Sei sulla pagina 1di 9

1- LA ZONIZZAZIONE

La zonizzazione è uno degli strumenti della pianificazione territoriale e consiste nella


suddivisione di un ambito territoriale in zone omogenee per una data caratteristica e/o
tipologia. Ci sono diversi tipi di zonizzazione: per funzioni o funzionale, per destinazioni
d’uso e mista. Le prime due sono applicabili sia all’ urbanistica che al territorio e
all’ambiente, mentre la terza praticamente esclusiva del settore urbanistico. Per quanto
riguarda la zonizzazione funzionale avviene l’ individuazione dei tipi zonali (zona
industriale, zona residenziale, zona agricola…) l’ individuazione delle loro caratteristiche più
significative come il rapporto tra funzione dominante e funzioni accessorie ( es. funzione
abitativa dominante e ricreativa e commerciale come funzione accessoria )oltre che ai
collegamenti con le diverse zone ( la viabilità ). Come aspetto positivo di questo metodo si
può ricordare l’elasticità nell’ uso dello spazio con elevato grado di libertà d’azione, mentre
per quanto concerne il riscontro negativo occorre sottolineare il fatto che la dimensione
delle funzioni accessorie può essere arbitraria per la mancanza di un limite. Oltre al settore
urbanistico, la zonizzazione per funzioni si ritrova anche nel contesto ambientale attraverso
la gestione di un Parco Nazionale. Infatti la legge quadro per le aree protette n° 394 del
1991 all’ art. 12 prescrive le caratteristiche e l’esatta denominazione delle singole zone : La
zona di riserva integrali, dove le hanno un elevato pregio, dunque per la loro
conservazione si è optato per il massimo grado di vincolo (non vengono praticate
utilizzazioni forestali, ne pascolo o sfalcio d’erba e l’accesso e limitato ). La zona di riserva
generale orientata, dove le risorse hanno un elevato pregio ma dove si è sempre svolta
l’attività umana in armonia con l’ambiente (soprattutto pascolo ), in queste zone sono
presenti vincoli ma non così forti come nella riserva integrale. Le zone di protezione, l’
attività umana è ristretta e mirata al mantenimento dell’ habitat e della biodiversità ( es.
Nelle praterie da fieno “Habitat Natura 2000” avviene lo sfalcio per garantire la ricchezza
floristica che ne determina il pregio ). Le zone di promozione economico-sociale, dove i
valori naturalistici sono minimi o addirittura assenti, sono le zone più antropizzate del Parco
destinate alle attività economico-turistiche. Nella zonizzazione per destinazioni d’uso si ha
una dettagliata delimitazione delle varie zone, sia allo stato attuale che in quello futuro, il
vantaggio principale di questo metodo è la gestione del territorio in maniera rigorosa con
assoluta chiarezza su ciò che è lecito fare e ciò che non lo è, d’altro canto però vi è una
forte rigidità che rende difficili modifiche e adeguamenti. Un esempio efficace di
zonizzazione per destinazioni d’uso è la Carta della Copertura del Suolo che permette di
comprendere immediatamente il tipo di caratteristica di ogni zona delimitata. Infine la
zonizzazione mista, che coglie gli aspetti positivi dei due criteri di zonizzazione visti
precedentemente. Essa si è venuta a creare in seguito all’ emanazione del decreto
ministeriale n°1444 del 1968 che prevede la suddivisione in sei zone territoriali omogenee
(zona A – centro storico, zona B – residenziale satura, zona C – residenziale non ancora
satura, zona D – industriale, zona E – agricola, zona F – servizi pubblici). Tutto sommato
questa classificazione è simile a quanto già visto nella zonizzazione funzionale, ma la
differenza sta nel fatto che in questo caso non esiste piena libertà di azione all’interno di
ogni area, in quanto si pongono dei limiti. Infatti nella zonizzazione mista si utilizzano gli
strumenti della pianificazione urbanistica: - Gli indici urbanistici e gli standard urbanistici.
Gli indici, sono dei valori massimali, cioè non devono essere superati, di cui è bene
ricordare l’indice di altezza massima (parametro di tipo lineare), il rapporto di copertura
(quantità di suolo che può essere adibita alla costruzione) e l’indice di fabbricabilità
(parametro di tipo volumetrico). Gli standard, sono invece dei valori minimali che devono
essere rispettati, e di solito si riferiscono a una dimensione minima di attrezzature
collettive, al di sotto della quale non si può scendere. Gli standard riguardano quelle
superfici fondamentali al benessere della collettività come il verde pubblico, i parcheggi, le
strutture scolastiche e così via. La loro quantità in genere è legata al numero di abitanti, alla
dimensione del comune e al tipo di insediamento(residenziale, industriale …), per ottenere
la concessione edilizia devo cedere una parte del terreno per i servizi, tutto ciò per evitare
la capitalizzazione massima della proprietà.

