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I Santi Segni – Percorso di approfondimento per catechisti

2011-2012

I Santi Segni: scoprire e presentare i Sacramenti della Chiesa


Percorso di approfondimento per catechisti

3. Come agli apostoli nel giorno di Pentecoste: il sacramento della Confermazione

1. Dalle origini ai nostri giorni: la comprensione e la celebrazione del sacramento


Le origini del sacramento della Confermazione sono rintracciabili nella Chiesa apostolica, quando si fa
chiara la consapevolezza che l’esistenza cristiana è animata dallo Spirito che rinnova in chi lo riceve i
prodigi della Pentecoste. Lo stesso evento di grazia vissuto dagli apostoli nel Cenacolo di Gerusalemme si
ripresenta nella vita di chi riceve lo Spirito. Ecco due brani significativi.
At 8, 14
Frattanto gli apostoli, a Gerusalemme, seppero che la Samaria aveva accolto la parola di Dio e inviarono a loro
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Pietro e Giovanni. Essi scesero e pregarono per loro perché ricevessero lo Spirito Santo; non era infatti ancora
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disceso sopra nessuno di loro, ma erano stati soltanto battezzati nel nome del Signore Gesù. Allora imponevano
loro le mani e quelli ricevevano lo Spirito Santo.
At 19,1
Mentre Apollo era a Corinto, Paolo, attraversate le regioni dell’altopiano, scese a Èfeso. Qui trovò alcuni
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discepoli e disse loro: «Avete ricevuto lo Spirito Santo quando siete venuti alla fede?». Gli risposero: «Non
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abbiamo nemmeno sentito dire che esista uno Spirito Santo». Ed egli disse: «Quale Battesimo avete ricevuto?».
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«Il Battesimo di Giovanni», risposero. Disse allora Paolo: «Giovanni battezzò con un Battesimo di conversione,
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dicendo al popolo di credere in colui che sarebbe venuto dopo di lui, cioè in Gesù». Udito questo, si fecero
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battezzare nel nome del Signore Gesù e, non appena Paolo ebbe imposto loro le mani, discese su di loro lo
Spirito Santo e si misero a parlare in lingue e a profetare.

In entrambi i casi appare chiara una prassi battesimale fatta di due gesti ritenuti necessari: l’immersione
nell’acqua e l’imposizione delle mani. Da un lato questo ci aiuta a capire che non si dà nel NT un gesto di
“Confermazione” che abbia autonomia rispetto al mandato battesimale: l’imposizione delle mani segue il
Battesimo e ne completa l’efficacia. Dall’altro sembra di poter cogliere anche l’esistenza di una “distanza”
fatta anche di un intervento successivo al Battesimo e operato da un ministro differente.
Nei primi secoli la Chiesa riunisce i due gesti: quando il catecumeno riceve il Battesimo riceve anche il
dono dello Spirito nel sacramento della Confermazione. Dopo l’Editto di Costantino (313), la grande
diffusione del cristianesimo e il consolidarsi della società cristiana determinano una distanza nella
celebrazione dei due sacramenti. Il Battesimo, anche a motivo del pericolo di morte, era amministrato dal
sacerdote nelle parrocchie già nei primi giorni di vita del bambino mente per la Confermazione si
attendeva il vescovo, quando poteva arrivare nelle comunità locali. In tal modo si voleva custodire un
legame con il successore degli apostoli anche quando le più articolate esigenze pastorali non permettevano
un contatto frequente.
Il rito, inizialmente legato al gesto dell’imposizione delle mani, si arricchisce della rinnovata professione di
fede e della crismazione, da cui il nome Cresima.
Nel Medioevo, con S. Tommaso si farà strada anche l’idea della maturità cristiana cui il sacramento
conduce. Inizialmente la riflessione riguarda la maturità spirituale del cristiano che trova il suo compimento
nell’Eucaristia. Un po’ alla volta la questione si riduce all’età anagrafica e si perde di vista il contatto con
l’Eucaristia vero sacramento della maturità. Il Concilio di Trento (1545-1563) oltre a ribadire la qualità di
“vero e proprio sacramento” fissa l’età della Confermazione in un tempo che va dai 7 ai 12 anni aprendo
l’idea del sacramento della perfezione: non solo perché la Confermazione perfeziona il Battesimo
(confirmatione baptisma perficitur) ma anche perché il battezzato acquista il vigore di una nuova virtù e
comincia a essere perfetto soldato di Gesù Cristo (Concilio di Trento, Decreto sulla Cresima).

