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NUOVI STUDI SU

GUGLIELMO FERRERO
Atti del Convegno
Rivoluzione, bonapartismo e restaurazione in G. Ferrero
Forlì 21–22 novembre 1997

e delle Giornate di studi del gruppo di ricerca CNR su


Storia, società e politica in G. Ferrero
27–28 gennaio 1998

a cura di
Lorella Cedroni

ARACNE
Copyright © MCMXCVIII

ARACNE EDITRICE S.r.l

00173 Roma, via R. Garofalo, 133 a–b


06 93781065

ISBN 88-7999-218-X

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,


di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

I edizione: dicembre 1998

In copertina:
Caricatura di Derso e Kelen, Ginevra 1936.
5

INDICE

Presentazione 7

Sezione I: RIVOLUZIONE, BONAPARTISMO E TOTALITARISMO

Lorella Cedroni
Genealogia della teoria della legittimità in G. Ferrero 11
Luciano Pellicani
Bonapartismo e totalitarismo 18
Luigi Compagna
Il Sieyès di Guglielmo Ferrero 22
Giorgio Caravale
Rivoluzione e abusi della forza:
le campagne italiane nell’Aventure di Ferrero 27
Francesco Saverio Festa
Legalità, legittimità e teoria delle élites in G. Ferrero 36
Tommaso Dell’Era
Ferrero, Del Noce e l’analisi del totalitarismo 51

Sezione II: DALLA CRISI DI FINE SECOLO ALLA GUERRA EUROPEA

Giovanni Tassani
G. Ferrero e Raniero Paulucci di Calboli
collaboratori della “Revue des Revues” 69
Dino Mengozzi
Il giovane Ferrero e la “società a tipo di violenza” 78
Giuseppe Conti
II Militarismo di Guglielmo Ferrero e la risposta dei militari italiani 94
Silvio Suppa
‘Génie latin’, germanesimo e americanismo
nel ‘monde moderne’. Ferrero e la crisi del ’900 123
Roberto Valle
Guglielmo Ferrero e le metamorfosi della Russia 139
Giuseppe Sorgi
La crisi del sistema parlamentare tra Ottocento e Novecento 149
6

Sezione III: FASCISMO E TRANSIZIONE DEMOCRATICA

Francesco Mancuso
Giuseppe Rensi e Guglielmo Ferrero tra democrazia e fascismo 165
Angela Maria Graziano
La paura del conformismo e l’illusione della libertà.
Alcune riflessioni sui Discorsi ai sordi di G. Ferrero 192
Paola Sisto
Angoscia e solitudine del dittatore.
Ferrero e G. G. Márquez, un confronto 199
Anna Bortolin
Dal fascismo all’esilio. La difficoltà di vivere au-dessus de la mêlée 215
Roberto Giannetti
Ferrero e la transizione democratica 226
Donatella Pacelli
Mutamento e resistenze simboliche.
Ferrero e l’analisi culturale dei processi politici 240

Sezione IV: RICERCHE STORICHE E DI ARCHIVIO

Roberta Adelaide Modugno


Pasquale Villari e Guglielmo Ferrero:
metodo storico e questioni epistemologiche 255
Barbara Caruso
Il fondo Ferrero a Ginevra 265
Marina Calloni
Gina Lombroso tra scienza, impegno civile e vita familiare
(Pavia 1872–Ginevra 1944) 273
Paola Ranzini
G. Ferrero promotore della rappresentazione
parigina dell’Angelica (1936) 295
Mario Quaranta
Rapporti epistolari di G. Ferrero con Giovanni Vailati,
Giulio Cesare Ferrari, Mario Calderoni 306
7

PRESENTAZIONE

Il presente volume raccoglie gli Atti del Convegno “Rivoluzione, bona-


partismo e restaurazione in G. Ferrero” svoltosi a Forlì il 21 e 22 novembre
1997 in occasione del duecentesimo anniversario della venuta di Napoleone
in Italia, e gli interventi delle Giornate di studi del gruppo di ricerca CNR su
“Storia, società e politica in G. Ferrero” organizzate a Roma nel corso dell’an-
no accademico 1996–97 e 1997–98 dall’Associazione Internazionale di Studi
su G. Ferrero in collaborazione con la L.U.I.S.S. “Guido Carli”, il Corso di
laurea in Scienze della Comunicazione della L.U.M.S.A e l’Università degli
Studi “La Sapienza” di Roma.
Al Convegno forlivese, promosso dall’Assessorato alla Cultura del
Comune di Forlì e dall’Associazione Nuova civiltà delle Macchine, in colla-
borazione con l’Università degli Studi di Bologna, hanno partecipato: Paolo
Pombeni, Giovanni Tassani, Luigi Compagna, Luciano Pellicani, Dino
Mengozzi, Giorgio Caravale, Francesco Mancuso, Tommaso Dell’Era,
Roberto Giannetti, Francesco Saverio Festa, Paola Sisto e Lorella Cedroni.
Le Giornate romane di studi su Guglielmo Ferrero segnano invece i prin-
cipali momenti di verifica e di scambio sui risultati di volta in volta raggiunti
nel corso di due trienni di ricerca (il primo coordinato da Dario Antiseri, il
secondo da Luciano Pellicani) finanziata dal CNR. Tale ricerca, avviata subi-
to dopo la chiusura del Convegno Internazionale di Studi su G. Ferrero, svol-
tosi a Roma e a Napoli nel 1992 in collaborazione con la L.U.I.S.S. e l’Istituto
Italiano per gli Studi Filosofici, ha finora prodotto ragguardevoli risultati tra
cui: la pubblicazione di un epistolario inedito dei Rosselli ai Ferrero, (Politica
e affetti familiari, a cura di Marina Calloni e Lorella Cedroni Milano,
Feltrinelli, 1997); lo spoglio e la schedatura della corrispondenza di Ferrero
conservata presso l’Archivio della Columbia University di New York - un
contributo fondamentale per dare avvio alla ricostruzione dei principali car-
teggi tra Ferrero e i fuoriusciti italiani; le verifiche dei fondi esistenti presso
l’Università e l’Institut de Hautes Études Internationales di Ginevra; la rico-
struzione dell’attività pubblicistica del Nostro sui maggiori quotidiani nazio-
nali ed esteri tra cui “Il Secolo”. Un’antologia di articoli scelti è stata da me
curata e raccolta nel volume La vecchia Italia e la nuova (Napoli, Edizioni
Scientifiche Italiane, 1997). Un altro contributo rilevante è l’epistolario Rensi-
Ferrero ricostruito e curato da Francesco Mancuso e pubblicato nella rivista
“Nuova Antologia” (1998).
Dal 1992 a oggi un centinaio di studiosi italiani e stranieri sono tornati ad
occuparsi di Ferrero, soprattutto dopo la ricerca d’Archivio condotta presso
la Columbia University. La scoperta di una considerevole mole di documenti
inediti ha dato nuovo impulso alle ricerche a dispetto delle previsioni.
Studiosi di ambiti disciplinari diversi si sono confrontati sulla vasta produ-
8 Lorella Cedroni