2- LA GERARCHIA DEI SOGGETTI E DEGLI STRUMENTI DELLA PIANIFICAZIONE


TERRITORIALE: COMPETENZE E CONTENUTI

Ogni soggetto della pianificazione territoriale è sottoposto alle direttive di livello superiore e detta
prescrizioni a se stesso e ai soggetti di grado inferiore. L’ unione europea è all’apice di questa
gerarchia, ha il ruolo di emanare atti vincolanti nei confronti degli Stati membri. Gli obbiettivi che
cerca di perseguire l’ Europa sono: lo sviluppo sostenibile e la conservazione della biodiversità. Per
ottenere tali obbiettivi si serve delle direttive: - La direttiva uccelli 79/49/CEE, sostituita dalla
2009/147/CEE mira a mantenere e ristabilire una varietà e una superficie sufficiente di habitat a
tutte le specie selvatiche del territorio. - La direttiva Habitat 92/43/CEE, relativa alla conservazione
degli habitat naturali e della flora e fauna selvatica. Esse affiancandosi contribuiscono alla
salvaguardia della biodiversità mediante la conservazione degli habitat. Queste direttive prevedono
che la regione o province autonomi individuino una serie di zone: per quanto riguarda la direttiva
uccelli ZPS (zone di protezione speciale), per quanto riguarda la direttiva habitat SIC (siti di
importanza comunitaria) e ZSC (zone speciali di conservazione). Successivamente all’ individuazione
di queste zone saranno segnalate al ministero per l’ambiente che le segnalerà alla commissione
europea. L’insieme della aree individuate andranno a formare la rete ecologica chiamata rete 2000
che ha lo scopo di attenuare il fattore isolamento tipico di riserve e parchi. Lo stato esprime il
proprio ruolo nella pianificazione attraverso strumenti legislativi che mirano alla tutela
dell’ambiente e del territorio, tramite leggi e decreti: - La legge Serpieri 3297/1923 Sulle limitazioni
allo sfruttamento dei boschi e dei territori montani, e la prima legge forestale, pone dei vincoli per
scopi idrogeologici, l’obbligatorietà delle predisposizioni dei piani di assestamento forestale per la
gestione dei boschi pubblici, l’intervento dello stato per la sistemazione idraulico-forestale dei
bacini montani, le disposizioni per la redazione delle prescrizioni di massima di polizia forestale -
L.n 1150/1942 legge urbanistica: definisce i piani di coordinamento regionali che hanno il compito
di scegliere e vincolare le zone di interesse naturalistico e ambientale. Demanda ai piani regolatori
comunali l’attuazione dei vincoli sui beni storici, ambientali e paesaggistici. – D.M 1444/1968 è uno
strumento statale atto al controllo dell’attività edilizia sul territorio e miglioramento della vivibilità
del cittadino. Questo decreto regola l’applicazione di Indici e Standard Urbanistici all’interno delle
zone omogenee della superficie comunale – L.n 431/1985 Legge Galasso: regola la redazione di
piani paesaggistici o piani urbanistici territoriali, che sottopongono a specifica normativa d’uso e
valorizzazione ambientale il territorio, vincolando bellezze naturali su territori individuati in blocco
e per categorie morfologiche. - La Legge Quadro sulle Aree Protette 394/91 regola le aree
protette. D.L 22 gennaio 2004 (codice urbani) codice dei Beni culturali e paesaggistici: definisce le
modalità di stesura di un piano paesaggistico che ha il fine di tutelare il patrimonio naturale e
paesaggistico, e riprende la - L.n 1497/1939 protezione delle bellezze naturali: i vincoli consistono
nelle limitazioni alla proprietà privata con caratteristiche intrinseche del bene immobile che ne
impongono la tutela (con valore estetico e tradizionale). –D.L 2006 n°152 norme in materia
ambientale: Tratta le procedure per la redazione della VAS (valutazione ambientale strategica) e
della VIA (valutazione di impatto ambientale). Ha come obbiettivi la difesa del suolo, la tutela delle
acque e dell’aria, la gestione dei rifiuti e la bonifica dei siti inquinati. - D.L 2008 Codice Rutelli dei
beni culturali e del paesaggio: integrazione del Codice urbani con principali novità quali
l’introduzione del reato di frode paesaggistica e l’obbligo di collaborazione tra stato e regione per i
piani paesaggistici. Regola la salvaguardia del patrimonio pubblico e gli interventi per la
demolizione degli ecomostri (edifici non completati). - La regione: è sottoposta ai due soggetti
precedenti, essa detta le prescrizioni alla provincia e al comune. Esprime il proprio ruolo attraverso
tre strumenti di pianificazione. La legge urbanistica regionale definisce i compiti dei soggetti della
pianificazione, la struttura e i contenuti dei diversi piani (in particolare del piano regionale
paesaggistico). Il piano territoriale regionale di coordinamento, costituito da testi e carte relative
alla conoscenza di tutto il territorio; tale piano deve essere sottoposto alla VAS ed alla VIA. Il piano
paesaggistico, individua sia gli ambiti che gli elementi di pregio paesaggistico e fornisce indicazioni
per la gestione. La provincia, a seguito della legge 142/90 recepisce le leggi degli organi superiori e
ne disciplina l’esecuzione ai Comuni su vari settori quali difesa del suolo, tutela e valorizzazione
delle risorse idriche ed energetiche, smaltimento dei rifiuti,protezione della flora e della fauna,
caccia e pesca, viabilità e emissioni atmosferiche. Lo strumento che utilizza è il piano territoriale
provinciale (PTP), e del piano territoriale di coordinamento (PTC). Il PTP, evidenzia le funzioni e
spiega la modalità e i compiti che deve svolgere il comune. Il PTC invece determina gli indennizzi, le
diverse destinazioni del territorio, gli interventi di sistemazione idraulico-forestale, le aree dove è
opportuno istituire parchi o riserve e la carta dei vincoli. Il comune, utilizza come strumenti il piano
di assetto del territorio (necessita approvazione della provincia), esso fissa gli obbiettivi e le
condizioni di sostenibilità di interventi e trasformazioni ammissibili dai comuni ad esempio
recepisce i siti di interesse quali parchi e riserve, facendo riferimento a particolari cartografie quali
carta della fragilità e vincoli. In tale piano sono inoltre recepiti a livello internazionale i siti SIC e ZPS.
L’altro strumento è il piano di interventi (non necessita di approvazione), corrisponde al vecchio
piano regolatore e parallelamente al PAT ne regola gli interventi in relazione al bilancio comunale.
Obbliga inoltre i comuni alla VAS.

