bisogno che io lo faccia per motivi di politica dei
vampiri.»
«Ha creduto davvero che tu potessi chiamarlo master semplicemente perché
ti ha dominata in camera da letto?»
«Può darsi, o forse ha semplicemente voluto mettere alla prova i suoi limiti,
per scoprire fino a che punto poteva arrivare con me.»
Jean-Claude annuì. «È tipico di lui, purtroppo. Deve sempre scoprire fin dove
può spingere una relazione. È un segno d’insicurezza e della sua natura
perversa.»
«Purtroppo, è proprio come hai detto…»
Restammo in silenzio per un poco.
«Conosciamo bene tutti questi aspetti negativi di Asher», ripresi. «Ha
confermato di non avere appreso nulla dal suo esilio, e quando tornerà a casa si
comporterà da stronzo.»
«Sì», convenne Jean-Claude.
«Allora perché stiamo valutando se richiamarlo a St. Louis?»
«Perché lui continuerà a provocare Dulcia fino a quando lei non cederà. E
finirà per ucciderlo, se non lo allontaneremo dal suo territorio richiamandolo a
casa.»
«Asher si rende conto che, se la spingerà fino al punto di rottura, Dulcia
prima lo ucciderà e soltanto in seguito si preoccuperà delle conseguenze?»
«Dulcia ci teme, ha paura d’inimicarsi il primo re vampiro d’America.»
«Ci teme tanto da continuare a ingoiare gli insulti di Asher?» domandai.
«Non la conosco abbastanza bene da poter rispondere a questa domanda, però
conosco Asher, e so che quando ha deciso di essere crudele diventa inesorabile.
Inoltre possiede un vero talento per individuare ciò che può suscitare ostilità,
infliggere umiliazione o terrorizzare.»
«Condivido in forma frammentaria alcuni tuoi ricordi di Asher che stupra
prigionieri per intrattenere la corte di Belle…»
«Sono stato costretto a partecipare ad alcuni di quei festini per evitare di fare
la fine di quei prigionieri», confessò Jean-Claude. «Ho scelto di essere predatore
per non essere vittima.»
«Però non è stato necessario minacciare Asher per indurlo ad agire così,
vero?»
«Un tempo la tortura gli procurava gioia. Adesso non è più così, però quella
parte di lui che gode nell’infliggere sofferenza e paura non è scomparsa. Ha
trovato modo di sfogarla meno crudelmente coi giochi di bondage e di
sottomissione. Ora comprende che qui, con noi, deve praticare il sesso in modo
sicuro, sano e consensuale.»
«Credi che una parte di lui senta la mancanza di poter torturare davvero?»
«È impossibile valutare una cosa del genere a proposito di qualcuno che si
ama», replicò Jean-Claude.
«L’amore è cieco soltanto all’inizio, quando prevalgono la follia e le
endorfine. Passata l’euforia, nessuno conosce l’altro in maniera più sincera,
difetti compresi, di chi ama veramente.»
«Nel corso dei secoli ho conosciuto molte persone rimaste cieche per sempre
ai difetti dei loro amanti.»
«Vero amore significa amare la persona vera, non un ideale che si ha nella
propria mente, a essa sovrapposto. Questa per me è illusione e menzogna.»
«E se gli amanti sono felici nella loro illusione e nella loro menzogna? Cessa
forse di essere vero amore perché si fonda sul necessario perdurare della
menzogna?»
«Sì.»
Jean-Claude non cercò di nascondere la sorpresa. «Affinché l’amore
sopravviva, un poco di mistero è necessario. Se conoscessimo ogni cosa gli uni
degli altri, senza dubbio il fardello dei nostri crimini o dei nostri dubbi ci
distruggerebbe.»
«Sappiamo che Asher è un bastardo perverso, crudele, sadico, eppure lo
amiamo.»
«Non credo che mi piacerebbe sentire elencare così schiettamente i miei
difetti. Anzi, credo che mi addolorerebbe sapere che mi vedi in modo tanto
chiaro e spietato.»
Gli sorrisi. «Tu hai i tuoi difetti e io ho i miei, però i tuoi pregi sono di gran
lunga più numerosi. Non possiamo dire lo stesso di Asher.»
«È bello.»
«È vero, e come top è meraviglioso. Dato che è stata la mia prima esperienza,
non capivo davvero quanto sia difficile trovare qualcuno che nel bondage goda a
comportarsi come piace a me, e non c’è nessun altro che sia sano di mente e che
si avvicini a ciò di cui ha bisogno Nathaniel in quell’ambito.»
«Il nostro micio ha necessità che possono essere spaventose.»
«Infatti tu e io ne siamo spaventati e non godiamo nel sottometterlo fino al
punto che lo soddisfa. Asher invece ne gode; anzi, non sono sicura di potermi
fidare del tutto a lasciarli soli senza le regole ulteriori che noi due imponiamo.»
«Credo che sia il confine del pericolo a deliziarli entrambi.»
«Sono d’accordo.»
«Quindi Asher è bello, nonché bravo in dominazione e sottomissione.
Tuttavia non si tratta di virtù tali da compensare i suoi vizi.»
«Questo è vero. D’altronde è un amante favoloso anche senza BDSM.»
Come per la necessità di controllarsi e rimanere impassibile, Jean-Claude
distolse lo sguardo per un momento. «Sì.» Il monosillabo fu sufficiente a tradire
qualcosa che era quasi dolore.
«Credi che sia una pessima idea richiamarlo a casa, vero?»
«Tu non lo credi?»
Ci scrutammo in silenzio.
«Sì, lo credo», ammisi finalmente.
«La logica imporrebbe di abbandonare Asher al suo destino…»
«Cioè lasciare che Dulcia lo uccida?»
Jean-Claude annuì, fissandomi con espressione di estrema circospezione,
senza manifestare nessun sentimento, e proprio questo lo rese immensamente
eloquente.
«Vuoi lasciare la decisione a me, vero?» gli chiesi.
«Da secoli sono schiavo della sua bellezza e della sua crudeltà. Non posso
essere tanto severo con lui quanto è necessario.»
«Non posso permettere che qualcun altro lo uccida.»
Per un istante Jean-Claude sgranò gli occhi. «Le implicazioni di questa frase
non mi piacciono, ma petite.»
«Neppure a me. Però, quando ha picchiato Cynric con tale violenza da
tramortirlo, ho temuto che gli avesse spezzato il collo. E sappiamo bene che le
lesioni alla spina dorsale possono equivalere alla decapitazione sia per i vampiri
sia per gli animali mannari. Se avesse ucciso Cynric, anche involontariamente,
gli avrei sparato, e non per limitarmi a ferirlo.»
«Non dubito che tu sia abbastanza forte da farlo», disse Jean-Claude. «Dubito
invece che tu lo sia abbastanza da sopportarne le conseguenze.»
«Ci penso da quando Asher se n’è andato. So che lo avrei fatto e che lui
potrebbe esasperarmi al punto di costringermi a farlo, ma credo che dentro di me
si aprirebbe una ferita insanabile. Merda! Sparare ad Ares, e sapere di essere
responsabile di quello che gli era accaduto… In pratica, l’ho spinto io nelle fauci
del grosso vampiro cattivo, e poi l’ho ucciso.» Scossi il capo. «E Haven…
Anche se il mio amore per lui era molto contrastato, sparargli e ammazzarlo ha
distrutto una parte di me.» Quando Jean-Claude accennò ad avvicinarsi, lo
fermai con un gesto, agitando la mano. «No, per favore…»
«Cosa posso fare, ma petite?»
«Mi hai appena detto di credere che sarà necessario uccidere Asher, che tu
non sei in grado di farlo, e che spetta a me, perché è il mio lavoro.»
«Neppure tu sei costretta a farlo. Possiamo semplicemente lasciare che
continui a comportarsi male e che sia la nostra debolezza. Non posso biasimarti
se dinanzi alla sua bellezza crudele non sei più forte di me.»
Scossi la testa. «Sai che non posso farlo…»
«No, considerato come sei fatta.»
«E allora?»
«Il nostro saggio re leopardo dice che dovremmo richiamare a casa Asher
perché troppi di noi ne sentono la mancanza.»
«Non si è espresso così!»
«No, infatti.» Jean-Claude sorrise. «Ha detto che dobbiamo lasciare che
Dulcia lo uccida, oppure sbrigarci a condurlo via dal suo territorio, in modo tale
da tentare di salvare l’accordo che lui stesso è riuscito a stipulare con Dulcia e
col suo clan di iene.»
«Nathaniel sente terribilmente la sua mancanza…»
«Anche Devil.»
«Perfino Richard sente la mancanza di qualcuno da dominare, che gli
permette di sfogare in qualche modo il suo lato oscuro», dissi. «È più cupo da
quando non può più abusare di Asher.»
«Mon lupe ha dimostrato di possedere un sorprendente talento come
dominatore.»
«Sta cercando di accettare tutto di se stesso, e una parte di lui gode a
tormentare Asher con le fruste e col rifiuto sessuale. Asher ama essere il primo a
deflorare i maschi eterosessuali, e Richard gode a offrirglisi senza mai
concedersi, senza mai permettergli neppure di toccarlo.»
«A quanto pare, ciascuno di loro soddisfa una necessità dell’altro, proprio
come avviene tra Asher, te e Nathaniel. E Narcissus si strugge per Asher.»
«Dunque Asher soddisfa per molti di noi necessità che nessun altro è in grado
di soddisfare», dissi.
«Sembra proprio che sia così.»
«Vorrei non averlo mai amato…»
«È un pensiero che da secoli, di quando in quando, mi sovviene…»
«Non mi sorprende. Asher è così… ’danneggiato’, e rifiuta di entrare in
terapia per affrontare e risolvere i suoi problemi…»
«La terapia sarà parte del prezzo che dovrà pagare per il suo ritorno»,
dichiarò Jean-Claude.
«Non possiamo costringerlo. Cioè, costringerlo vanificherebbe la terapia.»
«Questo è vero.»
«Anch’io lo rivoglio a casa, quindi non sei l’unico ad avere un debole per
lui.»
«L’amore è grande forza e grande debolezza, a seconda del giorno, dell’ora e
del momento.»
Ci abbracciammo, e io continuai a scrutarlo in viso. «Intendiamo riportarlo a
casa perché non siamo abbastanza forti per mandarlo a farsi fottere, vero?»
Jean-Claude sorrise. «Qualcosa del genere.»
«Non è grandioso l’amore?»
«Sì.» Jean-Claude si curvò a baciarmi. «Qualunque cosa offra, piacere,
sofferenza o perfino tormento, non lo scambierei mai con la sua assenza.»
Ci baciammo perché avevamo bisogno del contatto fisico reciproco, in modo
tale da rassicurarci a vicenda e persuaderci che non ci stavamo comportando
come maledetti idioti rispetto ad Asher, o almeno che ci stavamo comportando
da maledetti idioti tutti e due insieme.
Talvolta l’amore non ha nulla a che fare con l’intelligenza. Talvolta riguarda
l’essere stupidi insieme. Erano momenti che detestavo, però ero cresciuta tanto
da comprendere che l’amore, il vero amore, è pieno di scelte che non hanno
senso e che si compiono pur sapendo che sono destinate ad avere conseguenze
orribilmente nefaste. Perché? Perché l’amore ha a che fare con la speranza che le
cose possano finalmente cambiare. Talvolta accade, e io e Jean-Claude ne
eravamo la prova vivente. Talaltra invece non accade, e Richard e noi tre ne
eravamo la prova vivente.
«La bella moglie non l’ottiene l’infingardo», dice il proverbio.
Presumo che valga lo stesso per il bel ragazzo. È una speranza.
40

ome Yancey della SWAT, alcuni poliziotti locali mi accettarono come

C una di loro perché non me l’ero fatta addosso sotto il fuoco. Altri
invece s’impegnarono parecchio a cercare di addossarmi la
responsabilità di quello che Ares aveva fatto. Avevano bisogno di dare
la colpa a qualcuno e odiavano me perché avevo ucciso l’unica altra
persona che volevano odiare.
Alla stazione di polizia, io, Devil e Nicky fummo accolti da Edward/Ted e
presentati a marshal Hatfield e agli altri; poi leggemmo le dichiarazioni dei
testimoni ed esaminammo le foto della scena del crimine e quelle delle persone
scomparse, alcune delle quali erano diventate cadaveri ambulanti di vario
genere. Detesto sprecare la notte facendo qualcosa che si può fare anche di
giorno, ma per il momento non si poteva chiedere un accidente di niente ai due
perfetti sospettati che avevano visto il grosso vampiro cattivo, cioè il vero
pericolo, perché erano protetti dal loro avvocato. Forse conoscere l’intera
documentazione del caso mi avrebbe fornito appigli per l’interrogatorio, quando
mi fosse stato finalmente concesso di condurlo, o almeno così dicevo a me stessa
per limitare la frustrazione.
Secondo la consuetudine, Nicky e Devil avrebbero dovuto attendere nell’atrio
che io finissi o che altre due guardie del corpo arrivassero a sostituirli. Avevano
il porto d’armi, conoscevano la procedura e non avrebbero rifiutato di
consegnare l’artiglieria affinché fosse custodita sotto chiave, se la polizia lo
avesse chiesto. Purtroppo trovammo a riceverci il detective Ricky Rickman. Uno
dei principali motivi per cui la gente ha paura dei licantropi è che sembrano
persone normali, perché in effetti sono persone normali. La licantropia è
semplicemente una malattia. A parte l’ematocrito e la metamorfosi, l’aspetto dei
licantropi è in tutto e per tutto umano. Io non cercavo d’ingannare nessuno.
Semplicemente non ci avevo pensato.
«Porta fuori di qui i tuoi animali, Blake!» gridò Rickman. Non era arrabbiato,
voleva soltanto che tutti sentissero, e non riusciva a mascherare il suo pomposo
compiacimento dietro la pretesa furia del giusto.
«Non sono animali, Rickman», replicai con voce calma.
Un agente in uniforme domandò: «Sono animali mannari?»
«Sì, lo sono tutti», confermò Rickman.
«Da cosa lo capisci?» A occhi sgranati, l’agente in uniforme sembrava ancora
più giovane di quello che era. Perfetto.
«Lo capisco e basta», assicurò Rickman.
«Qualunque cosa succeda, statene fuori», sussurrai a Nicky e a Devil. «Non
fate nulla che possa alimentare questo contrasto.»
«Okay, capo», rispose Devil.
Nicky si limitò ad annuire brevemente.
«Se vuoi sussurrare dolci sciocchezze ai tuoi amanti pelosi, fallo altrove»,
gridò Rickman, avvicinandosi a me e cercando di sfruttare la propria altezza per
intimidirmi.
«In primo luogo, Rickman, hai detto una stronzata», ribattei, calma, ma molto
decisa. «Sai che sono licantropi soltanto perché te l’ho detto io. In secondo
luogo, non sono animali, sono persone.»
«Il tuo ultimo animale addomesticato ha ucciso Baker e ha staccato una mano
a Billings!» mi gridò in faccia Rickman, torreggiando su di me.
Dalla folla che si radunava intorno a noi provennero alcuni mormorii ostili.
«Non devono entrare qui…»
«Fateli uscire…»
«Animali…»
«Sono mostri…»
«In primo luogo, non era il mio animale addomesticato, era un marine»,
ricordai. «In secondo luogo, era soggiogato da un vampiro, proprio come alcuni
altri agenti.»
«Non era un agente!» Rickman mi sputò in faccia. «Era uno stramaledetto
animale!»
Mi tersi la sua saliva dal viso e gli sorrisi mio malgrado. Fu uno di quei
sorrisi involontari che di solito precedono una mia reazione sgradevole,
usualmente violenta. Ero arrabbiata. Cercai di controllarmi, ma il sorriso
manifestò la mia rabbia.
«Perché diavolo stai sorridendo, Blake?» gridò Rickman.
Non ho giustificazioni per la mia reazione, che fu del tutto deliberata. Non fui
violenta – anzi, tenni le braccia distese lungo i fianchi – tuttavia avanzai di un
passo, portando il mio giubbotto antiproiettile a contatto col suo. Dato che
conosco la violenza e gli uomini, so che toccare un uomo curvo su di me a
sputarmi in faccia il proprio furore è una provocazione. In situazioni come
quella, basta il più lieve contatto fisico per passare alle mani. Molte donne non
conoscono le regole, non sanno che molte risse tra maschi cominciano come
lotte tra cani, con scambi d’insulti e linguaggio aggressivo del corpo.
Be’, quando sfiorai Rickman fu quasi doloroso, come una scossa elettrica.
Era così pieno di rabbia e di adrenalina che fu come se lo avessi picchiato.
Eravamo troppo vicini perché potesse tirarmi un pugno, quindi mi spinse con
violenza sufficiente a farmi barcollare all’indietro.
Pensai di cadere volontariamente, ma esitai troppo e persi l’occasione di farlo
sembrare un bullo. D’altronde, quando si ha a che fare con qualcuno così
furibondo, si hanno sempre occasioni in abbondanza. «Lotti come una
ragazzina», dissi.
Allora Rickman mi tirò un cazzotto. Per quanto sembrasse stupido, era uno
sbirro, aveva abbastanza esperienza da essere diventato detective e sapeva
battersi. Io ero abbastanza veloce e abbastanza abile da parare il colpo, ma anche
da incassarlo, e dovevo fare in modo che Rickman si rivelasse per quello che era.
Così mi lasciai colpire duramente alla guancia e andai giù.
Benché fosse semplicemente umano, Rickman era alto più di un metro e
ottanta, in ottima forma; era uno sbirro, e gli sbirri sanno come picchiare, perché
a volte la loro vita dipende dall’atterrare qualcuno e accertarsi che poi stia giù.
Così finii col culo sul pavimento e con la testa che girava e rimbombava. Mi
rialzai barcollando senza attendere che mi si schiarisse la mente, perché la prima
regola del combattimento stabilisce che bisogna rimettersi in piedi il più
rapidamente possibile. Se fossi rimasta seduta sul pavimento, l’unica cosa che
avrei potuto fare sarebbe stata slogargli un ginocchio con un calcio. Invece
volevo avere qualche opzione in più. Così mi rialzai e lo fronteggiai, scattando
in guardia sulla punta dei piedi per muovermi agilmente.
Più veloce di quello che sembrava, Rickman partì subito con un altro
cazzotto. Questa volta parai con l’avambraccio; poi, facendo perno sui piedi,
spingendo con tutto il peso e ruotando il pugno come nel colpire il sacco,
replicai con un gancio destro al fianco. Mi comportai come mi era stato
insegnato in addestramento e, dato che Rickman mi aveva colpito con tutta la
sua forza, ricambiai il favore. Tuttavia erano trascorsi anni dall’ultima volta che
mi ero battuta con un semplice umano e avevo dimenticato di essere molto più
forte di un umano normale. Avevo dimenticato anche di essere portatrice sana di
numerose forme di licantropia e di essere metapsichicamente connessa ai
vampiri. Picchiai senza pensare ad altro che a picchiare bene, sentii le costole
cedere e udii una sorta di schianto soffocato. Subito dopo, un muro di agenti in
uniforme ci separò e ci spinse indietro.
Anche se mi aspettavo di udire gli insulti di Rickman, nessuno gridò. Tra gli
agenti riconobbi Bush, che mi teneva una mano sulla spalla e tentava di dividere
la propria attenzione tra me e i colleghi che aveva dietro. Nel vedere che sul lato
destro del suo viso erano fioriti alcuni lividi vistosi, ricordai di averlo steso col
calcio del Mossberg quando il vampiro lo aveva soggiogato, e per un attimo il
rammarico mi lasciò senza fiato, perché vi si associò uno di quei ridicoli pensieri
generati dal senso di colpa. Perché non avevo tentato di tramortire Ares?
Risposta: perché stronzate del genere non funzionano durante la metamorfosi,
anzi, possono soltanto peggiorare la situazione, perché si toglie di mezzo
l’umano e si lascia maggior controllo alla bestia.
Anche se razionalmente lo sapevo, il rammarico non ha nulla a che fare con
la razionalità, bensì soltanto con l’emozione, del tutto irrazionale. Così rimasi
isolata come all’interno di una piccola bolla, mentre Bush e altri agenti mi
trattenevano come se intendessi divincolarmi. Invece non mi sforzavo affatto di
aggredire di nuovo Rickman. Lo scontro era finito, per quanto mi riguardava. Se
ci eravamo battuti, era stato soltanto a causa dei sentimenti che provavo per
avere perduto Ares.
Maledetto bastardo figlio di puttana! Non ero così ingenua!
Bush mi sorrise. «Hai proprio una bella castagna, marshal Blake.»
«Ehi, eri completamente soggiogato dal vampiro. Dovevo pur fare qualcosa!»
«Non con me, col detective. Stanno dicendo che gli hai rotto una costola.»
«È soltanto una costola mobile, e le costole mobili guariscono molto più
facilmente.»
In quel momento si avvicinò un agente in borghese dalla nera chioma folta e
scompigliata. «Come va la mano, marshal?»
Aprii e chiusi più volte la mano destra senza sentire dolore. «Va benissimo.»
L’agente sorrise, evidenziando una fossetta su un lato della bella bocca.
Aveva anche begli occhi castani, non troppo scuri e non troppo chiari.
«Comunque avrà bisogno di ghiaccio sulla faccia.»
In effetti il cazzotto di Rickman mi aveva fatto male, però cominciai a
sentirlo soltanto nel momento in cui il detective che non conoscevo me ne parlò.
Se mi doleva tanto nonostante i miei poteri di guarigione, allora voleva dire che
Rickman aveva avuto intenzione di farmi molto male, quindi mi dispiacque
molto meno per la faccenda della costola.
«Sono il detective Robert MacAllister. Gli amici mi chiamano Bobby.»
Avrei voluto chiedergli se potessimo considerarci amici, ma avrei dato
l’impressione di essere ostile, oppure di voler flirtare, perciò accettai la
presentazione così com’era. «Lieta di conoscerti, detective Bobby. Io sono Anita
Blake», replicai automaticamente, guardando un gruppetto di sbirri a breve
distanza. Mi sentivo separata da tutto, lontana, quasi fluttuante. Cazzo, ero sotto
shock! Com’era possibile che fossi sotto shock per un misero cazzotto come
quello di Rickman?
Intanto Devil mi si affiancò, mi palpò gentilmente il viso e si girò a osservare
il livido. «Se continui a ordinarci di non partecipare ai combattimenti, tutte le
altre guardie del corpo inizieranno a prendersi gioco di noi.»
«Lo terrò a mente.»
«Sei appena stata dimessa dall’ospedale», aggiunse Nicky.
Mi girai a guardarlo. Il suo volto mezzo nascosto dal ciuffo era impassibile.
Avrebbe obbedito al mio ordine di non intervenire, qualunque cosa fosse
successa, anche se fosse stato costretto a limitarsi ad assistere mentre qualcuno
mi pestava selvaggiamente o cercava di ammazzarmi? Sarebbe stato
impossibilitato ad aiutarmi a causa del mio ordine esplicito? Non ne ero sicura, e
avrei dovuto tenerne conto prima d’impartire tale ordine.
Mi sentivo sfasata. Protesi la mano sinistra, e Nicky me la prese con la sua.
Di solito non tenevo per mano i miei amanti mentre erano in servizio come
bodyguard, ma in quel momento non potevo fare di meglio per scusarmi di
avergli impedito di fare il suo lavoro. Avrei dovuto esserne consapevole, eppure
non riuscivo a orientarmi, smarrita nel mio labirinto mentale, nonostante l’aiuto
della sua mano, calda e concreta nella mia. Quando lui sorrise, bastò a rendermi
felice di tenergli la mano, seppure in presenza degli sbirri.
«Ehi, Nicky», disse Bush. «Marshal Blake vi permette mai di proteggerla?»
Nicky gli sorrise. «Una volta ogni tanto.»
«No», corresse Devil. «Di solito è lei a proteggere noi.»
Interpretando la frase come una battuta, Bush si girò verso di lui, e sul suo
volto vide qualcosa che gli fece corrugare la fronte. Forse fu in procinto di
chiedergli se avesse scherzato, ma all’arrivo di qualcuno dietro di me scattò
sull’attenti, o meglio la versione da sbirro dello scattare sull’attenti.
All’improvviso MacAllister si fece serio e gli altri agenti si scostarono come
se fossimo diventati tutti contagiosi. Alle mie spalle c’era un loro superiore e,
anche se i poliziotti non avevano autorità su di me, ero pur sempre in una
stazione di polizia, la qual cosa significava che…
«Marshal Blake… Detective Rickman… Ho bisogno di parlarvi. Vi aspetto
tutti e due nel mio ufficio.»
Serio in viso, MacAllister si curvò a sussurrarmi: «Convocata nell’ufficio del
capitano la prima volta che metti piede qui dentro… Non hai perso tempo!»
«È normale per me», replicai prima di girarmi con espressione professionale,
sebbene con una mano sulla guancia, dove mi stava fiorendo un bel livido.
Avevo permesso a Rickman di picchiarmi per evitare isterismi collettivi a
proposito della licantropia di Devil e di Nicky, perché nulla può smontare le
accuse come un comportamento da bullo, per niente professionale. Be’, aveva
funzionato. Avevo un livido che destava simpatia e intendevo sfruttarlo per
scoprire se potesse assolvere a più di una funzione, nel caso in cui il capitano
fosse turbato dal fatto che avevo rotto una costola a uno dei suoi detective.
41

l capitano Jonas era un afroamericano grande e grosso che probabilmente

I aveva giocato a football alle superiori, o forse all’università, ma col lavoro


d’ufficio si era talmente arrotondato che mi domandavo se avrebbe
superato la visita d’idoneità per agenti di pattuglia. Seduto alla scrivania,
fissava con ira tutti noi, e il «noi» non includeva Rickman, in viaggio verso
l’ospedale. «Noi» eravamo i marshal federali, cioè Susan Hatfield, Edward e la
sottoscritta. A quanto pareva, il cattivo comportamento che aveva motivato la
mia convocazione nell’ufficio del capitano aveva ravvivato la bellicosità di
Hatfield, che ne approfittava per cercare ancora una volta di farmi estromettere
dall’indagine.
Hatfield era alta poco meno di un metro e settanta, cioè quasi quanto Edward.
Mentre questi guadagnava circa cinque centimetri con gli stivali da cowboy e
sembrava più alto, lei sembrava più bassa perché portava, come me, stivali a
tacco basso. Aveva capelli castani, con cupi riflessi rossi che scintillavano
mentre scuoteva la testa e gesticolava, e li portava raccolti in una corta coda di
cavallo. Era magra, ma di una magrezza che derivava dalla genetica e
dall’esercizio fisico, non da una dieta estrema. Aveva viso triangolare, seno
piccolo, fianchi quasi maschili, muscoli lunghi e snelli che guizzavano sugli
avambracci scoperti. Era una di quelle donne che riescono ad avere un aspetto
delicato e femminile senza essere piene di curve. Il suo mento era troppo aguzzo
per i miei gusti, ma non volevo mica uscire con lei, semplicemente osservavo
certi particolari mentre mi sorbivo il suo sproloquio. In sostanza mi accusava di
essere troppo amica dei mostri per poter compiere scelte assennate, e io non
ascoltavo perché erano tutte cose che avevo già sentito un sacco di volte, tanto
da cominciare a esserne un po’ stufa. Così me ne stavo là a sopportare la sua
voce come se fosse brusio di sottofondo.
«Anita! Il capitano sta parlando con te.»
La voce di Edward mi fece trasalire, costringendomi a prestare ascolto alla
conversazione. Lo guardai, in piedi accanto a Hatfield, poi mi girai verso Jonas,
seduto alla scrivania. «Mi scusi, signore. Non ho sentito quello che ha detto.»
«La stiamo annoiando, Blake?»
«È una musica che ho già sentito, signore.»
Allora Edward intervenne con una magistrale interpretazione del buon
vecchio Ted Forrester: «Sul viso di Anita si sta formando un grosso livido.
Credo che il cazzotto di Rickman abbia dato una bella scrollata alle sue
campane».
«La sta giustificando?» ribatté Jonas.
«No, signore. Mi limito a ricordare che è stata appena dimessa dall’ospedale
e che, pure se guarisce come una figlia di puttana, la guarigione non è perfetta e
neppure istantanea. Mi chiedo semplicemente se sia ferita più gravemente di
quanto sembri.»
Per un lungo momento Jonas lo scrutò a occhi socchiusi, quindi si volse a
me. «È ferita, Blake?»
«Mi duole il viso», risposi, con voce tanto vuota di emozione quanto quella
di Hatfield ne era stracolma.
«Da qui non riesco a vedere il livido. Si giri, in modo che io possa vederlo.»
Mi voltai a mostrargli il lato destro del viso, dove un dolore pulsante si stava
trasformando nell’inizio di un gran bel mal di testa, e così mi trovai a guardare
Hatfield, che mi fissava ferocemente.
Il capitano spinse all’indietro la sedia. «Si sta gonfiando molto per essere
semplicemente un livido.» Girò intorno alla scrivania per osservare meglio,
s’imbronciò e corrugò la fronte. «Ricky l’ha colpita sullo zigomo. Pensa che
l’abbia rotto?»
«Non l’ho sentito spezzarsi.»
«Fa molto male?»
«Non abbastanza per essere rotto, credo.»
«Ha mai avuto qualche frattura?»
«Sì, signore.»
«Quindi sa cosa si prova…»
«Sì, signore, lo so.»
Il capitano sospirò profondamente. «Deve almeno applicare il ghiaccio prima
che si gonfi sino all’occhio. Non posso lasciarla uscire col viso maledettamente
pesto.» Si recò alla porta, l’aprì e gridò: «Serve una borsa del ghiaccio avvolta in
un asciugamano!» Poi richiuse la porta e tornò alla scrivania. Coi gomiti
appoggiati sull’addome, perché era troppo grasso per appoggiarli sui braccioli,
unì la punta delle dita in quello che sembrava un gesto abituale da prima che
ingrassasse, e ci scrutò. «Marshal Hatfield ha un mandato di esecuzione per
questi vampiri e vuole che lei e marshal Forrester badiate agli affaracci vostri.»
Annuii. «Così ho sentito dire.»
«Tecnicamente non siete miei sottoposti, dato che siete agenti federali, però
avete bisogno del sostegno della polizia locale e qui la sterminatrice è Hatfield.
La conosco bene. Perché dovrei accordare a voi due la minima considerazione?»
«Se fosse necessario semplicemente uccidere i vampiri, andrebbe
benissimo», risposi. «Basterebbe attendere l’alba, incatenarli a una lettiga con
l’aggiunta di qualche oggetto sacro e impalare i loro culi. Invece vogliamo
ottenere informazioni da loro, e per questo abbiamo bisogno che rimangano in
vita.»
«Non sono vivi!» protestò Hatfield, concentrando troppa emozione in quella
frase. Odiava fanaticamente i vampiri. Era come avere arruolato in polizia un
membro del Ku Klux Klan e avergli concesso licenza di uccidere qualunque
appartenente a un gruppo razziale di sua scelta, e poteva diventare altrettanto
cattiva.
«Legalmente lo sono», ricordò Edward, in tono cordiale, quasi scherzoso, da
Ted.
Hatfield si girò verso di lui, puntando un dito accusatore. «Naturalmente
difendi Blake, visto che vai a letto con lei!»
«Hatfield!» ammonì Jonas, con voce tagliente.
Quando lei si girò verso il capitano, l’incertezza sotto la sua collera risultò
evidente a tutti noi.
«Davvero?» replicò Edward. «Sto difendendo la legge, non marshal Blake.
Legalmente i vampiri in arresto hanno i loro diritti, come qualunque altro
cittadino.»
«L’unica cosa che mi ha impedito di ucciderli stanotte è la legge che lei ha
contribuito a creare.» Hatfield puntò il dito contro di me, senza guardarmi.
Resistetti all’impulso di afferrare l’indice puntato contro la mia faccia e
spezzarlo, mentre lei rimaneva girata verso Edward. «E dopo che avrai
ammazzato i due vampiri, Hatfield?»
Finalmente lei si degnò di guardarmi. «Dopo avremo due vampiri in meno in
giro per la regione.»
«Quindi t’interessa più ammazzare i vampiri che risolvere i casi…»
«Quando saranno morti, il caso sarà risolto», dichiarò Hatfield.
Guardai Jonas. «I due vampiri in arresto sono gli escursionisti scomparsi
circa un mese fa, o almeno così mi hanno riferito le autorità locali, e io sono qui,
adesso, per leggere i loro fascicoli. È vero che erano scomparsi da circa un
mese?»
«All’incirca», confermò Jonas.
«Allora chi li ha trasformati in vampiri? Chi ha creato i vampiri putrescenti
che abbiamo ucciso nel bosco?»
«Il bastardo che governa i succhiasangue di questa città li ha creati!»
intervenne Hatfield, con voce stridula, quasi gridando.
«Erano vampiri putrescenti, quindi non possono essere stati creati dal vostro
Master della Città, perché non è un vampiro putrescente.»
«Sono tutti cadaveri ambulanti, Blake. Alla fine marciscono tutti.»
«Alla fine marciremo tutti», replicai.
«Fredrico ha assicurato di non conoscere affatto i vampiri nel bosco», riferì
Jonas.
«Certo! Cos’altro avrebbe potuto dire?» ribatté Hatfield. «Che i suoi
succhiasangue sono andati in giro a massacrare la gente dopo che lui ne ha perso
il controllo?»
«Sono scomparse intere famiglie», ricordai. «I vampiri non trasformano
intere famiglie. È illegale vampirizzare i bambini.»
«Ho ucciso vampiri ragazzini», assicurò Hatfield.
«Quanti?» chiesi.
Hatfield esitò, poi rispose: «Due…»
«Però erano più vecchi di quello che sembravano, vero?»
«E allora?»
«Sembravano ragazzini, però non lo erano.»
«Erano ragazzini», insistette Hatfield, sicurissima.
«Hai parlato con loro?»
«Parlato con loro?! Chi parla coi vampiri? Oh, aspetta un momento… Tu ci
parli! E ci fai maledettamente molto di più che parlarci e basta!»
«Hai mai parlato con qualche vampiro prima di ucciderlo?» chiese Edward.
Hatfield rispose senza sostenere del tutto il suo sguardo. «No, non parlano
granché durante il giorno…»
«Hai mai eseguito un mandato attivo?»
«Ogni mandato, una volta eseguito, è classificato come attivo.»
«Hai mai partecipato a una caccia al vampiro?» intervenni.
In silenzio, Hatfield ci fissò rabbiosamente.
«Hai ucciso soltanto vampiri all’obitorio?» domandai.
«No, ho seguito le tracce dei succhiasangue fino alle loro tane, ho ammazzato
i loro culi nelle bare e nei sacchi a pelo. Sono stata fortunata e li ho trovati quasi
sempre di giorno, quindi non c’è stato granché modo di parlare. E poi non hanno
paura di me. Non sono la Sterminatrice.»
Scambiai un’occhiata con Edward. Anche se non era esattamente una
novellina, Hatfield non era una di noi.
Forse le nostre espressioni ci tradirono, perché lei aggiunse subito: «Sono una
sterminatrice di vampiri legalmente autorizzata e faccio il mio lavoro.
Semplicemente, non sono la Sterminatrice. I vampiri non mi hanno ancora
affibbiato un vezzeggiativo carino».
«Non ne attribuiscono a tutti i marshal», osservò Edward.
«Lo so… Morte.»
Per un attimo pensai che Hatfield sapesse che Ted era Edward, perché lui era
chiamato Morte da quando io ero chiamata Sterminatrice, cioè prima di
diventare marshal e prima che innamorarsi di Donna lo avesse un po’
addomesticato. I vampiri lo avevano soprannominato Morte prima come
assassino e cacciatore di taglie, poi come cacciatore di taglie e marshal. Per loro
era comodo riciclare un soprannome.
Mi sforzai di rimanere impassibile mentre Edward replicava con la voce
strascicata di Ted al suo meglio: «Se sai che sono uno dei Quattro cavalieri,
allora sai pure che Anita si è guadagnata altri due soprannomi tra i vampiri…»
«So che ha due vezzeggiativi», ammise Hatfield.
«Io no», intervenne Jonas. «Illuminatemi.»
Entrambi fissammo Hatfield, che per qualche momento ci fissò a sua volta,
furente, infine si rivolse a Jonas e disse: «Forrester è Morte. Blake è Guerra».
«Chi sono gli altri due cavalieri?»
«Otto Jeffries è Pestilenza. Bernardo Cavallo-Pezzato è Carestia.»
«Ho incontrato Cavallo-Pezzato e conosco Jeffries di fama. Sono entrambi ex
militari. Lo è anche lei, vero, Forrester?» chiese Jonas.
«Sì, signore.»
«Allora perché Blake è Guerra? Non è mai stata nelle forze armate.»
«Ha ucciso più di me», spiegò Edward. «I vampiri considerano Morte chi
uccide singoli individui e Guerra chi stermina interi gruppi.»
«L’ha chiesto ai vampiri?» domandò Jonas.
«Sì.»
«Perché non Jeffries o Cavallo-Pezzato?»
«Ha conosciuto personalmente Bernardo, vero?» chiesi.
«L’ho conosciuto anch’io», intervenne Hatfield. «Non sembrava che
incutesse tanta paura.»
«Lui è Carestia», ricordò Edward.
«Non capisco», ammise Hatfield.
«I vampiri hanno detto che Bernardo sembra ottimo cibo, però nessuno lo ha
mai assaggiato, quindi li lascia sempre affamati.»
Hatfield corrugò la fronte.
Jonas ci pensò, poi scoppiò a ridere. «È gustoso come cibo… Ho capito!»
«Cibo pericoloso», precisò Edward. «È il quinto nella graduatoria dei
marshal che hanno il maggior numero di esecuzioni all’attivo.»
«Ho incontrato Jeffries una volta», intervenne di nuovo Hatfield. «Aveva uno
strano modo di guardare le donne quando credeva che nessuno lo osservasse,
come se fossero tagli di carne, ed è stato prima che fosse contagiato dalla
licantropia sul lavoro.» Rabbrividì, curvando un po’ le spalle; poi parve
rendersene conto e si raddrizzò di scatto.
Apprendere che Hatfield aveva notato quella peculiarità aumentò la
considerazione che avevo per lei. Conoscevo Otto Jeffries come Olaf. Il suo
passatempo era l’omicidio seriale. Non uccideva mai negli Stati Uniti, e mai
mentre lavorava per il governo, quindi finché gli erano assegnati incarichi da
svolgere non era «pericoloso». I militari lo tenevano impegnato, e da quand’era
marshal federale era impegnato ancora di più. L’appartenenza alla squadra
soprannaturale dell’agenzia dei marshal gli permetteva di soddisfare i propri
impulsi torturando e uccidendo vampiri e licantropi. Nessuna regola stabilisce
come si deve uccidere e quanto tempo si deve impiegare a eseguire il mandato,
purché alla fine il mostro sia ucciso. Olaf era uno degli individui più spaventosi
che avessi mai incontrato, vivi o non morti, dunque era in cima a un elenco
impressionante. Hatfield aveva ragione. Incuteva terrore da prima di essere
risultato positivo alla licantropia e di essere diventato un leone mannaro. Dopo
avere avuto gli esiti degli esami del sangue era scomparso, per ricomparire pochi
mesi dopo. Se aveva commesso qualcosa di orrendo nell’imparare a controllare
la bestia, le autorità umane non ne erano a conoscenza. Informandosi all’interno
della comunità soprannaturale, Micah aveva appreso che Olaf sembrava recitare
la parte del leone nomade. Si teneva alla larga da tutti i gruppi. Nessuno
sembrava sapere dove fosse andato per imparare a controllarsi. Io mi chiedevo se
si fosse semplicemente isolato e se la sua natura di serial killer fosse così affine
alla sua bestia interiore da avergli consentito d’imparare a controllare l’una e
l’altra. Mi aveva considerata la propria fidanzatina serial killer perché avevamo
ammazzato insieme. Di conseguenza lo avevo evitato prima che imparasse a
diventare peloso, e adesso era lui a evitarmi con lo stesso impegno. Olaf aveva
conosciuto Nicky prima che questi diventasse mio sposo, e aveva paura di fare la
sua stessa fine. Be’, qualunque cosa lo tenesse alla larga da me mi stava
benissimo!
«Non ho più visto Otto da quand’è stato contagiato dalla licantropia»,
dichiarai.
«Sei una scopapelosi… Perché ti disturba che sia diventato una bestia
mannara?» chiese Hatfield.
Mi girai a scrutarla. «Come mi hai chiamata?»
«Non vorrai negare di essere andata a letto anche con Jeffries?»
«Non sono mai andata a letto con lui. In ogni modo, ho imparato due cose…
La prima è che è impossibile dimostrare una negazione, cioè dimostrare di non
aver fatto qualcosa. La seconda è che una donna che va a letto con più di un
uomo è accusata di andare a letto con tutti, o quasi. Comunque, torniamo a come
mi hai chiamata, cioè scopapelosi…»
«Non conosco questo termine», disse Jonas. «Quindi, prima che io
rimproveri qualcuno per averlo usato, spiegatemene il significato.»
«È una persona che si scopa i licantropi», spiegò Hatfield.
«No, non è vero», corressi. «È una persona che si scopa qualunque licantropo
semplicemente perché è tale. È come la fanatica del distintivo, che si scopa
qualsiasi sbirro.»
«Hatfield, questo mi sembra un grave insulto a una collega», dichiarò Jonas.
«Ho sentito dire che convivi con Mike, il figlio dello sceriffo Callahan, e con
un altro leopardo mannaro del suo gruppo. È vero?»
«Sì.»
«I due biondi che hai portato con te stanotte… Sono licantropi come ha detto
Rickman, vero?»
«Sì.»
«Vai a letto anche con loro?»
Respirai per qualche istante molto lentamente e molto profondamente prima
di rispondere. «Sì.»
«E siamo a quattro licantropi.»
«Non ho mai negato di frequentare i licantropi.»
«Ti fai anche il qui presente Forrester, vero?»
Guardai Edward. «Servirà a qualcosa negarlo?»
«Se vuole crederci, lo crederà comunque», disse Edward, con una voce che
cominciava a perdere la cordialità di Ted e diventava più fredda, più
inespressiva. Il vero Edward stava cominciando a trapelare.
«Ho saputo che il tuo Master della Città è volato al tuo fianco, quindi ti scopi
anche lui.»
«Sai una cosa, Hatfield? Volevo cercare di fare in modo che tu mi piacessi,
ma non credo di volermici più impegnare granché. Odiamoci a vicenda e
facciamola finita.»
«Sei una scopapelosi carne da bara, e aiuti Forrester a tradire la fidanzata, che
ha due figli. Non mi sei mai piaciuta, non mi piaci e non mi piacerai mai,
Blake.»
«Hatfield!» redarguì Jonas, con voce tagliente.
«Se davvero mi faccio il qui presente Ted, allora perché a Donna, la sua
fidanzata, sta bene che io sia invitata al matrimonio? Ha invitato anche uno dei
miei amanti pelosi. So che sono invitati anche alcuni colleghi. Forse quando loro
mi vedranno all’altare con Donna e con Ted queste stupide dicerie finiranno.»
Per un attimo Hatfield rimase a bocca aperta. La richiuse, poi purtroppo la
riaprì. «Se questo è vero, mi scuserò dopo il matrimonio.»
«Benissimo. E qual è la relazione più duratura che hai mai avuto?»
«Non capisco come questo possa essere affar tuo.»
«M’insulti, t’intrometti nella mia vita privata, ne sparli in mia presenza,
diffondi dicerie sul conto mio e di marshal Forrester… poi ti offendi se ti pongo
una semplicissima domanda?»
Senza replicare, Hatfield s’incupì di nuovo. Le rughe intorno alla sua bocca
rivelavano che era più spesso imbronciata che sorridente. Le rughe da sorriso
suscitano simpatia, quelle da corruccio invecchiano. Se non fosse stata attenta,
Hatfield sarebbe invecchiata precocemente.
«Blake continua a essere cortese dopo tutto quello che hai detto di lei,
Susan», commentò Jonas.
Hatfield s’incupì ancora di più, però finalmente rispose: «Tre anni. Sono stata
sposata per tre anni».
«Okay. Io, Micah Callahan e Nathaniel conviviamo da tre anni, e io frequento
Jean-Claude, il mio Master della Città, da quasi sette anni. I biondi, come li
chiami tu, sono con me da più di un anno.»
«Non è la stessa cosa che essere sposati.»
«Non è colpa mia se sposare più uomini non è legale. Sarebbe come dire che
una coppia gay non ha un rapporto così serio come quello di una coppia etero
perché la coppia etero è sposata, e al tempo stesso si rende impossibile il
matrimonio alla coppia gay.»
«Stai dicendo che li sposeresti tutti quanti?» Hatfield si accertò che il
disprezzo nella sua voce non mi sfuggisse.
«Non tutti. Alcuni però sì.»
«Molti?»
«Dobbiamo ancora decidere chi sposerà chi.»
«Stai dicendo che sei davvero fidanzata col figlio di Callahan?»
«Qualcosa del genere, sì…»
«Vorresti forse farmi credere che non lo avete annunciato soltanto perché lo
sceriffo possa morire sapendo che suo figlio non è gay?»
Scoppiai a ridere. Mi fu impossibile trattenermi. Ovviamente Hatfield non
sapeva nulla dell’accordo familiare dello sceriffo.
«Che c’è di tanto divertente?»
«Hatfield, sarai anche la nostra sterminatrice di vampiri, però non sei qui da
molto», intervenne Jonas. «Non conosci ancora tanto bene tutti i colleghi della
polizia.»
Hatfield guardò lui, poi me, poi Edward, poi di nuovo Jonas. Capì di avere
toccato un tasto delicato senza sapere esattamente cosa fosse.
Io non avevo nessuna intenzione d’illuminarla in proposito. Non ero sicura
che Edward sapesse della vita amorosa del papà di Micah, però nessun umano
vivente era più bravo di lui nel fare la faccia da poker, quindi ebbi l’impressione
che l’unica persona presente nell’ufficio a non sapere che lo sceriffo Callahan
conviveva con un uomo e con una donna fosse proprio la stessa Hatfield, la
quale decise di ritornare a un argomento di cui si sentiva certa.
«Questo è il mio mandato e non ho bisogno di essere spalleggiata da
Forrester né da Blake», dichiarò. «Si tratta semplicemente di giustiziare due
vampiri.»
«C’erano più di due vampiri nel bosco», ricordai.
«Li hai visti morire, Blake. Stando a quanto ho sentito, ne hai fatto fuori
qualcuno con quell’arsenale che ti porti dietro.»
Mi rivolsi a Edward. «Ti prego, dimmi che qualcuno ha bruciato i resti dei
vampiri putrescenti che abbiamo spedito all’inferno con le armi da fuoco…»
«Chiedi a Hatfield. Quando sono arrivato qui, era lei responsabile per i
marshal.» La voce allegra di Ted tradì quasi impercettibilmente la voce gelida di
Edward. Neanche lui aveva simpatia per Hatfield.
«Erano tutti decapitati, o col cuore spappolato, o con la spina dorsale
spezzata», dichiarò Hatfield. «Erano abbastanza morti.»
«Sai cos’è successo ad Atlanta quando il Master della Città è impazzito?»
domandai.
«Sì, lo so. I poliziotti hanno usato i lanciafiamme nella tana dei vampiri,
distruggendo quasi completamente le prove. Ancora non è stato possibile
identificare i resti di tutte le vittime. La polizia locale dice che sei stata proprio
tu a insistere affinché usassero il fuoco. È stata un’esagerazione, una stronzata.»
«Il fuoco è l’unico mezzo sicuro per annientare i vampiri putrescenti»,
spiegai.
«Ad Atlanta ci sono familiari che a causa del tuo suggerimento sono ancora
in attesa di notizie sui loro cari.»
«Anita ha ragione», intervenne Edward, con voce decisamente gelida. «Il
fuoco è l’unico mezzo per garantire che i vampiri putrescenti non guariscano e
non si ricompongano. Assicuraci che avete bruciato i loro cadaveri, Hatfield.»
Lei scosse il capo. «Dopo la decapitazione si muovevano soltanto gli
zombie…»
«Esattamente», dissi. «E i vampiri putrescenti sono molto simili agli zombie.
Lo sono più di tutti gli altri vampiri.»
«Può darsi che il fuoco sia stato necessario col Master di Atlanta, che però
era appunto un vampiro master. I master sono più difficili da uccidere. Questi
erano tutti trasformati da poco, vero?»
«Se sono trasformati da poco, sono più facili da uccidere», ammisi. «Ma, per
essere sicura, io brucio sempre e comunque tutti i vampiri putrescenti, e talvolta
faccio anche il resto, cioè spargo le ceneri di ciascuno in corsi d’acqua diversi.»
«Adesso stai soltanto cercando di spaventarmi», disse Hatfield.
«Quando viaggio in auto, ho sempre un lanciafiamme con me», intervenne
Edward. «Talvolta mi è permesso portarlo anche in aereo, se garantisco che non
contiene miscela combustibile.»
Hatfield annuì. «Ho sentito che ti piace il fuoco, Forrester. Bagnavi il letto ed
eri il terrore dei gatti del vicinato?»
Edward ignorò l’insulto. «Capitano, dove sono stati trasferiti i cadaveri
raccolti nel bosco?»
«L’obitorio dell’ospedale ha un reparto speciale per i vamp e per i licantropi
non morti.»
«È blindato, in modo che non possano uscire?» chiesi.
«No, è semplicemente isolato, in modo che i cadaveri umani non possano
essere… contaminati.» Jonas pronunciò l’ultima parola in un tono che sembrò di
scusa.
«A quanto ne so, i morti normali restano morti anche se li si mescola coi
cadaveri di vampiri e di licantropi. Comunque, ci sta dicendo che tutti i cadaveri
raccolti nel bosco sono adesso in obitorio, nel seminterrato dell’ospedale in cui
si trovano Micah, Nathaniel e lo sceriffo Callahan?»
Mancavano non più di due ore all’alba, gli incidenti automobilistici potevano
capitare e non c’erano speranze per i vampiri contro la luce solare, quindi Jean-
Claude e gli altri vampiri erano già andati in albergo. Insomma, lui era al sicuro.
D’altronde, questo significava che alcuni dei nostri bodyguard più pericolosi
erano con lui e non in ospedale. Merda!
«Sì», confermò Jonas. «Ditemi, è vero che queste cose possono guarire
abbastanza da aggredire di nuovo le persone?»
«I vampiri putrescenti sono molto rari, ma io mi sento sicura esclusivamente
se li brucio, come faccio con gli zombie», dichiarai.
«Sono d’accordo», approvò Edward.
«Avete bruciato tutti gli zombie smembrati che avete trovato nel bosco, vero,
Hatfield?» domandai.
«Non abbiamo potuto bruciarli nel bosco. Il rischio di provocare un incendio
sarebbe stato troppo elevato.»
«Cosa ne avete fatto?»
«All’alba hanno smesso di muoversi.»
Anche se avrei voluto afferrarla e scrollarla con violenza, mi costrinsi a
rimanere calma, stringendo i pugni e conficcandomi le unghie nei palmi per
trattenermi. Scandendo bene le parole, insistetti: «Cosa ne avete fatto degli
zombie smembrati?»
«Sono in obitorio, coi cadaveri dei vampiri.»
«Merda!»
«È notte da ore, Blake», osservò Hatfield. «Se qualcosa fosse andato storto,
ormai lo sapremmo.»
«Chiami l’obitorio», chiesi a Jonas. «Se dicono che va tutto a meraviglia,
allora io e Ted ci stiamo sbagliando.»
Il capitano chiamò, perché chiamare non gli costava nulla.
Non avevo mai incontrato vampiri putrescenti non morti da così poco tempo,
quindi era possibile che sviluppassero i superpoteri di guarigione soltanto dopo
qualche anno. Magari poche settimane non erano abbastanza perché diventassero
tanto spaventosi…
Il telefono squillò a lungo.
Io cominciai a diventare nervosa, mentre Jonas sembrava preoccupato.
«Visto?» riprese Hatfield. «Voi due fate questo lavoro da troppo tempo. Siete
diventati paranoici.»
«Merda!» imprecò Jonas, attirando i nostri sguardi. «All’obitorio non
risponde nessuno.» Tornò a parlare al telefono: «No, non voglio che mandiate
qualcuno a controllare. Voglio che il personale dell’ospedale non si avvicini
all’obitorio fino a quando non avrò mandato qualche agente a verificare». Alla
replica dell’interlocutore, il capitano ribadì che nessuno del personale doveva
scendere all’obitorio. Quando gliene fu chiesto il motivo, rifiutò di rispondere,
perché non voleva spaventare a morte l’intero ospedale, nell’eventualità che si
trattasse semplicemente di un guasto alla linea telefonica anziché di vampiri e di
zombie assassini.
Comunque, non avevamo tempo per tutte quelle chiacchiere. Composi il
numero di Micah al cellulare, e mi rispose la segreteria telefonica. Per impedire a
me stessa d’immaginare altri motivi per cui non rispondeva, pensai che senza
dubbio aveva spento la suoneria perché era col padre. Chiamai allora Nathaniel,
pregando che rispondesse. Non appena rispose, mi balzò il cuore in gola, tanto
che mi sentii soffocare e domandai con voce roca: «Nathaniel! Tutto bene là?»
«Il padre di Micah smania nel sonno come se avesse un incubo. L’infermiera
dice che così imbottito di droghe non dovrebbe neanche muoversi.»
«Sta dicendo qualcosa?»
«No, si agita e basta, come se avesse un incubo da cui non possiamo
svegliarlo. Micah e i suoi genitori sono con lui adesso. Perché mi chiedi se ha
detto qualcosa?»
«Dopo essere stato morso e infettato dalla malattia putrescente, Ares è stato
posseduto. Mi sto chiedendo se possa accadere lo stesso anche agli umani.»
«Se fosse così, il padre di Micah si sarebbe già comportato in modo strano da
un po’, non credi?»
«Probabilmente sono paranoica. Conosci qualcuno degli sbirri in corridoio?
Tra loro c’è qualcuno che ho conosciuto e che non mi odia?»
«Hai altri guai con la polizia?»
«Più o meno. Comunque ho davvero bisogno di parlare subito con un agente
di polizia lì presente, se possibile.»
«Anita, qualcosa non va?»
Avevo un tale groppo in gola che fui costretta a deglutire prima di poter
rispondere. «Hanno trasportato i cadaveri dei vampiri e gli zombie smembrati
nell’obitorio dell’ospedale.»
«Non li hanno bruciati?» Ecco il mio fidanzato! Nathaniel ne sapeva più di
Hatfield.
«No.»
«Perché?»
«Per non rischiare d’incendiare il bosco. Dopo, non lo so. C’è qualcuno che
conosco in corridoio?»
«Il vicesceriffo Al.»
«Passamelo.»
«Ti amo e, più tardi mi spiegherai tutto.»
«Ti amo anch’io, e sì, ti spiegherò tutto.»
Senza aggiungere altro, Nathaniel fece quello che gli avevo chiesto. Lo
amavo, ma in quel momento lo amai ancora di più. Sentii la sua voce in
lontananza: «È Anita. Ha bisogno di parlare con te».
«Ciao, Anita! Che succede? Il tuo ragazzo, qui, mi sembra molto serio.»
Quando gli ebbi spiegato ogni cosa a proposito dei cadaveri di vampiri e degli
zombie smembrati, il vicesceriffo Al disse: «Bruciare qualsiasi cosa nel bosco è
troppo pericoloso a causa del rischio d’incendio».
«Lo capisco, Al, ma… Il capitano Jonas non riesce a comunicare
telefonicamente con l’obitorio. Sta cercando di ottenere dall’amministrazione
dell’ospedale il permesso di mandare qualcuno a controllare senza che si scateni
il panico. Be’, a me non importa. Voglio soltanto che qualcuno di cui mi fido
vada ad assicurarsi che i vampiri morti siano rimasti morti. Non sono sicura che
gli zombie smembrati possano muoversi. Quelli che mi preoccupano di più sono
i vampiri putrescenti.»
«Li abbiamo spediti all’inferno col cervello e col cuore spappolati e con la
spina dorsale frantumata, Anita. È così che si ammazzano i vamp, secondo
quello che dite voi marshal.»
«È vero, ma i vampiri putrescenti sono diversi da tutti gli altri, sono molto
più difficili da uccidere. Il fuoco è l’unico mezzo sicuro. E poi conviene spargere
le ceneri di ciascuno in corsi d’acqua diversi.»
«Davvero?» Il tono di Al era scettico.
«Se sbaglio, sbaglio. Ma, se c’è anche soltanto la più remota possibilità che
io abbia ragione, allora è da un po’ che i vampiri se ne stanno andando in giro,
laggiù. Non ho idea di quanto impieghino a guarire dai danni che abbiamo
inflitto loro, ma, se ne hanno la capacità, ormai sono in grado di camminare.»
«Adesso mi stai spaventando…»
«Bene, devi essere spaventato.»
«Merda! Okay, scendo laggiù con un paio di miei agenti e vado a controllare
con le guardie della sicurezza, così scopriremo se l’obitorio è pieno di gente
morta, o non tanto morta.»
«Grazie, Al. Fa’ attenzione.»
«Sempre. Ti ripasso Nathaniel.»
«Ho sentito abbastanza», dichiarò Nathaniel. «Dunque credi che abbiano
ammazzato tutti quelli che erano in obitorio…»
«È possibile, e preferisco essere paranoica e sbagliare, piuttosto che razionale
e sbagliare davvero. Siate prudenti, tu e Micah. Quali bodyguard avete con voi?»
Si sentì bussare alla porta e finalmente arrivò un agente in uniforme con una
borsa del ghiaccio avvolta in un asciugamano. L’accettai, visto che si erano dati
tanto disturbo, però avevo completamente dimenticato il dolore al viso. La presi
e me la posai sul volto con la mano destra, perché avevo il telefono nella sinistra.
«Bram e Socrate», rispose Nathaniel. «Micah ha mandato a casa tutti gli altri
a dormire un po’.»
«Merda!»
«Che c’è?»
«Niente. Sarebbe stato meglio che ci fossero più di due persone con voi.»
Mostrandomi le chiavi dell’auto, Edward inarcò le sopracciglia.
Salutai Nathaniel. Poi io e Edward ci avviammo alla porta.
«Non ho finito con lei, Blake», mi gridò dietro Jonas.
«Mi chiami più tardi, e mi sgridi pure, se sbaglio a proposito dell’obitorio. Se
invece ho ragione, non c’è tempo di aspettare.»
«Stanno mandando giù le guardie della sicurezza a controllare», riferì Jonas.
Mi fermai, con una mano sulla maniglia della porta. «Quali armi hanno?»
Il capitano s’informò al telefono. «Non lo sanno. Dicono che sono pistole
nere. È utile?»
«Merda! Qualcuno che non conosce le armi ha mandato le guardie della
sicurezza in obitorio? Hanno idea di cosa devono affrontare?»
«Non devono affrontare niente», intervenne Hatfield. «Ho fatto il mio
lavoro.»
«Spero davvero che tu abbia ragione, Hatfield.»
«Con tutto il rispetto, capitano, le suggerisco di parlare personalmente con
qualcuno della sicurezza», disse Edward. «Li avverta, altrimenti diventeranno
altri cadaveri.»
Interrotta la comunicazione, Jonas compose un altro numero. «Conosco un ex
sbirro alla sicurezza. Chiamo lui.»
Aprii la porta. «Bene!» Non ero sicura che Jonas avesse sentito, ma di sicuro
non me ne fregava niente.
Attraverso la porta aperta, Hatfield ci gridò dietro: «Non c’è niente che non
vada all’ospedale! Ho fatto quello che bisognava fare, cazzo!»
Ignorandola, io e Edward ci recammo subito in ospedale con Devil e con
Nicky. Se avessi sbagliato, saremmo scesi laggiù a fare la figura degli imbecilli.
Se invece avessi avuto ragione, avremmo trovato gente morta o moribonda. Se
avessi avuto ragione, Micah e Nathaniel si sarebbero trovati a pochi piani di
distanza da una dozzina di vampiri cattivi e da un intero branco di zombie
smembrati che avrebbero fatto del loro meglio per fare a pezzi tutte le persone
che avessero incontrato. Oddio, speravo proprio di sbagliare!
42

a porta a vetri dell’obitorio era chiusa a chiave e bloccata da un manico

L di ascia infilato nelle maniglie. All’interno gli zombie stavano


divorando i resti di due inservienti e della guardia di sicurezza che
qualche genio aveva inviato laggiù senza appoggio dopo la chiamata di
Jonas. Al era arrivato quando ormai era tutto finito, a parte il
divoramento.
Io mi ero preoccupata più dei vampiri che degli zombie. Non avevo mai
neppure sentito dire che gli zombie smembrati a colpi di arma da fuoco
potessero ricomporsi autonomamente. Comunque non dovevamo occuparci dei
vampiri perché, secondo Al e i suoi agenti, gli zombie stavano divorando anche
loro.
Con noi c’erano altre due guardie di sicurezza dell’ospedale, Macintosh e
Miller. Sulla quarantina, tarchiato, con un taglio di capelli equivalente a un
cartello che annunciasse EX MILITARE, Macintosh si era presentato dicendo:
«Chiamatemi Mac». Invece Miller era un ragazzo sulla ventina, snello, capelli
scuri, occhiali. Aveva già vomitato in corridoio, dove lo avevamo fatto
allontanare non appena ci eravamo accorti che si sentiva male. Vomitare in un
bosco o in un cimitero, o comunque all’aperto, sarebbe stato meglio perché il
fetore sarebbe scomparso. In un corridoio privo di finestre il fetore stagnava,
però almeno stagnava un po’ più lontano da noi. Non lo avevo rimproverato.
Cioè, non capita mica spesso di vedere un collega, magari un amico, divorato
dagli zombie. Sono stata una recluta anch’io, e so che tutti quanti vomitano
almeno una volta.
Vi siete mai chiesti perché in molti obitori ci sono le porte a vetri? Be’, ci
sono per consentire agli inservienti di guardare dentro per accertarsi che nessuno
sia resuscitato e li attenda per divorarli. Tuttavia chi aveva deciso d’installare
quella porta doveva essere un bastardo di alta statura, perché Edward, alto più di
me di quasi venti centimetri con gli stivali da cowboy, doveva alzarsi in punta di
piedi per vedere all’interno.
«Dimmi cosa vedi», esortai.
«È come quello che avete visto in montagna, secondo la descrizione di Nicky.
Gli zombie sono appollaiati sui cadaveri come avvoltoi.»
«Andranno avanti così finché avranno da mangiare, poi cercheranno di uscire
per trovare carne fresca. Quale tipo di zombie può eliminare un vampiro?»
«Questo tipo di zombie», rispose Edward.
«Stanno divorando anche gli altri cadaveri o soltanto i vampiri?»
«Non si vedono altri cadaveri.»
«Merda! Ho bisogno di vederli.»
Perfino coi rumori disgustosi che provenivano dall’obitorio, Edward sorrise
allegramente col sorriso di Ted. «Ti serve una spinta per arrivare al vetro?»
Lo fissai corrugando la fronte.
«Come puoi sorridere così?» chiese Al, che aveva un colorito un po’
verdastro.
«Posso sorridere mentre guardo un sacco di cose», rispose Edward, lasciando
trapelare il proprio sociopatico interiore più di quanto facesse mai durante
un’indagine, segno di quanto fosse turbato da quello che stava vedendo.
Per distrarre Edward e impedirgli di terrorizzare Al, dissi: «Sì, mi occorre
una spinta».
Battendo Edward sul tempo, Nicky si piegò su un ginocchio e intrecciò le
mani a staffa.
«Avresti potuto sollevarla di peso e fare il romantico», commentò Devil.
«Sarebbe romantico soltanto se Anita lo considerasse romantico, e non credo
che adesso possa considerarlo così», ribatté Nicky.
«Sei più perspicace di quanto ti giudicassi, figliolo», intervenne un anziano
agente in uniforme. Benché fosse alto circa quanto Edward, il suo portamento lo
faceva sembrare più basso. Era completamente calvo, a parte una frangia di
capelli bianchi che sembravano morbidi come piume di anatroccolo. Gli occhi
erano di un azzurro limpido e brillante, come un’eco di quello che era stato in
gioventù.
«Non sono tuo figlio», ribatté Nicky.
«Non intendevo offendere… Era soltanto un complimento.»
«Un complimento ambiguo.» Il sergente Gonzales si rivolse a Nicky. «Non
permettere a Jenkins di prenderti in giro. Chiama tutti quanti ’figliolo’ e sa fare
soltanto complimenti ambigui.» Avevo la sensazione che trascorresse gran parte
del suo tempo presso la camera di Rush Callahan. Era presente quando Al aveva
chiesto volontari, e si era offerto subito.
Senza replicare, Nicky restò in attesa d’issarmi.
Sapevo che non gli piaceva essere chiamato «figliolo», probabilmente a
causa della famiglia violenta in cui era cresciuto. Comunque erano affari suoi e
di nessun altro. Non sapendo cosa dire, tacqui e posai un piede sulle mani unite
di Nicky. Lui confidava che io avessi abbastanza equilibrio per essere sorretta e
io confidavo che lui sapesse sorreggermi senza farmi perdere l’equilibrio.
Tuttavia mi concessi di appoggiarmi con la punta delle dita al legno freddo della
porta.
Quando mi ebbe spinta abbastanza in alto, commentai: «Grandioso!»
In effetti era grandioso, nel senso che potevo finalmente osservare l’obitorio,
ma quello che vidi fu così orribile che subito mi pentii del commento. Mi
capitava spesso nello svolgimento di entrambi i miei lavori. Come per molti altri
spettacoli davvero spaventosi, la mia mente tardò un istante a elaborarlo.
Dapprima percepii soltanto immagini e forme che rifiutavano di assumere un
senso. Anche se sapevo cosa stavo guardando, i miei occhi rifiutavano di
«vedere», perciò doveva essere orribile. Era il modo che aveva il mio cervello
per offrirmi la possibilità di distogliere lo sguardo e di non vedere l’orrore.
Tuttavia il mio lavoro m’impone di guardare quando tutti distolgono lo sguardo.
Così continuai a osservare, e d’improvviso tutti i frammenti s’incastrarono tra
loro a formare un’immagine nitida.
Era come in tutti i classici film di zombie, ma perché? Sapevo, infatti, che i
film non sono affatto realistici. Alcuni vampiri e una dozzina di zombie
smembrati erano stati trasportati all’obitorio, eppure la sala era piena di cadaveri
ambulanti curvi a divorare altri cadaveri, così tanti che non riuscivo a contarli.
Edward li aveva paragonati agli avvoltoi, ma gli avvoltoi si disputano le prede e
i bocconi più prelibati, o anche tutti i bocconi. Quegli zombie invece
mangiavano quasi in silenzio, a parte il suono di carni lacerate e masticate che si
sentiva attraverso la porta e che la mia mente all’inizio aveva rifiutato
d’interpretare. Non mi ero resa conto che pure l’udito cercava di proteggermi,
proprio come la vista. Interessante!
Comunque gli zombie erano radunati intorno a quattro distinti mucchi di
«cibo». E, se le vittime erano soltanto tre, perché i mucchi erano quattro? I
cadaveri erano nascosti dagli zombie intenti a divorarli, quindi non riuscivo a
vederli, a parte pezzi di carne rossa e scintillante, ossa biancheggianti come
lucide perle d’incubo, organi interni strappati dai corpi e divorati da… persone.
Alcuni zombie erano decomposti, ma quello che si stava divorando il cuore di
qualcuno sembrava un non morto nuovo di zecca come una moneta appena
coniata. Nessuno di quelli che erano stati raccolti nel bosco era stato così
integro.
Finalmente il mio povero cervello colmo di orrore colse l’impossibile. «Oh,
merda…» imprecai, con un tono che suonò spaventato perfino alle mie stesse
orecchie.
«Che c’è?» chiese Nicky.
«Cosa c’è che non va?» domandò Edward. «Cos’hai visto che a me è
sfuggito?»
«Abbiamo trasferito qui una dozzina di zombie smembrati.»
«Quelli sono più di venti», replicò Edward.
«Appunto… E nessuno degli zombie smembrati aveva un aspetto così
umano, Ed… Ted. Erano tutti molto decomposti. Non erano così integri.»
«Sono i cadaveri che erano già in obitorio quando abbiamo portato gli
zombie», spiegò Al.
Mi girai a guardarlo, aggrappata con le dita al bordo di un pannello. «Cos’hai
detto?»
«A quanto mi risulta, sono tutti i cadaveri che erano già in obitorio quando
abbiamo scaricato i vamp morti e gli zombie smembrati.»
«Lasciami scendere, Nicky.»
«Sembri spaventata», osservò Gonzales. «Non dev’essere una bella cosa.»
«Non lo è affatto», confermai.
«Perché sembra che voi due abbiate appena visto uno spettro?» chiese
Jenkins.
«Uno spettro non mi spaventerebbe affatto», assicurai.
«È un modo di dire, Anita», precisò Edward, come se avesse importanza.
«Spiegaci cosa sta succedendo», esortò Gonzales.
«Gli zombie si destano dalle tombe, non dagli obitori. Devono essere sepolti
prima di poter essere destati dalla tomba come zombie. Nemmeno io potrei
svegliarne uno che fosse rimasto esclusivamente in obitorio.»
«Non capisco la differenza», disse Jenkins. «Un morto è pur sempre un
morto, giusto?»
«No, non capisci. Gli zombie non si destano senza l’intervento di un
sacerdote vudù o di un negromante che li richiami dalla tomba.» Indicai la porta
dell’obitorio alle mie spalle. «Non si destano spontaneamente in presenza di
zombie già risvegliati, e lasciatemi aggiungere che gli zombie smembrati non si
ricompongono autonomamente. Continuano a muoversi e a uccidere e a
divorare, se possono, ma non si ricompongono. La carne morta non guarisce. Gli
zombie sono i più morti dei non morti.»
«Quindi, se tutto questo è impossibile, allora che cazzo sta succedendo?»
domandò Jenkins.
Scossi la testa. «Non lo so.»
«Tutta questa faccenda non mi piace per niente», dichiarò Gonzales. «Tu sei
considerata la massima esperta di zombie dell’agenzia dei marshal e, se neanche
tu sai cosa sta succedendo, allora…»
«Siamo fottuti», concluse Jenkins.
Nessuno lo contestò.
In quel momento qualcosa di pesante urtò la porta, e io strillai come una
ragazzina.
43

«D obbiamo bruciarli», dichiarò Edward. «Dobbiamo incenerirli tutti quanti e


poi sparpagliare le ceneri in vari corsi d’acqua.»
«Come li bruciamo?» chiese Gonzales.
«Ho un lanciafiamme in auto.»
«Siamo nel seminterrato di un ospedale.»
«Evacuate l’ospedale.»
«Non possiamo ordinare un’evacuazione», obiettò Jenkins.
«L’obitorio è pieno di zombie assassini. Senza il fuoco rischieremmo di non
riuscire a fermarli», dissi. «Mi sembra una ragione eccellente per evacuare
l’ospedale.»
«Cazzo», mormorò Gonzales quando gli zombie cannibali iniziarono a
scagliarsi goffamente contro la porta.
Dato che erano diversi dai comuni zombie, non avrebbero tardato a perdere la
loro goffaggine. Avrebbero imparato e sarebbero diventati assassini più
efficienti, predatori più efficienti. A quanto ne sapevo, gli zombie cannibali non
erano mai «sopravvissuti» per più di qualche giorno perché non erano molto
bravi a nascondersi e, se non eravamo noi a scovarli e a eliminarli, allora
provvedevano i vampiri, per evitare che attirassero l’attenzione su tutti gli altri
non morti. L’Arlecchino stesso mi aveva detto che si occupava di annientare sia
gli zombie assassini sia i vampiri assassini, e per molte delle stesse ragioni.
Nuocevano agli affari, perché tendevano a provocare reazioni tipo folla
inferocita che alla luce delle fiaccole bracca i mostri nelle campagne.
La porta fu scossa da un altro urto poderoso e tutti noi guardammo il manico
di ascia infilato nelle maniglie.
«Qualunque cosa decidiamo di fare, dobbiamo farla subito, prima che la
porta ceda», annunciai.
Trasalirono quasi tutti nel momento in cui squillò il telefono di Macintosh.
Sì, sussultai anch’io.
«Parla Mac… Potrebbe essere necessario evacuare l’ospedale…» Macintosh
ascoltò e impallidì. «Zombie su tre piani diversi dell’ospedale?»
Restammo tutti in silenzio ad ascoltare.
Mac passò in viva voce affinché potessimo udire tutti, poi disse: «Ci sono
alcuni sbirri con me e siamo in viva voce, Ida. Puoi ripetere, per favore?»
«Sono stati segnalati ai piani terzo, quinto e sesto», riferì Ida. «È successo
qualcosa anche in terapia intensiva. Hanno chiamato sulla linea interna, poi si è
interrotta la comunicazione e subito prima ho sentito gridare in sottofondo.»
«A quale piano è la terapia intensiva?» domandai.
Mac aprì e chiuse due volte la mano. La terapia intensiva era al decimo
piano, dov’era anche la camera dello sceriffo Callahan.
Composi subito il numero di Nathaniel, perché probabilmente Micah era
ancora col padre.
«Anita…» Il tono di Nathaniel non mi piacque per niente.
«È stata segnalata la presenza di uno zombie al vostro piano», riferii.
«Lo sto guardando», replicò Nathaniel con voce strana, come se cercasse di
restare calmo e tranquillo per non spaventarlo.
Be’, è un trucco che con gli zombie non funziona.
All’improvviso mi si seccarono le fauci. «Dimmi che con te ci sono gli
sbirri…»
«Sì…»
«Bram e Socrate?»
«Sì, Anita, però…» Sussurrando, Nathaniel aggiunse: «Non è uno zombie, è
un vampiro!»
«È un vampiro putrescente. Ecco perché la gente lo scambia per uno
zombie!»
«Sì», sussurrò Nathaniel.
«Madre di Dio!» esclamò Al.
«Stiamo arrivando. Barricatevi nella stanza del padre di Micah.»
«Fermo o spariamo!» intimò una voce autoritaria.
«Sparate! Di’ loro di sparare!» gridai, partendo di corsa giù per il corridoio.
«Che facciamo con gli zombie?» mi gridò dietro Mac.
Mi resi conto che Al, Gonzales, Jenkins e Edward mi avevano seguita, dopo
avere lasciato due guardie alla porta, e rallentai, perché se gli zombie fossero
usciti dall’obitorio… Merda!
«Siamo nella stanza», annunciò Nathaniel. «Bram e Socrate sono alla porta.»
«Evacuate l’ospedale!» gridò Edward a Mac. «Dovremo bruciarli!»
«Non si può usare un lanciafiamme dentro l’ospedale!» urlò Mac di rimando.
«Attiverebbe il sistema antincendio.»
«Cazzo!» imprecò Edward.
«Cos’ha detto del lanciafiamme?» chiese Nathaniel.
«Che non possiamo usarlo, perché il sistema antincendio spegnerebbe subito
le fiamme impedendo agli zombie di bruciare.» Quando ci fermammo in
corridoio, dichiarai: «Vado da Micah e da Nathaniel».
«Anita, fai quello che devi», esortò Nathaniel.
Si udirono spari attutiti dalla porta chiusa della camera.
«Arrivo da voi!» annunciai.
«Anita, siamo al sicuro per il momento», disse Micah al telefono. «Fai il tuo
lavoro.»
«Arrivo da voi!»
«Il corridoio è pieno di poliziotti. Andrà tutto bene.»
«Ti amo, e amo Nathaniel, ma questa non è una discussione. Sto arrivando!»
Ciò detto, interruppi la comunicazione.
«Ho con me alcune granate al fosforo, e altre ancora nell’auto.» Edward mi
porse le chiavi della sua vettura.
Non le presi. «Prima vado dai miei ragazzi.»
«Lo so.»
Sfilai un paio di granate dalle tasche dei miei pantaloni tattici e gliele
consegnai, poi presi le chiavi. «Nella foresta non ho potuto usarle, altrimenti
avrei provocato un incendio.»
Edward fece un sorriso teso, feroce, stranamente contento. Era la parte di lui
che voleva trovare qualcuno o qualcosa che fosse più pericoloso di quanto lo era
lui stesso. Fino ad allora non c’era riuscito, però continuava a cercare.
«Vado da Rush», annunciò Gonzales.
«Io resto qui», replicò Al. «Di’ a Rush… Digli che sto facendo il mio
lavoro.»
«Gli spruzzatori del sistema antincendio spegneranno anche le granate»,
osservò Devil.
«Il fosforo sviluppa ancora più calore quand’è bagnato», spiegai.
Per un momento io e Edward rammentammo i necrofagi che nell’attraversare
correndo un corso d’acqua bruciavano strillando. Avevamo granate al fosforo di
tipo antiquato, che ormai erano usate quasi esclusivamente dagli sterminatori di
vampiri.
«Non farti ammazzare», gli dissi.
«Promesso.» Curvandosi su di me, Edward aggiunse sottovoce, per non
essere udito dagli altri sbirri: «In auto ho un po’ di granate europee».
In certe regioni d’Europa, dove i vamp e i licantropi possono essere
ammazzati a vista semplicemente perché esistono, si usano granate progettate
per bruciare più a lungo perfino di quelle antiquate al fosforo che usavamo noi.
Esplodono a contatto col bersaglio e continuano a bruciare con effetti devastanti.
Negli Stati Uniti sono maledettamente illegali.
Sorrisi e scossi la testa. «Tornerò con più roba, non appena possibile.»
«Lo so», disse Edward.
Guardai Al senza sapere cosa dirgli. Conoscevo appena Jenkins e le guardie,
ma Al era un vecchio amico di Micah, erano cresciuti insieme.
Proprio in quel momento gli zombie si buttarono in massa contro la porta,
con un gran fracasso. Non ne avevo mai visti tanti agire tutti insieme senza
essere controllati da un negromante. Sarei dovuta rimanere con Edward per
bloccarli. Sarebbe stato l’uso migliore delle risorse a disposizione. Eppure stavo
per correre dagli amori della mia vita.
Quando loro fossero stati al sicuro, avrei salvato il resto del mondo. Fino ad
allora il resto del mondo avrebbe potuto badare a se stesso. O almeno questo fu
quello che dissi a me stessa nel partire di corsa verso gli ascensori, affiancata da
Nicky e da Devil, seguita da Gonzales.
44

e porte dell’ascensore si aprirono mentre uno schianto rimbombava alle

L nostre spalle. Così fui costretta a girarmi.