zione ferreriana che resta tuttora in gran parte inesplorata. Ferrero sembra,
tuttavia, aver superato quella barriera imposta dalla storia e dalla politica
accademica italiana la quale è sopravvissuta anche dopo il fascismo parados-
salmente contro uno degli antifascisti ante-litteram più coerenti della storia
italiana.
Il volume è suddiviso in quattro sezioni; la prima, Rivoluzione,
Bonapartismo e totalitarismo, ripropone i principali temi del Convegno forlive-
se i quali, tuttavia, non sono tutti compresi in questa sezione; la seconda
ripercorre alcune tappe della produzione ferreriana a partire dalla crisi di
fine secolo alla guerra europea; la terza affronta i temi chiave del pensiero
politico ferreriano, dalla teoria del potere e della paura, alla critica serrata del
fascismo. La quarta sezione, infine, è prevalentemente documentaria e pre-
senta i principali risultati delle ricerche archivistiche intraprese dal gruppo
di ricerca CNR.
Desidero esprimere un ringraziamento particolare a Giovanni Tassani,
promotore del convegno forlivese, per la sua squisita disponibilità e attenzio-
ne, e a Igino Zavatti per il suo insostituibile apporto e sostegno nella organiz-
zazione dell’iniziativa.

Lorella Cedroni
RIVOLUZIONE, BONAPARTISMO
E TOTALITARISMO
11

LORELLA CEDRONI

GENEALOGIA DELLA TEORIA DELLA LEGITTIMITÀ IN GUGLIELMO FERRERO

1. Alla ricerca dei padri

I fondamenti della teoria ferreriana della legittimità o forse sarebbe meglio


dire della teoria della illegittimità che — come ha opportunamente rilevato
Luciano Pellicani — “è la categoria sociologica decisiva per intendere i paradossi
autodistruttivi della Rivoluzione francese e dei regimi politici da essa diretta-
mente o indirettamente generati”1, possono essere rinvenuti fin dalle primissime
opere di Guglielmo Ferrero. Mi riferisco soprattutto a Grandezza e Decadenza di
Roma2 e a Tra i due mondi3 .
Padri invisibili di queste due opere erano stati — suo malgrado, come avreb-
be ammesso in Potere — quei reggitori che regolano la vita umana e “rassomi-
gliano piuttosto a quelle essenze intermedie fra la divinità e gli uomini” che i
romani definiscono “geni”4 “Sotto l’influsso di queste forze invisibili la mia vita
— racconta Ferrero — era diventata un enigma insolubile, un tormento incura-
bile. Per risolvere l’enigma e per molcere il tormento, per sapere di più e soffrir
meno, dal 1900 al 1913 mi ero chiuso in me stesso, isolato dal mondo, dai miei,
dal mio passato, per far l’immane sforzo da cui è uscito Tra i due Mondi.
Penetrando a viva forza sopra e dentro la vita, a capo di quattr’anni ero giunto
alla porta del mistero”5 .
Dietro questa “porta del mistero” che Ferrero avrebbe dischiuso soltanto
dopo la prima guerra mondiale (nel 1918), c’erano i “geni invisibili della città”, la
cui esistenza era stata già svelata da Talleyrand6, padre, questa volta in carne ed
ossa, della legittimità. Con le sue Memorie, il vescovo d’Autun avrebbe ispirato le
opere successive di Ferrero, scritte in coincidenza di un altro evento che come “il
ciclone napoleonico” stava sconvolgendo il mondo occidentale l’avvento del
fascismo e dei regimi totalitari 7. In particolar modo la trilogia formata da

1
L. PELLICANI, La rivoluzione e i geni invisibili della città, saggio introduttivo a G. Ferrero, Potere, Milano, Sugarco,
1981, p. VIII.
2
G. FERRERO, Grandezza e decadenza di Roma, Milano, Treves, 1902–1906.
3
G. FERRERO, Tra i due mondi, Milano, Treves, 1913.
4
Potere, cit. p. 22.
5
Ibidem, p. 24.
6
C. M. TALLEYRAND–PERIGORD, Mémoires, pubblicate postume in 5 voll. nel 1891–1892, le pagine che Ferrero
legge sono nel 2° volume e furono scritte nell’inverno del 1813–1814; cfr. G. FERRERO, Reconstruction, Talleyrand à
Vienne, (1814–1815) 1940, n. ed. Editions de Fallois, Paris, 1996, trad. it. Ricostruzione. Talleyrand a Vienna (1814–1815),
Milano, Garzanti 1948, p. 51.
7
L’espressione “ciclone napoleonico” è di Ferrero che la usa in particolare nell’ultimo articolo scritto per “Il
Secolo”, il giornale a cui aveva iniziato a collaborare dal 1896, intitolato Commiato, ora ripubblicato in L. Cedroni, (a
cura di) G. FERRERO, L’Italia vecchia e la nuova, Napoli, Esi, 1997, p. 228.
12 Lorella Cedroni