3- LA VALUTAZIONE D’INCIDENZA: IL SUO SIGNIFICATO E LE SUE FASI

La valutazione di incidenza è il procedimento di carattere preventivo al quale è necessario


sottoporre qualsiasi piano regolatore o progetto che possa avere incidenze significative su
un sito o proposto sito della rete Natura 2000. Essa dunque rappresenta uno strumento di
prevenzione che è in grado di stimare gli effetti delle azioni dell’ uomo. La valutazione di
incidenza si articola in quattro fasi, ma i passaggi alle fasi successive non sono obbligatori,
infatti se alla fine di una fase emerge chiaramente che non ci potranno essere effetti con
incidenza significativa sul sito non occorre procedere a quella successiva e il piano viene
autorizzato. La prima fase viene chiamata di verifica (SCREENING) e richiede la descrizione
del piano/progetto, la descrizione del sito e la valutazione di possibili effetti come la perdita
di habitat (%), la frammentazione, la perturbazione e i cambiamenti negli elementi
principali del sito(es: qualità dell’ acqua). Nella seconda fase (VALUTAZIONE
APPROPRIATA) si valuta se il piano possa avere un incidenza negativa sull’integrità del sito
Natura 2000 attraverso la quantificazione degli impatti che possono essere diretti o
indiretti, a breve o a lungo termine. Qui si individuano anche delle misure di mitigazione
eventualmente necessarie, esse possono riguardare: - i tempi di realizzazione (es: divieto di
interventi durante il periodo di riproduzione di una specie), - tipologia degli strumenti e
degli interventi da realizzare (es: uso di una draga speciale ad una distanza dalla riva per
non incidere su un habitat fragile), - individuazione di aree non accessibili all’interno di un
sito (es: tane di una specie animale), - uso di specie vegetali autoctone correlate
dinamicamente con la vegetazione naturale potenziale. Nella terza fase avviene L’ANALISI
DI SOLUZIONI ALTERNATIVE tramite l’individuazione di ubicazioni/percorsi oppure metodi
di costruzione alternativi per raggiungere gli obbiettivi del progetto evitando incidenze
negative sull’integrità del sito. Infine nella quarta fase si definiscono MISURE DI
COMPENSAZIONE individuando azioni, anche preventive, in grado di bilanciare le incidenze
previste nei casi in cui per motivi imperativi di rilevante interesse pubblico sia necessario
che il progetto venga comunque realizzato. Le misure di compensazione possono essere: - il
ripristino dell’habitat nel rispetto degli obbiettivi di conservazione del sito, - la creazione di
un nuovo habitat su un sito nuovo o ampliando quello esistente, - il miglioramento
dell’habitat rimanente in una misura proporzionale alla perdita dovuta al piano, -
l’individuazione e proposta di un nuovo sito (caso limite)