Impegnato con gli altri a spingere per tenere chiusa la porta, Edward
chiamò: «Anita!»
«Merda!» imprecai.
«Stanno usando una lettiga come ariete!» gridò Edward. «Le armi mi
occorrono subito! Mi dispiace!»
In tutti gli anni in cui avevamo lavorato insieme non si era mai scusato per
quello che aveva dovuto fare sul lavoro e per le scelte che avevamo dovuto
compiere.
Dall’interno dell’ascensore, Devil protese una mano. «Passami le chiavi, poi
vai da Micah e da Nathaniel.»
Allo schianto successivo, Edward e gli altri riuscirono ancora a resistere,
impedendo che la porta cedesse.
«Anita, tu sai come preparo i bagagli e puoi trovarle più in fretta», insistette
Edward. «Ci servono subito!»
La porta sussultò come se fosse stata percossa da una mano gigantesca.
Resistere a lungo era impossibile.
«Vai, Anita!»
Entrai in ascensore. «Resta a difendere la porta. Io torno al più presto.»
Nicky uscì. «Non ordinarmi di restare con te.»
«La proteggo io», assicurò Devil.
Gonzales rimase accanto a Nicky. «Sbrigati.»
Ancora una volta la porta fu percossa con uno schianto fragoroso.
Mentre le porte dell’ascensore si chiudevano, ebbi una sorta di rivelazione.
Nicky era più forte e più spietato, quindi migliore di Devil nel combattere. Era
giusto che fosse lui a rimanere. L’unica ragione per non lasciarlo sarebbe stata
che lo amavo. Lo amavo davvero, e soltanto in quell’istante me ne resi conto con
certezza.
Mi accostai alle porte che si chiudevano. «Ti amo, Nicky!»
Lui sorrise e le porte si chiusero.
Avrei voluto avere il tempo di dargli un bacio d’addio.
45

resi l’auricolare dalla tasca in cui lo tenevo, lo collegai al telefono e

P chiamai Micah dall’ascensore.


«Anita, il vampiro su questo piano è morto», annunciò lui nel
rispondere. «La situazione è tornata tranquilla.»
«L’obitorio invece non è per niente tranquillo. Devo aiutare Ted a
impedire che gli zombie escano. Ho dovuto lasciare Nicky ad aiutarlo.» Nel dirlo
mi resi conto di cercare l’assoluzione di qualcuno forte quanto me, il quale mi
rassicurasse che andava bene lasciare laggiù, con gli sbirri e coi mostri, qualcuno
che amavo e che non era uno sbirro.
«Perché lo hai lasciato con Ted?»
«Nell’auto di Ted ci sono granate e altre armi. Io e Devil stiamo andando a
prenderle.» Mi tolsi il distintivo dal fianco per assicurarlo al panciotto. Non
indossavamo un’uniforme e nessun poliziotto ci accompagnava, perciò gli
eventuali testimoni dovevano sapere che eravamo i buoni.
«Perché tu sai esattamente dov’è la roba nell’auto di Ted», commentò Micah.
«Sì.»
Le porte dell’ascensore si aprirono.
Dopo un attimo di attesa, Devil si affacciò all’esterno per accertarsi che tutto
fosse libero, poi si appoggiò alla porta con la pistola puntata e mi fece un breve
cenno con la testa. Di solito le pistole servono a poco contro gli zombie e i
vampiri putrescenti, ma Devil non aveva l’esperienza di combattimento che
avevamo io e Nicky, quindi era più a suo agio con le pistole che coi fucili.
Con l’AR imbracciato, esplorai il corridoio a sinistra, a destra, e anche in
alto, benché il soffitto dell’ospedale fosse troppo basso per nascondervisi in
agguato. A volte i vampiri volano o fluttuano, perciò è bene avere l’abitudine di
controllare sempre anche in alto, quando si braccano vampiri capaci di volare e
licantropi capaci di arrampicarsi.
«Marshal federali!» gridai alle infermiere e ai medici spaventati. «Polizia!»
aggiunsi, per ogni eventualità. «Polizia!» urlai ancora, avanzando verso l’uscita
insieme con Devil.
Ignorai tutte le domande perché rispondere ci avrebbe rallentati troppo, senza
contare che non avrei saputo cosa dire. Il capitano Jonas aveva affermato chiaro
e tondo di non voler scatenare il panico, come invece sarebbe probabilmente
accaduto se avessi detto che i mostri affollavano l’obitorio e vagavano per i
corridoi. Ne sarebbe seguita un’evacuazione che non avevo l’autorità di
ordinare.
«Prometto che torneremo», dichiarò Devil, col suo splendido sorriso
irresistibile. Era così bravo a flirtare che un’infermiera spaventata arrossì.
«Stiamo uscendo», annunciai sottovoce a Micah.
«Sii prudente», raccomandò lui.
«Credo che fuori ci sia meno pericolo, ma sarò prudente», assicurai,
avvicinandomi all’uscita con l’AR imbracciato.
«Ti amo.»
«Anch’io vi amo. Non ho avuto modo di dare un bacio d’addio a Nicky.»
«Avrai un’altra occasione di baciarlo.» Così Micah m’impartì l’assoluzione,
garantendo implicitamente che dal punto di vista etico andava tutto bene e non
avevo lasciato il mio amante a morire.
«Grazie! Devo correre. Ti amo.»
«Ti amo di più.»
«Io ti amo ancora di più.»
Micah rise dolcemente nell’interrompere la comunicazione.
Ormai io e Devil eravamo fuori. Osservai il cielo notturno baciato dalle luci
elettriche dell’ospedale e dei lampioni nel parcheggio deserto. Nulla si muoveva
nell’oscurità sopra di noi. Il silenzio era così profondo che avremmo sentito i
grilli, se non fosse stato troppo freddo.
«Possiamo correre adesso?» chiese Devil.
«Sì.»
Lui partì di scatto, a una velocità tale da lasciarmi come impietrita per un
istante. Poi corsi anch’io, così rapida da avere l’impressione che tutto ciò che mi
circondava sfrecciasse via fulmineo come in un effetto speciale al cinema. Non
fu soltanto per andare a prendere le armi e salvare tutti. Potermi muovere in
fretta, anche se solo per pochi momenti, poter correre, mi permise di scaricare la
tensione accumulata.
Arrivata al SUV di Edward trovai Devil che riprendeva fiato. Avevo il cuore
in gola, come se volesse saltarmi fuori di bocca, e mi sentivo viva, col sangue
che scorreva rombando nelle vene, pervasa di quell’energia che fa venir voglia di
rinfoderare le armi e combattere a mani nude. Non l’avrei mai fatto,
naturalmente, però capivo l’impulso.
Sorrisi in risposta al sorriso di Devil, feroce e al tempo stesso sensuale,
affascinante; poi, assordata dal pulsare del mio stesso sangue, aprii il bagagliaio
del SUV. Con l’aiuto di Devil, spostai il nostro equipaggiamento. Edward aveva
un motivo per recarsi sulla scena del crimine col proprio SUV ogni volta che gli
era possibile. Il veicolo era dotato di comparti segreti in cui erano nascoste le
armi più letali. Se qualcuno avesse forzato il bagagliaio avrebbe potuto rubare
soltanto quello che avrebbe trovato, cioè nulla di più pericoloso delle pistole.
Molto probabilmente un ladro non avrebbe trovato le armi nascoste neppure se
avesse rubato il SUV, a meno di non smantellarlo pezzo per pezzo in officina.
D’altronde neppure Edward poteva prevedere tutte le eventualità, senza contare
che alcune delle armi nascoste erano illegali. Ero informata sulle granate europee
perché avevo letto qualcosa al riguardo e avevo persino visto i filmati sugli
effetti che avevano e le foto delle vittime, però non avevo mai saputo che
Edward ne avesse, fino a poco prima, quando me lo aveva rivelato. Quelle
granate erano così devastanti che secondo alcuni, in Europa, non avrebbero
dovuto essere usate neppure contro i vampiri o i licantropi. Su questa base
sostenevano che avrebbero dovuto essere riconosciuti loro i diritti civili.
Stranamente, a nessuno importa niente degli zombie. Non tutti i non morti sono
creati eguali.
In altre circostanze avrei esitato a servirmi di armi illegali, ma data la
situazione… Le granate europee ci offrivano l’unica possibilità di annientare i
mostri. Le raccolsi tutte, distribuendo nelle tasche dei pantaloni tattici tutte
quelle che vi potevano essere contenute e passando le altre a Devil. Sapevo che
avrebbero bruciato abbastanza a lungo da annientare gli zombie, e che proprio
per questo avremmo dovuto evitare che incendiassero anche noi, o l’ospedale.
Quando vidi la provvista di caricatori di Edward decisi di prendere il suo gilè
tattico, il mio, un altro di scorta, e tutti i caricatori che fu possibile a me e a
Devil di portare nelle tasche dei pantaloni tattici e appesi ai giubbotti
antiproiettile col sistema MOLLE. Di solito è eccessivo avere tanti caricatori per
l’AR, ma quella notte si sarebbero potuti rivelare indispensabili.
Risistemato tutto il resto dell’equipaggiamento, Devil richiuse il bagagliaio,
io ripresi la chiave, e infine, senza dire nulla, di comune accordo, tornammo di
corsa all’ospedale. Lui era più veloce perché aveva le gambe più lunghe, e anche
perché era una tigre mannara, ma io non rimasi troppo indietro, e ancora una
volta tutto ciò che mi stava intorno sfrecciò via fulmineamente finché non
varcammo la soglia della porta, che si aprì sibilando.
L’infermiera che aveva sorriso a Devil ci fissò a occhi sgranati, impallidendo
ancora di più, e chiese: «Non siete umani, vero?»
«No», confermai.
«Gli umani sono sopravvalutati», aggiunse Devil, con un altro sorriso
ultrasensuale, mentre proseguivamo la corsa verso gli ascensori.
Il mio telefono squillò con la suoneria di Edward, Bad to the Bone, scelta e
installata per scherzo da Nathaniel quando io non sapevo ancora come
sostituirla. «Sì?» risposi.
«Porta tutti i caricatori di scorta che puoi», raccomandò Edward, mentre in
sottofondo si sentivano echeggiare i colpi di arma da fuoco.
«Già fatto», replicai, entrando in ascensore con Devil.
«Hai avuto la mia stessa idea.»
«Abbiamo abbastanza munizioni per farli a pezzi tutti quanti, e anche…»
«Le europee per bruciarli subito dopo», concluse Edward.
«Sì.»
Edward scoppiò nella profonda risata mascolina che molti uomini riservano
al sesso, oppure ai momenti più intimi con le amanti.
«Anch’io adoro il tuo modo di pensare», dichiarai.
Di nuovo Edward rise in quel modo sensuale. Probabilmente Donna aveva
più di una ragione per credere che io fossi la sua amante. Poi qualcuno gridò e
un uomo strillò.
«Devo andare», disse Edward, serissimo, come se non avesse mai riso. E
interruppe la comunicazione.
«Sta bene?» chiese Devil.
«Non lo so. Sembra che abbiano gli zombie addosso.»
Rinfoderata la pistola, Devil staccò l’AR dal MOLLE.
«Sparare alla testa o al cuore serve soltanto a irritarli», dissi. «Dovremo
staccare braccia e gambe per immobilizzarli, poi decapitarli o spappolare loro la
testa, e infine bruciarli.»
«Tu e Ted non avete discusso i dettagli. Come sapevi che voleva altre
munizioni?»
L’ascensore rallentò e io imbracciai l’AR. «Lo sapevo e basta.»
Le porte si aprirono e uno zombie crollò all’interno.
46

evil premette il grilletto prima che potessi avvertirlo di non sparare,

D perché lo zombie era già senza braccia, e gli spappolò il cranio mentre
quello cercava di azzannargli un piede.
Il rimbombo dello sparo fu doloroso nella gabbia metallica
dell’ascensore. Mi sembrò che qualcosa di duro e acuminato mi
sfondasse i timpani. Dotato di un udito molto più sensibile del mio e colto alla
sprovvista, Devil si curvò in avanti premendosi una mano sopra un orecchio, con
una smorfia di sofferenza sul viso. Gli lasciai il suo attimo di disorientamento e
scavalcai lo zombie senza braccia che cercava di alzarsi in ginocchio lasciando
quasi tutto il cervello sparpagliato sul fondo dell’ascensore.
Con l’AR imbracciato, mi appoggiai con una spalla alle porte dell’ascensore
per tenerle aperte e, nell’attesa di recuperare l’udito, scrutai il corridoio per
cercare di capire cosa stesse succedendo. Avevo imparato ad aspettare che il
disorientamento causato dalle detonazioni assordanti negli spazi ristretti
passasse, quindi rimasi a sorvegliare il corridoio mentre Devil combatteva il
dolore e lo shock.
Dapprima individuai la testa bionda di Nicky e il bianco cappello da cowboy
di Edward, tutti e due impegnati a sparare contro gli zombie. Poi ebbi una
visione d’insieme dello scontro. Il gruppo si era schierato a semicerchio dinanzi
agli ascensori, però la linea difensiva aveva quasi ceduto sulla destra, dove il
giovane Miller sanguinava, seduto contro la parete, e Mac gli comprimeva la
ferita al collo, col sangue cremisi che gli sgorgava tra le dita. Jenkins li aveva
sostituiti, armato soltanto di pistola, di cui agli zombie non fregava un cazzo.
Infatti due di essi lo aggredirono, assalendo il punto debole dello schieramento.
Maledettamente svegli per essere zombie!
Armato di una calibro 45, Gonzales sparò a bruciapelo in faccia a uno dei
due, fracassandogli il cranio e lasciandolo a brancolare alla cieca. Il cane della
rivoltella scarica scattò ripetutamente a vuoto quando si girò verso il secondo,
che lo assalì con espressione famelica e malvagia. Da non più di mezzo metro gli
sparai un proiettile frangibile che gli fece esplodere la testa in una fontana di
sangue e di materia cerebrale. C’erano anche schegge d’osso, però è sempre lo
spappolamento sanguinolento a creare l’effetto più spettacolare.
Grigiastro in viso, Gonzales mi fissò a occhi sgranati, e quell’occhiata fu
sufficiente. Aveva soccorso Jenkins e le due guardie pur sapendo di avere quasi
esaurito le munizioni.
Accanto a me, Devil sembrava ancora scosso e non aveva imbracciato l’AR.
Pur sapendo di non avere il tempo di fargli da balia, mi resi conto che non aveva
mai combattuto in quel modo. Conosceva la violenza, aveva avuto scontri a
fuoco e combattuto corpo a corpo sia in forma umana sia in forma animale, però
non si era mai trovato immerso in un caos del genere. Così lo considerai fuori
dal combattimento e cominciai a sparare agli zombie che tentavano di dilagare
attraverso la breccia nella difesa. M’impegnai a sparare per prima cosa alla metà
inferiore del viso, perché senza bocca erano parzialmente neutralizzati. Quando
fui aggredita da uno zombie con la faccia massacrata che non era più in grado di
mordermi, gli staccai una spalla e un braccio, ma con la mano che gli restava
avrebbe potuto strangolarmi o squarciarmi la gola, se fosse riuscito ad
afferrarmi.
Accanto a me sul lato opposto, Al esplose ancora alcuni colpi contro le mani
e le bocche spalancate degli zombie, prima che il carrello della sua calibro 45
rimanesse arretrato, rivelando che era senza munizioni.
Intanto Gonzales mi si affiancò impugnando un fucile a pompa e Devil si
riprese abbastanza per cominciare a distribuire armi e munizioni. Bene.
Quando vidi Al indietreggiare, sperai che fosse per prendere altre munizioni
oppure un’altra arma, e continuai a sparare contro tutto quello che si muoveva al
di fuori del nostro piccolo cerchio. Nicky era al mio fianco. Dopo avere sparato
in faccia a uno zombie, lasciò pendere l’AR dalla tracolla tattica per avere le
mani libere e afferrò lo zombie per una spalla e per un braccio. Coi muscoli
contratti tirò, strappandogli il braccio dalla spalla. Dato che lo zombie, morto da
poco, era ancora integro, in sostanza strappò un braccio a un uomo a mani nude,
e non soltanto perché era maledettamente forte, ma anche perché sapeva come
slogare una spalla. Forse in seguito gli avrei chiesto come diavolo facesse a
saperlo.
D’altronde quell’impressionante sfoggio di forza significava che Nicky aveva
esaurito le munizioni.
Tra Gonzales e me, Al impugnava di nuovo la calibro 45, che evidentemente
aveva ricaricato.
Indietreggiai, invitandoli a coprirmi se possibile, e loro chiusero la breccia.
Così permisi a Nicky di rifornirsi di caricatori e, non appena lui ebbe ricaricato
l’AR, tornammo in posizione di difesa.
«Scarico!» annunciò Edward nell’auricolare.
Indietreggiai di nuovo, aprendo una breccia che fu subito chiusa da Nicky e
dagli altri. Mentre Devil aveva i caricatori per le pistole, io avevo quelli per i
fucili. Come se ci passassimo il testimone della staffetta, consegnai un caricatore
a Edward, che subito lo inserì nell’arma. Poi tornammo entrambi a combattere e
io mi trovai tra lui e Nicky, accanto al quale Devil aveva finalmente iniziato a
sparare. Se fossimo sopravvissuti, gli avrei parlato a proposito di quanto tempo
aveva impiegato a orientarsi e avremmo dovuto progettare un programma di
addestramento per preparare al vero combattimento lui e gli altri bodyguard
inesperti. Per il momento bisognava soltanto sparare fucilate agli zombie per
spappolare loro le teste, staccare le braccia e le gambe… insomma, fare tutto il
possibile per immobilizzarli e renderli inoffensivi.
Di solito, quando si combatte, si è pieni di adrenalina e iperattenti. Talvolta
invece la battaglia diventa un monotono reiterarsi dei medesimi orrori e si
comincia a sparare senza pensare, col corpo che agisce in maniera quasi
automatica a causa del puro e semplice eccesso: troppi stimoli sonori e visivi,
troppe cose da vedere, udire, intuire, il sudore che scorre sotto il giubbotto, le
mani che dolgono a furia di sparare. Avrei cambiato arma soltanto per far
riposare le mani, tuttavia l’AR era lo strumento giusto per quel lavoro, e c’era un
sacco di lavoro da fare. Quando si è immersi in quella sorta di offuscamento da
battaglia tutto appare distante, i rumori e le voci sono come echi per le orecchie
assordate, tutto il corpo vibra nello sforzo di sparare, lottare, picchiare quando
gli avversari si avvicinano troppo e non resta altra possibilità. Si va oltre la
modalità di sopravvivenza, tutto è meccanico e spossante, cosparso di momenti
di terrore mozzafiato come gocce di cioccolato sopra una torta, a ricordare
quanto si desidera vivere e quanto bisogna impegnarsi a uccidere per riuscirci.
È proprio in momenti come questi che si possono commettere errori. Si vede
una faccia sconosciuta e si spara senza rendersi conto che non è un combattente,
perché ormai si è già ucciso troppo e si è ancora aggrediti da tanti avversari
decisi ad ammazzare, in un orribile combattimento mozzafiato, e soltanto in
seguito si pensa: Un momento! Mi è forse sfuggito qualcosa? Ho forse sparato
in faccia a qualcuno che non stava cercando di farmi fuori?
Se non si è mai stati tanto spossati e tanto traumatizzati dal puro e semplice
combattimento a oltranza, non si può capire come possano accadere cose del
genere. Per molta gente tutto ciò resta inesplicabile per mancanza di esperienza.
Se non ci si trova immersi tra i cadaveri e tra gli avversari che cercano di
afferrare, sbranare e massacrare con tutte le armi rimaste a disposizione, non si
capisce che arriva un momento in cui tutti quelli che non sono «noi» sono
«loro», e contro di «loro» si spara e basta.
Se non si è mai vissuto quell’istante di ottenebramento da battaglia, allora
non si capisce cosa stia succedendo. Ecco perché quando l’ascensore si aprì alle
nostre spalle io mi girai a guardare Devil, di cui mi sentivo responsabile, com’è
sempre giusto che sia quando si conduce un novellino al massacro.
Così vidi Devil puntare l’AR contro la SWAT in equipaggiamento completo e
seppi di non avere il tempo di gridare, senza contare che eravamo così assordati
che comunque Devil non mi avrebbe sentita neppure se avessi gridato. Vedere fu
agire. Una reazione sarebbe stata più lenta. Fu più di una reazione, perché fu il
corpo a precedere il cervello. D’istinto mi spostai davanti a Devil, tra lui e gli
agenti SWAT, che subito puntarono le armi contro di me.
Sollevando una mano a mostrare che non c’era problema, attirai l’attenzione
di Devil, il quale trasalì. In un attimo, nel vedere i suoi occhi rimettersi a fuoco e
riconoscere gli agenti SWAT che uscivano dall’ascensore, capii di non avere
sbagliato. Poi mi girai di nuovo per ricominciare a sparare, e di fronte a me non
trovai nulla. Il corridoio era pieno di zombie smembrati che si agitavano, capaci
al massimo di afferrare un piede con una mano mutilata. Era un incubo che non
poteva più nuocere, né uccidere.
«A quanto pare, siamo arrivati tardi», commentò Yancey, sollevandosi lo
schermo facciale. Se non avessi visto le sue labbra muoversi, non avrei capito.
«Non siete arrivati tardi. Dobbiamo ancora bruciare questi stramaledettissimi
bastardi figli di puttana.»
«Si rischierebbe di attivare gli ugelli spruzzatori o d’incendiare l’ospedale»,
osservò Yancey.
«Ugelli spruzzatori, sì. Incendio, no.»
«E come?» chiese Yancey, scettico.
Sogghignai, col viso tutto imbrattato di sangue e di carne di zombie, senza
che lui trasalisse. «Te lo mostro subito.»
Lanciando un’occhiata all’ammasso di cadaveri smembrati in cui eravamo
immersi fino alle ginocchia, Yancey sogghignò. «Non vedo l’ora.»
Mi piaceva Yancey.
47

e normali granate al fosforo, o persino quelle con termite, sono

L progettate per ardere per breve tempo e poi spegnersi. Infliggono danni
tali da scoraggiare i vampiri, i necrofagi, i licantropi e gli umani, ma
non gli zombie, che non si spaventano, non cedono al panico e non
rinunciano mai, per il semplice fatto che non sentono il dolore. Gli
scienziati stanno cercando di capire come mai gli impulsi nervosi permettano
agli zombie di camminare ma non di provare dolore. Se ci riuscissero, forse
potrebbero utilizzare la scoperta per restituire la capacità di movimento ai
paralitici, eppure resta tuttora un mistero. Infatti i corpi degli zombie, pur
essendo umani, almeno in origine, non si comportano come corpi dotati di
sistema nervoso umano. Per esempio, un arto troncato dovrebbe restare inerte,
anziché strisciare come un serpente mutilato.
Ammassati al centro del corridoio e circondati da granate al fosforo di
provenienza europea, i corpi smembrati degli zombie bruciavano. A differenza
delle granate americane, che esplodono e ardono rapidamente, quelle europee
dopo essere esplose avvolgono tutto quello che hanno accanto in un fuoco che
continua a bruciare finché trova alimento.
Non bisogna immaginare fiamme arancioni da caminetto. È fiamma al calor
bianco così vivida da danneggiare la retina o perfino accecare, se la si fissa
troppo a lungo. Perciò avevamo avvisato tutti di non guardare. Il calore era così
intenso che sembrava scorticarci anche se ci tenevamo tutti a distanza di
sicurezza dal mucchio di cadaveri smembrati.
«Il fuoco è sempre così luminoso quando brucia gli zombie?» chiese Yancey.
«No, è il fosforo», spiegai.
Il fetore di carne bruciata non è sempre così sgradevole. Talvolta sembra
odore di arrosto. Quello che lo rende «strano» è ciò che normalmente si rimuove
prima di cuocere la carne, cioè peli e organi interni. Comunque non sempre è
molto sgradevole e di solito gli zombie nel bruciare puzzano meno che nel
marcire. Cercai di ricordare l’odore della decomposizione, senza riuscire a
percepirlo. Forse avevo il fiuto temporaneamente anestetizzato, o forse gli
zombie non puzzavano troppo. Quelli che risveglio io non puzzano mai, neppure
se sono in putrefazione. Un vecchio risvegliante mi aveva spiegato che la magia
capace di richiamarli dalla tomba blocca temporaneamente la decomposizione, e
quindi anche il fetore che provoca.
Posai una mano su un braccio di Edward. «Ti è sembrato che gli zombie
puzzassero di decomposizione?»
Lui ci pensò, prima di rispondere: «No».
«E tu?» chiesi a Devil. «Hai avuto l’impressione che gli zombie puzzassero
come cadaveri putrescenti?»
Addossato a una parete, con gli occhi troppo spalancati alla luce del fosforo
che stava bruciando i cadaveri, Devil scosse la testa e tardò un po’ troppo a
girarsi per fissarmi, perplesso. Era sotto shock, però me ne sarei preoccupata più
tardi.
«Tu hai sentito puzza di decomposizione?» chiesi a Nicky.
«No. Però gli zombie non puzzano come i cadaveri putrescenti.»
«I miei no, e sono quelli che tu hai avuto modo di osservare.»
«È vero. Comunque ti sento spaventata. Perché?»
«Di solito gli zombie puzzano per quello che sono, cioè cadaveri, e l’intensità
del fetore dipende dal grado di decomposizione. I miei zombie non puzzano
perché io sono abbastanza potente da impedire che marciscano una volta
risvegliati. I vampiri putrescenti puzzano soltanto se lo vogliono. Hanno un
aspetto orribile, però non puzzano. I vampiri e gli zombie che abbiamo
combattuto nel bosco non puzzavano, vero?»
«No», confermò Nicky.
«Mi sta sfuggendo qualcosa», intervenne Yancey. «Perché lo stai dicendo
come se fosse una brutta cosa?»
L’allarme antincendio iniziò a ululare, ma noi, ancora parzialmente assordati
dalla sparatoria, lo udimmo come una lontana eco proveniente da una galleria.
Poi si attivarono gli spruzzatori, e i getti di acqua gelida alleviarono un poco la
fatica della battaglia. Era come se piovesse e io rimpiansi di non avere il casco,
che di solito invece detesto essere costretta a indossare quando eseguo un
mandato col sostegno della SWAT. Fui costretta a chinare la testa per evitare che
l’acqua mi offuscasse la vista e a tergermi il viso dal sangue e dalla poltiglia
degli zombie in modo che non mi scorresse negli occhi e in bocca. Sì, certo,
tenevo la bocca chiusa, eppure… Ci sono cose che a contatto con le labbra fanno
schifo, e le carni spappolate e sanguinolente degli zombie sono schifose.
Nonostante il fragore dell’acqua corrente, l’ululare dell’allarme, il ruggire del
fuoco simile a fiamma infernale al calor bianco e le orecchie parzialmente
assordate, udii il grido strozzato di Devil. Lo vidi freneticamente impegnato a
pulirsi il viso e compresi che non conosceva la regola degli idraulici e dei
cacciatori di mostri, cioè tenere la bocca chiusa. Si scostò barcollando dalla
parete, crollò in ginocchio e vomitò accanto alla pira ardente, innaffiato dagli
spruzzi degli ugelli. Allora andai ad accovacciarmi accanto a lui, cercai di
scostargli dal viso i capelli corti e sottili, e ci riuscii soltanto tirandoli indietro
ciocca per ciocca, perché erano fradici e incollati alla pelle. Lui mi lanciò
un’occhiata di traverso, con gli occhi stralunati, come un cavallo in procinto
d’imbizzarrirsi, poi vide qualcosa alle mie spalle e li spalancò per la paura.
Senza alzarmi, mi girai di scatto, imbracciando l’AR, e vidi esclusivamente il
fuoco bianco e i cadaveri smembrati che si torcevano come i tentacoli di un
polipo che tentasse di uscire dall’acqua bollente.
Mi girai di nuovo verso Devil, seguii con gli occhi la direzione del suo
sguardo, e vidi un braccio di zombie con una mano ancora integra strisciare sulle
dita verso di noi. Allora lasciai pendere l’AR dalla tracolla tattica, sfoderai la
Browning, sparai alla mano in modo che non si muovesse più tanto bene,
raccolsi il braccio e lo gettai nel fuoco.
Quando mi voltai di nuovo a guardarlo, Devil mi fissava con una sorta di
orrore, come se avessi fatto qualcosa di terribile. Sollevai la mano per
posargliela sopra una spalla, ma subito mi resi conto che forse non voleva essere
toccato da me con la stessa mano che aveva appena raccolto il braccio zombie, e
la lasciai ricadere. «Vai a vedere come sta Miller», gli dissi.
Lui annuì un po’ troppo rapidamente e un po’ troppo ripetutamente. «Mi
dispiace», dichiarò, in silenzio, muovendo soltanto le labbra.
Non gli domandai per cosa fosse dispiaciuto, perché lo sapevo. Anche se era
una mia guardia del corpo, restarmi accanto in quelle circostanze aveva spezzato
qualcosa dentro di lui. Restava da appurare se la frattura potesse essere saldata, o
se fosse permanente. Un tempo anch’io avevo vomitato sulla scena del crimine,
ma nello stesso periodo Edward mi aveva condotta ad affrontare le situazioni più
tremende e io ero riuscita a tenere duro. D’altronde, io ero io.
Appoggiandosi alla parete, Devil si rimise in piedi, fece un passo, e barcollò.
Subito lo sostenni, afferrandogli un braccio. Senza ritrarsi, nonostante la
tensione, lui mi sorrise debolmente, incerto. La sua capacità di sorridere e la sua
disponibilità a non allontanarsi da me mi sembrarono positive e promettenti. Nel
corso degli anni, altri miei amici e amanti si erano allontanati da me e non erano
più riusciti a riavvicinarsi.
Ancora un po’ tremante e malfermo sulle gambe, Devil andò verso
l’ascensore. Anche se avrei potuto farlo, decisi di non accompagnarlo. Visto che
era suo compito proteggermi, non spettava a me assisterlo. Non era per questo
che avevamo le guardie del corpo, e non avevo con lui un rapporto tale da
sentirmi obbligata a compensare quel genere di perdita. Potreste chiedere a quale
perdita io alluda. Be’, mi riferisco alla perdita della fiducia. Ormai non potevo
più confidare che mi spalleggiasse e che sapesse affrontare gli orrori della mia
vita. Il ricordo di quel momento, indelebile tanto per me quanto per lui, avrebbe
influito per sempre sulle future esperienze.
Edward mi si accostò. «Perché è un male se gli zombie e i vampiri non
puzzano?»
Gli sorrisi. Si poteva sempre contare con assoluta certezza su Edward quando
si trattava di tornare subito alle faccende concrete. «Significa che qualcosa o
qualcuno sta controllando quei resti, o almeno vi proietta abbastanza potere da
impedire che marciscano.»
Avvicinatosi a noi, Nicky parlò ad alta voce nel fragore dell’acqua e del
fuoco: «Eppure nel bosco, in montagna, i vamp e gli zombie imputridivano. Le
carni disfatte cascavano dalle ossa».
«Ho visto vampiri putrescenti decomporsi così e poi ricomporsi
integralmente e riacquistare forma umana come se non fossero mai marciti.»
«Come funziona?» chiese Yancey.
«Non lo so. So soltanto che funziona così, o che può funzionare così.»
«Vuoi dire che talvolta è diverso?»
Annuii. «I vampiri putrescenti sono speciali. Molte regole dei vamp a loro
non si applicano.»
«Quindi il vampiro che ha posseduto i vamp nel bosco è anche colui che
risveglia gli zombie?» domandò Nicky.
Stavo per rispondere affermativamente, ma mi trattenni. «Non lo so.» Se non
ci fosse stato Yancey, avrei esposto la mia teoria e mi sarei consultata con
Edward e con Nicky, ma non potevo prevedere con certezza dove saremmo
andati a parare, perciò…
«L’ascensore non funziona», annunciò Devil.
«Quando scatta l’allarme, scende al pian terreno e resta fermo in attesa che i
vigili del fuoco lo riattivino con una chiave speciale», spiegò Yancey.
«Avresti potuto dirlo subito», rimproverai.
Yancey scrollò le spalle.
«Lo sapevo anch’io», intervenne Edward.
«E non hai detto niente?» ribattei. «Perché?»
Edward si limitò a guardarmi in modo eloquente.
Allora mi rivolsi a Nicky, che aveva il ciuffo fradicio incollato alla faccia.
«Qual è la tua giustificazione?»
«Sono sociopatico. Non sono tenuto a essere gentile.»
Lo scrutai.
«Sei arrabbiata con lui, lo sento, perciò non sono tenuto a essere gentile con
lui.»
«Credevo che foste amici…»
«Cosa non ti è chiaro della parola ’sociopatico’?»
Gli ugelli smisero d’irrorarci. L’assenza improvvisa del fragore dei getti
d’acqua fu assordante e il mio corpo sentì la mancanza della pioggia gelida come
se vi si fosse abituato. Sentire me stessa ansimare mi rivelò di non avere l’udito
permanentemente danneggiato. Era bello saperlo.
Addossato alla parete, Devil si lasciò scivolare giù finché non fu seduto sul
pavimento con le ginocchia piegate. Le sue lacrime scintillavano alla luce
artificiale.
Nel guardare quelli che mi circondavano, mi resi conto che, pure se mi
avevano aiutata ad ammazzare e bruciare i mostri, non mi avrebbero aiutata
affatto a fornire sostegno emotivo. «Be’, cazzo…» mormorai, nell’avviarmi
verso Devil con l’intento di confortarlo. Percorrendo la breve distanza che ci
separava, tentai di apparire impassibile anziché irritata; innalzai ancora di più le
mie difese metapsichiche, perché talvolta Devil poteva percepire le mie
emozioni, e in quel momento non volevo che le sentisse, proprio come io non
volevo sentire le sue. In piedi accanto a lui, cercai di decidere cosa fare.
«Sapevi che stavo per sparare contro di loro», dichiarò Devil, senza
guardarmi. «Come l’hai capito?»
Tardai un poco a rendermi conto che si riferiva agli agenti SWAT. «Ho già
partecipato a battaglie di questo genere. È stato Ted a salvarmi.»
«So sparare bene, sono bravo nel corpo a corpo, ma questo non credo di
poterlo fare, Anita. Questo non è fare il bodyguard. Questa è guerra.»
«Sì, talvolta è quello che faccio.»
Devil mi guardò con occhi luccicanti di lacrime. «Non lo avevo capito.»
Mi accovacciai accanto a lui, chiedendomi se avesse bisogno di un abbraccio,
o se un abbraccio lo avrebbe fatto crollare completamente.
Fu lui a decidere per me, protendendo le braccia, e quando lo abbracciai posò
il viso sulla mia spalla e scoppiò in un pianto dirotto, con singhiozzi così violenti
da squassare ogni centimetro del suo metro e novanta scarso. Era forte, veloce,
coraggioso, tuttavia non sarebbe mai più stato una mia guardia del corpo.
Avevamo dovuto uccidere parecchi zombie. Come si sarebbe comportato se
avessimo dovuto affrontare umani, o licantropi, o vampiri? Il nostro buon
diavolo non era abbastanza duro per il mio lavoro.
Un movimento interruppe la serie di dolci frasi senza senso che stavo
mormorando per conforto sui suoi morbidi capelli biondi. In piedi a parlare con
Edward e con Yancey, Nicky intercettò il mio sguardo, e fu sufficiente. Non era
scosso. Aveva già combattuto battaglie simili in passato, come mercenario,
prima che l’ardeur mi permettesse di addomesticarlo. Ci scambiammo una lunga
occhiata, poi lui tornò alla conversazione e io a confortare Devil. Sapevamo
entrambi, io e Nicky, che Devil non avrebbe mai più lavorato con noi. Non era
un soldato, e non vi era nulla di vergognoso in questo. Tutti noi abbiamo le
nostre forze e le nostre debolezze. Semplicemente, io avevo bisogno di qualcuno
che fosse più… spietato.
Come se percepissero i miei pensieri, Nicky e Edward si girarono a
guardarmi. Forse Nicky li aveva percepiti davvero, perché era mio sposo. Invece
Edward… be’, talvolta i migliori amici intuiscono i pensieri reciproci.
Nell’osservarli capii che Edward si sarebbe trovato bene a lavorare di nuovo con
Nicky. Il suo viso era puro e semplice Edward, mentre Ted era svanito come un
sogno. La persona che mi stava osservando era la stessa che aveva minacciato di
torturarmi e di uccidermi quando ci eravamo incontrati per la prima volta, e lo
avrebbe fatto senza esitare, se il lavoro lo avesse richiesto. Ormai ero sua amica,
si preoccupava per me, sentiva la mia mancanza, confidava in me, eppure la
gelida spietatezza omicida era sempre presente in lui.
Nicky aveva la stessa espressione distaccata e gelida. Era capace di fare
quello che era necessario per sopravvivere e per portare a termine il lavoro,
quale che fosse, qualunque cosa comportasse, per quanto terribile.
Probabilmente era capace di fare cose che perfino io non avrei mai fatto.
D’altronde in certe circostanze un po’ di sociopatia è giusto per il mio mondo.
Avevo detto a Nicky che lo amavo e mi ero resa conto per la prima volta di
quanto lo amassi. Vederlo lì, assassino calmo, gelido, duro e impenetrabile come
pietra, non diminuì il mio amore, anzi, lo accrebbe.
Non ero mai stata innamorata di Devil, e nel tenerlo tra le braccia, mentre
piangeva, seppi che non lo avrei mai amato.
48

L’ ascensore si aprì e i vigili del fuoco completamente equipaggiati invasero il


corridoio, mentre io continuavo a confortare Devil. Ero sicurissima che si
sarebbero incazzati perché il sistema antincendio non aveva spento il fuoco,
perciò mi concentrai maledettamente nello svolgere il mio ruolo di angelo
consolatore per il nostro buon diavolo. Una volta assicuratisi che nessuno di noi
era fisicamente ferito, i vigili di fuoco ci lasciarono in pace.
Mentre gli lisciavo i capelli bagnati, Devil affondò il viso nel mio petto,
molto meno sensuale di quanto si potrebbe pensare a causa del giubbotto
antiproiettile. Tuttavia fu la forza disperata con cui mi abbracciava e si
aggrappava a me ad attenuare la mia collera e perfino la mia delusione. Se non lo
avessi sfruttato come pretesto per sottrarmi ai rimproveri dei vigili del fuoco, lo
avrei lasciato dopo un breve abbraccio per andare a occuparmi d’altro. In quel
momento invece non mi fu possibile non esserne commossa. Non mi avrebbe
mai più accompagnata sul lavoro e non sarebbe mai più stato mia guardia del
corpo, se non agli eventi più normali, a St. Louis, tuttavia una dura e sgradevole
ostilità nei suoi confronti che aveva tentato di radicarsi in me si attenuò.
Forse quella che vedevo come una debolezza non era affatto tale, e forse
noialtri, con tutta la nostra forza, avevamo perduto qualcosa che Devil non
avrebbe mai perso. Ormai da molto tempo non ero più il tipo di persona che
crolla in presenza d’altri, se mai lo ero stata. Mi sarebbe stato impedito
dall’orgoglio, o dall’ostinazione, o da quello che era o non era.
Comunque sia, tenni tra le braccia il nostro diavolo, il nostro Mefistofele,
mormorando: «Va tutto bene… Ho capito…»
Lui sollevò la testa a fissarmi con occhi azzurri di tigre. «Il mio compito
sarebbe quello di aiutarti e di proteggerti… Mi dispiace…»
«Sei rimasto al nostro fianco e hai combattuto sino alla fine. Non sei
scappato, hai fatto il tuo lavoro. Molta altra gente non ce l’avrebbe fatta.»
«Adesso però sono crollato…»
«Una volta concluso il combattimento e superato il pericolo, va bene. Hai
tenuto duro sino alla fine.»
«Però so che adesso mi stimi molto meno perché sono crollato.»
Gli sorrisi, un po’ più alta di lui perché ero accovacciata, mentre lui era
seduto. «Non mi accompagnerai più a caccia di vampiri, però sei abbastanza
coraggioso da ammettere di amare un uomo e io so che molti non lo farebbero
mai, anzi, si nasconderebbero. Non mi sono ancora mai mostrata in pubblico a
braccetto con Jade, che pure viene a letto con me da oltre un anno. Ci sono molti
tipi di coraggio, Mefistofele, e questo, semplicemente, non è il tuo.» In quel
momento promisi a me stessa di parlare con Jade non appena fossi tornata a
casa, e vedere di uscire a cena con lei, e magari anche con Nathaniel.
Perché non soltanto io e lei? Perché Jade mi sconcertava. Aveva più di
duemila anni, era originaria dell’antica Cina, e le differenze culturali tra noi
andavano oltre il suo essere la prima fidanzata e amante che io avessi mai avuto,
quindi per uscire con lei avevo bisogno di un sostegno.
Mentre i vigili del fuoco inveivano contro Edward per l’utilizzo del fosforo,
distinsi una stentorea voce maschile che chiedeva: «Cosa diavolo è questa
roba?» I vigili del fuoco non amano dover porre simili domande, perché sono
abituati a sapere tutto su cosa brucia e come. Edward rispose con la voce
rassicurante di Ted, senza che riuscissi a capire cosa diceva. Ero troppo lontana e
non avevo ancora riacquistato completamente l’udito.
«Credo che mi sentirei molto più tranquillo se potessi farmi una doccia e
togliermi di dosso questo schifo», dichiarò Devil.
Ricordai la prima volta che, rientrata a casa, mi ero accorta di avere materia
cerebrale di vampiro tra i capelli. Nel fissarmi allo specchio avevo cominciato a
tremare, poi ero finita a sedere sul pavimento del bagno, in modo molto simile a
Devil, senza nessuno a confortarmi. Per tanti anni mi ero sentita così sola che
forse anch’io mi sarei aggrappata a qualcuno come stava facendo lui con me, se
ci fosse stato qualcuno cui aggrapparmi. E, se avessi avuto qualcuno, sarei
diventata meno dura, oppure sarei stata comunque me stessa? Forse sarei stata
felice molto prima e molto di più? Anche se tornare indietro era impossibile,
nello scrutare il volto di Devil mi ponevo quelle domande, che non ero sicura di
essermi mai posta prima.
«Devo accertarmi che tutti i vampiri putrescenti che hanno invaso gli altri
piani siano stati giustiziati, e anche andare a vedere come stanno Micah e
Nathaniel. In seguito potremo andare a lavarci.»
«Doccia?» chiese Devil.
Annuii.
«Puoi aiutarmi a essere sicuro di non avere più nessuna schifezza addosso?»
chiese Devil, con occhi che di nuovo lasciavano trapelare l’incertezza.
«Mi stai chiedendo di fare la doccia con te?» replicai, con un sorriso
canzonatorio.
Mentre lui a sua volta sorrideva, l’incertezza nei suoi occhi fu sostituita da
felice e bramosa lussuria.
Normalmente avrei forse cancellato Devil dall’elenco dei miei amanti dopo
una battaglia come quella? Forse sì, ma, per la gioia di veder scomparire la
tristezza dal suo viso e dai suoi occhi, fare sesso con lui nella doccia non sarebbe
stato difficile.
«Sì, proprio così», confermò, e questa volta non mi abbracciò in una stretta
disperata, bensì con una dolcezza che prometteva intensa sensualità.
Può darsi che il sesso non sia la risposta a tutto, però non è neppure la
risposta peggiore a un sacco di cose. È maledettamente meglio del furore
omicida e del massacro.
49

ell’uscire dall’ascensore fummo accolti da una folla di poliziotti,

N medici, paramedici e soccorritori di ogni genere, come se durante il


nostro combattimento nel seminterrato la popolazione dell’ospedale
fosse triplicata.
Un agente in uniforme che ricordavo di avere visto in corridoio
quello stesso giorno, anche se sembrava che fosse trascorso un secolo, domandò:
«Cosa diavolo vi è successo?»
Allora tutti quanti ci guardammo. Avevamo i capelli e gli indumenti
completamente fradici e intorno ai nostri piedi si stava formando una pozza
d’acqua sul pavimento. Di certo ne avevamo lasciata un’altra nell’ascensore
senza neanche accorgercene.
L’agente in uniforme rise. «Come avete fatto a infradiciarvi così e a sembrare
appena usciti da un mattatoio?»
Allora mi resi conto che il sistema antincendio non ci aveva esattamente
ripuliti. Mi sembrava di vedere tutto frammentato, quindi anche se reagivo
meglio di Devil era possibile che fossi un po’ sotto shock. Interessante!
«Zombie», risposi.
«Eh?»
«Hanno ammazzato gli zombie», intervenne Hatfield, avvicinandosi.
«Noi abbiamo ucciso i vampiri, e nessuno di noi era in condizioni simili»,
replicò l’agente.
«Con gli zombie si fa più casino. Dacci un taglio, Lewis. Ho bisogno di
parlare coi marshal.» Hatfield vide che l’agente stava per ribattere e aggiunse:
«Basta, Lewis!»
Anche se corrugando la fronte, l’agente si allontanò.
Proprio come noi, Hatfield indossava l’equipaggiamento completo, anche se
noi avevamo più armi. D’altronde, devo riconoscere che io e Edward abbiamo
sempre avuto la tendenza a eccedere.
In quel momento un inserviente passò spingendo una lettiga con un cadavere
coperto da un lenzuolo su cui si allargava una chiazza di sangue. Evidentemente
era un cadavere molto fresco. Hatfield lo seguì con lo sguardo mentre entrava in
ascensore, finché le porte non si chiusero. I suoi occhi mi ricordavano quelli di
Devil, che nel frattempo si era ripreso e probabilmente non aveva un aspetto
peggiore di quello di tutti noialtri, a parte Yancey, che si era già riunito alla sua
squadra e ci aveva semplicemente aiutato ad ammassare e bruciare gli zombie,
perdendosi il vero casino, cioè lo smembramento a fucilate.
«Abbiamo avuto cinque morti», annunciò Hatfield, con voce aspra, perfino
rabbiosa. Non era arrabbiata con noi, era furiosa e basta.
«E Miller, ce l’ha fatta?» chiese Devil.
Hatfield scosse la testa. «Mai visto nulla di simile a questi putrescenti
bastardi. Non crepano come vampiri normali.»
Nel momento in cui mi accingevo a replicare, Edward, temendo che
pronunciassi la fatidica frase «Te l’avevo detto», mi posò una mano su un
braccio e disse: «Sono i vamp più difficili da annientare».
«I cadaveri dei vampiri sono stati trasferiti nel sotterraneo e mi sono accertata
che ognuno fosse bruciato nell’inceneritore per i rifiuti sanitari. Sono morti
abbastanza, così?»
«Può andare», confermai.
Hatfield ebbe una contrazione intorno agli occhi. «C’è il rischio che possano
sopravvivere all’inceneritore? I rifiuti sanitari devono essere distrutti
completamente, quindi ho pensato che fosse sufficiente. Se invece non è così…»
La sua voce si spezzò e lei abbassò lo sguardo al pavimento, con una mano
posata sul calcio della pistola.
Un tempo anch’io avevo toccato così la mia arma, quasi fosse un orsacchiotto
pericoloso. «Il fuoco distrugge perfino i vampiri putrescenti», assicurai.
Hatfield mi fissò, e avrei potuto definire il suo sguardo soltanto come
tormentato. Sembrava preda di un’angoscia profonda. «Ho cacciato i vampiri sul
campo. Non sono come quei novellini che si limitano a impalarli in obitorio. So
cosa significa braccarli ed esserne braccati. Però non avevo mai visto nulla del
genere.»
«I vampiri putrescenti sono molto rari in questo Paese», disse Edward, con la
voce di Ted al suo meglio.
Hatfield annuì. «Come diavolo fanno a guarire dai danni al cervello, al cuore
e alla spina dorsale, che dovrebbero uccidere qualsiasi cosa, perfino i vampiri?»
«I vampiri putrescenti sono molto simili agli zombie», spiegai. «Questo
significa che il fuoco è l’unica certezza.»
«E la luce solare?»
«Ho visto due vampiri putrescenti camminare in pieno giorno senza bruciare.
La luce diurna li rivela per quello che sono, cioè cadaveri decomposti, e
impedisce che possano passare per umani. A parte questo, non li danneggia e
non li intralcia in niente.»
«Vampiri diurni, proprio come nella leggenda», commentò Hatfield.
Scossi la testa. «Ho conosciuto vampiri abbastanza potenti da camminare di
giorno. Alcuni sono così maledettamente antichi che la luce diurna non li
danneggia più. Altri invece hanno accumulato e sviluppato sempre più poteri,
come quello di avere un animale che risponde al richiamo, o quello di levitare.»
«Tutte le volte che credo di avere visto il peggio di questi bastardi, sbaglio»,
ammise Hatfield, senza più guardarci. Fissava il vuoto, o meglio rivedeva nella
propria mente i moribondi e qualche orrore della battaglia, il cui ricordo la
perseguitava.
Come lo sapevo? Perché anch’io avevo vissuto le stesse esperienze, avevo
provato le stesse sensazioni ed ero stanca di accumulare ricordi analoghi. «I
vampiri putrescenti sono i peggiori», assicurai.
Allora Hatfield mi guardò. «Davvero?»
Sostenni il suo sguardo tormentato. «Sì.»
Hatfield fece una risata aspra. «Vorrei chiederti di promettermelo, come se io
avessi soltanto cinque anni.»
Sorrisi per attenuare quello che stavo per dire: «Mi dispiace, ma non intendo
promettere».
«Hai appena detto che questi sono i peggiori…»
«Sì, però ci sono cose che mi hanno spaventata di più, vampiri che mi hanno
maledettamente terrorizzata.»
«Come quello che hai ucciso a Las Vegas…»
«Sì, quello era assolutamente spaventoso.»
«È vero che poteva evocare i jinn, tipo i geni che realizzano i desideri?»
«Sì.»
«Non credevo neppure che i jinn esistessero, se non nelle vecchie fiabe…»
«Neanch’io lo credevo.»
«Be’, cazzo…»
Annuii. «’Cazzo’ è un commento adeguato.»
«Ma questi vampiri sono morti, vero? È finita, a parte i due in arresto che
potrò uccidere più tardi, oggi stesso…»
«Dobbiamo scovare il vampiro master che è dietro tutto questo, Hatfield.
Fino a quando non sarà morto continuerà a creare vampiri putrescenti, e noi
avremo altri zombie cannibali. Abbiamo bisogno che i due vampiri in arresto
rimangano in vita, in modo che io possa interrogarli domani notte. Sono la
migliore possibilità che abbiamo per scoprire il nascondiglio diurno del master e
distruggerlo una volta per tutte.»
Lei annuì e, proprio come Devil nel seminterrato, mosse la testa troppo in
fretta e troppe volte. «Forrester mi ha convinta a non ucciderli subito e, se tu mi
dici che vivi sono più preziosi che morti, allora ti credo, Blake. Prima non ti ho
creduto e parecchia gente ci ha rimesso la vita. Presto sarà l’alba. Cosa possiamo
fare in attesa che i vamp si destino e possano essere interrogati?»
«Sono assistiti da un avvocato», ricordò Edward. «Interrogarli non sarà facile
come al solito.»
«Quella nuova legge di merda!» Hatfield mi scrutò come se cercasse di
leggermi nel pensiero. «Con tutto quello che sai su questi bastardi, come hai
potuto contribuire a produrre una legge che riconosce loro i diritti civili?»
«Sono una sostenitrice dei diritti civili anche se ho indagato sui crimini di
alcuni serial killer umani.»
«Non è la stessa cosa.»
«Su quanti crimini seriali hai indagato?»
«Tutti i vampiri su cui ho indagato avevano commesso numerosi omicidi.»
Scossi la testa. «Molti vamp uccidono per nutrirsi o per creare altri vampiri.
Non sono affetti dalla medesima patologia dei serial killer, anche se,
tecnicamente, nel loro insieme sono classificati tali.»
«E allora?» Hatfield parve irritata, uno strascico del comportamento che
aveva avuto in precedenza.
«Ho visto serial killer umani compiere azioni così spaventose che vampiri e
licantropi, per quanto terribili, non sono poi così orribili per me.»
«Perché no?» chiese Hatfield, lasciando trapelare qualcosa di prossimo alle
lacrime insieme con l’irritazione.
«Perché siamo umani, maledizione, e dovremmo ricordarlo e comportarci di
conseguenza. I serial killer non lo ricordano affatto.»
«Può essere peggio di quello che abbiamo visto stanotte?»
Non seppi se accarezzarle la testa o riderle in faccia.
Edward mi salvò: «Marshal Hatfield, i mostri peggiori che io abbia mai visto
erano tutti umani».
«Non voglio crederlo», replicò Hatfield, con gli occhi lustri.
«Nessuno vuole crederlo, ma questo non lo rende meno vero.» Edward
sembrò comprensivo, quasi gentile, e io sapevo che non lo era, non a proposito
di una cosa del genere. Quando necessario, era un attore consumato, e nel
recitare la parte di Ted era da premio Oscar, tanto che continuavo a non capire
come ci riuscisse.
Infatti Hatfield, nel fissarlo a occhi spalancati per impedire alle lacrime di
colare, si bevve tutta la sua comprensione, inghiottendo amo, lenza e
galleggiante. «Ho bisogno di andare… di fare qualcosa…» Si diresse alla porta
per uscire all’aperto.
Forse aveva bisogno di aria, eppure sarei stata pronta a scommettere che
voleva semplicemente evitare di essere vista piangere. Nessuno sbirro vuole che
altri sbirri lo vedano piangere, ma nessun collega avrebbe mai dimenticato se
una donna fosse stata vista piangere sulla scena del crimine, e vomitare è sempre
meglio che piangere.
«E adesso?» chiese Devil.
«Un bacio a Nathaniel e a Micah, poi mi piacerebbe finalmente vedere
l’albergo, lavarmi e dormire qualche ora.»
«Di solito, quando siamo sul lavoro, sono io che devo costringerti a
dormire», osservò Edward.
«Forse sto invecchiando.»
«Sei più giovane di me.»
Sorrisi. «Forse mi sento un po’ stanca perché sono appena stata dimessa
dall’ospedale dopo che mi hanno sparato, e ho trascorso le ultime ore a
combattere una battaglia brutale contro un branco di zombie assassini.»
Sogghignando, Edward si calcò il cappello in testa. «Un po’ stanca…»
«Un po’ stanca», ripetei, sorridendo.
«Be’, io sono esausto», intervenne Nicky.
«Credevo che i leoni fossero dotati di immensa resistenza», commentò Devil,
con gli occhi spalancati e colmi d’innocenza, troppa innocenza.
Fissandolo, Nicky inarcò un sopracciglio. «Abbiamo più resistenza delle
tigri. Non che voglia dire granché…»
Devil sogghignò. «Conosco un modo per dimostrare quale felino ha più
resistenza.»
Anche Nicky sogghignò.
«Non so se tapparmi le orecchie e andarmene canticchiando, oppure trovare
altre guardie con cui scommettere», intervenne Edward.
Lo fissai, corrugando la fronte.
Anche Edward sogghignò.
Con tutti e tre che mi guardavano sogghignando, cosa avrei potuto fare se
non sogghignare anch’io? «Benissimo! Però non sono sicura di essere all’altezza
di niente su cui si possa scommettere, stanotte.»
Devil si finse imbronciato e Nicky si mostrò compiaciuto.
Li scrutai a occhi socchiusi. «Capisco l’imbronciato, ma perché il
compiaciuto?»
«Sei stanca morta, sei stata appena dimessa dall’ospedale, hai già nutrito
l’ardeur, eppure non hai detto di no», replicò Nicky.
Scossi il capo.
Nicky mi si accostò per sussurrare: «Ti amo anch’io».
Tardai un momento a capire a cosa si riferisse, e questo mi rivelò quanto fossi
stanca. Comunque quando il mio cervello riuscì a decifrare il commento arrossii
di un bel rosso acceso, cosa che ormai mi capitava di rado.
Nicky scoppiò in un’acuta risata di delizia, manifestando una tale felicità da
attirare gli sguardi della gente intorno.
«Erano anni che non ti vedevo arrossire così», commentò Edward.
«Andate a fare in culo tutti e due.» Ciò detto, mi recai all’ascensore. Volevo
vedere Micah e Nathaniel prima di andare in albergo. Forse provavo meno
ripugnanza di Devil, però mi sentivo addosso roba più schifosa del sangue e non
volevo nemmeno sapere quanta ne avessi tra i capelli, né cosa fosse esattamente.
Subito dopo avere premuto il pulsante mi resi conto che mentre io ero tutta
imbrattata di carne putrescente e di sangue fresco, come gli altri, il padre di
Micah aveva una ferita aperta che i medici avevano lasciato esposta all’aria. Non
potevamo avvicinarci a lui.
Misi l’auricolare, nella speranza che Micah e Nathaniel potessero scendere
per incontrarci dabbasso o fuori. Avevo bisogno di vederli, abbracciarli e sapere
che stavano bene. Una voce al telefono non mi bastava.
Stranamente non ero sicura di poter dormire, benché mi sentissi esausta. A
volte succede così, dopo un combattimento. Ci si sente eccitati, oltre che
spossati.
Al telefono, Nathaniel mi disse che lui e Micah sarebbero scesi a darmi la
buonanotte. Evviva! Doppio, triplo evviva!
L’attimo successivo mi si colmarono gli occhi di lacrime. Di solito non ero
così emotiva subito dopo un’orgia di violenza. Qualche volta invece è come se la
mia mente non riesca ad affrontare la situazione in modo usuale e tenti diverse
strategie, come l’umorismo, il sarcasmo, la spossatezza, l’imbarazzo, la
tristezza…
Un tempo ero riuscita a sopravvivere attraverso l’intorpidimento. Il problema
era che, nel tentare di affrontare le situazioni in cui il mio lavoro mi gettava, ero
diventata indifferente a tutto e avevo rischiato di sprofondare in una maledetta
depressione. Allora Jean-Claude mi aveva trovata e aveva abbattuto le mura che
avevo costruito con cura intorno a me stessa. La buona notizia era che non ero
mai stata più felice. Quella cattiva era che nel provare amore avevo provato
anche altre cose, alcune delle quali non così belle.
Quando l’ascensore si aprì trovai Micah e Nathaniel ad aspettarmi, e il
massimo che mi fu possibile fare fu di non gettarmi singhiozzando tra le loro
braccia. Due cose me lo impedirono. In primo luogo, se li avessi abbracciati li
avrei imbrattati di poltiglia di zombie, quindi Micah avrebbe dovuto fare una
doccia prima di poter tornare in camera del padre. In secondo luogo, io stessa
non lo avrei mai dimenticato, se mi fossi gettata tra le braccia del mio fidanzato
scoppiando in un pianto dirotto. Gli altri sbirri mi avrebbero considerata «una
femminuccia», mentre io avevo bisogno di essere considerata una di loro, come
un uomo, «uno dei ragazzi». Comunque nel porgere le mani a Micah e a
Nathaniel, anziché lanciarmi tra le loro braccia come avrei voluto, non fui affatto
sicura che valesse la pena di essere «uno dei ragazzi».
50