Avventura8, Ricostruzione e Potere, nacque proprio dall’esigenza di offrire una


spiegazione per quanto possibile “razionale” ai regimi illegittimi, quelli formati-
si in seguito a un colpo di stato e che avevano “la diabolica facoltà di terrorizza-
re” chi si era impossessato del potere prima e più di quelli che lo subivano. Al
circolo virtuoso di stampo weberiano tra legalità e legittimità, Ferrero sostituiva
il circolo vizioso di illegittimità e paura, una paura tutta particolare che si genera
nella coscienza stessa di chi detiene il potere e sa di non averne il diritto9.

2. Una “Costituzione futurista”

Punto di partenza di questa analisi è Napoleone Bonaparte, il “padre” di tutte


le rivoluzioni — e anche di tutti i regimi illegittimi che si sono susseguiti in
Europa dalla Rivoluzione francese in poi — che proprio “nel 1797 aveva fatto in
Italia, per ordine del Direttorio, il primo esperimento coloniale” di quel “contro-
senso rivoluzionario” — che mentre da un lato proclamava il popolo sovrano,
dall’altro lo esautorava dividendolo in ceppi10. Questo esperimento era stato poi
esportato in Francia, in quella “Costituzione futurista” — come la definisce
Ferrero — “senza precedenti, senza modello e senza giustificazione dottrinale in
tutta la storia” che è la Costituzione dell’anno VIII. 11
Fu all’Università di Ginevra — che Ferrero, una volta accettato l’incarico di
Storia moderna — si era imbattuto “nella storia oscura” del dispotismo di
Bonaparte e ne aveva dipinto un mirabile affresco a dir poco realistico: “In alto,
seduto tra le nuvole come il Padreterno in certe antiche pitture, un Senato di
ottanta membri, venuto fuori della Rivoluzione, che si reclutava da sé per coop-
tazione; e sotto i due Parlamenti eletti non dal popolo, ma dal Senato un
Parlamento — il corpo legislativo — che a dispetto del suo nome non proferiva
verbo, un Parlamento muto con un vocabolario ridotto a due monosillabi — sì e
no — di cui si serviva per approvare o respingere le leggi; un altro Parlamento, il
Tribunato, il quale si limitava a fare sproloqui e critiche alle leggi davanti al
Corpo legislativo senza votarle. A grande distanza dal Senato, ma molto più
sotto, solidamente piantato sulla terra invece che librato sulle nuvole, e affatto
indipendente da esso, un potere esecutivo onnipotente, fiancheggiato da un
Consiglio di Stato, con l’incarico di preparare le leggi e di difenderle contro le
critiche del Tribunato Bonaparte aveva fatto sul serio, quando si era trattato di

8
Aventure, Bonaparte en Italie, 1936, n. ed. Editions de Fallois, Paris, 1994, n. ed. ital. prefata da Sergio Romano,
Avventura. Bonaparte in Italia (1796–1797), Milano, Corbaccio, 1996.
9
Il concetto di paura “nel” potere è stato elaborato da Giuseppe Sorgi, in Potere tra paura e legittimità, Milano,
Giuffrè, 1983, in particolare si vedano le pp. 84–92. Dal canto mio ho sviluppato questa tesi, ne La paura nel Potere.
Saggio su G. Ferrero, Poggibonsi, Lalli, 1987.
10
Potere , p. 11.
11
Ibidem, p. 12.
Genealogia della teoria della legittimità in Guglielmo Ferrero 13

stabilire i poteri del Primo Console, cioè i propri futuri poteri. Li aveva presi tutti
e senza colleganze o controllo […]. Il Senato e il Primo Console con le loro crea-
ture — il Corpo legislativo, il Tribunato, il Consiglio di Stato — troneggiavano al
centro della Costituzione futurista come veri sovrani e tenevano sotto i piedi il
preteso sovrano il popolo […]”12.
In una parola si trattava di una “democrazia a rovescio”, proprio come gli
Stati totalitari, calcati — afferma Ferrero — più o meno sul modello del 18
Brumaio13.
D’ora in avanti il “bonapartismo” inteso appunto come originaria forma di ditta-
tura con base di massa in cui viene esautorato il potere legislativo, rimarrà nella
visione di Ferrero una categoria chiave di lettura del fascismo che tuttavia non
tiene conto della interpretazione dei marxisti ortodossi14.

3. Un dispotismo “totalitario”

L’intera descrizione della storia dei primi mesi del Consolato induceva
Ferrero a stabilire un parallelo strettissimo con la dittatura fascista che rendeva
l’analogia tra i due casi ancora più stringente sul piano di quella “inquietudine
inesplicabile” che attanaglia ogni potere illegittimo che trova solo in se stesso l’o-
rigine della paura, e non per la presenza di qualche nemico esterno, anche imma-
ginario, che può minacciarlo. Questa “paura sacra della regola violata”15 inficiava
la natura stessa del potere la cui esistenza evidentemente non era dovuta soltan-
to ad un calcolo puramente razionale, ma ad un elemento irrazionale “metapoli-
tico”, anzi “antipolitico” origine e destino del potere16. Per Ferrero, infatti, non
potrà mai esistere un potere totalmente libero dalla paura, assolutamente sicuro
di essere sempre e ovunque assecondato “tutti i poteri hanno saputo e sanno che
la rivolta è latente anche nella soggezione più supina e può scoppiare un giorno
o l’altro sotto l’impulso di circostanze impreviste”17. Soltanto l’autorità paterna,
ossia il potere ‘domestico’ che è riconosciuto e obbedito con “piena e intera
libertà, per rispetto e amore sinceri”, non ha e non fa paura.

