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MIMESIS E T E R O T O P I E

Collana diretta da Ubaldo Fadini, Paolo Ferri, Tiziana Villani

La collana Eterotopie si propone di esplorare un versante importante del pensiero e della realt contemporanei: quello in cui le trasformazioni, i processi di innovazione tecnica incontrano domande, soggetti, corpi e figure che dal passato sono transitate sino a noi. Si tratta di guardare in modo non dogmatico ma critico il corpo del nostro presente. In questo percorso sono presenti temi e autori che hanno voluto scommettere la propria ricerca nel tempo contraddittorio del mutamento. La collana ospita testi di filosofia, estetica, antropologia, architettura, che non si limitano a fotografare i problemi ma che intendono costituire un vero e proprio laboratorio di idee, incontri grazie ai quali possa essere possibile la messa in opera di un progetto forte e indipendente dalle mode.

ANTASOFIA 1 PO TERE
Testi di Caldarozzi, Chomsky, De Carolis, Fabbri, Hacking, Guidi, Lucera, May, Palmieri, Primosig, Revel, Soldani, Takakuwa, Voccia

ETEROT O P I

MIMESIS

ntasofia 1 antagonismo/filosofia Potere

COORDINAMENTO REDAZIONALE DEL VOLUME: Ermanno Castan, Lorenzo Fabbri, Federico Primosig. REDAZIONE: Lara Caldarozzi, Ermanno Castan, Valentina De Rossi, Lorenzo Fabbri, Manuel Guidi, Alessandro Lucera, Alessandro Palmieri, Federico Primosig, Giulio Nicola Soldani, Riccardo Villari. HANNO COLLABORATO: Massimo De Carolis, Enrico Voccia. Ringraziamenti: Giorgio Agamben, Francesco Bevivino, Jello Biafra, Bugs lab, Giorgio Cadoni, Fabrizio Carli, Andrea Trauma Caruso, Paolo Cassetta, Stefano Catucci, Antonio Conti, Giacomo Costantini, Crass, Noam Chomsky, il gabbiotto di Italianistica, Gin Rioters, Ian Hacking, Infoshop Forte Prenestino, Laura Maletta, Todd May, Colonnello Kira Nerys, Manfredi Provenzano, Judith Revel, Ilaria Riccitelli, Gene Roddenberry, Kazumi Takakuwa, Salvo Vaccaro, Paolo Vinci. Questo volume dedicato a Carlo Giuliani.

2003 Associazione Culturale Mimesis Alzaia Nav. Pavese 34 20136 Milano telefax: +39 02 89403935 Per urgenze: +39 347 4254976 E-mail: mimesised@tiscali.it Catalogo e sito Internet: www.mimesisedizioni.it Progetto grafico: Daniela Dalla Vigna Tutti i diritti riservati.

ndice

EDITORIALE. ANTAGONISMO/FILOSOFIA

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AFFRONTANDO LIMPERO Noam Chomsky QUESTIONI DI FONDAZIONE DELLA SOCIET. LETTURA DE LUNICO E LA SUA PROPRIET DI MAX STIRNER Enrico Voccia MAX STIRNER: MISCONOSCIUTO MATERIALISTA Manuel Guidi MANN GEGEN MANN. INDIVIDUALISMO E RELAZIONI Lara Caldarozzi AUTONOMIA E RAGIONE IN MAX STIRNER Alessandro Lucera POTERE POTENZIALE VS DOMINIO TOTALE Giulio Nicola Soldani DALLA RIVOLUZIONE ALLA MICROFISICA. COME ORIENTARSI NELLA GUERRA PERMANENTE Federico Primosig POTERE E SAPERE: LANALISI DI MICHEL FOUCAULT E LA FIGURA DELLINTELLETUALE Alessandro Palmieri

p.

p. 27 p. 49 p. 59 p. 69 p. 79

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p. 119

LALTRA FACCIA DELLA GUERRA. CLASTRES-DELEUZE-FOUCAULT Judith Revel CURA DI S Ian Hacking ANARCHISMO ONTOLOGICO IN GILLES DELEUZE,
OVVERO COME DIVENTARE UN NOMADE ONTOLOGICO

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Todd May PROVE TECNICHE DI RIVOLUZIONE: RICHARD RORTY,


IL LINGUAGGIO TIRANNO E IL POTERE DELLE RIDESCRIZIONI

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Lorenzo Fabbri CHE SIGNIFICATO DARE AL TERMINE GLOBALIZZAZIONE? Massimo De Carolis PER COSTRUIRE UNA SITUAZIONE: CHE COS IL POETICO? Kazumi Takakuwa INTERVISTA A GIORGIO AGAMBEN SGUARDI SUL POTERE. BREVE PERCORSO NEL CINEMA DELLORRORE
E DI FANTASCIENZA

p. 163

p. 179

p. 195 p. 211

Lorenzo Fabbri e Federico Primosig

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ditoriale Antagonismo/filosofia

a filosofia del cosiddetto L occidente si sviluppata sotto lombra cupa della distopia platonica che vuole i filosofi al potere. Ma tra lo stabilire una feroce dittatura filosofica e i vaneggiamenti intellettualoidi del filosofo-servo-dipartito una scelta non assolutamente possibile. La verit che il piano del dominio non territorio adatto allo sviluppo della filosofia (semmai della teologia politica), anzi il pensiero filosofico resta tra i principali strumenti di disarticolazione del dominio stesso. Non si tratta di contestare i massimi sistemi bens di operare dal quotidiano, dal dominio della porta accanto: agire un costante microantagonismo dal salotto di casa alla lezione del barone progressista. Il deserto culturale e il conformismo controriformista di matrice cattolica che accoglievano lo studente della fine degli anni 90, nella facolt di filosofia di Roma, rendevano necessaria una risposta adeguata. Una sfida raccolta da uno sparuto insieme di individualit, primo nucleo di quella rissosa compagine chiamata Antasofia. Cominciava cos una lunga serie di volantinaggi creativi e di iniziative fra cui la scelta di esprimere una lista elettorale di Facolt, indipendente dalle forze politiche istituzionali e paraistituzionali, nel tentativo di cortocircuitare in maniera produttiva e positiva il meccanismo della rappresentanza. Risultato questultimo raggiunto nonostante lostilit del mondo accademico e le critiche dellortodossia politica. Questo esperimento che poteva preludere ad una prevedibile normalizzazione istituzionale, ha favorito invece il proliferare di incontri, seminari e convegni autogestiti grazie

anche alla radicalit del conflitto agito nei luoghi decisionali. Si favorita cos la riappropriazione di uno spazio autonomo per gli studenti, presupposto indispensabile per la produzione e la trasmissione orizzontale e antigerarchica dei saperi. Si anche concretizzata nellambito di queste pratiche la critica dellassunto stesso della formazione come fine e cardine dellorganizzazione universitaria. Lautogestione di spazi e saperi in un contesto di questo tipo un percorso in salita per la variet di ostacoli che cela e il cui approdo a tuttoggi difficilmente prevedibile. Molti degli articoli raccolti in questo volume sono la rielaborazione (che spesso non nasconde comunque loralit originaria) di interventi tenuti da studenti e specialisti nellambito del seminario autogestito, riconosciuto in crediti, Genealogie del dominio. A questo seminario, svoltosi nella primavera del 2002 nella facolt di Filosofia delluniversit La Sapienza di Roma, hanno partecipato anche Paolo Cassetta con lintervento Un agire introvabile? Potere vs dominio in Hannah Arendt, Stefano Catucci con lintervento Michel Foucault: Militanza e pensiero e Massimo De Carolis con lintervento Nuda vita e biopolitica. Questi, contributi non presenti in questo volume. Le pagine che seguono sono un primo traguardo e, speriamo, un nuovo punto di partenza, dal punto di vista intellettuale, politico, relazionale.