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L’ordine dei sacramenti rimane però lo stesso: il cresimato riceve a breve distanza di tempo anche il
sacramento dell’Eucaristia nella prima comunione.
Nel secolo scorso l’anticipo della prima comunione da parte di Pio X (Decreto Quam singulari 1910) e
l’esigenza di preparare meglio i ragazzi ai due sacramenti porteranno a posticipare la Confermazione e a
consolidare la prassi che anche oggi osserviamo, consolidando ulteriormente l’idea che la Confermazione
sia il sacramento della maturità. Un decreto della CEI ha stabilito che l’età per il conferimento della
Cresima è quella dei 12 anni circa (delibera del 23 dic. 1983).
La riflessione più recente sull’iniziazione cristiana ci ha aiutato a ritrovare l’idea originaria del sacramento,
cogliendone il legame con il Battesimo e l’orientamento all’Eucaristia. Il dono dello Spirito operante nel
sacramento rende pienamente efficace la rinascita battesimale: il Battesimo sta alla Confermazione come
la Pasqua sta alla Pentecoste. E l’azione dello Spirito conduce il cristiano ad accogliere il dono
dell’Eucaristia e conferisce la forza necessaria perché l’Eucaristia possa trasformare la vita.
Vi è dunque un legame inscindibile tra i tre sacramenti. Tutto nasce dal dono Pasquale di Cristo che sgorga
nella Chiesa dall’Eucaristia. Tale dono domanda di essere accolto e il Battesimo ne offre e ne dichiara
l’accoglienza. La Confermazione mediante il dono dello Spirito conduce il cresimato alla sorgente da cui
tutto sgorga (Eucaristia) ma per diventarne partecipe ed esserne trasformato: Ti preghiamo umilmente: per
la comunione al corpo e al sangue di Cristo lo Spirito Santo ci riunisca in un solo corpo.

2. Il dono dello Spirito


Osserviamo ora lo specifico del sacramento.
La Confermazione ha sempre inteso comunicare non “un” dono particolare dello Spirito ma “il” dono
dello Spirito, in tutta la sua consistenza e forza. Di nessun altro sacramento si dice che “dona” lo Spirito
Santo, neppure del Battesimo, anche se lo Spirito agisce in tutti sacramenti. Significa che nulla manca
ormai a questa straordinaria Presenza che dimora nel cresimato.
Il Rito della Confermazione, facendo riferimento alla Pentecoste, ricorda che se anche se oggi la venuta
dello Spirito non è accompagnata da prodigi straordinari, come il dono delle lingue, la fede ci insegna che
questo Spirito ci è dato in maniera invisibile, ma reale. (Rito, n. 25)
Reale. Il termine mette in evidenza la verità del Dono offerto, la sua provenienza.
- È proprio il dono dello Spirito, che è Signore e dà la vita (Rito, 26): è la formula che appartiene alla
professione di fede trinitaria; lo Spirito dà forma con il Padre e il Figlio al mistero personale di Dio.
Essere abitati da tale Presenza significa essere legati indissolubilmente alla Trinità e alla vita divina.
- È lo Spirito che lega Gesù al Padre e lo sostiene nella sua missione: Cristo infatti, consacrato con
l'unzione dello Spirito Santo nel Battesimo al fiume Giordano, fu mandato a compiere l'opera affidatagli
dal Padre, per diffondere sulla terra il fuoco dello Spirito (Rito, n. 25). Tutta la vita di Gesù dalla sua
incarnazione per opera dello Spirito Santo fino al suo sacrificio mosso dallo Spirito eterno (Eb 9,14).
- È lo Spirito promesso da Gesù e conferito in modo speciale come agli apostoli nel giorno di
Pentecoste (Rito, 26). L’evento pertanto si rinnova riproponendo nel discepolo di ogni tempo una sorta
di grazia inesauribile e sorprendente, la stessa che gli apostoli hanno sperimentato in quel giorno santo.
Se anche oggi non si percepiscono “prodigi straordinari”, osserva il Rito, non da meno la sua azione è
reale: È lui che diffonde nei nostri cuori la carità di Dio. È lui che, nell'unità della vocazione cristiana e
nella molteplicità dei carismi ci riunisce in un solo corpo. È lui che opera la santificazione e l'unità della
Chiesa.

