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Su alcune imitazioni di Lucrezio in un capitolo dei Florida apuleiani

Author(s): Carlo Martino Lucarini


Source: Materiali e discussioni per l'analisi dei testi classici, No. 42 (1999), pp. 223-224
Published by: Fabrizio Serra Editore
Stable URL: http://www.jstor.org/stable/40236147
Accessed: 08-09-2017 10:59 UTC

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Carlo Martino Lucarini

Su alcune imitazioni di Lucrezio


in un capitolo dei Florida apuleiani

Le influenze della poesia latina di età repubblicana sullo stile di


Apuleio sono note ai lettori del retore di Madaura: né sono mancati
nel nostro secolo studii che su codeste influenze indagassero1. Ep-
pure i Florida, credo, non sono stati indagati a dovere.
Vogliamo noi trattare del cap. XXII dell'operetta, ove si tesse l'e-
logio di Cratete di Tebe, paragonato ad Èrcole; già l'argomento ri-
chiama alla nostra memoria il principio del V libro di Lucrezio, col
paragone fra Epicuro ed Èrcole. È soprattutto l'azione purificatrice
di cui l'eroe si era reso benemerito dinanzi agli uomini a spingere
Lucrezio e Apuleio al paragone: né sfugga che proprio Èrcole fu
sempre presso gli antichi creduto il massimo sterminatore di fiere
(cf. e g. Pindarus, Nem. I, 60-64). Dell'antichissima fortuna che nel
Lazio dovette incontrare il culto dell'Alcide fa ben fede Properzio
allorché parla di Herculeum Tibur, E leg., II, 32, 5. Vengono in
mente le parole di Pindaro sull'eroe tebano: κωφός άνήρ τις, δς Ήρα-
κληΐ στόμα μη παραβάλλει (Pyth. IX, 87)2. Si leggano queste righe di
Apuleio (Flor., XXII)3: quod Herculem olim poetae memorarti mon-
stra illa immania hominum ac ferarum virtute subegisse orbemque
terrae purgasse, similiter adversum iracundiam et invidiam atque
avantiam atque libidinem ceteraque animi humani monstra et flagi-
tia philosophus iste Hercules fuit: eas omnes pestes mentibus exegit,
familias purgava, malitiam perdomuit e. q. s. Si leggano ora questi
versi di Lucrezio, De rerum natura, V, 42-5 14:

at nisi purgatumst pectus, quae proelia nobis


atque pericula tumst ingratis insinuandum?

1. Cf. soprattutto S. Mattiacci, Apuleio e i poeti arcata, in «Munus amicitiae:


scritti in memoria di A. Ronconi», voi. II p. 151-200, Firenze, 1986. Sui Fionda in
generale cf. G. Sandy, The Greek world of Apuleius, Leiden, New York, Koeln,
1997.

2. Sull'argomento dal punto di vista puramente letterario cf. G.K. Galinsky,


The Herakles Thème, Oxford 1972; per l'introduzione del culto di Eracle nel La-
zio si vedano i ben noti lavori del Wissowa e del De Sanctis.
3. Apulei Platonici Madaurensis, opera ree. R. Helm, Lipsiae 1910.
4. Lucreti de rerum natura, ree. C. Bailey, Oxonii 1900.

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224 Carlo Martino Lucarini

quantae turn scindunt homines cupped


sollicitum curae quantique perinde tim
quidve superbia spurcitia ac petulantia
efficiunt clades? quid luxus desidiaequ
haec igitur qui cuncta subegerit ex ani
non armis nonne decebit
hunc hominem numero divum dignarier esse?

Gli echi di Lucrezio nel luogo apuleiano sono tali da escludere la ca-
suale coincidenza5: monstra Ma immania virtute subegisse richiama
«haec igitur qui cuncta subegerit»; orbemque terrae purgasse ri-
chiama purgatumst pectus6, come poi l'elenco apuleiano di iracondia
invidia avarizia libidine ricorda l'elenco di vizii fatto da Lucrezio. È
naturale che queste coincidenze assumano il dovuto significato solo
agli occhi di chi le guardi nell'insieme: che a pigliarle una per una
potrebbero apparir mere coincidenze. Né io credo sia frutto del caso
l'espressione apuleiana eas omnes pestes (cioè tutti quei mali elencati)
mentibus exegit: Lucrezio aveva scritto: haec cuncta (cioè tutti quei
mali elencati) qui subegerit ex animoque expulerit, ove pure la somi-
glianzà è palese. Verso la chiusa del capitolo di Apuleio si legge inol-
tre: post ubi intellegit (seil. Crates) nullum sibi in re familiari praesi-
dium legatum, quo fretus aetatem agat, omnia fluxa infirmaque esse,
quequid sub caelo divitiarum est e. q. s. L'azione espressa dal verbo
«anteiligere» è legata da Apuleio al momento in cui Cratete com-
prende l'instabilità della fortuna e quindi l'inutilità delle ricchezze
per la vita; lo stesso verbo nella medesima forma era stato usato da
Lucrezio, nel proemio del VI libro, v. 17, ad indicare il momento in
cui Epicuro si accorse dell'inutilità delle ricchezze, quando l'animo
stesso di chi le possedeva fosse corrotto.

Scuola Normale Superiore, Pisa

5. Io non escludo che pure Rutilio Namaziano ai w. 73-78 del primo libro del
De reditu suo abbia avuto presente il proemio del quinto libro di Lucrezio; Ruti-
lio in questo luogo paragona i benefizii di Atena, Bacco, Trittolemo, della medi-
cina e, alla fine, di Èrcole con quelli di Roma. Della cosa nulla dicono i moderni
commentatori di Rutilio; eppure la somiglianzà non supera granché la mera
struttura, essendo di quasi niun conto le rassomiglianze verbali.
6. Il verbo «purgare» è raro in Lucrezio: ricorre oltre che nel nostro in altri
due luoghi, una volta con significato figurato (in VI, 24 unito del pari a «pectus»),
un'altra in IV, 341, stavolta con significato fisico, come per lo più presso gli altri
scrittori, dei quali furono soprattutto i medici a farne uso, come evinco dalle os-
servazioni di E. Forcellini in Totius Latimtatis Lexicon, sub voce.

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