f fr ont ando lim per o


di Noam Chomsky1

i stiamo scontrando con C un momento della storia mondiale che appare per molti versi unico, un momento inquietante ma anche carico di speranza. Il pi potente stato della storia ha proclamato, forte e chiaro, che intende dominare il mondo con la forza, la dimensione in cui regna incontrastato. A prescindere dal convenzionale inchino alle buone intenzioni che labituale (quindi senza valore) accompagnamento della coercizione, i suoi leaders sono impegnati a realizzare la propria ambizione imperiale, come sinceramente scrive, con tono critico (e questo un fatto importante), il principale giornale di politica estera dellestablishment. I suoi leaders hanno anche dichiarato che non tollereranno nessun oppositore, n ora n in futuro. Credono evidentemente che gli strumenti di violenza nelle loro mani siano cos straordinari da poter spazzare via con disprezzo chiunque si trovi sulla loro strada. Esiste una buona ragione per credere che con la guerra con lIraq in parte si intenda insegnare al mondo alcune lezioni su cosa ci si debba attendere quando limpero decide di infliggere un colpo dato lo spiegamento di forze guerra difficilmente il giusto termine. Questa dottrina non interamente nuova, n peculiare degli Stati Uniti, ma non mai stata dichiarata con unarroganza talmente sfacciata e comunque non da qualcuno che teniamo a ricordare.
1 Questo il testo dellintervento che Noam Chomsky ha pronunciato alla chiusura del World Social Forum di Porto Alegre 2003. Lo traduciamo e pubblichiamo qui per gentile concessione dellautore.

Non cercher di rispondere alla domanda posta da questo incontro: come affrontare limpero? La ragione che molti di voi conoscono la risposta altrettanto bene o persino meglio di me, grazie alle vostre vite e al vostro lavoro. La strada per affrontare limpero quella di costruire un mondo differente, un mondo non fondato sulla violenza e sulla sottomissione, sullodio e sulla paura. Questo il motivo per cui ci troviamo qui, e il World Social Forum offre una speranza che questi non siano solo sogni futili. Ieri, al raduno internazionale di Via Campesina in una comunit del Movimento Sem Terra che penso essere il pi importante ed emozionante movimento popolare del mondo, ho avuto il raro privilegio di osservare un lavoro che inspira al raggiungimento di questi obiettivi. Grazie a costruttive azioni locali come quelle del Movimento Sem Terra, e una organizzazione internazionale del tipo di Via Campesina o del World Social Forum, con armonia, solidariet e mutuo appoggio esiste una reale speranza per un futuro decente. Recentemente ho avuto anche esperienze di diverso tenore che danno un vivido quadro di come potrebbe essere il mondo se la violenza imperiale non verr limitata e smantellata. Il mese scorso mi trovavo nel sud-est della Turchia, scenario di alcune delle peggiori atrocit degli spaventosi anni 90 che continuano ancora: solo poche ore prima eravamo stati informati di ulteriori atrocit compiute dallesercito vicino Diyarbakir, la capitale non ufficiale delle regioni kurde. Durante tutti gli anni 90 milioni di persone sono state obbligate ad abbandonare le devastate regioni rurali, con decine di migliaia uccisi e ogni immaginabile forma di barbara tortura. Ora si cerca di sopravvivere in delle caverne fuori le mura di Diyarbakir, in palazzi fatiscenti nelle misere periferie di Istanbul, o dovunque si riesca a trovare rifugio: non possibile ritornare ai propri villaggi malgrado la nuova legislazione teoreticamente ne consenta il ritorno. L80% delle armi veniva dagli Stati Uniti. Clinton ha inviato pi armi in Turchia nel solo 1997 che nellintero periodo della Guerra Fredda sommato al momento iniziale della campagna di terrore di stato chiamato controterrore dai suoi perpetratori e dai suoi sostenitori, unaltra convenzione. La Turchia divenuta il principale destinatario delle armi statunitensi (a

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parte Israele ed Egitto, che sono un caso a parte) quando le atrocit hanno avuto il proprio culmine. Nel 1999 la Turchia ha ceduto questa posizione alla Colombia. La ragione che in Turchia lo stato di terrore supportato dagli Stati Uniti ha avuto pienamente successo, in Colombia no. La Colombia negli anni 90 aveva il peggior record di violazioni di diritti umani nellemisfero occidentale ed era stata a lungo il principale destinatario di armi e di addestramento militare statunitensi, e ora guida il mondo. la prima al mondo anche in altre categorie, per esempio nella categoria omicidi di attivisti sindacali: pi della met di quelli uccisi in tutto il mondo negli ultimi dieci anni sono stati uccisi in Colombia. Nellultimo anno circa mezzo milione di persone sono state trasferite dalla propria terra, un nuovo record. I profughi stimati sono 2,7 milioni. Gli omicidi politici sono giunti a venti al giorno; cinque anni fa erano la met. Ho visitato Cauca nel sud della Colombia, che ha il peggior record di violazioni di diritti umani nel 2001 in Colombia, un gran bel risultato. L ho ascoltato ore di testimonianze di contadini che sono stati costretti ad abbandonare le proprie terre a causa della guerra chimica, chiamata fumigazione, sotto il pretesto di una guerra alla droga condotta dagli Stati Uniti che pochi prendono seriamente e che sarebbe oscena se quello fosse il vero intento. Le loro vite e le loro terre sono state distrutte, i bambini stanno morendo, soffrono a causa di malattie e ferite. Lagricoltura contadina basata su una ricca tradizione di conoscenze e di esperienze accumulate durante molti secoli, in gran parte del mondo tramandate di madre in figlia. Sebbene sia una notevole impresa umana, molto fragile, e pu essere distrutta per sempre in una singola generazione. Ci che in procinto di essere distrutta anche una delle pi ricche biodiversit del mondo, comparabile a quella delle contigue regioni del Brasile. Campesinos, indigeni e afro-colombiani si vanno cos ad unire ai milioni nei bassifondi e negli accampamenti in decomposizione. Andata via la gente, le multinazionali possono subentrare per spogliare le montagne del carbone e per estrarre petrolio e altre risorse, per trasformare la terra rimasta in monocolture da esportazione, usando semi prodotti in laboratorio in un ambiente che viene privato dei suoi tesori e della sua variet.