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Tale dono non è simbolico: è effettivo, permanente, irrevocabile. Ciò viene espresso nella formula
sacramentale risalente al V secolo: N. ricevi il sigillo dello Spirito Santo che ti è dato in dono. Amen. La pace
sia con te. E con il tuo Spirito.
La formula utilizza la parola che richiama il concetto di sphragis-sigillo e la realtà del carattere che il
sacramento imprime. Il sigillo indica una particolare proprietà. «Per mezzo di questa unzione il cresimando
riceve il “marchio”, il sigillo dello Spirito Santo. Il sigillo è il simbolo della persona, il segno della sua
autorità, della sua proprietà su un oggetto (per questo si usava imprimere sui soldati il sigillo del loro capo,
come sugli schiavi quello del loro padrone); esso autentica un atto giuridico o un documento e, in certi casi,
lo rende segreto» (CCC 1295).
Come in Cristo Dio ha messo il suo sigillo (Gv 6,27) in lui il Padre segna anche noi con il suo sigillo. È Dio
stesso che ci conferma, insieme a voi, in Cristo, e ci ha conferito l’unzione, ci ha impresso il sigillo e ci ha
dato la caparra dello Spirito nei nostri cuori (2Cor 1,22, cf. Ef 1,13; 4,30). Questo sigillo dello Spirito Santo
segna l’appartenenza totale a Cristo, l’essere al suo servizio per sempre, ma anche la promessa della divina
protezione nella grande prova escatologica (Cf. Ap 7,2-3; 9,4); (CCC 1296).

3. La rinnovata Pentecoste
Nel Rito della Confermazione è molto marcato il riferimento alla Pentecoste. Lo Spirito è conferito
come agli apostoli in quel giorno. Per comprendere allora il senso del sacramento possiamo ritrovare
tale giorno e tale evento di grazia da cui promana tutta la vitalità della Chiesa.
Nel NT la descrizione della Pentecoste appartiene alla narrazione che Luca fa in Atti 2,1-13
At 2,1 2
Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne
all'improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove
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stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono
colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di
esprimersi.
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Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. A quel rumore, la folla si
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radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. Erano stupiti e, fuori di sé per la
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meraviglia, dicevano: «Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? E come mai ciascuno di noi sente parlare
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nella propria lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamiti, abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadòcia,
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del Ponto e dell'Asia, della Frìgia e della Panfìlia, dell'Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, Romani qui
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residenti, Giudei e prosèliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio». Tutti
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erano stupefatti e perplessi, e si chiedevano l'un l'altro: «Che cosa significa questo?». Altri invece li deridevano e
dicevano: «Si sono ubriacati di vino dolce».

Che succede in quel giorno? Riconosciamo alcuni elementi interpretativi che ci aiutino a comprendere il
significato della Confermazione.

A. Un giorno compiuto
La Pentecoste nel contesto ebraico era in origine una festa agricola (Shavuoth) che coincideva con
l’inizio della mietitura e la prima raccolta di frutta e vegetali verso maggio-giugno. I contadini
ringraziavano Dio per sette settimane con l’offerta di primizie, contate partendo dal giorno dopo la
Pesah (la Pasqua che ricordava la liberazione dalla schiavitù in Egitto); al cinquantesimo giorno
terminavano le offerte portando in sinagoga due pani lievitati per famiglia, preparati solo con fior di
farina.
Lv 23,15
Dal giorno dopo il sabato, cioè dal giorno in cui avrete portato il covone per il rito di elevazione, conterete sette
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settimane complete. Conterete cinquanta giorni fino all'indomani del settimo sabato e offrirete al Signore una nuova

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oblazione. Porterete dai luoghi dove abiterete due pani, per offerta con rito di elevazione: saranno di due decimi di
efa di fior di farina, e li farete cuocere lievitati; sono le primizie in onore del Signore.

