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Canto 2

il secondo canto dell' Inferno di Dante Alighieri funge da proemio


della cantica, e si svolge fuori dalla selva; siamo alla sera dell'8
aprile 1300 (Venerdì Santo), o secondo altri commentatori del 25
marzo 1300 (anniversario dell' Incarnazione di Gesù Cristo).

Incipit
« Canto secondo de la prima parte ne la quale fa proemio a la prima
cantica cioè a la prima parte di questo libro solamente, e in questo
canto tratta l’auttore come trovò Virgilio, il quale il fece sicuro del
cammino per le tre donne che di lui aveano cura ne la corte del
cielo. »
(Anonimo commentatore dantesco del XIV secolo)

Perplessità e timori di Dante - vv. 1-42


Dante, dopo aver trascorso una notte e un giorno tra la selva e il pendio del
colle, verso sera inizia il suo viaggio nell'oltretomba. Sulla terra tutti
riposano, solo Dante si appresta ad intraprendere un viaggio duro (la guerra)
e forse superiore alle sue forze: si tratta infatti di un viaggio sì del
cammino quindi fisico, ma anche de la pietade cioè spirituale (tutta la Divina
Commedia viene infatti indicata come un percorso di conversione,
attraverso l'espiazione graduale del peccato nell'Inferno, la purificazione
nel Purgatorio e la beatificazione nel Paradiso). Il tutto verrà raccontato
dalla mente che non erra cioè dalla memoria che si ricorda bene quello che
ha visto.
Il secondo canto è il proemio alla cantica infernale e per questo Dante
invoca le Muse per aiutarlo nel duro compito di riferire proprio
senzaerrori tutto quello che è stato visto: qui si vedrà la nobiltà del suo
ingegno di poeta e di uomo.
Questa riflessione sulla grandezza della sua mente provoca in Dante una
riflessione sulla sua virtù: egli chiede al maestro di guardares'ell'è
possente, cioè all'altezza, prima di partire per l'alto passo (il difficile
viaggio, più adatto al senso del canto piuttosto che riferito al difficile
compito di riportare per iscritto quello che ha visto).
Altri hanno avuto esperienza, ancora vivi (mortali), nel regno
dell'oltretomba:
Enea, padre di Silvio che andò nell'Averno sensibilmente, cioè con il proprio
corpo e i propri sensi, accompagnato dalla Sibilla: Dio (avversario d'ogne
male) glielo concesse perché sapeva l'alto compito che l'attendeva, la
fondazione di Roma caput mundi e sede della Chiesa apostolica (il loco santo
/ u' (ubi, cioè "dove") siede il successor del maggior Pietro), quindi era
tutt'altro che indegno. Proprio per quella visita nell'altro mondo egli capì
cose che furono la causa della sua vittoria e (saltando all'era cristiana)
del papale ammanto.
Il "Vas d'elezione", ovvero San Paolo (secondo la Seconda lettera ai
Corinzi dove l'apostolo dice di essere stato rapito dal terzo cielo) che aveva
avuto da Dio il compito di arrecare conforto alla fede cristiana, bisognosa,
nel periodo delle origini, di conferma e coraggio.
« Ma io, perché venirvi? o chi 'l concede?

Io non Enëa, io non Paulo sono;


me degno a ciò né io né altri 'l crede. »
(vv. 31-33)
Dante dunque non si reputa degno di tale compito (né se stesso né nessun
altro), perché teme che (sul testo la costruzione di temo è alla latina con la
negazione come timeo ne) se venisse l'impresa sarebbe folle: e arriva anche
a spronare Virgilio di essere savio e capire. Così, in quell'oscura
costa Dante diviene come colui che disvuol ciò che volle, perché nuovi
pensieri gli hanno fatto cambiare idea e ora distoglie il pensiero dal
cominciare l'impresa: quindi pensando e valutando le proprie forze Dante si
pente della sua affrettata accettazione (cotanto tosta).