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Le scene a Cauca e nel sud-est della Turchia sono molto diverse dai festeggiamenti di Via Campesina alla riunione della comunit Movimento Sem Terra. Ma la Turchia e la Colombia, in maniera diversa, sono ispiratrici e promettenti per il coraggio e la dedizione delle persone che lottano per la giustizia e la libert, affrontando limpero proprio l dove uccide e distrugge. Questi sono alcuni segni del futuro che ci aspetta se lambizione imperiale procede nel suo normale corso, ora accelerato dalla impressionate strategia di dominio globale fondato sulla forza. Niente di ci inevitabile, e tra i buoni modelli per porre fine a questi crimini ci sono quelli che ho menzionato: il Movimento Sem Terra, Via Campesina, il WSF. Al World Social Forum la serie di questioni e di problemi sotto intensa discussione molto estesa, particolarmente estesa, ma penso che possiamo individuare due temi principali. Il primo la giustizia globale e la Vita dopo il Capitalismo o per dirlo pi semplicemente, il primo tema la vita stessa, perch non poi cos scontato che la specie umana possa sopravvivere ancora a lungo sotto le esistenti istituzioni statali capitaliste. Il secondo un tema correlato: guerra e pace, e pi in dettaglio, la guerra allIraq che Washington e Londra stanno disperatamente cercando di portare avanti, quasi da soli. Cominciamo con alcune buone notizie a proposito di questi temi base. Come sapete, a Davos ora in corso anche la riunione del World Economic Forum. Qui a Porto Alegre, lo stato danimo pieno di speranza, vigoroso, emozionante. A Davos, il New York Times ci racconta lumore si rabbuiato. Per i pi potenti del mondo non pi tempo di festa globale. Infatti il fondatore del forum ha ammesso la sconfitta. Il potere delle corporazioni completamente scomparso, ha detto. Quindi abbiamo vinto. Non ci resta altro da fare che raccogliere i pezzi, non solo per parlare di una visione del futuro che sia giusta e umana, ma per iniziare a crearla. Ovviamente, non dovremmo lasciare che gli elogi ci diano alla testa. Ci sono ancora alcune difficolt di fronte a noi. Il tema principale del World Economic Forum Costruire credito. C una ragione per questo. I padroni delluniver-

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so, come gli piaceva definirsi in giorni pi esuberanti, sanno che sono in serio pericolo. Hanno recentemente reso noto un sondaggio che mostrava come la fiducia nei leaders sia decisamente declinata. Solo i leaders delle ONG hanno la fiducia di una larga maggioranza, seguiti dalle Nazioni Unite e dai leaders spirituali-religiosi; dopo arrivano i leaders dellEuropa occidentale e i managers delleconomia, sotto di loro i dirigenti di industria e molto sotto, in fondo, i leaders degli Stati Uniti con il 25% di credito. Questo pu significare che verso di loro non c nessuna fiducia: quando viene chiesto se si ha fiducia nei leaders che detengono il potere si risponde S senza pensarci. Va anche peggio. Alcuni giorni fa un sondaggio effettuato in Canada mostrava che pi di un terzo della sua popolazione considera gli Stati Uniti come la peggior minaccia alla pace mondiale. La posizione degli Stati Uniti il doppio pi alta di quella dellIraq e della Corea del Nord e addirittura anche pi alta di quella di Al Qaeda. Un sondaggio senza controlli accurati, effettuato dalla rivista Time, ha rivelato che pi dell80% degli intervistati in Europa considera gli Stati Uniti come la pi grande minaccia alla pace mondiale, meno del 10% la considera lIraq e la Corea del Nord. Anche se questi numeri sono viziati da fattori sostanziali, sono drammatici. Senza andare oltre i leaders delle societ che pagano 30.000 dollari per partecipare ai tetri incontri di Davos, hanno ottime ragioni per scegliere come tema Costruire credito. Lincombente guerra allIraq contribuisce indubbiamente a questi interessanti e importanti sviluppi. Lopposizione alla guerra senza precedenti nella storia. In Europa cos alta che il segretario della difesa Donald Rumsfeld ha scaricato Germania e Francia come la vecchia Europa, senza nessun interesse circa la loro disobbedienza. Un vasto numero di altre nazioni europee con gli Stati Uniti, ha assicurato ai giornalisti stranieri. Questo vasto numero la nuova Europa, simboleggiata dallItalia di Berlusconi, che presto visiter la Casa Bianca, pregando di essere invitato ad essere la terza delle tre B: Bush-Blair-Berlusconi ammesso che riesca a non andare in prigione. LItalia con noi, ci dice la Casa Bianca. E apparentemente non un problema che l80% della popolazione, secondo gli ultimi sondaggi, sia contro la guer-

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ra. Questo mostra che anche il popolo italiano fa parte di quella vecchia Europa e che pu essere spedito nella spazzatura della storia con Germania e Francia e con gli altri che non sanno stare al loro posto. La Spagna salutata come un altro importante membro della nuova Europa con il 75% di totale opposizione alla guerra, secondo un sondaggio della Gallup. Secondo il principale analista di politica estera del Newsweek, tutto ci vale anche per la parte pi speranzosa della nuova Europa, ovvero per le nazioni ex-comuniste su cui si conta (in maniera assolutamente manifesta) per servire gli interessi degli Stati Uniti e per abbattere il dispregiato mercato sociale dellEuropa e il suo welfare state. Si riporta che in Cecoslovacchia i due terzi della popolazione sono contrari alla guerra, mentre in Polonia solo un quarto appoggerebbe una guerra anche nel caso in cui gli ispettori dellONU provassero che lIraq possiede armi di distruzione di massa. La stampa polacca riporta che il 37% sarebbe favorevole in queste circostanze, ma il numero ancora basso, persino nel cuore della nuova Europa. La nuova Europa si presto presentata in una lettera aperta al Wall Street Journal: insieme ad Italia, Spagna, Polonia e Cecoslovacchia i leaders di questi paesi e non le loro popolazioni include Danimarca (con unopinione popolare uguale a quella della Germania, quindi vecchia Europa), Portogallo (53% di opposizione alla guerra in ogni circostanza, 96% opposti ad una guerra unilaterale degli Stati Uniti e dei suoi alleati), Regno Unito (40% di opposizione alla guerra in ogni circostanza e 90% opposti ad una guerra unilaterale) e lUngheria (nessun dato disponibile). In breve la eccitante nuova Europa consiste in alcuni leaders che vogliono sfidare le proprie popolazioni. La vecchia Europa ha reagito con fastidio quando Rumsfeld ha dichiarato che esse sono nazioni problematiche, non stati moderni. La reazione di queste nazioni stata spiegata da illuminati commentatori americani. Seguendo la stampa nazionale impariamo che gli stanchi-del-mondo alleati europei, non apprezzano la rettitudine morale del Presidente. La prova della sua rettitudine morale che i suoi consiglieri dicono che lo zelo evangelico viene diretta-