Da qui il nome Shavuoth che significa “settimane” ed il nome alternativo Atzeret, che vuol dire
“conclusione”. Il termine tradotto in greco ha ripreso l’idea del tempo diventando Pentēkosté, che vuol dire
appunto “cinquantesimo”.
Nel II secolo si diffuse invece presso gli ebrei una concezione più matura e profonda di questa festa, che
divenne la ricorrenza della consegna delle Tavole della Legge a Mosè sul Monte Sinai. Ai tempi di Gesù
essa ricordava invece il compimento di un’azione di salvezza (7 giorni per 7 settimane) in cui Israele
comprende che l’azione di Dio è efficace ed è fonte di fecondità e di prosperità. Le sue promesse si
sono compiute.
Ebbene, anche la narrazione di quello che è avvenuto nel giorno della Pentecoste cristiana riprende
l’idea del compimento. Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste (2,1). Il verbo synpleróo
indica una molteplicità compiuta: tutte le cose che appartengono a quel giorno sono state portate a
pienezza di significato, di efficacia, di fruttuosità.
Ma quel giorno è un evento più ampio di “quel” giorno. Non dobbiamo dimenticare che la Pentecoste
segna la pienezza di un evento che ha avuto inizio con la glorificazione di Gesù mediante la sua morte e
risurrezione. È il chicco di frumento che ha portato frutto. Tant’è vero che nel Vangelo di Giovanni
l’effusione dello Spirito appartiene allo stesso giorno di Pasqua, quando Gesù risorto, incontrando gli
apostoli comunica il dono dello Spirito (Gv 20,19-22).
Gv 20,19
La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i
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discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le
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mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha
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mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui
perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».

Il “giorno” di Pentecoste è dunque un evento che si dilata dal giorno cronologico al giorno teologico:
siamo di fronte al giorno in cui Dio nel suo Figlio ha portato a compimento il suo progetto di salvezza.
Ma questo è possibile unicamente grazie allo Spirito. Lo stesso verbo che indica il compimento di quel
giorno ritorna anche più avanti, quando si dice che un vento impetuoso “riempì” (pleróo) la casa dove si
trovavano (2,2): la pienezza arriva perché c’è qualcuno che porta a pienezza, che riempie la casa: lo
Spirito è la pienezza!
Quel giorno compiuto dunque è un evento che riguarda l’azione dello Spirito. Mediante la sua azione
possiamo attingere con abbondanza alla conoscenza del mistero di Dio e all’esperienza della sua
salvezza. Tutto è vostro: Paolo, Apollo, Cefa, il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro: tutto è
vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio. (1Cor 3,22-23). Che cosa ci manca, che cosa ci può
spaventare? Egli, che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci
donerà forse ogni cosa insieme a lui? (Rm 8, 32)
L’esistenza riceve la possibilità di essere riletta, in termini di grazia, di speranza, di gioia, anche quando
sembra impossibile.
La testimonianza di Nick Vujicic.

B. Il giorno della ritrovata identità


Il brano della Pentecoste continua presentandoci la comunità “riunita nello stesso luogo”. Pochi versetti
prima Luca ci aveva detto di che luogo si trattava e chi vi era riunito.

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At 1,12
Allora ritornarono a Gerusalemme dal monte detto degli Ulivi, che è vicino a Gerusalemme quanto il cammino
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permesso in giorno di sabato. Entrati in città, salirono nella stanza al piano superiore, dove erano soliti riunirsi: vi
erano Pietro e Giovanni, Giacomo e Andrea, Filippo e Tommaso, Bartolomeo e Matteo, Giacomo figlio di Alfeo,
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Simone lo Zelota e Giuda figlio di Giacomo. Tutti questi erano perseveranti e concordi nella preghiera, insieme ad
alcune donne e a Maria, la madre di Gesù, e ai fratelli di lui.