12
Ibidem, p. 12–13.
13
Ricostruzione, p. 63.
14
Marx, nel suo scritto Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte, analizza il colpo di Stato di Luigi Napoleone del 2
dicembre 1851, affermando che il bonapartismo è appunto una forma di governo in cui viene esautorato il potere
legislativo, ossia il parlamento e in cui si attua la subordinazione di ogni potere all’esecutivo giudato da uan grande
personalità carismatica che si pone come rappresentante diretto della nazione. In realtà l’autonomia del potere
bonapartistico rispetto alla classe borghese dominante è per Marx ed Engels pura apparenza, se si guarda al conte-
nuto concreto della politica attuata da tale potere, la quale coincide con gli interessi economici sostanziali della clas-
se dominante. Cfr. La voce “bonapartismo” di Sergio Pistone in Dizionario di politica diretto da N. BOBBIO, N.
MATTEUCCI e G. PASQUINO, Torino, Utet, 1990, pp. 107–108.
15
Potere, p. 33.
16
Su questo punto si veda R. ESPOSITO, Communitas. Origine e destino della comunità, Torino, Einaudi, 1998, pp. 8–9.
17
Potere, p. 41.
14 Lorella Cedroni

Il quinto capitolo di Potere, è dedicato interamente a Napoleone e alla sua


paura18. Egli era giunto al potere alla fine del 1799 attraverso un colpo di Stato
“preparato in un’atmosfera opaca, sorda, gelida, d’incertezza, di diffidenza e di
terrore universali”19 ed era diventato famoso — scrive Ferrero — “perché aveva
preso parte ad avvenimenti che sembravano straordinari, per la sola ragione che
erano incomprensibili; ed erano incomprensibili per la sola ragione che erano
nuovi, poiché la Rivoluzione era ancora un fenomeno inedito. La campagna
d’Italia? Nessuno, in Francia e in Europa, aveva capito nulla di quest’avventura
spettacolosa e insensata, a cominciare dai protagonisti, Direttorio e Bonaparte”20.
In realtà si trattava del più grande mutamento di tutti i tempi nella dinamica
della guerra (alla cui mutazione non restò immune certo Napoleone) che non si qua-
lificava più — secondo la nota formula clausewitziana — come “prosecuzione della
politica con altri mezzi”, bensì — mutando le dimensioni della guerra con l’entrata
delle masse, attraverso la coscrizione obbligatoria21 — come fenomeno inedito che
stravolgeva la natura stessa del potere politico. Difatti — come Talleyrand stesso
aveva intuito — le guerre rivoluzionarie non avrebbero mai potuto concludersi con
una pace definitiva e nonostante egli avesse più volte richiamato i principi del diritto
delle genti e stigmatizzato le guerre napoleoniche come “giuochi crudeli della sra-
gionevolezza politica”22, Bonaparte aveva continuato a combattere e a vincere per
poi essere travolto paradossalmente “dal terrore delle sue stesse vittorie”23. Ora, in
questa esaltazione del diritto delle genti deve — a mio parere — essere individuata
una forma, sia pur sofisticata di “legittimismo”. Non a caso Talleyrand sostenitore
del principio di legittimità dinastica al Congresso di Vienna — come ha notato Carl
Schmitt24— era stato strenuo difensore del carattere puramente statale della guerra,
“giusta”, non in riferimento ad un concetto giuridico, bensì ad un elemento politico
la “giustezza”, indicata come proporzione di una guerra combattuta — potremmo
dire — tra unità “commensurabili”, ossia tra stati territoriali europei.

4. Guerra e governi illegittimi

La convinzione che il problema della guerra non possa essere scisso da quello
della legittimità è un nodo centrale del discorso politico ferreriano25. E la guerra
europea sarà quel fenomeno “nuovo” che caratterizzerà le guerre “post—napo-

18
“La paura di Bonaparte. Bonaparte e la sua paura” è il titolo di questo capitolo, Potere, pp. 44–56.
19
Ibidem, p. 50.
20
Ibidem, p. 49.
21
La coscrizione obbligatoria fu introdotta da Napoleone mediante la legge del 5 settembre 1798 direttamente
in Francia e indirettamente in Europa.
22
Ricostruzione, p. 42.
23
Ibidem, p. 12.
24
C. SCHMITT, Il nomos della terra, Milano, 1991, p. 176.
25
Ho sviluppato questo punto in Ferrero e la guerra europea, “Sociologia” (1998), 1.
Genealogia della teoria della legittimità in Guglielmo Ferrero 15

