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Anni ’60: Incontri del telegiornale – Herbert Marcuse Leave a comment

Il 31 maggio 1968 la rubrica di approfondimento del Telegiornale, allora diretto


da Villy De Luca, propose un’interessante intervista alla filosofo tedesco Herbert
Marcuse, eletto leader spirituale dai ragazzi della contestazione studentesca che
stava ormai dilagando in tutta Europa e negli Usa, e che aveva raggiunto l’Italia
già nel novembre del ’66.

Il 24 gennaio 1966 infatti avvenne la prima occupazione universitaria italiana alla


facoltà di Sociologia di Trento: la protesta era contro le modifiche proposte al
piano di studi e allo statuto e si concluse solo a seguito dell’alluvione del ’66 che
interessò gran parte dell’Italia settentrionale. Molti furono gli studenti che si
mossero per offrire il loro aiuto alle popolazioni coinvolte. Tale solidarietà
contribuì proprio alla formazione di uno spirito di appartenenza alla classe
studentesca.

Il 15 novembre 1967 la contestazione raggiunse anche due grandi città, quali


Milano e Torino, dove furono occupate rispettivamente l’Università Cattolica ela
Facoltàdi Architettura: nacque così il “Movimento Studentesco”.

La rivolta generazionale si politicizzò presto e assunse una forte connotazione


ideologica: contro la “società dei consumi”, contro il capitalismo e contro le
discriminazioni sessuali. Il Movimento Studentesco, vicino alle istanze dei partiti
di sinistra, non voleva però conformarsi ai semplici dettami di partito: la lotta era
contro la guerra in Vietnam ma, successivamente, anche a sostegno della
Primavera di Praga.

I grandi pensatori di riferimento erano Karl Marx, con il suo “Il Capitale”, del 1867,
Mao Tse Tung, con il suo “Libretto Rosso”, del 1966 e Harbert Marcuse, con i
suoi “Eros e civiltà”, del 1955, e “L’uomo a una dimensione”, del 1964.
All’interno di “Incontri del Telegiornale” il giornalista Gastone Favero cerca
proprio di ricostruire il pensiero di Herbert Marcuse grazie a un’intervista
concernente l’ideologia della società contemporanea, il ruolo delle classi sociali,
il marxismo e il suo rapporto con gli studenti universitari che seguono le sue
lezioni.

L’intervista a Marcuse si svolge in parte all’interno dell’Università della California,


dove il filosofo insegna, in parte a casa sua e in parte mentre si reca all’università
per tenere lezione e mentre cammina in strada.

In fase di montaggio vengono aggiunte anche le immagini degli studenti di


Marcuse (che camminano a piedi scalzi dentro e fuori l’università), quelle
dell’aeroporto con viaggiatori, alcune vedute delle strade di Los Angeles piene di
traffico, quelle dei distributori benzina, dei manifesti pubblicitari, dei supermercati
e quelle dello zoo con giraffe, orsi e addetti che preparano il cibo per gli animali.

L’intervista inizia subito con una domanda concernente il ruolo di leader spirituale
che Marcuse avrebbe all’interno della contestazione studentesca: “Signor
Marcuse, lei è considerato un critico radicale della società industriale avanzata
com’è ora costituita, in questo senso è divenuto un punto di riferimento in Europa
per molti giovani che alcuni chiamano “cinesi”, si riconosce in questa parte?”

Per il giornalista è fondamentale dare una definizione di Marcuse, in modo da


farlo rientrare in una categoria stereotipata, necessaria per una comprensione
priva di un eccessivo sforzo cognitivo. Tra l’altro l’utilizzo dell’epiteto “cinese” ha
chiaramente una valenza negativa finalizzata a definire il movimento studentesco
come qualcosa che viene dall’estero, più precisamente dalla Cina, guidata dal
teorico comunista rivoluzionario Mao Tse-Tung. La contestazione viene così
collegata a un paese straniero, considerato economicamente e culturalmente
inferiore, o, comunque meno sviluppato.
Marcuse però non vuole accettare alcuna categorizzazione né per sé né per gli
studenti: “È senz’altro vero che la gente, e specialmente i giovani, quando
trovano in ciò che ho da dire qualcosa in cui essi possano identificarsi mi sono,
per così dire, molto devoti, però non vedo perché una tale etichetta quale “cinese”
o “non cinese”, abbia la possibilità di essere posta su quanto io scrivo, voglio dire
che ciò che scrivo lo scrivo perché queste sono idee che dopo una lunga
considerazione, ho ritenuto che valessero la pena di essere discusse e non mi
importa se siano chiamate “cinesi” o “non cinesi””.