La descrizione di Luca ci offre un quadro già delineato della nascente comunità, apparentemente molto
composto. La stanza al piano superiore era quella dell’Ultima cena (Lc 22,12): quel posto costituisce
l’identificazione locale della prima comunità cristiana. Di quella comunità inoltre si ricordano i nomi. Ci
sono gli Undici, Maria, la Madre di Gesù e qualche altro discepolo, uomini e donne. Poco dopo a quella
comunità verrà aggregato anche Mattia, al posto del traditore (At 1,26): altro nome. La comunità inoltre
è riunita nella preghiera: un atteggiamento che sembra supportare l’attesa che aveva raccomandato
Gesù: Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non
siate rivestiti di potenza dall'alto» (Lc 24,49).
Ma a questo quadro ideale occorre aggiungere qualche elemento più realistico che troviamo nel
vangelo di Giovanni. Mentre ci racconta l’incontro Pasquale tra Gesù e i suoi, l’evangelista ci ricorda che
erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei (Gv 20,19). È una
comunità impaurita: la riunione nello stesso luogo, la preghiera non cancellano questo stato d’animo. E
nel capitolo successivo l’evangelista tale comunità è descritta in maniera ancor più drammatica: Si
trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaele di Cana di Galilea, i figli di Zebedeo
e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: «Io vado a pescare» (Gv 21, 2-3). È una comunità che
registra delle assenze, una disgregazione e la tentazione di ritornare alle antiche professioni: il
pescatore di uomini torna alle reti del lago.
Non ci si trova stando all’interno, chiusi. Si è sopraffatti dalla paura che corrode l’identità e i rapporti.
C’è bisogno anche di un’identificazione esterna che ricordi al pescatore che è divenuto “pescatore di
uomini”. E questo passaggio non avviene in maniera automatica, né per l’impegno o la buona volontà.
Bisogna essere rivestiti di forza dall’alto. Lo Spirito è vento impetuoso: apre le porte, mette la comunità
nascente in relazione al mondo e consente ai discepoli di ritrovare se stessi nella loro missione oltre che
nella loro comunione. Allora Pietro con gli Undici si alzò in piedi e a voce alta parlò (At 2,14): ecco il
gruppo che ritrova se stesso appena lo Spirito viene effuso.
Il giorno di Pentecoste ricorda alla Chiesa la sua identità e le fa ritrovare l’unità. Ma essa le viene
suggerita dalla tensione missionaria che lo Spirito riapre.
Senza quel giorno la Chiesa se ne sta intimorita. Certo, prega. Ma la preghiera non è autocompiacimento
o autocommiserazione bensì disponibilità a Dio e all’azione del suo Spirito. È esperienza “estro-versa”,
rivolta cioè verso l’estero di sé, verso Dio e verso gli altri.
Lo Spirito aiuta a vincere le paure, ma lo fa aprendo le porte alla missione. Forse qualche volta la
comunità cristiana (o un gruppo di ragazzi) sono indeboliti e disgregati perché hanno smarrito la
tensione missionaria. Si pensa di essere ugualmente cristiani ma si è perso qualcosa di essenziale.
Rompere l’anello incantato… troppo stretto. Un film per riflettere.

C. Un giorno di nuova costruzione


Perché l’evangelista dà tanto spazio al fenomeno delle lingue a Pentecoste? Lingue di fuoco e
comprensione della predicazione in tutte le lingue. Luca ha voluto creare un tacito contrasto tra ciò che
accade nella costruzione di Babele e ciò che si verifica a Pentecoste.