4- I METODI PROCEDURALI DELLA PIANIFICAZIONE: CARATTERISTICHE E ESEMPI

La pianificazione è un operazione articolata in fasi distinte: - individuazione delle ipotesi, -


formazione delle ipotesi, - scelta dell’ipotesi miglore e – applicazone. I tre caratteri
fondamentali delle moderne pianificazioni sono la razionalità, cioè il procedere in assenza
di personalismi, la sistematicità che prevede di procedere nel rispetto di una gerarchia di
azione (es: seguire prima le direttive europee, poi quelle statali e così via) e la
continuità/ciclicità che consiste nel garantire la possibilità di ritornare alle fasi precedenti
in caso di necessità. Tra i metodi principali della pianificazione ci sono la scuola inglese
(McLouglin e Chadwick), la scuola americana (McHarg) e quella italiana (La Padula). Il
metodo McLouglin si basa sul carattere di ciclicità della pianificazione (prevede in ogni
momento il ritorno alle fasi iniziali) formulando un processo secondo una sequenza logica
con garanzia di razionalità. Il punto focale di questo metodo si basa sull’idea che
l’ecosistema è un sistema a feedback capace di autocontrollo, e tale deve essere anche la
pianificazione. Il metodo Chadwick è definito come “metodo razionale” in quanto derivato
da metodologie scientifiche, la differenza con quello di McLouglin consiste nel parallelismo
tra i due sistemi, quello reale e quello di simulazione (modello matematico-scientifico). In
campo forestale si adotta di frequente uno schema di questo tipo, basta pensare alle
applicazioni informatiche e di simulazione nel campo delle sistemazioni idraulico-forestali
(stima della portata massima), dell’assestamento (un piano di tagli) o dell’ecologia (la
dinamica delle popolazioni). Il metodo McHarg è innovativo perché ha voluto evidenziare
che nello studio di un territorio è importante partire dalla piccola scala per poi entrare più
nel dettaglio (analisi locale). Di questo metodo è importante ricordare l’informazione e il
coinvolgimento dei cittadini e l’individuazione della localizzazione più idonea per ogni
attività sul territorio (analisi di idoneità). Nel metodo di La Padula si pone come punto
fondamentale il fissare l’orizzonte temporale e porre sempre come prima strategia (tra
quelle possibili) quella del “non intervento”. Naturalmente anche in questo processo di
pianificazione si trova il carattere fondamentale di ciclicità, infatti nello schema vi sono
diverse possibilità di revisione, controllo e di ridefinizione degli obbiettivi e delle
problematiche.

5- IL METODO DI MCHARG IN QUALITÀ DI METODO DI PIANIFICAZIONE

Il metodo americano di McHarg ha lo scopo di definire le aree migliori per un potenziale


