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d’opposizione
di Edward W. Said1
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progetto, forse in maniera inconscia, è perché è il luogo in cui
c’erano i soldi. Nel nostro entusiasmo retorico per parole
ridondanti quali scandalo, rottura, trasgressione e disconti-
nuità, non ci è venuto in mente di occuparci delle relazioni di
potere operanti all’interno della storia e della cultura, pro-
prio mentre presupponevano che la testualità di un testo
fosse una faccenda da esplorare eternamente come un qual-
cosa che concerne altri testi, connessioni vagamente denota-
te, genealogie fraudolente composte interamente da libri pri-
vati della loro storia e della loro forza. Il presupposto sottin-
teso è che i testi siano radicalmente omogenei, all’inverso del
quale vi è la laputana idea che per una certa misura ogni cosa
può essere considerata un testo. Il risultato per quanto
riguarda la pratica critica è la promozione fine a se stessa di
un individualismo retorico nella critica e nei testi studiati,
con l’ulteriore risultato di veder tendere la scrittura delibera-
tamente verso l’alienazione – del critico da altri critici, dai let-
tori, dal lavoro studiato.
L’opprimente ironia di questo deprimente isolamento,
dato il modo in cui siamo visti dai nostri leaders politici
(ovvero come parte del clero secolare di quella che Bakunin
chiama “l’era dell’intelligenza scientifica”), è quasi vertigino-
sa. Una pubblicazione della Commissione Trilaterale del
1975, The Crisis of Democracy, esaminò l’era del post 1960 con
un certo interesse per l’opinione delle masse rispetto alle loro
richieste e aspettative politiche; questo ha prodotto il proble-
ma che gli autori chiamano “governabilità”, poiché risulta
chiaro che la popolazione non è più docile come era un
tempo. Quindi la classe degli intellettuali contribuisce a que-
sta situazione in due modi che derivano direttamente dai
due tipi di intellettuali che le società democratiche contem-
poranee oggi producono. Da una parte ci sono i tecnocrati,
gli intellettuali orientati politicamente, i così detti intellettua-
li responsabili; dall’altra, gli intellettuali “tradizionali”, poli-
ticamente pericolosi e mossi da fini economici. Di norma noi
dovremmo appartenere al primo gruppo, poiché sono i
membri di questo gruppo che si suppone “si dedichino al
discredito del potere, alla sfida dell’autorità e allo svelamen-
to e alla delegittimazione delle istituzioni dello Stato”.
L’ironia, comunque, sta nel fatto che i critici letterari, in virtù