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mente dalluomo semplice che si dedichi ad eliminare il male dal mondo. Visto che questa sicuramente la pi attendibile ed oggettiva prova che pu essere immaginata, sarebbe improprio esprimere un velato scetticismo, sarebbe improprio reagire come reagiremmo a performances simili compiute da altri. I cinici europei, ci viene detto, scambiano la purezza danimo di Bush per ingenua moralit senza accennare al fatto che gli specialisti di pubbliche relazioni dellamministrazione potrebbero aver contribuito alla creazione dellimmaginario da vendere. Siamo informati inoltre che c una grande divisione tra lEuropa stanca-del-mondo e lidealistico Nuovo Mondo diretto verso la fine dellinumanit. Che questo sia davvero lobiettivo dellidealistico Nuovo Mondo lo sappiamo per certo: sono i nostri leaders che lo dicono. Di quale altra prova abbiamo bisogno? Lo scarso risalto dato allopinione pubblica della nuova Europa viene gestito come un problema di marketing; date le fonti, il prodotto che viene venduto deve essere necessariamente giusto ed onorabile. La volont dei leaders della nuova Europa di preferire Washington alle proprie popolazioni minaccia di isolare i tedeschi e i francesi che mostrano una retrograda tendenza democratica e dimostra come la Germania e la Francia non possano dire di parlare per lEuropa: stanno solo parlando per le persone della vecchia e nuova Europa, che lo stesso commentatore ammette esprimono una forte opposizione alle politiche della nuova Europa. Le dichiarazioni ufficiali sono illuminanti come la reazione che esse suscitano. Dimostrano chiaramente il disprezzo per la democrazia che tipico, storicamente, tra coloro che credono di dominare, a buon diritto, il mondo. Ci sono molti altri esempi. Il fatto che il cancelliere tedesco Gerhard Schroeder ha osato prendere la posizione della stragrande maggioranza degli elettori delle ultime elezioni, stato descritto come una scioccante carenza di leadership, un serio problema che la Germania deve superare se vuole essere accettata nel mondo civilizzato. Il problema nella Germania, non nelle elites delle democrazie anglo-americane. Il problema della Germania che il governo vive nel terrore degli elettori, e ci sta causando un errore dopo laltro

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dice il portavoce del partito di destra Christian Social Union, che ha compreso la vera natura della democrazia. Il caso della Turchia ancora pi rilevante. Come da ogni parte della regione, i Turchi si oppongono con decisione alla guerra circa il 90% secondo gli ultimi sondaggi. Il governo ha irresponsabilmente prestato attenzione alle persone che lo avevano eletto. Non ha ceduto completamente alle intense pressioni e alle minacce che Washington sta esercitando per obbligarla a dar retta alla voce del padrone. Questa riluttanza del governo eletto a seguire gli ordini provenienti dallalto dimostra che i suoi leaders non sono veri democratici. A quelli troppo lenti per capirle da soli, queste sottigliezze vengono spiegate dallex Ambasciatore in Turchia, Morton Abramovitz, ora apprezzato statista esperto e commentatore. Dieci anni fa, ha spiegato, la Turchia era governata da un vero democratico, Turgut Ozal, che non tenne conto della opinione espressa dalla popolazione della propria nazione di restare fuori dalla guerra del golfo. Ma la democrazia deperita in Turchia. Lattuale leadership sta seguendo le persone rivelando la propria mancanza di credenziali democratiche. Purtroppo dice per gli Stati Uniti non c nessun Ozal in giro. Quindi sar necessario portare la vera democrazia in Turchia grazie allo strangolamento economico e attraverso altri mezzi coercitivi purtroppo, ma ci richiesto da ci che la stampa chiama la nostra bramosia per la democrazia. Il Brasile testimone di un altro esercizio delle reali attitudini verso la democrazia dei padroni delluniverso. Nelle pi libere elezioni dellintero emisfero, una larga maggioranza della popolazione ha votato per politiche che sono fortemente contrastate dal mondo finanziario internazionale e dagli investitori, dal Fondo Monetario Internazionale e dal Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti. Qualche anno fa un fatto del genere sarebbe stato visto come il segnale di un imminente colpo di stato che avrebbe instaurato un sanguinario Stato di Sicurezza Nazionale, come nel Brasile di quaranta anni fa. Oggi questo non funzionerebbe; le popolazioni del Sud e del Nord sono cambiate, non lo tollererebbero facilmente. Inoltre ora ci sono vie pi semplici per minare la volont delle persone grazie agli strumenti del neo-liberismo

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che sono stati messi in atto: controllo economico, spostamenti di capitale, attacchi alle valute, privatizzazione ed altri strumenti che sono ottimamente programmati per ridurre larena della scelta popolare. Questo, si spera, costringer il governo a seguire i dettami di ci che gli economisti internazionali chiamano senato virtuale degli investitori e dei finanziatori, che prendono le vere decisioni, reprimendo la popolazione, che, in accordo ai dominanti principi di democrazia, ritenuta un irrilevante seccatura. Quando stavo per partire per laeroporto la stampa mi ha chiesto per lennesima volta per quale motivo negli Stati Uniti la protesta contro la guerra fosse cos esigua. Le impressioni sono istruttive. In verit la protesta negli Stati Uniti, come altrove, a dei livelli che non hanno precedenti nella storia. Non ci sono solo dimostrazioni, seminari e altri eventi pubblici. La giunta di Chicago, per fare un esempio, ha approvato una mozione contro la guerra, la 46-1, unendosi a cinquanta altre citt e paesi. La stessa cosa vale per altri settori, inclusi quelli che godono di maggior credito, come il World Economic Forum ha imparato con disappunto: ONG, organizzazioni e personalit religiose (con poche eccezioni). Qualche mese fa la pi grande universit degli Stati Uniti ha approvato una risoluzione molto dura contro la guerra luniversit del Texas, appena accanto al ranch di George W. Sarebbe facile andare avanti. Ma allora perch questo sentimento diffuso tra lelite che sia morta la tradizione del dissenso e della protesta? Si fanno sempre confronti con il Vietnam, e ci un fatto molto rivelatorio. appena trascorso il quarantesimo anniversario dellannuncio pubblico della decisione dellamministrazione Kennedy di mandare la US Air Force a bombardare il Vietnam del Sud. Intanto prendevano il via i piani per mandare milioni di persone in campi di concentramento e la guerra chimica per distruggere i campi. Non cera il pretesto della difesa, eccetto che nella retorica ufficiale, ovvero la difesa contro la aggressione interna dei Nord Vietnamiti nel Vietnam del Sud e il loro attacco dallinterno (questo lo dicevano il presidente Kennedy e il suo ambasciatore, Adlai Stevenson). La protesta non esisteva. Non ha raggiunto livelli significativi per molti anni. Per quel momento centinaia di

