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Lezione n° 23 del 23/03/2017

Materia: Anatomia umana II


Appunti di: Giulia Rotondi
Argomenti: Parete addominale posteriore (vasi, nervi, linfonodi ed ernie), pelvi e retroperitoneo

Il docente comunica che la mattina di lunedì 27 marzo si svolgerà una prova di evacuazione.

Nella precedente lezione è stata completata la trattazione della parete addominale anteriore, con la
descrizione di: canale inguinale, vascolarizzazione, innervazione, drenaggio linfatico ed ernie addominali. È
stato inoltre introdotto lo studio della parete addominale posteriore.

PARETE ADDOMINALE POSTERIORE


VASI, NERVI E DRENAGGIO LINFATICO
L’aorta dà origine a tre ordini di rami: latero-posteriori, laterali e anteriori. I rami latero-posteriori sono
rappresentati da arterie segmentali, le arterie lombari. La parete addominale posteriore è vascolarizzata:
superiormente, dalle arterie freniche, che non sono altro che due arterie lombari modificate per
vascolarizzare il diaframma; inferiormente, dalle arterie lombari, le quali sono la versione senza muscoli
intercostali delle arterie intercostali. Si noti che le arterie lombari seguono la stessa topografia dell’ultima
arteria intercostale e delle sottocostali, collocandosi tra muscolo trasverso e muscolo obliquo interno.

Il drenaggio venoso è garantito dalle vene


lombari, satelliti delle omonime arterie e
tributarie posteriori della vena cava inferiore,
e dalla vena ileolombare, ultima vena
lombare che si porta alla cresta iliaca, per poi
drenare la parte interna del grande imbuto
pelvico. La peculiarità delle vene lombari è
quella di essere collegate tra di loro attraverso
la vena lombare ascendente, la quale si
continua con le vene azygos ed emiazygos a
livello toracico. Di conseguenza, essendo le
vene azygos ed emiazygos tributarie della
vena cava superiore, si crea un’anastomosi
veno-venosa tra il sistema cavale inferiore ed
il sistema cavale superiore. Tale aspetto è di
particolare importanza, poiché implica che in
una condizione (non fisiologica) di
compressione di una delle due vene cave, il
circolo collaterale si comporti da “tampone”.
Un esempio parafisiologico di attivazione di
tali vene lombari è dato dalla gravidanza, in
particolare dagli ultimi due mesi, durante i
quali il feto ormai sviluppato comprime i
grossi vasi, aorta compresa. Dal momento che l’aorta ha pareti spesse ed è in pressione, mentre la vena cava
inferiore ha pareti più sottili e non è in pressione, a risentire di tale compressione sarà proprio la cava. In
questo caso, buona parte del sangue cavale inferiore segue il circolo collaterale del sistema azygos e si porta
alla vena cava superiore. Se questo non avvenisse, si avrebbe un mancato ritorno cavale, che rallenterebbe
tutta la circolazione, anche quella arteriosa (se non vi è ritorno del sangue venoso, non può esservi nemmeno
l’arrivo di sangue arterioso).

Per quanto riguarda il drenaggio linfatico, i linfocentri interessati per la componente superficiale della
porzione posteriore dell’addome (cute e sottocute, fino alla fascia toracolombare [fascia comune del copro])
sono quelli ascellare e inguinale. Ovviamente, il drenaggio della parte alta, appena sottocostale, si porta ai
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linfonodi ascellari, mentre quello della parte più bassa si porta ai linfonodi inguinali. Gli strati più profondi
della parete addominale posteriore, invece, si portano ai linfonodi satelliti dell’aorta. Anche tutto il drenaggio
linfatico del rachide e dei muscoli paravertebrali arriva ai linfonodi aortici. È quindi bene sottolineare come i
linfonodi aortici non siano esclusivamente viscerali (per gli organi addominali), bensì drenino anche la parete
posteriore.