Secondo Marcuse le idee sono al di sopra di qualsiasi categorizzazione, che non


ha quindi ragione di essere discussa. Il filosofo è certo consapevole del suo ruolo
di leader, ma riconduce tale ruolo a un bisogno di identificazione nelle sue idee
più che nella sua persona.

Dopo questa presentazione del filosofo tedesco, il giornalista Gastone Favero


cerca di sintetizzare il pensiero di Marcuse riguardo la società americana
contemporanea. Il linguaggio è culturalmente molto alto e la trattazione è
altamente ideologizzata. Ogni azione del filosofo è una rappresentazione del suo
pensiero. Il giornalista afferma: “Marcuse è l’unico che va a piedi da queste parti,
e questo fatto, da solo, anche a non conoscere i suoi scritti, basterebbe a farlo
considerare un rivoluzionario”.

L’intervista procede quindi secondo uno schema ben preciso finalizzato a


mostrare la contraddizione del pensiero di Marcuse. Nello specifico, Favero
sottolinea come il filosofo tedesco ritenga non vi sia libertà all’interno del sistema
occidentale, benché sia proprio questo sistema che permette a Marcuse di
esporre le sue idee.
Favero racconta: “Se qualcuno, vedendo quanta libertà gli permette il sistema,
chiede a Marcuse: “siamo liberi?” lui risponde “Alcuni sono liberi, ma
generalmente parlando direi di no, per lo meno io ho un più elevato concetto di
libertà di quella che oggi si chiama libertà””. Favero poi domanda: “Signor
Marcuse, le conquiste della scienza, sui cui si basa una società tecnologica che
lei condanna, sono proprio conquiste di quella libertà di coscienza, di pensiero e
di parola di cui rimpiange la perdita. Lei, è stato osservato, accusa il figlio,
difendendo il padre”

Marcuse replica: “Non accuso il figlio né difendo il padre, non difendo il padre
perché non è stato in fondo tanto buono, e allo stesso modo non accuso il figlio,
se per figlio intende la società tecnologica, perché io non accuso, non contesto
la società tecnologica in quanto tale, ma contesto bensì l’abuso che questa
società fa della propria tecnologia, in altre parole l’accuso perché non è
veramente tecnologico ciò che sottomette la tecnologia agli interessi repressivi di
una società più fortemente repressiva”.

Le risposte di Marcuse sono quindi volte a contestare l’assunto di fondo su cui si


basano le domande, in un serrato scambio dialettico ad alto contenuto ideologico.

Il giornalista mette sempre in dubbio il ruolo di eroe mediatore che Marcuse ha


assunto per molti studenti che credono che la contestazioni del ’68 possa
riformare radicalmente il sistema esistente. Così, domanda: “Che cosa pensa di
quei giovani europei che associano il suo nome a quello di Marx e di Mao,
qualcuno li ha chiamati Ma-Ma-Maoisti, pensa che l’associazione sia legittima,
qual è il messaggio che lei crede di rappresentare per loro in questa
connessione?”

Marcuse, seguendo il solito gioco di contestazione degli assunti di fondo su cui


si basano le domande, risponde: “Non ho mai sentito nessuno degli studenti che
ho incontrato in Europa fare questa associazione (…) e nutro il forte sospetto, il
fortissimo sospetto che si tratti solo di un’invenzione dei reporter dei giornali (…)
se ciò significa semplicemente che essi leggono Marx, Mao ed anche miei libri si
tratta probabilmente di un dato di fatto e quindi non c’è niente da obiettare, ma,
a parte questo, non avrei mai la pretesa di essere degno di una tale dignitosa e
importante compagnia”

Il discorso diventa quindi più concreto e l’ideologia diventa prassi rivelatrice.


