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Incipit
« Canto nono, ove tratta e dimostra de la cittade c’ha nome Dite,
la qual si è nel sesto cerchio de l’inferno e vedesi messa la qualità
de le pene de li eretici; e dichiara in questo canto Virgilio a Dante
una questione, e rendelo sicuro dicendo sé esservi stato dentro
altra fiata. »
(Anonimo commentatore dantesco del XIV secolo)
Il nono canto presenta un crescendo di immagini che è stato definito
"teatrale", con una rappresentazione dell'azione ben calibrata grazie ai
personaggi che entrano in scena uno dopo l'altro.
Le Furie - vv. 34 - 63
Virgilio continua a parlare di come sia normale incontrare resistenza alle
mura di Dite, ma Dante ormai non lo ascolta più perché è attratto da
un'altra visione sconvolgente. Cambio di scena quindi, adesso il poeta ci fa
mettere a fuoco un'altra direzione, la torre infuocata che già aveva notato
all'approssimarsi alle mura, sulla quale si alzano di scatto tre furie infernali.
Esse sono le Erinni, "di sangue tinte", con corpi e atteggiamenti femminili
(membra e atto) e circondate o vestite da serpenti verdi. Altri serpenti poi
hanno per capelli, avvinghiati alle tempie, e vengono subito riconosciute
come le serve (meschine, dal provenzale mesquì) di Persefone, la regina dei
lamenti eterni dell'Inferno. Virgilio le indica: all'angolo sinistro
(canto come cantuccio) Megera, a destra Aletto, che piange, e Tesifone nel
mezzo. Come le donne ai funerali esse si disperano, si graffiano il petto e si
battono i palmi delle mani.
Dante è piuttosto terrorizzato e si stringe a Virgilio, quando le Erinni si
precipitano minacciose verso i due: "Vieni Medusa, la Gorgone, così lo
possiamo pietrificare... facemmo male a non vendicare l'assalto
di Teseo a Cerbero quando scese nell'Inferno, perché ora i vivi non son più
scoraggiati ad avventurarsi nel regno dei morti". A queste parole Virgilio
intima a Dante di chiudere gli occhi e mette le sue stesse mani a tappare
con sicurezza le pupille del discepolo.