L’innervazione è segmentale, secondo i dermatomeri cutanei. I rami che innervano la parete addominale
posteriore sono T12 e L1, L2, L3 (rami del plesso lombare). Mentre nella parete addominale anteriore, i rami
del plesso lombare innervano poco, in quanto ileolombare ed ileoipogastrico si portano solo all’area
prossima alla piega inguinale, a livello della parete posteriore innervano dei dermatomeri visibili. Ciò
dipende dal fatto che la suddivisione in dermatomeri non è ortogonale al pavimento, bensì inclinata; ad
esempio, T12 comprende anteriormente il pube, mentre posteriormente corrisponde effettivamente a T12.
I muscoli della parete addominale posteriore (psoas, ileopsoas, quadrato dei lombi) sono innervati da rami
del plesso lombare.

ERNIE POSTERIORI
Anche a livello della parete addominale posteriore possono formarsi delle ernie. Tuttavia, si tratta di ernie
improbabili e non comuni. I punti di debolezza posteriori sono due: il triangolo, o quadrilatero, di Grynfelt,
posizionato appena sotto la dodicesima costa,
ed il triangolo di Petit, situato poco sopra la
cresta iliaca.
Il triangolo di Petit è definito dall’inserzione
dell’obliquo esterno sulla cresta iliaca e
dall’inserzione del gran dorsale sulla colonna
vertebrale. All’interno del triangolo,
l’obliquo esterno è comunque presente, ma
solo nella sua componente aponeurotica. Al
di sotto di questa, si trova il muscolo
trasverso dell’addome. Di conseguenza, nel
triangolo di Petit, al posto di avere una triplice stratificazione muscolare (obliquo esterno, obliquo interno,
trasverso), avremo solo: aponeurosi dell’obliquo esterno, aponeurosi dell’obliquo interno e muscolo
trasverso. Essendoci quindi un solo strato
muscolare, si crea un punto di debolezza, da cui
può fuoriuscire del grasso della loggia renale.
Il quadrilatero, o triangolo, di Grynfelt (a
seconda di quanti lati si individuino) si
riconosce sollevando il muscolo grande dorsale,
che non partecipa alla sua delimitazione, in
quanto più superficiale dello stesso quadrilatero.
Tagliando poi il muscolo obliquo esterno, si
osserva che nel quadrilatero di Grynfelt manca
la parte carnosa del muscolo obliquo interno, del
quale è presente solo l’aponeurosi. Di
conseguenza, la stratificazione muscolare non
sarà triplice, bensì duplice: muscolo obliquo esterno e muscolo trasverso. Anche in questo caso, quindi, si
forma un punto di debolezza.
Tra le due ernie posteriori, quella del triangolo di Petit, pur essendo poco comune, è la più diffusa; viceversa,
quella del quadrilatero di Grynfelt risulta ancora più rara.

PARETI DELLA PELVI


COMPONENTE OSTEOMUSCOLARE
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La pelvi ossea presenta ai lati i due fori otturati, a livello dei quali origina il muscolo otturatorio interno, che
con forma triangolare, a virgola, si porta indietro per uscire dalla pelvi e inserirsi sul femore. Il muscolo
otturatorio, inoltre, corrisponde all’inserzione del muscolo elevatore dell’ano. Quindi, una parte del muscolo
otturatorio interno si troverà al di sopra dell’elevatore dell’ano, mentre l’altra parte si troverà al di sotto di
esso. In anatomia topografica, parlare di scavo pelvico (o pelvi, o cavità pelvica) equivale a riferirsi solo alla
parte superiore (sopra il muscolo elevatore dell’ano). La parte inferiore, invece, non fa parte della cavità
pelvica, pur contenendo organi importanti, come i genitali esterni. In osteologia, invece, quando si parla di
cavità pelvica non si opera tale distinzione, proprio perché manca l’elevatore dell’ano a separare i due spazi.
Ricordiamo inoltre che le tre componenti del muscolo elevatore dell’ano sono il muscolo ischiococcigeo, il
muscolo ileococcigeo ed il muscolo pubococcigeo, che passano a fionda attorno al retto. Di questi muscoli,
solo i due più anteriori (pubococcigeo e ileococcigeo) si inseriscono effettivamente sul muscolo otturatorio
interno, mentre l’ischiococcigeo si inserisce più sulla parte ossea, a livello dell’ischio. Molto posteriormente,
la cavità pelvica è chiusa dai due muscoli piriformi.
Si ricordi inoltre che sotto il muscolo elevatore dell’ano si trova il perineo, ovvero un insieme di muscoli,