uso del suolo, che sono dunque “intrinsecamente idonee” per quella destinazione
considerata. E’ interessante osservare che, nonostante a grandi linee le fasi del modello
siamo simili agli altri metodi, qui si identificano le varie componenti del sistema e si
procede alla loro analisi a partire da un livello più ampio (es: un bacino fluviale o una unità
regionale) e poi a un livello più specifico (un bacino idrografico e un’ unita amministrativa
locale). Vien da se che un intervento localizzato può essere intrapreso solo dopo aver preso
coscienza dell’importanza e della funzione del sito in un contesto più ampio. Le fasi più
importanti che caratterizzano questo metodo sono quelle riguardanti lo studio di dettaglio
con “l’analisi di idoneità) e le tecniche di informazione e coinvolgimento dei cittadini. Per
quanto riguarda l’analisi di idoneità essa, ad esempio, richiede la conoscenza delle
caratteristiche del territorio oggetto di progettazione (es: carta delle pendenza, carta
dell’erosione), la ponderazione delle classi di ogni fattore (es: per ogni classe di pendenza si
definisce un’idoneità primaria, secondaria o terziaria in base alla destinazione d’uso del
suolo) ed infine l’incrocio tematico per ottenere il valore composto (una carta per ogni uso
del suolo). Tra le molte tecniche di coinvolgimento possiamo ricordare: - hearing
pubbliche, sono dei forum aperti in cui tutti i cittadini interessati, ascoltano le proposte
avanzate dagli organizzatori e rispondono secondo un format. Questo metodo in realtà dà
solo l’apparenza di un coinvolgimento individuale e della comunità, in quanto tende a
legittimare decisioni già prese. – sondaggi di opinione, possono essere di completamento
alla partecipazione pubblica in quanto coinvolgono un ampio numero di cittadini campione.
L’influenza sulle decisioni è debole ed essi fotografano un determinato momento o stato
d’animo dei cittadini coinvolti. – referendum, rappresentano uno strumento di democrazia
diretta, il referendum essendo pero consultivo non potrà avere alcun effetto vincolante per
l’ente locale. – metodologia EASW, garantisce la formulazione di scenari futuri possibile e u
ampio dibattito tra i partecipanti appartenenti a quattro categorie sociali differenti
(cittadini residenti, amministratori pubblici, esperti di tecnologia, rappresentanti del mondo
produttivo). L’obbiettivo è quello della “democratizzazione” e della partecipazione civile nel
disegno dei modelli di sviluppo (modello di sviluppo “dal basso”). Applicata con successo in
Italia soprattutto del tema del recupero delle aree dismesse e dei centri urbani.

6- IL MODELLO DPSIR: I SUO SIGNIFICATO E LE SUE FASI

Il modello DPSIR (Determinanti, Pressioni, Stato, Impatti, Risposte) è uno schema di


riferimento da seguire per costruire la relazione ambientale che viene richiesta per la
pianificazione di un territorio. Il modello prende il nome dalle iniziali delle cinque fasi che lo
compongono, che devono essere compiute nella giusta successione e forniscono il quadro
delle criticità ambientali di un territorio con cause, effetti e risposte presenti e/o future. I
fattori determinanti sono elementi di origine antropica presenti nel territorio che causano
alterazioni rispetto alle condizioni generali, ad esempio le aree residenziali e l’agricoltura.
Le arre residenziali vengono misurate attraverso la loro estensione, le diverse tipologie
(case singole, edilizia popolare), la densità abitativa ecc. ed anche per quanto riguarda
l’agricoltura si tiene conto della superficie occupata, dalla tipologia do gestione eccetera. Le
pressioni sono le conseguenza dirette di ogni singolo determinante e rispondono alle
domande: Quel determinante cosa emette sul territorio? Cosa comporta? Che pressioni
attua? Degli esempi concreti possono essere le emissioni in aria, nell’acqua e nel suolo
oppure la produzione di rifiuti. Gli indicatori di stato ci permettono di conoscere le
condizioni attuali dell’ambiente attraverso una visione d’insieme (dall’alto), con la
descrizione di tutte le sue componenti come, ad esempio il clima, il suolo, l’assetto
idrogeologico, la flora e la fauna. Gli impatti evidenziano gli effetti derivanti dai fattori
precedenti con la diminuzione della fauna, la monotonia e la banalizzazione del paesaggio, i
danni alla vegetazione causati dall’inquinamento oppure quelli alla salute umana. Le
risposte consistono nelle soluzioni che la società adotta per risolvere i problemi attraverso,
ad esempio, azioni di difesa del suolo oppure con introduzioni di sanzioni e pene per danni
ambientali provocati. L’amministrazione pubblica è bene che adotti queste misure ai fini di
uno sviluppo sostenibile che permetta dunque un miglioramento della qualità della vita
senza eccedere la capacità di carico degli ecosistemi di supporto, dai quali essa dipende.