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migliaia di soldati americani si erano uniti con lesercito occupante, aree densamente popolate venivano distrutte dai bombardamenti a tappeto, laggressione si era allargata al resto dellIndocina. Tra gli intellettuali la protesta rimaneva ancorata a basi pragmatiche: la guerra era un errore che stava diventando troppo costosa per gli Stati Uniti. Al contrario la larga maggioranza della popolazione per la fine degli anni 60 si era iniziata ad opporre alla guerra in quanto fondamentalmente sbagliata ed immorale, non in quanto uno sbaglio, considerazioni che resistono salde fino al presente. Oggi, in un drammatico contrasto con gli anni 60, c una vasta, impegnata e per lo pi popolare protesta per tutti gli Stati Uniti prima che la guerra sia stata ufficialmente dichiarata. Ci riflette un deciso incremento in questi anni della volont di non tollerare aggressioni e atrocit, e in verit ci sono stati molti cambiamenti del genere, in tutto il mondo. Questa parte della scena su cui si svolge Porto Alegre e parte del motivo della tristezza di Davos. La leadership politica ben consapevole di tali cambiamenti. Quando una nuova amministrazione arriva al potere riceve un documento, compilato dai servizi di intelligence, in cui si descrive la situazione mondiale. un segreto; noi ne veniamo a conoscenza molti anni dopo. Ma quando Bush numero 1 stato eletto nel 1989, trapelata una piccola parte del documento, un passaggio riguardante casi in cui gli Stati Uniti affrontano nemici molto pi deboli lunico tipo di nemici che si pu pensare di affrontare. Gli analisti della intelligence consigliavano che contro nemici molto pi deboli gli Stati Uniti dovessero vincere in maniera decisa e rapida, altrimenti sarebbe crollato il consenso popolare. Oggi non come negli anni 60 quando la popolazione avrebbe tollerato una guerra omicida e distruttiva per anni senza una protesta visibile. Ci non pi vero. Gli attivismi degli ultimi quaranta anni hanno avuto un significativo effetto di civilizzazione. Al giorno doggi lunico modo per attaccare un nemico molto pi debole costruire una enorme offensiva di propaganda che convinca che stia per essere compiuto un genocidio, o persino che esista una minaccia per la nostra stessa esistenza, e che poi celebri la miracolosa vittoria con-

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tro un terribile nemico, mentre intanto tesse le lodi dei leaders coraggiosi che ci hanno salvato appena in tempo. Questa lo scenario attuale per lIraq. I sondaggi rivelano che negli Stati Uniti il consenso alla guerra programmata sia maggiore che altrove, ma i numeri possono ingannare. Bisogna ricordare che gli Stati Uniti sono lunica nazione, insieme allIraq, in cui Saddam Hussein non solo vituperato ma anche temuto. C unondata di lurida propaganda che ci ammonisce circa il fatto che se non fermiamo Saddam oggi, egli ci distrugger domani. La prossima prova dellesistenza di armi di distruzione di massa potrebbe essere un fungo atomico, cos il consigliere per la sicurezza nazionale Condoleezza Rice ha annunciato a settembre plausibilmente a New York. Nessuno dei vicini dellIraq sembra essere troppo preoccupato, anche se molti di loro potrebbero persino odiare il tiranno omicida. Questo forse accade perch sanno che, come risultato delle sanzioni, la grande maggioranza della popolazione del paese stata sottoposta ad un quasi digiuno per anni come ha riportato Organizzazione mondiale per la salute e che lIraq uno degli stati pi deboli della regione: la sua economia e le sue spese militari non sono altro che una frazione di quelle del Kuwait, che ha il 10% della popolazione irachena, ed una frazione molto minore anche degli altri stati vicini. Ma negli Stati Uniti tutto diverso. Quando il Congresso ha concesso al presidente lautorit di andare in guerra lo scorso ottobre, era per difendere la sicurezza nazionale degli Stati Uniti contro la minaccia costante posta dallIraq. Dobbiamo tremare dalla paura davanti a questa terribile minaccia, intanto le nazioni vicine cercano di reintegrare lIraq nella regione, comprese anche quelle che Saddam ha attaccato quando era un amico e un alleato di quelli che ora conducono lo show a Washington e che felicemente lo rifornivano di aiuti, inclusi quelli necessari a sviluppare armi di distruzione di massa, in un momento in cui egli era molto pi pericoloso di oggi e in cui aveva gi perpetrato i suoi crimini peggiori. Colpisce molto il fatto che la forte opposizione alla guerra in arrivo si estenda anche allinterno dellestablishment. Gli ultimi numeri dei due pi grandi giornali di politica estera

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comprendono articoli contro la guerra scritti dalle pi importanti personalit della politica estera. La molto rispettabile Accademia delle Arti e delle Scienze americana ha edito una lunga monografia sulla guerra che cerca di offrire la visione pi simpatetica possibile delle posizioni della amministrazione Bush, che per poi vengono smantellate punto per punto. Uno dei rispettati analisti che viene citato un Senior Associate al Carnegie Endowment for International Peace; egli ammonisce che gli Stati Uniti, con questi leaders, stanno diventando una minaccia per s stessi e per il genere umano. Non ci sono precedenti per un fatto del genere. Dovremmo riconoscere che queste critiche tendono ad essere limitate: si preoccupano solo delle minacce agli Stati Uniti e ai suoi alleati, non prendono in considerazione i probabili effetti sugli Iracheni. LONU e le organizzazioni umanitarie avvertono che milioni di persone sarebbero in grave pericolo in una nazione che al limite della sopravvivenza dopo una terribile guerra che si somma alla guerra batteriologica che ne ha colpito le infrastrutture di base, dopo un decennio di devastanti sanzioni che hanno ucciso centinaia di migliaia di persone e che hanno bloccato ogni ricostruzione mentre invece rafforzavano il brutale tiranno che domina lIraq. anche interessante sottolineare che le critiche non si prendono la briga di menzionare tutta la sublime retorica circa la democratizzazione e la liberazione. Presumibilmente le critiche danno per assodato che tutta questa retorica sia destinata agli intellettuali e agli editorialisti che si suppone non si accorgano che la pulsione verso la guerra accompagnata da una drammatica dimostrazione di odio contro la democrazia, proprio come si suppone si dimentichino il record di coloro che dovrebbero guidare la campagna. Questo anche il motivo per cui niente di ci discusso allONU. Comunque le minacce che preoccupano i critici appartenenti allestablishment sono molto reali: non sono stati per niente sorpresi che la CIA abbia informato il Congresso lo scorso ottobre della consapevolezza che non ci sia nessun legame tra lIraq e il terrorismo di Al Qaeda, ma che un attacco contro lIraq probabilmente non farebbe altro che aumentare, in molti modi, la minaccia terroristica contro