simili nell’uomo e nella donna, che costituiscono il cosiddetto diaframma urogenitale (anteriormente). A
questo livello, originano i genitali esterni.

FASCE
Da un punto di vista storico, nello studio anatomico del corpo, la pelvi, al pari di testa e collo, è stata a lungo
trascurata, preferendo indagare la struttura di arti e tronco. Per questo motivo, quando lo studio dei distretti
testa e pelvi è iniziato, si è verificata una deriva della nomenclatura della testa, così come della nomenclatura
ostetrica. Tuttavia, considerando nell’insieme testa, torace, addome e pelvi, si nota che determinate strutture
evidenziate in un distretto, si ritrovano anche negli altri, seppur con nomi diversi. Inoltre, è da notare che le
uniche due regioni anatomiche di cui si può ancora scoprire qualcosa di nuovo, sono proprio testa e pelvi. Ad
esempio, la fascia temporale, piuttosto che l’innervazione pelvica, sono ancora temi da meglio definire.

A livello della pelvi, si parla di fascia parietale e fascia viscerale. La fascia parietale non è altro che la
continuazione della fascia parietale dell’addome, ovvero la fascia trasversalis (posizionata sotto il peritoneo
o in profondità rispetto ai muscoli). Mentre in alto la fascia trasversalis si fonde con l’epimisio del
diaframma, in basso non può fondersi con l’epimisio del muscolo elevatore dell’ano, perché tra questo ed il
peritoneo si trovano gli organi. Per questo motivo, la fascia trasversalis passa sopra gli organi e riveste anche
la parete della cavità pelvica sotto le creste iliache, prendendo il nome di fascia parietale. A seconda poi dei

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muscoli che riveste, la fascia parietale acquisisce diversi nomi: presacrale, otturatoria, del piriforme,
dell’elevatore dell’ano. La fascia parietale, la fascia trasversalis e la fascia endotoracica costituiscono
quell’unica fascia interna connettivale che rivestiva la cavità ventrale del corpo.
La fascia viscerale, invece, è intesa come addensamento del connettivo sottoperitoneale che avvolge, ma non
in intimo contatto, vescica, retto ed utero. È un concetto analogo a quello visto per il collo, dove la fascia
pretracheale ed i setti connettivali avvolgono il fascio vascolo-nervoso. Nello studio della pelvi, se tale
addensamento connettivale non viene considerato come un tutt’uno, ma a pezzi, si parla di legamenti.
Talvolta nella pelvi si parla anche di fascia profonda, senza per altro aver mai nominato una fascia
superficiale. In realtà, si tratta semplicemente della fascia che riveste inferiormente il muscolo elevatore
dell’ano. Tale fascia profonda corrisponde di fatto alla fascia comune del corpo, che equivale a dire fascia

toraco-dorsale, fascia cervicale profonda, fascia brachiale e antibrachiale, guaina dei retti.

VASI E NERVI
La vascolarizzazione della parete pelvica è garantita dai rami parietali dell’arteria iliaca interna. L’arteria
iliaca interna, infatti, dà dei rami viscerali, che si portano agli organi, e dei rami parietali, che si
distribuiscono ai muscoli sopra descritti e alle ossa (tramite rami perforanti). Il drenaggio venoso, invece, è a
carico di rami parietali tributari della vena iliaca interna.