leoniche”, fenomeno derivato appunto dallo “squilibrio” politico tra le nazioni


europee, soprattutto tra Francia, Inghilterra e Germania26. Questo tipo di guerra
è difatti per Ferrero la “negazione” e non la “prosecuzione della politica con altri
mezzi” secondo la ben nota formula di Clausewitz27. La guerra convenzionale si
trasformava in guerra totale tra popoli, mossi dalla convinzione “mistica” di
seguire la più giusta delle cause contro la più infame delle aggressioni. Ma la
guerra dipende soprattutto — sostiene Ferrero — dalla natura e dallo spirito dei
regimi politici ed è a questo livello che si stabilisce la stretta connessioni tra guer-
ra e governi illegittimi. Se “Le campagne d’Italia potevano essere un titolo per il
comando supremo dell’esercito, non [lo erano] per una sovranità quasi illimitata,
com’era quella che la costituzione dell’anno VIII conferiva a Bonaparte”. Il suo
potere restava, in altre parole, illegittimo, una “scandalosa usurpazione, una
pura imposizione della forza, spoglia d’ogni giustificazione legittima”28 . Anzi,
proprio la natura di quelle guerra accentuava — per Ferrero — i caratteri dispo-
tici del Consolato29. Appena eletto Primo Console, Bonaparte aveva soppresso
tutte le libertà che Sieyès invece aveva tentato di salvaguardare la libertà di
stampa, la libertà parlamentare e il diritto d’opposizione30. Tuttavia, non si tratta-
va di dispotismo “totalitario” soltanto perché le libertà costituzionali venivano
eliminate, era la presenza soprattutto di un elemento “metapolitico”, come il ter-
rore a qualificarlo — terrore che “Bonaparte seppe utilizzare largamente e abil-
mente” e che si fondeva ad almeno altre “tre paure che non erano del tutto
immaginarie — ammette Ferrero ossia — la paura di una restaurazione
dell’Antico Regime gravido di rappresaglie, la paura di una ricomparsa del ter-
rore giacobino, che di nuovo avrebbe innalzato la ghigliottina come nel ‘93; la
paura dell’Inghilterra”31.
Il terrore psicologico come strumento di mobilitazione delle masse che, per
un effetto retroattivo, tornava a colpire la fonte da cui era scaturito, consisteva in
un fenomeno parzialmente nuovo sia per le dimensioni assunte, sia per gli effetti
provocati. A questo si univa da un lato, il terrorismo bellico — ossia l’esasperazio-
ne della violenza al punto tale da rendere impossibile la pace — dall’altro, l’idea
di una rivoluzione permanente, tutti elementi che costituiranno i termini chiave del
discorso ferreriano sul totalitarismo32. Ma non intendo soffermarmi su questo
punto che costituisce oggetto privilegiato di riflessione di altri studiosi. Quello

26
G. FERRERO, La guerra europea. Studi e discorsi, Milano, Ravà & Co., 1915, p. 142.
27
C. von CLAUSEWITZ, Della guerra, Milano, Mondadori,1970.
28
Ricostruzione, p. 52.
29
Ibidem, p. 54.
30
Ibidem, p. 121.
31
Ibidem, p. 229.
32
Sulle nozioni di terrorismo e di rivoluzione permanente si vedano rispettivamente gli articoli di G. FERRERO,
Le terrorisme dans la guerre, in “Courier de la Plata”, Buenos Aires, 9 gennaio, 1938 e Batailles et guerres, “Le Soir”, 9
marzo, 1937.
16 Lorella Cedroni

che qui vorrei sottolineare è che Napoleone — per Ferrero — è stato — è vero —
il creatore del primo governo rivoluzionario, ma è anche stato colui che “per
primo ha tentato di riempire il vuoto tra la monarchia scomparsa e la repubblica
ancora inattuabile”33. Insomma la sua azione rivoluzionaria “inedita” assume
anche una connotazione positiva soprattutto rispetto ai suoi epigoni Hitler e
Mussolini; in quanto fautore e portatore del mutamento Napoleone aveva avuto
un compito molto pù difficile di quello dei suoi numerosi imitatori del XX seco-
lo, perché non aveva davanti a sé alcun modello34.

5. Il teorema della paura

Ne Le due rivoluzioni francesi, opera postuma ricostruita attraverso gli appunti


degli ultimi anni dei corsi ginevrini, dal suo allievo Luc Monnier35, Ferrero aveva
indicato le condizioni necessarie alla formazione dello Stato rivoluzionario a)
rottura della legalità precedente; b) potere illegittimo; c) stato di paura generale;
d) abuso della forza; e) eccessi morbosi di energia. “Questi cinque punti — affer-
ma — sono la chiave di tutta la storia della Rivoluzione francese sino al 1814 e
dell’attuale situazione dell’Europa”36, insieme a quel sentimento di “onnipotenza
impotente” incarnato da Napoleone che implementerà il concetto di governo
rivoluzionario. “Se in mezzo a tanti stati che possono dannneggiarsi — dice
Ferrero — sorgerà uno Stato rivoluzionario, predestinato dalla sua illegittimità a
vedere nemici dappertutto, e se questo è il più forte, sarà indotto a prevalersi
della propria forza per tentare di assoggettare e disarmare tutti gli altri. Esso
distruggerà ogni equilibrio, anche relativo, delle forze, e non potrà più sostituirlo
che con il terrore della sua egemonia […] La Rivoluzione genera la guerra, [e] la
pace non può conchiudersi né durare che fra Stati legittimi. […]” 37 .
Analogamente aveva scritto profeticamente nel 1933 mentre si accingeva a lavo-
rare al primo volume della sua trilogia Aventure: “In sei mesi non c’è dubbio che
la dittatura tedesca diverrà preda del terrore folle della sua violenza e più di
tutte le altre; essa diverrà sempre più feroce nell’interno a misura che aumenterà
la sua paura. Questa è la legge”38.
Anche se i suoi scritti non sono caratterizzati da un assoluto rigore storico e
metodologico, il valore delle sue analisi sta nell’aver dato la possibilità di risalire
alle radici di alcuni fenomeni politici che hanno minato per sempre il cuore

