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spressione del divenire storico: tocca all’intreccio che s’è riusciti a trama-
re dare significato ai dati di cui si sta trattando, non viceversa7. Il muta-
mento di prospettiva è radicale. L’abdicazione delle grandi storie ‘a dise-
gno’ promuove una concezione della storia come narrazione di fatti indi-
viduali, legati a progetti, azioni e fallimenti. Categorie quali Unità,
Progresso, Sviluppo della Civiltà, Spirito del Tempo e del Popolo vengo-
no radicalmente problematizzate o, addirittura, quasi del tutto defenestra-
te. Lo studioso dei fenomeni storici si libera dalla megalomania dello
‘sguardo d’insieme’, si abitua alla costitutiva miopia insita nel suo porsi a
guardare il passato. Anzi, il passato diventa un certo passato, costruito da
uomini, collocati in date circostanze storico-culturali, affezionati ai loro
egoismi come ai loro slanci, alle loro acute letture dei processi socio-cul-
turali come ai loro frequenti fraintendimenti. In questo modo, il singolo si
appropria tanto della propria individualità, quanto della libertà di sceglie-
re. E anche di sbagliare.
L’immagine filosofica della storia assume tutt’altro assetto. In fondo,
vale per lo storico quanto Friedrich A. Hayek diceva fosse di pertinenza
delle scienze sociali, se è vero che «i problemi che [queste ultime] cerca-
no di risolvere si presentano solo in quanto l’azione cosciente di una mol-
teplicità di persone dà luogo a risultati imprevisti e in quanto si constata
l’esistenza di certe regolarità maturate spontaneamente al di fuori di ogni
deliberazione programmatica»8. Questa citazione chiarisce molte cose: un
problema storico, in quanto problema sociale, è spesso il frutto del com-
binarsi di conseguenze inintenzionali generate da atti intenzionali, ma
anche – andando oltre Hayek – caotici, fortuiti, fraintesi, incidentali rispet-
to ad altri proponimenti intenzionali. Tutto ciò non consente di stendere
una rete interpretativa di tipo sistematico sugli eventi, né di leggerli nel
segno di logiche prefissate, visto che non sempre l’azione è razionalmen-
te determinata. Per altro verso, una data serie di fatti in tanto è studiabile
in quanto presenta un certo numero di combinazioni tra gli stessi tali da
offrire una sorta di fondo di regolarità alla loro sequenza: si configura,
cosí, lo statuto di un «evento sovraindividuale». È possibile definirlo in tal
modo proprio perché interessa piú persone ed è il frutto della sintesi delle
loro azioni.
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III. I singoli percorsi di ricerca raccolti in questo volume sono una con-
ferma delle inquietudini critico-metodologiche a cui s’è alluso e vogliono
essere un’indiretta risposta alle domande prima sollevate. Naturalmente,
al di là dei proclami metodologici, il mestiere dello storico si esplica nel
concreto confronto con i tanti quesiti a cui bisogna dare risposta.
L’obiettivo complessivo del volume non è quello di tentare un bilancio del
dibattito sulla metodologia dell’attività storiografica intesa ad investire
tematiche di carattere filosofico; ci si propone, piuttosto, di verificare
come il racconto storiografico sia legato alla concentrazione di ‘sforzi’
metodologici volti a definire la fisionomia del suo oggetto. Ecco perché
s’è fatto leva, nel sottotitolo, sull’espressione ‘storiografia filosofica’, da
intendersi come sinonimo di attività storiografica, di critica storica e di
teoria della storiografia. Il passaggio dalla Storia alle storie ne comporta
una significativa trasformazione. L’auspicio, dunque, è di fornire ai letto-
ri un momento trasversale di discussione intorno a questi temi, senza alcu-
na pretesa di produrre risposte, ma nel tentativo di problematizzare ulte-
riormente le questioni, valutandone la coerenza, le contraddizioni e l’uti-
lità in sede di ricerca.
Il rispetto dell’alterità del passato e della molteplicità dei punti di vista
interpretativi, l’approccio critico ai documenti, la prudenza nell’esprime-
re giudizi, la fedele militanza nelle fila della «scuola del sospetto» per dare
scacco ad aprioriche convinzioni o a pregiudizi che poco condividono con
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NOTE
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contribuito alla rinascita degli studi hegeliani in Francia e che hanno fornito non
pochi echi di categorie storicistiche ai concetti di «storia totale» o «storia univer-
sale» propugnati dai protagonisti delle Annales. Pertanto, l’orizzonte è assai varie-
gato, è arduo spingere troppo oltre le distinzioni. È opportuno, piuttosto, riflettere
sugli effettivi ausili che tale prospettiva di ricerca riesce ad offrire al faticoso
mestiere dello storico in termini di apertura ai tanti «contesti marginali» che, spes-
so, sfuggono o non sono adeguatamente considerati.