L’innervazione dei muscoli elevatore dell’ano ed otturatore interno è data da rami motori del plesso sacrale.
Il plesso sacrale è la porzione più inferiore del plesso lombosacrale e si trova appoggiato al muscolo
piriforme. Solo pochi ramuscoli si distribuiscono alla pelvi, mentre il grosso tronco del plesso, ovvero il
nervo sciatico, esce dalla pelvi con il muscolo piriforme, per portarsi nella loggia posteriore della coscia.

RETROPERITONEO
DESCRIZIONE E CONTENUTO
Per retroperitoneo si intende lo spazio connettivale posizionato posteriormente al peritoneo (analogamente, il
sottoperitoneo è lo spazio connettivale che si trova inferiormente al peritoneo).
Asportando dalla cavità addominale tutti gli organi intraperitoneali ed i colon dell’apparato digerente,
ghiandole annesse comprese, si osserva che la parete addominale posteriore è rivestita dal peritoneo

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parietale. Si individuano inoltre le impronte coliche (dove si trovavano i colon) e le radici sezionate di
mesentere, mesocolon trasverso e mesosigma. In più, sotto la trasparenza peritoneale, si intravedono degli
organi: parte del duodeno, ureteri, reni, ghiandole surrenali, pancreas, grossi vasi (vena cava inferiore, aorta e
sua biforcazione nelle arterie iliache, vena iliaca). Le strutture appena elencate appartengono al
retroperitoneo.
[ndr: il docente spiega che gli organi verranno descritti successivamente, completando così la trattazione
degli apparati digerente e urogenitale, con un approccio sistematico]
In realtà, il duodeno ed il pancreas, pur trovandosi dietro il peritoneo, sono organi retroperitoneali “falsi”. La
spiegazione di tale affermazione va ricercata nell’organogenesi. Innanzitutto, ricordiamo che il peritoneo
deriva dal mesoderma, così come il connettivo lasso retroperitoneale ed il rene, il quale si sviluppa e rimane
nel retroperitoneo. L’intestino tenue mesenteriale origina sia dal mesoderma (componente peritoneale e
parete), che dall’endoderma (mucosa). Dal duodeno gemmano le grandi ghiandole del tubo digerente
addominale (fegato e pancreas), le quali sono di natura epiteliale, in quanto originano dalle cellule che
rivestono internamente il duodeno. Gli epiteli, infatti, possono avere solo origine ectodermica o
endodermica. Per questo, nei tubi a livello renale si parla di urotelio, nel peritoneo di mesotelio, nei vasi di
endotelio, nelle cavità dei ventricoli di ependima. Tuttavia c’è una convergenza morfologica tra questi tessuti
e gli effettivi epiteli, a dimostrazione che i tre foglietti possano portare alla formazione di strutture
morfologicamente simili.
Il duodeno, al tempo zero, è intraperitoneale, così come tutto il tubo digerente. Successivamente, il duodeno
inizia ad appoggiarsi alla parete addominale posteriore con il suo meso (mesoduodeno) e, siccome due
foglietti di peritoneo in contatto tendono sempre a fondersi, a formare un’aderenza, il duodeno si ritroverà
nel retroperitoneo. Ovviamente, anche il pancreas, che inizialmente era contenuto nel meso, finirà nel
retroperitoneo.

È da tenere presente che i vecchi anatomici non parlavano di organi retroperitoneali veri e falsi. Nella loro
visione, infatti, duodeno, pancreas e colon (anche colon ascendente e discendente avevano originariamente
un meso, che poi si è fuso, diventando retroperitoneale) sono organi sottoperitoneali. In questo caso, il
termine sottoperitoneale non significa nel sottoperitoneo, ma appena dietro al peritoneo parietale posteriore.
In altre parole, dissezionando l’addome, dopo averlo eviscerato, si raggiunge il letto peritoneale: appena
sotto la “pellicola” del peritoneo, si trovano gli organi cosiddetti sottoperitoneali. Per raggiungere gli organi
retroperitoneali, invece, si deve rimuovere anche del tessuto adiposo.