Marcuse afferma: “la classe operaia è fondamentalmente integrata al sistema,
anche se le classi non sono scomparse (…) Se il lavoratore e il suo capo
assistono allo stesso programma televisivo e visitano gli stesi luoghi di vacanza
(…) se tutti leggono lo stesso giornale, ne deriva che questa assimilazione non
indica tanto la scomparsa delle classi quanto la misura in cui i bisogni e le
soddisfazioni che servono a conservare gli interessi costituiti sono fatti propri
dalla maggioranza della popolazione, la democrazia totalitaria lavora con
l’integrazione”

Marcuse propone quindi tre esempi banali del processo di armonizzazione in


corso, “tre esempi che attestano ancora una volta la riduzione dei contrasti,
l’assorbimento del negativo da parte del positivo e la risultante unidimensionalità
del pensiero che ne deriva”. È proprio questo il cuore del pensiero di Marcuse:
l’uomo a una dimensione. E se è vero il principio di Saussure secondo cui “non
ci sono se non differenze”[1], la riduzione dei contrasti non rende semplicemente
il pensiero unidimensionale, ma fa sì che si neghi l’esistenza stessa del pensiero.

Il giornalista torna quindi alla questione centrale dell’intervista, ovvero al


paradosso per cui Marcuse accusa la società di non avere libertà, quando è
proprio questa società e la sua tecnologia a diffondere il suo pensiero. Favero
domanda: “Questa società tecnologica le offre molti mezzi, molti media per
canalizzare la sua negazione: giornali, cinema, televisione, radio. Un tempo
questi canali non esistevano e non erano utilizzabili per un pensiero negativo,
quando questi canali che lei disapprova propongono il suo pensiero diventano
migliori?”

Marcuse risponde: “Credo che lei sopravvaluti largamente i media accessibili a


quello che io ho da dire e a quello che avrei intenzione di dire. Ritengo che non
vi sia la più piccola possibilità che i miei pensieri, quali possano essere, seppure
ve ne sono, riescano a permeare realmente in un prevedibile futuro i mass media
di informazione e di intrattenimento, ma se ciò avvenisse comincerei a nutrire dei
seri dubbi nei miei confronti e avrei timore che vi fosse qualche cosa di
fondamentalmente sbagliato in me, in effetti però in questo momento mi viene
fatta una grandissima pubblicità, questa è una cosa che proprio non mi riesce di
spiegare e che mi porta, in un certo senso, a non sentirmi molto a mio agio,
talvolta appunto mi domando se non vi sia qualche cosa che non va in me,
considerando che la stampa del sistema adesso, in un certo modo, se non altro
dà pubblicità ai miei pensieri”.

A questo punto inizia un’interessante dissertazione sul ruolo e sull’impiego dei


media nella società americana: “quello che io disapprovo è unicamente il modo
nel quale i mass media vengono usati oggi, non penso che si possano
disapprovare i mass media in generale, riesco benissimo ad immaginare
condizioni nelle quali i mass media potrebbero di fatto contribuire grandemente
al miglioramento delle condizioni, non penso che lo facciano oggi”

L’intervista tratta tutti i temi cari al Movimento studentesco: il rapporto tra


educazione, necessaria per lo sviluppo di una coscienza, e repressione del
pensiero e la discussione sul valore dei messaggio dei classici della letteratura
anche se venduti al supermercato. Secondo Marcuse, il problema non è il luogo
di per sé in cui i libri sono venduti, ma il fatto che quel luogo comporti un contesto
in cui gli oggetti assumono una funzione ‘intergrata’. Il filosofo tedesco ricorda
infatti che l’arte per sua natura non può essere integrata.
L’incontro con Herbert Marcuse si conclude con un’allegoria finale tra lo zoo di
Los Angeles, particolarmente amato dal filosofo, e la società avanzata da egli
concettualizzata. Il giornalista Favero, rischiando di essere “più marcusiano di
Marcuse stesso”, sostiene così che gli animali in cattività siano felici di avere
un’idea di libertà limitata perché, in questo modo, i loro limiti concorrono a un
benessere diffuso e a una pace tra le specie: “Ma in questo caso chi ci starebbe
a guardare?”

[1] Cfr. S. Traini, “Le due vie della semiotica”, Bompiani , Milano, 2006, p.43

https://intervisteintv.wordpress.com/2011/05/15/anni-%E2%80%9960-incontri-
del-telegiornale-herbert-marcuse/

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