Conforto di Virgilio e soccorso delle tre donne - vv. 43-126


Virgilio non fa tardare la sua risposta: (parafrasi) "Se ho ben capito le tue
parole, la tua anima è ora offesa da viltà, la quale spesso ingombra gli uomini
allontanandoli dalle imprese onrate (degne di onore), come quando una
bestia si impaurisce per qualcosa che invece è solo ombra. Perché tu ti
sollevi da questo timore ti spiegherò perché venni da te e intesi la prima
volta che mi preoccupai per te".
Inizia quindi la spiegazione di quello che è successo a Virgilio mentre Dante
era smarrito nella selva, con un'analessi a più voci contemporanea agli
avvenimenti del Canto I.
Virgilio si trovava tra color che son sospesi (nel Limbo) quando venne
chiamato da una donna beata e bella, che gli fece provare il desiderio
spontaneo di essere comandato, di obbedirle. Virgilio non lo dice subito ma
è la figura angelicata di Beatrice, tra i protagonisti assoluti del poema, che
fa il suo ingresso, indiretto, in questa cantica.
Ella aveva gli occhi più lucenti di una stella e cominciò a rivolgersi a lui soave
e piana con angelica voce: (parafrasi) "Oh anima cortese (gentile,
onesta) mantovana, la cui fama ancora è viva nel mondo e durerà fin quando
dura esso, quanto il mondo lontana, (captatio benevolentiae), il mio amico
(Dante), disinteressato (e non de la ventura, verso dall'interpretazione
ambigua, in genere parafrasato come una nota all'amore divino e spirituale
che lega i due), è impedito nel cammino nella diserta piaggia (la selva), tanto
che è già tornato indietro per paura, e temo che si sia già smarrito se mi
sono alzata a soccorrerlo troppo tardi, dopo che ho udito quello che mi
hanno detto di lui in cielo... Ora vai, e con la tua bella arte retorica (la parola
ornata) e con ciò che serva a farlo salvare (campare) aiutalo, così che io
abbia consolazione. Chi ti fa andare sono io, Beatrice, e vengo dal luogo dove
voglio tornare, da dove mi mosse l'amore (termine volutamente ambiguo:
amore per Dante? o spirito di carità generico? o Dio stesso?) che mi fa
parlare; quando tornerò davanti al mio Signore con lui mi loderò spesso di
te."
Virgilio risponde entusiasta a quella che chiama "donna di sola virtù", per la
cui virtù la specie umana oltrepassa fino al cielo con il cerchio minore (quello
della Luna, a voler significare che la gente supera le cose terrene),
dicendole che è così felice del suo ordine che non vede l'ora di ubbidire,
basta che lei gli dica il suo desiderio (talento); chiede anche quale sia la
ragione per la quale ella non ha temuto di scendere al centro dell'universo,
dove presto lei vuole tornare (la Terra era il centro dell'universo
nel sistema tolemaico e per i padri della Chiesa al centro della terra si
estendeva l'Inferno che era il punto più lontano da Dio).
Beatrice allora risponde brevemente che non teme l'Inferno, perché non è
cosa che per lei faccia male, quale creatura divina, non avendo effetto su
di lei le fiamme di quello 'ncendio. C'è una Donna in paradiso (probabilmente
la Madonna) che si dispiace per l'impedimento dove lei sta mandando Virgilio
e che con la sua misericordia spezza il severo giudizio divino; questa chiese
a Lucia di proteggere quel suo fedele (nel Convivio III 9, 15-16 Dante
racconta di aver avuto una grave malattia agli occhi e che richiese l'aiuto
della protettrice degli occhi). Allora Lucia andò da Beatrice, seduta accanto
a Rachele e le parlò (si noti come le parole di Lucia sono riportate da
Beatrice attraverso il racconto di Virgilio, attraverso la narrazione di
Dante): (parafrasi) "Beatrice, lode vera di Dio, perché non soccorri colui
che t'amò tanto e che per te uscì de la volgare schiera? (di nuovo il tema
dell'amore spirituale che innalza gli uomini) Non senti il dolore del suo
pianto, non vedi come egli combatte la morte sul fiume dove il mare non
prevale? (metafora forse dei gorghidell'esistenza)". Beatrice continua a
spiegare come si sia affrettata scendendo dal suo beato scanno nella
fiducia dell'onesta loquela di Virgilio, che onora lui e chi lo ode.
Finito di riportare il discorso di Beatrice, Virgilio prosegue: egli si era
sentito lacrimare gli occhi dopo il soave discorso di Beatrice e venne subito
da Dante, come ella aveva voluto; lo tolse di davanti a quella bestia (la lupa),
che gli aveva impedito la via breve per scendere al monte. Inizia poi a
spronare Dante chiedendogli cosa ci sia, perché (ripetuto due volte) egli si
attarda; perché ha tanta viltà nel cuore senza ardire né franchezza, quando
tre donne benedette si curano di lui nella corte celeste e quando il bel
ragionamento che Virgilio gli ha detto finora prometta tanto bene?
Anche il viaggio di Dante risponde ad un disegno provvidenziale, come quelli
di Enea e di San Paolo. Essendo voluto da Dio, non è solo conquista personale
e personale elezione, ma si configura anche nei suoi aspetti generali come il
viaggio dell'intera umanità per ritrovare pace e giustizia.

Ritrovata sicurezza di Dante - vv. 127-142


Rinfrancato da queste parole, Dante si rianima, come quei fiori che piegati
dalla brina notturna si drizzano forti sullo stelo quando il sole li scalda.
Senza alcuna esitazione, ringrazia Beatrice (pietosa) e Virgilio (cortese) e
si dichiara pronto a seguirlo nel suo difficile cammino, come aveva già deciso
alla prima: il loro due voleri ora sono uno solo, cioè Dante concorda con
Virgilio, suo duca (che lo precede nell'andare), signore (che prende le
decisioni, comanda) e maestro (che spiega e risolve i dubbi).
Allora Dante parte e entra per un sentiero alto e silvestro, cioè arduo e
selvaggio.

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