In una sezione trasversale di addome, si osserva il rachide e, nel retroperitoneo, si notano innanzitutto i reni,
ma anche l’aorta (sx) e la vena cava inferiore (dx). Il peritoneo parietale passa sopra al colon, alla fessura
duodeno digiunale, al duodeno e all’altro colon; ovviamente, il duodeno è più sottoperitoneale dei colon,
tuttavia né il colon ascendente, né il colon
discendente presentano un meso. [ndr: il docente
spiega che nelle tipiche, vecchie immagini dei
libri di anatomia, la sezione trasversale è vista
dall’alto, mentre attualmente questo tipo di
immagine si osserva dal basso, come in
radiologia]

In prossimità del retroperitoneo, la fascia


trasversalis prende il nome di fascia lateroconale,
quindi si sdoppia in due foglietti: un foglietto
anteriore (o prerenale, o di Gerota) ed un foglietto
posteriore (o retrorenale, o di Zuckerkandl). Il
foglietto anteriore di un lato passa davanti ai
grossi vasi, per poi continuarsi con il
controlaterale. Il foglietto posteriore, invece,
passa davanti al muscolo psoas, quindi si fissa sul
rachide. Tra i due foglietti si viene a delimitare
una loggia connettivale, che contiene del grasso e
degli organi. Tale grasso, interno alla fascia, è
detto perirenale, mentre quello che si trova
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esternamente alla fascia, sia anteriormente che posteriormente, prende il nome di grasso pararenale. La
porzione di grasso posteriore alla fascia è maggiore di quella anteriore.
Si noti inoltre che gli organi retroperitoneali finti si trovano anteriormente alla fascia del Gerota.
Superiormente, i due foglietti della fascia renale si fondono e si continuano con la fascia del diaframma.
Inferiormente, invece, il foglietto posteriore si trasforma nella fascia parietale pelvica, mentre l’anteriore si
perde nel grasso pelvico. Questo è un concetto molto importante in quanto, per rimare in sede, i reni
dipendono dai grossi vasi che formano il peduncolo e dall’effetto compressivo delle fasce prerenale e
retrorenale (non esistono legamenti sospensori). Tuttavia, la fascia non è adesa intimamente al rene, per via
della presenza del tessuto adiposo. Se tale grasso perirenale diminuisse, come nei dimagrimenti eccessivi (ad
esempio, l’anoressia), il rene non risulterebbe più stabile all’interno della capsula e tenderebbe a scendere, a
cadere nella pelvi, proprio perché la capsula non è chiusa inferiormente. Questo quadro clinico è noto come
ptosi renale (il termine medico “ptosi” indica in generale la caduta di qualcosa; ptosi della palpebra, ptosi
dello stomaco…). La ptosi renale comporta un duplice problema: da un lato, determina lo stiramento dei vasi
del peduncolo, con il rischio di una loro torsione e chiusura (ischemia del rene); dall’altro, modica la
conformazione dell’uretere, che si troverà a dover compiere un’ansa. Se l’uretere acquisisce questa forma, il
primo tratto dello stesso tenderà ad essere sempre pieno di urina (che non potrà semplicemente defluire verso
il basso); in questo caso, il rischio è di sviluppare un’infezione delle vie urinarie, correlata alla presenza di
questa urina ristagnante, in cui è possibile l’arrivo di microrganismi patogeni. A causa di tutte queste
conseguenze, è chiaro che la ptosi renale debba venir intercettata e corretta. Diverso è il caso di persone che
nascono già con il rene nella pelvi; in questa situazione, le arterie renali originano frequentemente dall’iliaca,
l’uretere è molto corto e non fa alcuna ansa, quindi il soggetto non presenta i problemi della ptosi renale e
non necessita di una correzione. Di conseguenza, è fondamentale saper distinguere una ptosi renale da un
difetto congenito.