33
Ricostruzione, p. 234.
34
Ivi.
35
G. F ERRERO , Le due rivoluzioni francesi, a cura di Luc Monnier, prefazione di Massimo Terni, Milano,
Sugarco, 1986.
36
Ibidem, pp. 130–132.
37
Ricostruzione, p. 232.
38
Force et faiblesse des dictatures, “La Dépêche” 26 marzo, 1933.
Genealogia della teoria della legittimità in Guglielmo Ferrero 17

dell’Europa: le rivoluzioni, le guerre, i regimi totalitari. In una lettera rimasta


inedita a Nello Rosselli39 — che porta la data dell’11 agosto 1935 — punto non da
zelante curiosità storica, ma dalla consapevolezza di chi vuole fare bene il pro-
prio mestiere, Ferrero scrive:
“Caro Nello, ho bisogno di far copiare al Record Office alcune lettere diploma-
tiche del 1790. […] Mi sono messo a scrivere il primo dei due volumi che voglio
cavare dei miei corsi dell’Università, Aventure (1796–1797). Sarà la prima storia
vera della distruzione di Venezia e del trattato di Campoformio, principio al caos
del mondo occidentale in mezzo a cui ci troviamo ancor oggi. Ma la falsificazio-
ne di cui questa storia è stata l’oggetto è veramente qualche cosa di mostruoso.
Tutto è falso: storia militare, storia politica, storia diplomatica. A certi momenti
sento proprio quasi la vergogna del mestiere che fò scrivendo della storia. E più
incomprensibile è ancora — e troppo comprensibile — che gli storici abbiano
accettato una falsificazione così grossolana che in fondo disonorava il paese a
esclusivo beneficio neppure della Francia ma della famiglia Bonaparte […]”40.
Lo scambio epistolare tra i due storici è molto più cospicuo di quello che è
stato possibile rintracciare e molto spesso Nello Rosselli viene in aiuto di Ferrero
per fornirgli informazioni e documenti di prima mano dal Record Office, e che
serviranno a stendere le minuziose ricostruzioni storiche e diplomatiche di
Aventure41. Ma queste analisi contribuiscono soprattutto a corroborare quella
intuizione che già a partire dagli anni venti Ferrero aveva avuto modo di saggia-
re: la categoria della legittimità non serve tanto ad interpretare avvenimenti pas-
sati come la caduta dell’impero romano, il bonapartismo e quant’altro; il vero e
principale fine della ricerca storica è l’analisi della società contemporanea42 e
delle metamorfosi del potere politico43.

39
Lo scambio di lettere tra i Rosselli ed i Ferrero è cospicuo. Un epistolario inedito dei Rosselli conservato in
parte presso la Columbia, Fondo Ferrero e in parte presso l’Archivio privato di famiglia è stato appena pubblicato,
cfr. M. CALLONI–L. CEDRONI, Politica e affetti familiari. L’epistolario Rosselli ai Lombroso Ferrero, Milano Feltrinelli, 1997.
40
La lettera scritta da Ginevra è conservata presso l’Archivio dello Stato (Roma), Casellario politico centrale,
Busta 2044.
41
C’è una lettera di Nello Rosselli scritta da Londra, che contiene informazioni molto dettagliate sulla politica
piemontese del 1796, ora pubblicata in M. Calloni–L. Cedroni, Politica e affetti familiari. L’epistolario Rosselli ai
Lombroso Ferrero, cit., pp. 102–104.
42
Come ha asserito D. PACELLI, Una critica alla modernità qualità, limiti e legittimità nell’opera di G. Ferrero,
EUroma, Roma, 1989.
43
In tal senso Ferrero può essere, a ragione, considerato filosofo politico, come ho già avuto modo di mostrare
altrove, cfr. L. CEDRONI, La paura nel potere, cit.
18

LUCIANO PELLICANI

BONAPARTISMO E TOTALITARISMO

1. Genesi e natura del totalitarismo

Una delle tesi più originali e caratteristiche di Gugliemo Ferrero riguarda la


genesi e la natura del totalitarismo. “Il totalitarismo - si legge in una lapidaria
sentenza di Potere - non è che l’espressione più compiuta della paura che tormen-
ta il governo rivoluzionario”. Un governo rivoluzionario è ex definitione, un
governo illegittimo, vale a dire privo di un solido sostegno popolare. È nato usur-
pando il potere e, pertanto, sa che, di fronte all’opinione pubblica è privo del
diritto di comandare. Comanda perché ha dalla sua la forma. Ma, avendo solo la
forza, è tormentato dalla paura che i sudditi obbediscano solo perché costretti.
Vorrebbe essere spontaneamente obbedito, e vorrebbe anche suscitare l’entusia-
smo dei sudditi? Di qui il fatto che è condannato a ricorrere a tutta una serie di
espedienti per ottenere ciò che non ha: il consenso popolare. Sopprime l’opposi-
zione, poiché ha paura che essa sia molto più vasta e potente di quello che essa in
effetti è. D’altra parte, sa che il popolo mormora. Ma, avendo spezzato l’indice del
malcontento pubblico - la libertà di stampa - non può misurarlo, e proprio perché
non può misurarlo, se lo immagina di gigantesche proporzioni. È come assediato
da pericoli immaginari e, per questo, non può riposare. Dalla sua ha le baionette e
le vittorie. Se queste ultime gli vengono a mancare, teme che le prime non saran-
no sufficienti. È per questo che vorrebbe essere un gigantesco occhio. Moltiplica le
spie, le censure, le sorveglianze, i controlli. Risultato per produrre la paura che lo
tormenta - un regime rivoluzionario è per eccellenza un regime della paura - non
vede che una via di salvezza: accrescere i propri poteri, accrescerli, ancora, accre-
scerli sempre e comunque. Spinto dalla paura dei suoi nemici reali e immaginari,
estende il suo potere all’industria, all’agricoltura, al commercio. Ma non basta.
Siccome non c’è un angolo della società dove il dissenso potrebbe rifugiarsi sotto
mentite spoglie, deve diventare per forza maggiore totalitario. Anche la religione
deve essere controllata e persino i pensieri più intimi devono essere sottoposti a
una occhiuta sorveglianza.
A giudizio di Ferrero, il Consolato di Napoleone Bonaparte è stato il primo
esempio di un governo rivoluzionario che tenta di legalizzare la violazione della
legittimità democratica - la soppressione del diritto di opposizione e della libertà
di voto - applicando a rovescio il principio della sovranità popolare. La tragedia
del Bonapartismo sta in questo: che avendo conquistato il potere calpestando sia
il principio di legittimità dell’antico Regime, sia il principio di legittimità della
rivoluzione era condannato a trasformarsi in regime totalitario per esorcizzare in
qualche modo la paura da cui era assediato. La frenesia dell’autoesaltazione, la
propaganda pianificata, la menzogna istituzionalizzata, la politica degli attentati
che nel XX secolo sarebbero stati perfezionati dalle tirannie fasciste e comuniste,
hanno avuto in Napoleone il primo grande regista non tanto perché egli fosse ani-
Bonapartismo e totalitarismo 19