7- IL SIGNIFICATO DI INDICATORE E DI INDICE: CARATTERISTICHE ED ESEMPI

E’ dagli inizi degli anni ’90 che l’Organizzazione intergovernativa di paesi sviluppati (OECD)
ha proposto di usare indicatori come strumento di monitoraggio e divulgazione delle
informazioni. Il termine indicatore esprime un valore relativo ad una determinata
caratteristica (es: la quantità di biossido di zolfo nell’ aria esprime la qualità dell’aria solo
relativamente a questo parametro). Invece con indice si intende un insieme di indicatori,
aggregati tra loro in maniera diversa che forniscono un parametro di sintesi di più facile e
immediata comprensione (es: indice di qualità dell’aria, IQA, deriva da una formula in cui
sono inserite le concentrazioni di biossido di azoto, polveri sottili e ozono). Ogni indicatore,
affinché sia valido ed efficace, deve presentare alcune caratteristiche importanti: -
rappresentatività, deve avere validità generalizzabile a molte situazioni analoghe, anche se
non identiche (es: l’IQA deve avere lo stesso criterio di calcolo in diversi territori per
permettere il confronto dei dati). - accessibilità, non deve richiedere tecniche di misura
sofisticate (es: indicatori del settore socio-demografico come il tasso di natalità dato dalla
singola formula nati vivi/popolazione residente *100). - standardizzabilità, deve essere
facilmente comprensibile al maggior numero di persone (es: indicatori climatici come le
regioni climatiche di Koppen che determinano la suddivisione nelle varie zone attraverso
dati semplici come la temperatura media annua, l’escursione annua ecc.). - operatività,
deve procurare indicazioni chiare e utili per organizzare le azioni (es: i cingoli vegetazionali
dello Schmidt che determinano le specie vegetali con esigenze pedologiche e climatiche
affini come Larix-Cembra o Fagus-Abies e che vengono utilizzati per l’inquadramento
vegetazionale nella fase di stesura della relazione di un piano a livello comunale). Inoltre vi
è la distinzione tra la vasta gamma di indicatori, ed è quella fra: - indicatore qualitativo, si
riferisce ad una descrizione di caratteristiche che hanno la capacità di rappresentare una
determinata situazione (es: nell’indice di funzionalità fluviale, IFF, si associa ad ogni livello
un giudizio qualitativo come elevato, mediocre, scadente ecc.). - indicatore quantitativo, è
un dato numerico che mette in evidenza in modo sintetico una determinata situazione. Gli
indicatori quantitativi a loro volta possono essere: - indicatori assoluti, interpretabili
attraverso una tabella di riferimento (es: tabella dell’IFF per la valutazione dello stato
complessivo dell’ambiente fluviale). - indicatori relativi, hanno significato solo se
confrontato con la casistica di campioni, in quanto presi singolarmente non danno alcuna
informazione (es: per determinare il grado di ricchezza floristica di una superficie, devo
confrontare la mia area di saggio con più campioni su un territorio più ampio).

8- LA STIMA DEL VALORE FAUNISTICO DI UN TERRITORIO

Uno dei settori principali in cui è richiesto il dimensionamento del valore faunistico del
territorio è quello della gestione delle aree protette. La stima del valore di un ecosistema
sulla base della risorsa faunistica è fondamentale per zonizzare il territorio in base alle sue
funzioni e quindi per stabilire i criteri di gestione e di vincolo. La fauna riveste
un’importanza biologica (valore oggettivo) determinata del ruolo di una specie all’interno
del sistema ambientale e sociale, relativa alle diverse forme di utilizzazione della fauna e
della percezione soggettiva della stessa da parte dell’uomo. Per determinare il valore
faunistico di un territorio si utilizzano i seguenti parametri: - biologici, si rivolgono
esclusivamente alla tutela dell’animale quindi mirano ad inquadrarne le sue condizioni di
vita in un determinato territorio. - sociali, riguardano le diverse forme di utilizzazione della
fauna e la percezione soggettiva di esse da parte dell’ uomo. Per quanto riguarda gli indici
biologici, essi sono strutturati mediante classi di punteggio direttamente proporzionali al
pregio che assume l’animale (da 1, basso a 5, alto), e tra queste ci sono: - livello trofico,
dato dalla posizione di una specie all’interno della catena trofica (es: consumatori
primari=1,consumatori secondari di terzo grado=5). - indice di sensibilità, in relazione alla
compatibilità con le azioni umane (es: specie antropofile=1, specie antropofobe=5). -
stenoecia, valuta le specie legate ad habitat particolari (es: specie poco esigente=1, specie
strettamente legata ad habitat assai particolari=5). - rarità naturale, percentuale di
presenze in rapporto alla popolazione mediamente presente nel periodo considerato. -
presenza riproduttiva nell’area, se la specie è strettamente legata a quell’habitat e da esso
dipende, ricade nella classe 5 (maggior pregio e alto grado di tutela). - presenza stagionale
nell’area , se è presente tutto l’anno (grado 5), se è presente meno di un mese (grado 0).
Invece per quanto concerne gli indici sociali, essi variano in genere da 1 (basso) a 3
(elevato) e vengono rilevati attraverso interviste su un campione rappresentativo di
birdwatchers e cacciatori. Tra gli indici sociali ci sono: - contattabilità, probabilità che ha un
visitatore di incontrare o sentire il richiamo di una determinata specie. - gradevolezza, il
piacere soggettivo che suscita la visione di una determinata specie. - valore di immagine,
specie importante anche nella misura in cui colpisce la fantasia, spesso legato a mode e
condizionamenti (influsso di film e pubblicità), - valore venatorio, legato al significato
ancestrale della caccia.