uando ci presentammo in albergo, un’ora prima dell’alba, il portiere ci

Q fermò.
Dato che volevo parlare con Jean-Claude finché mi era possibile,
avevo finito la mia scorta di pazienza. «Vogliamo soltanto andare in
camera nostra.»
Mentre il portiere ci squadrava da capo a piedi, l’espressione del suo viso
rivelò che non credeva affatto che avessimo una camera nel suo bell’albergo.
Probabilmente costava tanto che nessuno sbirro se la sarebbe mai potuto
permettere col proprio stipendio.
Quando Edward mi posò una mano sopra una spalla, mi resi conto di essere
avanzata di un passo verso il banco. «Calma», mi sussurrò.
All’improvviso avevo il cuore in gola. Mi sembrava quasi di soffocare. Cosa
mi stava succedendo? Annuii per assicurargli che avevo capito.
Col suo sorriso Devil rabbonì e rassicurò il portiere, mostrandogli la chiave
magnetica. Aveva visto le stanze mentre io ero a caccia di vampiri in montagna
con Nicky e Ares.
Pensare ad Ares mi provocò un’angoscia opprimente che, come ben sapevo,
avrei continuato a provare per qualche tempo. Se non altro, non era stato mio
amante. Me ne sentii sollevata, e subito mi rammaricai del mio sollievo, senza
per questo smettere di provarlo.
Avevamo a disposizione parecchie stanze perché Jean-Claude aveva affittato
un intero piano dell’albergo. Dunque avevamo potuto invitare Edward a restare
per la notte. Un letto c’era sicuramente, o almeno così aveva detto Devil; benché
non intendessi più averlo come aiutante nell’esecuzione di un mandato, ero certa
di potermi fidare quando riferiva a proposito delle camere e dello spazio per
dormire disponibile. C’erano molte persone cui mi affidavo per amministrare
certi aspetti della mia vita e in cui non avrei mai confidato per proteggermi,
proprio come coloro in cui confidavo affinché mi coprissero le spalle in
combattimento avrebbero fatto schifo come organizzatori o come amministratori.
Ognuno di noi aveva le proprie capacità.
Coi capelli ancora impastati di sangue e col sorriso che riservava di solito
agli approcci sessuali, Devil riuscì a rabbonire il portiere, che forse preferiva i
maschi, o forse semplicemente lo trovava simpatico. Non lo sapevo e non me ne
fregava granché, purché servisse a farci salire al più presto nelle nostre camere.
All’ascensore, Edward mi chiese di tenere aperta la porta mentre lui e Nicky
portavano dentro le borse piene di armi. Normalmente avrei insistito per aiutarli,
ma sarebbe stato un guaio se la porta si fosse richiusa con le armi dentro e noi
fuori. Così la tenni aperta mentre loro ammassavano il bagaglio, occupando
quasi tutto lo spazio a disposizione. Poi Edward tenne aperta la porta per
consentire di entrare a me e a Nicky, che mi cinse con un braccio senza che io
protestassi; anzi, mi strinsi a lui quanto più lo permetteva il giubbotto
antiproiettile, abbandonandomi al suo abbraccio e alla piacevole sensazione di
conforto che mi procurava. Non appena Devil ci ebbe raggiunti di corsa, Edward
entrò a sua volta lasciando che la porta si richiudesse.
«Il portiere si è offerto di aiutarci coi bagagli», annunciò Devil.
«Gli piacciono i maschi o sai affascinare anche senza implicazioni sessuali?»
domandai.
«Senza implicazioni sessuali…» Devil sogghignò. «A quanto pare, non sei
così stanca come credevo.»
Lo fissai, corrugando la fronte.
Nicky mi strinse un po’ più forte a sé, attirandosi un’occhiataccia analoga.
Il sogghigno di Devil si allargò, anziché spegnersi. «Sì, il portiere preferisce i
maschi.»
«Vuoi dire che forse lo vedrai più tardi?» chiese Edward.
«Niente di così impegnativo», assicurò Devil.
«E questo cosa vorrebbe dire?» domandai, in un tono che suonò irritato alle
mie stesse orecchie.
«Significa che non si è offerto, e al tempo stesso ha lasciato credere al
portiere che pure a lui piacciono i maschi», spiegò Nicky.
Sempre avvolta nel suo abbraccio, lo guardai dal basso, sentendomi una
bambina. Mi scostai subito da lui.
«Cos’ho fatto di male?» chiese Nicky.
«Come l’hai capito?»
«Flirtare per distrarre funziona allo stesso modo sia con le donne sia con gli
uomini, Anita.»
«Dunque l’hai fatto anche tu?»
«Quand’ero col mio primo branco di leoni sono stato usato come giovane
carino per distrarre qualcuno durante alcune missioni, perciò… sì.» Nicky
rimase impassibile e impenetrabile, nel suo modo tipico di nascondere ciò che
provava, quando provava qualcosa. Le torture e gli abusi lo avevano privato dei
sentimenti; o meglio i sentimenti che provava erano nascosti e alquanto perversi.
«Mentre sei sul lavoro, fai qualcosa di più che flirtare?» domandai.
«Non farlo», ammonì Edward.
Gli scoccai un’occhiataccia. «Che cosa?»
«Provocare le persone che ami perché hai finalmente un po’ di tempo senza
dover affrontare nessuna emergenza. Tutti i sentimenti che hai accumulato
stanno cercando uno sfogo e, se non lo troveranno, faranno a pezzi te e tutti
coloro che ti stanno intorno.»
Ci scrutammo.
Avrei voluto chiedergli quale persona cara avesse fatto soffrire, perché
sapevo che non si trattava di Donna e dei ragazzi. A chiunque si riferisse, era
stato prima che lo conoscessi. Se fossimo stati soli glielo avrei chiesto, e lui mi
avrebbe risposto soltanto se fossimo stati soli, o forse non avrebbe risposto
comunque, neppure a me.
La porta si aprì e Devil uscì per primo. Mentre Edward ispezionava il
corridoio, Nicky si parò dinanzi a me, nascondendomi alla vista, pur sapendo
che adesso che lo amavo la sua disponibilità ad assumersi il rischio di beccarsi
una pallottola al posto mio assumeva un significato del tutto nuovo.
Da un mormorio di voci maschili emerse distintamente una frase: «Spiacente,
ma sono gli ordini».
«Qualcosa non va?» domandai, reprimendo l’impulso a sporgermi dal corpo
di Nicky per sbirciare.
«Claudia è a capo dei bodyguard e pare che sia contrariata», rispose Edward,
tenendo aperta la porta dell’ascensore.
«Perché?» domandai. «Cosa abbiamo fatto?»
«Tu non sei nei guai», replicò Devil. «Noi sì.»
«Perché?» chiese Nicky.
«Per avere permesso che Anita fosse ferita, a quanto pare.»
«Quando lavoro, voi ragazzi non potete proteggermi.»
«Claudia è incaricata di provvedere alla sicurezza di Jean-Claude e di Anita»,
spiegò una voce maschile. «Quindi vi punirà tutti e due.»
«Lisandro, sei tu?»
Quando gli girai intorno, Nicky mi prese per mano anziché impedirmelo, così
uscimmo insieme dall’ascensore, tenendoci per mano.
«Sì, sono io.» Alto più di un metro e ottanta, ispanico, bello, coi lunghi
capelli neri raccolti in una coda di cavallo, Lisandro indossava giacca nera, T-
shirt nera, jeans neri e stivali neri. La giacca non nascondeva la pistola alla
cintura così bene come l’avrebbe nascosta se lui avesse avuto i fianchi meno
snelli e le spalle meno larghe, però Lisandro si allenava come tutte le altre
guardie, e con grande impegno, a differenza di Devil. Era di corporatura snella e
non sarebbe mai diventato grosso quanto Nicky, però aveva una gran bella
muscolatura, e nel combattere era più abile di quanto sembrasse. Eppure…
«Non dovresti lasciare la città per lavoro», osservai.
«Quando Jean-Claude ha deciso di partire, Rafael ha voluto le guardie
migliori. Claudia è il capo e io sono il luogotenente, perché siamo i migliori»,
dichiarò Lisandro senza affettazione e senza boria, come pura e semplice
constatazione.
Non replicai. Cosa avrei dovuto dire? Che, da quando aveva rischiato di
essere ucciso nel proteggermi durante una trasferta, non lo volevo più con me
perché non volevo trovarmi costretta a dire a sua moglie e ai suoi figli che era
morto per salvarmi la vita? O che, nell’affrontare la Madre di Tutte le Tenebre e
Morte d’Amour, l’emergenza mi aveva costretta a nutrire l’ardeur con lui, e sua
moglie aveva assicurato che non c’era problema, ma che se avesse fatto sesso
con me ancora una volta lei avrebbe divorziato e se ne sarebbe andata coi
ragazzi, e io non volevo assolutamente rischiare che tutto ciò accadesse?
«Ehi, questo significa che pure io sono uno dei migliori!» intervenne
Emmanuel, l’unico ispanico con gli occhi chiari che io abbia mai visto. In estate
si abbronzava, però mai quanto era abbronzato Lisandro normalmente. Aveva
meno di venticinque anni, anche se non avrei saputo precisare quanto, dunque
era uno dei nostri bodyguard più giovani.
«Devi esserti addestrato a nostra insaputa, perché l’ultima volta che ho
controllato non riuscivi a battermi in niente», ribatté Devil, sorridendo per
mostrare che scherzava.
«Be’, tu non te la sei cavata granché bene a proteggere Anita, vero?»
Fu una battuta, però colpì nel segno e Devil smise di sorridere; anzi, per un
attimo il suo bel viso si fece tanto serio che un rivolo di energia si disperse nel
corridoio a rivelare che era davvero incazzato. Le tigri dorate sono fiere del
dominio assoluto che di solito esercitano sulle loro bestie interiori.
«Ehi, mi dispiace», aggiunse subito Emmanuel. «Sono stato inopportuno.»
Era sinceramente imbarazzato, e ne aveva motivo.
«Dobbiamo affidare Anita alle guardie nel salone e poi scortare voi due da
Claudia. Non ho ordini per… marshal Ted», dichiarò Lisandro.
«Ho pensato che avessimo spazio per ospitarlo. Se ci sarà da combattere, sarà
meglio averlo con noi», spiegò Devil.
«Non posso certo obiettare a proposito del combattere. E abbiamo tutto il
piano per noi. Quindi possiamo accoglierlo.»
«Grazie», disse Edward con la voce di Ted, perfino sorridendo.
Lisandro lo fissò a occhi socchiusi perché sapeva esattamente chi era, mentre
Edward continuava a essere Ted per non rischiare di dimenticarsi di esserlo in
presenza degli sbirri.
«Non credevo che Claudia lavorasse fuori città», dichiarai.
«Non abbiamo avuto il tempo di richiamare Bobby Lee, e Fredo aveva un
impegno di famiglia, quindi eravamo disponibili soltanto io e Claudia.»
«Mi dispiace.» Nel dirlo, mi chiesi se Lisandro capisse per cosa mi scusavo.
Col bel viso bruno che si apriva in un sorriso luminoso, Lisandro commentò:
«Hai rischiato di morire e ti scusi perché abbiamo dovuto lasciare la città senza
preavviso…» E scosse la testa.
«Voglio le armi in camera con me», dissi. «Se saremo tutti armati, saremo più
pronti a reagire in qualsiasi momento.»
Nessuno replicò. Prendemmo le borse, e Lisandro ci precedette alla porta;
bussò con due colpi lievi e uno pesante, come un segnale. Erano tutti così alti e
grossi che non vidi chi aprì la porta; sono da sempre abituata a essere la più
piccola, soprattutto con le guardie del corpo. Lasciammo le borse accanto alla
porta perché erano un notevole ingombro anche se l’appartamento era grande.
Finalmente lo vidi. La sala era quasi interamente occupata dalle bare, che
lasciavano libero soltanto un corridoio dalla finestra al bagno. Jean-Claude
avrebbe potuto dormire nel letto, certo, ma molti vampiri antichi preferiscono
viaggiare con la bara. E poi, se durante il giorno una cameriera avesse aperto le
tende, casualmente o intenzionalmente, le conseguenze sarebbero state molto
brutte. Molte cameriere sono devotamente religiose e provengono da Paesi in cui
i vampiri non hanno diritti e possono essere ammazzati a vista, se ci si riesce
prima di essere massacrati. Semplicemente, non vale la pena rischiare. I vampiri
moderni viaggiano col sacco a pelo, che è molto più facile da trasportare. Le
bare sono per i vampiri assistiti dai servi umani e dai domestici, come Jean-
Claude. Alcune di quelle bare, infatti, erano per i servi.
Salutandolo con un bacio, lasciai che Nicky andasse con Lisandro a prendersi
una lavata di testa da Claudia per qualcosa di cui non era responsabile.
Comunque capivo la catena di comando abbastanza bene da sapere che lei si
sarebbe incazzata ancora di più se avessi interceduto per lui. Coi suoi due metri
scarsi, Claudia era la donna più alta che avessi mai conosciuto, ed era muscolosa
e larga di spalle in proporzione, eppure riusciva a essere femminile, pericolosa
ma bella. Senza trucco, con gli zigomi alti e coi lunghi capelli raccolti
solitamente in una coda di cavallo, come Lisandro, era una delle donne più belle
che avessi mai visto.
Mentre Edward con le sue borse piene di giocattoli pericolosi seguiva Nicky
e Lisandro, Devil si affacciò alla porta prima di seguirli a sua volta. «Sei sempre
intenzionata ad aiutarmi a lavarmi?»
Non mi fu possibile fare a meno di sorridere. «Certo.»
Con spinta lieve, Emmanuel lo cacciò. «Sei proprio un animale in calore!»
«Sì, hai indovinato!»
Quando la porta si fu chiusa alle loro spalle, mi girai a guardare oltre le
montagne dei nostri bagagli e le bare. Scoprii con quali bodyguard ero rimasta e
sorrisi.
La protezione di Jean-Claude era affidata a Wicked e a Truth, entrambi belli,
alti, coi capelli lunghi che cadevano sulle spalle larghe, lisci e biondissimi quelli
di Wicked, castani e un po’ ondulati quelli di Truth. Entrambi avevano una
profonda fossetta nel mento squadrato e virile. Quella di Truth si vedeva da
quando si era rasato l’ombra di barba che aveva sempre avuto prima, pur
sapendo che, come accade alla maggior parte dei vampiri, non gli sarebbe mai
ricresciuta. Benché tra loro vi fosse un anno di differenza, sembravano gemelli.
Non dubitavo che fosse stato Wicked a scegliere i completi che indossavano,
grigio chiaro per lui e grigio antracite per Truth, con camicia azzurra per
entrambi a esaltare l’azzurro degli occhi, rendendoli più azzurri di quanto li
avessi mai visti.
Nel guardarmi sembrarono per un momento l’uno l’immagine riflessa
dell’altro, poi Wicked sorrise, arrogante e beffardo, a dissolvere l’illusione,
perché Truth era di gran lunga troppo serio per sorridere così. «Non serve a
niente inviare bodyguard a proteggerti se insisti ad andare a caccia di mostri
senza di noi», esordì Wicked.
«Sei uno sciocco, fratello», commentò Truth, avanzando come un becchino
tra le bare. Sembrava di essere in un’impresa di pompe funebri!
«Avevo una guardia del corpo», replicai, con voce pacata.
«Sì, sono uno sciocco», ammise Wicked. «E mi dispiace molto per Ares.»
Quando Truth mi abbracciò, mi abbandonai alla sua forza e alla sua solidità.
Nel ricambiare il suo abbraccio trovai involontariamente le armi nascoste dalla
giacca, cioè le pistole nel sistema ascellare e la spada corta, lunga quanto il mio
busto, nel fodero sulla schiena, simile a quello in cui io portavo il pugnale lungo.
Il suo bagaglio conteneva sicuramente la spada lunga, la sua vera spada. Anche
per quella aveva un fodero da appendere sulla schiena, però non si poteva
nascondere sotto la giacca, come non si poteva nascondere la scure. D’altronde
le scuri sono come le mitragliatrici, servono per intimidire e per massacrare, non
si nascondono. Comunque aveva anche scuri piccole, e quelle da lancio in effetti
si potevano nascondere sotto la giacca, seppure a stento.
Mi piaceva che abbracciare Truth fosse sempre una sorta di corsa a ostacoli
con le armi nascoste. Probabilmente suscitavo la medesima sensazione ad alcuni
uomini della mia vita, anche se non ero sicura che a loro piacesse.
Stringendomi a sé, Truth mi accarezzò i capelli. Era uomo di poche parole,
quindi non si aspettava grandi discorsi dagli altri, e questa in certi momenti era
un’ottima cosa.
Interrompemmo l’abbraccio nello stesso momento. Guardandolo in viso
scoprii che i suoi occhi sorprendentemente azzurri erano diventati più grigi, e
capii che erano mutati perché era triste, o sentiva che io lo ero. Succede così con
gli occhi grigio-azzurri.
Avvicinatosi, Wicked dichiarò, col bel viso estremamente serio:
«Comprendiamo cosa significa essere costretti a uccidere un amico e un
compagno d’arme, Anita».
Sapevo che diceva sul serio. Secoli prima il capostipite della loro stirpe, la
loro sourdre de sang, era impazzito ed era stato posseduto da una frenetica
brama di sangue che aveva contagiato tutti i vampiri da lui creati, tranne Wicked
e Truth, i quali avevano giustiziato tutti i vampiri della loro stirpe, una stirpe di
guerrieri, prima che i carnefici del Consiglio dei Vampiri arrivassero a eseguire
le sentenze di morte.
Passai un braccio intorno ai fianchi di Wicked, senza lasciare Truth con
l’altro, e loro abbracciarono me. Fu Wicked a chinarsi per baciarmi. Era lui il più
audace in certi ambiti.
«La Madre Tenebrosa non ci ha mai concesso simili libertà.»
Ci girammo proprio verso uno dei carnefici inviati a eseguire quelle sentenze
di morte, tanto tempo prima. Era Mischa, un sicario dell’Arlecchino che per
secoli aveva portato la maschera e il nome di Graziano, il personaggio del
Dottore, uno dei «vecchi» della Commedia dell’Arte. Gli unici a vedere il suo
vero volto erano stati coloro che aveva spiato o che aveva ucciso, l’ultima cosa
vista in questo mondo da migliaia, o forse milioni, di vittime. Alcuni sicari
dell’Arlecchino avevano più di duemila anni, un periodo nel corso del quale è
possibile mietere una quantità impressionante di vite. Molti erano come le vere
spie, cioè individui così comuni e così perfettamente inseriti nell’epoca e nel
Paese in cui agiscono da risultare invisibili. Infatti le vere spie non sono come
James Bond e non hanno nessun desiderio di spiccare né di attirare l’attenzione.
Se si è così famosi che i baristi di tutto il mondo sanno che si preferisce il
Martini agitato e non shakerato, come il Bond vecchia maniera, allora non si è
una spia, bensì uno specchietto per allodole inviato ad attirare l’attenzione in
modo che le vere spie possano agire nell’ombra indagando o assassinando
furtivamente per poi scomparire.
Col suo metro e ottanta abbondante, Mischa era alto come sicario
dell’Arlecchino, con capelli simili a quelli di Wicked, folti, lisci, biondi, però di
un biondo platino anziché oro, perché era più antico e la luce del sole non li
sfiorava da oltre mille anni. I suoi occhi erano azzurri come i cieli estivi, eppure
non erano caldi, bensì gelidi. Senza dubbio era stato reclutato dall’Arlecchino
dove quei capelli biondi e quegli occhi azzurri erano parsi ordinari e non
avevano attirato l’attenzione, tipo un Paese scandinavo.
«Anita è una padrona più gentile della Madre di Tutte le Tenebre», replicò
Truth.
«Geloso?» domandò Wicked.
«La padrona di tutti noi non dovrebbe essere gentile, dovrebbe guidare.»
«Anita ci guida ovunque sia necessario andare», dichiarò Truth.
«Lo sai bene anche tu», aggiunse Wicked. «Semplicemente sei geloso perché
noi godiamo del suo favore e tu no.»
«Questo non è vero, e tu lo sai. Dici queste cose soltanto per cercare di farmi
arrabbiare.»
«Io stesso ero geloso delle guardie che godevano dei suoi favori, prima di
essere accolto nel suo letto», confessò Wicked.
«Questo vale per te. Io sono di stoffa più robusta.» Mischa si allontanò dalla
porta che aveva alle spalle, che doveva essere quella del bagno.
«Non mi hai ancora sconfitto nella scherma, né mi hai superato nel tiro al
bersaglio con la pistola», ricordò Wicked.
Arrossendo, Mischa strinse i pugni con le braccia lungo i fianchi. Per essere
un vampiro molto antico, era sorprendentemente suscettibile alle provocazioni.
Molti vampiri antichi hanno un dominio delle emozioni spaventoso, quasi…
inumano. «Vi ho superati entrambi col coltello e col fucile.»
«Comunque non hai superato nessuno di noi due con la spada e con la
pistola», insistette Truth. «E rifiuti di misurarti con me nell’uso della scure.»
Non si sarebbe immischiato se lo stesso Mischa non li avesse chiamati in causa
entrambi. Di rado era lui a iniziare uno scontro, però era sempre lui a finirlo.
Una volta coinvolto, dava importanza al risultato. Invece Wicked era più incline
a provocare e poi a lasciar perdere con una risata, senza curarsi di chi avesse
vinto o perso, almeno di solito.
«Perfino io ti ho superato con la pistola», intervenni.
«Tirare al bersaglio non è come combattere», sentenziò Mischa.
«Sparo benissimo in combattimento», ribattei.
«Il tiro che ti ho visto eseguire nel filmato trasmesso dal notiziario mi ha
molto impressionato», confessò Mischa, quasi addolorato. «Non ti avrei mai
creduta capace di compierlo.»
«È stato necessario, perciò l’ho fatto.»
Mischa annuì. «La necessità non assicura la capacità, Anita Blake. Che tu ne
sia stata capace in condizioni tanto difficili è stato… impressionante.»
«Eppure detesti riconoscerlo», osservò Wicked.
«La nostra Madre Tenebrosa era un’arma essa stessa», ricordò Mischa,
scoccandogli un’occhiata ostile. «Non aveva bisogno di armi di nessun genere e
si addestrava con noi. Era molto più pericolosa di quanto chiunque di noi
avrebbe mai potuto essere.»
«Allora questo significa che Anita è più pericolosa di tutti i sicari
dell’Arlecchino superstiti?» chiese Wicked.
«No», rispose Mischa, quasi sputando quell’unica sillaba.
«Hai detto che la Madre di Tutte le Tenebre era più potente di chiunque di
voi. Non credi allora che lo sia anche colei che l’ha uccisa?» domandò Truth.
Mischa scosse la testa.
«Discutono tra loro di come sia possibile che una donna meramente umana
abbia potuto annientare la loro Madre Tenebrosa.» Dalla camera da letto arrivò
un uomo più grande e più grosso di Mischa, alto quasi un metro e novanta, spalle
larghissime, corti capelli castani ricci e scompigliati, occhi di un cupo castano-
rossiccio che sembravano umani senza esserlo affatto. Erano occhi di orso, un
grosso e antico orso delle caverne. Era Goran, già orso mannaro quando le
principali città del mondo non erano che piccoli spiazzi per la vendita di
bestiame, e Mischa era ancora più antico. Se avessi abbassato le mie difese per
percepirli con la mia negromanzia, la loro antichità mi avrebbe fatto dolere le
ossa.
«Non esiste un solo essere umano in questa camera», dichiarai. «Dov’è Jean-
Claude?»
«Nella stanza attigua, al telefono», rispose Wicked, con una strana
intonazione quasi impercettibile. Evidentemente Jean-Claude stava parlando con
qualcuno che, chiunque fosse, non gli piaceva.
Invece Mischa non aveva nessun problema a dichiarare a voce alta cosa non
gli piaceva. «Il nostro signore e padrone è al telefono col sodomita che lo ha reso
schiavo della fica.»
«Sodomita?» chiesi.
«Si riferisce ad Asher», spiegò Wicked. «Se fossi in te, Mischa, non mi farei
sentire da Jean-Claude a parlare così del suo amato.»
«Un momento!» intervenni. «Se il significato del termine non è cambiato,
come può un sodomita rendere schiavi della fica?»
«Il significato del termine non è affatto cambiato.» Truth lanciò un’occhiata
ostile al sicario dell’Arlecchino. «Sta soltanto cercando di essere sgradevole.»
Mi avvicinai al vampiro antico e all’orso mannaro che era suo compare.
«Alla faccenda della sodomia non posso obiettare, ma non avresti dovuto dire
piuttosto ’schiavo del cazzo’?»
Accortosi che mi stavo burlando di lui, ma incerto sul come, Mischa mi fissò
con ira. Avevo notato che quasi tutti i vampiri antichi hanno difficoltà con certe
forme del linguaggio moderno, come il gergo, o come il turpiloquio, che non si
trasferisce facilmente da una lingua all’altra.
Avevo Truth alle mie spalle, e Wicked si era spostato tra le bare lungo il lato
opposto del tavolo enorme che occupava gran parte della sala. Un divano e un
tavolino erano stati addossati a una parete per fare posto alle bare. Il cucinotto
non si poteva spostare, quindi occupava lo spazio che occupava.
«È imbarazzante per tutti noi che il nostro Tenebroso Padrone stia
implorando quel sodomita di tornare a St. Louis.»
«Ti ho permesso di chiamarlo così una volta e ti ho già detto che non mi
piace, ma forse sono troppo stanca per farmi capire senza essere più esplicita.»
«Tu stessa hai ammesso di non poter respingere l’accusa di sodomia», ribatté
Mischa.
«Quello che ciascuno di noi fa in privato non ti deve riguardare, se non sei
nostro amante. E, dato che non lo sei, perché t’importa quello che facciamo o
con chi lo facciamo?»
«È un insulto per tutti noi che colui che consideriamo nostro principe si lasci
maltrattare così da un altro uomo.»
Fissandolo, corrugai la fronte. «Dunque ti consideri offeso perché pensi che
Jean-Claude si faccia mettere sotto da Asher?»
Mischa annuì. «Questa non è l’espressione che avrei usato io, però è molto
precisa, date le circostanze.»
Sorrisi, rischiando di scoppiare a ridere, ed ero troppo stanca per non dire
quello che pensavo. «Be’, se questo è quello che ti preoccupa, allora puoi
smettere di preoccuparti. Jean-Claude non si fa affatto mettere sotto da Asher, sta
sempre sopra!»
«Vuoi dire che Jean-Claude è attivo e non passivo?» replicò Mischa, senza
capire che avevo alluso al BDSM.
«Se vuoi metterla così, sì», risposi. Almeno quando sono con loro, mi dissi.
Non sapevo se invertissero i ruoli quand’erano soli. Comunque era affar loro e
non ero sicura che mi desse fastidio. In verità, anche se non li avevo mai visti
scambiarsi i ruoli, questo non voleva dire che… Oh, al diavolo! Ero troppo
stanca per crucciarmi di qualcosa che ormai non m’impensieriva più. «Sai una
cosa, Mischa? Gli uomini mi piacciono, mi piace guardare gli uomini che amo
stare insieme, sapendo che poi tutta quella forza e tutta quella bellezza saranno
consacrate a me, perciò piantala di fare l’omofobo. Sono troppo stanca per
pensare a queste stronzate.»
Non so cosa avrei aggiunto, perché in quel momento la porta fu aperta e
Jean-Claude entrò. Mischa ci guardò e quello sguardo fu sufficiente. Non
avrebbe mai rivelato a Jean-Claude quello che aveva appena detto a me, e il fatto
che fosse disposto a dirlo soltanto a me manifestava mancanza di rispetto nei
miei confronti. Aveva paura della reazione di Jean-Claude, non della mia. Così
archiviai nella memoria questa consapevolezza con l’intenzione di servirmene in
futuro, all’occorrenza, quando non fossi più stata esausta e tutta imbrattata di
sangue e di carne di morti che avevo contribuito a rendere ancora più morti.
Nel vedermi, Jean-Claude sgranò gli occhi. «Mi rendo conto che sei stata
molto impegnata stanotte, ma petite…» Aveva l’accento più marcato del solito,
quindi stava tentando di celare forti emozioni senza riuscirci del tutto, e io
apprezzavo lo sforzo perché sapevo che intendeva dire qualcosa come: Sei tutta
imbrattata di sangue e anche di peggio, quindi ti sei trovata in un tremendo
pericolo e probabilmente hai rischiato di morire… ancora una volta! Come puoi
continuare a rischiare la vita così quando io ti amo tanto? Invece di alterarsi e di
provocare un litigio, mi si avvicinò, scivolando sul pavimento e porgendo le
mani con gesto armonioso, come se intendesse invitarmi a danzare.
Fu uno di quei momenti in cui mi sentivo molto ordinaria, o magari sgraziata.
Nell’attività fisica avevo buone capacità, coordinazione, velocità, però non avrei
mai potuto rivaleggiare con la grazia e con la raffinatezza di movimenti che
erano caratteristiche di Jean-Claude, il quale aveva su di me il vantaggio di
troppi secoli di esercizio e di esperienza, e in quel momento li stava
manifestando quasi del tutto. Allora finalmente compresi che forse il timore per
la mia incolumità non era l’unico sentimento profondo che stava tentando di
mascherare.
Quando mi prese tra le braccia, non riuscii a capire se la sua conversazione
con Asher fosse andata bene o male. Mi alzai in punta di piedi mentre lui si
chinava, e nel momento in cui le nostre labbra si toccarono percepii la sua
eccitazione. Dapprima ci baciammo in modo tenero e casto, come al solito in
presenza di bodyguard al nostro servizio da poco tempo; poi in modo sempre più
appassionato, tanto da costringermi a impedire che mi ferisse con le zanne.
Interrotto il bacio, rimasi a fissare Jean-Claude quasi stupidamente, sorridente e
senza fiato. Ero piena di energia, stordita e troppo felice, non per effetto dei
poteri vampirici bensì per il puro e semplice effetto che lui esercitava su di me.
Come non capitava quasi mai, Jean-Claude scoprì le zanne in un gran sorriso.
Il suo evidente compiacimento mi rivelò allora che la conversazione con Asher
era andata bene, anzi, meglio.
«È quasi l’alba, mio signore», avvisò Mischa, con voce che trasudava
disprezzo. «Non c’è tempo per il sesso.»
In silenzio, Jean-Claude lo fissò, e quello sguardo fu sufficiente.
Nell’inchinarsi profondamente, Mischa fece ondeggiare un braccio a sfiorare
il pavimento in modo tale da suscitare quasi l’illusione di vedergli in mano un
cappello piumato. Tutti i sicari dell’Arlecchino manifestavano profonda
obbedienza con gli inchini e coi gesti. Molti, come Mischa, avevano anche il
dono di farlo esclusivamente dopo un insulto, oppure in modo sprezzante.
Valeva la pena sopportarli soltanto perché erano bravi quasi quanto credevano di
essere, tanto bravi che Claudia ne aveva scelti alcuni quando aveva ritenuto di
dover scegliere i migliori.
In pochi istanti Jean-Claude riacquistò il perfetto autocontrollo sviluppato nel
corso dei secoli. «Spiegami una cosa, Mischa…» esordì, in tono pacato. «Come
hai fatto a sopravvivere con la Madre di Tutte le Tenebre pur essendo tanto
sprezzante?»
Anche se si tradì con una contrazione delle spalle quasi impercettibile,
Mischa rispose con voce profonda e quasi priva di emozione: «Il suo
apprezzamento per le mie qualità di assassino e di spia travalicava ogni
meschina considerazione di sensualità e di orgoglio ferito».
Fu un altro insulto, forse perfino una minaccia, e io non fui l’unica a
pensarlo, perché Wicked e Truth ci affiancarono, non tanto da interporsi tra noi e
loro, ma per essere pronti a farlo se necessario.
«V’illudete davvero di poter vincere in un vero combattimento fuori dal
campo di addestramento?» chiese Mischa.
«Sì», risposero Wicked e Truth, all’unisono, pronti a sfoderare le armi.
Allora mi sciolsi dall’abbraccio di Jean-Claude per imitarli.
Da un punto di vista razionale Mischa si stava comportando di merda, la qual
cosa era tipica di lui; tuttavia le risse sono provocate di rado dalla razionalità.
«Mischa… Goran…» Jean-Claude accennò con la testa all’orso mannaro.
«Apprezzo molto le vostre capacità, altrimenti vi avrei lasciati entrambi a St.
Louis. Tuttavia non le apprezzo fino al punto di subire insulti. Dunque ti chiedo
chiaramente, Mischa, se intendevi minacciarmi…»
«No, mio signore, niente affatto», assicurò Mischa, con un tono di voce che
rivelava un contrasto interiore tra dichiarazione e sentimento.
«Dunque ammetti di esserti espresso in maniera imprecisa», aggiunse Jean-
Claude, con voce pacata, perfino cordiale.
Come tutti ci aspettavamo, Mischa disse: «No».
«Quindi mi hai minacciato.»
Mischa sembrò confuso. «No, mio signore, non…» Parve rendersi conto di
quello che aveva detto e concluse la frase molto goffamente: «Non di
proposito…»
«Goran, il tuo master è altrettanto deludente come spia?»
«No, mio signore Jean-Claude.» Forse in virtù di parecchi secoli di esercizio,
Goran s’inchinò in modo non meno elegante di Mischa, contrariamente a quanto
ci si potesse aspettare, dato che era molto più grosso di lui, e nell’inchinarsi non
riuscì a celare del tutto un sorrisetto divertito.
Con le braccia lungo i fianchi e i pugni serrati, Mischa si stava evidentemente
sforzando di dominarsi, cosa strana in un vampiro tanto antico, che in quanto
tale avrebbe dovuto possedere un autocontrollo assoluto. Era così da quando lo
avevo incontrato per la prima volta, a differenza degli altri sicari
dell’Arlecchino, tutti flemmatici, impenetrabili come se fossero privi di
sentimenti propri, tanto da risultare ancora più inquietanti dei vampiri «normali».
«Senza dubbio, tu e molti altri dell’Arlecchino siete scontenti che io sia il
vostro nuovo signore e master. So che la Madre Tenebrosa v’incaricava di spiare
i vampiri che giudicava abbastanza potenti da essere consiglieri o da costituire
una minaccia, e sono pronto a scommettere di non essere mai stato tra costoro.
Lei non mi ha mai considerato una minaccia né un rivale per nessuno, figurarsi
per lei stessa. È così, vero?»
«Sì, mio signore», confermò Mischa.
Goran sorrise. «È stato un gioco di pazienza e di sotterfugio degno di uno di
noi.»
«Un bel complimento», apprezzò Jean-Claude.
Corrugando la fronte, Mischa li scrutò entrambi.
«Ebbene, Mischa, spiegami che cosa ti preoccupa maggiormente, se essere
sottoposto all’autorità del concubino di Belle Morte, o sapere che nessuno
dell’onnisciente Arlecchino mi ha mai considerato tanto potente da essere degno
di attenzione, se non quand’è stato troppo tardi…»
«Li hai indotti a chiedersi cos’altro potrebbero essersi lasciati sfuggire»,
rivelò Goran, sempre sorridendo. «E questo mina il loro senso di superiorità.»
Con velocità accecante, Mischa si girò e lo colpì in viso. Io vidi soltanto
Goran barcollare all’indietro, sputando uno scarlatto getto di sangue. L’istante
successivo Truth afferrò il braccio di Mischa prima che con un manrovescio
potesse picchiare di nuovo l’orso mannaro, poi parò un cazzotto e rispose con
una ginocchiata. Così lo scontro cominciò.
Si batterono con l’intento di uccidere, scambiandosi colpi e parate con
rapidità fulminea, quasi invisibili all’occhio. Eppure fu come in addestramento,
perché nessuno dei due riusciva a entrare nella guardia dell’altro. Nel momento
in cui Goran tentò di portarsi alle spalle di Truth, Wicked intervenne e un altro
scontro spaventoso si scatenò nello spazio ristretto della sala ingombra di bare.
Perché i bodyguard presenti in corridoio non accorsero? Forse perché il
combattimento si svolse in modo tale che nel silenzio dell’ambiente si udirono
esclusivamente rumori che non si sentono mai nel corso di uno scontro fisico,
cioè i tonfi delle percosse, le violente espirazioni, il frusciare degli indumenti e
lo strisciare delle scarpe sulla moquette.
Mentre Jean-Claude rimaneva a guardare, io mi chiesi che cosa fare. Tutti e
quattro erano nostri bodyguard, suoi bodyguard, e si stavano battendo tra loro.
Se si fossero feriti a vicenda, saremmo rimasti di nuovo a corto di bodyguard. Se
fossi stata sola, forse avrei tentato d’interrompere la rissa; tuttavia era presente
Jean-Claude, il re, il presidente, il capo di tutti i vampiri. Se non interveniva lui,
era forse compito mio provvedere? Oppure dovevo attendere? Ma attendere
cosa? E, se avessi deciso d’intervenire, come avrei potuto fare?
Tirando un calcio circolare nello spazio angusto, Mischa rovesciò
involontariamente una bara, poi esitò, vacillando, e così fornì a Truth l’occasione
di piegarlo in due con un montante al plesso solare e di farlo girare su se stesso
con un gancio al viso. Mentre Mischa crollava sopra una bara, Lisandro ed
Emmanuel spalancarono la porta, irrompendo nella sala ad armi spianate.
Sollevai una mano per segnalare loro di non sparare, ma non fu necessario. Nel
silenzio improvviso si udivano soltanto i respiri affannosi dei combattenti. Goran
giaceva sulla moquette, Mischa era steso immobile sulla bara. In piedi, Wicked e
Truth ansimavano, come accade di rado ai vampiri, che non sempre respirano.
Dunque vincere era stato faticoso. In ogni modo, avevano vinto, e per giunta
avevano tramortito i loro avversari, un’altra cosa che accade di rado, sia coi
vampiri sia coi licantropi. Per questo sogghignavano felici e feroci. Wicked
mostrava addirittura le zanne, come non gli avevo mai visto fare, e sicuramente
anche Truth, benché non potessi vederlo perché mi mostrava la schiena. Il
sangue sul viso di Wicked rivelava che Goran aveva messo a segno almeno un
colpo.
«Wow», commentò Emmanuel.
«Fiuto che Goran è ancora vivo», dichiarò Lisandro, con la pistola puntata
alla moquette. «Mischa, invece?»
Non avevo pensato che, nel lottare, i vampiri si sarebbero potuti uccidere a
vicenda, spezzandosi la spina dorsale. Perciò domandai: «Mischa è troppo antico
e potente per morire con la spina dorsale spezzata, vero?»
Lisandro scrollò le spalle.
Guardai Jean-Claude, che sospirò e avanzò.
Quando Truth accennò a curvarsi su Mischa come per accertarsi che il cuore
pulsasse, ordinai: «No!»
Indietreggiando, Truth mi guardò. «Cosa c’è che non va?»
«A parte il fatto che potresti avere ucciso una delle nostre guardie del
corpo?»
«Sì, a parte questo», ribatté Truth, anche se ebbe il buon gusto di mostrarsi
imbarazzato.
Sfoderai la Browning e premetti la canna contro la tempia di Mischa.
«Controlla pure i segni vitali, adesso.»
Un po’ perplesso, Truth obbedì.
Come si fa in combattimento, non guardai la testa di Mischa, perché se si
fosse mossa l’avrei sentito. Invece guardai il baricentro del corpo, da cui parte il
movimento delle membra. Se il baricentro resta immobile, null’altro si muove.
Così vidi una mano contrarsi, anche se non sulla pistola nella fondina. «Non
muoverti, Mischa. Neanche di un centimetro», intimai a voce bassa e circospetta,
con l’autocontrollo che derivava dall’esperienza e dall’esercizio. Quando si ha la
canna di una pistola puntata alla tempia di qualcuno, col dito sul grilletto,
bisogna avere il controllo per evitare che una contrazione involontaria faccia
esplodere il cervello di quel qualcuno.
«Come hai capito che fingeva?» chiese Truth.
«Sono una cacciatrice di vampiri, ricordi?» Ciò detto, aggiunsi: «Adesso
Lisandro ti disarma, Mischa. Riavrai la pistola quando ti sarai calmato».
«Posso disarmarlo io», propose Truth.
«No, tu non puoi, perché altrimenti potrebbe cercare di ammazzarti e io sarei
costretta a sparargli.»
«Goran sta riprendendo conoscenza», annunciò Wicked.
«Goran… Mi senti?» chiese Jean-Claude.
«Ti sento, mio signore», rispose Goran, con voce un po’ tremante e al tempo
stesso troppo profonda a causa dei residui di testosterone extra prodotto durante
il combattimento.
«Questo scontro è terminato. Hai capito?»
«Ho capito.»
«Adesso Lisandro disarmerà il tuo master, per impedire che agisca in modo
sconsiderato.»
Attraverso la pistola, percepii le lievi contrazioni muscolari quando Mischa
assicurò prudentemente: «Non sarà necessario. Sono del tutto calmo».
«Un attimo fa stavi per sparare a tradimento a Truth», accusai.
«Ci ho pensato, ma la tua pistola contro la mia testa mi ha dissuaso.»
«E, se togliessi la mia pistola, cosa ti dissuaderebbe?»
«Sono irascibile, ma il tuo gelido acciaio ha raffreddato il mio fuoco.»
«Bel discorso, ma come faccio a sapere che poi non avvamperai di nuovo?»
«Mischa», intervenne Jean-Claude.
«Sì, mio signore…»
«Voglio la tua parola d’onore che in nessun modo e con nessun mezzo
tenterai di vendicare questo incidente su Truth o su Wicked.»
Allora Mischa sprofondò in una immobilità così assoluta che percepii il
mutamento attraverso la canna della pistola contro la sua tempia. Sapevo che, se
avessi osato distogliere lo sguardo dal suo baricentro per spostarlo sul suo viso,
avrei visto l’impenetrabile vacuità che i vampiri antichi assumono insieme con
quella immobilità che li fa sembrare statue.
«Voglio la tua parola, Mischa», ripeté Jean-Claude.
«Se rifiutassi?»
«Allora ma petite porrebbe fine a questa discussione.»
«La mia morte priverebbe anche Goran della vita.»
«Sarebbe un peccato perderlo per un motivo tanto stupido, tuttavia era
consapevole dei rischi quando si è gettato nella lotta al tuo fianco.»
«Truth ha impedito a Mischa di picchiarti una seconda volta», ricordò
Wicked. «Perché ti sei battuto al suo fianco?»
«È il mio master», disse Goran, come se ciò spiegasse ogni cosa.
«Le mogli aggrediscono i poliziotti che cercano di arrestare i mariti violenti
che abusano di loro», spiegai. «Questo è uno dei motivi per cui gli agenti
detestano rispondere alle chiamate per violenza domestica.»
«Perché una vittima dovrebbe aiutare il proprio carnefice?» chiese Truth.
«Non lo so, però succede così.»
«Il demone che si conosce è preferibile al demone che non si conosce»,
sentenziò Jean-Claude. «Mischa, voglio avere la tua parola, così poi potremo
andare tutti a dormire.»
Nell’udire quel discorso, sentii su di noi la pressione dell’alba come una
mano gigantesca esitante sopra una farfalla, con la differenza che noi eravamo le
farfalle e sapevamo cosa stava per succedere.
Finalmente Mischa diede la sua parola.
«Puoi rinfoderare la pistola, ma petite. I vampiri della vecchia scuola possono
essere molte cose, ma non rompono le promesse.»
Esitai per un istante, pur sapendo che aveva ragione. È uno dei pochi motivi
per cui è preferibile trattare coi vampiri antichi anziché coi moderni, i quali, più
deboli, mentono con la stessa facilità degli umani, e così la loro parola non vale
un cazzo.
Tolsi il dito dal grilletto e abbassai la pistola, lasciando l’impronta della
canna sulla tempia di Mischa, così profonda che se fosse stato un umano gli
sarebbe rimasto un livido. Indietreggiai prima di guardarlo negli occhi azzurri, in
cui vidi rispetto e perfino ammirazione, anziché la rabbia che mi aspettavo. Non
lo avevo previsto.
«Posso alzarmi?» domandò Mischa.
«Puoi», rispose Jean-Claude.
Immobile, Mischa guardò me.
«Hai sentito il tuo signore e master», dichiarai.
«Lui non mi ucciderebbe, tu sì.»
«Non ti sparerebbe. Non è la stessa cosa che non ucciderti.»
«È giusto, mia tenebrosa regina, ma tu hai la pistola e lui no.»
«Alzati, e non fare stupidaggini.»
Con circospezione, Mischa si alzò a sedere senza mai distogliere lo sguardo
da me. «Mi avresti ucciso…»
«È il mio lavoro.»
«Mi avresti ucciso semplicemente per timore che potessi nuocere a Truth. È
ben diverso che giustiziare con un mandato di esecuzione qualcuno che si è già
reso colpevole di omicidio. Dunque consideri Truth come amante più prezioso di
quanto pensassimo, oppure lo avresti fatto per proteggere qualunque altra vostra
guardia del corpo?»
«Non punto la pistola contro qualcuno se non sono decisa a premere il
grilletto, e non premo il grilletto se non sono decisa a uccidere. Non bluffo mai,
Mischa. Ci siamo capiti?»
«No, ma, se mi stai chiedendo se ti credo capace di uccidermi, allora la
risposta è sì. Ti guardo negli occhi e non vedo rimorso, non vedo nessun sollievo
per non avermi dovuto sparare. Semplicemente non te ne importa nulla, non
provi nessun vero sentimento a proposito di quello che è appena accaduto. Non
sapevo che tu fossi così.»
«’Così’ come?»
«Capace di uccidere a sangue freddo. Credevo che uccidessi come fai sesso, a
sangue caldo.»
«Uccidere non mi piace. Il sesso invece mi piace.»
«A me piace uccidere.» Mischa abbozzò un sorriso inquietante, e nello
scrutarmi in viso colse il guizzo di disgusto che mi lasciai sfuggire. «Ti turba che
uccidere mi piaccia. Perché? Non sono peggiore del tuo leone mannaro, Nicky,
che però è tuo amante. Se sei schizzinosa a proposito di queste cose, perché te lo
scopi?»
«Basta così», intervenne Jean-Claude, con voce tanto aspra da attirare gli
sguardi di tutti.
Di nuovo, Mischa e Goran s’inchinarono profondamente. Truth e Wicked
chinarono la testa, posando il pugno destro sul cuore. Non ebbi il tempo di
osservare Lisandro ed Emmanuel, però dubitavo che si fossero comportati in
modo altrettanto formale. Io rimasi immobile, senza capire bene perché tutto
fosse diventato tanto cerimonioso.
«L’alba è ormai imminente.» Jean-Claude mi porse la mano e io mi avvicinai
a lui, rinfoderando la pistola. Mi abbracciò e mi baciò con minor trasporto di
prima.
Sentivo l’effetto che il sole esercitava su di lui. Un tempo mi era accaduto
spesso di combattere per tutta la notte in attesa che il sorgere del sole mi aiutasse
a salvarmi dai vampiri, e in quel momento ero nelle braccia e nel cuore del
vampiro più potente del Paese. Anche se l’ironia della situazione non mi
sfuggiva, ormai avevo smesso di curarmene.
«Asher sarà qui domani notte», annunciò Jean-Claude. «Il territorio che sta
visitando è abbastanza vicino perché possa arrivare in automobile e poi tornare
in volo con noi quando partiremo.»
«Dunque desidera vederti al più presto…»
«Desidera vedere tutti noi», precisò Jean-Claude.
Anche se non lo dissi, ne dubitavo. Sapevo di chi era più innamorato Asher e,
sicuro come l’inferno, non ero io e non era Nathaniel. Ero sicurissima che fosse
Jean-Claude. Non ero altrettanto sicura a proposito della posizione occupata da
Devil in quella classifica degli affetti.
«Dunque la conversazione è andata bene», commentai.
«Benissimo.» Jean-Claude sorrise, con una manifestazione di felicità identica
a quella che avevo notato quand’era entrato nella sala.
Sorrisi anch’io, alzandomi in punta di piedi per stampare il mio sorriso sul
suo. Se chi si ama è felice, si è felici per lui, o per loro, anche se è felice o se
sono felici a causa di un altro amante. O almeno è così che funzionava per noi.
L’unica persona del nostro gruppetto a soffrire di gelosia era Asher, dunque
speravo che tornasse dopo essersi sbarazzato del mostro dagli occhi verdi che lo
perseguitava. Avrei incrociato le dita, se non fossi stata troppo impegnata a
palpare Jean-Claude.
51

n’ora dopo l’alba, tutti i vampiri giacevano nelle bare. Lisandro ed

U Emmanuel avevano condotto via Goran, non sapevo con certezza per
quale ragione, cioè se fosse di turno o se Claudia intendesse fargli il
terzo grado. Infatti avevo preso in disparte Lisandro per riferirgli che
Mischa aveva picchiato Goran, e che Nilda all’aeroporto di St. Louis
aveva dato in escandescenze, poi si era lasciata prendere dal panico, e per questo
era stata congedata. Volevo sapere se e quanto altri vampiri dell’Arlecchino
abusassero degli animali che rispondevano ai loro richiami, perché questo non
mi stava affatto bene.
Con me erano rimasti Nicky e Devil. Dato che eravamo ancora imbrattati di
sangue e di poltiglia di zombie, annunciai: «Adesso dobbiamo fare la doccia!»
Devil sogghignò. «Hai detto che mi avresti aiutato a lavarmi…»
«Non ho accettato di rinunciare a fare sesso nella doccia», dichiarò Nicky.
Devil lo fissò. «Ehi, ho subito un trauma!»
«Soltanto perché sei stato sverginato al combattimento non significa che tu
debba fare sesso con Anita nella doccia e io no.»
«Se continuate così, faccio la doccia da sola», minacciai.
Mi fissarono entrambi come se avessi parlato arabo.
«Adori fare sesso nella doccia», commentò Devil.
«Adori fare sesso», aggiunse Nicky.
«Sono stanca, sono di un umore schifoso e voi due discutete su chi debba fare
sesso con me nella doccia senza chiedermi se io abbia qualche preferenza. Be’,
io sono proprio qui davanti a voi in carne e ossa, ragazzi!»
Si scambiarono un’occhiata, e Devil parve imbarazzato.
Invece Nicky mi scrutò dritto in faccia come per leggermi nel pensiero, e
probabilmente ci riuscì. «Con chi vuoi fare la doccia?»
«In questo momento, con nessuno di voi due.» La risposta suonò sgarbata
perfino a me. Non sapevo neppure perché avessi replicato in quel modo. Erano
entrambi amanti meravigliosi. E con un po’ d’aiuto mi sarei ripulita anche
meglio da tutta la schifezza che avevo addosso.
«Allora chi mi aiuta a pulirmi i capelli?» chiese Devil, con un’espressione
quasi buffa. «Nicky?»
«Non spetta a me», ribatté Nicky, fissandomi.
In quel momento squillò il mio telefono. Se non fosse stata la suoneria di
Edward, non avrei risposto. «Sì, Ed… Ted, che succede?»
«Non fare stronzate.»
«Quali stronzate?»
«Devil e Nicky, tanto per cominciare.»
«Mi hai già avvisato in ascensore.»
«Sì, però sembri ancora incazzata. Conosco quel tono di voce. Significa che
sei di un umore schifoso e che stai per dire o fare qualche stronzata di cui poi
finiresti per rammaricarti.»
«Ti sei forse preso il tempo di farti la doccia prima di chiamarmi per darmi
consigli sulla mia vita intima?» Ero arrabbiata, ma anche confusa. «E da quando
mi consigli sugli uomini?»
«Sono appena uscito dalla doccia e ho pensato che, se avessi aspettato di
essere vestito, avresti cominciato a litigare con uno di loro, o con tutti e due.
Quanto alle critiche e ai consigli sulla vita intima, ce li scambiamo da quando ci
conosciamo, o quasi, e il nostro primo incontro è stato alquanto strano, se ci
pensi.»
Aveva ragione. «Di solito mi dicevi che mi complicavo la vita e mi
consigliavi di trovare qualcuno da scopare…»
«A quel tempo non capivo te, e neppure me stesso. Adesso ti raccomando di
non sfogare il tuo malumore su Nicky, che è un bravo ragazzo, e neppure su
Devil, che nella faccenda degli zombie è rimasto al nostro fianco sino alla fine,
anche se probabilmente non capiva più niente ed era così spaventato da farsela
sotto. Quindi vedi di riconoscere i loro meriti e non prendertela con loro.»
«Be’, sei proprio una fonte di saggezza in merito alla vita amorosa…»
«Se il mio ti sembra un pessimo consiglio, allora non seguirlo.»
«Non ho mica detto che è pessimo!»
«Allora non litigare con loro. Ricorda che uno lo ami e l’altro ti piace
maledettamente tanto.»
«Signorsì», risposi, in tono petulante.
«Sei libera di fare quello che ti pare, Anita. Considera però che dormire da
sola quando sei di umore così schifoso potrebbe non essere la migliore delle
idee.»
«Un tempo dormivo sempre da sola.»
«Sì, e stavi da schifo. Non riesco a capire come diavolo fai a far funzionare la
tua vita con tutta la gente che vi è coinvolta, però non ti ho mai vista più felice.
Non so in quale misura, ma di sicuro questa felicità dipende almeno in parte da
Nicky e da Devil, perciò tienilo bene a mente a partire da questo momento. Io
vado a dormire prima che qualche sbirro chiami per qualche emergenza.»
Edward interruppe la comunicazione.
Rimasi impalata, col telefono muto, mentre Devil mi guardava
interrogativamente e Nicky cercava di apparire impassibile, rivelando proprio
attraverso tale impassibilità di non essere per nulla indifferente.
Sospirai. «Scusate…»
«Per cosa?» domandarono insieme.
«Per essermi incazzata e per avere fatto la stronza, sfogando il mio umore
schifoso su voi due.»
«Va tutto bene», assicurò Nicky. «Sono il tuo sposo, quindi puoi trattarmi
come ti pare.»
«Sai che odio sapere che dici sul serio?»
«Sì, però è vero, e comunque, Anita, se tu non avessi fatto di me il tuo sposo
ti avrei uccisa, poi avrei aiutato il mio branco ad assassinare Jason, Micah e
Nathaniel. Ero, e sono tuttora, una persona molto cattiva. Sono un pessimo
soggetto, oppure lo sarei, se non fossi influenzato dalla tua moralità.»
«Lo so, lo so… Sono il tuo Grillo Parlante.»
«No, sei molto di più.» Nicky si avvicinò di un passo. «Stanotte hai detto di
amarmi, e ho sentito che dicevi sul serio.»
«Non dicevo sul serio.»
Senza replicare, Nicky mi porse una mano e io la presi.
«Okay», intervenne Devil. «Divertitevi, ragazzi. Io vado a dormire altrove.»
Io e Nicky ci scambiammo un’occhiata.
«Non deve andarsene a causa mia», dichiarò Nicky.
«Resta», dissi a Devil.
Lui scosse il capo. «Avete detto per la prima volta di amarvi. Dovreste
passare la notte da soli.»
«Perché?» domandò Nicky.
«Perché vi amate!» spiegò Devil, come se avesse perfettamente senso.
«Anche se Anita dice di amarmi, non cambia niente.»
«Non dovrebbe cambiare qualcosa, invece?»
«Perché mai?»
Devil si girò verso di me. «Spiegaglielo tu.»
«Cosa dovrei spiegargli? Sono d’accordo con lui.»
«Non volete passare la notte da soli per celebrare questa faccenda
dell’amore?»
«Una delle ragioni per cui amo Nicky è che gli sta bene condividermi con
Nathaniel, Micah, Cynric, Jean-Claude, Asher, e…» Scrollai le spalle. «Tutta la
gente della mia vita.»
«Davvero non ti disturba condividerla?» chiese Devil a Nicky.
«Nathaniel dice che sei più bravo di me a condividere, quindi perché
dobbiamo rifare questa discussione?»
«Perché sono influenzato dalla visione del clan delle tigri, secondo cui alla
fine ci s’innamora e si diventa monogami. Quando Asher tornerà, cercherò di
essere monogamo, così… Be’, credo che sia il mio modo di vedere le cose.
Sinceramente non lo so, ma… in qualche modo, l’amore non dovrebbe cambiare
tutto?»
«Se si fa nel modo giusto, con l’amore si diventa più se stessi, ci si trova,
anziché perdersi», sentenziai.
«Che significa?» domandò Devil.
«Significa che, se eravamo un felice gruppetto poliamoroso prima che io
dicessi di amare Nicky, perché mai averlo detto dovrebbe cambiare le cose?»
Dopo averci pensato, Devil annuì, si morse il labbro inferiore, annuì di
nuovo. «Okay, la tua logica batte il mio sentimentalismo, o quello che è. E
adesso?»
«La doccia non è abbastanza grande per starci tutti e tre», osservò Nicky.
«Di solito le docce negli alberghi sono abbastanza grandi per me, Nathaniel e
Micah. Per voi invece no. Anche soltanto le vostre spalle sono troppo larghe!»
Perdendo all’improvviso tutta la sua serietà, Devil sogghignò, mentre i suoi
azzurri occhi di tigre scintillavano. «Questa doccia è una delle più grandi che io
abbia mai visto in un albergo. È grande quasi quanto quella di Jean-Claude al
Circo!»
«Fantastico!» commentai.
«Allora andiamo a lavarci, poi facciamo un po’ di sesso di gruppo nella
doccia», esortò Nicky.
«Mi sembra una buona idea», approvai.
«A me sembra ottima!» esclamò Devil. «Ormai disperavo di riuscire a farti
togliere i vestiti.»
«Non credo che si stia riferendo a me», dissi.
Chinando la testa, Nicky sospirò. «Se tu fossi stato zitto, avresti potuto
tastarmi e dire di avere frainteso.»
Devil sorrise. «Ti ho visto prendere a pugni il sacco. Non voglio
fraintendimenti tra noi.»
«Abbastanza giusto. Condividiamo Anita e basta.»
«A te sta bene qualche tastatina involontaria?»
«Certo», assicurò Nicky.
Il sorriso di Devil sbocciò in quel suo gran sogghigno in parte malizioso, in
parte sensuale, e del tutto affascinante. «Fantastico!»
E lo era.
52

i sono circostanze, come essere tutti imbrattati di sangue, organi

C spappolati e materia cerebrale, in cui spogliarsi non ha nulla di


sensuale. Per prima cosa pensammo all’equipaggiamento e ci
togliemmo le armi, sporche anch’esse, riservandoci di pulirle in
seguito. Poi ci togliemmo i giubbotti antiproiettile, che erano luridi e
avevano protetto gli indumenti sottostanti. Non avrei potuto rimettere il mio
prima di averlo pulito. Era confezionato su misura e non ne avevo uno di
ricambio. Nel vederlo così lercio pensai che non sarebbe stata una cattiva idea
ordinarne uno di scorta. Comunque me ne sarei potuta far prestare uno da
maschio, di taglia abbondante, in modo che non mi schiacciasse il seno.
Tolta la camicia, rimasi in reggiseno di raso nero.
«Mi piace», dichiarò Nicky, fissandomi il petto.
«Il seno?»
«Anche quello, certo!» Nicky sogghignò. «Ti disturba che te lo guardi?»
«Se non volessi farmelo guardare, probabilmente non indosserei un reggiseno
a balconcino.»
«So che è stato Nathaniel a farti i bagagli, quindi sono certo che qui hai
soltanto reggiseni a balconcino di raso e di pizzo.»
Scossi la testa. «Non credo di possederne di altro genere.»
«Anche questo mi piace di te.» Nicky si tolse la camicia, che si staccò dalla
pelle con un rumore disgustoso perché il giubbotto non l’aveva protetta del tutto
dalla poltiglia di zombie, anche se aveva ridotto abbastanza il livello di
schifezza.
Concentrai la mia attenzione sulla muscolatura delle spalle e del torace, che
quasi mi distrasse da quella dell’addome. «Mmm… Addominali scolpiti…»
«Certi bodyguard sono incazzati perché, pure se si fanno un gran culo, non li
hanno scolpiti quanto i miei.»
«È merito della genetica. Non tutti possono averli così scolpiti, per quanto
duramente si allenino.»
«Vero», convenne Nicky, compiaciuto.
Allora si udì uno di quei gemiti che inducono a cercarne l’origine con lo
sguardo, e poi, a seconda di chi li ha emessi, a fingere di non avere sentito,
oppure a recarsi a confortarlo.
Con la cintura slacciata e con la camicia mezza fuori, Devil protendeva
goffamente le mani come se non volesse toccare qualcosa di ripugnante, o come
se lo avesse appena toccato.
Io e Nicky ci scambiammo un’occhiata, poi ci accostammo a Devil.
«Lascia che ti aiuti a spogliarti», proposi, cercando di avere un tono
malizioso e sensuale.
Con un’espressione prossima al panico, Devil mi fissò. Porgeva le mani
come un bimbo di cinque anni che si è appena fatto molto male. Sembrava illeso
e anche pulito, eppure a volte capitano momenti alla Lady Macbeth in cui si
riesce a vedere e a sentire il sangue anche dopo averlo lavato via alla perfezione,
come se la pelle ne sia impregnata.
Quando cercai di prendergli le mani, Devil le ritrasse di scatto. «Ho… roba
schifosa addosso!»
«Anch’io», replicai, con voce dolce.
Come un cavallo in procinto d’imbizzarrirsi, lui stralunò gli occhi.
«Va tutto bene, Devil. Non ti preoccupare.»
Scosse la testa.
«Hai detto che disperavi di riuscire a farmi togliere i vestiti, e adesso non mi
dici neppure quanto sono carino», intervenne Nicky.
Devil sorrise, debolmente, un po’ incerto, ma fu sempre una reazione
migliore di quella che avevo ottenuto io. Poi guardò il torso nudo e muscoloso di
Nicky, come lui aveva guardato il mio seno.
Alcuni uomini della mia vita, sebbene a loro agio nel condividermi a letto
con altri uomini, non avrebbero accettato quello sguardo senza arrabbiarsi, o
almeno senza sentirsi a disagio.
Nicky invece non fece una piega. «Così va meglio!»
Devil reclinò la testa. «A te non piacciono gli uomini… Perché t’importa se
ammiro il panorama?»
Per quanto la muscolatura possente glielo permetteva, Nicky scrollò le spalle.
«Mi piace essere sicuro che tu non volessi semplicemente prendermi in giro.»
«Ti piace sapere che ti farei, se tu me lo permettessi, e sei disposto a entrare
nella doccia con me. Molti etero ne sarebbero disgustati o turbati…»
«Sono sicuro della mia mascolinità.»
«Be’, questo è vero», confermai e, quando Nicky mi sorrise, gli sorrisi a mia
volta.
«Comunque non mi faresti», aggiunse Nicky. «Non mi faccio mettere sotto
da nessuno.»
«A me sta bene», replicò Devil.
A quel punto non fui più sicura che stessimo scherzando.
«Per te dovrei vedermela con Jean-Claude e con Asher», sogghignò Nicky.
«Quindi credo che rimarrò da questa parte del confine eteroflessibile, in modo da
rendere le cose meno complicate.»
Devil mise il broncio e, se non avete mai visto un bell’uomo atletico di quasi
un metro e novanta mettere il broncio senza sembrare un idiota, allora mi
dispiace per voi, perché fu troppo bello da vedere.
Nicky scoppiò a ridere. «E adesso vediamo di stare nudi e bagnati!»
L’audace esortazione cancellò il broncio dalla faccia di Devil, per sostituirlo
con un’espressione tra l’incerto e lo speranzoso. Non mi ero mai accorta che gli
piacesse Nicky, ma lui rivelava, col comportamento che aveva con Devil, di
essersene accorto eccome. Ero cieca io, oppure il mio leone mannaro era un
osservatore particolarmente attento e perspicace?
Sul pavimento dove aveva già lasciato stivali e calze, Devil gettò la camicia,
strappandosela di dosso come se volesse toccarla il meno possibile, e poi i
calzoni. All’improvviso rimase tutto nudo e bello, a guardare in modo
provocatorio Nicky, non me, quasi come se si aspettasse un momento di panico
eterosessuale. In tal caso, ero certa che s’illudesse. Se si fosse trattato di una
prova di coraggio, avrei scommesso su Nicky, che infatti non mi deluse.
Dopo essersi sfilato i calzoni – anzi, dopo esserseli praticamente scollati di
dosso, visto che erano incrostati di schifezze – Nicky li ammucchiò sopra gli
stivali e le calze, restando tutto nudo e succulento a fissare Devil come per
sfidarlo a dire qualcosa.
Per un attimo Devil rimase a bocca aperta, quindi scoppiò a ridere, gettando
la testa all’indietro, con gli occhi chiusi, totalmente deliziato.
Nel momento in cui Nicky mi guardò e sorrise, decisi che non avrei mai
provato a bluffare con lui. Non appartenevo alla sua categoria. Sapevo mentire,
però non sapevo manipolare in quel modo, nemmeno per una buona causa.
Poi Nicky mi porse una mano e, mentre io la prendevo, dichiarò: «Hai troppi
vestiti addosso».
Annuii. «Possiamo rimediare.»
«Certo che possiamo», convenne Nicky, ancora con una sfumatura di
allegria.
Infatti rimediammo.
53

i lavammo a vicenda. A Nicky e a me furono necessarie tre passate di

C shampoo per lavare i capelli di Devil, forse perché si era imbrattato di


qualcosa di particolarmente schifoso, o forse a causa della finezza
quasi infantile dei suoi capelli, e lui cominciò subito a tremare perché
neppure l’acqua calda della doccia può scacciare un certo tipo di
freddo. Probabilmente avrebbe continuato a tremare sotto il getto caldo anche se
lo avessimo strofinato fino ad arrossargli la pelle. Quando si appoggiò alle
piastrelle della parete come se non riuscisse a reggersi in piedi con le sue sole
forze, io e Nicky ci scambiammo un’occhiata. Senza smettere di staccargli
poltiglia di zombie dai capelli, Nicky m’invitò con un cenno della testa ad
accostarmi a Devil, che sussultò non appena gli posai una mano su un braccio.
«Sono io, soltanto io…»
«Scusa…» disse Devil. «Non so cosa mi succeda…»
Lasciai perdere. Sapevamo entrambi di cosa si trattava e saperlo non serviva
a rimediare.
Quando gli accarezzai un braccio, non trasalì. Allora m’infilai sotto di lui, tra
le sue braccia appoggiate alla parete, e nel guardarlo dal basso sebbene fosse
curvo in avanti, perché era pur sempre una trentina di centimetri più alto di me,
mi resi conto all’improvviso che era anche grosso, largo di spalle e ampio di
torace. Se si fosse allenato anche soltanto la metà di quanto si allenava Nicky,
sarebbe diventato massiccio. Comunque non mi rattristava che non lo fosse. Se
lo fosse stato, forse mi sarei sentita piccina in confronto a lui, o forse no, visto
che con Nicky non avevo problemi. I capelli lunghi fin sotto le spalle gli
cadevano a incorniciare il viso dalla mascella quadrata, molto mascolina. Nel
fissarmi con gli occhi azzurri batteva le palpebre un po’ troppo rapidamente. Gli
accarezzai il petto bagnato, mentre Nicky continuava a lavargli i capelli.
«Non credo di essere dell’umore adatto, Anita. Non avrei mai pensato di
poter dire una cosa del genere, eppure non riesco a smettere di pensare alla roba
schifosa che Nicky mi sta togliendo dai capelli. Adesso so perché insisti sempre
nel fare la doccia prima d’incontrare tutti noi, soprattutto in certe notti.»
Fissandolo negli occhi, gli accarezzai il viso. «Anche secondo i miei criteri è
stato un massacro orribile. Non mi capita ogni notte. All’inferno! Non mi capita
quasi mai!»
«Vuoi dire che non sono troppo debole e schizzinoso?»
«Be’, certo che lo sei.» Sorrisi. «Però è stato davvero brutto, peggio del solito
perfino per i miei criteri di combattimento caotico e brutale. Gli zombie
cannibali non si fermano mai, e io non ne avevo mai visti tanti tutti insieme.»
«Davvero?» chiese Devil, con voce smarrita come il suo sguardo.
«Davvero», confermai, sempre con la mano sulla sua guancia.
Allora Nicky gli tirò indietro la testa e gli passò le dita tra i capelli. «Ecco
fatto, sei pulito.»
Devil emise un sospiro tremante, poi raddrizzò la schiena, si staccò dalla
parete e si passò le mani tra i capelli due volte, lisciandoseli all’indietro con
espressione di sollievo. «Grazie.»
«Forse mi ricambierai il favore, una volta o l’altra», replicò Nicky.
Devil girò la testa a guardarlo. «Mi stai invitando a fare di nuovo la doccia
con te?»
Nicky sorrise. «Finora sei stato un perfetto gentiluomo. Credo che la mia
virtù sia salva.»
«Hai una virtù da proteggere?» chiesi, sporgendomi a guardarlo.
Mentre Nicky inarcava un sopracciglio, mi accorsi che si era spalmato
all’indietro i capelli scoprendo del tutto il viso e quindi anche l’orbita destra tutta
piena di cicatrici, che di solito nascondeva col ciuffo triangolare. Consideravo
preziose le occasioni in cui la lasciava scoperta, perché significava che in quei
momenti si sentiva a proprio agio. Mi piaceva.
«No, no, niente affatto», rispose Nicky, in un tono un po’ triste che mi ricordò
gli abusi sessuali e le percosse che aveva subito nell’infanzia dalla madre. Era
stata proprio lei a strappargli l’occhio.
D’improvviso mi sentii stupida e ottusa. Subito mi avvicinai a lui e gli
accarezzai le braccia. «Ho parlato senza pensare… Scusa…»
«Non ti preoccupare.»
L’abbraccio in cui lo strinsi non fu per nulla erotico, nonostante la nudità di
entrambi, perché lui rimase immobile, senza ricambiarlo.
«Mi è sfuggito qualcosa?» chiese Devil.
«Sì», rispose Nicky. Era di nuovo impassibile e aveva girato la testa a
nascondere le cicatrici, non per apparire bello, come faceva Asher, bensì per non
doverle coprire di nuovo col ciuffo, perché se lo avesse fatto avrebbe ammesso
implicitamente che ne era turbato, e invece rifiutava di ammetterlo.
«Ti prego, guardami…»
Sempre senza ricambiare l’abbraccio, Nicky mi guardò con espressione
arrogante e distaccata.
«L’avevo dimenticato… Scusa…»
Il suo sguardo divenne rabbioso, e la rabbia destò il suo leone in una vampa
di potere. «Come puoi dimenticarlo se sei costretta a vedere questo orrore tutte le
volte che mi guardi?» Nicky si toccò l’orlo delle cicatrici, che ogni volta davanti
allo specchio gli ricordavano ciò che gli era accaduto.
«Sono parte di te. Non penso altro quando ti guardo. Penso soltanto questo.»
Nicky mi scrutò. «Sento che dici sul serio…»
«Mi piacciono quelle cicatrici», intervenne Devil. «Ed è impressionante che
tu sia così bravo nell’uso delle armi e nel combattimento corpo a corpo
nonostante la necessità di compensare la mancanza di profondità percettiva.»
Divincolandosi nel mio abbraccio, Nicky manifestò la collera emanando una
vampa di potere che mi avvolse, più calda dell’acqua della doccia.
«Gli piacciono davvero le cicatrici», assicurai. «È un patito delle rugosità. Le
adora.»
Così Nicky si rilassò e alla fine mi abbracciò. Non mi strinse forte a sé, però
era già un miglioramento.
«Te lo dimostro, se non ti spaventi», propose Devil.
In silenzio, Nicky lo fissò come se nulla potesse spaventarlo.
Invece io, conoscendo Devil meglio di quanto lo conoscesse lui, sarei stata
pronta a scommettere che la tigre mannara sarebbe stata capace di spaventare il
leone mannaro. Era vero anche il contrario, ma Nicky avrebbe usato la violenza,
a differenza di Devil, che avrebbe usato la sensualità. Comunque non volevo che
tentassero di spaventarsi a vicenda perché temevo che sarebbe finita male.
Spostatosi alle mie spalle, Devil aderì a me, premendo l’addome sulle mani
di Nicky, che non si mosse. Nessuno dei due era eccitato, perciò fu piacevole,
ma non erotico. Quando Devil protese una mano ad accarezzargli il viso, Nicky
ritrasse di scatto la testa.
Allora Devil lasciò ricadere la mano e mi accarezzò le braccia. «Visto che ti
spaventi?» Mi baciò la testa, strofinando la faccia sui miei capelli bagnati.
Mi girai per farmi baciare sulla bocca, e nell’ardore del bacio strinsi più forte
Nicky, strusciandomi contro Devil, che cominciò a eccitarsi. Per strofinarmi
meglio contro di lui cercai di staccarmi da Nicky, che mi trattenne e mi costrinse
a smettere di baciare Devil per dedicarmi a lui. Mentre ci baciavamo, prima
dolcemente, poi con passione, Nicky sciolse il suo abbraccio. Così, inchiodata
tra loro due, sempre più grossi e sempre più duri, interruppi il bacio per gridare.
Quando Devil si chinò a baciarmi di nuovo, mi accorsi che si erano abbracciati
in modo da stringermi ancora più forte tra i loro due corpi. Nathaniel e Micah lo
chiamavano «sandwich» e io adoravo stare in mezzo.
Baciandoli a turno mi strofinai contro di loro, già duri, grossi e
struggentemente pronti. Erano entrambi così bravi nei preliminari che sarebbe
stato un peccato rinunciarvi, ma certe volte l’urgenza del bisogno è già un
preliminare sufficiente.
Dopo avere smesso di baciarmi, Devil accarezzò l’orbita vuota e rugosa di
cicatrici senza che Nicky protestasse. Spingendo ancora più forte contro il mio
culo, si sporse a baciarla; poi, incoraggiato dall’assenza di reazione,
accarezzandogli la guancia, gliela baciò di nuovo e con più trasporto. Nicky
rimase immobile e all’insaputa di Devil diventò un po’ meno felice di strofinarsi
contro di me. Così, a poco a poco, Devil gli coprì il viso di baci e giunse alla
bocca.
Allora Nicky scosse la testa. «No», intimò, senza rabbia, ma deciso.
Tranquillamente, Devil smise di accarezzargli il viso e per un poco baciò me
con tale ardore e profondità che quando s’interruppe rimase a labbra dischiuse,
con un’espressione così eccitata e bramosa da strapparmi una risatina roca e
ansimante.
Gentile, tenero, Nicky mi baciò, quasi come se facesse l’amore con la mia
bocca, per poi lasciarmi con gli occhi chiusi, le labbra dischiuse e le ginocchia
un po’ molli, soltanto per un bacio.
«Wow», commentò Devil. «Sento la necessità di ritentare.»
Aprii gli occhi abbastanza per vedere Nicky che mi sorrideva, del tutto
compiaciuto di se stesso.
«Adesso sono sicuro di dover tentare un altro bacio, perché quello è davvero
un bel sorriso», aggiunse Devil.
«Sì, lo è davvero», convenne Nicky, con voce già più profonda per la prima
scarica di testosterone e un sorriso che conteneva tutto il calore che si può
desiderare di vedere sul volto di un uomo, colmo di amore, sì, ma anche di
lussuria, e del pensiero di tutto ciò che desidera fare all’amante e con l’amante.
«Perché ho la sensazione di dover recuperare uno svantaggio anche se sono
stato qui per tutto il tempo?» chiese Devil.
«Mi ama», rispose Nicky, come se ciò spiegasse ogni cosa.
«Sei un uomo fortunato», dichiarò Devil.
Di solito con questa frase gli uomini intendono dire: «La tua donna è davvero
arrapante e ho una gran voglia di scoparla, però è moralmente sbagliato, oppure
tu mi ammazzeresti se io lo facessi». Era strano che Devil sentisse la necessità di
essere tanto cortese mentre se ne stava spinto tutto nudo contro il mio culo,
sicuro di fare sesso. D’altronde, il sesso non è tutto. È bello, è perfino grandioso,
se si è fortunati, ma alla fine tutti vogliono l’amore.
Quando per baciare Nicky mi alzai in punta di piedi, Devil indietreggiò un
po’ per consentirci di usare le mani. Dopo un tenero bacio diventato bramoso ci
scrutammo negli occhi.
«Vi propongo per l’ultima volta di lasciarvi soli alla vostra intimità», disse
Devil. «E a questo punto credo che la proposta dovrebbe farmi guadagnare
parecchi grossi punti.»
Sempre abbracciata a Nicky, girai la testa a guardarlo, ma non so cosa avrei
risposto perché non ebbi il tempo di parlare.
«Tette o culo?» chiese Nicky.
«Eh?» Devil corrugò la fronte, perplesso.
«Vuoi prima scoparla o fartelo succhiare?»
Fissai Nicky in un modo che fu abbastanza eloquente, a giudicare dalla sua
risposta.
«Tu ami me e io amo te. È meraviglioso. Però nell’intimo io sono un bastardo
assassino. Sono rozzo, rude e violento. Questa è la mia natura. L’unica gentilezza
che io abbia mai conosciuto me l’hai insegnata tu, Anita.»
Annuii. «Non è che io sia in disaccordo con la divisione del lavoro, però è
stata espressa in maniera alquanto volgare, ecco tutto. Mi hai sorpresa.»
«D’accordo.» Nicky sorrise e domandò: «Mefistofele, preferisci il seno o le
cosce?» Poi mi guardò e reclinò la testa. «Va meglio?»
Sogghignai. «Sì, grazie.»
Devil ci fissava come se ci vedesse per la prima volta.
«Che succede?» domandai.
«Mi stavo chiedendo quando siete diventati una coppia e perché non me ne
sono accorto.»
Nicky mi strinse a sé in modo meno sensuale e più romantico. «Eri
impegnato a preoccuparti per Asher.» Sembrava strano essere nudi nella doccia
insieme con un altro uomo, però era semplice: se una cosa funziona, non bisogna
sindacare. E io stavo cercando di diventare più sveglia.
«È vero.» Devil annuì. «Scelgo le cosce.»
«Così scopiamo alle opposte estremità.» Il sogghigno di Nicky sembrò molto
simile allo snudare le zanne in un ringhio di felicità.
«Mi piacerebbe leccarla mentre ti succhia.»
«È difficile nella doccia», commentai.
«Il letto?» propose Devil.
«Normalmente direi di sì; anzi, direi maledettamente di sì! Ma, se non
riuscissi a dormire un po’, prima di essere chiamata dalla polizia, mi metterei a
piangere, perciò dobbiamo limitarci a quello che riusciamo a fare qui nella
doccia.»
Dopo un evidente conflitto di emozioni, Devil sorrise. «Chi sono, io, per
discutere con la regina delle tigri?»
«Non sono ancora sicura che questo titolo mi piaccia», confessai.
«Odiavi di più ’madre delle tigri’», ricordò Nicky.
«Questo è vero.»
«Comunque non credo che inizieremo subito a scopare.»
«Perché no?»
«Troppe chiacchiere, troppo poco sesso.» Nicky accennò al fatto di non
essere più duro.
Nel guardare Devil, scoprii che pure lui si era sgonfiato. «Posso rimediare.»
M’inginocchiai in mezzo a loro, sul piatto doccia, nell’acqua che scorreva.
«Quindi abbiamo orale e genitale», commentò Devil. «Mi sembra ingiusto.»
«Mi piace, e posso venire in tutti e due i modi», spiegai, inginocchiata,
guardandolo dal basso.
«Sono stato con donne che hanno l’orgasmo col rapporto genitale. Tu sei la
prima che lo ha con quello orale…»
«Anita, per favore, vuoi farlo stare zitto?» chiese Nicky.
Così presi in bocca Devil prima che finisse di parlare e come sempre la
sensazione fu meravigliosa. Mi piacciono gli uomini flosci perché è più facile
prenderli in bocca completamente, rotolarci la lingua intorno e succhiarli con le
labbra premute a ventosa contro l’addome, come piace a me, senza sentirmi
soffocare e senza avere conati di vomito, sicura che finché li tengo interamente
in bocca rimangono piccoli. Soltanto quando li faccio scorrere e li succhio
diventano più grossi, più lunghi e più duri.
Quando Nicky mi prese per i capelli bagnati per attirarmi a sé, scoprii che il
vedermi prendere in bocca Devil e immaginare che stava per arrivare il suo turno
lo aveva fatto diventare più grosso. Di conseguenza mi riempì maggiormente la
bocca, facendomi faticare un po’ per reprimere il conato e inghiottirlo tutto a
ventosa.
Nel tenermi la testa contro di sé, Nicky tolse una delle mie mani da una delle
sue cosce per farmi prendere in mano Devil, già grosso e duro. La doppia
sensazione della mano e della bocca piene di durezza bramosa, entrambe così
calde e morbide, velluto muscoloso e grossa rotondità di seta, m’indusse a
succhiare e strofinare più forte e più in fretta.
D’un tratto Nicky mi prese per i capelli e mi tirò indietro. «Voglio entrare
prima io», annunciò, ansimante, spingendomi la testa verso Devil.
Presi Devil in bocca senza lasciarlo con la mano, in modo da poterlo
strofinare, succhiare e leccare contemporaneamente.
«Omioddio…» sussurrò lui.
Allora Nicky mi prese per i fianchi, e nel momento in cui stavo per girare la
testa mi spinse la nuca in modo che tenessi Devil in bocca. Senza bisogno di
parlare, era chiaro cosa voleva.
Sentii la sua punta spingere contro la mia apertura e, dato che l’acqua mi
aveva reso più stretta del normale, usò una mano per guidarsi in posizione e
cominciò a spingere, procurandomi una sensazione che mi spronò a succhiare
Devil più in fretta e più a fondo.
«Non durerò per molto», avvisò Devil.
Spingendo per entrare, lottando per ogni centimetro, Nicky divenne più lungo
e più grosso di quanto lo avessi mai sentito e mi fece gridare con Devil in bocca,
strappandogli un suono inarticolato. Un sapore salato mi annunciò che stava per
venire, però me ne fregai, perché Nicky riuscì finalmente a entrare tutto e io mi
spalancai ad accoglierlo. Tenendomi per i fianchi come in una danza, benché
fossimo su un piatto doccia bagnato anziché su una pista da ballo, si sfilò quasi
del tutto, poi affondò di colpo e iniziò ad andare dentro e fuori con un ritmo
veloce che mi fece strillare con la bocca piena di Devil, il quale annunciò, con
una voce che rivelava lo sforzo di resistere: «Ci sono quasi…»
Sbattendo sonoramente contro di me a ritmo veloce e profondo, Nicky mi
fece gridare in orgasmo e questo fu troppo per Devil, che mi si conficcò in bocca
anziché aspettare che succhiassi. Comunque ero squassata dall’orgasmo e li
volevo entrambi completamente dentro di me in quel momento. In risposta alla
mia bramosia, Devil mi afferrò per la nuca e mi trattenne, affondandomi in gola
un po’ troppo perfino in orgasmo. Non sempre è un conato di nausea, a volte è
soffocamento. Rilassai la gola il più possibile continuando a strillare in orgasmo,
con Devil conficcato in gola a impedire l’emissione di qualsiasi suono. Nel
sentirlo pulsare in tutta la lunghezza dentro la mia bocca capii che stava per
venire, subito prima che spruzzasse caldo dentro di me costringendomi a
inghiottire. La magia dell’ardeur, che risolveva ogni problema, avrebbe
cancellato il conato di nausea, se l’avessi liberata, però mi ero già nutrita, e poi
volevo riuscire a fare certe cose senza il suo aiuto, per sapere che ero soltanto io
a farle e che potevo riuscirci più spesso senza prosciugare a morte i miei amanti,
cosa che tende a smorzare alquanto l’ardore erotico.
Dopo avere strofinato il punto dolce vicino all’apertura, Nicky aumentò il
ritmo andando in cerca del punto più profondo che poteva colpire da dietro.
Molte donne vengono se si accarezza abbastanza a lungo il punto G; non tutte
vengono coi due punti più profondi. Per moltissimo tempo avevo creduto di
godere sentendomi colpire la cervice, poi avevo imparato che non era affatto
quella. Da dietro, Nicky trovò il punto alto in fondo a me, e l’orgasmo che
scemava dilagò in un nuovo orgasmo che scaturiva dal profondo; così, non
appena Devil si sfilò dalla mia bocca, proruppi in un grido gutturale. Tirandomi
all’indietro contro di sé, Nicky si conficcò un’ultima volta nelle mie profondità,
e quell’ultimo affondo fu quasi eccessivo, quasi doloroso. Eppure in pieno
orgasmo, con in più la sensazione di lui che veniva dentro di me, quella che era
quasi sofferenza si trasformò in un piacere ancora più grande.
Devil uscì dalla doccia, alquanto malfermo sulle gambe. Allora il getto caldo
che aveva deviato con la schiena mi crollò addosso all’improvviso.
Chinai la testa per evitare che l’acqua mi entrasse negli occhi e nella bocca.
Se fossi riuscita a formulare parole, avrei chiesto a Devil dove stesse andando.
Ma ero ancora tutta tremante di felicità per l’orgasmo, quindi ancora per un po’
sarei stata incapace di pronunciare frasi coerenti.
Sempre conficcato alla massima profondità dentro di me, Nicky continuò a
tenermi per i fianchi, in modo tale che non mi sarei potuta muovere neppure se
lo avessi voluto. Si curvò a baciarmi la schiena e disse in un cupo brontolio: «Ci
si dovrebbe abituare al fatto che sei una che strilla…»
A quanto pareva, sia lui sia Devil avevano sentito i bodyguard bussare
violentemente alla porta. Proprio nel momento in cui tentavo di mostrarmi
imbarazzata per essere stata udita a gridare durante l’orgasmo, Nicky si curvò su
di me con un brontolio che parve vibrarmi attraverso il corpo, come se averlo
affondato dentro di me mi permettesse di riverberarlo. Rabbrividii per lui.
Sotto il getto d’acqua, accostò il suo viso al mio. «Se Devil non fosse stato
qui, ti avrei azzannato le spalle per imprimerti il mio marchio, il segno del mio
possesso. Purtroppo non bisogna spaventare le tigri.» Brontolò di nuovo, col
torace sulla mia schiena e col volto a sfiorare il mio, strappandomi un gemito
soffocato di sottomessa felicità che lo fece scoppiare in una risata così profonda
da sembrare dotata di zanne e di artigli.
54