Sulla vicenda critico-metodologica dell’annalistica è utile consultare P.
BURKE, Una rivoluzione storiografica. La scuola delle “Annales” (1929-1989),
Roma-Bari, Laterza, 20027.
22 Cfr. J. LE GOFF, La nuova storia, cit., p. 30.
23 Id., p. 42.
24 Cfr. Ib.: Le Goff cita l’idea di «documento/monumento» di Foucault come
punto di partenza verso un completo «destrutturare il documento», inteso, que-
st’ultimo, alla maniera classica. In verità, convince lo sprone a risemantizzare il
concetto di documento, assai meno l’espressione «destrutturare», che, se non chia-
rita, può dar àdito, specie se utilizzata da uno storico di professione, a
fraintendimenti.
25 Scrive con acume lo storico francese: «Il documento non è neutro, non deriva
solo dalla scelta dello storico, egli stesso parzialmente condizionato dalla sua
epoca e dal suo ambiente» (Ib.).
26 Ha ragione P. ROSSI quando parla dell’intrinseca rischiosità del mestiere dello
storico (Introduzione, in AA.VV., Cinquant’anni di storiografia filosofica.
Omaggio a Carlo Augusto Viano, a c. di E. Donaggio e E. Pasini, Bologna, Il
Mulino, 2000, pp. 15-39: 39).
Belle pagine sull’avventurosità del lavoro di ricerca e sulla parzialità nell’in-
dividuazione dei dati ha scritto K.W. von HUMBOLDT, Il compito dello storico,
Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1980, soprattutto pp. 119 e sgg.
27 Sul ruolo “attivo” della filologia come stimolante strumento di sorvegliamen-
to dell’esercizio storiografico e non come sinonimo di piatta erudizione, ha pro-
posto valutazioni ancora oggi significative E. GARIN nel volume La filosofia
come sapere storico, Roma-Bari, Laterza, 19902, soprattutto pp. 77 e sgg.
28 Cfr. P. ARIÈS, Storia delle mentalità, in AA.VV., La nuova storia, cit., pp.
141-66.
29 Cfr. E. PATLAGEAN, Storia dell’immaginario, in AA.VV., La nuova storia,
cit., pp. 289-317.
30 Cfr. J.-C. SCHMITT, La storia dei marginali, in AA.VV., La nuova storia, cit.,
pp. 257-87.
31 Cfr. L. FEBVRE, Combats pour l’Histoire, cit., p. 17.
32 J. LE GOFF, La nuova storia, cit., p. 45. Le Goff avanza anche una terza ipo-
tesi, quella di una storia orientata a ritagliarsi un «proprio territorio», dopo aver
operato una «nuova ‘frattura epistemologica’» rispetto alle altre scienze umane.
Soluzione, questa, un po’ troppo “filosofica” rispetto al piano concreto dell’eser-
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cizio storiografico, nella definizione del quale il rapporto con i contributi delle
altre scienze umane è a dir poco decisivo. Continuano, inoltre, a non convincere
espressioni quali «scienza globale dell’uomo»: il senso di tale locuzione in seno
alla prospettiva di Le Goff è chiaro, ma perché continuare ad usare aggettivi ambi-
gui, intrisi di rigurgiti di storicismo, che danno àdito ad equivoci, quando è proprio
dall’imperio delle filosofie totalizzanti della storia che ci si vuol definitivamente
liberare?
33 Cfr., a proposito del rapporto tra fonti storiche e supporti informatici, G.
GALASSO, Nient’altro etc., cit., pp. 293 e sgg.; sui media come strumento di con-
dizionamento critico e sociale si veda, tra gli altri, P. ORTOLEVA, Mediastoria.
Mezzi di comunicazione e cambiamenti sociali nel mondo contemporaneo, Milano,
Il Saggiatore, 20022.
34 Cfr. G. PIAIA, Il lavoro storico-filosofico. Questioni di metodo ed esiti didat-
tici, Padova, Cluep, 2001.
35 K.R. POPPER, Tutta la vita è risolvere problemi, cit., p. 161.
36 Id., p. 172.
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