mato da una illimitata volontà di potenza, quanto perché egli era un sovrano ille-
gittimo, un usurpatore, un avventuriero che si era impossessato del potere con un
atto di forza. Nato dalla forza e solo dalla forza, il Consolato fu obbligato ad
imboccare la via del totalitarismo, del controllo ossessivo di tutte le manifestazio-
ni della vita sociale e della menzogna eretta a sistema di governo. Ma Napoleone,
malgrado le tante vittorie conseguite, non riuscì mai a consolidare il suo potere.
Tant’è che un giorno manifestò a Talleyrand la sua incapacità di capire perché mai
le armate francesi non riuscivano a piegare la restistenza spagnola; al che
Talleyrand rispose: “Maestà, con le baionette si può fare tutto, eccetto una cosa:
sedervisi sopra”. Come dire: la forza non è sufficiente per consolidare il potere di
comando; occorre che l’uso della forza appaia ai sudditi come l’esercizio di un
diritto e perché ciò accada, occorre che sia pienamente vigente un principio di
legittimità. Ma era esattamente la legittimità - vale a dire il consenso popolare -
ciò di cui il potere di Napoleone era privo. Utilizzando le fondamentali pagine
scritte da Constant sull’avventura napoleonica, Ferrero distingue in paniera rigo-
rosa il dispotismo dall’usurpazione. Il dispotismo consolidato, vale a dire legitti-
mato dalla tradizione, può mostrarsi come è e agire coerentemente ai suoi princi-
pi. Per contro, il governo rivoluzionario, che pretende d’essere l’espressione della
volontà libera e sincera del popolo, deve mascherare la sua tirannia con una paro-
dia di libertà. “A cominciare da Bonaparte, tutti i fondatori di un governo rivolu-
zionario - scrive Ferrero - da un secolo e mezzo a questa parte, sono stati costretti
a cercare una giustificazione nella formula democratica applicata a rovescio: pre-
sentarsi al popolo come interpreti della sua volontà che pretendevano di conosce-
re meglio del popolo stesso poiché imponevano al popolo a nome suo, anzi come
voluto da tutti, atti, gesti, sacrifici di cui il popolo non voleva assolutamente sape-
re. Hanno cercato di giustificare il loro potere con una contraddizione permanen-
te, insolubile e quindi perpetuamente oscillante. E poiché il potere in questo caso
si presenta come l’opposto di quello che è, ed è sempre l’opposto di quello che
vuol sembrare, il popolo non può affezionarsi né alla sostanza del potere che è l’e-
spressione e che esso detesta, né delle apparenze di cui il potere si maschera, per-
ché fallaci e continuamente variate. Qualche volta pare che si lasci abbagliare da
una o dall’altra di queste parvenze: ma l’incanto dura poco, perché subito distrut-
to dall’urto contro la verità. Il governo rivoluzionario non può mai, qualunque
cosa faccia, diventare legittimo, anche se dura cent’anni: è condannato all’illegitti-
mità dalla nascita fino alla morte. Un principio di legittimità deve essere coerente
con se stesso: non può essere un controsenso continuo, che cambia sistematica-
mente, nell’applicazione le sue premesse”.

2. L’analisi del bonapartismo

L’analisi ferreriana della logica che dominò l’avventura napoleonica condannan-


do il suo protagonista a sostituire la rivoluzione permanente con la guerra perma-
nente per giustificare in qualche modo il suo potere nato da una usurpazione, non è
solo molto istruttiva; è anche l’analisi più acuta che sia mai stata fatta del bonaparti-
20 Luciano Pellicani