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Gen 11,1 2
Tutta la terra aveva un'unica lingua e uniche parole. Emigrando dall'oriente, gli uomini capitarono in una
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pianura nella regione di Sinar e vi si stabilirono. Si dissero l'un l'altro: «Venite, facciamoci mattoni e cuociamoli al
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fuoco». Il mattone servì loro da pietra e il bitume da malta. Poi dissero: «Venite, costruiamoci una città e una torre, la
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cui cima tocchi il cielo, e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra». Ma il Signore scese a vedere la
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città e la torre che i figli degli uomini stavano costruendo. Il Signore disse: «Ecco, essi sono un unico popolo e hanno
tutti un'unica lingua; questo è l'inizio della loro opera, e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro
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impossibile. Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l'uno la lingua dell'altro».
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Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città. Per questo la si chiamò Babele,
perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse su tutta la terra.

A Babele l’uomo parla con un’unica lingua. È il linguaggio che Dio ha insegnato all’inizio della
creazione: il linguaggio della creaturalità riconoscente che porta ad accogliere la vita propria e altrui
come dono e responsabilità, nella consapevolezza di non esserne gli artefici e di doverne rendere conto.
Ad un certo punto l’uomo perde questa prospettiva: perde il riferimento al Creatore e vuole occuparne
il posto. Facciamoci un nome. Il nome nella Bibbia dice sempre l’identità di colui al quale è attribuito.
L’uomo vittima dell’arroganza e dell’orgoglio vuole che il suo nome risuoni dall’alto, da una torre che
arrivi fino al cielo. È un nome che rivendica autonomia, che vuole scalzare il posto di Dio.
Ma è un progetto fallimentare che naufraga nella confusione. Perché quando l’uomo prende il posto di
Dio inizia a parlare una lingua diversa dettata dalla propria visione della vita e non più da quella di Dio.
La visione del possesso, della supremazia sugli altri, la visione dell’apparire, la visione delle prestazioni
che antepongono il fare all’essere… Sono le “lingue” che anche oggi rendono difficile la nostra
convivenza perché non siamo “programmati” per questa vita vuota di Dio o in alternativa a lui.
A Pentecoste scendono dal cielo lingue di fuoco perché Dio affida allo Spirito la possibilità di rivelare la
verità della vita: quello che fa lui e non l’uomo, il suo nome e non i nomignoli umani. Gli apostoli si
fanno eco di questa nuova parola di salvezza e chi li ascolta non ode dei proclami di sé, ma le meraviglie
divine: Li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio. Gli uomini tornano a capirsi
perché odono e imparano la lingua di Dio.
Di che lingua si tratta? È una lingua suggerita dall’amore. L’amore che accompagna le meraviglie di Dio
nel suo Figlio Gesù che non cessa di manifestarsi mediante il suo Spirito. Infatti, immediatamente prima
di promettere il dono dello Spirito, Gesù afferma: In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch'egli
compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre (Gv 14,12).
Lo Spirito manifesta le grandi opere di Dio anche nell’esistenza dei cristiani. Tali opere sono la lingua
nuova comprensibile da tutti con la quale Dio vuole convincere l’uomo sulla sua vocazione, sul destino di
chi è stato creato dall’amore, nell’amore trova il senso della sua vita e all’amore è destinato.
Ogni gesto d’amore parla la lingua di Dio, accende il suo fuoco sulla terra, vince l’antica Babele, riunisce i
popoli e rinnova l’umanità. Da notare che non si ritorna all’unica lingua come in Gen 11,1; le lingue si
dividono e si posano su ciascuno: c’è un principio di unità e di distinzione. Si parla il linguaggio
dell’amore ma con accenti particolari, tipici di ciascuno. Lo Spirito non riduce le differenze, ma le rende
ricchezza per tutti..
Un’esperienza che parla la nuova lingua: Sarmeola

D. Un giorno che risplende in chi lo accoglie


Quando gli apostoli iniziano la predicazione le reazioni non sono entusiaste. Anzi gli atteggiamenti
indicano una distanza rispetto a quanto sta avvenendo. È interessante osservare il tipo di reazione.