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lOccidente. probabile che un attacco ispiri una nuova generazione di terroristi mossi dal desiderio di vendetta e che spinga lIraq a compiere azioni terroristiche che sono gi a punto, una possibilit presa molto seriamente dagli analisti americani. Una task-force di alto livello del Consiglio delle Relazioni Estere ha appena rilasciato un documento in cui si mette in guardia contro probabili attacchi terroristici che potrebbero essere molto pi gravi dell11 settembre, inclusa la possibilit di uso di armi di distruzione di massa allinterno degli Stati Uniti, pericoli che diventano pi concreti in prospettiva della guerra americana contro lIraq. Offrono molti esempi, creando quasi un ricettario per i terroristi. Non il primo, cose simili sono state pubblicate da importanti analisti strategici molto prima dell11 settembre. Si anche capito che un attacco contro lIraq causerebbe non solo laumento del terrorismo, ma anche la proliferazione di armi di distruzione di massa per una semplice ragione: gli obiettivi potenziali degli Stati Uniti capirebbero che le armi di distruzione di massa sono lunico modo per bloccare il pi potente stato della storia che sta perseguendo la ambizione imperiale americana mettendo cos in pericolo gli Stati Uniti stessi e il mondo intero come ammonisce lautore del pi importante giornale dellestablishment, Foreign Affairs. Importanti falchi ammoniscono che la guerra contro lIraq potrebbe portare alla pi disastrosa proliferazione della storia: sanno che se lIraq ha armi chimiche e batteriologiche, la dittatura le mantiene sotto stretto controllo; hanno capito che molto improbabile che lIraq usi qualsiasi arma di distruzione di massa che possiede se non come ultima risorsa in caso di attacco. Per questi motivi invitano allincenerimento immediato delle armi di distruzione di massa. anche molto improbabile che tali armi vengano passate agli Osama bin Laden di tutto il mondo perch essi sarebbero una grave minaccia per lo stesso Saddam Hussein, per non menzionare la reazione che avrebbe luogo se ci fosse anche soltanto un indizio che ci possa avvenire. Ma, sotto attacco, la societ collasserebbe e con essa anche il controllo sulle armi di distruzione di massa. Esse sarebbero privatizzate come affermano gli esperti di terrorismo ed immesse nel gigante mercato di armi non convenzionali dove non si

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avrebbe difficolt a piazzarle. Questo uno scenario da incubo ammoniscono i falchi. Anche prima che la amministrazione Bush iniziasse a suonare i tamburi di guerra riguardo allIraq, cerano molti segnali preoccupanti su come il suo avventurismo avrebbe portato alla proliferazione di armi di distruzione di massa, e anche del terrore, come semplice deterrente. Proprio ora Washington sta impartendo al mondo una lezione orrenda e pericolosa: se ti vuoi difendere da noi, fai come la Corea del Nord, progetta una minaccia militare credibile che comprenda luso di armi di distruzione di massa; altrimenti ti demoliremo per perseguire la nuova grande strategia che ha causato brividi non solo tra le vittime abituali e nella vecchia Europa, ma anche nel cuore dellelite della politica estera americana la quale ha ammesso che limpegno degli Stati Uniti di attivare uno scontro militare per provocare un aumento della sicurezza nazionale lascer il mondo pi pericoloso e gli Stati Uniti meno sicuri per citare, di nuovo, personalit rispettate dei giornali delite. Evidentemente la probabile crescita del terrorismo e delle armi di distruzione di massa non preoccupa coloro che prendono le decisioni a Washington: le loro priorit reali sono altre. abbastanza facile immaginare quali siano le ragioni, non troppo attraenti, di un tale comportamento. La natura delle minacce stata intuita in maniera drammatica lo scorso ottobre durante il summit tenuto allHavana in occasione del quarantesimo anniversario della crisi missilistica cubana a cui hanno partecipato figure chiave di Russia, Stati Uniti e Cuba. Coloro che prendono le decisioni sapevano in quel momento di avere nelle mani il destino del mondo, ma una notizia sconvolgente stata rivelata nel summit dellHavana. Abbiamo appreso che il mondo stato salvato dalla devastazione nucleare dal capitano di un sottomarino russo, Vasily Arkhipov, che non ha obbedito allordine di lanciare missili nucleari quando i sottomarini russi sono stati attaccati dai destroyers americani nei pressi della linea di quarantena voluta da Kennedy. Se Arkhipov avesse obbedito, lattacco nucleare avrebbe quasi certamente causato una risposta che avrebbe distrutto lemisfero settentrionale, come ha ammesso Eisenhower.

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Questa terribile rivelazione arrivata proprio nel momento giusto: la radice della crisi missilistica deve essere cercata nel terrorismo internazionale finalizzato ad un cambio di regime. Terrorismo internazionale e cambio di regime sono dei concetti molto presenti nelle notizie al giorno doggi. Gli attacchi terroristici degli Stati Uniti contro Cuba sono iniziati appena Castro arrivato al potere e con Kennedy hanno subito una escalation tanto forte da causare la motivata paura di uninvasione, come ha dichiarato Robert McNamara. Kennedy ha ripreso la guerra terroristica non appena la crisi missilistica si risolta; le azioni terroristiche contro Cuba, progettate negli Stati Uniti, hanno avuto il loro picco nella fine degli anni 70 e sono continuate per venti anni. Omettendo qualsiasi tipo di giudizio sul comportamento dei protagonisti della crisi missilistica, le recenti rivelazioni dimostrano con inequivocabile chiarezza i terribili ed inaspettati rischi di attacchi contro un nemico molto pi debole finalizzati ad un cambio di regime. Non esagerato dire che a rischio la sopravvivenza stessa. Nessuno pu fare previsioni con sicurezza sullavvenire del popolo iracheno: non la CIA, non Donald Rumsfeld, non chi si vanta di essere un esperto di Iraq. Nessuno. Le possibilit variano dalle tremende prospettive a cui le organizzazioni umanitarie si stanno preparando alle favole liete messe in giro dal coro degli specialisti in pubbliche relazioni dellamministrazione. Non si pu mai sapere. Questo il motivo per cui gli esseri umani decenti non contemplano la minaccia o luso della violenza, nella vita privata come nella politica estera, a meno che non ci siano ragioni che abbiano una forza straordinaria. Sicuramente in questo caso non stata offerta nessuna ragione del genere, ed questo il motivo per cui lopposizione ai piani di Washington e di Londra cos vasta e intensa. Il timing della campagna propagandistica dellasse Washington-Londra stato cos trasparente da essere anchesso largomento di discussioni, alcune volte ridicole, nei grandi canali dellinformazione. La campagna iniziata a settembre dellanno scorso. Prima di quel momento Saddam era una persona terribile ma non una minaccia imminente alla sopravvivenza degli Stati Uniti. Il fungo atomico stato annunciato allinizio di settembre. Da allora la paura

