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Incipit
« Canto ottavo, ove tratta del quinto cerchio de l’inferno e alquanto
del sesto, e de la pena del peccato de l’ira, massimamente in
persona d’uno cavaliere fiorentino chiamato messer Filippo Argenti,
e del dimonio Flegias e de la palude di Stige e del pervenire a la
città d’inferno detta Dite. »
(Anonimo commentatore dantesco del XIV secolo)
Io dico, seguitando... - v. 1
Il canto inizia con un verso che ha dato adito a moltissime speculazioni: "Io
dico, seguitando...". Il poeta infatti non riprende la narrazione proprio da
dove l'aveva lasciata nella chiusura del canto precedente, dall'arrivo ai piedi
della torre prima della palude dello Stige, ma da poco tempo prima quando i
due poeti ancora da lontano notano un segnale luminoso sulla torre stessa,
al quale risponde un segnale analogo da una torre più lontana. Questo insolito
salto indietro, unito alla formula di apertura, ha fatto supporre alcune
ipotesi circa una possibile cesura tra i canti precedenti e questo.
Innanzitutto bisogna precisare che non si conosce la datazione esatta
della Divina Commedia: la stesura dell'Inferno viene generalmente
collocata tra il 1306 e il 1309, considerando i fatti che vi sono narrati, le
"profezie" di Dante e altri fattori.
Giovanni Boccaccio fu il primo a supporre una datazione ben più anteriore
almeno per i primi sette canti dell'Inferno, collocati nel 1301 circa. Gli
indizi sui quali si basa sono piuttosto labili, ma questa teoria circa le due
fasi di composizione della cantica sono state riprese anche da alcuni
dantisti moderni, come G. Ferretti (I due tempi della composizione della
Divina Commedia, Bari, 1935). Questi indizi sono la mancanza di accenni
all'esilio di Dante (giugno 1301) nella profezia pronunciata da Ciacco,
l'attacco a ritroso dell'VIII canto, appunto, con la marcata ripresa
("seguitando"...) come se si trattasse di un lavoro interrotto e una generale
maturazione stilistica tra i primi canti e la parte successiva (spiegabile
comunque come un'evoluzione naturale dello stile poetico via via che si
procedeva nella creazione del poema).
Boccaccio, a sostegno della sua tesi, illustrò anche con dovizia di particolari
un aneddoto, che oggi è in genere ritenuto un falso dagli studiosi. Secondo
la sua ricostruzione verso il 1306 un parente del poeta trovò rovistando
accidentalmente un "quadernuccio" dove erano trascritti i primi sette canti
dell'Inferno. Dopo averlo consegnato a Dino Frescobaldi, a sua volta poeta,
quest'ultimo rimase meravigliato dalla bellezza dei versi e inoltrò il plico al
marchese Moroello Malaspina al Castello di Fosdinovo, in Lunigiana, dove
veniva ospitato allora il poeta in esilio. Il marchese allora, a sua volta colpito
dall'opera iniziata e abbandonata, avrebbe persuaso il poeta affinché non
lasciasse "senza debito fine sì alto principio". Secondo Boccaccio quindi la
giuntura tra l'opera sarebbe riconoscibile proprio da quel "seguitando",
anche se studi moderni hanno messo in luce come siano frequenti in Dante
riprese di questo tipo, soprattutto a inizio di capitolo (Vita Nuova VI, XI e
XXIX, Convivio II-10, Monarchia I-15, II-3, ecc).