i svegliai sbattendo le palpebre in una striscia di sole dorato che

M entrava da una fessura tra le tende, resa ancora più dorata dai capelli
biondi che avevo sulla faccia. Nel sentir muovere il letto mi girai e,
attraverso i capelli e la luce, vidi Nicky alzarsi. Dunque l’uomo
caldo, morbido e muscoloso che mi avvolgeva da dietro era Devil.
Una delle sue braccia bloccava le mie, impedendomi di scostarmi i suoi capelli
dal viso. Mi abbracciò più strettamente, quando cercai di muovermi, e si strofinò
contro di me. A quanto pareva, gli piaceva parecchio dormire abbracciato a
qualcuno.
Un mormorio di voci attirò il mio sguardo verso la porta dischiusa. Nicky
parlò con qualcuno che non vedevo, poi spalancò l’uscio e fece entrare Edward.
Subito abbassai lo sguardo per verificare una cosa che fino a quel momento non
mi era parsa tanto importante, cioè quanto fossi coperta dal lenzuolo.
Con le braccia Devil tratteneva il lenzuolo all’altezza dei miei fianchi e mi
copriva parzialmente il seno, non abbastanza in presenza di qualcuno che non
era mio amante. Sì, Edward era uno dei miei migliori amici, però non è
esattamente la stessa cosa che una migliore amica.
Merda! Dato che Devil m’impediva di muovermi abbastanza da coprirmi col
lenzuolo, feci l’unica cosa possibile, cioè nascondermi dietro di lui. «Soltanto un
minuto, Edward!» Invano cercai di parlare in tono calmo.
Allora Edward scoppiò a ridere, e fu la sua vera risata, così rara che esservisi
abbandonato alla presenza di Nicky significava che in qualche modo lo
approvava. «Mi giro mentre ti copri», annunciò.
Non ero sicura di averlo mai sentito così contento. Non era soltanto per il mio
momento d’imbarazzo, mentre scrollavo Devil per svegliarlo e poter afferrare le
coperte. Pensai che fosse per Donna, che si stava impegnando a risolvere i propri
problemi in modo che fosse celebrato il matrimonio. Forse mi stavo
abbandonando a fantasie femminili, eppure Edward mi sembrava davvero felice.
Quando ci eravamo incontrati, anni prima, eravamo entrambi molto infelici,
anche se io non ne ero consapevole.
«Mi sposto, mi sposto…» disse Devil, mentre lo scrollavo.
Edward si era messo di schiena al letto e rideva tanto che gli tremavano le
spalle. Accanto a lui, nudo e del tutto a proprio agio, Nicky osservava la mia
lotta per recuperare le coperte e nascondere la mia nudità. Come lui, Devil se ne
fregava. Stupidi animali mannari senza pudore! E stupida io a preoccuparmene
troppo!
Quasi piegato in due, Edward rideva tanto che sembrava avere difficoltà a
respirare.
«Sono felice di rallegrare la tua mattinata», affermai, irritata.
Con le labbra increspate, Devil si sforzò di non scoppiare a ridere, mentre
Nicky splendeva di risata a stento repressa.
Avvolta nel lenzuolo come in un mantello enorme, scappai verso il bagno,
raccolsi la mia borsa da viaggio e proprio sulla soglia inciampai nel lenzuolo,
crollando sul pavimento. «Ma vaffanculo!»
Così scoppiarono a ridere anche Nicky e Devil.
Raccolti il lenzuolo e ciò che restava della mia dignità, chiusi la porta del
bagno, attutendo le risate mascoline. Nel guardarmi allo specchio roteai gli occhi
e mi resi conto di non avere la più pallida idea del motivo per cui Edward era
nella nostra stanza. Sarei stata pronta a scommettere che si trattava di lavoro,
ovvero un crimine da risolvere, cattivi da catturare, un misterioso vampiro
master da scovare. Così smisi di sorridere, anche se non proprio del tutto.
Sì, le cose andavano male, la notte precedente era stata brutale, eppure
sentivo ancora le risate dei tre uomini. Era un bel suono. Non era affatto un
brutto modo di cominciare la giornata.
55

ell’ufficio del capodistretto Chapman, che aveva il mandato di

N esecuzione spiegato sulla scrivania, marshal Hatfield si accingeva a


firmare dopo avere chiesto che il mandato fosse trasferito a me. Anche
se i precedenti non mancavano, Chapman per qualche ragione non
voleva accogliere la sua richiesta.
Mi chiedevo se Hatfield avesse dormito. Non aveva più l’aspetto ordinato e
deciso del giorno prima. Aveva gli occhi infossati e la coda di cavallo mezza
sciolta sulla nuca. Sembrava che avesse un gran bisogno di un abbraccio e io mi
domandavo se nella sua vita ci fosse qualcuno a confortarla.
«Non capisco, signore. Il mandato sarebbe stato assegnato subito a marshal
Blake, se non fosse rimasta ferita.»
«Il mandato è stato assegnato a te, Hatfield, e noi ci aspettiamo che tu lo
esegua.»
Allora Hatfield parve angosciata, quasi sofferente. Rughe prima invisibili
spiccarono sul suo volto. Se in occasione del nostro primo incontro l’avevo
giudicata meno che trentenne, in quel momento mi parve più che trentenne.
Tuttavia non era l’età, erano semplicemente i segni dello stress. A volte
scompaiono, a volte no. Come le rughe da sorriso sono le tracce di tutta la
felicità goduta, così certe rughe sono le tracce di ogni delusione subita, scolpite
nella carne come cicatrici.
«Tecnicamente, signore, Hatfield appartiene alla squadra soprannaturale,
proprio come noi», osservò Edward.
«Ne sono consapevole, marshal Forrester.»
«E dunque, signore, lei è senza dubbio consapevole anche del fatto che non
siamo sottoposti alla sua autorità, dato che lei non appartiene alla squadra
soprannaturale e dunque non è nostro diretto superiore.»
Come se non riuscisse a seguire il filo dell’argomentazione, Hatfield fissò
Edward, perplessa. Comunque si rese conto che lui aveva appena detto qualcosa
d’importante.
«Hatfield conosce il suo dovere, Forrester, e io sono suo diretto superiore da
alcuni anni.»
«Credevo che il nostro dovere fosse quello di eseguire ciascun mandato con
la massima efficienza e col minor dispendio di vite possibili», intervenni.
Corrugando la fronte, Chapman mi fissò. «Naturalmente.»
«Allora Blake dovrebbe eseguire questo mandato», riprese Hatfield.
«Collaborerò con lei e con Forrester alla sua completa esecuzione, però mi
sentirei più a mio agio se fosse lei a dirigere l’intera indagine.»
«Hatfield, sei in servizio da più tempo di Blake», ricordò Chapman. «Hai
cinque anni di esperienza più di lei.»
«È vero. Inoltre Blake, a differenza di altri colleghi in servizio, non ha mai
servito nelle forze armate. Però nessuno di noi possiede una conoscenza dei non
morti analoga alla sua, signore. Credo che oggi la mia mancanza di esperienza in
questo ambito abbia avuto come diretta conseguenza la morte di cinque
persone.»
«Non puoi biasimare te stessa se Blake e Forrester non hanno condiviso le
informazioni in loro possesso.»
Mi scostai dalla parete. «Ero ricoverata in ospedale, Chapman, e priva di
conoscenza. Come avrei potuto condividere le informazioni?»
Il supervisore mi fissò, poi annuì brevemente. «Forse sono stato ingiusto. In
tal caso, me ne scuso.»
«Io sono arrivato qui dopo il ferimento di marshal Blake», dichiarò Edward.
«Soltanto la notte successiva sono stato informato sull’indagine in corso, di cui
non ero al corrente. In qual modo avrei nascosto informazioni tali da permettere
di prevenire quello che è accaduto ieri?» Parlava in tono tranquillo e pacato, ma
con abbastanza rabbia repressa da appiccare un incendio. Non avevo mai sentito
Edward così arrabbiato nei panni di Ted.
Con le mani intrecciate dietro la schiena come un ricordo della vita militare,
Chapman spostò il peso sulla punta dei piedi. Aveva i capelli grigi e cortissimi.
Mi sembrava più un ex ufficiale dell’esercito che dei Marines, i quali sono più
efficienti e fanno meno carriera a causa di una certa scontrosità che sembra loro
congenita e rimane anche quando non sono più in servizio. Ci sono anche marine
che fanno carriera ed ex militari dell’esercito ostinati come marine, però di solito
è il contrario.
«Signore, sapevo dei vampiri putrescenti di Atlanta», dichiarò Hatfield.
«Avevo le stesse informazioni possedute da Blake e Forrester. Tuttavia non ho
dedotto, come invece sarebbe stato logico, che questi vampiri avrebbero dovuto
essere distrutti col fuoco, come quelli di Atlanta. Non avevo mai visto nulla del
genere e credevo… Teste e cuori spappolati, spine dorsali spezzate… Vedevo
attraverso i loro petti sfondati, signore, e credevo che fossero abbastanza morti.
Ebbene, ho sbagliato.»
Con quell’assunzione di responsabilità, Hatfield cominciò a piacermi di più.
È vero che le vittime erano state massacrate perché lei non aveva ecceduto in
prudenza, eppure… Si stava lasciando distruggere dal senso di colpa.
«Erano civili scomparsi, marshal Hatfield», osservò Chapman. «Per rispetto
alle loro famiglie, era nostro dovere identificarli prima di bruciarne i cadaveri.»
«Sta dicendo che è diventata pratica accettabile non bruciare i vampiri dopo
averli decapitati e averne spappolato il cuore?» domandai.
«Con l’eccezione di circostanze molto particolari, ha funzionato benissimo.
Abbiamo chiuso casi di persone scomparse che erano irrisolti da decenni.»
«In tutta onestà, signore, non avevo mai pensato che alcuni vampiri cattivi
potessero essere persone scomparse da decenni, provenienti probabilmente da
città lontane.»
«È stato possibile dare sollievo a famiglie che avevano ormai perduto la
speranza.»
«Per le impronte dentali occorre che la testa sia integra, quindi occorre
limitarsi a decapitare», osservò Edward. «Non si può spappolare la testa a colpi
di AR o di fucile a pompa, vero?» Il suo tono era un po’ meno ostile, ma non
molto.
«Esattamente.» Chapman annuì. «Le impronte digitali di molte persone non
sono archiviate.»
«Se si cercano persone scomparse da decenni, allora anche le impronte
dentali non sono sempre utili», replicò Edward. «Di solito non è possibile risalire
alla documentazione dei pazienti di dentisti che hanno cessato l’attività senza
trasmetterla ad altri colleghi.»
«Questo è vero.»
«Allora come s’identificano i vampiri morti?» domandai.
«Col DNA dei familiari superstiti, soprattutto di sesso femminile.»
«Perché il DNA si trasmette più direttamente per discendenza materna»,
suggerii.
«Sì. Molte persone lo ignorano.»
«Nella mia dissipata gioventù, signore, mi sono laureata in biologia.»
«Ho letto il suo fascicolo, Blake. Si è un po’ discusso della possibilità che la
sua formazione scientifica contribuisca all’efficienza con cui lei svolge il suo
lavoro. Crede che sia vero?»
Ci pensai, prima di annuire. «Ho frequentato corsi di biologia soprannaturale
e anche corsi sulle bestie e sugli esseri del mito e del folklore che esistono nel
mondo reale, perciò… Sì, è vantaggioso sapere cosa si deve presumibilmente
affrontare.»
«Lei non ha nessuna formazione investigativa e militare, ha soltanto quella
scientifica, Blake. Eppure i nuovi marshal, benché formati ai corsi della squadra
soprannaturale, all’inizio non sono così abili come lo è stata lei…»
«Sono stata addestrata a risvegliare i morti e a cacciare i vampiri da un
collega risvegliante, e dal qui presente marshal Forrester, quand’era un
cacciatore di taglie specializzato in mostri.»
«Il risvegliante cui si riferisce è Manuel Rodriguez…»
Annuii.
«Anche lui è privo di formazione investigativa e militare.»
«Infatti, signore. Era un cacciatore di vampiri all’antica, uno di quelli che noi
chiamiamo ’cacciatori da paletto e mazzuolo’.»
«È ancora la procedura standard per giustiziare i vampiri in obitorio»,
commentò Chapman.
«Sì», dissi, senza riuscire a celare il mio disprezzo.
«Disapprova, marshal?»
«Provi a conficcare un paletto nel cuore di qualcuno che è incatenato a una
lettiga e la implora di non ammazzarlo, poi venga a dirmi se le è piaciuto.»
«La procedura dovrebbe essere eseguita durante il giorno, quando il vampiro
è comatoso.»
«Sì, infatti. Ma, quand’ero ancora inesperta, mi sono lasciata convincere a
eseguirla il prima possibile, talvolta quando il vampiro era desto. Dopo alcune
esperienze ho perso il gusto per le esecuzioni di questo genere, signore.»
«Posso capirlo, marshal Blake.» Ancora una volta Chapman annuì,
dondolandosi sulla punta dei piedi, con le mani intrecciate dietro la schiena,
probabilmente manifestando così il proprio nervosismo. Ma perché era nervoso?
«Buono a sapersi.» Scrutai il suo viso e i suoi occhi circospetti. Stava per dire
qualcosa di più e di peggio, oppure di diverso.
A occhi sgranati per lo sconcerto, Hatfield mi fissò. «Oddio… Vuoi dire che
hai conficcato un paletto in qualcuno che si dibatteva e implorava?»
«Sì.»
«Io ho sparato a quelli che imploravano, ma questo…» Hatfield si girò verso
il mandato, con la penna sollevata.
«No», ordinò Chapman.
«Perché no, signore?» ribatté Hatfield. «Perché non dovrei trasferire il
mandato alla collega che è maggiormente adatta a eseguirlo?»
«Abbiamo inaugurato la pratica di abbinare marshal soprannaturali inesperti
e marshal più esperti, come hanno fatto autonomamente Forrester e Blake. E tu,
Hatfield, hai esperienza sul campo, sei un bravo marshal e un bravo sbirro.»
«Sì, signore, però non possiedo nessuna facoltà metapsichica, come hanno
rivelato le prove obbligatorie cui mi sono sottoposta per diventare marshal.
Invece Blake possiede facoltà metapsichiche affini a quelle dei non morti e dei
licantropi, quindi ha capacità che io non potrò mai sviluppare, per quanti anni di
esperienza possa accumulare. Non posso neppure apprendere le facoltà che
consentono a Blake di conoscere e affrontare i mostri.»
«Cittadini soprannaturali», corresse Chapman.
«Comunque li voglia chiamare. Nessuna esperienza, per quanto vasta, mi
permetterà mai di sviluppare le facoltà innate possedute da Blake. In tutto il
Paese, molte squadre SWAT hanno accolto agenti sensitivi, e molti dipartimenti
di polizia li abbinano ad agenti privi di facoltà metapsichiche. Credo che la
squadra soprannaturale dovrebbe fare la stessa cosa. Ho trascorso tutta la notte a
cercare di capire come avrei potuto agire diversamente, e l’unica soluzione che
sono riuscita a trovare è che avrei avuto bisogno dell’assistenza di un collega
sensitivo che mi avvisasse che i vampiri non erano morti o che avevo preso una
pessima decisione. Ho fatto del mio meglio sulla base delle informazioni a mia
disposizione e applicando le procedure consuete, signore, ma credo di non essere
stata in possesso di tutte le informazioni necessarie per decidere in modo
adeguato. Sarò felice di collaborare con Blake e sono impaziente di scoprire
come le sue facoltà metapsichiche possano cambiare il modo in cui svolgiamo il
nostro lavoro.»
«Forrester è risultato positivo soltanto di poco alle prove metapsichiche»,
dichiarò Chapman. «Come spieghi il suo successo?»
«Non lo so, signore, però so che le prove metapsichiche non sono perfette.»
«Credi che Forrester possieda qualità superiori a quelle rivelate dalle prove?»
«O forse ha trascorso molti anni a combattere i mostri e noi non possediamo
la sua vasta esperienza. In ogni caso, so che presta attenzione ai suggerimenti di
marshal Blake pur essendo stato il suo mentore. Collaborano come una squadra,
signore, e io credo che questa sia una delle ragioni della loro efficienza. Non
sembra che si curino di chi si prende il merito o di chi avanza nella carriera.
Semplicemente svolgono il loro lavoro al meglio delle loro capacità, e credo che
questo permetta loro di salvare molte vite.» Di nuovo Hatfield si curvò sul
mandato, lo firmò nonostante le proteste di Chapman, infine mi porse la penna.
«Non sono affatto sicuro che questa sia la condotta migliore», dichiarò
Chapman.
Fui costretta a passargli davanti per prendere la penna che Hatfield mi
porgeva.
«Lei non è nostro superiore, e non lo è neppure di Hatfield, perché adesso lei
è una di noi», dichiarò Edward.
Dopo avere firmato mi girai per porgere a mia volta la penna a Edward.
«Vuoi firmare in qualità di testimone?»
«Certo.» Anche Edward fu costretto a passare davanti a Chapman.
«Il problema è esattamente che io non sono un vostro superiore», riprese
Chapman. «La squadra soprannaturale è come una vettura lanciata a tutta
velocità senza nessuno alla guida. Finirà per schiantarsi, e allora toccherà a noi
raccogliere i rottami del disastro.»
«Se per ’noi’ intende l’agenzia dei marshal, non si preoccupi. Ho sentito dire
che stiamo per ottenere completa autonomia burocratica.»
«Se dovesse succedere, Blake, diventerete analoghi a uno squadrone della
morte legalmente autorizzato a braccare cittadini degli Stati Uniti tutelati dai
diritti civili.»
«Non dico che sia una buona idea, e non dico neppure di essere d’accordo,
però sembra che stia per andare proprio così.»
«Non credo che succederà.»
«Vedremo.»
«Sì, vedremo.»
«Il problema è che continuate a considerare questo problema come se
concernesse le indagini di polizia e i diritti civili», dichiarò Edward. «Invece non
è così.»
«Allora che cosa concerne? Me lo dica, marshal Forrester.»
«Ha mai avuto un incubo in apparenza tanto reale da svegliarsi fradicio di
sudore gelido, per poi guardarsi intorno e provare un grande sollievo nello
scoprire che dopotutto non era affatto reale?»
Chapman scrollò le spalle. «È capitato a tutti.»
Edward annuì. «E, dopo avere provato quella sensazione di sollievo, le è mai
capitato di udire un rumore che non si sarebbe dovuto produrre, perché lei
avrebbe dovuto essere solo?»
Per un lungo momento Chapman scrutò Edward, mostrandosi altrettanto
impassibile e impenetrabile. «Non posso dire che mi sia capitato.»
«Invece a me è capitato, e anche ad Anita. Sappiamo che l’incubo può essere
reale e possediamo le capacità, la determinazione e gli strumenti per combattere
gli incubi e vincere.»
«Lei e Blake siete una coppia di spietati bastardi, Forrester. Questo l’ho
capito.»
Edward scosse la testa. «Non si tratta di questo.»
«Allora mi spieghi di cosa si tratta», esortò Chapman, lasciando trapelare
l’irritazione.
«I nuovi marshal pensano come sbirri, quindi sono addestrati a preservare la
vita. Io e Blake pensiamo più come soldati. Il nostro lavoro è distruggere vite,
non salvarle. Le salviamo nell’uccidere i mostri, ma il nostro lavoro, in concreto,
consiste nel distruggerle. Non siamo l’Amico Poliziotto che va nelle scuole a
rassicurare i ragazzi. Non siamo gli agenti cui la gentile vecchietta può chiedere
aiuto quando il suo gatto è incapace di scendere dall’albero. Non siamo gli
agenti della stradale che forniscono indicazioni a chi si è smarrito. Non siamo gli
agenti della polizia di Stato che fermano gli ubriachi per impedire che
provochino incidenti automobilistici ammazzando qualcuno o ammazzandosi.
Non siamo nulla di tutto questo e mai lo siamo stati. Non siamo stati addestrati
per questo. Tutti i migliori sterminatori hanno una formazione che non include il
lavoro in polizia, ma spesso include il servizio militare, oppure l’esperienza
civile nella caccia grossa.»
«Mi pare che Blake non rientri in nessuno di questi due profili», osservò
Chapman.
«Da piccola andava col padre a caccia di cervi, la selvaggina più grossa che
si potesse cacciare nello Stato in cui è nata.»
Chapman mi scrutò. «Questo non è nel suo fascicolo…»
Scrollai le spalle.
«Noi siamo cacciatori. Quando si arriva a uno scontro come quello di ieri,
siamo prima soldati, poi sbirri. Anche se negoziamo coi cattivi, loro sanno, come
lo sappiamo noi, che il nostro compito è quello di ucciderli. Siamo assassini col
distintivo. Siamo davvero uno squadrone della morte, e l’incapacità di
comprenderlo da parte di marshal Hatfield e di tutti i bravi agenti di polizia è il
motivo per cui loro non sono così bravi in questo lavoro come lo siamo noi due,
e Bernardo Cavallo-Pezzato, e Otto Jeffries, oppure… Tutti i migliori di noi
hanno iniziato come cacciatori di taglie o come cacciatori di vampiri, in
appoggio alla polizia.»
«Ha appena ammesso che siete soltanto assassini col distintivo», osservò
Chapman.
Edward annuì.
«Non posso approvare che l’agenzia dei marshal sia coinvolta in una simile
attività.»
«Lo so, perché essere agente di polizia significa preservare la vita, la libertà e
la sicurezza», dichiarò Edward.
«Incarceriamo i cattivi affinché non nuocciano agli innocenti», precisò
Chapman.
«La polizia è molto brava in questo, se i politici la lasciano lavorare. Tuttavia
i mostri sono reali, capodistretto Chapman. Da quando il governo ha deciso che i
mostri sono troppo pericolosi per essere semplicemente condannati a pene
detentive e che giustiziarli è l’unico modo per proteggere gli innocenti, questo
lavoro ha cessato di essere un lavoro di polizia.»
«Anche voi avete un distintivo. Siete agenti delle forze dell’ordine», ricordò
Chapman.
«Ufficialmente sì, ma lei non lo crede davvero, altrimenti non si curerebbe
della decisione di Hatfield di trasferire il mandato ad Anita.»
«È perché voi due non siete sottoposti a controlli e verifiche», ammise
Chapman.
«E questo la rende nervoso…»
«No, per niente.»
Avrei voluto dirgli: «Bugiardo». Ma saggiamente tenni la bocca chiusa.
Ancora per un lungo momento Chapman ci scrutò, infine si rivolse a
Hatfield. «Sei un bravo marshal, Hatfield. Se deciderai di lasciare la squadra
soprannaturale per tornare dalla nostra parte, avrai il mio più completo appoggio.
Provvederò personalmente a garantire che il trasferimento non abbia
ripercussioni negative sulla tua carriera.»
«Grazie, Chapman. Forse lo farò. Tuttavia sento di dover collaborare a questa
indagine fino alla sua conclusione. Se non lo facessi, perderei la mia serenità
interiore, e non me lo perdonerei.»
«Quando sarà conclusa, potrai tornare al servizio regolare», promise
Chapman.
«Grazie, signore. Credo di preferirlo.»
Di nuovo Chapman si rivolse a Edward. «Lei e Blake, Cavallo-Pezzato,
Jeffries, non m’innervosite affatto, Forrester. Semmai mi spaventate, perché non
siete sbirri, e non mi piace che la gente possa pensare che un mostro cessa di
essere tale soltanto perché porta un distintivo.»
«Sta dicendo che siamo mostri?» intervenni.
«È stato concesso a due marshal risultati positivi alla licantropia di
conservare il distintivo e di rimanere in servizio attivo. Ebbene, ho visto cos’ha
fatto l’amico licantropo di Blake agli agenti che si trovavano a bordo
dell’elicottero. È davvero una buona idea permettere che esseri del genere
appartengano alle forze dell’ordine?»
«Braccherò il vampiro che ha costretto Ares ad aggredirci, lo scoverò e lo
ucciderò.»
«Per vendetta?»
«No, signore, perché è il mio lavoro.»
Chapman scosse la testa. «Ha ragione, Forrester. Anche se ufficialmente siete
marshal, in realtà siete soldati di uno squadrone della morte. Lo sospettavo, e
questa è una delle ragioni per cui ho insistito affinché agenti come Hatfield
entrassero nella vostra squadra. Speravo di contribuire in tal modo a creare un
equilibrio, ma ora temo che ciò non sia possibile: la traviereste.»
«Sono un po’ troppo vecchia per essere ’traviata’, signore», osservò Hatfield.
Chapman la scrutò con sguardo triste, e in quel momento compresi che aveva
esperienza di vero combattimento. Si può avere un certo sguardo soltanto se si
ha esperienza della vera violenza, della vera sopravvivenza, del vero senso di
colpa per essere sopravvissuti. «Non si è mai troppo vecchi per essere traviati,
fino a quando non si perde l’anima a opera del demonio, Hatfield.» Ciò detto,
Chapman si girò e uscì, lasciandosi alle spalle la porta spalancata.
Allora noi raccogliemmo la nostra roba e ci avviamo a interrogare i testimoni
e a leggere i rapporti di polizia, sperando di ricavare qualche indizio.
56

eppure con riluttanza, il dipartimento di polizia ci assegnò una stanzetta

S per esaminare i documenti. Adesso che avevo il mandato, il caso era


mio; anche se cercavo di non essere troppo rude, non avevo nessuna
intenzione di sopportare altre stronzate. Avevamo tempo sino al cadere
della notte per ricavare tutte le informazioni possibili dai rapporti, dalle
fotografie e dalle testimonianze. Prima d’interrogare i testimoni, cioè i pochi
sopravvissuti, come speravo di poter fare, era necessario esaminare i rapporti. Sì,
può essere tedioso, tuttavia ci sono motivi ben precisi se si redigono rapporti, si
scattano fotografie, si compiono rilevamenti, si raccoglie una documentazione
che non è totalmente attinente al dibattimento processuale. Talvolta tutto questo
materiale consente di raccogliere elementi nuovi tali da contribuire alla cattura
dei cattivi.
Dividemmo i rapporti in tre categorie: persone scomparse, ormai in gran
parte ritrovate e identificate; scene del crimine, cioè luoghi in cui erano stati
commessi gli omicidi; referti di medicina legale sulle ferite dei superstiti e
sull’infezione putrescente. Quest’ultimo gruppo toccò a Hatfield, che non aveva
avuto il tempo di leggere tutto in proposito, mentre io avevo già parlato coi
medici e Edward aveva parlato con Micah delle condizioni di suo padre mentre
io ero priva di conoscenza.
Quando si ha il compito di giustiziare vampiri in arresto non si ha il tempo di
condurre uno studio approfondito della documentazione. Di solito i marshal non
insistono per leggerla, anche se ne hanno diritto. Arrivano in città, eseguono il
mandato e se ne vanno. Siamo un po’ come Lone Ranger della Morte, e… Sì, so
che Lone Ranger era un ranger del Texas e non un marshal federale! Comunque
questo è ancora quello che la maggior parte della gente pensa al nostro arrivo.
Nel gergo moderno della squadra soprannaturale, ci chiamiamo tra noi «Lone
Ranger», o più semplicemente «Ranger». Di solito non risolviamo il crimine,
però è sicuro come l’inferno che concludiamo l’indagine. Non c’è niente di più
conclusivo della morte, e risolto il mistero è tempo di scomparire nel tramonto in
sella a un cavallo bianco, impugnando la nostra falce imbrattata di sangue.
Leggevo la documentazione prima di giustiziare i prigionieri perché, se
dovevo porre fine alla vita di qualcuno, volevo sapere cosa aveva combinato per
meritare la condanna a morte. Ormai non mi convocavano più per le esecuzioni
in obitorio, sia perché rompevo i coglioni insistendo a voler leggere i fascicoli,
sia perché i marshal come Hatfield abbondavano e c’era un mio collega di St.
Louis che era felice di arrivare in città, risolvere il problema vampirico e
andarsene senza chiedere un accidente di niente.
Mentre Edward leggeva i rapporti sulle scene dei crimini, io esaminai quelli
sulle persone scomparse. Era interessante che alcune fossero state trasformate in
«vittime» e altre in «vampiri». Nei casi di quel genere, i vampiri non sono mai
considerati vittime. Diventando vamp si diventa «nemici». Sarebbe come se la
principessa in attesa di essere salvata si trasformasse nel drago da massacrare.
Pur sapendo che in teoria le cose funzionavano così, la divisione delle
persone scomparse in due gruppi mi suggerì una prospettiva diversa. Ero
d’accordo perfino sull’accusa, perché una persona divenuta vampiro di recente e
dominata dal master assassino che l’ha trasformata è come un’arma carica in
pugno a un omicida. Occorrono settimane ai vampiri novelli per sviluppare una
consapevolezza di se stessi tale da permettere loro di essere qualcosa di più che
assassini assetati di sangue. È molto probabile che squarcino gole
involontariamente perché percepiscono il sangue e lo bramano, ma c’è un
tirocinio da fare per imparare a usare le zanne. Diavolo, una persona soggiogata
da un vampiro può diventare un nemico! Conoscevo diversi colleghi sbirri che
avevano tentato di sparare ad altri agenti dopo essere stati soggiogati dai vamp.
Dunque ero d’accordo nell’agire secondo la consuetudine, perché un master
cattivo domina i suoi vampiri fino a quando non sono uccisi; se è abbastanza
giovane, ucciderlo trasforma i vamp novelli in qualcosa di maledettamente
simile alle «larve», che aggrediscono e uccidono chiunque e qualunque cosa.
Certi vampiri possono conservare la sanità mentale dopo la morte dei loro
master, certi altri no, e questi ultimi devono essere abbattuti come animali
rabbiosi, perché è quello che sono e probabilmente non potranno mai diventare
null’altro.
Nel leggere i rapporti sulle famiglie con figli, coppie che avevano annunciato
il fidanzamento prima di scomparire, genitori che ogni settimana chiedevano
notizie dei figli ormai cresciuti, cominciai a chiedermi se con tempo sufficiente a
disposizione perfino il vamp novello più pazzo potesse diventare più simile a
quello che era stato. Non vi era modo di verificare la teoria perché sono animali
dotati di forza e di velocità sovrumane, che si nutrono del sangue dei vivi, e non
sono molto più vivi degli zombie cannibali. Non si può ingabbiare un essere
simile e sperare che migliori col tempo. Eppure, nell’osservare le foto dei
vampiri prima che fossero diventati tali, mi chiesi quante persone avessimo
ucciso che avrebbero potuto essere recuperate alla società e diventare cittadini
vamp rispettosi delle leggi. Be’, è come chiedersi se un serial killer possa
redimersi. La risposta è no. Comunque è inevitabile domandarselo quando si sa
di qualcuno che è stato capace di astenersi dall’uccidere per vent’anni, e nel
frattempo ha cresciuto i propri figli sino all’adolescenza. A quanto pare, avere
figli adolescenti era bastato per indurlo a ricominciare a uccidere. Ho sentito dire
che avere figli adolescenti è stressante, ma… Cristo!
«Stai pensando qualcosa», osservò Edward.
Nel sollevare lo sguardo dai documenti fui costretta a staccarmi da quello che
stavo leggendo, dai volti sorridenti, dai visi insanguinati, dai miei stessi pensieri.
«Non proprio, o almeno non come intendi tu.»
«Vale a dire?»
Mi voltai verso Hatfield, scoprendo che pure lei mi stava guardando. Se fossi
stata sola con Edward, forse mi sarei confidata, ma… «Soltanto un pensiero
strano a proposito di questi vampiri che sono tali da pochissimo tempo. Non mi
ero mai dovuta occupare di tante persone scomparse trasformate in vamp
assassini, cioè, una o due sì, ma non decine…»
«Non sono decine», corresse Hatfield.
«Ho chiesto tutti i rapporti sulle persone scomparse in questa regione negli
ultimi tre mesi, incluse quelle che non consideravamo coinvolte. E sono davvero
tante. Sono stati trovati tre cadaveri decomposti e si è pensato a escursionisti
rimasti uccisi in seguito a qualche incidente e poi divorati dagli animali selvatici.
Be’, può anche darsi che sia andata così, e non sarebbe affatto insolito…»
«Tu però non lo credi», dichiarò Hatfield.
«Un vampiro abbastanza potente può rimanere inattivo per anni e sostentarsi
ugualmente. Però di solito, al risveglio, oppure quando riesce a liberarsi dalla
trappola in cui è caduto, è un po’ pazzo, si nutre in modo più belluino, come i
vampiri novelli, appunto, finché non ha assimilato abbastanza sangue per tornare
a essere com’era e rinsavire. Per alcuni vampiri questo è impossibile quando
sono rimasti intrappolati senza cibo per troppo tempo.»
«Intrappolati… come?» chiese Hatfield.
«Di solito all’interno di una bara sigillata con alcuni crocifissi.»
«Chi mai potrebbe fare una cosa del genere? Noi li uccidiamo,
semplicemente.»
Mentre meditavo su come rispondere, Edward intervenne: «Per i vampiri è un
equivalente del carcere: punire, senza ucciderli, i loro simili impazziti».
«Credevo che si ammazzassero a vicenda, semplicemente, come qualunque
altro predatore», disse Hatfield.
«Perfino ai predatori animali non piace uccidere i loro amici», dissi.
«Comunque i vampiri sono come gli umani. Hanno difficoltà a uccidere quelli
che conoscono da molto tempo, quindi tentano d’imprigionarli e sperano di
poterli curare.»
«Intendi dire… riabilitarli?»
«Qualcosa del genere», risposi.
In verità, imprigionare in una bara è di solito un modo per punire più che un
tentativo di salvare o di riabilitare. Sapevo di vampiri impazziti dopo essere
rimasti lungamente rinchiusi in una bara. Comunque non lo dissi a Hatfield:
anche se si comportava amichevolmente, non era mia amica, non ancora.
«Dunque un vampiro che dopo molto tempo si desta o fugge dalla prigionia
si nutre del primo cibo che riesce a procurarsi, cioè probabilmente animali,
giusto?» riepilogò Hatfield.
«Gli animali sono molto più difficili da catturare di quanto si possa pensare, e
può anche darsi che il sangue animale, incluso quello di prede appena uccise,
non possa fornire il sostentamento necessario a un vampiro.»
«Perché no?»
«Perché c’è bisogno di quella scintilla, di quell’energia ulteriore, di quel
qualcosa in più che si trova esclusivamente nel sangue umano.»
«Intendi dire che è come bere l’anima?»
«Questo presuppone che gli animali siano privi di anima, e io non sono
disposta ad affermarlo», risposi.
«Allora che cosa ci rende tanto speciali per i vampiri?»
Sorrisi. «Poter rispondere a questa domanda in modo definitivo
significherebbe risolvere un problema dibattuto in religione e in filosofia da
centinaia di anni.»
Hatfield annuì. «In ogni caso, perché credi che si tratti di un vamp antico
destatosi da poco tempo?»
«Perché ha un talento davvero raro, che ho visto soltanto nei vampiri antichi.
Se ci fosse un vamp tanto antico e tanto potente, lo sapremmo. Non si può
nascondere un tale potere ai vampiri e agli umani, per non parlare dei licantropi.
Ha potuto soggiogare il mio amico attraverso il morso di uno dei vampiri da lui
posseduti, non attraverso il proprio stesso morso, e lo ha controllato, o fatto
impazzire, a distanza.»
«Non ho mai letto di un vampiro capace di possedere i suoi seguaci vamp.
Dovresti scrivere un articolo e pubblicarlo, in modo da renderlo disponibile a
tutti noi.»
Scambiai un’occhiata con Edward. «Non tutti i vampiri antichi amano che i
loro segreti siano resi pubblici.»
«Vuoi dire che sono ancora vivi? Credevo che li avessi uccisi!»
«Non ammazzo tutti i vampiri che incontro.»
«Sì, mi sembra giusto…» Hatfield parve alquanto imbarazzata. «Cioè, stai
col tuo Master della Città… Senza offesa!»
«Non mi offendo. Lo frequento apertamente.»
A giudicare dalla sua espressione, sembrò per un momento che Hatfield fosse
immersa in una rapida successione di pensieri e che neppure lei sapesse
esattamente di cosa si trattava.
«Vuota il sacco, Hatfield», esortò Edward.
«Credo che io al posto tuo non potrei mai superare il fatto che è morto,
Blake. Però devo riconoscere che il tuo Master della Città è bellissimo… Sempre
senza offesa!»
Sorrisi. «Perché dovrei offendermi? Jean-Claude è davvero bellissimo.»
«Mi dispiace di averti detto cose orribili a proposito di lui, e di Micah
Callahan, e di… Oh, al diavolo! Sono stata imperdonabile! Il fatto è che tu getti
una lunga ombra sulle altre agenti della squadra soprannaturale.»
«Mi dispiace che le mie relazioni soprannaturali vi rendano la vita difficile,
però non intendo smettere di frequentare gli uomini che amo semplicemente
perché a un sacco di gente non piace.»
«Adesso che ti ho conosciuta mi rendo conto che queste reazioni sono dovute
in gran parte alla gelosia. Sei tanto dura quanto sei bella, quindi molte donne
sicuramente ti odiano a vista, e gli uomini non sanno decidere se cercare di
competere professionalmente con te o cercare di portarti a letto.»
Corrugai la fronte. «Trascorro la maggior parte del mio tempo in compagnia
di uomini in confronto ai quali sembro la sorellastra brutta, quindi non capisco la
faccenda della bellezza che intimidisce. Ma, per quanto riguarda essere una dura,
molti di loro non sono in grado di competere.»
«Se tu sei la sorellastra brutta, allora i tuoi ragazzi devono essere perfino più
belli che in foto.»
«Sono assolutamente spettacolari.»
«E tu fai capire agli uomini che non possono competere…?»
Scrollai le spalle. «Nel nostro lavoro non ci si può permettere di coccolare
l’ego di nessuno. Si è all’altezza di farlo, oppure no.»
«Molti di quelli che ti odiano si sentono semplicemente insicuri in confronto
a te.» Hatfield emise una breve risata. «Credevo che essere all’altezza della tua
reputazione fosse impossibile per chiunque, Blake, ma mi devo ricredere.» Tornò
seria e abbassò di nuovo lo sguardo sui documenti che stava esaminando.
«Questa malattia è davvero terribile… Sono dispiaciuta per lo sceriffo Callahan
per molte ragioni. E, se davvero si tratta del tuo futuro suocero, mi dispiace che
Micah Callahan sia stato costretto da tali circostanze a tornare a casa.»
«La cosa migliore che io possa fare per Micah e per suo padre è trovare il
vampiro che ha dato inizio a tutto questo. In attesa che l’imbrunire ci permetta
d’interrogare i vampiri, vediamo cosa possono riferirci le vittime. Voglio vedere
quanto sono vicini tra loro i luoghi in cui le persone sono scomparse, quindi mi
occorre una mappa per scoprire se ho ragione, cioè se siano raccolti in un’unica
zona. E, se io avessi ragione, allora potremmo riuscire a individuare il luogo in
cui il vampiro master nasconde il proprio corpo. La polizia potrebbe recarsi a
controllare tutti quelli che abitano in quella zona. Sulle montagne ci sono sempre
persone che si recano in città molto di rado, perché sono montanari all’antica,
antisociali, oppure perché sono ricchi e possono usare l’elicottero. In ogni caso,
è possibile che la loro eventuale scomparsa passi inosservata per lungo tempo.»
«Credi davvero che ci siano molte altre persone scomparse?»
«Quasi lo spero, perché questo ci indicherebbe dove cominciare a cercare il
corpo del vampiro master.»
«Parli del suo corpo come se non lo occupasse», osservò Hatfield.
«Di solito un vampiro capace di possedere con tanta facilità i vamp da lui
stesso creati è in grado di abbandonare il proprio corpo, lasciandolo nascosto in
un luogo sicuro, e di possedere i corpi altrui per servirsene. Quando il corpo che
occupa si danneggia, lui lo abbandona come si abbandonerebbe un bastimento
che sta colando a picco, e s’imbarca altrove.»
«Esistono vampiri capaci di passare tanto facilmente da un corpo all’altro?»
«Ne ho conosciuti un paio, e in questo caso sto considerando la prospettiva
peggiore.»
«Se il vamp cattivo è in grado di trasferirsi da un corpo a un altro con tanta
facilità, come lo ammazziamo?»
«Distruggendo il corpo originale», rispondemmo io e Edward, all’unisono.
Hatfield ci fissò a turno e quasi scoppiò a ridere. «Non è la prima volta che vi
capita.»
Io e Edward ci scambiammo un’occhiata. «No.»
«Okay…» Hatfield scosse il capo. «Procuriamoci una mappa!»
57

on una mappa e spilli rossi per le vittime identificate, spilli verdi per le

C persone scomparse e spilli gialli per le persone scomparse trovate


morte per cause presumibilmente naturali, approntammo uno schema
che non corrispondeva a ciò che avevo sperato, perché era composto da
un grappolo all’inizio, in una remota località di montagna, un grappolo
in una zona meno isolata ad alcuni chilometri di distanza e un grappolo nei
pressi di un villaggio di montagna, con un prolungamento verso Boulder.
La grossa sorpresa fu che Travers si unì a noi. Sapevo che Truth lo aveva
guarito dall’infezione e avevo presunto che avesse altre ferite oltre al morso.
Invece era tornato. Si muoveva con prudenza – aveva il colletto della camicia
che lasciava intravedere le bende – e trasalì nell’appoggiarsi a una colonna. Tutti
gli dissero di non essersi aspettati che tornasse così presto e di essere felici di
vederlo. Io lo salutai e gli dissi che era bello rivederlo. Lui rispose con un breve
cenno della testa e con espressione diffidente. Eppure io e i miei gli avevamo
salvato il culo due volte. Qualcosa mi diceva che non l’aveva presa bene.
«Come mai non l’abbiamo visto?» chiese il detective Foster, uno sbirro
anziano e quasi completamente calvo, che con gli occhiali sembrava più un
professore di matematica delle superiori che un poliziotto, finché non ci si
accorgeva delle spalle larghe e dei muscoli che gli guizzavano sugli avambracci.
«Non l’abbiamo visto perché non c’è niente da vedere», rispose Travers, con
la sua grossa voce profonda, burbero come quando mi aveva insultata nel bosco.
«Quelli sono gli escursionisti e i turisti scomparsi negli ultimi tre mesi. Non sono
le vittime del vampiro.»
«Per voi è normale che tanti escursionisti scompaiano nel corso di tre mesi?»
domandai.
Dopo un breve silenzio, fu Foster a rispondere: «No, e proprio per questo
chiedevo come possa esserci sfuggito. Anche se non fossero vittime di vampiri o
di altri esseri soprannaturali, sarebbero comunque troppe le persone scomparse.
Qualcuno avrebbe dovuto accorgersene e segnalare il pericolo».
Il capitano Jonas si avvicinò alla mappa. «Questa è la prima volta che sono
raccolti tutti questi casi. Considerati individualmente sembravano molti, ma non
così tanti come risultano considerati nell’insieme.»
«È il problema che incontriamo sempre noi marshal. Le diverse forze di
polizia non si scambiano le informazioni senza un motivo preciso, e qui abbiamo
diverse giurisdizioni. Anzi, ci sono perfino diverse stazioni di Rangers per
almeno due di queste zone. Alcune persone potrebbero essersi semplicemente
smarrite, come il vecchio trovato morto di stenti, presumibilmente dopo una
caduta. Gli incidenti avvengono maledettamente spesso nei boschi e sulle
montagne, soprattutto a chi non ha esperienza e non si rende conto che pure in
brevissimo tempo la temperatura si può abbassare e il tempo può cambiare.»
«Come mai sai tante cose sulla montagna?» mi domandò Travers. «Sei di St.
Louis, che è in pianura!»
«Ho eseguito mandati in tutto il Paese. Una volta ero in montagna e si è
scatenata una bufera di neve quasi da un momento all’altro, tanto che siamo stati
fortunati a trovare riparo. Hai ragione, sono di pianura, e proprio per questo ho
corso il rischio di lasciarci la pelle. Così poi, per essere sicura che non mi
succedesse una seconda volta, ho studiato meteorologia e tecniche di
sopravvivenza, in modo da poter operare anche in montagna.»
«Sei proprio una piccola girl-scout!» commentò Travers.
«Perché ce l’hai tanto con lei?» intervenne Hatfield.
Travers parve sorpreso. «E, tu, da quando sei diventata la sua più grande
ammiratrice? Ho sentito che l’hai chiamata ’scopapelosi’ e ’carne da bara’.»
Hatfield sembrò imbarazzata. «Non conoscevo marshal Blake, in quel
momento. Da quando l’ho conosciuta meglio, sto dalla sua parte, agente Travers.
Cioè da quando cinque persone sono morte, la notte scorsa, perché io non avevo
la sua esperienza coi non morti.»
«I vampiri sembravano morti, erano morti. Nessuno avrebbe potuto sapere
che non erano morti abbastanza», ribatté Travers.
«Blake lo sapeva, Forrester lo sapeva.»
«Stronzate!»
«Travers, che diavolo di problema hai?» intervenne il capitano Jonas. «Tutti
quelli che sono tornati dalla montagna con lei non ne parlano che bene. Inoltre
ho saputo che uno dei suoi vampiri ti ha salvato la vita.»
«Sì, uno dei suoi amanti vampiri mi ha rimesso in sesto», ammise Travers,
amareggiato.
«Chiudi quella cazzo di bocca», ordinò Jonas. «Se Blake dovrà continuare a
difendere il suo onore contro tutti i nostri agenti, non me ne rimarrà abbastanza
da mandare sul campo.»
«Ho saputo di Rickman», insistette Travers. «Con lui, Blake ha soltanto
avuto fortuna.»
Edward scoppiò a ridere.
Furente, Travers lo fissò. «Qualche problema, Forrester?»
«Anita non ha avuto proprio nessuna fortuna.»
«Io dico di sì.» Travers si staccò dalla colonna e si erse in tutta la sua
torreggiante altezza a dominare tutti, incluso Edward.
«Anita non ha bisogno di nessuna fortuna per vincere uno scontro», dichiarò
Edward.
«Tu c’eri?»
«No.»
«Allora come diavolo fai a sapere cos’è successo? Hai mai conosciuto
Rickman?»
«Non ho nessun desiderio di conoscerlo.»
«Ah, no?»
«No. Anita non vince perché ha fortuna. Vince perché è brava.»
«Be’, immagino che tu sappia quanto è brava.»
Edward smontò dalla scrivania cui si era appoggiato.
Travers gli si avvicinò, benché lento e anchilosato, e sorrideva. Conoscevo
quel tipo di sorriso. Voleva battersi e, dato che non riusciva a provocare me,
voleva provocare il mio «fidanzato».
«Basta così, Travers», intervenne Jonas. «Vattene a casa.»
«Ha bisogno di tutti gli agenti a disposizione.»
«Ho bisogno di tutti quelli che sono disposti a lavorare in squadra e a fare il
loro stramaledetto lavoro, uomini e donne. So che Rickman è uno dei tuoi
migliori amici, ma, adesso che marshal Blake gli ha fatto il culo, non c’è nessun
bisogno che tu faccia lo stronzo con lei al posto suo.»
«Non ho niente contro Blake.»
«Allora piantala di provocare lei e Forrester. Se con uno dei tuoi commenti
passi il segno un’altra volta, ti spedisco a casa e inoltro un richiamo ufficiale.»
«Un richiamo per cosa?»
«Molestie sessuali, tanto per cominciare.»
«Non ho molestato nessuno.»
«Forse la mia memoria è migliore della tua, Travers, perciò cito la tua frase
parola per parola: ’Be’, immagino che tu sappia quanto è brava’. È un’allusione
di tipo sessuale a entrambi i marshal che sono qui in visita.»
«Non parlavo con Blake. Come posso averla molestata?»
«Dormivi, forse, quando c’è stato l’ultimo seminario sulle molestie sessuali?
I commenti impropri alla presenza di un agente di sesso femminile possono
anche costituire molestia sessuale.»
Stranamente urtava i miei sentimenti che Travers ce l’avesse con me più di
prima da quando gli avevo salvato il culo sui monti, e mi domandavo se per caso
gli fosse dispiaciuto essere stato salvato da una donna e da un branco di
soprannaturali. Se fosse stato così, mi avrebbe fatto incazzare ancora di più.
«Se uno dei suoi vampiri non ti avesse guarito dall’infezione, saresti
agonizzante come lo sceriffo», ricordò Hatfield.
«Non ho chiesto aiuto», replicò Travers.
«Ingrato bastardo», ribattei.
Furibondo, Travers si girò a fissarmi. «Vuoi assaggiarmi, Blake?»
«Se intendi sessualmente, no, grazie.» Mentre lui diventava paonazzo,
aggiunsi: «Se invece vuoi batterti, allora aspetto che tu sia guarito. Non sarebbe
leale ora che sei ferito».
Ancora più cupo in viso, Travers s’incamminò verso di me, e anche verso
Edward, che mi era accanto.
«Fermati prima di arrivare qui, Travers, perché non m’importa niente se sei
ferito», intimò Edward.
«Credi di potermi stendere?»
Edward sorrise. «Ne sono sicuro.»
È tipico dei maschi dire che non ci si vuole battere, e al tempo stesso
fomentare la lotta.
Quando Travers continuò ad avanzare, Jonas lo intercettò. Anche se
sembrava piccolo in confronto a lui, non c’era niente di piccolo nel suo
atteggiamento. «Vai a casa, Travers. Raccomanderò che tu abbia assistenza
psicologica, perché è ovvio che sei rimasto traumatizzato dai recenti
avvenimenti.»
«Non sono ferito tanto gravemente. Posso aiutare a scovare quel bastardo.»
«Non ho detto che sei ferito, ho detto che sei rimasto traumatizzato. Adesso
torna a casa, finché posso concederti il beneficio del dubbio. Se provi a toccare
Forrester o Blake, ti sospendo senza paga. E, adesso, vattene subito a casa!»
Nell’andarsene, Travers si sentì in dovere di girare la testa per lanciare un
ultimo commento: «Non devo niente al tuo vampiro, Blake».
«Truth non ti ha salvato perché ti sentissi in debito. Ti ha salvato perché era
la cosa giusta da fare e perché rispetta gli altri guerrieri.»
«Non è un guerriero! È soltanto un maledetto succhiasangue!»
«Preferiresti essere in ospedale a marcire come lo sceriffo Callahan?» Non
gridai, però cominciai ad alzare la voce.
«Perché il tuo vampiro non ha salvato lui?»
«Perché l’infezione è ormai diffusa in tutto il suo corpo e non è più possibile
succhiare fuori tutto il veleno da un unico punto.» Gli occhi cominciarono a
bruciarmi di lacrime, ma non volevo piangere alla presenza di quel bastardo. «È
troppo tardi per salvare il padre di Micah, però siamo riusciti a salvare te, uno
stramaledetto ingrato misogino omofobo prevenuto razzista bastardo, che non lo
merita!»
Per un istante il suo viso rimase come paralizzato. Poi Travers parve
smarrito, e non saprei quale altro aggettivo usare. Quell’espressione fu
sufficiente a rivelare che combattere gli zombie, rimanere ferito, essere salvato
da Truth lo avevano segnato profondamente, e non in modo positivo. Senza
aggiungere una sola parola, si girò e se ne andò.
«Perché diavolo è successo?» chiese Jonas, a nessuno in particolare.
Nessuno rispose. Anzi, il silenzio fu piuttosto denso.
Poi dal fondo della sala giunse la voce del vicesceriffo Al: «Scusate se arrivo
tardi, ma… Diamine, Anita, sei proprio brava a inveire!»
Mentre gli altri ridevano, anche se non fragorosamente, e io sorridevo, Al si
avvicinò e mi sorrise. La sua espressione mi rivelò che aveva sentito abbastanza
dell’accaduto per voler sdrammatizzare e riportare un po’ di serenità. Anche se
Travers era un ingrato bastardo, per ognuno come lui ci sono un Al, una
Hatfield, un Jonas, e altri come loro.
In molte città ho più amici che nemici. Semplicemente non riesco a capire
perché certa gente ce l’abbia tanto con me. Non sono molto incline a odiare la
gente per le cose che non può cambiare, tipo l’aspetto, o le facoltà
metapsichiche, o un sacco di altre cose. Sono scontrosa e ammazzo la gente
ovunque io vada, o quasi, però non odio nessuno di quelli che faccio fuori.
Probabilmente questo non è granché consolante per quelli che giustizio, però…
Ehi, concentriamoci sull’aspetto positivo della faccenda!
58

n tempo i vampiri si cacciavano soltanto alla luce del giorno. Si

U approfittava delle ore in cui i vamp non erano desti e non potevano
cacciare i cacciatori, così era possibile sorprenderli nella loro tana
diurna e conficcare loro un paletto nel cuore, oppure decapitarli
mentre dormivano il sonno della morte e non potevano difendersi.
Per lo stesso motivo, finché il sole era alto non potevamo interrogare i due
vampiri che avevamo arrestato, i quali probabilmente sarebbero stati in grado di
rispondere a tutte le nostre domande e conoscevano la tana diurna del master
sconosciuto. Sì, c’era la scocciatura dell’assistenza legale, però adesso che il
mandato era mio potevo usare tutto il potere che esso mi concedeva, incluso
quello di costringere l’avvocato a permettermi d’interrogarli in sua presenza, se
ritenevo che senza le loro informazioni si sarebbero perse altre vite.
La notte prima erano morte cinque persone, soltanto due delle quali erano
cadute nell’esercizio delle loro funzioni. Le altre tre erano astanti innocenti.
Disponevo di tutte le prove che mi occorrevano per interrogare i vampiri dopo il
tramonto e non vedevo l’ora che arrivasse l’imbrunire per poter procedere. Al
tempo stesso temevo gli assi che il master assassino nascondeva nella propria
manica di non morto. Gli zombie all’ospedale e i vampiri putrescenti immortali
si erano rivelati terribili perfino in base ai miei criteri. Da una parte, dunque, ero
ansiosa che il giorno finisse; dall’altra, non lo ero granché.
Il vicesceriffo Al si recò con tutti gli agenti disponibili a visitare le persone
che vivevano più isolate, che non rispondevano al telefono, e che nessuno
vedeva più ormai da qualche tempo. Ora che il mandato era ufficialmente mio
potevo impiegare i nostri bodyguard nelle indagini. È una facoltà concessa alla
squadra soprannaturale dopo che alcuni marshal hanno perso la vita perché,
impossibilitati a coinvolgere i civili, si erano impegnati da soli nella caccia a
cose molto cattive. Nelle indagini in cui erano stati coinvolti, alcuni civili erano
stati accusati di aggressione, e in un caso perfino di omicidio, perché avevano
operato entro i confini di alcuni Stati la cui legislazione limitava l’autodifesa.
Spesso non si considera che ogni Stato ha le proprie leggi e che le differenze
sono notevoli. Siamo ancora gli Stati Uniti d’America, e i Padri Fondatori hanno
scelto questo nome per un motivo ben preciso. Dovremmo essere un gruppo di
singoli Stati sotto l’ombrello federale, non un unico grande Stato, o almeno
questa era la concezione originaria e, anche se gli Stati non sono così autonomi
come tale concezione prevedeva, alcune differenze legislative possono risultare
sorprendenti.
Prima ancora di diventare marshal, quando già ci si aspettava che giustiziassi
legalmente i vampiri, mi ero abbondantemente informata sulle diverse
legislazioni statali. La Corte Suprema si era pronunciata a favore di alcuni civili
che avevano salvato la vita ad alcuni marshal ed erano stati comunque
condannati a pene detentive. Così era stata emanata una nuova legge a beneficio
dell’agenzia dei marshal. Si trattava in realtà della nuova formulazione e del
nuovo statuto normativo di una vecchia tradizione. In quanto detentrice del
mandato di esecuzione avevo facoltà di reclutare civili, se li ritenevo in possesso
di capacità tali da contribuire a mantenermi in vita e ad aiutarmi a limitare il più
possibile il numero delle vittime civili. In sostanza si trattava di una versione
moderna della pratica dello sceriffo del Vecchio West, che davanti al saloon
annunciava: «Formiamo una posse e andiamo a catturare questa gente».
Significava che ufficialmente potevo farmi accompagnare da Nicky.
Mentre tutti uscivano, mi ritirai in un angolo per avere un po’ di riservatezza
e telefonai a Nicky per dirgli di raggiungermi.
«Vuoi anche Devil?» chiese lui.
«Credo che per qualche tempo Devil ne abbia avuto abbastanza del mio
lavoro quotidiano.»
«Chi preferisci portare?»
«Non so esattamente chi ci sia adesso. Lisandro ha detto che sono arrivati i
migliori, e lo credo, se Claudia comanda la squadra.»
«Quindi lasci scegliere a Claudia?»
«Purché non scelga qualcuno con cui a te o a me non piace lavorare, e purché
sia qualcuno che collabora bene con la polizia.»
«Chiederò a Claudia. Hai preferenze sul prossimo incarico per Devil?»
«E tu? Siete spesso di turno insieme.»
Un suono di soddisfazione mi rivelò che probabilmente stava sorridendo.
«Sono felice che tu chieda la mia opinione, mentre potresti semplicemente
approfittare del fatto che sono tuo sposo e ordinarmi cosa fare.»
«Non credo di essere questo tipo di coniuge. A dire il vero, prima di quel tuo
commento in ospedale credevo che tu e Devil foste buoni amici.»
«Non sono sicuro di essere in grado di spiegartelo, comunque siamo amici
fino a un certo punto. Quand’è crollato, durante il combattimento all’obitorio, ha
perso molta della mia stima, come amico.»
«È perché si è mostrato debole?»
«Sì. Ma anche perché, se quella esperienza lo ha turbato, allora non potrebbe
sopportare di sapere molte delle cose che ho fatto in passato. Non si può essere
davvero amici se non ci si stima e non ci si apprezza reciprocamente in ogni
aspetto. Posso essere amico di Devil nel senso che posso lavorare con lui e
condividerti con lui come abbiamo fatto nella doccia. È stato divertente. Però
adesso so per certo che non sopporterebbe quello che sono realmente.»
In quel momento Edward si avvicinò. «Ho diritto di voto?»
Annuii. «Ted vuole dire la sua.»
«Mi sta benissimo», approvò Nicky.
Guardai Edward, inarcando le sopracciglia. «Con chi vuoi giocare?»
«Non conosco tutti quelli che sono arrivati, ma, se non posso avere Bobby
Lee o Fredo, allora prendo Lisandro. Se ci fosse, andrebbe bene anche Socrate. E
Claudia, ma non è sicura che io le piaccia.»
«Claudia non ha mai detto che non le piaci, o almeno non a me.»
«Sospetta che io ti faccia correre più pericoli di quelli da cui ti salvo.»
«Non voglio Claudia», intervenne Nicky. «In combattimento è grandiosa,
però non si sente a proprio agio con me.»
«Perché?» domandai.
«Sono un leone mannaro maschio, grosso e dominante. Dopo quello che è
successo col tuo ultimo amante che corrispondeva a queste caratteristiche, lei
non si fida di me.»
Nicky fu così gentile da non pronunciare il nome di Haven, perché sapeva
che soffrivo ancora per averlo ucciso, e in modi che stavo ancora scoprendo.
Claudia non aveva mai avuto simpatia per Haven, e mi aveva aiutato a ucciderlo
dopo che lui aveva sparato a Nathaniel e a lei stessa, e aveva ucciso un altro
leone mannaro. Era stato un gran casino.
«Okay, credo di poterlo capire», dissi. «Comunque preferirei non avere
Lisandro.»
«È bravo nel suo lavoro», osservò Nicky.
«Sì. Però l’ultima volta che ha partecipato a una mia indagine ha rischiato di
morire. Dato che è l’unico ad avere moglie e figli, preferirei non trovarmi
costretta a spiegare alla sua famiglia la perdita di un marito e di un padre.»
«Lisandro conosce i rischi», commentò Nicky.
«Se lo lasci a casa quando c’è pericolo, gli rovini il lavoro e la reputazione»,
aggiunse Edward.
Sospirai. «Può darsi… Comunque, vorrei essere assecondata, okay?»
«Se ti riferisci a me, allora basta che tu mi dica cosa vuoi», dichiarò Nicky.
«Ti ricordo che sono costretto ad assecondarti.»
«Non l’ho dimenticato. Mi riferivo a Ted.»
«Socrate è qui?» chiese Edward.
«Socrate è bravo», dichiarai.
«Sì, però non si fida di me», rivelò Nicky. «Quindi è difficile per noi lavorare
insieme.»
«Perché non si fida di te?»
«Io sono un cattivo e lui è un ex sbirro.»
«Non sei un cattivo.»
«Sì che lo sono, Anita.»
«Concordiamo sul fatto che siamo in disaccordo.»
Nicky sorrise. «Il suo senso di sbirro impazzisce quando ci sono io, e ne ha
motivo. Sono esattamente quello che Socrate crede che io sia. Semplicemente
non sono tanto bravo a nasconderlo quanto lo è Ted.»
Avrei voluto ribattere: «Ma neanche Ted è un cattivo!» Tuttavia mi trattenni,
perché, quando si trattava del mio migliore amico e di alcuni miei amanti,
aggettivi come «buono» e «cattivo» diventavano relativi. Sospirai
profondamente. Era un problema filosofico da rimandare a un altro momento.
«No, preferisco Lisandro o Domino», continuò Nicky. «Pride andrebbe bene,
però è cresciuto con Devil ed è stato addestrato con lui, quindi in un
combattimento brutale potrebbe avere gli stessi problemi. Ethan è in gamba,
eppure non sono sicuro che sia all’altezza del lavoro.»
«Pride è qui? Davvero? È la prima volta che l’altra nostra tigre dorata si trova
in trasferta.»
«Pare che Claudia gli abbia imposto di offrirsi volontario.»
«Chi altri abbiamo?»
Edward mi si accostò. «Anita, lascia che Lisandro faccia il proprio lavoro.»
«Ricordo come mi sono sentita quando ho rischiato di farlo ammazzare.
Riuscivo a pensare soltanto che non volevo dirlo ai suoi figli e a sua moglie.»
«Ho figli anch’io, e sono il marito di Donna, a parte le scartoffie, eppure non
mi lasci a casa.» Edward pronunciò queste parole affettuose con occhi azzurri
gelidi come il cielo invernale.
Mi accorsi che nella sala eravamo rimasti soltanto noi due e Hatfield, che
voleva accompagnarci per imparare il lavoro nell’unico modo efficace, cioè in
compagnia di chi sapeva già come farlo. Era rimasta all’estremità opposta della
sala, per lasciarci la nostra riservatezza. Tutti gli altri si erano divisi gli indirizzi
da controllare ed erano usciti. Dato che era praticamente solo con me, Edward
non doveva fingersi Ted.
«Suggerisco un compromesso. Portiamo Lisandro e Socrate», dissi. «Parlerò
io con Socrate. Gli dirò di moderare il suo senso di ragno con te, Nicky.»
«Credi davvero che portare Socrate possa servire a proteggere Lisandro?»
chiese Edward.
Scrollai le spalle.
«Devi lasciargli fare il suo lavoro, Anita.»
«No, non devo», obiettai, scrutandolo negli occhi.
Sostenendo il mio sguardo, Edward corrugò la fronte. «Non puoi comportarti
così con chi ha moglie e figli. I tuoi bodyguard hanno e devono avere una vita al
di fuori del lavoro, e questo implica che prima o poi altri di loro avranno
famiglia.»
«Lo so», dissi, suonando sulla difensiva alle mie stesse orecchie.
«Allora piantala di permettere ai tuoi problemi d’infanzia d’interferire con la
capacità che ha Lisandro di svolgere il suo lavoro», ribatté Edward.
«Non capisco di cosa tu stia parlando…»
«Anita…» Edward si limitò a scrutarmi.
Mi sarei voluta imbronciare, oppure abbandonare a una collera irrazionale,
cioè il modo con cui per anni avevo reagito ai problemi, evitando di affrontarli.
«Benissimo… Comunque voglio anche una terza guardia del corpo.»
«Lascia scegliere a Nicky. Ti fidi di lui?»
Sospirai. «Sì, certo.»
«Anch’io», dichiarò Edward.
Non cercai di nascondere la sorpresa. «Davvero?»
«Chi, oltre a Lisandro?» domandò Nicky.
«Io e Edward concordiamo nel lasciar scegliere a te.»
«Hai usato il suo vero nome!»
«Mi dispiace… Mi ha semplicemente colta alla sprovvista.»
«E come mai ti ha sorpresa tanto?»
«Te lo spiegherò più tardi. Voi preparatevi. Vi passiamo a prendere tra un
po’.»
«Saremo pronti. Ti amo.»
«Ti amo anch’io», replicai, prima d’interrompere la comunicazione.
«Davvero ti fidi tanto del giudizio di Nicky?» chiesi a Edward.
Lui annuì.
«È un elogio maledettamente grosso…»
«Mi conosci, Anita. Mi piace lavorare coi sociopatici disposti a tutto pur di
portare a termine il lavoro.»
«E questo cosa dice di me?»
Sorrise come il buon vecchio Ted. «Come sociopatica non sarai mai brava
quanto me, Anita, e nessuno di noi due sarà mai bravo quanto Nicky, perché lui
non si lascia condizionare dalle emozioni. Non si sente affatto urtato nei
sentimenti perché Socrate non si fida di lui. Il problema è che, a causa di questa
diffidenza, Socrate esiterà a seguirlo in combattimento, e questo implicherà un
cattivo lavoro di squadra, mentre quando si combatte il lavoro di squadra
dev’essere perfetto, molto più che nello sport.»
Non continuai la discussione, perché Edward si fidava di Nicky. Era la prima
volta che si fidava tanto di uno dei miei amanti. Anche se non aveva antipatia
per Jean-Claude, avere fiducia in lui, o negli altri, era tutt’altra cosa. Comunque
stavo tardando troppo, perciò archiviai il problema nella memoria per rifletterci
in seguito.
Ammettevo con me stessa che il motivo per cui non volevo che Lisandro
corresse rischi aveva a che fare col fatto che avevo perduto mia madre all’età di
otto anni. Sapevo quanto ne avevo sofferto e non volevo che i figli di Lisandro
soffrissero altrettanto. Ecco, questa era la verità. Detestavo che i miei problemi
interferissero col modo in cui svolgevo il mio lavoro. Per anni avevano
interferito con la mia vita personale, mentre il mio lavoro era stato al riparo dalle
mie nevrosi. Be’, quasi sempre, almeno…
Nel recarci tutti e tre al SUV di Edward, annunciai a Hatfield che nell’uscire
di città saremmo passati a prendere alcuni aiutanti.
Hatfield si limitò a chiedere: «I due biondi?»
«Uno dei due.»
«E altri nuovi amici?»
«Nuovi per te», intervenne Edward.
«Non vedo l’ora di conoscerli», dichiarò Hatfield.
Guardai nello specchietto retrovisore per scoprire se fosse sarcastica, e invece
mi parve del tutto sincera.
«Che c’è?» domandò.
«Stavo soltanto cercando di capire se dicessi sul serio.»
«Se c’è qualcuno o qualcosa che può aiutarmi a fare meglio il mio lavoro, mi
sta benissimo. La notte scorsa ho fatto uccidere quella gente. Ora non posso
riportarla in vita, però posso migliorare e non ripetere lo stesso errore.»
«Non sei stata tu a uccidere quelle persone, Hatfield.»
«Nessuno di voi due avrebbe trasportato quei cadaveri smembrati all’obitorio
dell’ospedale. Se la notte scorsa ci fosse stato uno di voi due a decidere, quelle
cinque persone sarebbero ancora vive. Volete forse dire che non hanno perso la
vita a causa della mia ignoranza?»
Non seppi cosa rispondere.
«Tutti commettiamo errori prima di sviluppare nuove conoscenze», sentenziò
Edward.
«Proprio così, e io intendo seguire voi due come se fossi la vostra maledetta
ombra per imparare tutto quello che posso prima che partiate.»
Non ero sicura di voler essere seguita in quel modo da Hatfield, però non
potevo rifiutare. Scambiai un’occhiata con Edward, e neppure lui rifiutò. A
quanto pareva, avevamo un terzo incomodo.
Mi chiesi come si sarebbe trovata Hatfield con Lisandro e con l’altra guardia
del corpo scelta da Nicky, chiunque fosse. Quanto a questo, mi chiedevo pure
che cosa avrebbero pensato loro di lei.
59

ravamo alla terza casa del nostro elenco. Chiunque avesse imboccato

E per sbaglio la strada bianca avrebbe visto una casa del tutto comune, a
giudicare dalla facciata. Bisognava fermarsi, smontare e andare sul retro
per vedere la finestra fracassata, la porta sfondata e i rottami sparsi sulla
terrazza da cui si ammirava un panorama montano che in altre località
più a settentrione avrebbe reso milioni, perché la casetta sarebbe stata demolita
per essere sostituita da un fabbricato più raffinato e molto più costoso, con una
terrazza più spaziosa e più elegante, che però non avrebbe potuto rendere
minimamente più bello il panorama. Le catene montuose si susseguivano fino
alle bianche cime innevate che si stagliavano sullo sfondo del cielo, belle come
una fotografia di calendario.
Nel riempirmi i polmoni di aria pulita e fresca, respirai troppo
profondamente: fiutai così il fetore di ciò che si trovava all’interno, cioè due
anziani coniugi divorati dagli zombie, e prima ancora, forse, dissanguati dai
vampiri. Era impossibile stabilirlo in base alle ossa sparpagliate e ai rimasugli di
carne. È sbalorditivo quanto diventi disgustoso in pochi giorni il fetore della
carne umana, perfino in quantità scarsa. Se i cadaveri fossero stati trascinati
all’aperto, i mangiatori di carogne avrebbero fatto pulizia completa. Invece i
mobili fracassati avevano parzialmente ostruito la porta e persino la finestra. Era
possibile che l’alto cassettone fosse stato usato per barricare la finestra, ma la
porta… Perché – e in che modo – il tavolo di cucina era stato incastrato nella
porta fracassata? Se erano stati i due coniugi, perché poi erano stati smembrati e
divorati? Noi stessi fummo costretti a rimuovere il tavolo per poter entrare.
Nicky mi si affiancò. «Hai visto di peggio, la notte scorsa.»
«Lo so.»
«Allora perché tutto questo ti preoccupa tanto?»
Era una domanda opportuna. «Hai visto le foto?»
«Sì.»
«Tutte le foto sono incorniciate. Si può osservare tutta la storia della famiglia,
dai figli neonati ai nipotini. Si amavano. Lo si vede in ogni fotografia, e dopo
quarant’anni di matrimonio sono morti in preda al terrore… A quanto pare, è
ormai da troppi anni che vedo finire male tante vite felici…»
«Le fotografie non dicono la verità, Anita. Chiunque può mentire per il
tempo necessario a scattare una foto.»
Mi voltai e vidi che Nicky stava osservando il panorama. Sapevo che era
cresciuto in una fattoria per l’allevamento del bestiame, da qualche parte, e non
gli avevo mai chiesto dove. Era forse cresciuto in una località di montagna come
quella?
«Credi che recitassero in tutte le foto e che in realtà si odiassero?»
Nicky sorrise. «No, probabilmente hai ragione, erano persone fantastiche.
Avevano una bella famiglia, erano i genitori perfetti che tutti hanno secondo le
pubblicità strappalacrime… Eppure la sadica puttana che mi ha cavato l’occhio è
ancora viva. È in carcere, ma è viva. I bambini in queste foto… Credevo che una
simile infanzia fosse pura finzione, che tutti i bambini subissero violenze com’è
capitato a me, e che fosse questo il grande segreto di cui nessuno parlava, anche
se succedeva a tutti. E poi un giorno mi sono reso conto che non era così per
tutti. Soltanto la mia era una famiglia di merda.»
Abbracciai Nicky, per quanto l’equipaggiamento lo consentiva. Oltre ai
giubbotti antiproiettile, avevamo addosso più armi di quante sarebbero state
giudicate necessarie dalla maggior parte della gente. Sarebbe stato un abbraccio
molto più confortante senza tutta quell’artiglieria, però in quel momento il
contatto fisico, sebbene limitato, era preferibile alla sua assenza.
«Quando vedo fotografie come queste m’incazzo, mi sento fregato. È
stupido, vero?»
«No, non è per niente stupido.»
Nicky aggrottò la fronte. «Sento che dici sul serio. Eppure, se non percepissi
quello che senti davvero, non lo crederei.»
«Cosa?»
«Noi, l’amore. Se non percepissi le tue emozioni, potrei continuare a
convincere me stesso che nulla di tutto questo è reale, che tutti mentono almeno
un po’ e che nulla può essere così bello come in queste foto. Tu invece non mi
permetti di crederlo. Sento quanto sei triste, quanto desideri farmi sentire meglio
e, dato che il mio compito è quello di fare in modo che tu ti senta meglio, devo
sentirmi più felice, perché tu vuoi che io mi senta molto più felice.»
«Quando si ama una persona, la sua felicità è importante.»
Nicky annuì. «Sto cominciando a capirlo.»
In quel momento Edward ci raggiunse, seguito da Hatfield, e poi da Lisandro
e da Seamus, alto, bruno, bello, molto africano, a contrasto col suo nome. Uno
col suo aspetto avrebbe dovuto essere a caccia di leoni, con la zagaglia, anziché
portare un nome irlandese. Mi fissò con occhi scuri che avrebbero potuto essere
scambiati per umani, se le iene non avessero pupille simili a quelle dei rettili e se
le iridi non fossero state di un castano che non era affatto umano. Non avrei
saputo descrivere la differenza, però stavo cominciando a riconoscerla quando la
vedevo. Alcuni secoli prima, la vampira master di nome Jane che aveva fatto di
lui l’animale che rispondeva al suo richiamo lo aveva costretto a rimanere in
forma animale tanto a lungo che i suoi occhi non potevano più riacquistare la
forma umana, proprio come quelli del mio Nimir-Raj. Io avevo aiutato Micah a
liberarsi di Chimera uccidendolo. Purtroppo Seamus non aveva nessuna
possibilità di riacquistare la libertà: se la sua master fosse morta, molto
probabilmente sarebbe morto anche lui. Non lo avrei scelto per accoglierlo nella
nostra squadra, e non perché avessi dubbi sulle sue capacità di combattente; lo
avevo visto in addestramento, sapevo che era dotato di un’agilità e di una grazia
quasi soprannaturali per un individuo alto e longilineo come lui. Fredo aveva
descritto la fluidità dei suoi movimenti come «acqua scura», così era stato
soprannominato «Acqua». Comunque sembrava che non gli importasse. A dire il
vero, sembrava che non gli importasse niente di niente. Era una grande, grossa,
nera e armoniosa macchina di morte che sembrava provare ancora meno
emozioni di tutti gli altri sociopatici.
Con la mano istintivamente posata sulla pistola, Hatfield lo osservava di
sbieco. Lui era così grande e grosso, chiuso in se stesso, impassibile e
impenetrabile da risultare sommamente inquietante. Era bello constatare che non
ero l’unica a considerarlo tale.
Se ci fossero stati altri estranei con noi, io e Nicky non ci saremmo
abbracciati tanto. Hatfield avrebbe dovuto abituarcisi, oppure aggregarsi a
qualcun altro. Io avevo bisogno di coccole.
«Che diavolo è successo qui?» domandò Hatfield.
«Questa gentile coppia di anziani coniugi è stata divorata viva dagli zombie»,
risposi.
Lei fu scossa da un tremito. «Lo so… Ma perché il tavolo bloccava la porta, e
la finestra fracassata è ostruita? Non avrebbe dovuto essere sufficiente a tenere
fuori gli zombie?»
Dimostrando quella capacità d’intuizione, Hatfield mi piacque ancora di più.
Annuii. «Sì, avrebbe dovuto essere sufficiente.»
«Se i coniugi avessero avuto motivo di barricare di nuovo la finestra e la
porta, gli zombie sarebbero rimasti intrappolati all’interno, eppure hanno
divorato le vittime e se ne sono andati», osservò Edward.
«Allora come sono usciti?» domandai.
«Avete visto l’appendichiavi con tutte le chiavi in fila?» chiese Lisandro.
Tutti annuimmo, oppure rispondemmo: «Sì».
«Volete vedere se c’è la chiave di casa?»
«Ne avranno avuta una di scorta», suggerii. «Erano sicuramente tipi
previdenti.»
«Okay, allora cerchiamo e vediamo se le chiavi sono qui», propose Lisandro.
«Sono tutte chiavi personalizzate.»
«Qualcuno ha visto la borsetta della signora?» chiesi.
Nessuno l’aveva vista.
«Allora troviamola», esortò Edward.
Non volevo rientrare in casa a fiutare di nuovo il fetore di decomposizione e
a vedere di nuovo le fotografie di gente felice. Una volta tanto, perfino Edward
sembrava un po’ turbato. L’unico apparentemente impassibile era Seamus. Mi
sarebbe piaciuto chiedere a Nicky se una tale assenza di emozioni lo inquietasse
o lo irritasse, tuttavia ero sicura che avrebbe risposto di no.
Anche nelle altre due case che avevamo ispezionato gli zombie avevano fatto
irruzione. Avevamo trovato resti di cadaveri, però nessuna era stata barricata,
tutto sembrava essersi svolto nel modo consueto in cui avvengono gli attacchi
degli zombie assassini. L’unico enigma era lì, perciò rientrammo in casa per
risolverlo. Era quello che facevamo quando non sparavamo ai mostri e non li
bruciavamo col fosforo.
60