VASI, NERVI E DRENAGGIO LINFATICO


I vasi del retroperitoneo sono rappresentati dall’aorta addominale (a sinistra) e dalla vena cava inferiore (a
destra). I rami della cava non corrispondono ai rami dell’aorta, a causa della presenza della vena porta.
I rami viscerali della vena cava sono le vene renali, la vena genitale destra (quella sinistra sbocca nella
renale) e le vene epatiche. Vene mesenteriche, vena lienale, vena gastrica, invece, vanno a costituire la vena
porta, che raggiunge il fegato, il quale scarica poi con le vene sopraepatiche (in numero di 2-3).
Tutti i rami anteriori dell’aorta sono per il tubo digerente, per gli organi nati intraperitoneali (compresi quelli
che con lo sviluppo sono diventati retroperitoneali).
[ndr: il docente invita a ripassare i rami dell’aorta addominale e della vena cava inferiore]

I linfonodi dell’addome sono tutti raccolti attorno all’aorta e sono suddivisibili in tre gruppi: preaortici
(davanti all’aorta), aortici laterali o para-aortici e
retroaortici (dietro all’aorta; ormai si considerano
parte dei laterali).
Inoltre, a livello addominale origina il dotto
toracico; infatti, la cisterna del chilo si trova
proprio davanti ai corpi vertebrali di T12 e L1,
ovvero nella porzione più alta della parete
addominale posteriore. Alla cisterna del chilo
arrivano i due tronchi lombari (drenaggio arto
inferiore e pelvi) e i due tronchi intestinali
(drenaggio tubo digerente addominale).

Nel retroperitoneo addominale si trovano molti


nervi, ovvero i rami del plesso lombare, nonché
nervi e gangli del sistema nervoso autonomo. Il
plesso lombare, invece, non si trova nel
retroperitoneo, bensì nel muscolo psoas (tra
l’origine anteriore e l’origine posteriore delle
fibre muscolari).

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Il plesso lombare è costituito dai rami ventrali dei nervi da T12 a L4 e si anastomizza con il plesso sacrale,
tanto è vero che funzionalmente e anatomicamente si può parlare di plesso lombosacrale.
Il nervo T12 si fonde con L1, per poi biforcarsi in un ramo superiore e un ramo inferiore. Il ramo superiore
dà origine ai nervi ileoinguinale e ileoipogastrico. Il ramo inferiore si fonde con un ramo di L2, a dare il
nervo genitofemorale. Degli altri due rami di L2, uno si porta verso il basso per fondersi con un ramo di L3 e
dare il nervo otturatorio; l’altro si divide a sua volta in due rami. Uno di questi si fonde con un ramo di L3 e
dà il nervo cutaneo laterale del femore; l’altro si fonde con un ulteriore ramo di L3, dando origine al nervo
femorale. Il nervo femorale è inoltre arricchito da un ramo proveniente da L4. Il quarto nervo lombare, poi,
partecipa alla formazione del nervo otturatorio e dà anche, quando presente, il nervo otturatorio accessorio.
Un ulteriore ramo di L4 si porta a L5, per formare il tronco lombosacrale. Tra tutti questi rami, alcuni sono
diretti posteriormente, altri sono diretti anteriormente; in particolare, il nervo femorale e il nervo cutaneo
laterale del femore originano posteriormente, tutti gli altri anteriormente.
[ndr: il docente suggerisce che per una preparazione sufficiente dell’argomento, basta sapere dove si trova
il plesso lombosacrale, quali sono i suoi rami terminali importanti e che i rami possono essere anteriori e
posteriori; mentre, per chi volesse saperlo bene, è consigliabile scegliere un’immagine del plesso e
descriverlo con carta e penna, cosa che potrà essere fatta anche in sede d’esame]