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 At 2,6
A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria
lingua. Il turbamento deriva anzitutto da un fenomeno strano che desta preoccupazione: la
possibilità che una parola raggiunga tutti con una sua chiarezza. Vengono in mente le obiezioni
rivolte a Gesù: Tutti furono presi da timore e si dicevano l'un l'altro: «Che parola è mai questa, che
comanda con autorità e potenza agli spiriti impuri ed essi se ne vanno?» (Lc 4,36). Quando si
intravede la forza di una parola, da tale parola si può essere turbati, specie se scomoda, se domanda
un cambiamento, se può raggiungere la vita superando le barriere dietro le quali ci si vorrebbe
difendere.
 At 2,7
Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: «Tutti costoro che parlano non sono forse
Galilei? Altra distanza è data dal fatto che coloro che parlano sono Galilei. Vi è una latente critica
riconducibile alla scarsa considerazione nei loro confronti, tanto che anche Gesù l’ha subita. Quando
Nicodemo prende le difese di Gesù di fronte ai farisei e ai sacerdoti, essi obiettano «Sei anche tu di
Galilea? Esamina, e vedrai che dalla Galilea non sorge profeta» (Gv 7,52). Da notare che poco prima
le guardie inviate per arrestare Gesù avevano rifiutato di farlo dicendo :«Mai un uomo ha parlato
così!». (Gv 7,46). Anche la parola di Gesù viene censurata in quanto Galileo. Vi è una considerazione
spregevole dei Galilei come emerge dalle accuse rivolte a Pietro prima del suo rinnegamento: Poco
dopo i presenti dicevano di nuovo a Pietro: «È vero, tu certo sei uno di loro; infatti sei Galileo».(Mc
14,70). Galileo è espressione di una zona di confine, esposta alla corruzione rispetto alla fede pura
di Israele, tanto che anche l’aramaico di Galilea era guasto e corrotto: «È vero, anche tu sei uno di
loro: infatti il tuo accento ti tradisce!» (Mt 26,73). La resistenza è quindi dovuta al fatto che qualcuno
di insignificante, bandito dai circuiti della religiosità ufficiale possa intervenire su Dio e possa farlo in
maniera efficace.
 At 2,12
Tutti erano stupefatti e perplessi, e si chiedevano l'un l'altro: «Che cosa significa questo?». Altro
atteggiamento è quello della perplessità di chi indugia nella ricerca di una comprensione ma rimane
prigioniero delle proprie domande. Il testo vuol dire: erano esitanti, perplessi, ansiosi. "Non
sapevano che pensare". Una sospensione che relega in un limbo di incertezza privo di ogni possibilità
di comprensione perché essa è cercata al di fuori della fede. Notare che la domanda non viene fatta
agli apostoli, ma risuona nel gruppo dei perplessi: si chiedevano l’un l’altro. A volte il credente non è
ritenuto interlocutore credibile, non è degno di domande e si presume di poter risolvere
autonomamente la questione.
 At 2,13
Altri invece li deridevano e dicevano: «Si sono ubriacati di vino dolce». Infine una quarta area è
costituita da un’accusa sprezzante e irridente: sono ubriachi. È la stessa derisione che ha provato
Paolo ad Atene: Quando sentirono parlare di risurrezione dei morti, alcuni lo deridevano (At 17,32). Il
testimone può essere considerato prigioniero di un’allucinazione sul presupposto che non vi sia
possibilità di essere condotti non solo da una sapienza che parli all’intelligenza ma anche da una
nuova ebbrezza che dia effervescenza alla vita.
La variabilità di reazioni ci dice che la missione è sempre esposta alla libertà dell’accoglienza e che l’esito
non è del tutto imputabile alla convinzione o alla coerenza del testimone. Non di meno tale
testimonianza è necessaria. Dove sta dunque la sua efficacia? Sta innanzitutto nel testimone, nella sua
vita ridisegnata dallo Spirito in maniera sempre più intensa e vera. Perché la Pentecoste è vita perenne
nello Spirito di chi combatte le opere della carne.
Rm 8,12 13
Così dunque, fratelli, noi siamo debitori non verso la carne, per vivere secondo i desideri carnali, perché, se
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vivete secondo la carne, morirete. Se, invece, mediante lo Spirito fate morire le opere del corpo, vivrete. Infatti tutti
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quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per
ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: «Abbà!
Padre!».