on riuscimmo a trovare la borsetta, e Hatfield osservò che non tutte le

N donne ne portavano una. Eppure non riuscimmo a trovare nemmeno


un portafoglio, nessun borsellino, nulla che potesse condurre
all’identificazione della moglie. Sul comodino, dove sembrava che
fosse lasciato abitualmente ogni notte, trovammo invece il portafoglio
del marito, intatto, con la carta d’identità, il denaro e le carte di credito.
«Nell’armadio ci sono tre borsette, ma sono eleganti o vecchie, quindi deve
averne avuta una che usava ogni giorno», dichiarò Hatfield.
Capii cosa intendeva, e aveva ragione. Dove diavolo era la borsetta della
vittima di sesso femminile? Dovevo fare del mio meglio per poterla considerare
soltanto così, nel modo più impersonale possibile. «Gli zombie non si
appropriano delle borsette», dissi.
«Neppure se sono di cuoio?» suggerì Seamus, con la voce profonda che ci si
aspettava che avesse.
«Gli zombie cannibali possono mangiare soltanto le vittime che uccidono,
oppure carogne fresche. Il cuoio trattato sarebbe troppo ’morto’ per loro.»
«I necrofagi lo mangerebbero», osservò Edward.
Annuii. «Se fossero stati i necrofagi, avrebbero mangiato anche la cintura
dell’uomo e un sacco di altra roba qui in casa. Si nutrono di carogne e di rifiuti.»
«Credevo che i necrofagi non uscissero dai cimiteri in cui sono generati»,
intervenne Hatfield.
«Normalmente è così», confermai.
«E qui non ci sono cimiteri nel raggio di parecchi chilometri», osservò
Hatfield.
Io e Edward ci scambiammo un’occhiata, ricordando un caso in cui i
necrofagi avevano seguito un negromante che li aveva destati involontariamente.
«Non credo che si tratti di necrofagi», dichiarai.
«No, non lo credo neanch’io», convenne lui.
«Se non sono stati gli zombie a prendere la borsetta, allora chi è stato?»
domandò Nicky.
«Forse qualcuno che si è introdotto in casa dopo il massacro», suggerì
Lisandro.
«Allora perché non ha preso il portafoglio del marito?» replicai. «Contiene
più di cento dollari e una serie di carte di credito.»
«Se non è stato per rubare, allora perché prendere la borsetta?» domandò
Hatfield.
«Se invece è stato per rubare, perché il resto è stato trascurato?» aggiunse
Lisandro.
«Non si è trattato di un furto», conclusi.
«C’erano vampiri con gli zombie che abbiamo affrontato nel bosco», ricordò
Nicky. «È possibile che fosse un gruppo misto anche quello che ha commesso
questo massacro?»
«Può darsi», concessi. «Ma perché un vampiro si sarebbe appropriato della
borsetta di una vecchia signora gentile?»
«Cosa avrebbe potuto contenere la borsetta che non fosse nel portafoglio?»
chiese Edward.
«Le chiavi», rispondemmo in coro io, Lisandro e Nicky.
«Non sono entrati dalla finestra né dalla porta posteriore. I coniugi si sono
barricati dentro; poi però, per qualche ragione, hanno aperto la porta principale.»
«Sono stati soggiogati da un vampiro?» suggerì Hatfield.
«No, se stavano già respingendo gli zombie che tentavano di entrare dal retro.
Nessun vampiro, o quasi, può soggiogare chi è in preda al panico, se non lo ha
già soggiogato in precedenza, nel qual caso può darsi che sia possibile», spiegai.
«Però è improbabile», precisò Edward.
«Sono d’accordo. Gli zombie assassini attaccano dal retro e i coniugi si
barricano in casa», riassunsi. «Che cosa può averli indotti ad aprire la porta
principale?»
«Tu a chi apriresti?» chiese Nicky.
«A qualcuno che conosco», rispose Hatfield.
«Soccorsi», aggiunse Edward.
Mi girai a guardarlo. «Come hai detto?»
«In caso di emergenza, si apre la porta ai soccorsi. Se la casa è in fiamme, si
apre ai pompieri. Se è in corso una rapina, si apre alla polizia.»
«Stai dicendo che hanno aperto a uno sbirro?»
«Sì. O comunque qualcuno di cui si fidavano e da cui si aspettavano di
ricevere protezione. Forse un agente di loro conoscenza.»
«Sulla base di semplici supposizioni non possiamo accusare un altro agente
di complicità coi vampiri e con gli zombie assassini», osservò Hatfield.
«Non stiamo accusando nessuno in particolare, però rifletti… Tutte le case
che abbiamo esaminato sono state devastate sul retro, in modo che la rovina non
fosse visibile a chi fosse di passaggio», ricordai. «Gli zombie, perfino quelli
assassini, non sono così riflessivi e previdenti. Potrebbero esserlo se fossero
controllati da un vampiro; ma, se quello che ho visto e sentito nel bosco è in
qualche modo significativo, allora questo vampiro non è così freddo e
organizzato.»
«Forse sta diventando sempre più disorganizzato via via che continua a
uccidere», suggerì Edward.
«Come un serial killer che si abbandona sempre più alle proprie
compulsioni?»
«Sì.»
«È possibile», ammisi.
«Comunque qualcuno ha lasciato uscire gli zombie e i vampiri», riprese
Edward. «Poi ha preso la borsetta della moglie e con calma ha richiuso la porta a
chiave.»
«Su questo siamo tutti d’accordo», convenni.
«Non ne sono sicura», obiettò Hatfield.
«Non credi che questa sia la ricostruzione più probabile?»
«No. In base a tutto quello che ho appreso dallo studio e dall’esperienza sul
campo, cose come queste non succedono. Gli zombie cannibali sono
incredibilmente rari e non agiscono in branco, a differenza di quello che si vede
in tutti i film di zombie. Non è forse così?»
«Sì.»
«E i vampiri non si alleano con gli zombie. Giusto?»
«Giusto.»
«E allora vorresti farmi credere che un umano, forse uno sbirro, perlustra le
case, li guida ad avvicinarsi in modo che non siano scoperti, e poi li aiuta a
nascondere le loro tracce?»
«Può darsi.»
«Se nasconde le loro tracce, allora perché ha lasciato il tavolo incastrato nella
porta?» intervenne Lisandro.
«E perché ha preso la borsetta? Avrebbe potuto buttarla dentro. La porta non
è completamente chiusa», osservò Nicky.
Concordammo tutti che non aveva senso.
«E se non volesse più nasconderli?» propose Seamus.
«In che senso?» domandai.
«Se qualcosa a proposito di queste vittime lo avesse indotto a riconsiderare
l’alleanza?»
«Se così fosse, significherebbe che li conosceva», concluse Edward.
«Sì, o forse ha osservato le fotografie appese alle pareti, come ho notato che
tutti voi avete fatto, e anche lui ne è rimasto commosso.»
«Dunque sta cominciando a desiderare di essere catturato?» chiesi.
«Consapevolmente no, ma inconsciamente forse sì», rispose Edward.
«Credi che continuerà a commettere sempre più errori, fino a tradirsi?»
domandò Hatfield.
«Può darsi, e questo vorrebbe dire che dovremo visitare altre scene del
crimine per coglierlo in fallo», dissi. «Io invece voglio catturarlo prima che
uccida ancora.»
«Certo. Ma come?»
Scossi la testa. «Non lo so.»
«Non ancora», aggiunse Edward.
«Certo, Ted, me l’hai insegnato tu.»
Annuendo, Edward fece il sorrisetto gelido che conoscevo bene. Era uno dei
sorrisi che faceva quando uccideva. «Non lo sappiamo ancora.»
«Però lo sapremo», dichiarai.
«E quando lo avrete capito?» chiese Hatfield.
«Li uccideremo tutti», promisi.
«Incluso l’umano, se c’è un umano che li aiuta?» domandò Hatfield.
«Sì.»
«Sarà processato. Il suo avvocato invocherà l’infermità mentale e gli farà
ottenere una riduzione della pena.»
«Chiunque sia coinvolto in questa faccenda non potrà essere aiutato da un
avvocato», assicurai.
«No?»
«No. Il mandato di esecuzione non fa distinzioni tra i correi», spiegò Edward.
Hatfield corrugò la fronte. «Non capisco.»
«Il mandato di esecuzione è formulato in maniera tale da consentirmi di
uccidere chiunque sia complice del crimine», dissi.
«Dunque puoi semplicemente uccidere un umano, così, senza arresto, senza
processo… bang, e basta?»
Annuii.
Hatfield mi fissò a occhi sgranati. «Se stanno cercando di ammazzare me o
qualcun altro, posso premere il grilletto senza nessun problema. Ma tu stai
dicendo che, se fosse ammanettato e incatenato come i vampiri all’obitorio, lo
uccideresti comunque…»
«No, sto dicendo che legalmente potrei farlo.»
«Gli umani non sprofondano nel sonno della morte all’alba. Continuano a
fissarti negli occhi e a implorare di essere risparmiati.»
«Sì, proprio come i vampiri, se si destano.»
«Davvero non vedi nessuna differenza tra togliere la vita a un umano e
toglierla a un non morto?» chiese Hatfield.
«No, nessuna differenza», confermai.
«Un tempo vedevi qualche differenza?»
«Credevo sinceramente che i vampiri fossero malvagi e che uccidendoli avrei
contribuito a salvare il mondo. Sono trascorsi alcuni anni da allora, e da qualche
tempo non lo credo più.»
«Se io cominciassi a considerare i vampiri come persone, probabilmente non
potrei continuare a ucciderli.»
«Allora stai alla larga dagli amici di Anita», intervenne Edward. «Non puoi
continuare a vederli come mostri, una volta che li hai visti come persone.»
Hatfield scosse la testa. «Non lo so…»
«Continuate la discussione all’esterno, dove non c’è questa puzza», invitò
Lisandro.
«I ratti mannari sono dotati di uno degli olfatti più sviluppati del regno
animale», spiegai a Hatfield.
Lei fissò Lisandro. «Sei un ratto mannaro?»
«So di essere troppo bello per essere un ratto mannaro. Tu pensavi che io
fossi un lupo o un leopardo. Invece no, sono un grande, grosso, gigantesco
ratto.»
Anche se si sforzò di rimanere impassibile, alla fine Hatfield fu incapace di
nascondere il disgusto, e fu perfino scossa da un tremito.
«Hai paura dei ratti?» chiese Lisandro.
Lei annuì brevemente.
Allora Lisandro curvò le labbra in quello che era più un ringhio che un
sorriso, tanto da stonare sul suo bel volto. «Dunque non vuoi vedermi in forma
animale…»
«No», ammise Hatfield, con voce soffocata.
Non avevo pensato che potesse avere la fobia dei ratti. Se si fosse trattato di
serpenti o di ragni forse ci avrei pensato, ma ratti no. È strano e anche buffo
come ci si abitua alle cose al punto di non rendersi conto che qualcun altro
potrebbe esserne disturbato.
Sulla terrazza fu bello ammirare il panorama, però il fetore di cadavere
rimase.
«Funziona il frigorifero?» domandai.
«Ho controllato e il cibo è perfettamente conservato», affermò Lisandro.
«Allora perché questi miseri resti puzzano così tanto?» domandai.
«Sembra quasi che ci siano altri cadaveri che non abbiamo trovato», suggerì
Lisandro.
Guardai Edward.
«C’è uno scantinato.» Edward indicò un lato della terrazza.
Andai a sporgermi e vidi una scala che scendeva fino a una porta sottostante.
«Dentro la casa non ho visto nessuna porta di cantina.»
«Neanch’io», disse Hatfield.
Mi girai a guardare il gruppo. «Qualcuno di voi ha trovato qualche altro
accesso alla cantina?»
Tutti scossero la testa.
In silenzio, Edward rientrò in casa. Lo seguimmo in camera da letto, dov’era
intento a scrutare l’alto cassettone che barricava la finestra; anzi, il cassettone era
così grande da nascondere alla vista tutto l’angolo dell’ambiente angusto. Con
l’aiuto di Nicky andò a spostarlo. Dietro vedemmo una porta più bassa del
normale.
«Non hanno barricato la finestra», osservai. «Qualcun altro ha barricato
quella porticina.»
«Per impedire a qualcosa di entrare, oppure di uscire?» chiese Hatfield.
«O forse intendevano semplicemente nascondere la porta a chi fosse entrato
in casa,» suggerì Nicky.
«Qui vicino alla porta il fetore è più intenso», annunciò Edward.
«Di solito non si riesce a trovare gli zombie fiutando il puzzo di
decomposizione», ricordai.
«Di solito no.»
Io e Edward ci scambiammo un’occhiata.
«Lì dietro c’è una folla di zombie, oppure altri cadaveri», dissi.
Edward annuì. «Ho il lanciafiamme nel bagagliaio.»
Sorrisi. «Non ancora. Prima vediamo cosa c’è laggiù. Se sono zombie, potrai
arrostirli tutti quanti.»
«Le poche foto che abbiamo scattato coi nostri cellulari non bastano»,
osservò Hatfield. «Dobbiamo chiamare la scientifica, in modo che venga a
fotografare tutto e a raccogliere le prove.»
«In effetti, sarei già autorizzata a chiamarla», dissi. «Ma prima vediamo di
scoprire cosa c’è laggiù.»
«Prima ancora avvertiamo di avere scoperto altri zombie, oppure altri
cadaveri», raccomandò Edward.
«Vuoi chiamare aiuto senza neanche sapere se ne abbiamo bisogno?»
domandai.
«Un po’ di aiuto potrebbe servirci, se scoprissimo che è come nel
seminterrato dell’ospedale.»
Non seppi come replicare. Lo conoscevo da tanti anni e mi sembrava di non
avergli mai sentito dire niente del genere. Questo significava che forse mi sarei
dovuta scusare con Devil. Se Edward era rimasto tanto scosso, allora doveva
essere stato davvero brutto. Non esserne rimasta altrettanto impressionata
m’induceva a interrogarmi a proposito di me stessa. Forse ne avrei subito le
conseguenze in ritardo, o forse Edward aveva bisogno di un sostegno emotivo
maggiore di quello che potevo fornirgli. Io avevo con me i miei fidanzati a
coccolarmi; anche se si può dire tutto quello che si vuole in proposito, le coccole
aiutano.
«Okay, avvisiamo», conclusi.
Edward telefonò per avvisare che sospettavamo di avere scoperto qualcosa di
soprannaturale, o semplicemente qualcosa di brutto, nel sotterraneo della casa e
che, se fossero state necessarie più foto della scena del crimine di quelle che noi
stessi avevamo scattato, allora sarebbe stato indispensabile inviare subito la
scientifica. Quando gli fu proposto d’inviare anche sbirri di rinforzo, Edward
non rifiutò. Si stava rammollendo.
«Aspettiamo?» domandai.
Edward scosse la testa. «No.»
«Se scendiamo prima dell’arrivo dei rinforzi, allora perché hai chiamato?» gli
chiese Hatfield.
«Perché sappiano che siamo qui, per ogni eventualità.»
«Quale eventualità?»
«L’eventualità che ciò che si trova nel sotterraneo cerchi di divorarci o
d’intrappolarci, oppure l’eventualità che il sotterraneo sia un’unica, grande,
grossa trappola», dichiarò Edward.
«Se sospettiamo una trappola, allora dovremmo aspettare», replicò Hatfield.
«Forse sì», convenni.
Edward accese la torcia elettrica del suo AR.
«Invece non aspettiamo affatto, vero?» aggiunse Hatfield.
«No», rispose Edward.
«No», confermai.
«Perché non aspettiamo?»
«Perché loro sono Morte e la Sterminatrice», spiegò Seamus.
«Credevo che fossero Morte e Guerra», replicò Hatfield.
«Anche», intervenne Nicky.
Seamus rifletté un momento, poi annuì. «Forse accompagnandovi abbastanza
spesso e abbastanza a lungo potremo guadagnare anche noi qualche bel
soprannome.»
«Per esempio?» domandò Nicky.
«Servi», rispose Seamus.
«Cioè?» intervenne Lisandro.
«Siamo i servi di Anita. Tutti noi lo siamo», spiegò Seamus, come se avesse
perfettamente senso.
«La Guerra non ha servi», obiettai.
«Invece ne ha, eccome. Il conflitto, il panico, il furore, la discordia, per
nominarne soltanto alcuni.»
«Stiamo rimandando in attesa dei rinforzi?» interloquì Hatfield.
«Io sì», ammise Lisandro. «Quel sotterraneo puzza già abbastanza da qui
fuori.»
«Micino spaventato», lo canzonò Nicky.
«Ratto prudente», ribatté Lisandro.
«Allora chi è la Talpa?» chiese Nicky.
«La più bassa è Anita», osservò Lisandro.
Prima che potessi commentare che si erano scambiati battute come
personaggi del Vento tra i salici, Edward pose fine ai giochi: «Silenzio! Anita,
apri la porta. Ti copro io».
«No», protestarono Nicky e Lisandro, in coro.
Scoccai loro un’occhiataccia.
«Se siamo qui come sue guardie del corpo, Anita non entra per prima»,
dichiarò Lisandro.
«Sto lavorando», ricordai.
«Anche noi», replicò Lisandro, accennando a passarmi davanti per
avvicinarsi alla porta.
Gli sbarrai il passo.
«Anita, puoi permettermi di aiutare Ted a varcare quella soglia, oppure
possiamo rimanere qui a discutere fino all’arrivo degli altri sbirri. Scegli tu.»
Guardai Seamus. «Tu lasceresti andare prima me?»
«Sì.»
«Perché?» chiese Nicky.
«Perché laggiù non può esserci niente che sia più spaventoso di Anita.»
«Grazie per il voto di fiducia», commentai.
«Hai annientato i più grandi vampiri che abbiano mai camminato sulla terra.
Cosa potrebbe esservi, in questo piccolo scantinato, che si possa paragonare alle
prede che hai già divorato?»
Ancora una volta non seppi come replicare, perciò lasciai correre. Comunque
lasciai pure che Lisandro aprisse la porta a Edward. Io non ero così spaventosa
come credeva Seamus, mentre Lisandro era più difficile da ferire e non mi
avrebbe permesso di passare per prima. Quindi, a meno di non voler rimanere a
girarci i pollici per un’ora…
Lisandro affiancò Edward, e io li seguii con Nicky, precedendo Hatfield, e
Seamus in coda. Avevamo l’ordine di marcia, avevamo le armi in pugno e
stavamo attenti a non puntarcele addosso a vicenda.
Finalmente Lisandro aprì la porta, e il fetore della decomposizione salì ad
avvolgerci. Alle mie spalle Hatfield tossicchiò, sentendosi soffocare. Io cercai di
respirare soltanto attraverso la bocca, anche se questo mi fu d’aiuto meno di
quanto avrei voluto. Lisandro premette l’interruttore della luce, ma
l’imboccatura del sotterraneo rimase buia e nera.
«Perché la luce è sempre guasta in momenti come questo?» mormorai.
La torcia del fucile di Edward fendette l’oscurità come una moneta
scintillante gettata nella notte eterna. Okay, non era poi tanto tenebrosa e tanto
spaventosa, vero? Mi resi conto che l’oscurità non mi piaceva più come un
tempo, da quando avevo ucciso la Madre di Tutte le Tenebre, la notte incarnata,
viva e famelica. L’avevo annientata, e per la prima volta nella vita avevo paura
del buio. Eppure avrei dovuto esserne molto più spaventata quando lei era
ancora viva, vero?
«Scala», annunciò Edward in tono pacato, in risposta a una domanda
inespressa. Iniziò a scendere.
Lisandro lo seguì, facendo una smorfia a causa del puzzo. Io seguii Lisandro,
muovendo il raggio luminoso della torcia elettrica dell’AR. Non vi era nulla da
vedere, tranne pareti nude e la scala che scendeva. Tuttavia il fetore mi faceva
temere quello che stavamo per incontrare.
61

ello scendere gli stretti gradini della ripida scala, rimpiansi di calzare

N gli stivali anziché le scarpe da jogging. Non osavo abbassare il fucile


per illuminarmi la via, perché avrebbe significato puntarlo contro
Lisandro e Edward. In effetti, non si punta mai un’arma carica contro i
componenti della propria squadra, soprattutto se si sta scendendo una
scala ripida e stretta dove il rischio d’inciampare è concreto. Di solito, nell’avere
a che fare con un branco di zombie assassini, avrei tenuto il dito sul grilletto per
essere pronta ad aprire il fuoco; ma l’istante di vantaggio che ne avrei ricavato
non valeva il rischio di sparare ai miei amici, perciò decisi che il pericolo
d’inciampare era maggiore di quello di essere divorata dagli zombie, almeno
sulla scala. Quando fossi arrivata al tratto in cui la scala era fiancheggiata da un
corrimano, rivelato a tratti dal raggio della mia torcia, avrei compiuto una nuova
valutazione del rischio. Fino a quel momento avrei evitato di tenere il dito sul
grilletto.
Il fetore della carne in decomposizione diventava sempre più intenso via via
che si scendeva, perciò speravo che il mio olfatto non tardasse ad abituarsi
smettendo di trasmettermelo. Non era la prima volta che fiutavo un puzzo simile,
però non mi era mai capitato che fosse emanato da tanti cadaveri, o forse da
qualcosa di così grosso. Di sicuro era una gran quantità di carne andata a male, e
non necessariamente di cadaveri. Poteva anche trattarsi di carne macellata e
conservata in una cella frigorifera rimasta priva di alimentazione. In parte
speravo che fosse così, in parte speravo che fosse qualcosa di orribile da cui
ricavare indizi per scovare il master assassino. Se si fosse trovato in quel
sotterraneo, neppure Lisandro, col suo eccezionale fiuto di ratto, avrebbe saputo
individuare qualcosa di così innocente come un succhiasangue in quel
soverchiante puzzo di putrefazione. Anche se di sicuro il fetore avrebbe tenuto
alla larga i curiosi, non credevo che il vamp assassino fosse laggiù, se non altro
perché di solito i vampiri sono abbastanza schizzinosi in fatto di odori.
Alle mie spalle Hatfield si schiarì la gola, e io pregai che non mi vomitasse
addosso, perché altrimenti avrei vomitato anch’io. Benché non accada spesso, il
vomito può scatenare una sorta di reazione a catena. Non appena vomita uno, per
tutti gli altri diventa più difficile trattenersi. A causa del fetore, della tosse
nervosa di Hatfield e della simpatica prospettiva del vomito a catena, cominciai
ad avere un po’ di nausea e fui felice di non avere fatto colazione.
D’un tratto Lisandro emise un sibilo, simile a un grido soffocato. Non gli
chiesi cosa lo avesse allarmato perché mi trovavo ormai a breve distanza dal
corrimano e lo vidi anch’io. Confidavo che, se vi fosse stato pericolo, Edward
avrebbe avvisato; però non avevo mai sentito Lisandro reagire così, neanche
quando lo avevano torturato.
Edward puntò il fucile a sinistra della scala e Lisandro a destra. Io entrai nella
stanza sotterranea e mi spostai a sinistra, sicura che Nicky si sarebbe spostato a
destra. Dovevo confidare che Hatfield e Seamus sapessero come ispezionare e
tenere sotto tiro un ambiente.
Il raggio luminoso della mia torcia tagliò l’oscurità rivelando il primo
mucchio di cadaveri impilati. Benché fossero gonfi di putrescenza anziché
macilenti, mi ricordarono le fotografie delle vittime dei campi di sterminio
nazisti, impilate perché troppo numerose perfino per le fosse comuni. I cadaveri
nel sotterraneo non erano migliaia, però erano decine, e nell’imbattervisi
all’improvviso nell’oscurità sembravano ancora più numerosi.
Senza manifestare sorpresa, Nicky mi seguì.
«Sono zombie?» chiese Hatfield.
«No», risposi.
«Come puoi esserne tanto certa?»
«Sono gonfi di gas. Gli zombie marciscono senza produrre gas», spiegai, con
voce normale, come se parlassi a una conferenza. A volte nel mezzo dell’orrore
ci si aggrappa alla normalità, e nel mio caso fornire spiegazioni mi aiutava a
rimanere calma. «La teoria è che lo dissipano col movimento, oppure si
decompongono in modo diverso dai cadaveri normali. Nessuno lo sa con
certezza. In ogni caso, non si gonfiano così.»
«Se non sono zombie, perché continuiamo a puntare le armi ovunque?»
chiese Hatfield.
«Perché qualcosa ha ammassato qui quei cadaveri», rispose Edward.
Girandomi a lanciarle un’occhiata, scoprii che Hatfield puntava il fucile nella
direzione giusta, cioè copriva lo spazio alle spalle di Nicky. Come se fossimo
addestrati a operare in squadra, sorvegliammo ciascuno la porzione di spazio più
ampia possibile senza rischiare di spararci a vicenda, in modo da coprire tutto
l’ambiente. Io seguivo Edward; Nicky seguiva Lisandro, rispettando il
protocollo anche se questo significava allontanarsi da me. Immaginai che
confidasse in Edward, oppure nella capacità sua e di Lisandro di reagire
abbastanza rapidamente da proteggermi su ogni lato all’occorrenza.
«Gli zombie non ammassano provviste di cibo», mormorai.
«I necrofagi sì», replicò Edward.
«Credevo che avessimo deciso che non poteva trattarsi di necrofagi», ricordò
Hatfield.
«Sì, lo avevamo deciso, prima di trovare tutti questi cadaveri.»
«È un deposito di cibo, oppure un nascondiglio dei cadaveri delle vittime?»
domandò Seamus.
«Non lo so», ammisi.
«Credevo che gli zombie divorassero qualunque cosa, e i necrofagi perfino le
ossa», commentò Hatfield.
«È così», confermai.
«Questi cadaveri sono pressoché intatti.»
«Lo vedo.»
«Allora, se non sono stati gli zombie né i necrofagi, chi ha ammassato
quaggiù tutti questi cadaveri?»
«Non lo so», risposi ancora una volta.
«Forrester?» sollecitò Hatfield.
«Non lo so neanch’io», confessò Edward.
«Non dovreste essere proprio voi due a saperlo?»
«Così credevo», risposi.
«Se questo fosse un deposito di cibo, allora potremmo sfruttarlo come esca»,
propose Edward.
«Come lasciare una capra legata per un grosso felino?» replicai.
«Sì.»
«E se invece fosse soltanto una discarica di cadaveri?» obiettò Nicky.
«Allora potrebbero arrivare a scaricarne altri», dissi.
«In ogni caso, restiamo a sorvegliare la casa in attesa di scoprire chi – o cosa
– ci torni», concluse Edward.
«Non funzionerà se ci sarà la polizia», osservò Lisandro.
Annuii. «Ha ragione.»
Proprio in quel momento si udirono in lontananza i lamenti delle sirene.
«Troppo tardi», commentò Nicky.
«Può darsi», concessi. «O forse quello che sta facendo tutto questo non lo sa
perché è giorno. Se ce ne andremo tutti quanti prima dell’imbrunire, potrebbe
ancora funzionare.» Nello stesso istante il potere mi percosse e mi attraversò.
Sentii che si destava e gridai: «Vampiro!»
«Dove?» urlò Hatfield.
«Qui», rispose una voce che non apparteneva a nessuno di noi.
62

i udì uno strillo, poi Hatfield e Seamus spararono a qualcosa che non

S vedevo. Neppure alle vampate delle loro armi riuscii a vedere il


vampiro, però… Oddio, sentivo la pressione della sua magia sulla mia
pelle.
Coi fucili puntati, io e Edward ci muovemmo, cercando coi raggi
luminosi ciò che aveva attirato le fucilate di Seamus e di Hatfield. Dov’era?
Dove cazzo era? Lo sentivo tutt’intorno a me nell’oscurità, come se l’aria si
stesse trasformando in lui, e quasi trattenevo il respiro con angoscia come se non
volessi inalarlo dentro di me.
Un movimento nell’oscurità mi avvisò prima del grido di Lisandro:
«Zombie!» Erano sparsi tra i cadaveri come spie, animati dal potere del vampiro.
Era uno stramaledettissimo bastardo figlio di puttana di un negromante, proprio
come la Madre di Tutte le Tenebre. Bastardo figlio di puttana!
«Ritirata!» gridai. «Alla luce del giorno! Alla luce del giorno!» Una volta
usciti, avremmo potuto bruciare tutto. Indietreggiai verso la scala sperando che
tutti mi seguissero, ma non fu così. Era troppo tardi per una ritirata non
ostacolata.
Hatfield strillò, sparando di nuovo. Sagoma nera nell’oscurità, Seamus
lottava con uno zombie che l’aveva atterrata. Io e Edward avanzammo verso di
loro perché erano i più vicini. Con le armi che tuonavano, Nicky e Lisandro
aprirono il fuoco sulla massa degli zombie.
Mi spostai a destra verso di loro senza bisogno di segnalarlo a Edward. In
combattimento eravamo consapevoli l’uno dell’altra come danzatori sulla pista
da ballo. Io mi spostai a ginocchia piegate, strisciando i piedi, come avevo
imparato dalla SWAT, e il raggio della mia torcia rivelò un muro di zombie
ringhianti che cercavano di ghermirci. Dato che ringhiavano, erano cannibali.
Gli zombie normali sono molto più morti.
Tre cadaveri ambulanti erano già decapitati. Anche se non saremmo stati
costretti a rimanere lì a combattere tanto a lungo quanto nell’obitorio
dell’ospedale, Nicky stava insegnando la tecnica dell’apocalisse zombie a
Lisandro, che imparava in fretta: senza bocca non potevano azzannare, senza
braccia non potevano afferrare, senza gambe non potevano camminare.
Noi tre indietreggiammo verso la scala sparando agli zombie, che pure con le
teste che esplodevano continuavano ad avanzare, inesorabili come soltanto i
morti possono essere. Così ci trovammo spalla a spalla con Edward e con
Hatfield, che continuavano a sparare coi fucili. Invece Seamus era costretto a
usare la pistola perché aveva qualcosa che non andava al braccio destro.
Purtroppo non avevo tempo per scoprire cosa fosse. Schierati a semicerchio
davanti alla base della scala, mandammo su per primi Seamus e Hatfield. Aveva
senso che i primi a ritirarsi fossero il ferito e la recluta. Io non volevo essere la
successiva e Lisandro e Nicky rifiutavano di precedermi.
«Anita!» gridò Edward. «Vai!»
Imprecando, iniziai a salire la scala, senza più poterli aiutare a sparare agli
zombie. Potevo soltanto continuare a salire, confidando che mi seguissero.
«Blake!» strillò Hatfield.
Merda! pensai. Che c’è adesso? Saliti di corsa gli ultimi gradini, rientrai
nella piccola camera da letto. La trovai deserta e corsi in soggiorno con l’AR
imbracciato, alla ricerca di ciò che aveva indotto Hatfield a strillare.
La vidi con un cuscino in una mano e la federa nell’altra, inginocchiata
accanto a Seamus, il quale era steso sul pavimento in una pozza di sangue che
già si allargava scura e densa. Con forza sovrumana e denti fin troppo umani, gli
zombie gli avevano maciullato il braccio.
«Trova qualcosa da usare come laccio emostatico», ordinai a Hatfield,
accingendomi a tornare da Edward e dagli altri.
«Non vuole che lo tocchi.»
«Se ha una ferita in una mano, rischia d’infettarsi col mio sangue», spiegò
Seamus.
Lo avevo completamente dimenticato. Errore mio. «Ha ragione, Hatfield. Vai
tu a coprire la ritirata.»
Mi passò la federa, poi tornò dagli altri.
Osservai Seamus. Il sangue spiccava poco sulla sua pelle nera, tuttavia i
muscoli lacerati e l’osso scintillavano nello squarcio come una macabra opera di
arte astratta. Tanta violenza era orribile e al tempo stesso bella. «Trasformati,
così potrai guarire almeno in parte.»
«Non oso farlo.»
Non gli chiesi perché. L’avrei fatto dopo avere fermato l’emorragia.
M’inginocchiai presso la sua testa per evitare la pozza di sangue, poi gli legai il
braccio con la federa e cercai qualcosa di cui potermi servire per stringerla come
un laccio emostatico. «Sei veloce, molto più degli zombie. Come sono riusciti a
ferirti tanto gravemente?»
«Non lo so», rispose Seamus.
Non vedevo altro da poter usare se non la sedia a dondolo. La presi e la
spaccai sbattendola sul pavimento mentre Edward e gli altri, in camera da letto,
continuavano a sparare. Gli zombie non si sarebbero fermati fino a quando non li
avessimo bruciati. Anche se non l’amavano, la luce del giorno non poteva tenerli
lontani dal cibo a portata di mano, cioè noi.
Avvolsi un moncone di legno nella federa e iniziai a torcere il tessuto intorno
al braccio, finché il sangue non smise di sgorgare. «Tienila così. Io chiamo
un’ambulanza.» Mi ripulii sui pantaloni le mani insanguinate e mi sfilai il
telefono di tasca.
«Non chiamare», disse Seamus, mantenendo la federa avvolta strettamente.
«Non stai mica morendo.»
«Lo sento dentro di me. Mi sta dicendo di trasformarmi. Vuole che ti uccida.
Ecco perché non oso trasformarmi per guarire dalla ferita.»
Tenendo in mano il telefono col numero parzialmente composto, lo fissai.
«Chi lo vuole?» chiesi, pur conoscendo già la risposta.
«Lui, il vampiro. Sono stato morso da uno zombie, eppure in qualche modo è
stato lui, Anita. In qualche modo il vampiro stava usando il corpo dello zombie
come il Viaggiatore e la Madre Tenebrosa usavano i vampiri. Mi ha morso. Lo
capisci?»
«Capisco…» Riposi il telefono nella tasca.
«Sono un sicario dell’Arlecchino e sono vincolato al mio master, che mi sta
aiutando a combattere la compulsione, ma non so se riuscirò a vincere questa
battaglia.»
Mi sentivo intorpidita, come se lo fossi già da qualche tempo senza
essermene accorta. «La compulsione è così potente?»
«Non dovrebbe esserlo. Sono completamente vincolato al mio master. Dovrei
essere in grado di resistere a tutti i vampiri, tranne che al mio master. L’unica in
grado di alterare questo vincolo era la Madre Tenebrosa, e lei è morta.»
«Sì…»
«Questo master non dovrebbe essere così forte. Non mi sorprende che Ares
abbia ceduto.»
«Cosa vuoi che faccia?»
«Se mi uccidi, è possibile che il mio master sprofondi nel sonno della morte e
non si desti mai più. Non puoi permettere che io mi trasformi: vi è qualcosa in
questo potere che vuole che io uccida, non soltanto te, bensì qualsiasi essere
vivente. Lui ama la morte, Anita, in tutte le sue forme.»
«Il vampiro ha un nome?»
«Non me lo dice. Sono un animale, e lui non è tenuto a rivelarmelo.» Seamus
fu scosso da un brivido e chiuse gli occhi.
«Era un pensiero tuo o suo?»
«Di entrambi.»
«Tu non sei un animale e lui è tenuto a dirti il suo nome.»
Seamus mi sorrise. «Mi piacciono i tuoi ideali moderni, però è ormai troppo
tardi perché io possa abbracciarli.»
«No!» Gli toccai un braccio, pelle nuda su pelle nuda, e un lampo di calore
passò tra noi. Sentivo la sua bestia e la vedevo dentro di me, dove si mostravano
i sogni. Quando la iena mannara mi guardò, sentii qualcosa di nuovo agitarsi in
me. Avevo una nuova bestia.
Con castani occhi di iena, Seamus mi fissò. «Non puoi essere una di noi…»
«Un proiettile ha attraversato il corpo di Ares e si è conficcato nel mio. Non
credevo che fosse stato sufficiente.»
«Adesso il suo richiamo è più debole.»
«Semplicemente perché ti ho toccato il braccio?»
«Sì.»
Volevo chiamare Edward in modo che qualcuno fosse pronto a sparare a
Seamus se necessario, ma non volevo distrarlo, nel caso avesse bisogno di tutta
la propria concentrazione per stare alla larga dagli zombie che probabilmente
affollavano la scala nel tentativo d’invadere la camera da letto. Inoltre volevo
continuare a toccare Seamus, anche se nel contempo mi rendevo conto che
sarebbe stata un’ottima cosa allontanarmi. Non volevo trovarmi accanto a lui, se
fosse impazzito. Feci l’unica cosa possibile, ossia tenni la mano sinistra sul suo
braccio e sfoderai la Browning con la destra.
Dopo avere osservato la pistola, Seamus mi scrutò di nuovo in viso.
«Sparami, se devi.»
Mi limitai ad annuire. Ne avevo tutte le intenzioni. Avevo tradito Ares
rifiutando di sparargli quando me lo aveva chiesto e non intendevo ripetere lo
stesso errore.
Dall’esterno giunse un richiamo: «Polizia! Ehi, della casa!»
«In soggiorno!» gridai.
Il vicesceriffo Al entrò dalla cucina. Non appena ci vide, smise di sorridere.
«Cos’è successo?»
«Zombie nel sotterraneo.»
Quasi a confermare le mie parole, altri spari provennero dalla camera da
letto.
Guardando in quella direzione, Al sfoderò la pistola, poi si rivolse di nuovo a
noi. «È un licantropo, vero?»
«Sì», confermai.
Il suono lontano delle sirene che annunciava finalmente l’arrivo del resto dei
rinforzi si udì proprio mentre Al puntava la pistola contro Seamus, a disagio,
quasi imbarazzato. Forse un momento prima gli avrei chiesto di aiutarmi a
proteggere il licantropo, ma ormai… Non ero più sicura che non sarebbe stato
contento di premere il grilletto, e in verità non potevo biasimarlo, dopo quanto
era successo con Ares. D’altronde non era colpa di Seamus, eppure… Questa
volta avrei sparato, se fosse stato necessario. Non intendevo permettere che
un’altra delle mie guardie del corpo ferisse o uccidesse qualcuno. Non potevo. Il
mio lato cinico pensò: Be’, almeno non sono tanto affezionata a lui… Non era
un pensiero gentile, ma era vero: Ares era stato mio amico, mentre conoscevo a
malapena Seamus.
D’improvviso, sgranando gli occhi, Seamus mi afferrò il braccio sinistro,
stringendo troppo forte. «Non vuole bruciare!»
Soltanto nel momento in cui Edward e gli altri arrivarono di corsa sentii
odore di carne bruciata. Nel passare, Nicky e Lisandro afferrarono Seamus per il
braccio illeso e per la gamba opposta, lo sollevarono di peso, e tenendolo in
equilibrio proseguirono la corsa verso la porta. Li seguii perché, quando chi ha
acceso la miccia comincia a scappare, è buona regola cercare di stargli dietro.
«Fuori! Subito!» ordinò Edward, dando l’esempio, e io obbedii all’istante.
Senza fare domande, Al mi affiancò.
Non appena arrivammo sul prato, la prima esplosione parve scuotere il
mondo intero e ci fece barcollare. Io continuai ad allontanarmi. Al riprese
l’equilibrio e mi seguì. Alla seconda esplosione, ancora più violenta, ci
rannicchiammo per proteggerci dall’onda d’urto e dalla vampa.
«Cosa diavolo hai fatto?» chiese Al.
«Nel sotterraneo tenevano di scorta alcuni serbatoi di propano. Immagino che
uno sia stato colpito da una granata», spiegò Edward, come se si fosse trattato di
un incidente. Pacato e impenetrabile, mentre lo scrutavo in viso, accennò con
una mano ai lampeggianti e alle sirene dei rinforzi. Mi chiesi se intendessero
fermarsi a distanza di sicurezza o avvicinarsi alla casa.
Un’altra esplosione fece tremare il suolo, e lo spostamento d’aria ci
schiaffeggiò come una mano gigantesca. Al crollò bocconi.
«Tutto bene?» domandai.
Lui annuì.
La quarta esplosione fu accompagnata da una pioggia di rottami.
«Quanti serbatoi c’erano laggiù?» domandai.
«Parecchi», rispose Edward.
«Anita!» gridò Nicky.
Steso al suolo, Seamus cominciò a scuotersi e a contorcersi.
Maledizione! Il vampiro avrebbe dovuto essere stato annientato
dall’esplosione e Seamus avrebbe dovuto essere libero. Dunque il vampiro non
era morto, cazzo!
«Il vampiro non è morto!» gridai. Con la Browning ancora nella mano destra,
decisi di aiutare Seamus a controllare la bestia fino a quando il fuoco non avesse
consumato interamente il vampiro, oppure a sparargli prima della metamorfosi.
In ogni caso, il mio posto era accanto a lui.
Col fucile imbracciato, Edward sorvegliava la casa, pronto a sparare se
qualcosa fosse strisciato fuori. Il fabbricato era stato quasi completamente
demolito, perciò se qualcosa avesse tentato di fuggire dal retro l’avremmo visto.
Purtroppo il vampiro doveva essere scappato prima dell’esplosione più potente.
Merda! Se avessimo atteso i rinforzi, la casa sarebbe stata circondata e gli agenti
gli avrebbero sparato mentre tentava la fuga.
Con Nicky e Lisandro che lo inchiodavano al suolo, Seamus gridò. Allora
corsi ad accovacciarmi accanto a lui e gli posai di nuovo la mano sinistra sul
braccio, sentendolo caldo al tatto. La sua bestia ringhiò contro di me. Voleva
uscire a giocare. La mia nuova bestia rispose con un brontolio, a me, o forse a
lui.
«Se inizierà a trasformarsi, dovremo ucciderlo», annunciai.
«Dev’esserci un altro modo», obiettò Lisandro.
Digrignando i denti, Seamus disse: «Anita ha ragione…»
«Hai odore di iena anche se non ne sei portatrice», osservò Lisandro.
«Ora lo sono.»
«Lasciati annusare da Seamus», suggerì Nicky.
Staccai la mano sinistra dal braccio di Seamus per accostare il mio viso al
suo.
Lui stralunò gli occhi e li chiuse, poi la sua energia si placò. Quando riaprì gli
occhi, li aveva tranquilli. Era di nuovo se stesso. «Non sta più cercando di
controllarmi!»
«Perché no?» domandai.
«Non lo so. Sembra che se ne sia andato. Direi che sembra morto, ma non
credo che lo sia.»
«È già una buona cosa che se ne sia andato», commentai.
«Avete appiccato un incendio agli alberi laggiù», annunciò Al. «È stato un
anno secco. Dobbiamo estinguerlo.» Sembrava stanco, come se qualcosa negli
ultimi minuti lo avesse sottoposto a una prova durissima.
«Tutto bene?» gli chiese Hatfield.
«Conoscevo la coppia che viveva qui. I loro figli vivono in città. Non ho
voglia d’informarli che i genitori sono stati divorati vivi…»
«Puoi dire che sono stati assassinati», suggerii.
«I familiari chiedono sempre com’è successo, lo chiedono sempre, quasi che
saperlo possa procurare loro sollievo.» Al scosse la testa. «Certe verità non
procurano nessun sollievo. Certe verità accrescono la sofferenza e basta.»
Nessuno replicò. Tutti noi conoscevamo la violenza e la morte troppo bene e
da troppo tempo per poter mettere in discussione una cosa così vera.
63

e Seamus non fosse stato ferito, saremmo dovuti rimanere sulla scena

S del crimine più a lungo, invece ci fu permesso di accompagnarlo a


curarsi. La situazione era così simile a quella del trasporto di Ares in
elicottero che io rifiutai di correre rischi con un’ambulanza e nessuno si
oppose, probabilmente perché tutti avevano pensato la stessa cosa che
avevo pensato io. I paramedici medicarono il braccio ferito in modo che non
imbrattasse di sangue tutta la vettura e ci lasciarono partire. Lasciammo
intendere, senza dichiararlo, che lo avremmo accompagnato in ospedale. Invece
chiamai Claudia durante il viaggio in modo che alcune guardie del corpo ci
attendessero per trasportarlo di sopra, aiutarlo a trasformarsi e, se fosse
impazzito, ucciderlo. Se invece fosse rimasto tranquillo, lo avrebbero lasciato in
forma animale per alcune ore in modo che guarisse.
Dopo avere lasciato Hatfield alla stazione di polizia, affinché potesse
prendere la propria vettura e tornare a casa a lavarsi, ci recammo in albergo a
fare la doccia col potentissimo detergente che io e Edward da qualche tempo
avevamo sempre nei nostri zaini. Odorava di arancia marcia, però era sempre
meglio che puzzare di cadavere. È strano che gli zombie non puzzino come
semplici cadaveri, eppure quasi sempre è così.
Edward e Lisandro si ritirarono nelle rispettive camere, lungo lo stesso
corridoio in cui io e Nicky avevamo la nostra. I bodyguard in servizio nell’atrio
mi riferirono che Nathaniel stava dormendo, e quando domandai loro se Micah
fosse con lui mi risposero che era solo. Mi chiesi come stessero Micah e la sua
famiglia e perché Nathaniel non fosse con lui. D’altronde neanch’io ero con lui,
pur essendo la sua «fidanzata».
Aperta la porta con la chiave magnetica, cercai di essere silenziosa il più
possibile. Le tende completamente chiuse lasciavano filtrare a stento una lama di
luce solare nell’ambiente buio. Se non fossi stata informata che Nathaniel stava
dormendo, non mi sarei accorta subito di lui. Sul letto si vedeva soltanto un
mucchio di coperte e di lenzuola. Quando dormiva solo, Nathaniel si creava una
sorta di nido e vi si raggomitolava, diventando pressoché invisibile.
Nel passare tra le bare non mi fermai a baciarlo, per non rischiare di lasciare
puzza di cadavere sulle coltri. Anche se aveva sempre il sonno pesante,
Nathaniel doveva essere davvero esausto per non essere svegliato da noi e dal
nostro fetore. Non ricordavo se lui e Micah avessero dormito nel corso delle
ultime ventiquattr’ore, quindi era probabile che non avessero riposato affatto.
Il bagno era stato pulito e rifornito di asciugamani, sapone e shampoo, che
però non bastavano per eliminare il fetore. Era necessario il detergente di cui ero
provvista, lo stesso usato negli obitori, dove in effetti me n’ero servita la prima
volta, per lavarmi le mani. Avremmo pulito i giubbotti antiproiettile col Febreze
e affidato la borsa con gli indumenti alla lavanderia dell’albergo, già
appositamente avvertita. Il personale non sarebbe stato contento se avessimo
mischiato i nostri vestiti con quelli degli altri clienti. Quelli di Seamus erano
intrisi di sangue, perciò erano da buttare.
Dopo esserci disarmati, io e Nicky ci spogliammo il più rapidamente
possibile, niente di erotico, e ci lavammo col detergente da obitorio sotto la
doccia bollente. In modo che la mia capigliatura riccia non rimanesse un
ammasso gonfio tipo chioma afro, che non mi dona, usai il balsamo. Pur avendo
i capelli lisci, perfino Nicky fu costretto ad applicare il balsamo ed ebbe
difficoltà a spalmarsi il ciuffo triangolare che gli copriva l’orbita cicatrizzata.
Nudi e odoranti di arancia marcia, restammo nella doccia ad aspettare che il
balsamo asciugasse.
D’un tratto Nicky sogghignò.
«Che c’è?» domandai.
«Dobbiamo tornare a giocare agli investigatori?»
«Sì. Devo accertarmi che non annullino il mio mandato, convinti che il
grosso vampiro cattivo sia bruciato.»
«Probabilmente il corpo che usava è stato fritto.»
«Può darsi, ma prima che la casa esplodesse non potevamo vedere la porta
posteriore del sotterraneo, e lui era nel corpo di uno zombie, perciò poteva
muoversi anche di giorno senza essere arso dal sole.»
«Non dovrebbe essere incapace di possedere il corpo di uno zombie?»
«Sembra che tutte le regole siano sovvertite.»
Nicky mi accarezzò il viso. «Non volevo farti diventare tanto seria…»
«Non ho mai affrontato nulla del genere. Questo vampiro sta violando tutte le
regole.»
«Quando tu e Edward non sapete cosa sta succedendo è grave, vero?»
«Sì, è grave.»
«Quindi non è il momento adatto per fare sesso…»
Scoppiai a ridere. «Non sei ancora stanco?»
«Sono un leone mannaro, Anita. I leoni naturali possono scopare per giorni
interi, a intervalli compresi tra i quindici e i trenta minuti.»
«Sì, per circa dieci secondi per volta. Tu hai una resistenza molto maggiore,
ma i leoni non fanno altro che dormire e scopare per giorni, e noi siamo stati
parecchio impegnati, ultimamente.»
«Mi piace sapere che studi il nostro aspetto animale!»
«Ehi, sono laureata in biologia! Un tempo volevo diventare una biologa,
ricercatrice sul campo, specializzata in creature soprannaturali, e adesso la mia
formazione mi è utile. Comunque, sì, studio i miei uomini… ehm, la mia
gente…»
«Continua a turbarti il fatto che Jade sia femmina…»
Scrollai le spalle. «Quando sono con lei, mi piace. Semplicemente non riesco
a vedermi con una fidanzata…»
«A volte sei sopraffatta dall’ardeur come lo sono i tuoi amanti.»
«Sì… Be’, andiamo a togliere il balsamo e a cambiarci.»
Nicky mi abbracciò. «Mi dispiace… Continuo a parlare di cose che ti tolgono
il sorriso…»
Ricambiai l’abbraccio, e benché fossimo nudi nella doccia fu soprattutto
confortante. Era incredibilmente bello scambiarsi un semplice abbraccio. Posai
la testa sul suo petto e lui la guancia sui miei capelli. Bastò perché il suo corpo
iniziasse a rispondere, e io scoppiai a ridere. «Dobbiamo sciacquare via il
balsamo!»
«Come vuoi…» Nicky mi attirò sotto la doccia senza sciogliere l’abbraccio e
mi fece ridere, come probabilmente era stata sua intenzione.
Sistemati i capelli, applicammo il Febreze a tutti gli indumenti, inclusi quelli
destinati alla lavanderia; era molto efficace perché inventato appositamente per
cose come i giubbotti antiproiettile, che possono puzzare parecchio non potendo
essere lavati in modo tradizionale.
Il gigantesco asciugamano dell’albergo mi avvolgeva dalle ascelle a metà
polpaccio. Nicky si lasciava asciugare all’aria, tutto nudo e perfettamente a
proprio agio, come quasi tutti i licantropi. Io sono più a mio agio di un tempo
con la nudità, però tendo sempre a coprirmi.
Senza giubbotti antiproiettile e senza gilè tattici, le armi non potevano essere
trasportate; quindi le avevamo ammassate come legna da ardere. Decisi di
lasciarle in bagno e presi soltanto la Browning. Sì, ero in una camera d’albergo
con Nicky, protetta dai bodyguard in corridoio, però c’era una finestra, e lo
sconosciuto vampiro master aveva infranto tutte le regole. Talvolta mi sento
paranoica, talaltra mi sento semplicemente prudente. Comunque Nicky mi fece
sentire un po’ meno paranoica appendendosi l’AR alla spalla con la tracolla
tattica. Vederlo tutto nudo col fucile fu così interessante che mi fece sorridere.
«Che c’è?» domandò lui.
«Mi sentivo paranoica, prima di vederti nudo con l’AR.»
«Come hai detto tu stessa, questo vampiro sta infrangendo tutte le regole. Mi
piace essere preparato.»
Non gli chiesi se fosse mai stato negli scout, perché io non ci sono mai stata
eppure mi piace ugualmente essere preparata. Dunque essere preparati non è una
loro prerogativa. «Ci sono le guardie in corridoio», dissi, quando Nicky mi
chiese di lasciargli aprire la porta del bagno e ispezionare la camera da letto.
«C’è anche una finestra.»
Dato che avevo già pensato la stessa cosa, sarebbe stato difficile obiettare,
dunque non obiettai.
Nicky aprì la porta lentamente, si guardò intorno, poi si spostò e me la tenne
aperta. Nel silenzio della camera, mi avvicinai al letto.
Dal mucchio di coltri provenne la voce assonnata di Nathaniel: «Ehi, è stato
così brutto come la puzza?»
«Quasi», rispose Nicky.
«Ciao, Nicky!» salutò Nathaniel.
«Ciao!»
Quando feci per sedermi sul bordo, Nathaniel, sempre invisibile nel nido di
coltri, si scostò per farmi posto, poi protese un braccio e si affacciò a guardarmi.
Col viso incorniciato dalle lenzuola sembrava più giovane, come se lasciasse
intravedere il ragazzino che doveva essere ancora da qualche parte dentro di lui.
L’illusione di fanciullezza scomparve nel momento in cui, alzandosi a sedere per
baciarmi, scoprì le spalle e il torace decisamente adulti.
Ancora avvolto dal calore incredibile del nido di coltri, Nathaniel mi
accarezzò il viso e i capelli bagnati nel baciarmi, poi mormorò: «Vieni a
schiacciare un pisolino con me…»
«Non avevi ancora dormito nelle ultime ventiquattr’ore?»
«No.» Nathaniel mi abbracciò per tentare di attirarmi sotto le coperte, ma io
mi spostai per impedirlo, e allora lui si sdraiò supino, imbronciandosi.
Parzialmente avvolto nella sua lunghissima treccia era una specie di
Raperonzolo. Mi prese una mano. «Vieni a letto…»
«Devo vestirmi e andare a fare lo sbirro», dissi, mentre Nicky stava già
frugando nel bagaglio per prendere gli abiti. «Siamo tornati soltanto per lavarci e
per cambiarci.»
«Potreste prima schiacciare un pisolino…»
«No, dobbiamo andare a catturare i cattivi.»
«Devo seguirla ovunque e fingere di non essere un cattivo», interloquì Nicky.
«Allora dovete mangiare prima di tornare al lavoro», suggerì Nathaniel.
«Non c’è tempo per mangiare», replicai.
«Concediti una pausa, Anita.» Nathaniel si alzò di nuovo a sedere, lasciando
che le coltri gli si ammucchiassero in grembo. «Ho dovuto lasciare Micah in
ospedale perché stai assorbendo energia da me. Anche Devil ha cominciato a
sentire la stanchezza. Non puoi ignorare le tue necessità fisiche senza che questo
abbia conseguenze sugli animali che rispondono al tuo richiamo, nonché sul tuo
servo vampiro.»
«Hai ragione. Mi dispiace. Come sta Micah?»
«Non si abbandona al pianto e si tiene tutto dentro. Mi tiene per mano, lascia
che lo tenga per mano, ma cerca di essere forte per la sua famiglia e per me.
Talvolta è difficile prendersi cura di voi due.»
«Mi dispiace se siamo difficili, e mi dispiace doppiamente di essere una
grandissima rompiscatole.»
«Vuoi che ordini il servizio in camera?» chiese Nicky.
«Vai a dire a Edward che ordiniamo da mangiare e chiedigli se vuole
qualcosa.»
«Incarica uno dei bodyguard di ordinare il cibo e di farlo servire nella sala
conferenze a questo piano», suggerì Nathaniel.
«Sala conferenze?» chiesi.
«Sì. Ha un tavolo ovale abbastanza grande perché ci si possa sedere a
mangiare tutti quanti insieme, o quasi.»
«Come hai trovato il tempo di visitare la sala conferenze?»
«Sapevo che non avevi mangiato, così ho chiesto dove ci saremmo potuti
sistemare.»
«Perché Micah non è tornato con te?»
«Non ha voluto lasciare l’ospedale.»
Tenni la mano di Nathaniel. «Mi dispiace tanto di avervi dovuto lasciare soli
ad affrontare tutto…»
«Hai salvato Henry, ed è quello che Micah desiderava che facessi.»
Annuii.
Nicky infilò i jeans. «Cosa vuoi mangiare?»
«Hai bisogno di proteine», ricordò Nathaniel.
«Mangio sempre cibo proteico.»
«Questo è vero.» Nathaniel sorrise. «Sono io che mangio insalata.»
«Devi stare attento alla linea, visto che ti spogli per vivere.» Lo baciai.
«Cosa ordino?» chiese Nicky.
Io scelsi un hamburger, patatine fritte e una Coca-Cola.
Nathaniel mi sorprese maledettamente ordinando le stesse cose, a parte la
Coca-Cola, poi spiegò: «Per qualche giorno non devo badare alla linea, e ho
bisogno di proteine».
«Sto assorbendo così tanta energia da te?» domandai, preoccupata, perché
non mangiava mai hamburger. Carne magra sì, hamburger mai.
«Non ancora, però dovresti nutrire l’ardeur prima di tornare al lavoro.»
«Se sto già assorbendo energia da te, nutrire l’ardeur non andrebbe bene.»
«Nutriti di Nicky facendo sesso con tutti e due.»
«Mi piace il tuo modo di pensare», lo elogiò Nicky, dalla soglia della porta.
Nathaniel sogghignò. «Lo immaginavo.»
«È un albergo di lusso e abbiamo un piano intero a nostra disposizione,
quindi il servizio in camera sarà senz’altro veloce», osservò Nicky. «Ci vorrà
mezz’ora al massimo.»
«Allora dovresti annotare le ordinazioni di tutti, affidare l’appunto a
qualcuno e venire a letto», consigliò Nathaniel.
Nicky sorrise, poi prese il blocco che stava sul comodino e scrisse le
ordinazioni per tutti e tre, infine uscì con l’AR in spalla, lasciando la porta
socchiusa. Lo sentii bussare alla porta della camera di Edward e parlare con lui
sottovoce. Al ritorno si chiuse decisamente l’uscio alle spalle.
«Chi si occupa di ordinare?» domandai.
«Edward.» Nicky girò intorno al letto per andare sul lato presso la finestra e
posare l’AR sul pavimento.
«Sei stato veloce. Cosa gli hai detto?» domandai.
«D’inviarti un messaggio quando arriva il cibo, perché stiamo per fare
sesso.» Nicky si tolse i jeans con cautela, perché era già in erezione parziale
pregustando il sesso.
Avrei voluto ribattere che non era possibile che avesse detto una cosa del
genere a Edward, ma sapevo benissimo che invece l’aveva detta. Nicky era fatto
così, non vedeva nulla di sbagliato nella sincerità. Ben poche cose lo
imbarazzavano, perciò non sempre si rendeva conto del possibile imbarazzo
altrui, o forse se ne fregava.
Nathaniel mi prese la Browning di mano e la posò sul comodino. «Non siamo
tanto pericolosi. Non credo che tu abbia bisogno di essere armata.»
«Io sono pericoloso, e non soltanto per te.» Nicky scostò le coperte
ammassate da Nathaniel.
«Non hai bisogno neppure dell’asciugamano», dichiarò Nathaniel, sollevando
le coperte in segno d’invito.
Lasciato cadere l’asciugamano sul pavimento, strisciai fra le coltri. «Sei
sicuro di non avere più bisogno di dormire che di fare sesso?»
«Il sesso m’infonde energia. Ormai dovresti saperlo.»
Steso accanto a noi, Nicky si sollevò in appoggio su un braccio. «Voto per
eleggerti leone onorario.»
«È una lode immensa!» replicò Nathaniel.
«È davvero una lode immensa.» Nicky annuì con tanto vigore da frustarsi il
viso col ciuffo triangolare. «E adesso… Scopiamo!»
Io e Nathaniel scoppiammo in una sonora risata di delizia.
«Che bastardo dal dolce linguaggio!» commentò Nathaniel.
«Abbiamo mezz’ora o anche meno», ricordò Nicky. «Tic… Toc… Tic…
Toc…»
«Non roviniamo tutto con le sveltine», raccomandai.
«Non sia mai!» Nathaniel mi fece rotolare sopra di sé, in modo che stessi in
mezzo.
Mi piace stare in mezzo.
64

athaniel mi baciò a lungo, con amore, poi si spostò gentilmente per

N lasciare che Nicky mi baciasse come aveva fatto nella doccia, con una
lenta carezza delle labbra, sfiorandomi la gola con una mano così
grande che avrebbe potuto avvolgermi il collo.
Quando il nostro bacio divenne bramoso, io inarcai il collo
all’indietro e Nicky me lo strinse un po’. Risposi inarcandomi ancora di più e
baciandolo con più ardore, mentre Nathaniel mi baciava il seno. Allora Nicky
strinse ancora di più, strappandomi gemiti di protesta, e io inarcai anche la
schiena. Il suo bacio divenne più profondo e più feroce, con la lingua e coi denti.
Leccandomi, succhiandomi e mordendomi un capezzolo, Nathaniel mi fece
inarcare, divincolare, gridare di piacere in bocca a Nicky.
La stretta di Nicky aumentò fino a togliermi l’aria, impedendomi perfino di
gemere. Nathaniel mi affondò i denti nel seno e io non strillai soltanto perché mi
era impossibile. Intanto Nicky mi costrinse a spalancare dolorosamente la bocca
come se volesse conficcare la lingua in profondità inaccessibili. Mi divincolai, in
preda al panico per mancanza d’aria, ma cercai di resistere perché mi piaceva la
sua mano forte e pericolosa intorno al mio collo. L’irruenza del bacio e del
morso fu meravigliosa, ma alla fine non riuscii più a resistere e picchiai la mano
sul letto per segnalare di smettere.
Quando Nicky interruppe il bacio e allentò la stretta per consentirmi di
riprendere aria in un lungo respiro affannoso, Nathaniel smise di mordere.
«Ti piace?» chiese Nicky, scrutandomi negli occhi.
«Sì», riuscii ad ansimare.
Lui scoprì i denti in un sogghigno feroce. «Bene, perché piace anche a me.»
Mi lasciò respirare profondamente per un po’, quindi ricominciò a stringermi la
gola e si spostò per consentire a Nathaniel di arrivare all’altra mammella. Mentre
Nicky stringeva forte, baciandomi rudemente, e di quando in quando allentava
un po’ la presa affinché potessi riprendere fiato, Nathaniel mi succhiò il
capezzolo come se stesse praticando una fellatio, poi cominciò a mordere, e
morse sempre più forte, quasi troppo. Artigliando le lenzuola attorcigliate, io mi
divincolavo, agitavo le gambe, spingevo forte coi piedi e non riuscivo a
respirare. Finalmente picchiai la mano sul braccio di Nicky, che allentò la presa
per lasciarmi riprendere fiato tra i singulti. Fissai Nathaniel che smetteva di
mordere senza riuscire a vederlo, perché avevo la vista offuscata.
«Credo che le piaccia», ridacchiò Nicky.
Nathaniel si sollevò per scrutarmi in viso. «Credo che tu abbia ragione.» E
sorrise, mentre io lo fissavo senza riuscire a mettere a fuoco il suo viso.
Nell’udire la suoneria del mio telefono che riceveva un messaggio avrei
voluto dire d’ignorarlo, ma non ero abbastanza lucida da articolare un discorso.
Era come il perdurare del piacere dopo l’orgasmo.
Nathaniel prese il telefono dal comodino. «Per il pranzo bisognerà aspettare
almeno tre quarti d’ora, perché sembra che sia in corso un banchetto.»
«Abbiamo più tempo… Magnifico…» commentò Nicky, con voce profonda,
quasi brontolante, non di leone mannaro, bensì di maschio dominante che gode
del sesso rude, o lo desidera.
Con delicatezza Nathaniel mi leccò i morsi sul seno. Fu una sofferenza
squisita, quasi un piacere. Sembrava che il mio corpo non riuscisse a interpretare
le sensazioni. «Omioddio…» sussurrai.
«Mi piacerebbe avere un bavaglio», dichiarò Nicky.
«Ad Anita non piace», osservò Nathaniel, un po’ mestamente.
Riuscii a parlare a stento: «Eppure proverei…»
Allora Nathaniel si sollevò di nuovo a scrutarmi in viso e io, con la vista non
più offuscata, mi accorsi che aveva un’espressione che non gli avevo mai visto.
«Se l’hai detto perché credi che non abbia bavagli, t’informo che non ho portato
soltanto guinzaglio e collare.»
Tardai qualche istante a capire. «Hai portato un bavaglio…»
«Ne ho portati due.»
«Pur sapendo che probabilmente non li avremmo usati…»
«Sotto stress desidero maggiormente il bondage. Avere con me qualche
attrezzo mi fa sentire meglio, e ho immaginato che questo viaggio sarebbe stato
molto stressante. Ti va di farti imbavagliare per noi?»
Mi scrutavano, entrambi col busto parzialmente sollevato in appoggio su un
braccio. Stesa in mezzo, li fissavo dubbiosa. Non credevo che volessero farmi
male davvero, altrimenti non avrei fatto sesso con loro. Con certi tipi di bondage
il piacere dipende dalla finzione, dalla minaccia, quasi. Se non si è tentati, non lo
si può capire. Io ero tentata e un po’ nervosa. Come aveva detto Nathaniel, non
mi piacevano i bavagli. Sono scomodi e non hanno un aspetto attraente. Ne
avevo provato uno, una volta, e avevo rinunciato subito. Invece Nathaniel amava
essere imbavagliato in certi tipi di bondage, anche se a me sembrava che
guastasse una bocca bella e utile.
«Mi sembra meglio con la mano intorno al collo e coi morsi al seno»,
proposi.
«Si può fare», approvò Nicky.
«Assolutamente sì», convenne Nathaniel.
Così facemmo.
65

rima di cominciare, Nathaniel mi chiese di farmi legare le mani.