I nervi del sistema nervoso autonomo che si trovano nel retroperitoneo sono:
• Nervi splancnici lombari, che sono quattro;
• Nervi splancnici toracici, denominati grande, piccolo e minimo;
• Nervo vago (il destro ed il sinistro);
• Rami dei nervi parasimpatici pelvici, che originano dal segmento sacrale della pelvi, ma non
innervano solo le strutture pelviche, bensì risalgono ad innervare alcune strutture della cavità
addominale propriamente detta;
• Ramuscoli del nervo frenico, che contengono fibre sensitive viscerali che si distribuisco ad organi
della parte alta dell’addome (reni, intestino retto).
Annessi ai nervi lombari, si trovano quattro gangli simpatici lombari. Si individuano inoltre dei gangli
preaortici, o prevertebrali, la cui presenza dipende dal gran numero di sinapsi pre- e post-gangliari che il
simpatico deve fare per tutti gli organi; per cui, anche i nervi splancnici toracici che arrivano nell’addome
prevalentemente come fibre pregangliari, devono fare sinapsi in un qualche punto, che corrisponde proprio ai
gangli esterni alla catena paravertebrale.
Dopo aver superato il diaframma, il nervo vago raggiunge gli organi sposandosi con le fibre del simpatico,
per cui si creano dei nervi viscerali misti. Quindi, fino a livello toracico, ad esempio nel cuore, si individuano
dei rami parasimpatici e dei rami simpatici; dal diaframma in giù, tranne che per l’esofago addominale e la
parte alta dello stomaco, le fibre simpatiche e parasimpatiche si fondono. Di fatto, si usa dire che il nervo
vago termini a livello del ganglio celiaco (uno dei gangli preaortici); ciò non significa che il vago faccia
sinapsi in tale ganglio, ma semplicemente che a quel livello termini l’esistenza del nervo vago. Le fibre del
nervo, infatti, passano indenni dal ganglio celiaco, per poi fare sinapsi a livello dei gangli enterici, piuttosto
che in prossimità degli organi.
L’organizzazione strutturale vuole quindi che una fibra pregangliare faccia sinapsi nel ganglio
paravertebrale, per poi raggiungere l’organo, oppure tornare indietro come ramo grigio, per portarsi ai visceri
della parete (ghiandole sudoripare e vasi).
Si osservi inoltre come nei rami simpatici decorrano anche i neuroni della sensibilità viscerale generale.
Invece, la sensibilità viscerale introcettiva (per i riflessi) decorre nei rami parasimpatici. Ad esempio, nei
rami cardiaci del vago, oltre a esserci le fibre parasimpatiche, ci sono anche le fibre che portano via dal cuore
informazioni circa lo stato di contrazione degli atri e dei ventricoli. Invece, il dolore di cuore prende la via
simpatica; ciò risulta logico perché, essendo il simpatico toracolombare, la via arriva al midollo spinale,
negli stessi neuromeri che innervano porzioni di torace ed addome. Ricordiamo che i neuromeri fino a T4
sono dedicati al torace, mentre da T5 in poi sono tutti addominali (quindi l’esofago sarà T5, lo stomaco sarà
T6, così come il duodeno). Di conseguenza, se c’è una lesione a carico di T6, il cuore ed i polmoni
funzionano bene, gli sfinteri probabilmente molto meno. Inoltre, le lesioni vagali si accompagnano sempre a
deficienze dell’introcezione; infatti, lesionando i nervi vaghi, gli organi non funzioneranno bene per la
mancanza del parasimpatico, ma anche perché non riescono a portare al SNC tutte le informazioni riguardo
lo stato di rendimento, di tensione, ecc. Ad esempio, quando il cibo arriva nel duodeno, si attiva il riflesso
della colecistochinina e si ha il rilascio della bile: si tratta di un arco riflesso, attuato mediante le fibre vagali.