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che Saddam stava per attaccare gli Stati Uniti ha colpito il 6070% della popolazione americana. La disperata urgenza di muoversi rapidamente contro lIraq espressa dallamministrazione Bush ad ottobre non risulta evidente in niente di ci che essa ha detto nei due mesi precedenti, cos ha osservato lanalista politico della United Press International che poi arrivato ad una conclusione ovvia: settembre ha segnato linizio della campagna elettorale per le elezioni congressuali di mid-term. Lamministrazione egli continua stava facendo una campagna per sostenere ed aumentare il proprio potere basandosi su una politica di avventurismo internazionale, su nuove radicali strategie militari di attacco preventivo, sulla brama, conveniente dal punto di vista politico e con un tempismo perfetto, dello scontro con lIraq. Finch erano sulla scena i problemi interni, Bush e la propria corte stavano perdendo consensi naturalmente molti consensi visto il serio attacco contro lintera popolazione che stanno conducendo. Fermi tutti! Anche se non ci sono stati seri attacchi terroristici o segnali credibili di una minaccia imminente dallo scorso settembre, la sicurezza nazionale stata la nostra priorit: ci siamo occupati non solo di Al Qaeda ma anche di una potenza militare tremenda e minacciosa, lIraq. Le stesse osservazioni sono state fatte da molti altri. Tutto cos pi facile per persone come noi: invece di produrre analisi controverse citiamo i grandi canali dellinformazione. Il Senior Associate al Carnegie Endowment, che ho citato gi precedentemente, scrive che la Bush&Company sta seguendo la tipica strategia moderna di una oligarchia di destra in pericolo: sta cercando di incanalare lo scontento di massa nel nazionalismo, suscitato dalla paura di nemici che ci starebbero per distruggere. Questa strategia ha una importanza estrema se i nazionalisti radicali che prendono le decisioni a Washington sperano di portare avanti il proprio piano annunciato di dominio unilaterale del mondo basato sulla assoluta superiorit militare mentre stanno conducendo un drammatico assalto agli interessi della larga maggioranza della popolazione nazionale. Alle elezioni questa strategia stava quasi per non funzionare. Le elezioni dellautunno 2002 sono state vinte per un numero di voti esiguo ma sufficiente per mettere il Congresso nelle mani dellesecutivo. Analisi delle elezioni

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hanno svelato che gli elettori, pur continuando ad essere contrari alle posizioni della amministrazione sul sociale e sulleconomia, hanno congelato tali problematiche per quella preoccupazione circa la sicurezza, che, come tipico, porta al rafforzamento delle figure con autorit come il cowboy coraggioso che deve cavalcare a salvarci giusto in tempo. Come dimostra la storia, troppo facile per leaders senza scrupoli spaventare lopinione pubblica, con delle conseguenze che non sono state molto attraenti. Questo il metodo naturale per sviare lattenzione dal fatto che i tagli di tasse per i ricchi, insieme ad altri dispositivi, stanno minando le possibilit di una vita decente per la larga maggioranza della popolazione e per le generazioni future. Gli strateghi repubblicani sicuramente non vogliono che, alliniziare della campagna per la Presidenza, le persone facciano domande sulle pensioni, sul lavoro, sulla sanit e su altri argomenti del genere. Invece vogliono che le persone tessano gli elogi dei propri leaders coraggiosi che li hanno salvati dalla imminente distruzione progettata da un rivale di colossale potenza, vogliono che marcino ad affrontare la prossima potente forza votata a distruggerci. Potrebbe essere lIran, o i conflitti nelle nazioni andine: ci sono molte alternative valide finch i nemici sono senza difese. Queste idee sono la seconda natura degli attuali leaders politici, la maggior parte dei quali un riciclaggio dellamministrazione Reagan. Ripetono una sceneggiatura familiare: causa il deficit della nazione per poter smantellare lo stato sociale, dichiara una guerra al terrore (come stato fatto nel 1981), escogita un demonio dopo laltro per terrorizzare la popolazione e ridurla alla sottomissione. Negli 80 cerano i Libici che si aggiravano per le strade di Washingnton per assassinare il nostro leader, poi c stato lesercito del Nicaragua a solo due giorni di marcia dal Texas una minaccia cos grave che Reagan ha dovuto dichiarare lo stato di emergenza. O cera una base aerea a Granada che i Russi stavano per usare per bombardare (se solo fossero riusciti a trovarla su qualche cartina), cerano terroristi arabi che cercavano di uccidere cittadini americani in ogni parte del mondo mentre Gheddafi progettava di espellere lAmerica dal mondo, come ha sostenuto, con toni luttuosi, Reagan. O

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narco-trafficanti ispanici che cercavano di annientare la giovent; e cos via... Intanto la leadership politica conduceva una politica interna che ha generalmente avuto uno scarso successo economico ma che sicuramente ha creato ricchezza per ristretti settori della societ mentre nuoceva alla maggioranza della popolazione la stessa sceneggiatura che stata ripetuta una volta ancora. E visto che la popolazione se ne accorta, i leaders devono restaurare la tipica strategia moderna di una oligarchia di destra in pericolo se sperano di condurre le politiche interne ed estere in cui sono impegnati, forse anche di istituzionalizzarle in modo che siano difficili da smantellare una volta che essi abbiano perso il controllo. Sicuramente le preoccupazioni non sono solo a sfondo nazionale anche se esse hanno una loro importanza. Latrocit terroristica dell11 settembre ha fornito lopportunit e il pretesto per attuare piani a lungo termine per assumere il controllo sulla immensa ricchezza petrolifera dellIraq, una componente centrale delle risorse del Golfo persico che il Dipartimento di Stato, nel 1945, ha descritto come una stupenda fonte di potere strategico e uno dei pi importanti premi materiali della storia del mondo. Lintelligence statunitense prevede che essa diventi anche pi importante nei prossimi anni. Il problema non mai stato risolto. Le analisi dello stesso servizio di intelligence hanno anticipato che gli Stati Uniti si affideranno ai giacimenti pi sicuri nellemisfero occidentale e nellAfrica occidentale. La stessa cosa era vera dopo la seconda guerra mondiale. Quello che conta il controllo del premio materiale, che incanalerebbe verso gli Stati Uniti, e anche verso la Gran Bretagna, unenorme ricchezza; quello che conta una stupenda fonte di potere strategico, che diventerebbe una leva per la dominazione unilaterale del mondo obiettivo che stato proclamato apertamente e sta terrorizzando gran parte del mondo, inclusa la vecchia Europa e lestablishment conservatore americano. Credo che uno sguardo realista sul mondo offra una immagine contraddittoria. Ci sono molti motivi di incoraggiamento, ma c anche una lunga strada da percorrere.
(traduzione di Lorenzo Fabbri e Alessandro Lucera)

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Lettura de Lunico e la sua Propriet di Max Stirner


di Enrico Voccia1

ues tioni di F ondazione della Socie t.