P «Con le mani legate e il bavaglio non potrò dire no e non potrò


neanche fare il segnale convenuto per smettere!»
«L’idea sarebbe proprio questa.»
Sapevo che Nathaniel lo desiderava da molto tempo, e in coppia con
Nicky mi sembrava un’idea migliore. Non avrei mai accettato di non poter dire
no e di non poter dire basta se ci fosse stato Asher, che era un vero sadico
drogato di potere. Invece di Nicky mi fidavo di più, e così…
Seduta sul letto tra loro due, con Nicky che mi stringeva la gola, lasciai che
Nathaniel mi ficcasse il bavaglio nella bocca spalancata come nel bacio di poco
prima. Sentendomi soffocare, in preda al panico, picchiai la mano. Nicky allentò
la presa e io mi accorsi di poter respirare attraverso il naso.
«Tutto bene?» chiese Nathaniel.
Annuii.
Lui sorrise, mi baciò la fronte e prese le cinghie col velcro che aveva già
preparato. Sapevo che le aveva portate apposta per me perché mi piaceva il
velcro. Avrei avuto l’illusione di essere legata, però se avessi voluto mi sarei
potuta liberare. Nathaniel preferiva quelle di cuoio o di metallo perché voleva
più dell’illusione. Lo fissai interrogativamente.
«Anche a te piace essere legata quando sei sotto stress.»
Lasciai perdere perché non avrei saputo come rispondere, e comunque non
potevo parlare.
Ci stendemmo sul letto, ancora una volta io in mezzo a loro. Ho i polsi così
sottili che non è facile trovare cinghie che si possano stringere abbastanza, ma il
velcro andava bene. Avevo scoperto che mi dolevano le spalle se rimanevo
legata con le braccia allungate sopra la testa, così mi legarono con le braccia
aperte.
Di nuovo Nathaniel mi scrutò in viso. «Stai comoda?»
Tirai le cinghie perché mi piaceva dibattermi, a volte persino graffiandomi, se
legata con le funi, poi annuii.
Nathaniel mi fece un bel sorriso caldo e felice, quindi scambiò un sogghigno
con Nicky e tutti e due mi presero in bocca i capezzoli. Erano già pieni di morsi
arrossati e sarei stata pronta a scommettere che presto ne avrebbero avuti altri.
Imbavagliata, mi contorsi con gemiti felici di protesta mentre loro due
succhiavano con veemenza. Mi strizzarono le mammelle per prenderne in bocca
il più possibile e cominciarono subito a mordere tanto forte che avrei segnalato
di smettere, se avessi potuto, così mi limitai a strillare nel bavaglio. Nicky iniziò
a ringhiare facendomi vibrare la mammella che aveva in bocca. Nel vedere che
aveva occhi ambrati di leone, mi spaventai anche se mi fidavo di lui, e il gioco
consisteva proprio in questo.
Mi vibrò anche l’altra mammella quando Nathaniel brontolò, con gli occhi
ancora lilla, umani, ma per nulla sottomessi. Nel bondage le personalità si
confondono. Evidentemente in Nicky vi era qualcosa che faceva emergere il lato
dominante di Nathaniel.
Sempre ringhiando e brontolando con le mie mammelle in bocca, i miei due
amanti morsero più piano, poi all’improvviso così forte da farmi strillare di
dolore. Smisero di mordere e si staccarono dal seno.
Nicky accarezzò i morsi a una mammella. «Qui sanguina un po’… Mmm…»
Si chinò a leccare le goccioline rosse nei segni lasciati dai denti. Fu così
doloroso che gemetti di protesta.
«Non è giusto», disse Nathaniel. «Sono stato bravo e non ho ancora
assaggiato il sangue.»
«Posso condividere il mio, oppure puoi procurartene tu.»
Dopo avermi fissata con un sorriso cattivo, Nathaniel ricominciò a mordere
nonostante i miei gemiti di protesta e mi fece strillare di dolore, quindi ammirò
la propria opera. «Adesso sanguina anche qui», annunciò, felice, prima d’iniziare
a leccare le goccioline rosse, subito imitato da Nicky all’altra mammella.
Mentre il loro mordere per farmi sanguinare era stato straziante, il leccare il
sangue fu un piacere doloroso che mi strappò gemiti di protesta e di godimento.
«Era troppo forte?» chiese Nathaniel.
Annuii.
«Hai rovinato tutto», redarguì Nicky. «Se non lo avessi chiesto, avremmo
potuto continuare.»
«Prima o poi dovremo slegarla, e non voglio che si arrabbi davvero con noi.»
«Hai ragione.»
Nathaniel si spostò in basso.
«Che vuoi fare?»
«Abbiamo poco tempo e io voglio che Anita goda, la sua prima volta col
bavaglio, perciò sto pensando a sesso orale, seguito da rapporto genitale.»
«Mi sembra un’ottima idea, e mi piacerebbe soffocarla mentre la lecchi.»
«Non può dire basta. È pericoloso.»
Nicky mi scrutò in viso. «Ti va di farlo? Ti fidi di me?»
Anch’io lo scrutai. Il suo occhio era di nuovo azzurro, umano, e lui sembrava
calmo. Mi fidavo, perciò finalmente annuii.
Nicky mi ricompensò con un sorriso meraviglioso. «Comincia pure,
Nathaniel. Io aspetto che stia per venire.»
«Passami un cuscino.»
Dopo avermi sistemato un cuscino dietro la schiena a sostenermi, Nathaniel
si sistemò tra le mie cosce, mi guardò con un sorriso cattivo, quindi mi leccò
delicatamente, prima intorno, poi, di colpo, in mezzo, facendomi fremere. Infine
si mise seriamente all’opera affondando il viso, ruotando la lingua intorno al
punto dolce, e leccando ogni piega, finché il calore non iniziò ad ammassarsi
dentro di me e il mio respiro accelerò.
«È proprio bravo a leccarti», mormorò Nicky. Dopo avermi accarezzato il
collo, mi afferrò la gola e all’improvviso strinse, mozzandomi il fiato. Fu come
se un interruttore mi avesse spento la respirazione. Mentre Nathaniel mi leccava
e il caldo piacere aumentava, Nicky sussurrò: «Adoro vedere il tuo viso che
illividisce».
Secondo alcuni, il soffocamento durante l’orgasmo è estasiante. Per me era
una distrazione perché resistere al panico mi bloccava sull’orlo dell’abisso del
piacere, impedendomi di precipitarvi.
Sempre scrutandomi, Nicky allentò la stretta in modo che potessi respirare.
«T’impedisce di venire, vero?»
Annuii.
«Voglio farti venire, così possiamo scoparti e puoi nutrirti di me. Però voglio
soffocarti ancora.»
Mentre Nathaniel continuava a leccare profondamente, il piacere mi travolse.
Sebbene imbavagliata, strillai, strofinandomi contro la bocca di Nicky, e come
onde gli orgasmi si susseguirono agli orgasmi.
Galleggiavo nei postumi dell’estasi, con gli occhi socchiusi, sfatta e felice,
quando Nicky mi sussurrò sulla guancia: «Sei pronta?»
Se fossi stata capace di pensare, avrei chiesto: «Pronta per cosa?»
Afferrata alla gola dalla sua mano enorme, non riuscii ad aprire gli occhi. Lui
strinse forte e il soffocamento si mescolò ai piacevoli spasmi del perdurare
dell’orgasmo, senza panico, senza lotta per respirare, in un flusso informe di
sensazioni.
Rimosso il cuscino, Nathaniel mi penetrò. Sentirlo dentro di me dopo il sesso
orale, mentre Nicky mi soffocava, fu meraviglioso, anche se mi fu impossibile
concentrarmi su tutte le sensazioni contemporaneamente.
Poi Nicky allentò la presa, lasciandomi tirare il fiato con un singhiozzo, e
Nathaniel trovò un ritmo gentile, dentro e fuori, a occhi chiusi, con la testa
reclinata, sforzandosi di durare. Accarezzò ripetutamente quel punto subito
dentro l’apertura finché non mi fece venire, strillando e dimenandomi sotto di
lui. Con un grido strozzato fu scosso da un brivido e con un ultimo affondo
venne dentro di me, facendomi gridare di nuovo, poi si sfilò, facendomi
dimenare ancora una volta, rotolò su un fianco, e ansimò: «Omioddio…»
«Tocca a me!» Nicky si mise tra le mie cosce e, nonostante il lavoro
preparatorio di Nathaniel, fu costretto a spingere per entrare. «Rimane sempre
così stretta…»
«Non sempre, ma quasi sempre», corresse Nathaniel.
Non appena fu tutto dentro, Nicky si curvò su di me a scrutarmi in viso. «So
che ti piace il sesso rude. Ti ho già pompata nella doccia, però mi piace pensare
che sto per sbatterti di nuovo allo sfinimento senza che tu possa dire di no e
dirmi di essere gentile. Anche se so che non me lo diresti comunque, mi piace
davvero tanto che tu non possa dirmi di smettere.» E fece come aveva detto,
iniziando a pompare dentro e fuori col rumore della carne che sbatteva come se
mi stesse sculacciando, più veloce e più violento di qualunque mano, con tutta la
sua forza, la sua lunghezza e il suo spessore, affondando ripetutamente, veloce e
vigoroso.
«Nathaniel, puoi soffocarla un’altra volta mentre la scopo? Non mi fido a
farlo io, col bavaglio e con le cinghie.»
Nathaniel mi si accostò. «Sì?»
Annuii.
Con la sua mano, più piccola, Nathaniel mi strinse la gola, mentre Nicky
continuava a pompare dentro e fuori, incredibilmente vigoroso e veloce.
«Stringi di più, finché la faccia non cambia colore», lo esortò Nicky.
Nathaniel obbedì, facendomi affluire il sangue al volto.
«Sollevala.» Nicky perse il ritmo per un momento.
Allora Nathaniel mi afferrò per i capelli e mi tirò su la testa in modo che
Nicky potesse guardarmi.
Soddisfatto, Nicky ritrovò il ritmo, vigoroso, veloce, profondo, ancora più
profondo, facendomi precipitare oltre il bordo, nell’abisso dell’orgasmo,
incapace di gridare perché soffocata da Nathaniel, con tutto il corpo squassato
dagli spasmi. Nicky venne dentro di me, gridando, e Nathaniel mi lasciò ricadere
sui cuscini.
Ancora conficcato il più profondamente possibile dentro di me, mentre avevo
gli occhi stralunati e offuscati come voleva lui, Nicky mi scrutò in viso con
bramosa e oscura felicità, probabilmente perché aveva visto il mio viso cambiare
colore. «Amo il fatto che tu abbia tanta fiducia in me.»
Il bavaglio m’impedì di dire che mi fidavo davvero tanto di lui, davvero
tanto.
66

opo mangiato e dopo avere lasciato Nathaniel sotto le coperte a

D dormire, io e Edward decidemmo di seguire l’antico adagio Divide et


impera. Lui sarebbe andato a parlare coi poliziotti per scoprire cosa
avessero appreso dalle scene del crimine e dai cadaveri trovati di
recente. Io sarei andata in ospedale a interrogare Little Henry e a
trovare Micah, accompagnata da Nicky. Come Claudia aveva deciso, Lisandro
sarebbe rimasto in albergo per aiutarla, all’imbrunire, coi vampiri
dell’Arlecchino, che avevano scarsa stima dei licantropi in generale e faticavano
ad accettare che le guardie del corpo fossero capeggiate proprio da animali
mannari, benché la superiorità dei vampiri fosse tanto evidente. Sì, stavano
cominciando a dare sui nervi a tutti. Così Claudia mi assegnò Domino.
«Non sono sicura che le tigri mannare siano in grado di svolgere questo
lavoro, Claudia. Sono grandiose in addestramento e nel servizio normale, ma
nessuna di loro ha esperienza di combattimento né di massacri come quello che
abbiamo dovuto affrontare la notte scorsa.»
«Anita, ho bisogno dell’aiuto di Lisandro con l’Arlecchino, punto e basta. Tu
non vuoi Devil, mentre Pride e Nicky non si trovano bene a lavorare insieme.
Sebbene sia in gamba, neppure Emmanuel ha l’esperienza che hai descritto. A
differenza delle altre tigri dorate, Domino non è stato addestrato a essere un
superguerriero. È stato addestrato come bodyguard e sicario della malavita
organizzata e sa essere molto brutale.»
«Non è la stessa brutalità che abbiamo dovuto affrontare in questi giorni.»
«Senti, non ho tempo e neppure energie da sprecare con queste discussioni.
Adesso ti scorta Domino.» Eravamo ancora in sala conferenze, dove avevamo
mangiato. Claudia, mani sui fianchi, mi fissava con sguardo duro. Alta quasi due
metri, coi lunghi capelli neri raccolti in una coda di cavallo, il viso dagli zigomi
alti e dai lineamenti vigorosi del tutto privo di trucco. Era una di quelle bellezze
che i messicani definirebbero guapa, perché pur essendo bella era eccessiva in
tutte le sue forme, dalle larghe spalle muscolose alle lunghe gambe muscolose.
«È molto difficile armonizzare i sicari dell’Arlecchino alle nostre guardie del
corpo?» domandai.
«Voglio che Jean-Claude sia protetto dal maggior numero possibile di
bodyguard. I sicari dell’Arlecchino sono spaventosamente abili quando non si
comportano da stronzi lagnosi. Sotto il profilo della sicurezza, la partenza
improvvisa di Jean-Claude è un incubo. E adesso mi dici che il vampiro master
assassino è un negromante capace di destare gli zombie e di possedere corpi che
gli consentano di agire alla luce del sole. Di bene in meglio, cazzo!»
Non ero sicura di averla mai sentita usare il turpiloquio in precedenza, e ne
deducevo che doveva essere ancora più turbata di quanto mostrasse. «Io adesso
sto benissimo, quindi Jean-Claude può tornare a casa.»
Claudia fece una smorfia talmente sprezzante che mi fu difficile rimanere
calma. «Non se ne andrà finché non sarai del tutto fuori pericolo.»
«Il pericolo è il mio mestiere.»
«E non credere che questo non faccia incazzare anche me.»
«Okay… Si tratta soltanto di problemi di sicurezza, oppure sei incazzata per
qualcos’altro?»
Claudia ignorò la mia domanda. «Vai a catturare quel bastardo, così possiamo
tornarcene tutti quanti a casa.»
«Il piano è proprio questo.» Lasciai la sala conferenze, seguita da Nicky, per
passare a prendere Domino, che aveva una camera in fondo al corridoio.
«Cosa la rode?» domandai.
«Non lo so. Comunque è nervosa da un paio di settimane.»
«Così nervosa?»
Nicky scosse la testa. «In effetti, no, non così tanto.»
«Bene, perché stavo cominciando a sentirmi stupida per non avere notato che
una delle nostre migliori guardie del corpo è angosciata per qualche problema
personale.»
«Di qualunque cosa possa trattarsi, Claudia non permetterebbe mai a nulla
d’interferire col lavoro.»
Annui, sapendo che diceva sul serio. Tuttavia sapevo pure che talvolta i
problemi personali interferiscono con tutto, nonostante le migliori intenzioni. In
ogni caso lasciai perdere, perché era evidente che Claudia non ne voleva parlare.
Per giunta non erano affari miei, fintanto che lei faceva bene il suo lavoro.
Quando Nicky bussò alla porta in fondo al corridoio, vicino alla porta
contrassegnata dalla targa luminosa USCITA, aprì Domino. Aveva una morbida
massa di ricci bianchi e neri che portava con taglio da skater. Anche se parecchi
ragazzi gli chiedevano chi glieli avesse tinti così bene, il doppio colore era
naturale perché lui era sia tigre bianca sia tigre nera. Era uno dei pochi
sopravvissuti allo sterminio del clan della Tigre Nera. Non si sapeva chi fossero i
suoi genitori. Il clan della Tigre Bianca lo aveva trovato in un orfanotrofio e lo
aveva giudicato indegno di riprodursi per il timore che generasse prole impura. I
clan sono esogamici e i figli sono cresciuti all’interno del clan di cui hanno
maggiormente l’aspetto. Domino era una delle uniche due tigri da me incontrate
che non potevano nascondere di essere meticce. Aveva occhi di pura tigre nera,
simili a fiamme arancioni, tanto che di solito la gente pensava che portasse lenti
a contatto, proprio come pensava che si tingesse i capelli. Quand’era in forma di
tigre nera, gli occhi arancioni erano di una bellezza da Halloween. In forma di
tigre bianca restavano immutati e quindi lo denunciavano quale impuro, perché
presso le tigri di tutti i clan il colore degli occhi è innato. Le tigri che hanno
occhi umani sono considerate deboli e di solito la loro bestia assume
esclusivamente forma di tigre gigantesca.
Quando il sorriso accese di gioia i suoi occhi da Jack-o’-Lantern mi sentii in
colpa per non essere andata a salutarlo quand’era arrivato in città e per non
averlo scelto come guardia del corpo. «Ciao, Domino.» Abbracciarlo fu facile
perché non indossava ancora tutte le armi, ma ciò significava che non era ancora
pronto. In generale, avere bodyguard come amanti presenta un insieme di
vantaggi e di svantaggi. Nel cingergli i fianchi con le braccia, mi alzai in punta
di piedi in modo che non dovesse curvarsi troppo per baciarmi.
Forse il bacio sarebbe diventato più ardente se il mio telefono non avesse
squillato con la suoneria di Hawaii Five-0, cioè quella che era assegnata a quasi
tutti i dipartimenti di polizia con cui collaboro occasionalmente. Domino lo
sapeva, perciò mi lasciò e rientrò in camera a prendere le armi. Io e Nicky lo
seguimmo e ci chiudemmo la porta alle spalle, mentre rispondevo alla telefonata.
Era Hatfield. «Blake, tutti qui si congratulano con noi per avere ammazzato il
vampiro assassino, ma prima di festeggiare voglio chiederlo a te e a Forrester…
È davvero morto?»
In quel momento, Hatfield mi piacque un sacco. «No, sono sicura al
novantacinque per cento che non è morto.»
«Immaginavo che l’avresti detto.» Fu sincera, per nulla contenta di avere
avuto ragione.
Domino aveva sistemato ordinatamente l’equipaggiamento sul letto rifatto
alla perfezione, come se fosse pronto a fare i bagagli. Era trascurato in un sacco
di cose, ma non nel lavoro. Era stato addestrato come bodyguard e sicario della
malavita organizzata perché il Master di Las Vegas era appunto un boss del
crimine dai tempi di Bugsy Siegel. Domino aveva dovuto aggiornare e
completare il proprio addestramento perché i nostri bodyguard erano in gran
parte ex militari, ex poliziotti e mercenari, ma in quanto a pura e semplice
brutalità aveva sufficiente esperienza. Avevo conosciuto Max, il Master di Las
Vegas, che aveva iniziato la propria carriera nella malavita organizzata come
sicario incaricato di spezzare le gambe, quindi ai suoi tempi si era sporcato le
mani senza essere tanto schizzinoso e si aspettava la stessa disponibilità dagli
accoliti.
«Vorrei che il grosso vampiro cattivo fosse stato ucciso dall’esplosione e dal
fuoco», dissi, mentre Domino indossava il giubbotto antiproiettile e iniziava a
sistemare le armi. Nelle occasioni in cui mi seguiva sul lavoro come aiutante
marshal ne portava sempre più del solito, perché non aveva bisogno di
nasconderle. Quando s’indossa il comune abbigliamento quotidiano può essere
molto difficile nascondere le armi. «Purtroppo è capace di spostarsi da un corpo
all’altro, e per ucciderlo davvero dobbiamo fare in modo che rimanga abbastanza
a lungo nello stesso corpo.»
«Come possiamo riuscirci?» domandò Hatfield.
«Avremmo probabilità di farcela se trovassimo e distruggessimo il corpo
originale.»
«E come troviamo il corpo originale?»
«Sto per andare in ospedale e interrogare Little Henry e il vicesceriffo
Gutterman a proposito dell’aggressione allo sceriffo Callahan. Spero di ricavarne
qualche indizio per localizzarlo.»
«Non puoi semplicemente interrogare i vampiri in arresto, stanotte?»
«Sì, ma di notte il vampiro assassino diventerà ancora più forte, e dunque
ancora più difficile da trovare e da uccidere di quanto lo fosse oggi. Ecco perché
preferirei trovare il corpo e risolvere la faccenda prima del tramonto.»
Raccolta dal letto una pistola da tasca calibro 308, Nicky mormorò qualcosa.
Senza dubbio fu un commento sulle dimensioni che implicava un confronto tra
le dimensioni del pene. Insomma, una cosa da maschi. Sotto tale aspetto, però,
Domino non aveva nulla di cui vergognarsi, come ben sapevo. Così sfilò la sua
Beretta calibro 45 dalla fondina al fianco e ribatté probabilmente sminuendo le
dimensioni di Nicky, che usava come arma principale una calibro 9.
Dopo breve silenzio, Hatfield disse: «Va bene. Cosa posso fare per essere
d’aiuto?»
«Ted sta arrivando da voi per vedere se avete scoperto qualcosa sulle nuove
scene del crimine.»
«Lo chiamo e lo aspetto. Cosa dico ai superiori che vogliono dichiarare la
fine del pericolo?»
«Di aspettare e di lasciar passare questa notte. Il periodo dal tramonto all’alba
sarà una prova. Se non succederà niente, allora forse vorrà dire che lo abbiamo
beccato. Io mi aspetto invece che le situazione peggiori.»
«Perché?»
«Come reagiscono i serial killer quando si trovano alle strette?»
«Si suicidano, oppure uccidono di più e più in fretta, di solito.»
«Esatto.»
«Oh, merda! Non è una bella prospettiva…»
«Se vuoi unicorni e arcobaleni, allora hai scelto il mestiere sbagliato.»
Hatfield emise una risatina amara. «Be’, questa è la pura, semplice e schietta
verità!»
Intanto Domino stava indossando sopra tutto il resto una giacca di pelle
foderata, che non si chiudeva a nascondere il giubbotto antiproiettile e la Glock
calibro 9 assicurata col sistema MOLLE. Finché era con me poteva esibire
l’artiglieria senza essere accusato di brandire armi in pubblico. È un’accusa che
dipende dall’agente di polizia che la formula, e in sostanza significa che si è
sospettati di ostentare le armi per spaventare i civili. In altre parole, i civili non
possono portare armi nascoste e non possono ostentare armi. A volte ho
l’impressione che quella norma sia stata concepita per creare confusione.
Comunque avere un distintivo e un mandato di esecuzione mi esenta dalle norme
civili e mi autorizza a portare armi.
«Chiamo Forrester», annunciò Hatfield.
«Noi andiamo in ospedale.»
«Porta i miei migliori saluti allo sceriffo Callahan e al tuo fidanzato.»
«Non mancherò. Grazie.»
«Callahan è un brav’uomo e uno sceriffo ancora migliore. È uno di quegli
sbirri all’antica che nella loro città conoscono tutti personalmente e che sono in
buoni rapporti con tutti. Sapevi che, quando ci sono le elezioni, è sempre
rieletto?»
«No, non lo sapevo.»
«Ha davvero a cuore il benessere dei suoi concittadini, e si assicura che loro
lo sappiano. È sceriffo da almeno dieci anni, ormai.»
Quella notizia mi ricordò Micah e la Coalizione. «Non sapevo neppure
questo.»
Intanto Nicky aprì la porta. Domino uscì, ispezionò il corridoio e annuì. Io
varcai la soglia e Nicky richiuse la porta. Poi c’incamminammo tutti e tre verso
gli ascensori.
«Siamo quasi all’ascensore, Hatfield. Devo lasciarti.»
«A più tardi. Spero che si possa trovare il corpo prima del tramonto.»
«Lo spero anch’io.»
Interrompemmo la comunicazione. Le porte dell’ascensore si aprirono e noi
vi entrammo per andare a caccia di vampiri. Talvolta si usano le armi da fuoco,
talaltra si parla coi superstiti, come li si definisce. In realtà, però, le vittime dei
vampiri sono come morte anche se sopravvivono all’orrore, perché qualcosa in
loro muore, come accade alle vittime degli incidenti, e dopo l’esperienza vissuta
diventano gli spettri di loro stesse. Per qualche tempo i superstiti vagano come
spettri e, anche quando hanno ormai ricostruito completamente le loro vite,
rimangono ossessionati dai fantasmi dell’accaduto, che non scompaiono mai del
tutto e attendono i momenti di depressione per lanciare i loro lamenti, per
scuotere le loro catene e servirsene per cercare di strangolare i perseguitati.
Decisi per prima cosa di andare da Micah, per aiutarlo a sciogliere le catene
della colpa e dell’amore che provava per il padre. Poi avrei parlato con Henry,
un veterano delle forze speciali che aveva già vissuto grossi traumi prima di
essere rapito dai vampiri. Ma le esperienze precedenti avevano forse potuto
prepararlo a quel trauma che era costato la vita al padre? In qualche modo
dubitavo che perfino l’addestramento delle forze speciali potesse davvero
preparare a perdere una persona cara, e il senso di colpa del superstite, che
probabilmente era tra i fantasmi delle esperienze di guerra che lo
perseguitavano: aveva aggiunto una maglia nuova di zecca alla sua catena
sferragliante.
È molto più semplice affrontare i veri spettri che i fantasmi interiori da cui
ciascuno di noi è tormentato. Un sacco di gente ossessiona se stessa molto più
efficacemente di qualunque spettro.
67

n corridoio, nel vedere la madre di Micah che piangeva, confortata da

I Gonzales, per un attimo temetti il peggio e la paura mi annodò lo stomaco.


Tuttavia raddrizzai le spalle e continuai a camminare. Nessuna ritirata,
nessuna resa.
«Chi è quella?» mormorò Domino, accanto a me.
«La madre di Micah», sussurrai.
«Davvero?»
Lo guardai senza riuscire a interpretare la sua espressione, perché aveva gli
occhi nascosti dagli occhiali da sole. Comunque non sembrava esattamente
contento. Non avevo pensato che la faccenda dell’essere mezzosangue potesse
essere un problema per qualcuno, se non per le tigri mannare, e non mi era
sembrato che lo fosse per Domino.
Non appena mi vide, Bea s’illuminò in viso nonostante le lacrime, e il suo
sollievo mi rivelò che non piangeva per la morte del marito, bensì per qualcosa
in cui pensava potessi esserle d’aiuto. Mi era capitato abbastanza spesso che
qualcuno mi chiedesse di risvegliare un caro estinto, ma credevo che Beatrice
fosse più sana di mente.
Nonostante le armi, mi abbracciò più forte di quanto mi piacesse. Era stata
moglie di uno sbirro per lungo tempo e probabilmente vi si era abituata. Io feci
l’unica cosa possibile, cioè ricambiai l’abbraccio, e allora lei mi abbracciò
ancora più forte. Quando si dice essere puniti per una buona azione! Alla fine
però mi accorsi che aveva le gambe molli e fui costretta a sostenerla. Non
appena si sentì sorretta, le sue gambe cedettero. Era più pesante di me, ma per
fortuna di entrambe io ero abbastanza forte e non ebbi problemi a reggerla. Fu
solo un po’ inaspettato.
«Serve aiuto?» chiese Nicky.
«Non ancora.»
Beatrice continuava ad aggrapparsi a me, quindi non era svenuta. Stava
semplicemente affondando in acque emotive che io non potevo vedere e mi
aveva scelta come ancora di salvezza.
«Beatrice, mi senti?» domandai. «Bea?»
Gonzales si avvicinò. «Bea… Tutto bene?»
Senza rispondere, lei si lasciò andare ancora di più.
«Nicky, aiutami a farla sedere.» Potevo sostenere il suo peso, ma i corpi
umani non sono equilibrati come i bilancieri e quindi sono molto più difficili da
sollevare, soprattutto se non si vuole rischiare di ferire accidentalmente
qualcuno, o se hanno la gonna, come l’aveva Bea, e non si vuole far vedere tutto
a tutti. Be’, non volevo che questo succedesse.
D’un tratto un agente in uniforme comparve dietro di lei ad accostarle una
sedia. Nicky e Gonzales mi aiutarono a farla accomodare, così c’intralciammo a
vicenda perché eravamo troppi. Bea era pallida e aveva gli occhi appannati.
Quando le toccai il viso, lo sentii umido. «Bea… Riesci a sentirmi?»
Lei annuì brevemente. «Sì», rispose, con voce soffocata.
«Quando hai mangiato l’ultima volta?»
Non riusciva a ricordarlo.
«Quando hai bevuto?»
Non aveva bevuto niente per tutto il giorno. Mentre due agenti andavano a
prenderle una bottiglia d’acqua e una merendina al distributore automatico, io mi
piegai su un ginocchio e lasciai che mi tenesse la mano. Forse avrei dovuto
essere io a tenere la mano a lei, tuttavia sembrava preferire così.
Dopo avere bevuto da un bicchiere con l’aiuto di Gonzales e dopo avere
mangiato una merendina, Bea riprese un po’ di colore. «Mi dispiace», disse, con
voce roca.
«Devi avere più cura di te stessa», raccomandai.
«Volevo soltanto rimanere con loro il più a lungo possibile…»
«Loro?»
«Rush e Micah. Li voglio vedere insieme il più a lungo possibile.» Scoppiò a
piangere.
Nell’accarezzarle la mano scoccai un’occhiata furente a Gonzales, che mi
guardò come per dire: Cos’ho fatto? Quando mi sembrò che Bea fosse in grado
di rimanere seduta sulla sedia senza cadere sul pavimento, l’affidai alla
sorveglianza dell’agente che aveva portato l’acqua e condussi in disparte
Gonzales, seguita da Nicky e Domino. «Da quanto tempo sei qui con lei?»
«Soltanto un paio d’ore. Non sapevo che non avesse mangiato e bevuto
niente.»
«E Micah?»
«Non lo so. È con Rush.»
«Merda!» Mi rivolsi agli sbirri in corridoio. «Ragazzi, vi sono davvero grata
di essere qui.» Quando tutti quanti mi ebbero risposto con noncuranti gesti di
assenso, aggiunsi: «Però potreste essere così gentili da assicurarvi che i familiari
dello sceriffo bevano e mangino qualcosa di quando in quando?»
Gli agenti si scambiarono una serie di occhiate imbarazzate. Poi si scoprì che
quasi tutti erano lì da poco.
«Ci scusi, marshal. D’ora in avanti saremo più solleciti con Mrs Callahan.»
Non replicai che sarebbe stato più corretto dire Mrs Morgan. Mi chiesi se i
figli avessero il doppio cognome, e decisi che probabilmente non lo avevano,
altrimenti il segreto avrebbe cessato di essere tale ormai da anni. Comunque
erano una famiglia, una coppia composta di tre persone anziché due.
Mi domandai anche in quale modo io, Jean-Claude, Micah e Nathaniel
avremmo organizzato il nostro matrimonio. Jean-Claude avrebbe forse voluto
includere nel gruppo anche Asher? E io avrei forse voluto includere anche
Nicky? Sembrava tutto troppo complicato per il momento, quindi doveva essere
appena scoppiata una mina emotiva che mi aveva creato un problema, anche se
non sapevo esattamente quale. Di sicuro mi sentivo meno favorevole al progetto
del matrimonio di gruppo. Anche se cominciavo già ad avere mal di testa, lasciai
defluire le emozioni negative, proponendomi d’individuare e affrontare il
problema in seguito. Non importava sapere esattamente cosa fosse. Bastava
riconoscere che c’era un problema e andare avanti senza cedere a impulsi
irrazionali. Al momento desideravo esclusivamente rivedere Micah e accertarmi
che stesse bene… D’accordo, bene per quanto possibile, date le circostanze.
Edward mi aveva già salvata dallo sfogare i miei problemi su Nicky e Devil.
Adesso dovevo salvarmi da sola.
Iniziai a respirare profondamente e fu un errore, perché fiutai il fetore aspro e
dolce della decomposizione, sapendo che proveniva dal padre di Micah. Era
troppo simile al puzzo dei cadaveri che avevamo trovato nel sotterraneo. Era
come una spaventosa anteprima.
All’improvviso smisi di sentirmi bene. «Il bagno più vicino?»
Gonzales indicò il corridoio. «In fondo a destra.»
Mi sarebbe piaciuto camminare tranquilla, invece corsi per arrivare in bagno
prima di vomitare, anche se non corsi come se fossi in pericolo di vita. Mi
sentivo stupida perché Nicky e Domino mi seguivano. In quel momento volevo
soltanto rimanere sola.
In bagno cominciai a vomitare prima ancora di essermi inginocchiata ed ebbi
a stento la lucidità sufficiente per scostarmi i capelli dal viso con una mano. La
presenza che sentii alle mie spalle non era quella di un cattivo che aveva scelto il
momento più adatto per cogliermi alla sprovvista, mentre ero indifesa.
«Sono io.» Nicky mi tenne la fronte con una mano e i capelli con l’altra, in
modo che potessi appoggiarmi con entrambe le braccia, a testa china sulla tazza.
La sua mano mi sembrava fresca anche se non poteva esserlo, perché i licantropi
hanno una temperatura corporea superiore a quella umana. L’impressione
ingannevole significava che probabilmente mi sentivo peggio di quanto credessi.
Non è facile vomitare carne. Se lo avessi saputo, avrei scelto la zuppa, o magari
soltanto il caffè. Sì, il caffè da solo sarebbe stato grandioso.
«Ho portato qualche salvietta di carta», disse Domino.
Pensando che intendesse esortarmi a pulire, mi accinsi a protestare che non
avevo fatto casino. Nello stesso istante Nicky mi lasciò la fronte per posarmi
qualcosa di freddo sulla nuca: il fresco aiuta. «Scusate», riuscii a dire.
«Per cosa?» chiese Domino.
Nicky non disse niente. Capiva, sia perché era mio sposo, sia perché sapeva
quanto detestassi qualunque manifestazione di debolezza.
Non riuscivo a prendere la carta igienica, e quando mi accorsi che Nicky si
accingeva ad aiutarmi gridai: «Faccio io!» Subito mi resi conto di essere stata
scortese e aggiunsi: «Scusa…» Finalmente riuscii a staccare un po’ di carta dal
maledetto rotolo e a pulirmi la bocca.
«Vuoi che me ne vada?»
«No», risposi, pur essendo consapevole che in parte lo desideravo. Appena
prima di entrare in bagno non avevo forse pensato di voler restare sola?
Nicky mi lasciò i capelli e fece per uscire.
Allungai una mano all’indietro per afferrargli i jeans. «Aspetta un momento,
per favore. Non volevo essere sgarbata. Non voglio che te ne vada. Grazie per
avermi aiutata.»
«Nonostante quello che dici, posso percepire quello che provi davvero. Sei
irritata, perfino arrabbiata.»
«Non con te.» Continuai a tenergli i jeans. Erano larghi, perché aveva le
cosce così muscolose che non poteva indossarne di aderenti.
«Questo non t’impedisce di sfogarti con me», ribatté Nicky, in un tono che
non riuscii a decifrare, e comunque non cordiale.
«Per favore, non lasciare che i tuoi o i miei problemi ci facciano litigare. Ho
soltanto bisogno di capire cosa diavolo sta succedendo nella mia testa.»
«Va bene», dissi Nicky, circospetto, come se non si fidasse di me.
In quel momento mi resi conto di una cosa. Benché Nicky fosse grande e
grosso, più spietato e più abile di quasi tutti gli altri bodyguard e fisicamente
molto più forte di quanto io avrei mai potuto essere, se avessi voluto nuocergli in
qualsiasi modo, lui in quanto mio sposo non avrebbe potuto farci niente, perché
gli sposi sono pressoché incapaci di dire no ai loro padroni. Era perfino costretto
a rendermi felice, perché se fossi stata infelice lo sarebbe stato anche lui.
Mi chiesi quanto il nostro rapporto fosse simile a quello che aveva avuto con
la madre, e subito me ne rammaricai. Era tutto troppo strano e freudiano. Ma
perché m’impantanavo in tali inutili riflessioni? Cosa diavolo mi stava
succedendo? Be’, all’improvviso mi resi conto che era quello che facevo sempre.
M’impantanavo in inutili riflessioni sui rapporti frugando e rimestando fino a
rovinare tutto, per poi poter dire: «Visto? Lo sapevo, io!» Cazzo! In connessione
con l’indagine in corso era appena successo qualcosa che mi aveva fatto
sprofondare di nuovo nelle mie vecchie abitudini di merda! Di cosa si trattava?
Gettai la carta igienica nella tazza, e con lo scarico feci sparire il pranzo
appena vomitato. Poi lasciai i jeans di Nicky e gli porsi una mano, anche se non
avevo bisogno di aiuto per rialzarmi. Era un modo per scusarmi, per fargli capire
quanto avevo apprezzato il suo aiuto e quanto apprezzavo lui.
Con un’espressione arrogante e impenetrabile, Nicky mi fissò. Non ero
l’unica a essere appena sprofondata di nuovo nelle sabbie mobili dei vecchi
problemi irrisolti.
Per un momento ebbi il terrore che non intendesse affatto cedere e che negli
ultimi minuti qualcosa si fosse inavvertitamente e definitivamente spezzato tra
noi.
«Devi soltanto dirmi di prenderti la mano e di aiutarti ad alzarti, perché io sia
costretto a farlo.»
«Non voglio che tu sia costretto a farlo. Voglio che tu lo faccia perché lo
desideri.»
«Perché continui a impormi di scegliere, Anita?» chiese, con espressione
quasi dolente. «Non devi farlo.»
«Forse lo faccio proprio per questo, cioè perché non sono costretta a farlo.»
«Non ha senso.» Nicky mi prese per mano, mi aiutò ad alzarmi e mi condusse
fuori del gabinetto, poi rimase a fissarmi come se non riuscisse a capire cosa o
chi fossi.
«Ho la sensazione che mi sfugga qualcosa», dichiarò Domino. «Sbaglio, o
voi due avete appena litigato?»
«Quasi», risposi.
«Ti senti bene?» chiese Nicky.
«Adesso mi sento benissimo.»
«Non ti avevo mai vista vomitare così», commentò Domino.
Scrollai le spalle. «Un tempo vomitavo sempre sulla scena del crimine.» Io e
Nicky continuavamo a tenerci per mano come se avessimo paura di lasciarci.
«Lo dici sempre», ricordò Nicky. «Io però non te l’ho mai visto fare.»
«Non siamo su una scena del crimine», osservò Domino. «Perché ti sei
sentita male?»
«Ho fiutato il fetore di decomposizione che proviene dalla camera del padre
di Micah e ho ricordato quello dei cadaveri della notte scorsa.»
«Il puzzo dei cadaveri non ti ha nauseato, la notte scorsa», osservò Nicky.
«Invece mi ha nauseato eccome, credimi.»
Nicky mi strinse la mano. «Ha dato fastidio a tutti noi.»
«Non so perché ho avuto quest’attacco di nausea.»
Attirandomi a sé, Nicky mi scrutò in viso, non più in modo arrogante e
impenetrabile, ma piuttosto come se fosse assorto in profonde riflessioni.
«Che c’è?»
Scosse la testa. «Forse hai bisogno di dormire di più.»
«Sempre, nel corso di un’indagine.»
Domino mi offrì una mentina per l’alito.
«Porti le mentine insieme con le munizioni?» domandai.
«Siamo licantropi, Anita. A volte mangiamo cose di cui gli umani non
desiderano sentire l’odore nell’alito.»
Presi la mentina. «Mangiate roba così soltanto quando siete in forma animale.
La bocca è diversa una volta riacquistata la forma umana.»
«Davvero?»
Corrugai la fronte, riflettendo. «Sì, credo di sì…»
«Allora considerala semplicemente una precauzione.»
Strinsi la mano di Nicky, poi lo lasciai per andare ai lavandini a sciacquarmi
le mani. «Anche tu hai mentine per l’alito?» chiesi, guardandolo nello specchio.
«No, noi leoni non siamo bastardi schizzinosi come le tigri.»
«Presumo che i leoni mangino carne cruda e poi si succhino via il grasso a
vicenda», ribatté Domino. «Ecco perché non hanno bisogno di mentine.»
«Sì, è proprio così che facciamo.»
Come se fosse scocciato da quelle parti da gran duro, Domino roteò gli occhi.
«Lo so, lo so, soltanto la società delle iene mannare è più spietata e più adatta a
sopravvivere di quella dei leoni! Le tigri mannare sono misere mammolette
paragonate a voialtri!»
«Non a St. Louis», replicò Nicky.
«Che vuoi dire?» domandai, nell’asciugarmi le mani.
«Non so esattamente come abbia fatto Narcissus a diventare capo delle iene
mannare nella nostra città, però è seriamente ostacolato dalle norme della sua
comunità.»
Mi avviai alla porta. «In che senso?»
«In combattimento le iene non sono più spietate dei leoni, però lo sono tra
loro e si brutalizzano reciprocamente con eccessi cui noi non arriviamo.»
«Si brutalizzano reciprocamente?» Ricordai le sale dei «giochi» che avevo
visto al Narcissus in Chains, dove chi ama il BDSM può dedicarsi a pratiche cui
gli umani non possono sopravvivere, perché i licantropi sono in grado di guarire
da quasi qualunque ferita che non sia inflitta con l’argento o col fuoco.
«Non mi riferisco al bondage. Combattono tanto per combattere, e questi
scontri estemporanei possono mutare completamente la struttura del loro clan, al
contrario degli altri gruppi animali, in cui scontri per la supremazia avvengono
seguendo rituali precisi, e le zuffe non stabiliscono nuovi equilibri di dominio:
chiunque può intervenire a favore di chi preferisce, e la vittoria o la sconfitta non
influisce sulle gerarchie del branco, nemmeno in caso di morte di uno dei
contendenti.»
«Davvero?»
Nicky aprì la porta del bagno e ispezionò il corridoio prima che io uscissi.
«Non conosco le usanze di tutti i gruppi animali», intervenne Domino.
«Tuttavia, se a Las Vegas la regina Bibiana fosse uccisa in uno scontro non
rituale, lo sfidante verrebbe ucciso dalle guardie del corpo, dal figlio oppure dal
marito.»
Ricordavo Bibiana, pallida gentildonna delicata quanto me,
metapsichicamente potentissima. Non avevo mai pensato che potesse ritrovarsi
costretta a difendersi in combattimento rituale. «Non riesco a immaginarla
costretta a battersi in duello con un qualunque sfidante.»
«Il clan della Tigre Bianca permette alla regina di scegliere un campione che
si batta per lei, se la giudica una brava sovrana e non desidera perderla.»
M’incamminai, preceduta da Nicky e seguita da Domino. Di solito le mie
guardie del corpo non si comportavano così quando stavo conducendo
un’indagine, però non protestai perché avevo una domanda per Domino: «E se la
regina non fosse una brava sovrana e non avesse il sostegno del clan?»
«Allora si voterebbe. Se le fosse negata la possibilità di scegliere un
campione, la regina sarebbe costretta a battersi personalmente.»
Nicky girò la testa. «Sembra un modo indiretto per assassinare chi governa.»
«È un modo per condividere la colpa», spiegò Domino, come se non vi fosse
nulla di male.
«Se si vuole eliminare un sovrano, bisogna farlo in duello», replicò Nicky.
«Nella nostra società non ci sono sostituzioni.»
«Certo che no! I leoni mannari sono terribili!» lo canzonò Domino.
Nicky gli scoccò un’occhiata per niente cordiale. «Questo è uno dei principali
problemi della Coalizione, Anita. Siamo animali diversi con culture diverse e
regole sociali molto diverse. È difficile unirsi quando non si riesce a decidere
neppure come eleggere un sovrano.»
«Micah si adatta alle usanze di ogni gruppo animale presso cui si reca in
visita», osservò Domino.
«Prima d’ora non lo avevo mai scortato nelle sue trasferte», dichiarò Nicky.
«Credo che finora non abbia mai affrontato nessun leone.»
Quelle parole mi suonarono tanto strane che, non appena svoltato l’angolo,
mi fermai anziché proseguire fino al gruppo di sbirri davanti alla camera.
«Affrontato? Che intendi?»
All’improvviso, da perfetta guardia del corpo, Domino divenne impenetrabile
e vagamente minaccioso, nonché furente, e la sua energia formicolò sulla mia
pelle. Perdendo così tanto il controllo della propria bestia rivelò che la domanda
lo aveva messo sotto stress.
Mi girai a fronteggiarlo, e Nicky si pose alle mie spalle, in una posizione da
cui poteva sorvegliare il corridoio in entrambe le direzioni. Non mi piaceva che
si comportasse così apertamente da bodyguard mentre stavo conducendo
un’indagine, tuttavia lasciai correre perché avevo la brutta sensazione di
comprendere il motivo dell’improvviso nervosismo di Domino. «Ti ho fatto una
domanda, Domino», mormorai, in un tono prossimo alla collera.
In silenzio, lui osservò il collega.
«Non guardare Nicky. Guarda me e rispondi.»
«Non sono tuo sposo, Anita. Sono soltanto una delle numerose tigri che
rispondono al tuo richiamo e sono vincolato a te soltanto come tigre nera, perché
quando mi hai trovato avevi già una tigre bianca. Insomma, non sono costretto a
obbedirti.» Domino era distaccato e rabbioso come al tempo del nostro primo
incontro e come da allora non era più stato.
«Allora cosa m’impedisce di chiederlo a Nicky? Lui sarebbe costretto a
rispondermi.»
«Lui non è mai stato in trasferta con Micah.»
«Quindi non può rispondere, vero?» Fissavo i suoi occhiali da sole anche se
non riuscivo a vedere i suoi occhi. Avevo scoperto che pure così il mio sguardo
poteva intimidire certa gente.
«No, non può», ribatté Domino, arrogante e rabbioso, mentre il suo potere mi
opprimeva come un caldo intenso.
«Dunque c’è un motivo se Micah non si fa mai accompagnare da Nicky, o da
Devil, o da chiunque sia incapace di mantenere un segreto con me, vero?»
«Non farlo, Anita. Siamo qui dal padre e dalla famiglia di Micah.»
«Cosa non dovrei fare? Scoprire che tutti voi, incluso Micah, mi avete tenuto
nascosto qualcosa?»
Domino apriva e chiudeva le mani come un felino che impastasse con gli
artigli, e io sapevo che per tutti i grossi felini si tratta di un segno di grande
angoscia. Dunque stava tentando disperatamente di calmarsi, oppure ne era
incapace e si sforzava di mantenere l’autocontrollo.
Sapendo inoltre che lui era dotato di un perfetto dominio della propria bestia,
ne fui spaventata e mi resi conto che la risposta alla mia domanda avrebbe
rivelato qualcosa di ancora peggiore di quanto mi aspettassi. «Cristo! Micah sta
combattendo per la supremazia, in modo che tutti i gruppi animali aderiscano
alla Coalizione?»
Sempre impastando l’aria, avvolto da un calore sempre più intenso, Domino
scosse la testa.
Nel girarmi riuscii a vedere lo scintillio del suo «calore». Era un pessimo
segno.
«Anita, se si trasformasse, qui, adesso, dopo quello che è successo con Ares,
gli sbirri gli sparerebbero», avvertì Nicky.
Cercai di calmarmi. Non riuscivo nemmeno a ricordare quante volte Micah
aveva lasciato St. Louis per recarsi a consultare diversi gruppi animali. Nessuno
può vincere numerosi scontri in un periodo di tempo relativamente breve senza
subire ferite, e lui non era abbastanza grosso, né abbastanza forte. Erano ben
altre le qualità che lo rendevano un capo. «Calma, Domino. Non voglio perderti
a causa di una stupidaggine.»
Come se gli avessi posto un’altra domanda, lui si morse il labbro inferiore e
scosse la testa.
«Lascio perdere, perché sinceramente la tua reazione attuale è una risposta
sufficiente», aggiunsi.
Con alcuni respiri profondi e regolari, Domino ripose il calore della bestia
nella sua scatola metapsichica e io riuscii finalmente a proteggermi abbastanza
da percepirlo soltanto come calore e non come tigre. I miei felini non avevano
neppure tentato di emergere, perché stavo migliorando. Stavamo migliorando
tutti. Semplicemente non sapevo quanto fosse migliorato Micah sotto certi
aspetti, tipo mentirmi.
Finalmente Domino parlò, quasi mormorando, con prudenza, come se gli
fosse difficile controllare perfino la voce: «Ti giuro che Micah non si batte ogni
volta che lascia St. Louis. Quasi sempre funzionano la diplomazia e… metodi
più morbidi».
«Cosa significa ’metodi più morbidi’?»
Ancora una volta il potere di Domino mi formicolò sulla pelle come una
febbre ardente.
«Lascia perdere per adesso, Anita!» intervenne Nicky, spostandosi in modo
da nascondere Domino alla vista dei poliziotti.
Contai lentamente fino a dieci, ma senza poter praticare la respirazione
profonda non mi calmai granché. «Non ti chiedo più niente, Domino.
Promesso.» Nel dirlo percepii l’avvicinarsi di un altro animale mannaro, la cui
energia fu come brezza calda sulla mia pelle.
Con l’occhio della mente «vidi» la mia iena alzarsi, scrollarsi come un grosso
cane e avviarsi al trotto per il lungo sentiero che di solito era in ombra per le
altre bestie, ma che per lei era soleggiato. Comparve una savana di alte erbe
ingiallite attraverso cui la iena proseguì in una corsa veloce, sebbene goffa
rispetto a quelle dei felini e della lupa, decisa a erompere dal mio corpo per
diventare reale, e il furore che provavo mi rendeva difficile controllarla. Ero
furibonda e terrorizzata. Micah non era più grosso di me, e non aveva
importanza quanto fosse abile e determinato. Se i contendenti sono ugualmente
addestrati, la massa e la forza contano. Mi si gelava il sangue nell’immaginarlo
ad affrontare avversari grandi e grossi come Nicky o come Devil. Perplessa per
il mio terrore, la iena uggiolò, poi sedette a scrutarmi con gli strani occhi castani,
che sarebbero parsi umani se non avessero avuto pupille sottili come quelle dei
felini.
«Controllati», mormorò Nicky.
Chiusi gli occhi e mi sforzai di calmarmi, di trovare il mio centro immobile,
che però era Micah, il quale per anni aveva rischiato la vita a mia insaputa. Mi
sentivo stupida. Avevo davvero creduto che con la pura e semplice diplomazia
fosse stato possibile unire tanti gruppi animali di tutto il Paese alla nostra
Coalizione? Be’, sì, lo avevo creduto, perché avevo confidato nelle doti che
consentivano a Micah di persuadere, di guidare, di manipolare, di contrattare.
Sapevo che si era servito di tutte queste tecniche, sapevo che aveva dormito con
alcune donne licantrope per sigillare accordi o stringere alleanze che lo
aiutassero a convincere i capi a unirsi a noi. Probabilmente erano questi i
«metodi più morbidi» cui si riferiva Domino. Micah mi aveva detto del sesso per
evitare che ne fossi informata da altri. Le poche volte che era tornato ferito, o
con le guardie del corpo ferite, aveva riferito che a un certo punto la situazione
era sfuggita di mano, poi alla fine era riuscito a persuadere tutti. Era mai tornato
senza ottenere l’adesione desiderata? No, mai.
Ero di nuovo calma, però come l’acqua, fino a quando la brezza successiva
non l’avesse turbata nuovamente. Riaprii gli occhi.
Nicky mi scrutava. «Stai bene, adesso?»
Annuii.
Allora Nicky si spostò, permettendomi di vedere Socrate, che aveva la
carnagione color caffellatte e i capelli ricci cortissimi, tranne un ciuffo sul
cocuzzolo, folto e sagomato quasi come una siepe. I suoi occhi castani erano
perfettamente umani, a differenza di quelli della iena seduta dentro di me, la
quale fiutò l’aria e lanciò una risata schiamazzante che mi fece accapponare la
pelle. Mi chiesi per un momento se l’avessi lanciata col mio apparato vocale
umano, e mi parve di no. Eppure Socrate si massaggiò le braccia, e così facendo
lasciò intravedere la pistola alla cintura sotto la giacca. Era un ex sbirro, rimasto
ferito nel corso di un’operazione contro una banda criminale che aveva avuto
iene mannare come guardie del corpo. La banda era stata sgominata e lui era
diventato un eroe, però aveva perso il distintivo e il lavoro che amava.
«Quando hai acquistato la mia bestia?» sussurrò.
«Quando un proiettile si è conficcato dentro di me dopo avere trapassato
Ares.»
«La tua iena si sarebbe dovuta manifestare soltanto alla prossima luna piena,
cioè tra due settimane. Eppure la sento, la fiuto in te.»
«Sono precoce.»
«Qualcosa sei di sicuro.» Socrate si strofinò di nuovo le braccia.
«Tu a volte lasci la città con Micah, vero?»
«Perché lo chiedi con quel tono, Anita? Lo sai bene.»
Lo scrutai in silenzio.
In modo rabbioso ed eloquente, con la testa reclinata e un sopracciglio
inarcato, Socrate guardò Domino, quasi a dire: Come hai potuto essere così
stupido?
«Non ho detto niente», protestò Domino, mentre il suo potere si dilatava
nuovamente.
Con l’espressione del viso e con tutto il suo atteggiamento, Socrate mostrò di
non credergli affatto.
«Credevate davvero che non lo avrei mai capito?» domandai.
Socrate si girò a fissarmi. «Non so cosa credi di avere capito, quindi non
posso risponderti.»
«Non mentirmi, Socrate. Non più.» Mi accorsi che Gonzales si stava
avvicinando e, seguendo il mio sguardo, se ne accorse anche Socrate.
Avevamo attirato l’attenzione di tutti gli sbirri perché stavo permettendo alle
mie emozioni di prendere il sopravvento sulla mia professionalità… Oh, al
diavolo! Sul mio buon senso! Gli sbirri sono curiosi, soprattutto a proposito di
coloro cui potrebbero dover affidare la loro vita. Di conseguenza vederci
discutere tra noi non era rassicurante per nessuno di loro.
«C’è qualche problema, Anita?» chiese Gonzales.
Se avessi negato, avrebbe capito che mentivo, tuttavia… «No», dichiarai,
molto decisa e molto sicura, nello stesso modo in cui una volta, dicendo no,
avevo fatto piangere una cameriera.
Benché fosse di stoffa troppo robusta per mettersi a piangere, Gonzales capì
che la mia negazione era assolutamente irrevocabile. A volte la spietata
determinazione con cui facevo piangere le cameriere è proprio quello che ci
vuole per indurre la gente a smettere di fare domande. «Okay…» Gonzales
osservò me, poi tutti i bodyguard, a uno a uno. «Come ti senti? Sembra che tu
abbia un po’ di nausea…»
«Diciamo semplicemente che vorrei avere pranzato con qualcosa di meno
solido.»
Gonzales ridacchiò, ma il suo sguardo rimase diffidente, e ancora una volta
osservò le guardie del corpo. Poi fissò su di me i suoi sospettosi occhi di sbirro a
mostrare forte e chiaro che stavo dicendo un sacco di stronzate e quindi non mi
credeva. Forse vi chiedete a cosa non credeva? Be’, era un poliziotto veterano
con più di dieci anni di servizio, perciò non credeva a un accidente di niente di
quello che chiunque gli diceva.
Dal fondo del corridoio giunse una voce: «Credevo che fossi una tipa dura,
Blake! Invece ho sentito dire che hai appena vomitato il pranzo senza nessun
motivo!» Era Travers, giunto a offrire sostegno morale allo sceriffo Callahan,
nonché a rompere i coglioni a me.
«Che problema hai, Travers?» replicai, a voce alta, perché eravamo alle
estremità opposte del corridoio.
«Tu! Tu e i tuoi… uomini, siete il mio problema!» Travers si avvicinò.
Girai intorno a Gonzales per andargli incontro.
Socrate provò a fermarmi: «Anita! Non…»
Mi girai a puntargli un dito contro. «Non provarci neanche!»
Nicky mi raggiunse. «Cos’hai intenzione di fare?»
Allora mi resi conto che Travers voleva battersi, e io pure. «Cazzo!» Mi
fermai.
Nicky mi sorrise.
Invece Travers non sentiva la voce della ragione. Era soltanto un tipo grande,
grosso e furibondo che aspettava unicamente di essere aggredito per potersi
sfogare picchiando. Tutto il suo atteggiamento gridava: Dammi soltanto un
pretesto! E infatti chiese a Nicky: «Che hai da sorridere?»
Allora Nicky si girò a guardarlo.
Dato che non era un novellino, Travers avrebbe dovuto capire il significato di
quello sguardo. Invece s’infuriò ancora di più e strinse i pugni.
Spostando il peso su un piede, Nicky si preparò a girare su se stesso e a tirare
un gancio. «Anita…» ammonì, quando mi spostai di fronte a lui.
«Va tutto bene, Nicky.»
«Non va affatto tutto bene, Nicky», intervenne Travers, in una pessima e
sprezzante imitazione della mia voce e del mio modo di esprimermi.
«Non intendiamo offrirti il pretesto di scatenare una rissa, Travers.»
«Si batteranno, Blake, non possono farne a meno. Un cane ti morde, se lo
prendi a calci.»
«Non sono cani, Travers. Non sono nulla di così addomesticato.»
«No, non sono addomesticati, sono schiavi della fica!»
«Come mai questa espressione piace tanto a tutti quanti voi?» ribattei.
Coi pugni chiusi e con le braccia tremanti di collera, Travers era di fronte a
noi. Voleva picchiare qualcuno, ne aveva quasi bisogno. «Ti nascondi sempre
dietro la tua ragazza, Nicky?»
«No», rispose Nicky, e il suo no fu come il mio, estremamente deciso e
sicuro, pura e assoluta negazione.
Non appena si mosse verso Travers, mi misi tra loro due e abbassai un poco
le mie difese, abbastanza da permettermi di assorbire la collera dello sbirro
nell’istante stesso in cui gli posai una mano su un braccio. Oltre a nutrirmi di
sesso, come Jean-Claude, potevo nutrirmi di rabbia. Era un mio potere, il mio
piccolo talento speciale. Mi ero esercitata tanto da poterla lenire, scremandola
come latte. Comunque non mi nutrii di tutta la sua collera, altrimenti lo avrei
lasciato tanto confuso da attirare l’attenzione. Mi limitai a leccargliene via un
po’, o a togliergli la ciliegia dal frullato, per così dire.
Corrugando la fronte, Travers rimase per un attimo smarrito, poi indietreggiò
di scatto, afferrandosi il braccio come se gli dolesse dove lo avevo toccato. «Che
cosa mi hai fatto?»
«Perché eri arrabbiato con noi?» domandai, in tono pacato.
Scuotendo la testa, lui si massaggiò il braccio. «Fammi un favore, Blake…
La prossima volta che sto per morire, non salvarmi, e non mandare nessuno dei
tuoi vampiri a salvarmi.»
«Avresti davvero preferito marcire fino a morire fra atroci sofferenze,
piuttosto che permettere a Truth di succhiare via la putrescenza dal tuo
organismo?»
Nello scrutarmi con occhi colmi di autentica sofferenza, Travers sussurrò:
«Sì».
Allora compresi che diceva sul serio. Quando Truth si era nutrito di lui, era
successo qualcosa che lo aveva turbato tanto da indurlo a decidere che la morte
sarebbe stata preferibile.
Non so cosa vide Travers sul mio viso. In ogni caso si girò di scatto e
s’incamminò rapidamente verso gli ascensori, sempre tenendosi il braccio.
«Che cosa gli hai fatto?» chiese Gonzales.
«Ho soltanto placato un po’ la sua rabbia, giuro.»
«Ce ne frega qualcosa di quello che succede a Travers?» chiese Nicky.
«In che senso?» replicai.
«Ce ne frega qualcosa se vive o se muore?»
«Truth ha rischiato la propria vita per salvarlo, perciò, sì, sarebbe una buona
cosa se Travers rimanesse in vita.»
«Allora bisogna sorvegliarlo per impedire che si suicidi», intervenne Socrate,
alle nostre spalle.
Mi girai a guardarlo. «Perché?»
«Dopo avere scoperto di avere la licantropia, dopo avere ricevuto un encomio
per il mio coraggio e dopo essere stato privato del distintivo, ho pensato di
ficcarmi la pistola in bocca. Riconosco quello sguardo, quando lo vedo negli
occhi di qualcuno.»
«Lo riconosci anche tu?» domandai a Nicky.
«Se non avessi dovuto proteggere mio fratello e mia sorella, lo avrei fatto
anch’io, da ragazzo.» Così Nicky mi confessò di avere pensato seriamente al
suicidio durante l’adolescenza, o forse perfino durante la fanciullezza. Merda!
Non sapevo quanti anni avesse avuto quando aveva iniziato a subire abusi.
Gli presi una mano senza curarmi di essere osservata dagli altri sbirri, tanto
avevo già perso un sacco di punti per avere vomitato senza motivo. Se avessero
voluto togliermene altri perché tenevo la mano al mio amante, avrebbero potuto
farlo tranquillamente. In quel momento mi sembrava più importante rassicurare
Nicky che essere la più dura tra gli sbirri.
Abbassando lo sguardo sulle nostre mani intrecciate, Nicky sorrise, e già solo
per quel sorriso sarebbe valsa la pena essere derisa spietatamente per avergli
preso la mano.
«Perché essere stato salvato dal vostro amico vampiro dovrebbe indurre
Travers al suicidio?» chiese Gonzales.
«Non lo so, però qualcosa lo terrorizza», rispose Socrate.
In quel momento la porta della stanza dello sceriffo fu aperta e Micah uscì.
Non aveva semplicemente le occhiaie scure, aveva gli occhi incavati per la
stanchezza. Sembrava esausto. Lo avevo visto con un aspetto molto migliore
dopo essere rimasto senza dormire molto più a lungo. Talvolta non è la quantità,
bensì la qualità delle ore a stremarci.
Anche se poco prima ero stata furibonda con lui, il vedere tanta spossatezza e
scoramento nei suoi begli occhi suscitò in me il desiderio di confortarlo. Così
lasciai la mano di Nicky e andai ad abbracciarlo.
Quasi sorpreso, Micah mi strinse a sé, affondò il volto nei miei capelli e fu
scosso da un sospiro tremante. Non gli tremavano neppure le spalle, era
immobile, col viso immerso nei miei ricci, eppure sentivo liquido caldo
scorrermi sul collo. Tutto ciò che esce dal corpo umano è caldo, ma subito dopo,
al contatto con l’aria, si raffredda. Be’, nessuno vedeva le lacrime scorrere salate
e calde sulla mia pelle a raffreddarsi rapidamente.
Abbracciata forte a Micah, bagnata dal suo pianto, non mi fu possibile
infuriarmi con lui. L’unica cosa che mi fu possibile fare in quel momento fu
stringerlo a me. Non sembrava una gran cosa, eppure talvolta, quando tutto il
resto se ne va al diavolo, un abbraccio forte è tutto ciò che conta.
68

on la promessa che i poliziotti rimasti in corridoio avrebbero chiamato

C al primo accenno di cambiamento, Gonzales accompagnò a casa


Beatrice, che salutò Micah e me con un bacio senza scusarsi del
proprio crollo. Al posto suo mi sarei sentita obbligata a scusarmi, ma io
sono io.
Socrate accompagnò Domino in albergo, in modo che potesse liberare la tigre
in santa pace senza che gli sbirri gli sparassero. Inoltre Socrate voleva stare alla
larga il più possibile da me e dalla mia iena. «Hai la tendenza a trovare in fretta
l’animale che risponde al tuo richiamo», aveva dichiarato.
«Vale per tutte le iene», avevo replicato.
«Allora, se fossi in te, starei alla larga da tutti noi per un po’.»
Era un buon consiglio.
Persuasi Micah a scendere al bar e fummo seguiti da Nicky, naturalmente, e
dal bodyguard rimasto con Micah, cioè Bram, sempre alto un metro e ottanta
abbondante, nero e bello, estremamente nerboruto, ma snello. Simili sotto tanti
aspetti, lui e Ares erano stati come le due facce, bianca e nera, luce e buio, della
stessa medaglia. Era la prima volta che lo rivedevo da quand’ero stata costretta a
uccidere il suo collega preferito, nonché il suo migliore amico. Non sapevo bene
cosa avrei dovuto dirgli, ammesso che fossi tenuta a dire qualcosa. Così feci
quello che faccio sempre quando sono in dubbio sulle questioni personali, cioè
niente. Se Bram avesse accennato all’argomento l’avrei affrontato, altrimenti
avrei lasciato perdere fino a quando non avessi deciso se e come affrontarlo.
Preceduti da Nicky e seguiti da Bram, io e Micah camminammo al centro del
corridoio tenendoci per mano. Lui mi aveva preso subito la sinistra in modo che
la destra rimanesse libera per estrarre la pistola. Era normale, per me, e a
maggior ragione lo era mentre ero impegnata in un’indagine e armata fino ai
denti per la caccia a un vampiro assassino. Era bello che Micah lo ricordasse
spontaneamente, nonostante l’angoscia e il dolore di quei giorni. Lo amavo per
molte ragioni. Una delle principali era la calma con cui accettava quell’aspetto
della mia vita. Naturalmente questo si spiegava in parte col fatto che era figlio di
un poliziotto.
Occupammo un tavolo d’angolo per avere le spalle protette e tutto il bar sotto
tiro. Da brave guardie del corpo, Bram e Nicky sedettero a un tavolo vicino per
poterci sorvegliare e al tempo stesso lasciarci la nostra intimità.
Era un po’ strano che Nicky si comportasse da semplice bodyguard, come
Bram, benché vivesse con noi, sia al Circo dei Dannati sia alla casa nella
Jefferson County. In assenza di Micah, Nathaniel o Jean-Claude, c’era sempre
lui con me, quindi non avrebbe dovuto essere messo in disparte. D’altro canto
volevo stare un po’ sola con Micah, perché avevamo cose serie di cui discutere,
mangiando qualcosa e bevendo acqua, o magari caffè.
Le nostre gambe si sfioravano. Micah mi teneva la mano e aveva appoggiato
la fronte sulla mia spalla. Il quadretto sarebbe stato un po’ più romantico senza
giubbotto antiproiettile, di cui però avevo bisogno, data la situazione. Gli
accarezzai i capelli, che Nathaniel gli aveva raccolto in una treccia alla francese.
Sarebbe stato più piacevole accarezzargli i capelli se li avesse avuti sciolti, ma
così almeno gli lasciavano scoperto il viso.
D’un tratto Micah sollevò la testa e mi fissò da brevissima distanza coi suoi
meravigliosi occhi. Verdi intorno alla pupilla e gialle al bordo esterno, le iridi
cambiavano colore con la luce, espandendosi o contraendosi. Nella luce fioca
potevano sembrare quasi grigie. In quel momento erano verdi come le foglie
novelle a primavera e dorate come le foglie dell’olmo in autunno, quasi
contenessero l’inizio e la fine dell’anno. Spiccavano sulla lieve abbronzatura, e
ancora più spiccavano in estate, quand’era maggiormente abbronzato. Infatti si
abbronzava come Richard Zeeman, il nostro Ulfric, il nostro re lupo, la cui
famiglia discendeva in parte dai nativi americani. Quando gli avevo chiesto se
anche lui vantasse ascendenti tra i nativi, oppure tra gli ispanici, come me,
Micah aveva risposto semplicemente di no. Era interessante che non fosse mai
più preciso sulle origini della propria famiglia. Non ci aveva mai pensato, oppure
riteneva che non fossero affari nostri.
«Non so come fare, Anita…»
«A fare cosa?»
«A recuperare il rapporto con mio padre dopo tanti anni proprio quando sto
per perderlo per sempre…» Micah si esprimeva così, schiettamente, senza
esitare, senza prevaricare, dritto in mezzo agli occhi. Eppure, in quasi tre anni di
convivenza, mi aveva nascosto qualcosa di molto grosso. «Cosa c’è che non va?
Vedo che stai pensando a qualcosa…»
Feci del mio meglio per sorridere. «Con tutto quello che è successo da
quando siamo qui, mi chiedi cosa c’è che non va?»
«Okay, hai ragione.» Sorrise. «Allora dimmi che mi sono sbagliato e che non
stavi pensando a niente.»
Sospirai. Avevo deciso di chiedergli degli scontri per la supremazia una volta
tornati a casa. Non volevo picchiarlo mentre era a terra, e vedendo la sofferenza
nei suoi occhi quand’era uscito dalla camera del padre avevo capito che era a
terra. Al tempo stesso avevo già aspettato anche troppo. Benché sapessi mentire,
ci riuscivo di rado con Micah. Purtroppo il grosso segreto che mi aveva nascosto
per tanto tempo m’induceva a sospettare che avesse anche altri segreti. Non mi
piaceva pensarlo, e odiavo la prospettiva di parlarne quand’era così abbattuto.
«Ti amo», dissi.
«Ti amo anch’io. Però mi sembra un preambolo per qualcosa di
spiacevole…»
«Mi conosci molto bene.»
«Siamo fidanzati. Non dovremmo conoscerci molto bene?»
«Abbastanza giusto.» Sorrisi. «Ammetto di avere avuto intenzione di
affrontare un discorso serio, che non ha niente a che vedere con la tua famiglia o
con la mia indagine. Poi ti ho visto e…»
«E io sono a pezzi…»
«Non ho detto questo. Anzi, te la stai cavando maledettamente bene,
considerate le circostanze.»
Micah accennò un sorriso. «Di cosa mi volevi parlare?»
«Potrebbe nascerne un bruttissimo litigio. Lasciamo perdere, per ora.»
«Davvero vuoi aspettare per discutere di una cosa così importante?»
Annuii. «Sono un po’ sorpresa io stessa, ma… Sì, posso aspettare.»
Micah reclinò la testa. «Mi sembrerà una buona idea avere aspettato?»
«Sì, credo di sì.»
Socchiuse gli occhi. «Capiresti, se ti dicessi che mi sembri troppo
ragionevole e che mi rendi nervoso?»
Risi. «Sì, capirei!»
Il suo fu un sorriso più luminoso del solito. «Dimmelo, Anita, perché adesso
sono convinto che riguardi quello che ha detto mio padre su Van Cleef e sui
paramilitari.»
«Potrebbero essere davvero militari, non paramilitari. Comunque non si tratta
di questo.»
«Sai che adesso devi dirmelo, perché sto pensando le cose peggiori.»
«Sto cercando di essere ragionevole. Lascia che sia io l’adulta, per una
volta.»
«Adesso mi stai spaventando…»
«Maledizione! Ciascuno a proprio modo, siamo tutti e due implacabili.»
«Sì, infatti. È una delle cose che ho scoperto di te fin dal primo momento.»
Gli presi le mani, scrutandolo negli occhi. Avevo paura di parlare perché
temevo che avesse altri grossi segreti capaci di rovinare il nostro rapporto, se
svelati. Al tempo stesso avevo paura di non parlarne. Era assurdo. «Ti ho amato
subito perché tu hai amato subito questo mio aspetto, dopo che tanti altri uomini
lo avevano odiato.»
«Allora, qualunque cosa sia, possiamo superarla. Siamo troppo importanti
l’uno per l’altra per rovinare tutto.»
Lo tenevo per mano, lo guardavo negli occhi e gli credevo. Gli avevo sempre
creduto. Però mi aveva mentito… Oh, cazzo! «Okay, ecco qua, allora! Davvero
stai affrontando i capi degli altri gruppi animali per costringerli a aderire alla
Coalizione?»
«Qualche volta», rispose, come se fosse normale, nulla di che. Mi trattenne,
quando cercai di sfilare le mie mani dalle sue. «Perché sei arrabbiata?»
«Perché sono arrabbiata?! Per l’amor d’Iddio, Micah! Vai a lottare all’ultimo
sangue e non reputi necessario dirmelo?»
«Abbassa la voce.»
Avrei voluto gridare, però aveva ragione, perché lo avevo appena accusato di
omicidio secondo la legge degli umani. «Come hai potuto nascondermelo?»
sussurrai rabbiosamente, accostandomi a lui.
Micah divenne impenetrabile. Non si arrabbiava spesso, però quando si
arrabbiava poteva inferocirsi quanto me. La faccenda si stava mettendo male.
«Non ti ho nascosto niente. Semplicemente non te ne ho parlato.»
«È la stessa cosa.»
Lasciò le mie mani. «Tutte le volte che rischi la vita come marshal federale
mi avverti o me lo racconti?»
«No, ma è diverso.»
«Perché?»
Avrei voluto ribattere che era così e basta, ma non sarebbe stata una risposta.
Corrugai la fronte. «Per me è diverso, molto diverso.»
«E perché? Ognuno di noi due fa il proprio lavoro, e sono entrambi lavori
pericolosi.»
«Io non sapevo che il tuo lavoro fosse pericoloso!»
«Come credevi che riuscissimo a raccogliere gli altri gruppi nella
Coalizione?» domandò Micah.
«Con la persuasione, con la diplomazia, spiegando razionalmente perché ha
senso aderire.»
«Di solito è così. Tuttavia conosci abbastanza bene i licantropi, Anita. Sai che
alcuni di loro non sono affatto ragionevoli.»
«Se ci avessi pensato, avrei presunto che i bodyguard si battessero per te,
come fanno le tigri, che permettono alle regine di essere rappresentate dai loro
campioni.»
«Non sono una tigre mannara, Anita. Tu le hai arruolate tutte quando hai
sviluppato il potere di chiamarle a te.»
«Con la magia e col sesso abbiamo conquistato le tigri mannare.»
«Sì.»
«E con gli altri come hai fatto?»
«Sai che sono andato a letto con alcune femmine dominanti…»
Annuii. «Tu mi condividi con un sacco di gente. Non posso certo protestare.»
Micah sorrise. «Non ne hai motivo, però potresti.»
Scrollai le spalle. «Sarebbe stupido e ingiusto se mi lamentassi.»
Mentre il suo sorriso si allargava, Micah mi accarezzò gentilmente il viso.
«Molte donne e molti uomini sono ingiusti coi loro compagni o con le loro
compagne. Tu hai reputazione di essere irrazionale e violenta, eppure sei una
delle donne più pragmatiche con cui io sia mai stato.»
«E tu sei l’uomo più pragmatico con cui io sia mai stata.»
«Molti non lo considererebbero granché romantico.»
«Un po’ di spietato pragmatismo è molto importante nelle nostre vite»,
dichiarai.
«Sì, lo è.»
«Quando ti è possibile scegli un campione che si batta per te, vero?»
«Sì.»
Allora mi resi conto che poneva a repentaglio la vita di quelli che erano miei
amici, o anche di più. Cazzo!
«Che c’è, adesso?»
«Mi sono appena resa conto che i bodyguard che ti scortano in trasferta sono
forse in pericolo quanto te. Avrei dovuto saperlo.»
«Intendi che avrei dovuto dirtelo o che avresti dovuto capirlo?»
«Entrambe le cose, forse. Non lo so, ma… Tu hai più o meno la mia
corporatura, mentre i capi delle altre società animali sono i fottutissimi bastardi
figli di puttana più grossi e più cattivi che ci siano. Come hai potuto vincere tanti
scontri? Ti ho visto in addestramento. Sei bravo, ma il tuo allungo è scarso come
il mio. Gli avversari di alta statura hanno il vantaggio di braccia e gambe più
lunghe, così possono pestarci e noi non possiamo reagire, a meno di non essere
fortunati o di affrontare avversari incapaci. Ma negli scontri per la supremazia ti
ritrovi senz’altro ad affrontare i migliori…»
«Di solito faccio qualcosa di totalmente inaspettato e spietato, subito, quando
non se lo aspettano. I leopardi sono più veloci dei leoni e delle tigri. Devo
soltanto fare in modo che il primo colpo sia risolutivo.»
«Cioè ammazzarli al primo colpo…»
«Sì. Questo ti turba?»
Riflettei sul fatto che per anni aveva ucciso con noncuranza a mia insaputa.
Non mi piaceva per niente. Ma, se non si fosse comportato così, gli altri
avrebbero ammazzato lui, e per me era più importante avere lui vivo nella mia
vita della fedeltà a un qualche ideale di mondo umano. «No, non credo. Semmai
mi preoccupa che stiamo invadendo i loro territori.»
«Tutto è cominciato con gli inviti di gruppi che volevano informarsi sulla
Coalizione. Dopo avervi aderito, sono stati aggrediti da altri gruppi solo perché,
in quanto aderenti alla Coalizione, si erano impegnati a non fare la guerra.
Stiamo cercando di bandire la guerra come ha fatto il Consiglio per i vampiri,
ma i licantropi non hanno alle spalle secoli di obbedienza a un’autorità centrale.
Alcuni vogliono mantenere la loro indipendenza, o semplicemente credono che i
leoni mannari siano migliori dei lupi mannari e quindi non vogliono appartenere
a un gruppo misto, che è, in sostanza, il concetto stesso della Coalizione.»
«I leoni sono i più aggressivi. Presumo che tu sia riuscito a persuadere molti
gruppi di iene facendo sesso con le matriarche…»
Micah sogghignò. «Sì. Ma c’è chi preferisce fare sesso con animali uguali a
loro. Ecco perché talvolta i bodyguard sono utili. Non sempre mi piace il sesso
rude praticato dalle iene, o anche dai leoni. Così qualche bodyguard è felice di
darmi una mano.»
«Ci scommetto!»
«Con la mia reputazione di combattente molto abile e spietato, talvolta
uccido individui meno dominanti che mi hanno insultato. Secondo le regole di
molti gruppi è mio diritto farlo, perché mancare di rispetto a un capo in visita
potrebbe anche scatenare una guerra. Vedermi usare gli artigli come coltelli a
scatto o a serramanico è inquietante. Sapere che sono disposto a uccidere anche
per cose di poco conto suscita la paura di quello che potrei fare in uno scontro
ufficiale.»
«So che molti alfa possono sguainare gli artigli con metamorfosi parziali
delle mani. Invece i tuoi artigli sono retrattili e puoi colpire in un batter d’occhio,
cogliendo alla sprovvista l’avversario, proprio come con un coltello. Sei il
migliore che io abbia mai visto.»
«Grazie. Faccio del mio meglio.»
«Dunque spaventi i capi per indurli a negoziare anziché a battersi…»
«Non li spavento, Anita, o almeno non come intendi tu. La nostra cultura è
diversa da quella puramente umana. Per noi l’aggressività e la spietatezza hanno
un valore maggiore. Non si tratta semplicemente del fatto che sono disposto a
ucciderli per indurli a fare quello che voglio io. Ormai sanno che, se si uniscono
a noi, sono disposto a tutto anche per proteggerli.»
«Hai detto che, quand’è possibile, scegli campioni che si battano per te…
Chi, di solito?»
«Bram e… Ares.»
«Adesso Ares non può più aiutarti…» La morsa dell’angoscia mi strinse il
petto. Non ero sicura che fosse cordoglio per Ares o la consapevolezza di avere
ucciso uno di quelli che proteggevano Micah più ancora di quanto avessi
immaginato. Mi sentivo stupida, come se tutti mi avessero tenuta all’oscuro di
un segreto.
Micah mi prese di nuovo le mani. «Non farti questo, Anita…»
«Cosa?»
«Non punire te stessa per Ares. Hai fatto quello che dovevi.»
Annuii. «Se dovessi farlo di nuovo, l’unica differenza sarebbe che gli
sparerei subito, alla sua richiesta, prima della metamorfosi. Se lo avessi fatto
quando me l’ha chiesto, gli altri sbirri sarebbero vivi.»
Micah mi strinse le mani e mi attirò a sé, sfiorandomi le labbra.
E io mi ritrassi.
«Che c’è?» domandò, corrugando la fronte. «Credevo che non stessimo
litigando…»
«Ho mangiato una mentina per l’alito, perché poco fa sono corsa in bagno a
vomitare. Forse vuoi che vada a lavarmi i denti prima di baciarmi.»
Ridendo, Micah mi attirò in un abbraccio. «Oddio… Ti amo così tanto!»
«Ti amo di più!»
Poi mi scostò abbastanza da scrutarmi in viso. «Vendono spazzolini da denti
al negozio di articoli da regalo.»
«Stai dicendo che vuoi baciarmi in maniera più profonda?»
«Voglio baciarti tutta prima che tu debba tornare al lavoro.»
«Affare fatto. Prima, però, devi mangiare e bere qualcosa.»
«Come fai a sapere che non ho mangiato?»
«Neppure tua madre ha mangiato. Ho la netta impressione che entrambi
abbiate trascurato i fondamentali.»
Il sorriso di Micah si attenuò appena. «Non so cosa faranno, lei e Ty, senza
papà. Continuo a pensare a cosa farei io se succedesse qualcosa a Nathaniel.»
Lo abbracciai, affondando il viso nella treccia che l’altro nostro amore aveva
acconciato per lui. Ero arrabbiata con lui per le cose che non mi aveva detto,
però c’erano cose che io non avevo detto a lui. «Ricordi di aver detto che, se
potessi, ci sposeresti tutti e due?» Lo sentii annuire, sempre stretto nel mio
abbraccio. «Jean-Claude mi ha chiesto di sposarci.»
«Quando?» Sembrava sconcertato.
«Qualche ora fa.»
«Tu cos’hai risposto?»
«Ho risposto sì.»
Il suo viso divenne guardingo, impenetrabile. «È meraviglioso…»
Corrugai la fronte. «So che ci sono parecchi problemi da risolvere, ma… se
qualcuno può riuscirci, quelli siamo noi.»
«Certo che possiamo.»
Le rughe sulla mia fronte si approfondirono. «Hai capito che abbiamo parlato
di una cerimonia di gruppo, non soltanto di me e Jean-Claude?»
«È il nostro master, Anita. Se pure non ci fosse Nathaniel, non ti
permetterebbe mai di sposare qualcun altro.»
«Legalmente non posso sposare più di una persona, e non so chi sarà.
Comunque abbiamo parlato di un sacco di cose. Ho chiesto se ognuno avrà un
anello di fidanzamento…»
«E Jean-Claude cos’ha detto?»
«Che non conosce le risposte a tutte le mie ragionevoli domande. Ha
aggiunto che non ho rifiutato, che questo è già più di quanto sperasse, e che alla
fine avremmo risolto tutto.»
«Davvero? Ha detto così?»
«Ha detto che, se avesse mai sognato di avere il mio sì, avrebbe tramato con
gli altri uomini della mia vita per organizzare la notte più romantica di tutta la
mia esistenza, sconvolgendomi completamente.»
Micah sorrise. «Mi sembra di sentirlo…»
«Gli ho chiesto chi vorrebbe includere nel gruppo, ma oltre a te e a Nathaniel
non siamo sicuri di nessun altro.»
«Chi, per esempio?»
Sospirai. «Mi preoccuperebbe la reazione di Asher. Se lui fosse escluso…»
«Non ho nessuna intenzione di sposare Asher!»
Risi. «Lo so! Neanch’io! Però può darsi che per Jean-Claude sia diverso.
Ancora non lo so. Non ho avuto molto tempo per rifletterci.» Mi resi conto che
forse avrei dovuto aggiungere qualcosa. «Quando ho dovuto lasciare Nicky
all’obitorio, senza sapere cosa gli sarebbe successo, gli ho detto di amarlo.»
Micah annuì. «Io e Nathaniel ci chiedevamo quanto tempo avresti impiegato
per capirlo.»
«Dunque lo sapevano tutti prima di me?»
«Tutti tranne Nicky, e forse Cynric.»
Mi si afflosciarono un po’ le spalle. «Non sono sicura che a Cynric possa
piacere la prospettiva del matrimonio di gruppo…»
«Se sarà incluso, gli andrà benissimo.»
«Stai scherzando, vero?»
«E per quale ragione? Perché è giovane?»
«No, cioè… Sì, cioè… Vorresti davvero essere sposato con Cynric?»
«Le uniche due persone che voglio sposare siete tu e Nathaniel.»
«Eppure sposerai Jean-Claude. Perché?»
«Perché lui è il nostro master, tu sei la sua serva umana, e lui mi presenta
come ’il nostro Micah’.»
«E come ti senti, quando ti chiama così?»
«Non mi appassiona, ma capisco che deve fare qualcosa affinché gli altri
vampiri non credano che tu lo cornifichi con tutti noialtri. Il prestigio è molto
importante presso i vampiri, e anche presso i licantropi. Jean-Claude deve
preservare anche il tuo prestigio, altrimenti ne sarebbe danneggiata la struttura di
potere che abbiamo costruito con tanta fatica e con tanto impegno.»
«Per questo non ti disturba che gli altri vampiri presumano che tu sia amante
di Jean-Claude?»
Micah annuì. «Sono sicuro di me stesso. E poi sono innamorato di Nathaniel.
Non è come se stare con un altro uomo mi terrorizzasse.»
Ci scrutammo, all’improvviso entrambi circospetti.
«Dunque tu, Nathaniel, Jean-Claude, io, e… Chi altri?»
«Non lo so.»
«Sei innamorato di qualcun altro?»
«Io no. E tu?»
«Di Nicky. Amo Cynric, ma non allo stesso modo, e lo stesso vale per Asher,
anche se preferirei che non fosse così, dato che un giorno forse mi costringerà a
ucciderlo.»
«So che dobbiamo riportarlo a casa prima che rovini tutto con quelle iene
mannare, però credo pure io che forse ci costringerà a ucciderlo.»
Annuii, sentendomi inesplicabilmente triste. «Sposarsi non dovrebbe essere
semplice e donare felicità?»
«Stiamo parlando di un matrimonio di gruppo di almeno quattro persone, se
non di più, Anita! È complicato.»
Sospirai. «Okay, okay… Non mi riferivo a questo.»
«E c’è dell’altro», disse Micah. «Se ci sposeremo, dovremo dirlo a Richard, o
almeno dovrà dirglielo Jean-Claude, prima che lui lo sappia da qualcun altro.»
«È un ex…»
«Un ex con cui fai ancora sesso occasionalmente, da cui Asher si fa dominare
nel bondage, e che fa sesso di gruppo con Jean-Claude e con te, talvolta anche
con Asher…»
«Non fa sesso con gli uomini.»
«Nel senso che non ha un contatto genitale.»
«Mi piacerebbe discuterne con te, ma credo che sembrerei stupida, perciò
passo.»
«Sarò sincero… Vorrei essere io a sposarti legalmente. Vorrei essere il primo
marito e vorrei che Nathaniel partecipasse alla cerimonia come secondo marito.
Però dovremo includere anche Jean-Claude, e lui probabilmente vorrà essere il
tuo primo marito…»
«Perché?»
«In primo luogo, il suo ego non gli permetterebbe di non essere il primo. È
ragionevole e spietatamente pragmatico, ma come tutti i vampiri antichi è anche
arrogante. È il primo re vampiro di questo Paese e tu sei la sua regina.»
«Sono anche la tua regina…»
«Sì, ma i licantropi sono abituati a essere sottomessi ai vampiri nella struttura
di potere, e per loro sarebbe normale se fosse Jean-Claude a essere legalmente
tuo marito. I vampiri hanno ormai accettato che Jean-Claude ti lasci andare a
letto con tutti noi. Sono perfino molto più contenti adesso che Envy è diventata
una delle amanti regolari di Jean-Claude.»
«Non posso andare a letto con tutti ogni notte, e lui, a dire il vero, preferisce
le donne agli uomini, con l’eccezione di Asher.»
«Sarebbe contentissimo di farsi Richard, se il nostro Ulfric fosse d’accordo.»
«Una volta hai detto che credevi di dover andare a letto con Jean-Claude per
diventare il mio re leopardo, e che quando hai scoperto che non era vero ne sei
stato molto sollevato. Eppure lo avresti fatto…»
«Avrei fatto qualsiasi cosa per salvare la mia gente da Chimera.» Micah
sorrise. «E Jean-Claude non era un destino peggiore della morte.»
«No, certo.»
«Be’, adesso possiamo mangiare qualcosa, credo…»
«Sì. Io vorrei assaggiare una zuppa.»
«La licantropia protegge tutti noi dai virus. Non puoi ammalarti.»
Non volevo rivelargli che il fetore della malattia di suo padre mi aveva
rammentato quello dei cadaveri in decomposizione, perciò dissi: «Credo di avere
mangiato qualcosa che mi ha fatto male, a pranzo». Per quanto io stessa ne
sapevo, era perfino possibile che fosse vero.
Avrei ordinato anche caffè, se l’aroma non mi avesse dato la nausea. Così mi
accontentai di zuppa e acqua. Inviai un messaggio a Edward per chiedergli come
si sentisse: se era stato il pranzo a farmi star male, lui sarebbe stato anche peggio
senza la licantropia a proteggergli la salute. Comunque stava benissimo.
A metà zuppa non riuscii più a inghiottire niente e annunciai a Micah di voler
interrogare Little Henry. Allora lui si affrettò a completare il suo pasto, per
accompagnarmi e poi tornare dal padre. Ci fermammo a comprare uno
spazzolino in confezione da viaggio e io tornai in bagno per lavarmi rapidamente
i denti, così al momento del commiato Micah ebbe la possibilità di baciarmi con
tutto il trasporto che osammo concederci in un corridoio d’ospedale affollato di
sbirri, i quali ci derisero bonariamente.
«Prendi una camera, Blake!»
«Un altro seduttore nella famiglia Callahan, a quanto pare!»
Sembravano incapaci di decidere chi di noi fosse il collega da sfottere.
Infine Micah tornò in camera dal padre, scortato da Bram, mentre io e Nicky
andavamo in cerca del medico di Henry Crawford. Volevo scoprire se fosse stato
morso dai vampiri o se gli fosse stata inflitta qualche altra ferita. Anche se
quando lo avevamo soccorso era parso illeso, ciò non significava che lo fosse
stato davvero. Non tutte le sevizie lasciano il segno.
69