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In conclusione, sottolineiamo che non ha senso parlare di fibre sensitive simpatiche o parasimpatiche;
invece, è corretto affermare che esistano fibre sensitive che decorrono o con i rami simpatici, o con i rami
parasimpatici.
I nervi splancnici toracici raggiungono la catena gangliare paravertebrale, nei cui gangli non si interrompono,
per poi raggiungere i gangli preaortici, dove avverrà la sinapsi, e infine portarsi all’organo. Quindi, nei nervi
splancnici toracici ci sono
prevalentemente fibre pregangliari;
è vero anche che possono esserci
alcune fibre postgangliari, ovvero
assoni che si sono interrotti nella
catena paravertebrale e che
passano indenni attraverso i gangli
preaortici [ndr: il docente
sottolinea che questo è un dettaglio
poco rilevante per i nostri fini; è
importante ricordare che sono
fibre pregangliari]. Di
conseguenza, i nervi splancnici
toracici sono prevalentemente
mielinici.
Dissezionando tutti i nervi
splancnici addominali, si possono
osservare: il nervo vago che si è
sposato con il ganglio celiaco; i
nervi splancnici che sono arrivati
ai gangli anteriori; i rami grigi
usciti dai rami lombari, che si
portano agli organi. Tutto ciò crea
una sorta di rete, di plesso che,
seguendo i vasi, si porta agli
organi. In ciascuna fibra è presente
sia la componente simpatica che
parasimpatica; quest’ultima arriva
dall’alto, ma anche dal basso
(parasimpatico pelvico). Questo
grande plesso misto, che contiene
fibre simpatiche, parasimpatiche,
dolorifiche, sensitive introcettive, si addensa in alcuni punti, che corrispondono ai punti di stacco dei grossi
vasi viscerali dall’aorta. Si parla allora di plesso celiaco, plesso aortico addominale, plesso mesenterico,
plesso ipogastrico superiore (dell’iliaca interna superiormente) e plesso ipogastrico inferiore (dell’iliaca
interna inferiormente). Ciascuno di questi plessi dà poi origine a dei sottoplessi (epatico, frenico, gastrico,
lienale, intestinale, renale, genitale, vescicale…), che hanno però limiti imprecisi. Si noti che il plesso
mesenterico superiore (in prossimità dell’origine dell’arteria mesenterica superiore) è considerato da alcuni
come parte del celiaco, quindi come sottoplesso.
Riassumendo, ai plessi arrivano:
• Nervi simpatici dei neuromeri da T5 a L2, attraverso i nervi splancnici toracici e lombari;
• Nervi parasimpatici dal nucleo motore dorsale del vago e dai neuromeri da S2 a S4, attraverso il
nervo vago, che perde la propria individualità anatomica a livello del ganglio celiaco, e attraverso il
parasimpatico sacrale e pelvico;
• Rami sensitivi viscerali dal nervo frenico, unico nervo somatico ad essere in anastomosi con questo
plesso.
Si osservi che i nervi splancnici lombari nel retroperitoneo sono quattro, così come sono quattro i gangli
lombari presenti nel retroperitoneo; tuttavia, il simpatico lombare termina a L2. Si tratta di un concetto già
analizzato nell’ambito dei nervi cervicali. In questo caso, solo i primi due nervi lombari, ovvero quelli che

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possono portare fuori il sistema simpatico dei primi due neuromeri lombari, avranno il ramo bianco, oltre a
ramo grigio e nervo viscerale. I nervi lombari L3-L4 avranno invece solo il ramo grigio ed il nervo viscerale.
Analogamente, anche i nervi annessi ai rami sacrali avranno solo il ramo comunicante grigio. In conclusione,
i rami comunicanti bianchi si trovano solo da T1 a L2.

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