9- LA STIMA DEL VALORE VEGETAZIONALE DI UN TERRITORIO: LA COMPLESSITÀ E ALTRI


CRITERI

La vegetazione conferisce valore al territorio in quanto ne rispecchia direttamente le


condizioni ambientali, soprattutto se essa vi si è insediata spontaneamente. Termini come
naturalità, stabilità ed equilibrio sono considerati sinonimi in ambito ecologico e più ci si
avvicina a questi concetti più aumenta il valore di un ecosistema. Esistono numerosi metodi
di analisi quantitativa della risorsa vegetazione, soprattutto basati sulla misura della
complessità e della similitudine (o diversità). Per poter essere applicati richiedono un
numero discreto di dati di abbondanza (numero di individui) e di frequenza (numero di
specie) e verranno considerati gli individui insediati più di recente (soprattutto strato
erbaceo) perché rispecchiano le condizioni attuali della stagione oggetto di analisi. Si
possono avere differenti condizioni che vanno dai due estremi: - poche specie con molti
individui, nei sistemi immaturi e semplificati. - molte specie con pochi individui, nei sistemi
maturi o complessi. Tra gli indicatori di complessità si ricordano gli indici di Margaleff e di
Menhinick che pongono in relazione inversa il numero di specie con quello degli individui.
Dunque, tanto più elevato risulta l’indicatore tanto più complessa è la struttura e di
conseguenza anche il sistema. Invece per quanto riguarda gli indici di similitudine si
utilizzano alcuni algoritmi che quantificano in maniera sintetica la somiglianza tra due liste
di specie, tra cui si può ricordare quello di Sorensen –Ps=2c/(a+b) dove Ps= coefficiente di
similitudine, a=n° di specie 1° lista, b=n° di specie 2° lista, c=n° specie in comune. Se le due
liste non hanno specie in comune il coefficiente di similitudine vale 0, se invece le hanno
tutte in comune il coefficiente vale 1. Di frequente tali indici vengono interpretati come
indici di diversità, calcolandone il complementare, cioè 1-P (a, b, c). Nella pratica però,
questi indici, se presi singolarmente non potranno mai permettere l’ esatta interpretazione
dello stato di un sistema. Per fare questo e conoscere quindi il grado di complessità è bene
utilizzare il metodo di analisi della distanza biologica che si basa sull’algoritmo di “distanza
multipla” formulato da Minkowsly. Tale algoritmo si presta all’analisi della diversità tra
aree basandosi sui loro caratteri stazionali (altimetria, esposizione, tipo di suolo ecc.),
trasformando però i valori della variabilità di ogni carattere stazionale in termini
percentuale per renderli confrontabili tra loro (stesso ordine di grandezza). Dunque per
conoscere il grado di naturalità (e quindi il valore) di un territorio per quanto riguarda il suo
assetto vegetazionale si parte dal presupposto che, nello stesso contesto territoriale e in
condizioni di assoluta naturalità, a parità di condizioni stazionali si deve riscontrare la
medesima composizione vegetale. Da questo ne segue che ci saranno condizioni di
naturalità la dove aree con basso valore dell’indice di distanza multipla (caratteri stazionali)
presenteranno anche valori prossimi allo 0 degli indici di diversità (indice di Soresen) e
quasi certamente anche un elevato valore di complessità (indice di Margaleff).