enché non fosse ferito tanto gravemente, Henry Crawford era

B ricoverato in una stanza sullo stesso corridoio di quella di Rush


Callahan, in modo che gli sbirri presenti potessero sorvegliarle
entrambe, dato che i vampiri hanno l’abitudine di tornare a visitare gli
umani che hanno scelto e isolato, come fanno i lupi, che individuano la
preda più debole, la più facile da uccidere, e la isolano dal branco.
Anche se il lupo è l’animale che più comunemente risponde al richiamo dei
vampiri master, i vamp non pensano come lupi, ma piuttosto come leoni. In certe
circostanze i leoni possono scegliere le prede più deboli o più facili, o possono
anche impossessarsi di quelle che sono state abbattute da altri predatori dopo
averli scacciati, e possono perfino nutrirsi di carogne. Tuttavia, quando cacciano,
sono come umani in un locale notturno il sabato sera. Entrano nella sala,
scrutano la folla, scelgono la persona da cui si sentono maggiormente attratti, e
pensano: Mi farò quella. Poi dedicano la serata a sedurre tale persona per
portarla a casa e fare sesso. Ebbene, i leoni scelgono i bufali più forti e più
coraggiosi, oppure le antilopi più veloci e più succulente, o qualunque altra
preda che colpisca la loro fantasia, e poi attaccano con forza preponderante. Il
singolo felino è parte del branco e, più il branco è numeroso, più arrogante è la
scelta, più grossa è la preda abbattuta. I leoni sono come quelle persone, maschi
o femmine, che credono di essere doni divini per il sesso opposto, con la
conseguenza che le persone oggetto delle loro attenzioni si sentono lusingate e
finiscono per dire sì. Queste persone arroganti non molestano mai perché non ne
hanno bisogno. Sono belle, sono sexy, e quasi sempre riescono a sedurre.
Tuttavia i leoni, i veri leoni, non vogliono le prede per il sesso, perché il sesso lo
fanno con altri leoni. Le vogliono per divorarle, e se quelle non riescono a
difendersi e a fuggire, o se non sono soccorse dal loro branco, come può capitare
coi bufali, allora le abbattono e le uccidono. Dato che sono le prede più grosse, i
bufali sono prima uccisi e poi divorati, mentre le prede più piccole cominciano a
essere divorate mentre sono ancora in agonia. Nella maggior parte dei casi, gli
umani sono prede analoghe ai bufali, perciò i vampiri prima di ucciderli ci
giocano, perché ci godono, perché possono, o perché non hanno ancora deciso se
fare sesso, asservire o nutrirsi.
Dato che Henry era ancora vivo, ci si chiedeva se il vampiro intendesse
divertirsi a torturarlo, o renderlo schiavo, oppure se lo concupisse. Cibo, tortura,
schiavitù e sesso sono le possibilità nel rapporto tra umani e vampiri. Come
potevo dirlo poche ore dopo la proposta di matrimonio di Jean-Claude?
L’esperienza mi aveva insegnato che la schiacciante verità è che i vampiri ci
considerano prede. Probabilmente è un modo per distanziarsi emotivamente da
noi e per potersi nutrire di noi, come faccio io stessa per distanziarmi dalle
vittime durante le indagini e poterle vedere come cose, come oggetti, anziché
fuggire strillando. Se le vittime sopravvivono è più difficile perché hanno più
esigenze e i vampiri non possono nutrirsi di cadaveri.
Nella comunità dei vampiri alcuni mi consideravano una vampira vivente.
Be’, se lo ero, non avevo ancora sviluppato tali abitudini. Come prede del giorno
non avrei mai scelto due uomini grandi e grossi come Henry Crawford junior e
suo padre. Molti tra i soccorritori impegnati con loro nelle ricerche, di cui avevo
visto le foto, sarebbero stati prede più facili. Dunque perché il master
sconosciuto e i suoi vampiri avevano scelto proprio loro? Perché avevano scelto
proprio i bufali, quand’era disponibile un intero branco di antilopi?
Ammesso che fosse possibile essere osservata da qualcosa che era dentro di
me, alcune delle mie bestie interiori mi osservavano. Le capivo anche se non si
esprimevano come persone. A volte ci si stanca delle antilopi e, se si è
abbastanza grandi e grossi, si sceglie il bufalo. Perché no? Prima dei Crawford i
vampiri avevano ucciso turisti, intere famiglie con bambini, escursionisti, un
atleta che era andato a correre nel bosco, anziane coppie che vivevano in zone
isolate… Insomma, avevano scelto vittime facili. Avevano forse dovuto imparare
a cacciare prima di passare a prede più difficili, come i Crawford?
Il sangue prelevato dai morsi all’inguine di Henry era risultato femminile e io
sarei stata pronta a scommettere che i risultati dell’analisi del DNA effettuata
sulla saliva dei morsi inflitti a Travers avrebbero confermato la mia ipotesi, cioè
che era della vampira arrestata. Tuttavia avremmo potuto prelevare i campioni di
DNA ai vampiri esclusivamente dopo il loro risveglio e alla presenza del loro
avvocato. Analizzare il cadavere di Ares era stato giudicato troppo pericoloso, a
causa della licantropia.
Era stato necessario sedare Little Henry perché soggetto a continui attacchi
isterici che i traumi da lui subiti, incluso l’assassinio del padre, non bastavano a
spiegare. Sembrava che soffrisse di allucinazioni da sveglio e che avesse incubi
orribili durante il sonno naturale, non indotto da farmaci, ed era troppo grande e
grosso perché le infermiere potessero occuparsi di lui quand’era in tali
condizioni.
Il dottor Bill Aimes, corti capelli biondi, occhiali dalla montatura d’acciaio,
alto di statura, fisico atletico da tappeto mobile e pesi leggeri, non sapeva come
aiutare Little Henry. «Un vampiro potrebbe provocare allucinazioni durante la
veglia e incubi terrificanti durante il sonno?»
«Ci sono vampiri capaci di provocare terrore per nutrirsene, come se fosse
una sorta di merendina metapsichica, però di solito è necessaria la prossimità
fisica, cioè devono essere abbastanza vicini alle loro vittime da poterle toccare.»
«Non possono riuscire a provocare paura e allucinazioni, nonché a nutrirsi,
anche a distanza?»
«Normalmente direi di no, però adesso non mi sento di escluderlo perché
questo vampiro ha già fatto parecchie cose che prima avrei giudicato impossibili.
Comunque posso assicurarle che, se il suo paziente avesse una connessione con
un vampiro, dovrei riuscire a percepirlo.»
«In quale modo?»
«È difficile da spiegare, a meno che lei non abbia una preparazione in facoltà
metapsichiche.»
Sorridendo, Aimes scosse la testa. «No, sono estremamente materialista. Se
non si può toccare, non è reale. Non credo neppure in Dio, perché non posso
raccoglierlo in una provetta e analizzarlo.»
«È ateo?»
Il medico annuì.
«Allora gli oggetti sacri e la fede non possono proteggerla dai vampiri e dai
demoni.»
«Credo che gli oggetti sacri sfolgorino a causa della fede che i singoli
individui hanno in essi, e non ho mai incontrato nessun demone.»
«Non crede ai demoni?»
«Dato che non credo in Dio, sarebbe molto difficile credere in tutto il resto.»
«Angeli?»
«No, mi dispiace.»
«Ne sono desolata», confessai, senza riuscire a trattenermi.
«Perché?»
«Il suo mondo è molto… limitato, dottor Aimes. Trovo che questo sia triste.
Inoltre significa che, se mai fosse aggredito dai vampiri, sarebbe costretto a
nascondersi dietro noi credenti.»
Aimes rise. «Sarei fiero di nascondermi dietro di lei e di continuare a non
credere nel soprannaturale.»
«D’accordo, potrà nascondersi dietro di me. Intanto vediamo se riesco a
percepire qualcosa in Henry Crawford.»
«Spero che possa fornirci qualche suggerimento, perché sembra che subisca
in continuazione nuovi traumi mediante i sogni e le allucinazioni.»
«I terrori notturni non sono traumatizzanti per definizione?»
Aimes ci pensò, prima di annuire. «Presumo di sì… Eppure queste
circostanze sembrano diverse. Ho assistito pazienti che soffrivano di disturbo da
stress post-traumatico e li ho aiutati a superare alcuni ricordi davvero terribili.
Ebbene, tutto quello che posso dire è che in questo caso sta succedendo qualcosa
di diverso, e non ho idea di cosa sia.»
«Le illusioni vampiriche possono fottere la mente», dichiarai.
Aimes sogghignò. «Be’, l’esperta di vampiri è lei…»
Su questo non c’erano dubbi. Accompagnata da Nicky, mi recai da Little
Henry Crawford.
70

nche se giaceva in un letto d’ospedale e indossava uno di quei camici

A che fanno sembrare tutti i pazienti più piccoli, più magri e più deboli,
Little Henry era pur sempre un omone alto quasi due metri, con spalle
tanto larghe da stare a stento tra le sponde metalliche. Sembrava strano
che qualcuno potesse guardarlo e pensare: Lui! Prendo lui! Proprio
lui! Tutti i soccorritori erano stati fisicamente meno imponenti.
«Perché hanno preso proprio lui e suo padre, due ex militari delle forze
speciali, grandi, grossi e atletici?» chiesi a Nicky, esprimendo a voce ciò che
stavo mentalmente domandando a me stessa. «Hai visto anche tu gli altri
componenti della squadra di ricerca. Fra tutti, avresti scelto proprio i Crawford?»
«Nessuno dei vampiri che ho visto era un ex militare. Diventando non morti
non hanno acquistato l’esperienza che non avevano da vivi.»
«Stai dicendo che non erano in grado di distinguere chi era pericoloso da chi
non lo era?»
«Non come ne siamo in grado noi due.»
«Non c’è bisogno di addestramento militare per capire che i tipi grandi e
grossi sono più pericolosi.»
«Questo è vero.»
«È come un branco di leoni che insegue una giraffa anziché attaccare un
branco di gazzelle.»
«Se i leoni sono molto numerosi, hanno bisogno di grosse prede per nutrirsi,
e possono abbatterle. Tu stessa hai dichiarato di non avere mai visto un gruppo
di zombie cannibali più numeroso di questo.»
«Sì, ma gli zombie non li hanno divorati. Perché i leoni non hanno mangiato
la giraffa, dopo averla abbattuta?»
«Hanno divorato suo padre.»
«Lo hanno ucciso, ma non lo hanno divorato, non come hanno fatto con gli
altri. Hai visto anche tu che hanno divorato completamente le altre vittime.
Invece Crawford senior è stato soltanto sfigurato e ucciso. I leoni non hanno
banchettato a sazietà con la giraffa. Sembra quasi che gli zombie abbiano
pensato come serial killer, anziché come cadaveri ambulanti.»
«Certi vampiri sono serial killer.»
«Sì, ma ho l’impressione che non sia ciò che sta succedendo qui… Cioè,
tecnicamente molti vampiri sono serial killer perché devono nutrirsi di persone,
non perché desiderano ucciderle. Anche se il risultato è il medesimo, le
motivazioni sono molto diverse.»
«Le vittime finiscono morte comunque.»
«I serial killer godono della tortura o del metodo con cui uccidono. I cadaveri
che abbiamo trovato nel sotterraneo erano di gente morta e basta.»
«La maggior parte di quelli che ho visto aveva la gola squarciata», riferì
Nicky.
«Io ho potuto osservare soltanto quelli che avevo vicino e ho visto le gole
indenni.»
«Probabilmente hanno straziato le arterie e le vene principali.»
«Probabilmente…»
«In base a quello che mi hai detto, gli zombie avrebbero dovuto mangiare
fino a riempirsi lo stomaco e lasciare i resti a marcire…»
Annuii. «Questo è il comportamento tipico.»
«Allora perché hanno semplicemente ucciso le vittime e ammassato i
cadaveri?» chiese Nicky. «I cadaveri erano ammassati come una provvista di
legna da ardere per l’inverno.»
«Mi hanno ricordato le foto dei cadaveri dei deportati ammucchiati nei campi
di sterminio nazisti.»
«Non erano ammucchiati, Anita. Erano ordinatamente accatastati. Non è così
che si fa per sbarazzarsi dei cadaveri.»
Anche se mi venne in mente una cosa, ne domandai un’altra. «Secondo te,
perché sono stati accatastati così?»
«Per creare una scorta di cibo.»
«Gli zombie non si comportano così. E neppure gli zombie cannibali.»
«E i necrofagi?»
«Un vecchio branco di necrofagi attivo da anni senza essere scoperto
sottrarrebbe attraverso il sottosuolo i cadaveri sepolti di recente, in modo da far
apparire indisturbate le tombe, e li trasferirebbe in una cripta per divorarli in
seguito. Mi è capitato di osservare un simile comportamento, però è raro;
conosco soltanto due casi di necrofagi tanto organizzati. Di solito sono molto più
belluini.»
«Molti predatori si creano provviste di cibo, Anita. Usano modi diversi per
nascondere le prede agli altri animali, però l’intento è sempre quello di
conservarle per mangiarle in seguito, se prima non le trova e non le divora
qualche altro animale.»
Ci pensai, concludendo che Nicky aveva ragione sui predatori animali.
«Okay, consideriamo il vampiro come un predatore… Perché tanti cadaveri?»
«Dev’essere un gruppo più numeroso di quanto sappiamo.»
Scossi la testa. «Anche contando le persone scomparse e aggiungendo i
vampiri e gli zombie che abbiamo annientato, non si ottiene un gruppo
abbastanza numeroso per una tale provvista di cibo. Tra quei cadaveri c’erano gli
scomparsi. Se non li avessimo bruciati, avremmo potuto identificarli.»
«Quanti dovrebbero essere gli zombie per avere bisogno di tanto cibo?»
«Diavolo, non lo so! Non ho mai saputo di un gruppo tanto numeroso.»
«Allora, se fossero necrofagi, quanti dovrebbero essere?»
Cercai di calcolarlo mentalmente. «Il branco di necrofagi più numeroso di cui
sono a conoscenza era di oltre un centinaio di individui e si trovava nell’Europa
orientale. Ecco, un gruppo così avrebbe bisogno di una quantità di cibo come
quella.»
«I necrofagi divorano cadaveri molto decomposti, vero?»
«Sì.»
«E gli zombie?»
«No, loro mangiano carne più fresca rispetto ai necrofagi.»
«Quindi questi zombie sono simili ai necrofagi e intendevano nutrirsi di
cadaveri che avrebbero continuato a imputridire… Altrimenti di cosa potrebbe
trattarsi?»
«Il vampiro prevedeva di avere bisogno di più cibo.»
«In tal caso, il motivo può essere soltanto uno…»
«Intende creare molti altri zombie!»
«Moltissimi altri. Noi però abbiamo distrutto la sua ributtante dispensa. Di
conseguenza, se intende creare altri zombie, dovrà procurarsi altro cibo. Dove e
come potrebbe farlo?»
Sdraiato nel letto, Little Henry parlò con voce roca, come se non avesse
chiacchierato granché ultimamente: «Noi! Noi!» Ci fissava con gli occhi castani
spalancati, come scoprimmo nel girarci a guardarlo.
«’Noi’ chi?» domandai.
«La gente!» Henry spalancò gli occhi ancora di più e dischiuse le labbra
come se avesse il respiro accelerato.
«Quale gente?»
«Dio! Dio! Dio!» strillò Henry, scattando a sedere e artigliando tubi e cavi.
Il mio crocifisso sfolgorò al calor bianco. Sfoderai la pistola, perché quella
luce significava che un vampiro era vicino e stava facendo cose brutte. Nicky
m’imitò, perciò l’infermiera e il medico ci trovarono con le armi spianate
quando irruppero nella stanza.
«Cos’avete fatto?» domandò il dottor Aimes nell’accorrere al capezzale del
paziente, proteggendosi gli occhi dal crocifisso sfolgorante.
«C’è un vampiro», annunciai. Avevo conosciuto vampiri capaci di essere
invisibili di giorno perfino a me.
Il dottore e l’infermiera, minuta e bionda, faticavano a impedire che il
gigantesco Henry si strappasse tutto di dosso. Avrei chiesto a Nicky di aiutarli,
se non avessimo avuto altro da fare.
«Ispeziona gli angoli costeggiando le pareti», ordinai.
«Credi che il vamp sia sempre stato qui?»
«Non lo so. Però il mio crocifisso dice che adesso è qui.»
Con le armi puntate, io e Nicky ispezionammo il perimetro rasentando le
pareti con le spalle in modo tale da imbatterci in lui nonostante l’illusione che
forse aveva creato. Essere invisibile non significa non essere solido.
Quasi accecata dal fulgore del mio crocifisso, non indossai gli occhiali per
non essere costretta a impugnare la pistola con una sola mano. D’un tratto colsi
un movimento con la coda dell’occhio. In preda a una folle frenesia, lanciando
grida inarticolate, Henry aveva catapultato l’infermiera contro una parete.
Quando gli sbirri entrarono insieme con altre infermiere accorse ad assistere
il medico e la loro collega, i loro oggetti sacri iniziarono a sfolgorare di luce
bianco-azzurra. Subito tutti sfoderarono le pistole.
«Dov’è il vampiro?» chiese il vicesceriffo Al.
Spiegai quello che stavamo facendo. Nonostante l’affollamento della stanza e
Little Henry che continuava a rovesciare come giocattoli le infermiere che
tentavano d’immobilizzarlo, terminammo l’ispezione del perimetro.
Nicky esplorò il bagno, insieme con un agente, poi annunciò: «Libero!»
Il mio crocifisso continuava a sfolgorare anche se nella stanza non vi era
nulla.
«Non è qui, Anita», dichiarò Nicky, a voce alta per essere udito nonostante le
grida.
«Non c’è nulla, qui», confermò Al.
Allora sollevai lo sguardo al soffitto, pur sapendo che i vampiri non possono
levitare e al tempo stesso mantenere l’illusione dell’invisibilità, perché sarebbe
necessaria troppa concentrazione. Forse qualcuno potrebbe riuscirci al buio o di
notte. Con le luci accese, di giorno, era impossibile.
«Aiutate a immobilizzare Henry», ordinai.
Nicky rinfoderò la pistola e si unì a due sbirri grandi e grossi nell’assistere il
medico e le infermiere tutte peste.
Non appena i poliziotti toccarono Little Henry, la luce dei loro oggetti sacri
brillò più intensa, passando al bianco puro dell’incandescenza. Strillando ancora
più forte, Henry riuscì a liberarsi di tutti, tranne di un agente grande quasi quanto
Nicky. Alla fine riuscirono a immobilizzarlo, e nel biancore degli oggetti sacri
vidi il dottor Aimes prendere una siringa.
«Aimes, non lo faccia!» gridai.
Il medico si girò a guardarmi. Aveva perso gli occhiali e aveva una guancia
già un po’ gonfia. «Dobbiamo calmarlo, altrimenti finirà per far male a se stesso
e agli altri.»
«So dov’è il vampiro.»
«Non c’è nessuno, qui.» Aimes si girò per accingersi a infilare la siringa nella
flebo.
La stanza era così piccola che arrivai in tempo ad afferrargli il braccio e a
impedirglielo. «È dentro Henry. Guardi gli oggetti sacri quando lo toccano…»
Il medico li fissò come se fino a quel momento non se ne fosse accorto, e
forse era proprio così. Una bella sberla come quella che sembrava essersi
beccato lascia rintronati e disorientati per un po’. Si girò di nuovo verso di me,
perplesso. «Non capisco…»
«Io invece credo di capire, e dovrò fare qualcosa di molto sgradevole…»
«Più sgradevole di questo?»
«Può darsi…»
«Aiuterà il mio paziente?»
«Sì.»
«Allora proceda.»
Il medico avrebbe dovuto fare più domande, o forse io avrei dovuto aspettare
che si riprendesse. Invece non lo feci perché non volevo rischiare che ci
pensasse, che diventasse prudente e che si ricredesse.
«Cosa vuoi fare?» domandò Nicky, ancora impegnato ad aiutare gli agenti a
immobilizzare Little Henry. Faticava a bloccare un braccio a un umano e non
avrebbe dovuto, visto che sarebbe stato capace di allenarsi alla panca sollevando
una piccola automobile anziché un bilanciere.
«Scovare il vampiro», risposi semplicemente, perché non potevo spiegarlo a
gente priva di facoltà metapsichiche e di esperienza coi vampiri.
«E come?» chiese il vicesceriffo Al.
«Little Henry mi aiuterà.»
«In che modo?» insistette Al.
«È più facile mostrarlo che spiegarlo.» Iniziai a togliermi le armi e imposi a
Nicky e agli sbirri di fare lo stesso, in modo da precludere a Henry ogni
possibilità di afferrare qualunque cosa da usare come arma contro di noi.
Una volta adottate tutte le precauzioni possibili, sarei andata in esplorazione.
Avrei esplorato la mente di Little Henry Crawford.
71

mmanettato con fatica alle sponde metalliche del letto, Little Henry

A continuò comunque a divincolarsi con tanta violenza che Nicky


avvisò: «Le sponde non reggeranno a lungo, Anita. Sbrigati!»
Little Henry non aveva una bestia interiore che rispondesse al mio
richiamo, non era un vampiro che potessi chiamare con la mia
negromanzia, e io non avevo mai tentato di liberare un umano
dall’assoggettamento a un master, come invece avevo fatto sia coi vampiri sia
coi licantropi. Non sapevo esattamente come, però qualunque cosa intendessi
fare dovevo sbrigarmi a farla, perché Nicky aveva ragione.
Tutti i poteri vampirici sono amplificati dal contatto fisico, perciò toccai
Little Henry, e subito percepii il potere del vampiro. Il mio crocifisso sfolgorò,
bianco e incandescente come gli oggetti sacri degli agenti di polizia. Henry
strillò ancora più forte sebbene le sue corde vocali fossero ormai straziate.
Nel tentativo di seguire a ritroso il potere, mi smarrii, confusa dal calore e
dall’umanità della sua interiorità. «Merda!»
«Che succede?» domandò il dottor Aimes.
«Se fosse un licantropo o un vampiro potrei riuscirci. Con un umano è più
difficile.»
«Cosa sta tentando di fare?»
«Liberarlo dalla possessione del vampiro.»
«Non è possibile», intervenne il vicesceriffo Al.
«L’ho già fatto in passato.»
«È impossibile. Quando si è posseduti da un vampiro, non c’è più niente da
fare.»
Scossi la testa. «Non per me. Non è impossibile per me.» Conficcargli il
crocifisso nelle carni avrebbe allontanato il vampiro per pochi istanti senza
liberare Little Henry dalla possessione. Mi accostai a Nicky. «Aiutami a montare
sul letto.»
Senza fare domande, Nicky mi sollevò di peso.
«Cosa intende fare, marshal?» chiese Aimes.
«Devo guardarlo negli occhi, e sono troppo bassa, cazzo.»
Fui spostata da Nicky al di sopra delle lunghe braccia muscolose che
scuotevano le sponde metalliche per liberarsi delle manette. Se due agenti non
gli avessero bloccato le gambe, Little Henry mi avrebbe calciata giù dal letto.
Stargli accanto era impossibile, così montai a cavalcioni sul suo petto e gli
afferrai la testa con entrambe le mani, mentre lui continuava a strillare a voce
tanto alta da assordarmi.
Lo sfolgorio del crocifisso era accecante. Dovevo guardarlo negli occhi e non
potevo. Avrei osato togliere il crocifisso? La luce degli altri oggetti sacri era così
intensa che forse non sarebbe servito. La sua pelle era fredda al tocco e sentivo il
vampiro dentro di lui. Decisi di trattarlo come se fosse umano, quasi che avessi
tutti i diritti di aspettarmi che rispondesse al mio potere. «Henry Crawford!
Guardami!» esordii, imbottendo di energia e potere ogni parola.
Smettendo di dibattersi, Little Henry mi fissò al di sopra del crocifisso
luminoso.
«Henry, riesci a sentirmi?»
Lui continuò a fissarmi come se non capisse cosa fossi.
«Henry! Riesci a sentirmi?»
«Ti sento», sussurrò.
«Sto per liberarti.»
«Non puoi. Mi ha detto che sono suo per sempre.»
«Ha mentito. Mentono tutti.»
«Chi?»
«I vampiri.»
La luce del crocifisso si attenuò, permettendomi di vedere gli occhi di Little
Henry. In molti casi gli occhi nocciola sono in realtà castani con sfumature di
grigio o di verde. I suoi erano verdi e castani, colmi di sofferenza e di
confusione. Poi, come un riflesso di qualcosa di oscuro, lo vidi. Non saprò mai
se lo «vidi» davvero o se fu l’immagine con cui la mia mente tradusse
l’intraducibile.
L’attimo successivo, il vampiro scagliò il proprio potere in Henry per cercare
di colpirmi. Tuttavia era qualcosa che potevo capire. Avevo già combattuto altri
due negromanti tornati dal mondo dei morti. Uno mi aveva quasi uccisa, ma era
successo prima che io accettassi cosa chi ero, cosa ero e cosa tutto ciò
significava.
Nel momento in cui Henry, colmo del terrore proiettato dal vampiro,
inspirava per strillare, io proiettai amore, la dolce cordialità dell’accoglienza e
dell’amicizia. Porsi una mano nella tenebra, offrendo speranza e una via
d’uscita, luce nell’oscurità, verso la quale Henry si volse, come sempre fanno gli
umani. Abbiamo bisogno di speranza quasi più che di qualunque altra cosa,
perché senza di essa siamo perduti. Così aiutai Henry a trovare la via del ritorno
dall’inferno in cui il vampiro lo aveva intrappolato e vidi che cosa gli aveva
fatto. Si nutriva di paura e durante il giorno aveva mantenuto Henry in un terrore
perpetuo per potersene nutrire.
«Malvagio bastardo», sussurrai.
«Non sono malvagio, Anita Blake», replicò il vampiro, con la propria voce,
attraverso la bocca di Henry. «Lui mi appartiene, è mio schiavo, per esaudire i
miei desideri.»
«No! Io affermo che non puoi averlo!»
«È troppo tardi! È già mio!»
«Stronzate!» Come un missile guidato in cerca di bersaglio, proiettai la mia
negromanzia a volare attraverso il cielo dell’interiorità di Henry in cerca del
vampiro. Dato che gli avevo offerto pace e speranza per la prima volta da
quando il vampiro lo possedeva, Henry desiderò la mia vittoria e mi aiutò
aprendosi senza nessuna opposizione. Io gli inviai un dono metapsichico che non
sarebbe dovuto appartenere a un essere umano e cercai di essere gentile, anche
se, in tutta sincerità, ciò che desideravo di più era il vampiro.
«Lui mi appartiene, Anita Blake! È mio!»
«No!»
Avvolto in un tessuto nero, il corpo del vampiro era in quella che sembrava
una grotta. Girò la testa emaciata e scheletrica, in cui gli occhi, vivi, ardevano
come fuoco nella tenebra della notte stessa. «Sì, negromante, la Madre di Tutte
le Tenebre ha soffiato il suo potere in me quando tu l’hai inghiottita. Ha tentato
di fuggire nel mio corpo, ma tu non l’hai lasciata andare. Così ora ho il suo
potere e sono libero dal suo controllo. Lei non controllava tutti i vampiri
esclusivamente per il proprio piacere. Controllava alcuni di noi affinché non
distruggessimo tutto ciò che esiste.»
«Non puoi distruggere tutto ciò che esiste.»
«Col mio potere unito a quello di lei posso distruggere tutti gli umani. Sono
libero da questo corpo e libero di entrare in altri. La Madre mi ha preso con sé
quando ha cercato di possedere te e Jean-Claude e i vostri seguaci. Comunque
adesso non ho bisogno dell’aiuto di nessuno per possedere i corpi altrui.»
«Chi sei?»
«Mi percepisci e non mi riconosci? Tu e i tuoi amanti avete già assaggiato il
mio potere. Una volta mi hai negato le morti, ma tu e la polizia mi avete nutrito
sulle montagne e di nuovo in ospedale. A ogni morte mi sono nutrito e sono
diventato più forte.»
«Non sei Morte d’Amour, l’Amante della Morte. Non puoi esserlo.»
«Perché no?»
«Il tuo potere è completamente diverso.»
«Sono rinato quando hai annientato la Madre. Lei mi ha colmato della sua
tenebra, e io ho sentito che ha colmato anche te. Noi due siamo tutto ciò che
resta di lei, Anita Blake.»
Scrutando negli occhi di Henry, vidi un corpo tanto devastato dal tempo che
se non avesse aperto gli occhi e non si fosse mosso lo avrei scambiato per un
cadavere antico. «Eri nel sotterraneo. Hai posseduto uno zombie per poter agire
alla luce del giorno. Come hai potuto recuperare il tuo corpo senza bruciare?»
«Sono il creatore della mia stirpe. Sai che i vampiri putrescenti non bruciano
al sole. I cannibali sono veloci e forti. Ho trasportato al sicuro me stesso e mi
sono nascosto nel bosco mentre tu annientavi tutto ciò che avevo costruito con
tanta fatica.»
«A quanto pare, hai ricevuto qualcosa della negromanzia di Marmee Noir che
io non ho. Tuttavia io ho qualcosa che tu non hai.»
«Menzogne.»
«Puoi possedere soltanto gli zombie che desti dalla morte. È impressionante,
lo ammetto, che tu possa destarli anche se non sono stati sepolti. Non appena
sono trascorsi tre giorni e l’anima ha lasciato il corpo, tu puoi destarli. Buon per
te!»
«I miei vampiri sono più potenti di quelli del tuo master.»
«Perché li possiedi e in qualche modo condividi con loro una parte del tuo
potere. Tuttavia tu possiedi esclusivamente quelli appena creati. Perché? Non
molto tempo fa hai cercato di possedere i vampiri antichi della tua stirpe.
Qualcosa nel potere della Madre te lo impedisce.»
«Io non ho limiti, Anita, e questa notte stessa te lo dimostrerò.»
«No, non con Henry.»
«E come intendi impedirmelo?» ribatté lui, con un’arroganza sprezzante e
sarcastica che non apparteneva a Henry, di cui si serviva per parlarmi e che io
stavo guardando in viso.
«Così!» Chiamai l’ardeur, pregando di poterlo usare come bisturi gentile per
recidere soltanto quello che era necessario e preservare il resto. Volevo liberare
Henry, non assoggettarlo a me. Col crocifisso sempre più sfolgorante, mi chinai
a baciarlo sulla bocca nella maniera più dolce, e attraverso il bacio proiettai il
mio potere dentro di lui.
Morte d’Amour si difese, e se fosse stata notte forse sarebbe riuscito a
mantenere il possesso di Henry. Invece era giorno e io ero una creatura diurna.
Avevo ucciso il Padre del Giorno e avevo assorbito i suoi poteri come regina
delle tigri. Dalla Madre di Tutte le Tenebre avevo ereditato la capacità di
spezzare i vincoli infrangibili tra l’animale che risponde al richiamo e il vampiro
master, tra il vampiro e il Master della Città cui è vincolato dal giuramento di
sangue, e tra il servo umano e il vampiro master. Era stato il dono della Madre,
che aveva tentato di servirsene su di me più di una volta. Tuttavia era probabile
che qualunque potere vampirico esercitato su di me divenisse mio per sempre.
Ero l’arma creata dai vampiri, la nemesi perfetta che la Madre di Tutte le
Tenebre, la Notte Vivente, aveva forgiato semplicemente percuotendomi
abbastanza spesso e abbastanza violentemente coi fuochi del suo insano potere.
Lo splendore di tutti gli oggetti sacri nella stanza mi accecò fisicamente a
tutto, tranne che alla luce bianca, ma con la vista che mi permetteva di vedere
nei sogni vidi il vampiro, mentre la luce correva lungo il legame con cui aveva
vincolato Henry, bruciandolo come se fosse una miccia.
Quando cercai di conficcare la luce anche in lui, il vampiro si girò a fissarmi
con occhi neri come la notte e sussurrò nella mia mente: «Hai preso il mio servo,
ma non puoi prendere me. E adesso che sai che sono vivo, Anita Blake, devo
distruggerti».
Nell’aria del suo nascondiglio «udii» echeggiare la mia risposta telepatica:
«È quello che farò io con te!»
Poi lui scomparve alla mia vista interiore insieme con la grotta, e io tornai in
me stessa, a cavalcioni del torace di Henry, interrompendo il bacio, mentre gli
oggetti sacri si spegnevano. Da brevissima distanza scrutai Henry, che aveva gli
occhi spalancati, le labbra dischiuse, il sangue che pulsava nella gola come un
animaletto intrappolato. Per un momento la mia brama di sangue fissò quella
pulsazione come se fosse un dolciume da leccare fino a succhiarne il cuore
succulento. Tuttavia non potevo nuocergli dopo essermi impegnata tanto
duramente a liberarlo. Ormai conoscevo bene quel gioco e non avevo bisogno di
toccargli il collo.
Mi spostai per sedere sul letto accanto a lui, nel poco spazio lasciato libero
dalle sue spalle enormi. Almeno non gli stavo più a cavalcioni. Se avessi
mantenuto quella posizione, mi sarebbe stato difficile avere con lui una
conversazione seria. «Tutto bene?» domandai, con voce lievemente affannata,
come dopo uno sforzo di qualche genere.
Lui si guardò intorno come se avesse paura di quello che stava per vedere,
infine rispose: «Credo di sì».
Il dottor Aimes si accostò al letto per controllare i parametri vitali, più per
fare qualcosa di normale, presumo, che per la necessità di misurare la
temperatura corporea e la frequenza cardiaca del suo paziente. Intanto Nicky mi
aiutò a smontare dal letto e iniziò a restituirmi le armi.
Pallido in viso, Al si avvicinò. «Credevo che nulla di tutto ciò fosse
possibile…»
«Una cosa è impossibile soltanto fino a quando non si trova qualcuno capace
di farla», sentenziai, nel rinfoderare l’ultima arma.
«Evidentemente è proprio così…Dunque aveva trasformato Henry nel
proprio servo umano?»
«Sì.»
«Come chi è morso due volte o qualcosa del genere?»
«No, i vampiri davvero potenti non devono mordere le persone per farne i
loro servi.»
«Credevo che il morso fosse necessario…»
«Non lo è.»
In quel momento il suo telefono squillò. Al guardò chi fosse a chiamare,
quindi disse: «Scusa, devo rispondere… Sono felice che tu sia riuscita ad aiutare
Little Henry». E si allontanò.
«Non capisco tutto quello che è successo, ma sembra che adesso il mio
paziente sia in perfetta salute», affermò il dottor Aimes. «È un po’ scosso, forse,
però a parte questo sta benissimo.»
«Se lei non crede agli angeli, non posso spiegarle nulla.»
«Sta dicendo di essere un angelo, marshal Blake?»
Sorrisi. «No di certo! Non affermerei mai una cosa del genere.»
«Lei era interamente avvolta di luce bianca e quasi interamente nascosta alla
vista dallo splendore bianco dei crocifissi. Quando lo ha baciato, giuro di avere
visto la luce passare dalla sua bocca a quella di lui.»
«Ho pregato di poterlo liberare senza infliggergli nessun danno.» Sì, fu una
versione abbreviata e corretta di quello che avevo pregato, perché a Dio sta bene
non spiegare tutto a tutti. Se così non fosse, avrebbe lasciato istruzioni più
esplicite in merito.
«Giurerei di avere visto per un momento ali nella luce», aggiunse Aimes.
«Tu hai visto ali?» chiesi a Nicky, il quale scosse la testa. «Se ha visto ali,
dottor Aimes, non erano le mie.»
«Di chi erano, allora?»
Il mio sorriso si allargò. «Io credo negli angeli. Ricorda?»
«Dicendo cose come queste, marshal, spinge gli uomini ad annegarsi nel bere
o ad abbracciare la fede.»
«Non è mio compito convertirla, né spingerla a darsi al bere.»
Il dottor Aimes mi scrutò con uno sguardo che avevo già visto, cioè quello
che ha di solito chi per la prima volta vede uno spettro o un vampiro, e ne è
terrorizzato. «Quali sono le sue intenzioni, marshal Blake?»
«Interrogare Henry per cercare di trovare indizi che possano condurre a
scoprire dove si trova il corpo originale del vampiro. Se riuscissimo a
distruggerlo, porremmo fine a tutto questo.»
«Allora la lascio a interrogare Mr Crawford. Credo di avere bisogno di bere
qualcosa.»
«In servizio?»
«Se un altro sincero ateo amante della scienza non avesse bisogno di bere
dopo quello che ho appena visto io, allora sarebbe un miscredente migliore di
me.» Ciò detto, Aimes se ne andò.
Gli sbirri erano in parte spaventati e in parte positivamente impressionati da
quello di cui erano stati testimoni, e la reazione positiva era quasi peggiore del
terrore, perché non ero sicura di cos’altro si aspettassero che io facessi. Aimes
non era stato l’unico a vedere una sagoma di ali trasparire nella luce bianca.
Dichiarai che si era trattato di una risposta a una preghiera, non di qualcosa che
aveva a che fare con me personalmente. Infine dovetti ribadire a un agente
troppo angosciato: «Credimi, non sono un angelo».
Allora Nicky scoppiò a ridere e parve incapace di smettere.
«Divertiti pure, leoncino!»
Tali parole lo fecero ridere ancora più forte, tanto che dovette appoggiarsi al
muro, con le guance rigate di lacrime.
Se non altro, la sua risata pose fine alla serie di strane domande teologiche.
Gli sbirri sembravano incapaci di discutere di angeli alla presenza di quel grosso
e nerboruto bastardo che rideva a crepapelle accanto a me.
72

l mio telefono squillò con la suoneria Bad to the Bone.

I «Ciao, Ted! Che succede?»


«Tutte le scene del crimine che abbiamo trovato oggi sono entro la
giurisdizione di Callahan, quasi senza eccezione.»
«Davvero?»
«Sì. Non credo che lo sceriffo sia stato aggredito per caso. Gutterman dice
che visitava regolarmente le case isolate, beveva il caffè con le famiglie, si
assicurava che le coppie anziane o le persone disabili stessero bene. Si
preoccupava di tutti.»
«Presumo che molte di quelle persone siano state aggredite…»
«Sì.»
«Aspetta un momento, Ted…» Mi girai verso gli sbirri e le infermiere che
erano con Henry. «Devo rispondere a questa chiamata. Torno subito. Ho qualche
domanda per lei, Mr Crawford.»
«Marshal Blake, lei ha appena salvato la mia anima immortale. Può
chiamarmi Little Henry.»
Sorrisi. «Per quanto riguarda la sua anima, non saprei; anzi, credo che le
appartenesse comunque. Però non posso chiamarla Little Henry, visto che è
trenta centimetri e passa più alto di me.»
Crawford sorrise. «Sono più alto di tutti, eppure tutti mi chiamano così!»
Feci un gesto vago che non implicava nessun impegno, quindi uscii in
corridoio, seguita da Nicky. «Rieccomi, Ted», annunciai, non appena ci fummo
ritirati in disparte dagli sbirri.
«Se non sbaglio, hai guarito Little Henry…»
«Sì, ma questa è tutta un’altra storia… Sembra che abbiano aggredito
Callahan prima che riuscisse a collegare tutto e a capire che stavano attaccando
la sua gente. Il corpo originale del vamp dev’essere entro la sua giurisdizione, in
un posto che lui sicuramente conosceva.»
«Gutterman dice che Al conosce molto bene la regione, quasi quanto lo
sceriffo.»
«Al è uscito per rispondere a una telefonata, ma posso chiedergli se ci sono
vecchie miniere, grotte, qualunque possibile luogo con pareti di roccia e fondo di
terra battuta.» Descrissi a Edward la visione che avevo avuto con Little Henry.
«Ho già chiamato Al per chiedergli di redigere una lista dei possibili
nascondigli. Lo richiamerò per riferirgli quello che mi hai appena detto, in modo
da restringere il campo.»
«Adoro che tu abbia già indotto Al a stilare una lista!»
«Vuoi rimanere lì per scoprire se Henry abbia altre informazioni che possano
aiutarci a restringerlo ulteriormente, vero?»
«Sì.»
«Io e Hatfield stiamo organizzando alcune squadre per ispezionare la regione.
Se vuoi partecipare, non dedicare troppo tempo a interrogare la tua nuova
conquista.»
«Dai, Ted! Non dire così… Mi sono impegnata moltissimo a evitare che
diventasse una nuova conquista.»
«Scusa, è stata una pessima battuta. Sbrigati a interrogare Henry e
raggiungici. Per dirla con uno dei tuoi film preferiti: ’Stiamo sprecando la luce
del giorno’.»
Sogghignai. «Sei uno dei pochissimi a sapere che sono stata un’appassionata
dei film di John Wayne fino a poco tempo fa.»
«È difficile dimenticare quella schifosa notte in albergo e una maratona di
film sui canali western.»
«Ehi, sono piaciuti anche a te!»
«Questo è vero.»
«E il giorno dopo, quando abbiamo detto di avere dormito poco, gli altri
sbirri hanno pensato che avessimo fatto una maratona di sesso!»
«Non avrebbero mai creduto alla maratona di film.»
«Non ci credono mai.»
«Dovremmo essere pronti a partire tra circa tre quarti d’ora. Arriverai in
tempo?»
«Farò del mio meglio, anche se mi manca una guardia del corpo.»
«Cos’hai fatto a chi manca?»
«Nulla», risposi, in tono offeso.
«Sì, come no!»
«Te lo spiegherò mentre saremo a caccia di vampiri.»
«Vorrei che fossimo in squadre diverse, in modo da averne almeno due con
qualcuno che ne sappia abbastanza sui vampiri per cercare il corpo in tutti i
possibili nascondigli.»
«È giusto, però mi mancherebbe non avere te a coprirmi le spalle.»
«Lo stesso varrebbe per me. In ogni modo, stiamo davvero sprecando le ore
di luce e, anche se non voglio esagerare con le citazioni cinematografiche, ho un
brutto presentimento a proposito di stanotte…»
«Come mai?»
«Morte d’Amour è spaventato. Non ha nulla da perdere scatenandoci addosso
tutte le sue risorse.»
«Ti preoccupano gli zombie?»
«A te no?»
Ripensai a tutti i cadaveri trovati nel sotterraneo, trasformato in una sorta di
macabra dispensa. Nicky aveva osservato che una tale quantità di cibo doveva
essere destinata a un numero maledettamente elevato di zombie. «Sì, temo che ci
siano troppi zombie…»
«Allora sbrigati a interrogare Little Henry. Mando gli agenti della SWAT a
prenderti, così potrai viaggiare con loro. Io e Hatfield inizieremo le ricerche con
le nostre squadre. La SWAT avrà la mappa con tutte le località indicate.
Dobbiamo trovare quel bastardo prima dell’imbrunire.»
«Lo faremo!»
Interrompemmo la comunicazione, e io tornai da Little Henry per scoprire se
ricordasse qualcosa di un ambiente con le pareti di pietra e il fondo di terra
battuta.
73

l nostro rientro in camera, Little Henry era già in piedi e chiedeva a

A gran voce i vestiti. Il camice dell’ospedale, in cui io mi sarei potuta


avvolgere tre volte e con cui mi sarei potuta legare due volte, non gli
arrivava alle ginocchia e gli lasciava la schiena scoperta sino in fondo.
Era un bel panorama, da cui distolsi la vista perché non spettava a me
restare a fissarlo a bocca aperta. Mi ero impegnata troppo a non fargli il culo con
l’ardeur per guardarlo adesso.
Comunque Henry non si rendeva conto che ci stava lasciando vedere tutto,
oppure se ne fregava. «Ho bisogno di vestiti!»
«Mr Crawford, lei è arrivato qui senza indumenti», replicò l’infermiera
bionda e minuta, alzando la voce fin quasi a urlare. Era stata lei a essere
catapultata attraverso la stanza, anche se Henry probabilmente non lo ricordava.
«Nello zainetto tattico ho una T-shirt di scorta», intervenne Nicky. «È più o
meno della tua misura.»
Coi lunghi capelli tutti scompigliati, Henry si girò verso di lui. «Grazie!»
«Però i miei pantaloni di scorta hanno il cavallo troppo piccolo.»
Mi girai verso l’infermiera, che lo stava guardando malissimo. «Può
procurargli un paio di calzoni di pigiama della sua misura?»
«Posso provare.» L’infermiera mi passò davanti, e nel momento in cui le
toccai un braccio mi scoccò un’occhiataccia.
«Grazie», le dissi.
«Per cosa?»
«Perché lei fa bene il suo lavoro. Henry non ricorda di averla spinta lontano
dal letto.»
Lo sguardo dell’infermiera s’intenerì un poco.
«Cos’ho fatto?» chiese Henry.
«Mentre eri posseduto dal vampiro, hai malmenato i medici e le infermiere»,
spiegai.
Allora Henry osservò l’infermiera, che aveva più o meno la mia corporatura,
però non era altrettanto muscolosa. «Mi dispiace moltissimo… Le ho fatto male?
E la prego di scusarmi se ho alzato la voce, adesso.»
Lei scosse la testa. «No, non mi ha fatto male. Ho soltanto qualche livido.
Accetto le sue scuse. Ora le cerco un paio di calzoni. Non possiamo lasciarla
andare in giro in T-shirt e basta.» Scoppiò a ridere come se avesse pensato a
qualcosa di divertente.
«Immagino che non abbiano neanche un paio di scarpe», considerai.
«Che numero porti?» chiese Nicky.
«Quarantasei.»
«Sei fortunato. Ho anche un paio di scarpe di ricambio, in macchina.»
«Lo apprezzo molto.»
«Nessun problema.»
«Non voglio essere puntigliosa, ma tu sei un civile, e noi andremo con la
SWAT», dissi.
«Conosco quasi tutti gli sbirri della città, Anita. Io e mio padre eravamo le
guide delle squadre di soccorso e li addestravamo alle operazioni nei boschi.»
Annuii. «Va bene. Però, se al loro arrivo non sarai pronto, non potremo
aspettarti.»
«Sarò pronto. Comunque non potete partire senza di me.»
«La SWAT porterà una mappa con la nostra griglia di ricerca.»
«Ho visto la stessa immagine che hai visto tu. So dove si nasconde.»
«Hai riconosciuto il posto?»
«Sì.»
«Spiegami dov’è. Lo riferirò agli altri.»
«Non lo troverete mai senza di me.» Henry divenne serissimo. «Hanno fatto
bene a volerci uccidere. Li avremmo scovati ovunque su queste montagne.»
Non lo corressi per avere usato il plurale perché non credevo che fosse stato
accidentale. In caso contrario, sarebbe stato un lapsus freudiano talmente grave
che se ne sarebbero dovuti occupare gli strizzacervelli quando lui fosse entrato in
terapia per disturbo post traumatico da stress.
«Può già indossare T-shirt e scarpe, se gliele vai a prendere», dissi a Nicky.
Lui scosse la testa. «In questo momento sono la tua unica guardia del corpo,
perciò devi venire con me. Oppure accompagneremo Henry giù alla macchina
quando gli avranno portato i calzoni.»
«Se ti dicessi che non mi succederà nulla fino al tuo ritorno, cosa
risponderesti?»
Prima di replicare, Nicky mi fissò con sguardo intenso. Dato il tipo che era,
fu davvero molto intenso. «Se fosse un film dell’orrore e ti lasciassi sola, al mio
ritorno saresti scappata o morta. Perciò restiamo insieme.»
«Vi ho sentiti parlare del motivo per cui gli zombie hanno bisogno di tanto
cibo e di come intendono procurarselo», intervenne Henry.
«Scusa…» Mi girai verso di lui. «Era ormai troppo tardi quando mi sono resa
conto che avresti potuto sentire, come succede a chi esce dall’anestesia.»
«Non ti preoccupare. Anzi, mi ha aiutato a riprendere conoscenza. Lui
intende cominciare da Boulder e dalle città circostanti.»
«E come?»
«Semplicemente continuando a destare i morti fino a quando non avranno
divorato tutti i vivi.»
«Vuole destare un esercito di non morti?»
Agitando i capelli lunghi e aggrovigliati, Henry scosse la testa. «Non un
esercito, semmai uno sciame di locuste non morte. Vuole uccidere il maggior
numero possibile di persone e nutrirsi di ciascuna morte. Si nutre di paura e di
morte.»
«Sapevo che in origine si nutriva di morte, ma non sapevo che fosse una
lamia.»
«Una specie di incubo?»
«Non esattamente. Sono chiamati così i vampiri che possono suscitare paura
nelle persone e nutrirsene a distanza. Possono anche provocare incubi e
nutrirsene. Forse è da questo che nasce il concetto di incubo. In ogni caso, è
un’illusione vampirica.»
«Mi ha mostrato cosa vuole fare in città.»
«In che modo?»
«Me l’ha mostrato nella mente. All’inizio l’ho visto soltanto nei sogni, poi ho
cominciato a vederlo anche durante la veglia, quando non ero ipnotizzato dalla
sua marionetta.»
«La vampira…»
All’improvviso, dopo avere annuito, Henry parve molto infelice. «Mentre ero
soggiogato mi appariva bellissima, tanto bella che non potevo non volerla. Lei
mi ha soggiogato con l’aiuto di lui, poi mi ha scopato o mi ha costretto a
scoparla.» Emise un’aspra risata.
«Non hai avuto scelta, Henry. Eri letteralmente ammaliato.»
«Per favore, chiamami Little Henry. Mio padre era chiamato semplicemente
Henry.»
«D’accordo, Little Henry. Dopo averli completamente soggiogati, i vampiri
possono costringere gli umani a fare tutto quello che vogliono loro.»
«Ho ricordi frammentari di quello che mi hanno fatto, ed è stato brutto, ma
ciò che mi hanno costretto a fare è stato anche peggio. E papà… lui…» Henry
distolse lo sguardo e curvò le spalle come se il ricordo fosse stato una percossa.
«Non cercare di ricordare, per oggi», consigliò Nicky.
«Ho dimenticato le cose vere, oppure ne ho un ricordo molto vago. I sogni
invece sono di una limpidezza cristallina. Erano il suo desiderio, il suo scopo»,
raccontò Henry. «Vuole trasformare tutti quanti in cadaveri ambulanti come lui.
Vuole popolare le strade della città di cadaveri ambulanti più veloci e intelligenti
dei normali zombie. Sapete come si dice di certa gente, che vuole soltanto
vedere il mondo bruciare?»
«Sì.»
«Be’, lui vuole vederlo morire.»
74

renda, l’infermiera, portò un paio di calzoni, una spazzola, un elastico

B per capelli e un paio di stivaletti; poi, mentre Little Henry, tolto il


camice, si mostrava tutto muscoloso e succulento, indossava calzoni e
stivaletti, si spazzolava i capelli e li raccoglieva in una treccia, lo
guardò come se fosse una merce in mostra da acquistare. Lui non se ne
accorse, ma Nicky sì. Ci scambiammo un’occhiata e un sorriso, poi
distogliemmo lo sguardo. Non era nostro compito fungere da paraninfi, e
sinceramente Henry in quel momento pensava soltanto alla vendetta.
In attesa della SWAT cercai invano di chiamare Edward, che si trovava in
qualche zona di montagna dove il suo cellulare non aveva campo. Lasciando
Nicky a chiacchierare con Henry, mi allontanai da lui quel tanto che bastava per
poter stare in disparte senza indurlo a seguirmi per proteggermi, poi chiamai
Claudia: in quanto nostro capo della sicurezza, doveva essere avvisata che Morte
d’Amour era vivo, nonché più potente e pazzo che mai.
«Tutto bene?» esordì Claudia, al secondo squillo.
Il suo tono mi colpì. «Sì… Ma qualcosa nella tua voce mi dice che non
dovrebbe essere così.»
«Seamus è scomparso.»
«Oh, stramaledettissimo bastardo figlio di puttana!»
«Che succede? È la tua imprecazione per le occasioni speciali. Sai forse
dov’è Seamus?»
«Può darsi…» Le rivelai che Morte d’Amour era il vampiro che stavamo
braccando.
«Dovrebbe essere morto…»
«I vamp capaci di spostarsi da un corpo all’altro sono duri da ammazzare, ed
è ancora più difficile accertarsi di averli davvero ammazzati. A quanto pare,
mentre io cercavo di farla fuori, la Madre di Tutte le Tenebre ha tentato di
trasferirsi dentro di lui per usarlo come via di fuga, ma io mi sono rivelata più
forte di quanto lei avesse previsto e la fuga non ha funzionato, o meglio ha
funzionato soltanto in piccola parte, e lui ha acquisito il potere che lei gli ha
ceduto.»
«Proprio com’è successo a te e a Jean-Claude…»
«Sì, con la differenza che lui sembra volersi servire del suo nuovo potere per
destare e creare il maggior numero possibile di zombie cannibali e di vampiri
putrescenti da scatenare contro gli umani.»
«Gran brutta situazione… Ma cosa intende fare con Seamus?»
«Morte d’Amour lo ha morso e lo ha soggiogato. Sfruttando la mia
connessione con le iene sono riuscita ad aiutarlo a difendersi, e probabilmente i
vincoli al suo master lo hanno aiutato a lottare meglio di quanto abbia fatto Ares,
però…»
«Tu credevi che il vamp fosse morto e che Seamus non fosse più
soggiogato», disse Claudia.
«Avrei dovuto chiamarti al primo sospetto che il vamp non fosse morto, ma
ero impegnata a cercare di salvare una delle nostre vittime umane, e… Oh, al
diavolo! Non ho più pensato a Seamus fino a quando non me ne hai parlato tu!»
«Credi che Morte d’Amour lo stia controllando?»
«Sì, lo credo.»
«Be’, cazzo…»
«Esatto.»
«I sicari dell’Arlecchino non saranno eccezionali come pretendono di essere,
però sono bravi, alcuni addirittura ottimi, e Seamus è uno dei migliori
combattenti», disse Claudia.
«Mi sono addestrata poco con lui. A quanto pare, i nostri orari non
coincidono. Come se la cava con le armi?»
«Non tentare il corpo a corpo con lui, Anita, è maledettamente veloce. Fredo
lo ha soprannominato ’Acqua’ perché è fluido e veloce. Tu spari meglio di lui.
Tutti e due siete abili col coltello, ma lui batte Fredo, e non nel senso che lo
ferisce, come fai tu, ma proprio lo sconfigge.»
«Merda!»
«Sì… Fredo è grandioso col coltello. Che io sappia, nessuno lo aveva mai
battuto.»
«Se saremo costretti a sparargli, il suo vampiro master potrebbe morire con
lui…»
«Lo so. Ma, se non gli sparerai, perderai, e lo stesso vale per Nicky, che è più
forte, ma non più veloce, né migliore nelle arti marziali. Stavamo pensando di
affidare a Seamus l’incarico d’insegnare arti marziali miste.»
«È dunque tanto bravo?»
«Temo di sì…»
«Be’, questa è veramente una situazione di merda.»
«Anita, devi riferire a Nicky che Seamus è l’ultimo con cui vorrei scontrarmi
davvero in un corpo a corpo. Assicurati che si renda conto di non doverlo
sottovalutare. Se ne ha una possibilità, deve coglierla e ucciderlo, perché non
gliene sarà concessa una seconda.»
«Glielo dirò.»
«Devo raccomandare la stessa cosa anche a te?»
«Cioè di non cercare di scambiare cazzotti con Seamus?»
«Sì, qualcosa del genere.»
«Credimi, Claudia… Se mai dovrò battermi con lui senz’armi, non sarà per
non avere cercato di ammazzarlo a fucilate!»
«Se rimanessi senz’armi non potresti affrontarlo e sopravvivere, Anita. Sei
brava, ma non sono sicura di poterlo sconfiggere neppure io, che sono più vicina
alla sua categoria di peso.»
«La SWAT verrà con noi.»
«Dove siete?»
«Nel parcheggio dell’ospedale, ad aspettare che la SWAT passi a prenderci.»
«Lisandro e Devil stanno uscendo adesso.»
«Se è così bravo, Seamus si mangerà Devil a colazione.»
«Sì, ma se io fossi un consigliere caduto in disgrazia vorrei ammazzare il
nuovo re vampiro d’America. Ecco perché tengo qui gente in gamba a
proteggere Jean-Claude.»
«Sono d’accordo.»
«Inoltre tu sarai accompagnata da una squadra SWAT. Sono parecchio in
gamba, per essere degli umani, ma non possono competere con la nostra
velocità.»
«Però anche l’addestramento conta.»
«Non devi difenderli con me, Anita. Rispetto gli agenti SWAT e le loro
capacità. Dico solo che sono umani, a differenza di Seamus.»
«Niente discussione, e scusa se mi sono messa sulla difensiva.»
«Parlerò con gli animali mannari dell’Arlecchino per scoprire se possano
riferirmi qualcosa di utile a proposito di Morte d’Amour.»
«Se ottieni qualcosa che può essere utile, chiamami.»
«Va bene.»
«Se la SWAT arriverà prima di Lisandro e di Devil, partiremo. Dobbiamo
sfruttare ogni istante di luce diurna.»
«Certo. Mando un messaggio a Devil per accertarmi che lui e Lisandro
abbiano capito.»
«Sai che sono contraria a coinvolgere Lisandro nelle operazioni più
pericolose perché ha famiglia. Come mai hai mandato proprio lui?»
«Il motivo lo sai, Anita», disse Claudia, senza alzare la voce, ma in tono di
reprimenda.
Sospirai. «Sì. Mi sono addestrata con Lisandro e l’ho visto affrontare gli altri.
Non è il più forte tra le nostre guardie del corpo, però è maledettamente veloce, e
fra tutti i praticanti di arti marziali miste, a eccezione forse di Pride, unisce
perfettamente rapidità, resistenza, forza e tecnica.»
«Ecco perché uno di loro ti accompagna e l’altro resta qui, per ogni
eventualità.»
«Non sarà un combattimento corpo a corpo tra campioni.»
«Probabilmente no, però se capitasse l’occasione d’indurre Seamus ad
affrontare Lisandro, lasciando tutti gli altri fuori dello scontro, io lo farei.»
«Vuoi assegnare lo stesso compito anche a Pride?» chiesi.
«No, abbiamo molte altre guardie, qui. Potremo sopraffarlo con l’abilità e col
numero.»
«Eppure tieni Pride con te per ogni eventualità…»
«Sì.»
«Manda qualcun altro anche da Micah.»
«Lo farò.»
«Proteggili per me.»
«È il mio lavoro», dichiarò Claudia.
«A proposito di lavori… Sta arrivando la SWAT…» Gesticolai agli agenti per
mostrare che avevo bisogno di parlare con loro prima di partire.
Allora smontarono dal loro Tahoe nero, tutti alti più di un metro e ottanta,
larghi di spalle, stretti di fianchi, simili a una squadra di atleti in armi e armatura.
Nella maggior parte dei casi gli agenti della SWAT e delle forze speciali sono
alti, atletici e sicuri delle loro capacità, quasi spavaldi, ma non è arroganza, è
semplicemente la consapevolezza che deriva dall’addestramento. Molti di loro
dedicano la vita a diventare i più duri, decisi e competenti fra tutti.
«Ammazzalo per noi, Anita», esortò Claudia.
«È il mio lavoro.»
«Sì. Lo so.»
Interruppi la comunicazione e mi recai a informare la squadra SWAT che
conoscevamo l’ubicazione esatta della tana del vampiro e che probabilmente un
altro licantropo era stato soggiogato come Ares. Se fosse accaduto di nuovo,
avrebbero cambiato le regole e non avrei più potuto essere accompagnata dai
miei amici pelosi.
75

ue cose ci trattennero nel parcheggio abbastanza a lungo perché

D Lisandro e Devil arrivassero e gettassero il loro equipaggiamento nel


bagagliaio del nostro SUV: la richiesta di Little Henry di avere in
prestito un’arma e la mia spiegazione di quello che era accaduto a
Seamus. Normalmente Little Henry si sarebbe sentito rispondere non
soltanto «No», bensì «No, cazzo!» Però lo conoscevano tutti e le sue capacità di
esploratore e di tiratore erano note a tutti. Inoltre era stato nelle forze speciali
con due agenti della squadra, Machet e Wilson, ovvero Machete e Willy, dato
che nella SWAT si usano molto i soprannomi, non soltanto ispirati dai cognomi.
Per esempio, il sergente Brock era Badger, pur non sembrando affatto un tasso, e
Yancey era Swan, anche se coi suoi capelli neri, un po’ ricci, e coi ridenti occhi
castani non assomigliava neanche lontanamente a un cigno.
«E così un altro tuo vicemarshal licantropo è diventato cattivo?» chiese
Yancey, scrutandomi in viso come se desiderasse una risposta negativa.
«A quanto pare, la iena è l’animale che risponde al richiamo di questo
vampiro master, che dunque riesce più facilmente a soggiogare le iene
mannare», spiegai.
«Qualcuno di voialtri ragazzi è una iena mannara?» domandò Yancey.
Devil alzò la mano. «Tigre.»
«Ratto», dichiarò Lisandro.
«Leone», disse Nicky.
«Quindi, se sarete morsi, non cercherete di ammazzarci?» intervenne Badger,
liscio e nero di pelle quasi quanto l’equipaggiamento che indossava.
«Con noi non correte rischi», assicurò Devil, sorridendo.
«Okay. Little Henry viaggia con noi, e durante il tragitto ci disegna una
mappa dettagliata. Prima di arrivare escogiteremo un piano d’irruzione.»
«Sergente, non vorrei essere troppo puntigliosa, ma il vampiro ha soggiogato
anche Little Henry. In altre parole, il fatto di essere umani non vi protegge.»
Il sergente toccò il crocifisso appuntato al giubbotto. «La mia fede mi
protegge.»
«Sì, anche la mia. Però avremo bisogno di un piano di riserva, se un servo
umano o uno zombie da lui posseduto ti sbranerà.»
«I vampiri sono la tua specialità, perciò dovrai essere tu a escogitare un piano
di riserva prima di arrivare a destinazione.»
«Farò del mio meglio.»
«Non chiedo altro.»
Lo scrutai per un momento, constatando che non scherzava. Si aspettava il
meglio, punto. «In sella, allora! Stiamo sprecando la luce del giorno!»
Il sergente e Yancey si scambiarono un sogghigno tra loro.
«Anche lei è una fan di John Wayne. Visto, Badger? Ti avevo detto che mi
piaceva!»
Badger annuì. «Montiamo in sella, dunque. Stiamo davvero sprecando la luce
del giorno!»
Con Nicky alla guida, io accanto a lui, Lisandro e Devil sul sedile di mezzo,
imboccammo la strada principale seguendo la squadra SWAT con Little Henry.
Eravamo alla periferia della città, in procinto di dirigerci sulle montagne,
quando una donna attraversò la strada di corsa davanti al Tahoe della SWAT.
Nicky vide accendersi le rosse luci di arresto e fu costretto a inchiodare per non
tamponarlo.
Uno zombie passò di corsa davanti alle due vetture, lanciato all’inseguimento
della donna in fuga.
«È quello che credo?» domandò Lisandro.
«Non è ancora buio», osservò Nicky.
«Ci risiamo», commentò Devil.
«Merda!» conclusi, afferrando la maniglia della portiera.
76

ell’aprire la portiera, udii la donna strillare. Mi sarebbe piaciuto

N moltissimo avere il tempo di escogitare un piano, una formazione,


qualcosa. Purtroppo quello che non avevamo era proprio il tempo.
Smontammo dal SUV e corremmo verso le grida, mentre la squadra
SWAT usciva dal Tahoe. Un agente gridò qualcosa, ma, se avessimo
aspettato, la donna sarebbe morta.
Avevo soltanto le pistole e i pugnali perché l’AR e il Mossberg erano rimasti
a bordo del SUV. Sarei stata pronta a scommettere che gli agenti SWAT si
stavano concedendo il tempo di munirsi dei loro fucili. Probabilmente avevano
ragione, ma lo zombie non strascicava i piedi barcollando, era veloce, e lo
sarebbe diventato ancora di più all’imbrunire.
Li trovammo in un vialetto tra due casette identiche. La donna strillava e
scalciava mentre lo zombie, standole a cavalcioni sui fianchi, le divorava un
braccio, tenendolo con le mani.
Sfoderai la Browning, mirai alla testa dello zombie e feci fuoco. L’impatto lo
squassò in tutto il corpo, ma lui si limitò a girare la testa a fissarci, con la bocca
scarlatta di sangue fresco e il braccio della donna stretto nelle mani putrescenti.
«Cristo santo!» gridò qualcuno alle nostre spalle.
Lo zombie continuò a masticare il boccone di carne come se non stessimo
accorrendo ad armi spianate. Era come gli zombie nel bosco e in ospedale. Non
aveva paura e non pensava a salvarsi. Non sarebbe scappato finché avesse avuto
carne da divorare. Nel braccio squarciato della donna i tendini e i muscoli erano
scoperti e il sangue scorreva a bagnare il mento e il torace dello zombie.
Quando gli sparai in mezzo agli occhi, la testa scattò all’indietro con un foro
tondo nella fronte, ma lo zombie si chinò sul braccio della vittima per azzannarlo
di nuovo. Quasi a bruciapelo gli sparai in bocca due volte, tre volte, fino a
fracassargliela e a maciullargli quasi tutta la testa. Perfino senza bocca lui
continuò a cercare di mordere, mentre la donna continuava a strillare.
«Fatelo a pezzi e medicate la donna», ordinai agli agenti della SWAT, che nel
frattempo ci avevano raggiunti, armati di fucili.
«Impartisco io gli ordini, Blake», ricordò Badger.
«Benissimo, decidi pure cosa vuoi fare, sergente. Noi andiamo a prendere i
fucili, poi torniamo qui ad aiutarvi con la donna e con lo zombie, se lo troviamo
ancora intero.» Mi girai e mi allontanai, seguita da Nicky. Invece Devil esitò per
qualche istante e Lisandro ci raggiunse di corsa quand’eravamo quasi al SUV.
«Non riesco a credere che tu abbia abbandonato la donna così», dichiarò
Lisandro, mentre prendevamo i fucili dal bagagliaio.
«Gli agenti SWAT sono addestrati a prestare cure di pronto soccorso; se
siamo fortunati, tra loro c’è un paramedico.» Mi appesi l’AR alla spalla con la
tracolla tattica e infilai il Mossberg nel portafucile modulare. In periferia
preferivo il fucile d’assalto al fucile a pompa. Aggiunte le munizioni di scorta,
fui pronta.
Nel tornare di corsa al luogo dell’aggressione udimmo colpi di arma da
fuoco. Machete stava sparando allo zombie per tenerlo lontano e Badger stava
fasciando il braccio alla donna, che aveva perso conoscenza, forse per lo shock o
forse per l’emorragia. Yancey e Willy sorvegliavano il perimetro nell’eventualità
che si facessero vivi altri zombie. Agivano in modo molto organizzato e
protocollare.
«Gentile da parte tua unirti alla festa, Blake», commentò Badger.
«Se ci fossimo attardati a prendere i fucili, lo zombie avrebbe potuto uccidere
la donna prima del nostro arrivo», replicai.
«Voi restate con la squadra, salvo ordini diversi. È chiaro, Blake?»
«Ho sentito.»
Finalmente Machete ridusse lo zombie a qualcosa che a stento riusciva a
strisciare. Senza fuoco non si poteva fare di meglio. Non usai una delle granate
che avevo nelle tasche dei pantaloni tattici, perché uno zombie in fiamme
avrebbe potuto correre dentro una casa e incendiarla prima di bruciare
abbastanza da rimanere immobile. È dura lavorare nei sobborghi, dove ci sono
tanti obiettivi sensibili.
«Dobbiamo portare la donna in ospedale», annunciò Badger.
«Sì, e tanti saluti alla caccia ai vampiri…»
Badger mi fissò in maniera molto ostile. «Non possiamo abbandonarla in
queste condizioni.»
«Lo so, e sono pronta a scommettere qualunque somma che questo zombie
non è solo e che in questo stesso momento ce ne sono altri impegnati ad
aggredire altri cittadini.»
«Credevo che gli zombie non potessero agire alla luce del giorno.» Machete
si avvicinò col fucile in mano, non imbracciato.
«Non amano la luce, però possono andare in giro di giorno, o almeno
possono farlo molti di loro, anche se sono più lenti e un po’ più confusi. Dopo il
tramonto saranno più veloci e più letali.»
«Questo mi sembrava già maledettamente veloce», commentò Machete.
Annuii. «Infatti lo era.»
«È stato il vampiro, vero?» chiese Yancey.
«Sì, è stato lui… Dobbiamo portare la donna in ospedale e proteggere i
cittadini di Boulder dai cadaveri ambulanti, perciò non arriveremo sulle
montagne prima dell’imbrunire.»
«Stai dicendo che questa è stata una diversione?»
«Sì.»
«Come può destarli mentre si trova a chilometri di distanza?» chiese Willy.
«Bella domanda! Non credo che abbia destato oggi questi zombie. Credo che
stia usando quelli che aveva già destato da tempo. Ha deciso di sacrificarli per
creare una diversione e impedirci di arrivare al suo vero corpo. Distruggerlo è
l’unico modo per ucciderlo e per impedire che continuino a succedere queste
cose.»
«Sei stata la prima ad accorrere, Blake, quindi non eri disposta a lasciarla
morire per avere la possibilità di uccidere il vampiro.»
Osservai Badger sollevare di peso la donna bendata e tenerla in braccio come
se fosse una bambina. «No, non avrei potuto proseguire e lasciarla crepare così.
È proprio su questo che il vampiro fa affidamento.»
«Se tu avessi proseguito lasciandola a morire, non saresti stata umana.»
«Salvando lei e gli altri civili che gli zombie stanno aggredendo in questo
momento, lasciamo al vampiro il tempo di far spostare altrove il suo corpo da
uno dei suoi servi, rinunciando all’opportunità di eliminarlo una volta per tutte, e
ci saranno comunque persone che perderanno la vita. Sarà questo il prezzo da
pagare.»
«Probabilmente hai ragione. Comunque sono contento che abbiamo salvato
questa donna.»
Sospirai. «Anch’io, maledizione…»
77

itornati alle vetture, scoprimmo che Little Henry era scomparso.