smo. Sicché non si può non lamentare il fatto che essa sia stata pressoché ignorata
dagli storici contemporanei, con il risultato che le loro ricostruzioni delle convulsio-
ni politiche che straziarono la Francia rivoluzionario e post-rivoluzionaria sono
quasi sempre superficiali. Manca soprattutto in esse una teoria del potere illegitti-
mo che permetta di intendere le ragioni profonde che impedirono a Napoleone di
dare alla Francia un governo “normale”, cioè a dire non assediato dalla paura.
Tuttavia ci sono buone ragioni per respingere la teoria ferreriana del totalita-
rismo. Perché si possa parlare di totalitarismo non è sufficiente che il potere inver-
ta la formula democratica e sopprima, in nome del popolo, tutte le istituzioni e
tutte le libertà grazie alle quali il popolo può manifestare la sua volontà; il totalita-
rismo non è solo un governo illegittimo: è anche e soprattutto un governo che
aspira a produrre una vera e propria palingenesi. Uno Stato merita di essere defi-
nito totalitario se e solo se - esso si sente investito della missione storica di purifica-
re la società annientando spietatamente gli agenti che lo corrompono. Di qui il
fatto che ciò che caratterizza in maniera forte lo Stato totalitario è la creazione di
un “mondo a parte” - l’universo concentrazionario - nel quale sono destinati ad
essere scaricati tutti gli elementi che, per una ragione o per l’altra, il “partito dei
puri” considera inquinati e inquinanti. Ciò fa dello Stato totalitario qualcosa di
profondamente diverso dalla dittatura bonapartista. Esso - lo Stato totalitario - è
un fenomeno storicamente unico e sui generis; e lo è precisamente in quanto l’isti-
tuzione che lo dirige - l’ordine polemoierocratico dei rivoluzionari di professione,
organizzato a immagine e somiglianza della Compagnia di Gesù - attribuisce al
genocidio una funzione catartica. Accade così che lo Stato totalitario si sente impe-
gnato in una guerra permanente che terminerà solo quando la società sarà stata
liberata da tutti gli elementi che la inquinano. Ciò fa dello Stato totalitario una isti-
tuzione religiosa nel senso più forte della parola. La sua meta, infatti, è la salvezza
collettiva che sarà conseguito sottoforma di Regno millenario quando le radici del
male radicale saranno state eliminate. Una operazione catartica che esige l’isola-
mento e lo sterminio di tutti coloro che “oggettivamente” costituiscono una fonte
di contagio spirituale.
È appena il caso di ricordare che una siffatta pretesa palingenetica era del tutto
estranea a Napoleone. Napoleone non voleva cambiare il volto della società fran-
cese né, tanto meno, rigenerare la natura umana. Napoleone voleva semplice-
mente dominare la Francia e imporre la sua egemonia all’Europa intera.
Adoperò, è vero, metodi di governo non dissimili, almeno in parte da quelli tipi-
ci dei regimi totalitari; ma non accarezzò mai l’idea di purificare la Francia ricor-
rendo al terrore catartico. Una pretesa che si trova, per contro nella dittatura gia-
cobina. “O rigenereremo la Francia a modo nostro, o la trasformeremo in un
cimitero: questo fu lo slogan dei giacobini. Per i quali il compito della rivoluzio-
ne - le parole sono di Saint-Etienne - consisteva in questo: “Tutto distruggere per
tutto rifare di sana pianta”; Donde l’idea del terrore come emanazione delle virtù
formulata da Robespierre nel famoso rapporto del 4 febbraio 1794, nel quale per
l’appunto l’Incorruttibile non si limitò a dichiarare che la situazione di emergen-
za in cui si trovava la Repubblica imponeva di ricorrere e metodi di governo in
Bonapartismo e totalitarismo 21

aperto conflitto con i principi proclamati dalla Rivoluzione; teorizzò il terrore


quale strumento di rigenerazione morale e di purificazione spirituale. In tal
modo apparve sulla scena il totalitarismo il quale non va assolutamente confuso
con il dispotismo o con la tirannia. Il totalitarismo è l’erede di due grandi tradi-
zioni religiose che per secoli e secoli hanno lavorato la coscienza europea: il mil-
lenarismo e lo gnosticismo manicheo. Sia il primo che il secondo hanno propaga-
to l’idea della radicale malvagità del mondo e della necessità morale di annien-
tarlo per riportarlo a nuova vita. Una idea che troviamo tal quale non solo nel
bolscevismo, ma anche nel nazional-socialismo, che del bolscevismo fu una spe-
cie di imitazione scimmiesca. Non a caso, sia il primo che il secondo hanno con-
cepito lo Stato come una macchina di sterminio e di purificazione. Insomma,
aveva ragione Hannah Arendt quando indicava nel terrore permanente l’essenza
del totalitarismo, ciò che lo rendeva una forma di dominio sui generis.
In conclusione la tesi di Ferrero, secondo la quale la dittatura di Napoleone è
stata il primo esempio di governo totalitario, non è accettabile. Il primo governo
totalitario dell’età contemporanea è stato il Terrore giacobino. Certamente Ferrero è
stato l’unico studioso, assieme a Constant che ha individuato la tremenda logica che
domina il potere quando esso è sprovvisto del requisito senza il quale è condannato
ad avere paura e a fare paura: la legittimità. Ma altrettanto certamente, egli non ha
saputo individuare i tratti costitutivi del totalitarismo, fra i quali occupa un posto
centrale il terrore catartico. Senza l’idea che la rivoluzione ha la missione storica di
estirpare le radici del male radicale, sterminando spietatamente i parassiti morali che
infestano la società, si è al di qua del totalitarismo. Il che significa che il fascismo, a
dispetto del fatto che esso si sia presentato come una rivoluzione totalitaria, non
rientra a pieno titolo nella famiglia dei regimi totalitari. E ciò è accaduto non solo e
non tanto perché Mussolini, per consolidare il suo potere adottò una politica oppor-
tunistica, basata sul compromesso diarchico con la Monarchia; ciò è accaduto anche
e soprattutto perché il fascismo era privo di una dottrina della salvezza collettiva.
Esso, proprio in quanto non aspirava a purificare la società sterminando gli agenti
che la corrompevano, non creò un universo concentrazionario. La sua vocazione
totalitaria fu, sin dalle origini, limitata dal fatto che il suo programma rivoluzionario
non aveva un carattere palingenetico. Quel carattere che troviamo sia nella teoria e
nella prassi del bolscevismo e dei suoi derivati storici - il maoismo, ecc. - che nella
teoria e nella prassi del nazional-socialismo. Ciò è confermato dalle osservazioni
sulla “vera rivoluzione” contenute nei Diari di Goebbels. A giudizio di Goebbels,
Mussolini non poteva essere considerato un autentico rivoluzionario, come Hitler e
Stalin, poiché a differenza di questi ultimi, egli non era sufficientemente radicale.
Essere radicale, per Goebbels, significava essere fermamente determinati ad estirpa-
re il male alla radice, sterminando gli agenti della corruzione. Il che era esattamente
ciò che Hitler e Stalin erano intenzionati a fare, ricorrendo al terrore di Stato quale
strumento catartico. Lo stesso Goebbels ci ha lasciato una definizione della meta
della rivoluzione nazionalsocialista che sembra essere presa di peso da Lenin o da
Trockij: “Abbattere il vecchio mondo e costruire uno nuovo, …distruggere per avere
una nuova creazione, ogni cosa, sino all’ultima pietra”.

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