10- LA CLUSTER ANALYSIS: SIGNIFICATO E CRITERI DI APPLICAZIONE

La Cluster analysis risulta utile quando si vuole ottenere una zonizzazione del territorio in
aree omogenee per un determinato carattere, a partire da una serie campionaria di aree di
saggio, che hanno invece una distribuzione puntuale. Quindi data una serie campionaria di
aree di saggio (almeno una trentina) si individuano i gruppi in cui essa può essere suddivisa,
con ogni gruppo il più possibile simile al suo interno e complessivamente diverso dagli altri
gruppi. A titolo di esempio si può applicare la cluster analysis per conoscere il grado di
naturalità delle varie zone di un territorio. Per prima cosa si applica l’indice di diversità di
Minkowsky ai caratteri stazionali delle aree di saggio con archiviazione dei dati in una
matrice, lo stesso si fa per la composizione floristica attraverso l’applicazione dell’indice di
Sorensen considerando come indice di diversità (1-(2c/a+b) per poterlo poi confrontare con
Minkowsky. Ora la prima operazione logica consiste nell’individuazione, all’interno della
matrice delle due aree più simili (indice di diversità più basso) e il tutto viene poi
efficacemente rappresentato graficamente attraverso un dendrogramma. Il fatto di aver
individuato due aree praticamente identiche porta alla loro fusione e quindi alla riduzione
della matrice attraverso il metodo del legame semplice (si prende il valore più basso tra le
due aree), del legame completo (si attribuisce il valore più alto) o del legame con la media
aritmetica (si attribuisce il valore medio). Dopo aver ridotto la matrice si procede
nuovamente alla ricerca del nuovo valore più basso e alla successiva rappresentazione nel
dendrogramma, operando in questo modo fino alla fine delle aree di saggio. Infine
attraverso l’attenta osservazione dei dendrogrammi si possono notare le aree di saggio più
simili sia per caratteri stazionali che per la composizione floristica, determinando quindi le
zone sul territorio prossime alla naturalità.

11- GLI OBBIETTIVI DELL’ECOLOGIA DEL PAESAGGIO

L’ obbiettivo primario dell’ecologia del paesaggio consiste nel far convivere e far quindi
coesistere sullo stesso territorio le esigenze dell’uomo con quelle della natura. Gli
obbiettivi generali sono, ottimizzare la vicinanza e la connessione delle macchie boscate,
massimizzare la complessità strutturale e compositiva degli ecotopi, massimizzare le
funzioni idrologiche, ottimizzare la forma, le dimensioni e la distribuzione di macchie dei
corridoi in modo da esplicare al meglio la loro funzione, massimizzare l’eterogeneità del
paesaggio. Gli obiettivi particolari sono, la creazione di zone di ricolonizzazione dei vegetali
e zone di riposo biologico della fauna, lasciare un minimo di superficie con vegetazione
erbacea incolta, lasciare ad ogni nodo della rete dei corridoi di fuga, con delle aperture
della rete mai a distanza dispersiva della specie chiave, adeguare la distanza delle macchie
con la distanza dispersiva delle specie, massimizzare la vicinanza delle macchie boscate. Lo
strumento fondamentale per la costruzione degli ecosistemi a funzione paesaggistica-
ecologica è la rete ecologica. Con essa si può intervenire ai fini della valorizzazione
ecologica e paesaggistica. Infatti essa permette di ristabilire una continuità sufficiente tra le
varie unità ecosistemi naturali o semi naturali. Può essere intesa come struttura reticolare
variamente complessa attraverso le reti ecologiche si può reintrodurre e/o migliorare gli
impianti agroforestali. Molto importante a tal fine è la costituzione o il miglioramento dei
corridoi e delle macchie. Essi possono avere funzioni produttive, protettive, conservazione
della biodiversità degli agro ecosistemi. A seconda della funzione primaria che viene
attribuita essa sarà progettata in maniera differente. Ad esempio le siepi per la natura
selvatica dovrebbero essere arricchite nella composizione e nella struttura e presentare
arbusti produttori di bacche e alberi d’alto fusto per fornire diverse varietà di riparo. Anche
lo strato erbaceo è molto importante. Ai fini di protezione e quindi anche di
riperimetrazione può essere importante inserire specie spinose e di gradevole aspetto
estetico, su più filari per tamponare rumore e polveri. Ai fini produttivi la scelta delle piante
in base alle caratteristiche di produttività, densità del legno ed è essenziale lo schema di
impianto. Quindi in generale ai fini progettuali occorre: Stabilire la funzione primaria,
analizzare gli aspetti della stazione (pedologici climatici ecc.), analizzare gli aspetti
economici, determinare le specie autoctone più idonee e la loro consociazione, studiare la
struttura. A tal proposito esistono molti schemi utili ai fini progettuali. Le reti ecologiche
presentano dei vantaggi e degli svantaggi. - Vantaggi, aumentano la qualità delle acque
superficiali, dell’aria e la qualità percettiva e produttiva del paesaggio rurale, la probabilità
di ricolonizzazione di un ecotopo, diminuisce la possibilità di inbreeding. Aumenta la
dispersione delle specie legate anche al loro ciclo vitale. - Svantaggi, aumenta la possibilità
di prelazione e di scomparsa di determinate specie, riducono la possibilità di spostamento
di determinate specie, possono favorire la diffusione di disturbi, rendono più complessa la
gestione dell’azienda agricola.

Potrebbero piacerti anche