R «Maledizione!» esclamò Badger. «Gli avevo detto di rimanere qui.»


«Eccolo!» annunciò Yancey.
Nicky indicò. «Là!»
Vidi Little Henry arrivare di corsa, sfruttando le sue lunghe gambe
per divorare terreno il più rapidamente possibile. Portava qualcuno in spalla
come un sacco di patate ed era inseguito da due zombie.
«Andate a salvargli il culo!» ordinò il sergente Badger. «Poi dovremo correre
subito in ospedale.»
Gli agenti SWAT guardarono noi e noi guardammo loro.
«Noi ci occupiamo degli zombie», decisi. «Voi pensate ai civili.»
«Roger», approvò Yancey.
Per smembrare gli zombie volevo il Mossberg, ma decisi di lasciarlo al sicuro
nel portafucile modulare e di estrarlo soltanto al momento del bisogno, perché
per correre dovevo tenere l’AR appeso alla tracolla tattica, in modo da evitare
che oscillando mi s’impigliasse tra le gambe. Impugnando i fucili d’assalto, io,
Devil, Lisandro e Nicky corremmo incontro a Little Henry, e i quattro agenti
SWAT non tardarono ad affiancarci.
D’un tratto gli zombie parvero temere che la preda fosse in procinto di
sottrarsi alle loro grinfie e accelerarono; non ne avevo mai visti di così veloci.
Accelerai anch’io, sfruttando i miei poteri come avevo fatto nel bosco, e i miei
uomini mantennero facilmente l’andatura. Anche se avevano tutti le gambe
molto più lunghe e avrebbero potuto distanziarmi facilmente, mi rimasero
accanto perché avevo un piano e avrei detto loro cosa fare. La gente addestrata
ama chi ha un piano, e gli resta accanto finché continua ad avere un piano e a
prendere decisioni. Gli agenti SWAT invece rimasero indietro: benché allenati,
erano umani e non potevano eguagliarci.
Incrociammo Little Henry, che con la donna in spalla correva a lunghe falcate
verso la squadra SWAT, e proseguimmo incontro agli zombie. Lasciai pendere
l’AR dalla tracolla tattica, bloccandone le oscillazioni con la mano sinistra,
sfoderai il Mossberg con la destra e per qualche istante corsi coi due fucili in
pugno, affiancata da Nicky, anche lui con due fucili in mano. A breve distanza
dagli zombie mi fermai e lasciai l’AR per imbracciare il Mossberg, imitata da
Nicky, mentre gli zombie continuavano a correre verso di noi.
«Destra!» gridai.
«Sinistra!» gridò Nicky.
Sfracellai un ginocchio allo zombie di destra, che barcollò e crollò insieme
con quello di sinistra falciato dalla fucilata di Nicky. Subito entrambi si
rialzarono ringhiando e si gettarono contro di noi. Centrate quasi a bruciapelo
dalle nostre fucilate, le loro calotte craniche esplosero. Loro barcollarono senza
fermarsi. L’attimo successivo furono centrati al busto da Lisandro e da Devil,
che nel frattempo li avevano affiancati; ma, dato che non sentivano paura né
dolore perché erano già morti, gli zombie si rialzarono. Io e Nicky li
decapitammo, Lisandro e Devil maciullarono le loro gambe con rapide raffiche
di fucile. Allo stesso modo e nello stesso ordine spappolammo le mani e le
braccia. I resti dei corpi smembrati e ridotti in poltiglia cominciarono a strisciare.
«Queste cose non rinunciano mai, eh?» Devil fissava gli avanzi di zombie
con quella che avrebbe potuto essere paura. Comunque cercava di nasconderla e
aveva svolto il proprio compito alla perfezione.
«No, mai», confermai.
«Sarà una lunga notte», profetizzò Lisandro.
Annuii. «Puoi dirlo forte.»
78

l pronto soccorso lasciammo la donna che avevamo salvato e quella

A che era stata soccorsa da Little Henry. Scoprimmo altre vittime ferite
dagli zombie, inclusi due agenti di polizia. Stavano arrivando
chiamate da tutta la città. Per il momento gli zombie aggredivano
soltanto singolarmente o in coppia, però restava ancora un’ora di luce
prima che facesse buio. Sarei stata pronta a scommettere che allora gli zombie
sarebbero comparsi a gruppi più numerosi, com’era accaduto nel bosco, e i
comuni cittadini, che non erano addestrati e armati come noi, si sarebbero trovati
a mal partito. Cazzo! Perfino un agente di polizia in servizio da solo avrebbe
avuto difficoltà contro più di uno zombie! Occorrevano gruppi armati che
sapessero agire in squadra e che sapessero come sparare. E anche così, quando
gli zombie avessero attaccato in forze soverchianti, noi saremmo stati… be’,
soverchiati.
Mentre Lisandro e Devil parlavano con gli agenti SWAT e Nicky attendeva a
breve distanza, io, immobile, ignoravo l’andirivieni, il vocio e i rumori del
pronto soccorso. Chi si può chiamare quando ci si trova davvero a dover
sopravvivere a un’apocalisse zombie? Be’, io sapevo esattamente chi chiamare.
«Ted, ricordi quando ti sei lamentato perché c’era un’apocalisse zombie e
non ti avevo invitato?»
«Sì.»
«Be’, considerati invitato.»
Lui ridacchiò, come ridacchiano certi uomini quando si dice loro qualcosa di
erotico.
«Sei eccitato… Dopo quello che abbiamo visto in ospedale e nel sotterraneo,
questa faccenda ti eccita…»
«Sì.»
«C’è qualcosa che non va in te. Lo sai, vero?»
«Lo so. Dimmi dove sei.»
Chiesi l’indirizzo esatto a Devil, che aveva il GPS nel cellulare, per poi
riferirlo a Edward. «Dovremo continuare a spostarci da un pronto soccorso a un
altro.»
«Va bene. Arriviamo non appena possibile.»
«Ah… Ted?»
«Sì?»
«Porta il lanciafiamme.»
«Davvero?» Di nuovo Edward ridacchiò in modo sensuale. «Non mi stai
prendendo in giro, questa volta?»
«Arrivano rapporti di aggressioni zombie da tutto il circondario ed è ancora
giorno. All’imbrunire diventerà anche peggio.»
«Dici sempre le cose più belle», replicò Edward, ancora con quella risatina
cupa, profonda e sensuale.
«Conversazioni come queste sono una delle ragioni per cui la gente pensa che
andiamo a letto insieme.»
«Può darsi…»
«Qualcuno lì da te ha detto qualcosa che non ti piace su di noi o su di me, e tu
lo stai schernendo.»
«Farei mai una cosa del genere?»
La frase era innocente, ma il tono in cui Edward la pronunciò non lo fu
affatto. Se reagiva così, qualcuno senza dubbio si era comportato o aveva
commentato in modo tale da farlo davvero incazzare. Sapeva che certe dicerie
danneggiavano più la mia reputazione che la sua. La gente si aspetta che i
maschi siano bastardi affamati di sesso. È il solito vecchio preconcetto: «I
ragazzi sono ragazzi, si sa». Invece le ragazze disinibite sono puttane. È una
mentalità diffusa, la odio e non la capisco. Cioè, se avere una vita sessuale attiva
e disinibita è una brutta cosa, perché non giudicare gli uomini allo stesso modo
delle donne? Lo stesso vale se la si considera una bella cosa.
«Arriva più presto che puoi, e fammi sapere quale degli agenti che sono con
te ti ha fatto incazzare, così tra un massacro di zombie e l’altro ti aiuto a fargliela
pagare.»
«Dici sempre cose così dolci, tu…»
Scoppiai a ridere e interrompemmo la conversazione ridendo tutti e due.
Erano molte le ragioni, se io e Edward eravamo amici.
79

uando Yancey e il sergente Badger si avvicinarono, Nicky ci

Q raggiunse.
«Se distruggessimo il corpo del vampiro, tutto questo finirebbe?»
chiese Badger.
«Credo di sì.»
«Non è una risposta molto precisa», osservò Yancey, con un sorriso che non
riusciva a cancellare la preoccupazione nei suoi occhi.
«Questo vampiro sta facendo cose che non credevo possibili, quindi la cosa
migliore che posso dire è che penso che possa funzionare. Tuttavia eravamo
convinti che il suo corpo fosse già stato distrutto da un altro marshal in un’altra
città, e vedete anche voi quali sono le conseguenze.»
«Perché non ha funzionato?»
«Perché questo vamp può impossessarsi dei corpi dei vampiri che ha creato e
degli zombie che ha destato, e devo ammettere che il suo potere sugli zombie è
una novità perfino per me.»
«Quindi si è trasferito in un altro corpo… Perché distruggere quello che ha
lasciato dovrebbe liquidarlo?» chiese Badger.
«Perché è il suo corpo originale. Se lo distruggessimo, non potrebbe più
saltare da un corpo all’altro. Potrebbe funzionare anche se lo costringessimo a
rimanere nel corpo che occupa attualmente abbastanza a lungo da poterli
distruggere entrambi.»
«La squadra di Hatfield è vicina al luogo indicato sulla mappa da Little
Henry, quindi potrebbe compiere una deviazione e andare a distruggere il corpo
originale.»
Riflettei sull’opportunità d’inviare Hatfield ad affrontare Morte d’Amour,
magari anche Seamus, e mi sembrò un modo eccellente per farla ammazzare.
«Non è una bella espressione quella che stai facendo», osservò Yancey.
«Cosa c’è che non va?»
«Ditemi una cosa… Little Henry è ancora deluso perché avete trasmesso la
sua mappa col cellulare e gli impedite di partecipare?»
«Sì», confermò Badger.
«Ma non è per questo che stai facendo quella faccia. Non te ne frega niente se
Henry è deluso», insistette Yancey. «A cosa stai pensando, in realtà?»
«Cosa sei? Un esperto delle mie espressioni facciali?»
«Sta imparando a capirti molto in fretta», commentò Lisandro.
Corrugando la fronte, mi girai a fissarlo.
Lisandro sorrise. «È la pura e semplice verità.»
«Benissimo. Non voglio mandare al massacro Hatfield e gli agenti che sono
con lei.»
«Non farai nulla del genere», assicurò Badger. «Sarai qui con noi ad aiutarci
a salvare vite, mentre lei cercherà di fare quello che potrebbe porre fine a tutto
questo prima che la situazione ci sfugga di mano.»
«Inoltre, Blake, devi smetterla di credere di essere l’unica a poter salvare il
mondo», aggiunse Yancey. «Devi lasciare una possibilità anche agli altri.»
«Hatfield è competente», riprese Badger. «Mandale un messaggio con tutte le
informazioni che reputi necessarie perché possa portare a termine la missione e
lascia che faccia il suo lavoro. E adesso voglio che tu ci dica tutto quello che sai
sugli zombie cannibali.»
«Sugli zombie in generale potrei dirvi un sacco di cose, ma gli zombie
cannibali sono così rari che se ne sa veramente poco.»
«Allora dicci quello che sai», insistette Badger. «È sempre più di quanto ne
sappiamo noialtri.»
Annuii. «Quando farà notte saranno più veloci, più forti e più difficili da
uccidere.»
Gli agenti si scambiarono un’occhiata.
Con un sospiro, Badger si passò una mano sui capelli cortissimi. «Cosa può
ammazzarli?»
«Il fuoco. Bisogna farli esplodere in piccolissimi pezzi e poi bruciare i
pezzi.»
«Che ne dite degli artificieri?» suggerì Nicky. «Chi sa disinnescare un
ordigno sa anche costruirne uno.»
«Questa è una buona idea», approvò Badger.
«Non è mica giusto», protestò Yancey. «Sei così grosso da sembrare capace
di esercitarti alla panca con un autocarro, e sei anche sveglio!»
Nicky sogghignò. «Non sono soltanto un bel faccino.»
Sorridemmo tutti, e avevamo bisogno di tutti i sorrisi che eravamo capaci di
racimolare per affrontare la nottata. O forse questo era soltanto il parere del mio
lato pessimista… Un momento, io non ho nessun lato ottimista! Era soltanto la
mia innata gioiosità!
«Ci sono anche i disinfestatori», dissi. «Ogni azienda ne ha almeno uno,
addestrato ad applicare misure estreme di disinfestazione.»
«Quanto possono essere estreme?» chiese Yancey.
«L’ultima volta che ho affrontato uno zombie assassino, sono andata nel
cimitero a cercare la tomba originale assistita da una squadra di disinfestatori
munita di lanciafiamme per ogni eventualità.»
«Quale vantaggio avresti ricavato dal trovare la tomba da cui era uscito lo
zombie?» domandò Badger.
«Un indizio su chi lo aveva destato avrebbe potuto condurci al suo
nascondiglio diurno, oppure avrebbe potuto rivelarci perché era diventato
cannibale. Molti zombie cannibali sono spinti da un impulso di vendetta. Se si
permette loro di vendicarsi, spesso tornano a essere normalissimi zombie che
barcollano strascicando i piedi.»
«E questi sono motivati da un desiderio di vendetta?»
«Molti zombie violenti sono vittime di omicidio. Escono dalla tomba spinti
principalmente dalla volontà di vendetta e uccidono chiunque cerchi di
ostacolarli. Alcuni arrivano a divorare persone che non hanno mai fatto loro
nulla di male quand’erano in vita. Comunque nessuno sa perché certi zombie
assassini uccidano strangolando o picchiando, senza neanche cercare di divorare
le loro vittime.»
«E sono tutti vittime di omicidio?» chiese Yancey.
«Può darsi… Molti di quelli che abbiamo potuto identificare erano persone
scomparse, perciò… Sì, credo di sì… Ma il punto è che tutti dovrebbero cercare
di ammazzare chi li ha ammazzati, e una volta uccisi i loro assassini dovrebbero
diventare innocui.»
«Sono stati uccisi da vampiri putrescenti, vero?» chiese Nicky.
«Oppure da altri zombie assassini…»
«Quindi, se si desta uno zombie assassinato da un altro zombie, lui non può
uccidere il proprio assassino perché è già morto…»
«Per uno zombie normale dovrebbero esserci due eventualità: potrebbe non
destarsi bene e quindi essere pacifico, oppure essere spinto da una brama di
vendetta insaziabile. Gli zombie che non possono vendicarsi perché i loro
assassini sono già morti continuano a uccidere freneticamente e senza sosta fino
a quando non li si brucia.»
«Stiamo forse dicendo che tutti gli zombie destati da questo vampiro
putrescente sono in cerca di una vendetta che non possono ottenere perché i loro
assassini sono già morti e di conseguenza massacrano tutti quelli che
incontrano?» domandò Yancey, corrugando la fronte come nello sforzo mentale
di comprendere la situazione.
«Penso che tu abbia fatto centro. La differenza è che questi zombie sembrano
essere controllati dal vampiro, anche se gli zombie assassini non obbediscono a
nessuno e sono imprevedibili.»
«Non è possibile destare uno zombie da usare come arma?» domandò
Yancey.
«Sì», rispondemmo in coro io e Nicky, scambiandoci un’occhiata subito
dopo.
La notte in cui ci eravamo conosciuti avevo salvato me stessa scatenando
contro i cattivi gli zombie di un intero cimitero, che loro stessi mi avevano
costretta a destare, minacciando di morte me e Micah, Nathaniel e Jason, senza
considerare che mettere tanti zombie a mia disposizione avrebbe spostato gli
equilibri a mio favore.
«Secondo la tradizione popolare, i sacerdoti vaudun sono capaci di destare
uno zombie e di scatenarlo contro i loro nemici», spiegai agli agenti SWAT.
«Vaudun, cioè vudù?» chiese Badger.
«Stessa religione, parole diverse. Di solito preferisco dire vaudun perché è
meno probabile che ricordi alla gente i mostri del cinema. Se si dice ’vudù’,
nella mente della gente scatta subito il pregiudizio. Invece si tratta di una
bellissima religione, i cui fedeli sono per la maggior parte rispettosi della legge.»
«Tutto questo significa che gli zombie vedono i vampiri, in particolare i
vampiri putrescenti, come già morti?» domandò Yancey.
Scrollai le spalle. «Presumo di sì, altrimenti andrebbero in cerca dei loro
assassini.»
«O forse non hanno ancora trovato i loro assassini», suggerì Nicky.
«In che senso?»
«Se consegnassimo loro i due vampiri arrestati, per consentire loro di
ammazzarli, quelli che sono stati uccisi da loro tornerebbero a essere zombie
normali?» domandò Nicky.
«Non lo so», ammisi.
«Hai detto che uno zombie assassino che non riesce a vendicarsi del proprio
omicida inizia a uccidere e a divorare tutti quelli che incontra…»
«Sì.»
«Allora, se consegnassimo i vampiri agli zombie, non è possibile che una
parte di costoro smetta di uccidere?»
«È possibile, ma significherebbe ignorare i diritti dei vampiri e condannarli a
essere smembrati e sbranati. Di solito i vamp sono molto più difficili da uccidere
degli umani, quindi impiegherebbero molto più tempo a crepare e soffrirebbero
molto di più. Sarebbe un modo di morire veramente orribile.»
«Esatto», convenne Nicky, in un tono che significava: E con questo?
Yancey suggerì: «Se fosse l’esecuzione di un mandato e se servisse a salvare
decine e decine di vite…»
«Saresti capace di consegnare qualcuno a cose come quella che abbiamo
visto oggi?» gli chiese Badger.
Yancey scrollò le spalle. «Era una pura e semplice idea… Stiamo soltanto
raccogliendo informazioni per decidere una strategia, mi pare.»
«Sono vampiri putrescenti», ricordò Nicky. «La donna sembrava preferire la
morte all’incapacità di assumere forma umana.»
«Dovrebbero avere due forme, una delle quali totalmente umana e attraente,
come quella che avevano in vita», spiegai.
In quel momento Devil si avvicinò, affiancato da Lisandro, e sorrise. «Come
mai siete tutti quanti tanto seri?»
«Stiamo discutendo se consegnare i due vampiri arrestati agli zombie delle
vittime che hanno assassinato, in modo che gli zombie si vendichino e che
smettano di uccidere gente innocente», riferii.
Sgranando gli occhi, Devil impallidì.
«Chi ha avuto questa bella idea?» chiese Lisandro.
«Io», rispose Nicky.
«Sei un morboso bastardo figlio di puttana», dichiarò Lisandro.
«Sì, lo sono», replicò Nicky, per niente turbato da quel giudizio spassionato.
«Non avrete intenzione di farlo davvero?» chiese Devil.
«No, perché sono cittadini tutelati dalla legge», risposi.
«Non lo sarebbero, se Anita stabilisse che hanno commesso alcuni omicidi
mentre non erano posseduti dal master», insistette Nicky.
«Avrebbero comunque i loro diritti», ribadii.
«E comunque dovrebbero essere giustiziati. Che differenza fa impalarli
durante il giorno o darli in pasto a quelli che hanno assassinato?»
«Sarebbe un’interessante applicazione del contrappasso», commentò Yancey.
«Sono persone, con tutto ciò che questo implica, oppure non lo sono»,
dichiarò Devil. «Non è possibile riconoscerli come tali e battersi affinché la
legge garantisca loro una seconda possibilità di vivere, e poi rinnegare tutto e
mentire per togliere loro questa stessa seconda possibilità.»
«Presumo che ti stia riferendo a me», replicai.
«Sì, perché il mandato di esecuzione è tuo, e tu sei l’esperta di vampiri. Se
decidi che hanno perpetrato una serie di omicidi senza essere stati costretti a
commetterli, allora sono condannati a morte.»
«Il marshal che detiene il mandato ha completa discrezione sul metodo con
cui eseguirlo», aggiunse Nicky.
«È vero?» domandò Yancey.
«Sì», risposi.
«Dunque puoi infliggere loro qualsiasi tortura, purché alla fine muoiano?»
chiese ancora Yancey.
«Sì.»
Olaf, alias marshal Otto Jeffries, torturava i vampiri prima di ucciderli. La
tortura era il suo «hobby», e il distintivo e i mandati gli consentivano di sfogare
legalmente quella passione. Avevamo motivo d’interrogarci sulla natura del
nostro lavoro, se un serial killer lo considerava un ottimo sfogo.
«Sembra che tu abbia ricordato qualcosa di brutto…»
Scossi la testa. «Cerco di essere umana quando uccido, quindi mettiamo da
parte questa idea fino al momento della disperazione.»
«Non arriveremo mai a essere tanto disperati.» Devil mi scrutò con
espressione molto seria.
«Se è un negromante così potente come credo che sia, potrebbe destare
decine e decine di zombie», avvertii.
«E gli zombie in obitorio?» ricordò Nicky.
«A che cosa alludi?»
«Erano tutti vittime di omicidio?»
«Non lo so.»
«Se non lo fossero stati, che cosa significherebbe?» domandò Yancey.
«Che tutti gli zombie destati da questo vampiro si trasformano in assassini.»
«Sta ordinando loro di uccidere», affermò Nicky.
Annuii.
«Be’, la situazione non fa altro che migliorare di momento in momento»,
commentò Yancey.
«Non è forse necessario un rituale per destare gli zombie dalla tomba?»
chiese Badger.
«Sì», confermai.
«Dunque è probabile che questo negromante abbia bisogno di compiere un
rituale. Potremmo sfruttare questa conoscenza per scovarlo?»
«Non lo so con certezza. Se ne ha bisogno, allora, sì, potenzialmente questo
mi consentirebbe di rintracciarlo.»
«In che modo?»
«Conosci il vecchio detto secondo cui c’è più di un modo per scuoiare un
gatto?»
«Sì.»
«Be’, c’è più di un modo per destare uno zombie, e c’è anche più di un modo
per scovare un negromante.»
«Hai avuto un’idea, dunque», osservò Nicky.
«Può darsi…»
«Può darsi che sia meglio di niente, perciò sentiamo di cosa si tratta», esortò
Badger.
Spiegai loro il mio «può darsi».
«Faresti da esca. Quindi, come tuo bodyguard, voto no», dichiarò subito
Lisandro.
«Non è mica un’esca», obiettò Nicky.
«Ha escogitato la versione metapsichica di buttarsi in mezzo a una rissa e
gridare: ’Prendetevela con me! Fatevi sotto!’ Be’, questo è fare da esca», ribatté
Lisandro.
«Il vampiro lo penserà senz’altro, e il punto è proprio questo», osservò
Nicky.
«Dunque, farà da esca.»
«No, sarà una sfida. Anita scommette di essere la negromante più grande, più
grossa e più cattiva.» Ancora una volta, Devil mi scrutò in viso con estrema
serietà.
«Non voglio smorzare i vostri entusiasmi, ma… E se qualcosa andasse
storto?» domandò Yancey. «E se il più grande, grosso e cattivo fosse il
vampiro?»
«Non è lui», garantì Nicky.
Non ero altrettanto fiduciosa, però confidavo che Morte d’Amour non
avrebbe saputo resistere alla tentazione d’indagare, qualora avessi destato un
mio piccolo esercito di zombie, e così si sarebbe distratto da Hatfield e dalla
squadra SWAT impegnate nella ricerca del suo corpo originale. Così forse non vi
sarebbe rientrato al cadere della notte e non avrebbe ammazzato tutti quanti. Se
Hatfield fosse riuscita a distruggere il corpo originale e se io fossi riuscita a
intrappolarlo nel corpo che occupava attualmente in città e a distruggerlo, lo
avremmo ucciso. Dovevamo ucciderlo perché dovevamo fermarlo, e non poteva
essere più fermo che da morto.
80

l cimitero era uno dei più grandi e antichi della città. Si poteva osservare il

I trascorrere degli anni nel mutare delle lapidi, da quelle ornate di belle
statue di angeli a quelle del tutto disadorne e di più facile manutenzione.
Era una sorta di archeologia visibile, come abbracciare alcuni secoli con un
unico sguardo e abbassare gli occhi dal cielo al suolo, dove la praticità
aveva il sopravvento su Dio e su tutti i suoi angeli.
Il tramonto era una distesa spettacolare di rosa, viola e cremisi brillanti come
luci al neon, come se una regina della disco-music avesse dipinto il cielo col
rossetto, incendiandolo. Dubito di avere mai visto un cielo più sgargiante al
crepuscolo.
Presi la mano di Nicky, che mi era accanto a guardare il tramonto. Il piano
sarebbe anche potuto fallire, perciò avevo deciso di non rinunciare all’intimità
coi miei ragazzi; se gli altri sbirri mi avessero presa in giro per questo motivo,
pazienza. Ci attendeva uno scontro come quello dell’ospedale, ma con molti più
zombie e nessun corridoio a contenerli. Se centinaia di zombie assassini si
fossero destate, il cimitero sarebbe stato uno dei luoghi più sicuri della città,
oppure uno dei più pericolosi. In ogni caso, lo avremmo scoperto soltanto
quando fosse stato troppo tardi.
«I tramonti sono sempre così da queste parti», commentò Yancey.
Mi girai a guardarlo senza lasciare la mano di Nicky, che dunque si girò con
me, com’è tipico delle coppie, che quasi sempre guardano nella medesima
direzione. «Davvero?»
«Si può pensare che alla lunga i tramonti spettacolari diventino noiosi, invece
non succede mai», intervenne Badger.
La squadra SWAT era rimasta con noi nell’eventualità che il piano
funzionasse e che il grosso vampiro cattivo arrivasse. Willy si era appostato su
un luogo elevato e faceva quello che i tiratori scelti sanno fare meglio, cioè
aspettava un mio segnale per sparare al cattivo. Machete era con lui per
proteggerlo nel caso in cui uno zombie si fosse avvicinato furtivamente e avesse
cercato di divorarlo mentre si accingeva a sparare.
«Come si potrebbe mai trovare noioso qualcosa di così bello?» commentò
Devil.
«Molte persone smettono di percepire quello che vedono troppo di frequente,
sebbene sia meraviglioso», spiegai.
Devil scosse la testa. «Non lo capisco.»
«Mi piace che tu non lo capisca.»
Incerto, Devil sorrise. «Si smette di apprezzare le cose meravigliose della vita
soltanto perché le si vede tutti i giorni?»
«No.» Mi girai verso Nicky e mi alzai in punta di piedi per baciarlo
gentilmente, attirando un’occhiata sorpresa e alquanto compiaciuta che mi fece
sorridere. Sapeva che evitavo le manifestazioni d’affetto in pubblico alla
presenza della polizia, soprattutto coi miei amanti secondari. Poi mi avvicinai a
Devil, gli posai le mani sulle braccia, lo scrutai nel bel viso dagli occhi castani
orlati d’oro e d’azzurro, e mi alzai in punta di piedi, invitandolo a chinarsi per
baciarmi. «Non mi stanco mai delle cose meravigliose della mia vita», spiegai
dopo il bacio, tenendogli le mani sulle braccia. «Ti stimo molto per essere qui
con noi anche se hai paura degli zombie.»
«Sono la tua guardia del corpo, Anita. Se me ne andassi proprio ora, farei
proprio schifo nel mio lavoro.»
Sorrisi. «In effetti…»
«Mi sento completamente trascurato», intervenne Lisandro. «Non sono
meraviglioso anch’io?»
«Mi è stato riferito che tua moglie e i tuoi figli ti considerano
meravigliosamente meraviglioso.»
Lisandro sogghignò. «Non posso negarlo.»
«Io non sono sposato», dichiarò Yancey. «Posso avere un bacio?»
«So di avere cominciato io, baciando più di un uomo sul lavoro, ma non
lasciare che le mie smancerie ti vadano alla testa.»
«Ti assicuro che non mi sono andate alla testa.»
Soltanto dopo qualche istante mi resi conto che aveva risposto con un doppio
senso e scoppiai a ridere. «Dovrei arrabbiarmi, ma questa è stata sottile!»
«Grazie.» Yancey sogghignò. «In effetti, è venuta bene.»
«Le tue feste sono sempre le migliori», esordì Edward, con la più allegra
voce di Ted, nell’attraversare il prato insieme con due agenti SWAT.
Sapevo che gli altri due agenti della sua squadra, un tiratore scelto e la sua
scorta, si erano appostati su un altro punto elevato, imitando Willy e Machete. Il
dipartimento di polizia aveva assegnato parecchi dei suoi uomini migliori alla
realizzazione del mio piano «può darsi» e io speravo che salvassimo la pelle tutti
quanti.
Per prima cosa, Edward ci presentò i due agenti che lo accompagnavano.
Alto quanto Devil, di una magrezza quasi emaciata, Lindell era soprannominato
Paris. Nessuno spiegò per quale ragione a un tipo brutto come lui fosse stato
affibbiato il nome della città dell’amore, e io non lo domandai perché ho
imparato che i soprannomi sono qualcosa di personale, talvolta di molto
personale, soprattutto tra gli agenti delle squadre speciali. Alto poco più di un
metro e ottanta, rosso di capelli, pallido e lentigginoso, solido e compatto,
Shrewsbury era un concentrato di energia pronto a esplodere a comando; il suo
soprannome era Strawberry, abbreviato in Berry.
Col sorriso radioso di Ted, Edward mi si avvicinò.
«Se non hai portato il lanciafiamme, m’incazzo», gli dissi.
«È nel bagagliaio, Anita. Sai che, se dico una cosa, la faccio.»
Sorrisi e lanciai un’occhiata a Paris, perché Edward con un occhiolino quasi
impercettibile mi aveva indicato che era stato lui a scocciarlo a proposito della
nostra presunta relazione amorosa, tanto da indurlo a schernirlo. «So che
mantieni sempre le promesse, Ted.» Aggiunsi un sorriso al tono beffardo e mi
accorsi che Devil mi fissava, perplesso. Avevo completamente dimenticato di
avere promesso a Ted di aiutarlo a deridere lo scocciatore, quindi avevo
dimenticato di dirlo ai miei ragazzi. Oh, be’… «Ascoltatemi tutti, è molto
importante. Al tramonto arriveranno in volo alcuni vampiri. Sono miei intimi
amici e compagni, quindi non scambiateli per cattivi e non sparate.»
«Come distinguiamo un vampiro da un altro?» chiese Paris.
«Stai forse dicendo che tutti i vampiri sono uguali?»
Paris corrugò la fronte. «Sto dicendo che il nostro principale sospettato è un
vampiro, perciò come faremo a riconoscerli?»
«I tre che si uniranno a noi arriveranno letteralmente volando, cioè
scenderanno dal cielo grazie al loro potere. Invece il vamp cattivo non può
volare, a quanto ne so.»
«Credevo che fosse soltanto fantasia… Intendi dire che possono volare
davvero?»
«Alcuni vamp master sanno levitare. Il volo vero e proprio è molto raro, ma
questi tre ne sono capaci.»
«Chi arriva a giocare con noi?» chiese Edward.
«Wicked, Truth e Jane, che non hai ancora conosciuto.»
«Una vampira di nome Jane?» chiese Paris.
«Sì.»
«Credevo che tutti i vampiri avessero nomi esotici, tipo Jean-Claude, o quelli
che hai appena nominato… Wicked e Truth.»
Sembrava proprio che Paris non riuscisse a smettere di parlare abbastanza a
lungo per cominciare a pensare. Forse il soprannome non gli derivava da Parigi,
bensì da Paride, che aveva provocato la guerra di Troia.
Non fu lo spegnersi del tramonto ad annunciarmi che arrivava la notte. Fu
come premere un interruttore interiore e riuscire a respirare più agevolmente
l’aria rarefatta, o allentare finalmente una tensione accumulata per tutto il giorno.
Sentendo Jean-Claude destarsi per la notte, seppi che aveva aperto gli occhi e
che percepiva la fredda brezza notturna sul mio viso. Non invidiavo Claudia, che
aveva il compito di spiegargli ogni cosa.
Sentii anche Wicked e Truth diventare consapevoli della notte e di tutte le sue
possibilità. Claudia li avrebbe informati che erano stati offerti come volontari per
guardarmi le spalle e per fungere da mia batteria metapsichica. Se fosse arrivato
Seamus, loro due e Lisandro ci avrebbero forse consentito di sconfiggerlo senza
sparargli a vista col rischio di uccidere anche Jane, la sua master. Per evitare ciò
avremmo cercato a tutti i costi di non sparargli, a meno di non esservi costretti.
Quando sentì crepitare la radio, Badger parlò al microfono assicurato al
giubbotto: «Roger». Poi si rivolse a me. «Stiamo ricevendo rapporti su branchi
di zombie.»
«Quanto numerosi?»
«Tra cinque e venti, secondo i testimoni, perciò è probabile che siano in
realtà dieci o quindici.»
Il mio telefono squillò e io riconobbi la suoneria. «Jean-Claude…»
«Cos’hai fatto, ma petite?»
«Il mio lavoro.»
«Sai che sarei stato al tuo fianco…»
«Ne ho parlato con Claudia. Abbiamo saputo da alcuni dei bodyguard più
antichi che, se tu fossi qui con me di persona, Morte d’Amour potrebbe sfidarti
per diventare re di tutti i vampiri. Sarebbe un rischio troppo grosso, e tu lo sai.»
«Potrei sostenerti col mio potere…»
«Sì, ma se rimarrò ferita tu avrai la capacità di mantenermi in vita con la tua
energia. Se invece rimanessimo feriti entrambi, saremmo fottuti davvero.»
Jean-Claude rise, di quella meravigliosa risata palpabile che sembrava
accarezzarmi come se fosse la sua stessa mano, facendomi rabbrividire. «Dici
sempre le cose più dolci…»
«Sai che ho ragione.»
«Vorrei poterlo negare e recarmi in volo accanto a te.»
«Ti amo.»
«Je t’aime, ma petite.»
«Stanotte, quando arriva, bacia Asher per me.»
«Non arriverà stanotte. Tutte le strade che conducono alla città e tutti gli
aeroporti sono stati chiusi. È stata mobilitata la guardia nazionale.»
«Una piccola apocalisse zombie e chiamano i grossi calibri…»
«Il grosso calibro sei tu, ma petite.»
«Non puoi vedermi, ma sto sorridendo.»
«Lo sento, che stai sorridendo.»
Una folata gelida che non era di vento notturno mi fece accapponare la pelle.
«Sento vampiri in avvicinamento. Devo andare. Je t’aime, mon fiancé.»
«È la prima volta che mi chiami così. Ti amo, ma petite.»
Feci il segnale concordato per annunciare una presenza vampirica, sperando
che i tiratori scelti rammentassero che non significava necessariamente una
presenza cattiva. Nel protendermi verso il potere riconobbi Wicked e Truth, e
concentrandomi sentii l’aria sui loro corpi mentre volavano verso di me. Se non
fossero stati vincolati a Jean-Claude da un giuramento di sangue e se non fossero
stati miei amanti, non sarei mai riuscita a individuarli con tanta precisione.
Tuttavia mi appartenevano, e io ero perfettamente consapevole di ciò che
possedevo.
Anche Jane era vincolata a Jean-Claude dal giuramento di sangue; quando la
cercai, percepii in un lampo che era una vampira e che era vicina, null’altro.
Dunque non dipendeva dalla connessione con Jean-Claude. La mia capacità di
percepire con tanta ampiezza e precisione Wicked e Truth dipendeva forse dal
fatto che erano miei amanti e che nutrivo l’ardeur con loro? In seguito avremmo
potuto chiarirlo e compiere qualche esperimento che mi permettesse
d’individuare ciò che distingueva i vampiri che potevo rintracciare da quelli che
non potevo rintracciare.
Tesi, gli agenti SWAT posarono le mani sulle armi all’atterraggio dei vampiri.
Edward non fece una piega: non era la prima volta che assisteva allo spettacolo.
Truth toccò il suolo qualche istante prima di Wicked. Entrambi si rannicchiarono
per assorbire l’impatto e si raddrizzarono, alti e belli, pressoché identici in viso.
Wicked indossava un ampio trench sopra un completo elegante; Truth jeans neri
infilati in autentici stivali rinascimentali risuolati di recente e giacca di pelle nera
sopra una T-shirt nera con la scritta NON PREOCCUPARTI, SONO PROPRIO DIETRO DI
TE E TI USO COME SCUDO UMANO. La seconda parte della frase era in corpo più
piccolo. Nell’avvicinarsi, Wicked aveva un sorriso malizioso e Truth un sorriso
di sincera felicità nel vedermi.
Dato che stavo per chiedere loro di rischiare la vita non come guardie del
corpo bensì come i famigli di una strega, andai loro incontro porgendo le mani.
Si scambiarono un’occhiata e le presero tra le loro dita. Allora infilai le braccia
sotto il trench e sotto la giacca per cingerli ai fianchi, accarezzando la T-shirt di
cotone e la camicia di seta. Mi fissarono coi visi identici abbelliti dalle fossette
sul mento, poi mi abbracciarono, l’uno le spalle, l’altro la schiena.
«Non che mi lamenti, ma… Come mai sei tanto espansiva?» chiese Wicked.
«Vi sto chiedendo molto, stanotte.»
«Siamo le tue guardie del corpo, Anita. Se le nostre vite ti occorrono, sono
tue», disse Truth.
Li strinsi più forte a me. «Non voglio le vostre vite.»
«Qualunque cosa tu voglia, l’avrai», promise Truth.
«Tutto ciò che la nostra signora chiede», aggiunse Wicked.
«Ecco perché vi abbraccio!»
Con l’ampio mantello nero che si gonfiava nella brezza, Jane atterrò come
una guerriera ninja, poi gettò indietro il cappuccio a rivelare i capelli biondissimi
e i grandi occhi azzurri. Gli uomini rimanevano affascinati dalla sua delicata
bellezza fino al momento in cui non assaggiavano la sua gelida spietatezza. Era
alta circa come me, delicata ma formosa, perché era stata reclutata in un’epoca in
cui una magrezza eccessiva significava povertà o malattia. Era taciturna e
riservata come tutti i sicari dell’Arlecchino, tanto gelida e controllata quanto
Goran e il suo master erano teste calde incapaci di controllarsi. Scivolò verso di
noi, col mantello gonfio e ondeggiante che sembrava dotato di vita propria. Non
so come ci riuscisse, però era l’unica dell’Arlecchino a creare quell’effetto
melodrammatico col mantello. Come Seamus era Acqua a causa della sua grazia,
così lei era Ghiaccio, perché nulla la turbava. Era inesorabile e paziente come un
ghiacciaio ed era circonfusa da qualcosa di alquanto spaventoso. Non mi aveva
mai fatto niente di male, non era mai stata neppure sgarbata con me, eppure la
trovavo inquietante.
Mi sciolsi dall’abbraccio a Wicked e Truth per andare incontro a Jane e mi
scusai per avere posto a repentaglio l’animale che rispondeva al suo richiamo.
«Mi dispiace che Seamus sia stato compromesso…»
«Stava svolgendo il suo lavoro», replicò Jane, gelida.
Okay, tanti saluti ai convenevoli. «Riesci a percepire Seamus?»
«Sì.»
«È ancora vincolato a te?»
«Sì e no.»
«In che senso?»
«Morte d’Amour non ha spezzato completamente il nostro legame. È quasi
come se condividessimo Seamus, e questo non è possibile.»
«Se Seamus arriverà, avrai occasione di riconquistarlo completamente. Ma se
tenterà di combatterci… Non possiamo lasciare che questo accada, Jane.»
«Lo capisco. È troppo pericoloso…»
«Ti rendi conto delle conseguenze?»
«Se lui morisse, potrei morire anch’io; anzi, è quasi una certezza, ora che la
nostra Madre Tenebrosa è morta e non condivide più il suo potere con noi», disse
Jane. «Noi, le sue guardie del corpo, siamo molto indebolite.» Il tono della sua
voce rimase immutato, quasi stesse chiacchierando di ciò che avremmo fatto
l’indomani se non avesse piovuto.
«Mi dispiace, però non posso essere dispiaciuta della ragione per cui è
successo.»
«Lo capisco.»
«Okay, allora, ti presento a tutti…»
Così feci, e Paris fu l’unico a tentare di flirtare con Jane, che lo guardò come
se fosse meno di nulla, un foruncolino sul culo dell’universo, di cui a lei non
sarebbe potuto importare di meno. Gli agenti SWAT rimasero turbati da Wicked
e Truth per la stessa ragione per cui erano rimasti turbati da Devil, Nicky e
Lisandro, cioè non erano abituati a incontrare uomini che suscitavano in loro
l’interrogativo: Riuscirei a vincere? Nonostante la loro cordialità, vidi che
Wicked se n’era accorto. Non avrei saputo dire se anche Truth se ne fosse
accorto, o se non gliene fregasse nulla. Se ce ne fosse stato il tempo, Wicked li
avrebbe provocati un po’, con gentilezza, solo per divertirsi.
Mi accingevo a tentare una cosa che nessun risvegliante avrebbe mai osato
tentare, a parte pochissimi, i quali però avrebbero avuto bisogno di compiere un
sacrificio umano per riuscirci, e quindi avrebbero commesso un crimine, dal
momento che i sacrifici umani sono molto illegali. Tuttavia mi era capitato più di
un caso in cui il potere aveva desiderato dilatarsi all’esterno del cerchio tracciato
affinché lo zombie destato non ne uscisse e nulla vi entrasse. Ci sono cose capaci
di possedere i cadaveri, soprattutto se sono freschi, e di abbandonarli soltanto
quando iniziano a marcire. In passato avevo destato accidentalmente cimiteri
interi e c’era stata gente che era morta all’interno del cerchio perché il potere lo
aveva spezzato, dilagando in tutto il cimitero. Una volta mi era successo senza il
cerchio protettivo, ma col sostegno di un vampiro. Era proprio quello che mi
proponevo di ripetere, questa volta senza oppormi al potere, anzi, lanciandolo a
briglia sciolta. In altre parole, intendevo destare volontariamente il maggior
numero possibile di zombie. Volevo allettare Morte d’Amour affinché venisse a
giocare con me. Credeva che avere dentro di sé un po’ del potere della Madre di
Tutte le Tenebre lo rendesse il più grande, grosso e cattivo negromante, e io
intendevo fare tutto quello che potevo per dimostrargli che ero io la migliore.
Avevo bisogno che si avvicinasse abbastanza da poterlo chiudere all’interno di
un cerchio. Poi non avrei dovuto fare altro che tenerlo intrappolato nel corpo di
cui si serviva e avvisare Hatfield di bruciare il corpo originale. Lei non lo aveva
ancora scovato, però aveva trovato la vecchia miniera abbandonata in cui era
nascosto. Era un vero labirinto, come aveva detto Little Henry. Pregavo che
Hatfield lo trovasse prima dell’arrivo di Morte d’Amour, altrimenti saremmo
stati fottuti tutti quanti. Per poterlo uccidere, bisognava bruciare entrambi i corpi.
Essere allo scoperto avvantaggiava i tiratori scelti e al tempo stesso ci
esponeva all’eventuale tiro nemico, ma Seamus non era granché col fucile e
l’Amante della Morte non usava armi da fuoco. Se ci avesse uccisi, lo avrebbe
fatto per mezzo degli zombie o dei vampiri putrescenti, nulla di così preciso e
pulito come un proiettile.
Nicky mi si avvicinò per sussurrarmi: «Che stai aspettando?»
«Credo di avere paura.»
«Paura di non farcela?»
«No, paura di farcela.»
«E questo ti spaventa?»
Sospirai profondamente e risposi con assoluta sincerità: «Per anni ho
combattuto la mia negromanzia, per evitare di fare proprio quello che adesso mi
accingo a fare volutamente».
«Cioè creare un tuo esercito di non morti?»
Annuii.
«Cosa ti spaventa di più?»
«La possibilità che mi piaccia troppo.»
«Va bene gioire di quello che siamo bravi a fare, Anita.»
«Gioire di certe cose non va affatto bene, è pericoloso.»
«Nel senso che non dovresti godere nel ferire o nell’ammazzare la gente?»
«Sì, esatto.»
«Ti senti in colpa per qualcuno che hai ucciso?»
«No.»
«Neanch’io. E adesso fai quello che devi fare, Anita. Libera il potere dalla
gabbia e scopri fin dove arriva.»
«E se si allontanasse tanto da non poter più essere rimesso in gabbia?»
«L’esercito di zombie sarà controllato da te, perciò saranno zombie buoni,
perché tu sei la mia bussola morale e indichi sempre il nord. Non permettere ai
tuoi dubbi e ai problemi altrui d’indurti a pensare altrimenti.»
«Sei sicuro di essere sociopatico?»
«Sicurissimo. Perché?»
«Perché non credevo che i sociopatici fossero bravi a confortare.»
«Sappiamo essere bravissimi a confortare, perché trascorriamo la vita a
fingere per mimetizzarci e per impedire a chiunque di sospettare che non
abbiamo idea del motivo per cui le persone sono gentili l’una con l’altra.»
«Ti rendi conto che questo non è del tutto confortante, vero?»
«Sì, ma con te non devo fingere. Sai già che sono sociopatico, e mi ami
comunque.»
Edward si avvicinò. «Scusate se interrompo, ma perché questo indugio?»
«È colpa mia», ammisi. «Mi preoccupo di cose che non dovrebbero
preoccuparmi.»
«Vuoi un po’ di aiuto per schiarirti la mente?»
Scossi la testa. «Sto bene. Mi ha aiutato Nicky.»
«Anita ha uno di quei momenti in cui si chiede cosa succederebbe se uccidere
fosse piacevole», dichiarò Nicky. «Si chiede se questo la renderebbe una cattiva
persona.»
Edward annuì come se fosse un discorso del tutto sensato. «Allora è
piacevole. Non possiamo controllare quello che fa scattare i nostri interruttori.
Non giudicare, Anita. Accetta e basta.»
Avrei voluto discutere, ma sarebbe stato più che stupido discutere coi due
sociopatici della mia vita. «Perché mai espongo i miei dilemmi morali a voi
due?»
«Perché in realtà non hai nessun dilemma morale a proposito della violenza,
Anita. Semmai hai paura di essere giudicata male perché ne godi, quindi ne parli
con le uniche due persone della tua vita che non ti giudicano.»
Mi fu impossibile discutere con Edward, anche se avrei voluto. «Be’,
cazzo…»
«Vai a destare zombie come quella negromante spaccaculi che sappiamo che
sei.» Edward mi accarezzò la testa, ben sapendo che è una cosa che odio.
«Non vezzeggiarmi!»
«Scusa. Se hai bisogno di conforto, posso aiutarti, altrimenti fai il tuo lavoro,
in modo che l’esercito di non morti del malvagio negromante non si divori tutta
la simpatica popolazione di Boulder.»
«Se lo faccio, sono la negromante buona, oppure semplicemente un’altra
negromante cattiva?»
«Sei la nostra negromante. E adesso vai a giocare coi vampiri e a destare un
po’ di zombie!»
«Benissimo! Voi ragazzi trasferitevi altrove.» Così andai a prendere i miei
vampiri e ad abbracciare la mia negromante interiore, sperando che fosse quella
buona.
81

olti risveglianti hanno bisogno di pratica e di addestramento per

M destare i morti. Io mi ero sottoposta all’addestramento per smettere


di destarli involontariamente, come mi era capitato a quattordici
anni col mio amato cane che era tornato dalla morte a sdraiarsi sul
mio letto, con gli animali investiti sulle strade che mi seguivano
come se fossi stata un Pifferaio Magico da incubo, e infine, al college, con un
professore che dopo essersi suicidato si era recato in camera mia, in dormitorio,
per pregarmi di dire a sua moglie quanto era dispiaciuto. Mi chiedevo se gli
zombie che si vedevano di quando in quando camminare a passi strascicati lungo
le strade, soli e barcollanti, fossero destati involontariamente da risveglianti privi
di addestramento quale ero stata io stessa un tempo. Avevo imparato a destare i
morti con le tecniche tradizionali, cioè formule, acciaio, unguento e sacrificio di
sangue, di solito quello di una gallina. Tuttavia non ne avevo nessun bisogno. Ne
aveva avuto bisogno il risvegliante che mi aveva addestrata. In seguito, nelle
situazioni di emergenza, avevo scoperto che quei metodi per me erano pura
apparenza.
Col lanciafiamme appoggiato a una lapide, Edward attendeva nell’ombra. Se
ne sarebbe servito soltanto se io fossi riuscita a intrappolare Morte d’Amour
all’interno del cerchio di potere. Se si fosse presentato nel corpo di uno zombie,
l’avremmo fregato. Se invece avesse scelto un vampiro putrescente, sarebbe
stato più difficile: è molto più arduo tracciare un cerchio di potere capace
d’impedire a un vampiro di uscire, o di entrare. Credevo di poterci riuscire,
purché smettessi di avere paura di me stessa. Nel fresco della notte, con Truth e
Wicked alle mie spalle, mi resi conto di avere ancora paura di chi ero, di cosa
ero; c’era ancora una parte di me che avrebbe scelto un talento diverso. La
negromanzia mi aveva donato tante cose che mi rendevano felice, eppure avrei
voluto essere «normale», se la magia avesse potuto rendermi tale. Così però non
avrei avuto Jean-Claude, né Nathaniel, né Micah, che erano stati attratti dalla
capacità di avere animali che rispondevano al mio richiamo, sviluppata grazie ai
marchi vampirici di Jean-Claude. Nessuno di coloro che mi rendevano felice
avrebbe fatto parte della mia vita se non avessi avuto la negromanzia: neppure
uno. Ero felice, più felice di quanto fossi mai stata prima, e questa felicità mi
permise di abbandonare paure e dubbi e decidere di accettarmi davvero,
completamente, semplicemente fidandomi di me stessa.
Mi girai e abbracciai di nuovo i due vampiri, lasciandomi coccolare per un
po’ sui loro petti e poi sollevando il viso per essere baciata da Wicked,
gentilmente, sulle labbra, e poi da Truth, dapprima dolcemente, quindi con la
lingua, in modo così profondo e bramoso che lasciai Wicked per abbracciare
strettamente soltanto lui e rispondere al bacio con tanto trasporto da perdere il
controllo e dimenticare che era un vampiro e che aveva zanne acuminate. Così
assaporai la dolcezza metallica del sangue.
Con un gemito soffocato e inarticolato, Truth divenne ancora più
appassionato e mi sollevò di peso, staccandomi dal suolo. Smarrita nel bacio,
appesa a lui, coi piedi ciondolanti, chiamai la mia negromanzia, anche se
«chiamare» non è il verbo esatto, perché implica lusinga o comando, come con
un cane riluttante. Più che altro smisi di trattenerla, lasciai che attraversasse il
mio corpo e che dalla mia bocca passasse nel vampiro che mi stava baciando.
Gridando, Truth si staccò dalla mia bocca, col labbro inferiore gocciolante di
sangue. Mi girai a baciare Wicked, che mi stava dietro ad arricciarmi i capelli, e
anche lui piacque alla negromanzia. Mentre i risveglianti possono destare
soltanto gli zombie, i negromanti possono dominare tutti i non morti. Non meno
appassionato del fratello, Wicked fu tutto bocca, lingua, denti, e mi fece
sanguinare un altro po’, intrecciando passione, sangue e negromanzia.
D’un tratto i due vampiri crollarono in ginocchio, e io toccai il suolo che
ricopriva le tombe. Nello stesso istante la mia negromanzia inondò la terra in
cerca dei morti.
Dilagando come le onde concentriche suscitate da un sasso gettato in acqua,
il mio potere colpì le tombe a una a una, finché la terra non iniziò a ondeggiare
come le acque di un lago. Le grida di alcuni agenti sbalorditi parvero giungere
da una remota lontananza. Mentre Wicked e Truth rimanevano aggrappati a me, i
cadaveri nel sottosuolo divennero sempre più reali per me, perché erano morti e
il mio potere ama la morte.
«Omioddio», sussurrò.
«Sì…» Mi alzai, accarezzata da Wicked aggrappato a me da dietro e tenendo
per mano Truth.
Le tombe ondeggiarono e gli zombie, spinti a galla dal mio potere, emersero
senza doversi arrampicare. Non sembravano zombie né cadaveri. Sembravano
persone eleganti convenute a un funerale.
Non fu sufficiente. Il mio potere trovò un altro cimitero e ne destò tutti i
defunti.
Ancora non fu sufficiente. Per la prima volta non protestai e non mi ritrassi.
Abbracciai la bella sensazione di trovare i morti e di chiamarli a me, perché è
questo quello che faccio. Li destai tutti e dissi loro di venire a me, consapevole
che pure i più lontani iniziavano a camminare lentamente nella mia direzione.
Come ferro attratto da un magnete, la mia negromanzia trovò il vampiro
all’estremità opposta della città. Anche il suo potere mi cercava. In quel
momento mi resi conto che il potere di lei era dentro entrambi, frammentato, e
voleva ricomporsi integralmente.
Lui giunse a me per questo, e anche perché era morto e tutti i morti sono
attratti dai negromanti. Entrò nel cimitero nel corpo di uno zombie, uno tra
molti, ma spiccando putrescente tra quelli intatti. Arrivò col primo gruppo di
zombie da me chiamato.
«Il mio potere ti riconosce», annunciò.
«Abbiamo in noi il potere della Tenebra Vivente.»
«Sì.»
Allora accaddero contemporaneamente due cose. Con l’occhio della mente io
tracciai un ampio cerchio luminoso. Staccandosi dalla notte come una scheggia
di oscurità, Seamus balzò verso di me. Truth e Wicked mi fecero scudo coi loro
corpi, mentre Jane travolgeva Seamus e in un turbine di tessuto nero rotolava al
suolo, lottando con lui.
«Hai tracciato un cerchio di potere», constatò Morte d’Amour. «Come hai
potuto, senza sangue a sigillarlo?»
«Sono una negromante moderna. È tutta questione di scorciatoie.»
Lui non capì, e non ebbe importanza.
«Hatfield è pronta!» gridò Edward.
«Vai!»
Un breve sibilo, uno schiocco esitante, e io mi gettai al suolo, sulla schiena,
tirandomi dietro Wicked e Truth. Eravamo supini e timorosi di muoverci quando
il fuoco guizzò sopra di noi come alito di fiamma, così rovente che le onde di
calore scintillarono nella ribollente aria notturna.
Morte d’Amour fu avvolto dalle fiamme. Dapprima non urlò, poi proruppe in
uno strillo inarticolato e infine gridò: «Il mio corpo! State distruggendo il mio
corpo! No! Metà del potere della Madre muore con me! Nooooo!» In fiamme,
spiccò la corsa verso di me.
In argentea tuta ignifuga, Edward lo intercettò.
Con uno schiocco, un ronzio e un soffio, la fiammata investì Morte d’Amour.
Lui fuggì al bordo del cerchio e parve sbattere contro un muro invisibile e
invalicabile. Là, strillando, bruciò fino a morire.
Nel frattempo, Seamus era stato immobilizzato da Jane e Lisandro, illesi, da
Devil, con un braccio che pendeva inerte da una spalla ferita, e da Nicky, col
volto imbrattato di sangue.
Quando le fiamme furono finalmente estinte, decapitammo il cadavere e
strappammo dal torace il cuore annerito, simile a un pezzo di carbone. Infine
separammo la testa, il cuore e il corpo infilandoli in tre sacchi mortuari. In
seguito li avremmo ridotti in cenere e li avremmo sparsi in tre diversi corsi
d’acqua. Sì, operammo alla maniera della vecchia scuola per annientare l’ultimo
dei più potenti vampiri della vecchia scuola. Prima, però, fu necessario
provvedere agli zombie.
Aprii il cerchio di potere per sentirli tutti, non più soltanto i miei, perché
ormai anche quelli creati da lui mi appartenevano. Attendevano passivamente
che li restituissi al sonno eterno. Mi rivolsi a Truth e Wicked. «Mi occorre
sangue fresco…»
Sempre tenendomi per mano, Truth crollò in ginocchio. «Mia signora, se ti
occorre, il mio sangue è tuo!»
«Stavo pensando al mio sangue…»
Perplesso, Truth tacque.
«Ci stai invitando a succhiare il tuo sangue?» chiese Wicked.
«Sì.»
«Vieni a destra, Truth. Io a sinistra.»
«È passato molto tempo dall’ultima volta che abbiamo condiviso così…»
«Troppo tempo.»
«Sinistra e destra di cosa?» domandai.
«Del tuo bel collo.» Wicked ne accarezzò il lato destro.
Immaginare loro due che si nutrivano di me nello stesso momento fece
contrarre qualcosa in basso nel mio corpo e fece bagnare qualcos’altro. Promisi a
me stessa che lo avremmo rifatto con più intimità e con più sesso. In quel
momento avevo bisogno esclusivamente di sangue e di potere.
Gentilmente, Truth davanti e Wicked dietro, mi baciarono, leccarono e
titillarono il collo finché non implorai: «Fatelo, vi prego!»
«Ci piacerebbe rifarlo in privato una di queste notti», confessò Truth.
«Ci ho già pensato, perciò… Sì, senz’altro. Adesso, però… Zombie!»
Entrambi strofinarono il viso sul mio collo, quindi mi abbracciarono,
abbracciandosi l’un l’altro.
Nel percepire la loro tensione mi sforzai di restare rilassata, perché senza una
maggiore quantità di preliminari e di sesso avrebbe potuto essere doloroso.
Emisi un lungo sospiro tremante quando conficcarono simultaneamente le loro
zanne nelle mie carni. Il dolore fu acuto e immediato; poi, non appena iniziarono
a succhiare, si trasformò in piacere, tanto che provai a inarcare la schiena e loro
me lo impedirono per evitare che le zanne mi squarciassero la gola negli spasimi
di una serie di piccoli orgasmi. Immaginando che mi stessero succhiando in quel
modo nel fare sesso, mi cedettero le ginocchia. Loro mi sostennero e
continuarono a succhiare.
«Con la parola, con la volontà e col sangue, vi vincolo alle vostre tombe»,
dissi, mentre Wicked e Truth succhiavano il mio sangue. «Tornate laggiù e non
camminate mai più.»
Gli zombie esitarono. Qualcosa che si celava ai confini delle cose attraversò i
loro occhi e scomparve come un’ombra sulla luna. Tornarono tutti alle loro
tombe e vi si sdraiarono. Come un mare, la terra si sollevò ondeggiando a
inghiottirli, poi si spianò e riacquistò la propria solidità. Sembrava che nulla
avesse mai turbato quelle sepolture.
Quando tutti gli zombie che percepivo erano di nuovo a dormire nelle loro
tombe, smisi di cercare di essere coraggiosa e lasciai che le mie gambe
cedessero. Wicked e Truth mi distesero al suolo e mi cullarono. Non avrei saputo
dire con certezza se fosse per la perdita di sangue o per avere finalmente
scoperto i limiti della mia negromanzia, ma mi sentii all’improvviso spossata.
Il sergente Badger si avvicinò. «Tutti gli zombie sono scomparsi. Sono
tornati nelle loro tombe. Ottimo lavoro, Blake.»
Annuii e riuscii a dire: «Grazie…»
Accovacciandosi accanto a noi, Edward si tolse il cappuccio argenteo della
tuta ignifuga e mi guardò, sogghignando. «Allora, chi è la più grande, grossa e
cattiva negromante?»
Sorrisi. «La qui presente.»
«Puoi ben dirlo.»
82

uella stessa notte il dipartimento di polizia ha subito una perdita che è

Q stata molto dolorosa anche per Micah.


Dopo avere consegnato a Hatfield una mappa dettagliata, il
vicesceriffo Al Truman è rincasato e si è sparato in bocca, lasciando
una lettera in cui ha raccontato di avere trovato per puro casa la tana
dei vampiri durante le ricerche delle persone scomparse e di essere stato
controllato da loro a partire da quel momento. Era stato lui ad aiutare i vampiri a
entrare nelle case di montagna. Era lui la persona fidata cui gli anziani coniugi
avevano aperto la porta nella speranza di ricevere aiuto. Assistere alla lenta
agonia di Rush Callahan in ospedale lo aveva aiutato a iniziare la lotta per
liberarsi, ma era stata quell’ultima invasione nella casa di persone conosciute da
sempre a suscitare in lui il discernimento sufficiente a ribellarsi nell’unico modo
che gli sembrava possibile, ossia accertandosi di non poter più essere costretto a
nuocere a nessuno.
Morte d’Amour non aveva mai neppure pensato di proibire ad Al di
suicidarsi. Nei film e nei romanzi i vamp molto antichi sono sempre
parzialmente desiderosi di morire o di essere liberati dalla loro maledizione, ma
io non ho mai osservato sentimenti simili in nessun vampiro master, anzi, ho
sempre constatato in tutti il desiderio di continuare a vivere in eterno. Dunque
non era mai neppure passato per l’anticamera del cervello a Morte d’Amour che
Al potesse imboccare l’unica via d’uscita che gli era rimasta.
Con l’annientamento di Morte d’Amour, l’infezione ha cessato di diffondersi
nell’organismo del padre di Micah e, senza che i medici siano in grado di
spiegarlo, è stato possibile combatterla con gli antibiotici. Chirurgia e terapia gli
restituiranno l’uso del braccio sinistro, anche se forse non del tutto. Quando si è
saputo della felice convivenza a tre è scoppiato un piccolo scandalo, meno grave
del fatto che lo sceriffo Callahan non dimorava davvero nella sua città.
Comunque nel vedere Bea, Ty e tutti i ragazzi raccolti intorno al letto a piangere
di felicità ho pensato che tutto andrà bene, che troveranno una soluzione a tutti i
problemi.
In virtù di uno dei maggiori benefici della licantropia, Nicky e Devil sono
guariti alla perfezione. Seamus non sembra soffrire conseguenze per la
possessione, e il suo rapporto con Jane è tornato alla normalità. Ricordando
quello che la stessa Jane ha detto a proposito del suo indebolimento, ho pensato
che, come il potere dei nostri seguaci cresce col crescere del potere di Jean-
Claude e mio, così quello dei sicari dell’Arlecchino cresceva insieme con quello
della Madre di Tutte le Tenebre, e adesso, con noi, è diminuito. Insomma, hanno
ragione! Ciò spiega perché, nonostante la loro bravura eccezionale, non sono
all’altezza dell’antica reputazione di superguerrieri ninja pressoché
indistruttibili. Sembra che abbiano perduto la loro fonte di potere perché non
sono vincolati a Jean-Claude e a me, che siamo la nuova fonte di potere,
com’erano vincolati alla Madre di Tutte le Tenebre.
Abbiamo scoperto inoltre che molti vampiri sicari dell’Arlecchino abusano
degli animali che rispondono ai loro richiami. Abbiamo trovato una
strizzacervelli specializzata disposta ad assistere pazienti soprannaturali e
abbiamo mandato in terapia le coppie dell’Arlecchino. Non sono sicura che tutti
capiscano il senso di tutto ciò e non so quanto sia dura la terapia. Comunque tutti
si recano regolarmente agli incontri, e io lo considero un successo.
Tornato a St. Louis la notte successiva, Asher ha lasciato in camera d’albergo
Kane, il suo amante iena mannara, per poter incontrare tutti noi. Sinceramente
mi aspettavo che ci rinfacciasse di avere trovato qualcuno che desidera
esclusivamente lui… però, se non ce lo ha presentato subito significa che ha
riflettuto, che è stato previdente e che lo considera davvero importante. Vuole
che noi piacciamo a Kane e che Kane piaccia a noi. Questo ci ha consentito di
contrattare, e lui ha accettato di entrare in terapia. Gli abbiamo spiegato che ha
fatto del proprio meglio per farsi ammazzare da Dulcia e dalle sue iene mannare
quando mancava non più di un mese al suo ritorno. A quanto pare, è stato un
ragazzo molto cattivo negli ultimi giorni di permanenza in quel territorio.
Probabilmente dovremmo far visita a Dulcia, o almeno inviarle un mazzo di fiori
e una bottiglia di eccellente liquore. Jean-Claude ha suggerito che donarle
gioielli sarebbe un modo appropriato per ringraziarla di non avere ucciso il
nostro stupido ragazzo, e io sono d’accordo.
Il padre di Micah ha riferito a Van Cleef e ai suoi che i miei poteri
panmannari non sono replicabili senza i marchi vampirici e senza la mia
negromanzia. Ho chiesto a Edward maggiori informazioni su Van Cleef, e lui ha
rifiutato di rispondere, aggiungendo che potrebbe farlo soltanto se Van Cleef mi
contattasse. Ho lasciato perdere, perché nessuno sa mantenere i segreti come
Edward. Se dice no, è no.
Mentre Edward e Donna discutono per decidere la data del loro matrimonio,
io come testimone dello sposo dovrei organizzare l’addio al celibato insieme col
loro figlio diciottenne, Peter, che però mi sembra avere in proposito idee
alquanto diverse dalle mie. Comunque, se Edward lo vuole, ci sto. Sono
perplessa alla possibilità che Nathaniel accompagni Donna all’altare, dato che
non si sono mai neppure incontrati. Al tempo stesso mi sembra una cosa
rassicurante, e dunque… chi sono io per criticare? Senza contare che Nathaniel è
entusiasta all’idea di aiutarla a organizzare il matrimonio. Lui è infinitamente
migliore di me in queste cose, e con tutta probabilità lo sarebbe anche a
organizzare l’addio al celibato.
Quanto a noi, non abbiamo ancora deciso la composizione del nostro gruppo
di fidanzamento. Sembra così semplice e così giusto includere Jean-Claude,
Micah e Nathaniel, però, a parte loro, chi dovrebbe infilarsi l’anello? Asher l’ha
presa così male che se non è esploso in una delle sue solite scenate di gelosia è
stato soltanto perché gli siamo mancati e si rende conto che un passo falso
rovinerebbe tutto. Io e Micah siamo irremovibili nel rifiutare di fidanzarci con
lui. Nathaniel invece accetterebbe, qualora la terapia permettesse ad Asher di
risolvere i problemi di gelosia. Il suo nuovo ragazzo, Kane, è contrario a
qualunque cerimonia che lo vincoli a noi e non a lui. Devil ci ha sorpresi tutti
inginocchiandosi davanti ad Asher, prendendogli la mano e chiedendogli di
sposarlo. È stato tenerissimo, e Asher ne è stato molto felice, ma…
Immaginavate che ci fosse un «ma» in arrivo, vero? Il nuovo ragazzo, Kane,
che per lui ha abbandonato la propria città, il gruppo animale, il lavoro, e si è
trasferito qui, è rimasto comprensibilmente turbato nell’apprendere che Asher
sarebbe disposto a sposare qualcun altro. Non posso certo biasimarlo.
Altri che hanno suscitato la nostra sorpresa mostrandosi felici prima di
scoprirsi esclusi dal fidanzamento sono Cynric, Jade, Crispin, Envy ed Ethan.
Invece a Nicky va bene tutto. «So di far parte definitivamente della tua vita,
Anita», ha dichiarato. «Non mi serve un anello per sentirmi amato.»
Forse gli altri vorrebbero l’anello perché io non dico loro che li amo. È mai
possibile che tutte le cianfrusaglie del fidanzamento e del matrimonio diventino
importanti se non ci si sente amati? Ho sempre pensato che tutta l’apparenza del
matrimonio sia soltanto la conferma esteriore di verità interiori, però può anche
darsi che non sia così. Forse per alcuni il matrimonio è l’inizio dell’impegno, la
promessa di qualcosa di più, mentre per gli esclusi diventa una fine, anziché un
inizio. Non saprei… Per ora abbiamo deciso di rimandare la cerimonia di
fidanzamento e dedicarci per prima cosa ad attraversare il campo minato dei
sentimenti senza che le mine emotive ci esplodano in faccia.
L’amore non è un sentimento a taglia unica. Ci sono tante forme di amore
diverse quante sono le persone. Noi stiamo cercando di trovare una taglia che si
adatti a tutti quelli che fanno parte della nostra vita. Esiste forse qualcosa di
simile a una taglia dell’amore più superimmensamente gigantesca di qualunque
altra al mondo? Talvolta è necessario accettare molto, per non dover respingere
tutto.
RINGRAZIAMENTI

«Ci è stato insegnato l’assioma di Lord Acton: tutto il potere corrompe, il potere
assoluto corrompe assolutamente. Lo credevo quando ho iniziato a scrivere
questi libri, ma ora non credo più che sia sempre vero. Non sempre il potere
corrompe. Il potere può purificare. Quello che io credo sia sempre vero a
proposito del potere è che il potere sempre rivela.»
Robert Caro

«Quando il potere porta l’uomo all’arroganza, la poesia gli ricorda i suoi limiti.
Quando il potere restringe il campo dei suoi interessi, la poesia gli ricorda la
ricchezza e la varietà della sua esistenza. Quando il potere corrompe, la poesia
purifica.»
John F. Kennedy
Indice
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