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Ma l’efficacia sta anche nella determinazione di chi non fugge e rende ragione. Pietro e gli altri non se
ne stanno inerti di fronte alla sufficienza o alla derisione, ma danno una risposta che può interpretare
anche la collocazione di un credente in un ambiente indifferente o ostile. Nell’intervento di Pietro c’è
una gradualità mediante la quale egli rende ragione della sua fede. Vi si possono riconoscere alcuni
atteggiamenti da suggerire anche a un ragazzo.
 Rimanere in piedi: Io vi darò lingua e sapienza (Lc 21,15)
At 2,14
Allora Pietro con gli Undici si alzò in piedi e a voce alta parlò a loro così: «Uomini di Giudea, e voi tutti abitanti di
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Gerusalemme, vi sia noto questo e fate attenzione alle mie parole. Questi uomini non sono ubriachi, come voi
supponete: sono infatti le nove del mattino;

Pietro e gli Undici sono in piedi. Non soccombono di fronte all’avversario. Pietro parla a voce alta,
senza timore e risponde alle insinuazioni, porta argomentazioni. Il giorno di Pentecoste è quello in
cui non fuggi e hai il coraggio di resistere: lo Spirito ti abilita alla resistenza e ti dà le parole da dire.
 Ricordare una storia di salvezza: Mossi da Spirito Santo parlarono alcuni uomini da parte di Dio (2Pt
1,21)
At 2,16
accade invece quello che fu detto per mezzo del profeta Gioele:
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Avverrà: negli ultimi giorni - dice Dio -
su tutti effonderò il mio Spirito;
i vostri figli e le vostre figlie profeteranno,
i vostri giovani avranno visioni
e i vostri anziani faranno sogni.

Pietro ricorda la pagina dell’AT, ricorda quindi che c’è un progetto di salvezza che parte da lontano. Il
sogno di Dio e degli uomini che a quel sogno hanno creduto. La storia non è la brutta attualità
dell’accadere ma il disegno che ci sta sotto.
 La speranza in Gesù risorto: Nessuno dice Gesù è Signore se non sotto l’azione dello Spirito (1Cor
12,3)
At 2,22
Uomini d'Israele, ascoltate queste parole: Gesù di Nàzaret - uomo accreditato da Dio presso di voi per mezzo di
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miracoli, prodigi e segni, che Dio stesso fece tra voi per opera sua, come voi sapete bene -, consegnato a voi
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secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio, voi, per mano di pagani, l'avete crocifisso e l'avete ucciso. Ora
Dio lo ha risuscitato, liberandolo dai dolori della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere.

La testimonianza ha il suo cuore pulsante nell’annuncio di Gesù e della sua Pasqua. Lo Spirito
conduce a riconoscere lui, la sua vicenda, la sua presenza risorta, la vicinanza che egli pone nella vita
di chi lo accoglie.
 L’appello alla conversione sulla base di una promessa: lo Spirito grida “Abba, padre” (Gal 4,6)
At 2,38
«Convertitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per il perdono dei vostri peccati, e
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riceverete il dono dello Spirito Santo. Per voi infatti è la promessa e per i vostri figli e per tutti quelli che sono
lontani, quanti ne chiamerà il Signore Dio nostro».

Il testimone non esita a richiamare un atteggiamento di radicale ritorno a Dio, lontano da ogni
ambiguità e compromesso. Ma non lo fa per porre un peso insopportabile sulle spalle, bensì per
aprire una promessa: una vita animata dallo Spirito, libera dall’oscurità e aperta all’amore del Padre
e alla fraternità con Gesù Cristo.
Un testimone da proporre: Pier Giorgio Frassati

Per ulteriori approfondimenti rinviamo alla proposta fatta a Paderno il 26-27 marzo 2011. Materiale a disposizione nel sito UCD.

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