Premessa. Leterodossia del pensiero stirneriano ra i testi classici della traT dizione del pensiero filosofico contemporaneo, Lunico e la sua propriet di Max Stirner viene a trovarsi in una condizione paradossale. La sua valenza di testo politico gli dona da sempre lettura e diffusione notevole negli ambiti pi disparati, mentre linsegnamento e la ricerca accademica attenti talvolta a vere e proprie cineserie e/o ad autori che largomentazione filosofica non sanno nemmeno dove sia di casa si pu dire che lo ignori pressoch completamente. Eppure i manuali di Storia della Filosofia citano, unanimemente, questo testo come un momento fondamentale della riflessione sui fondamenti dellagire sociale portata avanti dalla cosiddetta sinistra hegeliana. Il motivo di questa esclusione/rimozione in realt facilmente comprensibile, purch si tenga conto della preminenza pressoch assoluta, nella cultura contemporanea, della critica romantica del moderno. La societ moderna, secondo questa diffusissima visione, sarebbe caratterizzata da valori puramente materiali quali la produzione, la tecnica, il profitto, la merce, ecc.: tale situazione precipiterebbe luomo in una condizione di alienazione, di perdita della sua essenza umana, di incapacit a riconoscere il vero senso della vita. Questa visione della modernit nasce per lappunto nel movimento

Questo testo una versione corretta e rivista di un intervento svolto durante il ciclo seminariale Genealogie del dominio.

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romantico2, ma si rapidamente diffusa ed ha trovato una assai vasta rispondenza nella cultura contemporanea. Tenendo presente una tale condizione, comprensibile come qualunque voce che si ponga fuori dal coro sia guardata con sospetto e sottoposta a meccanismi di esclusione/ rimozione. Max Stirner, in effetti, sostiene la tesi esattamente contraria a quella appena esposta: a suo giudizio, lungi dallessere dominata da valori puramente materiali, la societ contemporanea totalmente ideologizzata e sacralizzata. Secondo lautore de Lunico e la sua propriet, infatti, noi non ci troviamo immersi nel regno dei valori materiali bens in quello degli spiriti, dei fantasmi, delle idee fisse. E, se ci non bastasse, la tesi stirneriana ha come corollario diretto lidea che i critici romantici del moderno non sono nemmeno dei critici ma, al contrario, gli ideologi (nel senso marxiano del termine) maggiormente autentici della societ contemporanea. Su cosa si fonda questa tesi decisamente eterodossa rispetto alla corrente dominante del pensiero contemporaneo? Stirner sostiene esplicitamente che ci che accaduto con il passaggio dallet medievale/moderna a quella contemporanea non stato un processo di desacralizzazione, di pura e semplice messa fuori gioco della potenza politica della mentalit religiosa, ma semplicemente un mutamento delloggetto sacralizzato. Utilizzando a piene mani larmamentario concettuale della critica hegeliana al dover essere, Stirner conclude che lUomo ha scalzato Dio dallaltare dei meccanismi ideologici.
Che cos lideale se non lio di cui si va in cerca e che resta sempre lontano? Si cerca se stessi, perci non si ha ancora se stessi, si aspira a ci che si deve essere, perci non si . Si vive nello struggimento: per secoli si vissuti in esso, si vissuti nella speranza. (...) Forse che questo riguarda solo la cosiddetta gente

Si faccia riferimento in particolare alle idee espresse da Coleridge, Ruskin, Southey, Ticknor e Stendhal. Sullenorme influenza delleconomia politica classica nei confronti della riflessione romantica cfr. F. Ranchetti, La formazione della scienza economica, Loescher, Torino, 1977, pp. 13-14.

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pia? No, riguarda tutti quelli che appartengono a questepoca storica che sta tramontando, anche quelli di cui si dice che sono uomini di vita. Anche per loro c sempre una Domenica, attesa dopo i giorni di lavoro, e oltre allagitazione mondana c il sogno di un mondo migliore, di una felicit universale per luomo, insomma un ideale. (...) Ovunque struggimento, speranza, e nientaltro. Chiamatelo pure, per quel che mi riguarda, romanticismo3.

Nel caso di queste persone religiose che sperano nella vita eterna e considerano la vita terrena come una semplice preparazione per laltra, salta subito agli occhi la subordinazione della loro esistenza terrena, da loro posta completamente al servizio della speranza in quella celeste, ma ci si sbaglierebbe di grosso se si attribuisse ai pi illuminati meno spirito di sacrificio. Forse che, per presentarne subito il concetto liberale, la vita umana e veramente umana non la vera vita? Forse che ognuno ha gi in partenza questa vita veramente umana o non deve piuttosto innalzarsi a tanto con grandi fatiche? Ce lha gi come sua vita presente o non deve piuttosto raggiungerla come sua vita futura, di cui parteciper solo quando non sar pi macchiato da nessuna forma di egoismo? Secondo questa concezione la vita fatta solo per acquistarsi la vita, e si vive solo per rendere viva in noi lessenza delluomo, si vive per amore di questa essenza. Si ha la propria vita solo per acquistarsi, per mezzo di essa, la vita vera, depurata da ogni forma di egoismo. Per questo si ha paura di fare della propria vita luso che pi ci piacerebbe: di essa si deve fare il giusto uso e nessun altro. Insomma, si ha una missione nella vita, un compito per la vita, si ha da realizzare e attuare qualcosa con la propria vita, un qualcosa per il quale la nostra vita solo un mezzo e uno strumento, un qualcosa che vale pi di questa vita, un qualcosa a cui si deve tutta la vita. Si ha un Dio che pretende vittime vive. Soltanto la brutalit del sacrificio umano andata perduta col tempo; il sacrificio umano stesso rimasto inalterato noi poveri peccatori ci portiamo al macello in sacrificio

M. Stirner, Lunico e la sua propriet, Adelphi, Milano, 1979, pp. 335-336.

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per lessenza delluomo, per lidea dellumanit, per lumanitarismo e come altrimenti si chiamano idoli e di4. Il linguaggio e legoismo come fondamenti dellagire normativo Linguaggio ed egoismo sono i concetti chiave utilizzati da Stirner nella sua analisi del fondamento dellagire sociale umano regolato da norme. Lunico e la sua propriet svolge incessantemente lidea che dietro qualunque comportamento sociale, ivi compresi quelli apparentemente altruistici e/o ascetici, vi siano interessi assolutamente egoistici. La posizione stirneriana coniuga e porta alle estreme conseguenze le tradizioni filosofiche dellintellettualismo etico e dellutilitarismo: ogni essere umano regola la sua azione in base a ci che, in un momento dato, gli appare essere il comportamento migliore in vista della soddisfazione dei suoi interessi egoistici. Quando Stirner parla di interessi egoistici non vuole intendere che il singolo potrebbe operare una scelta tra interessi privati ed interessi pubblici; la sua tesi anzi proprio che gli interessi pubblici, il bene comune, ecc. siano oggettivamente inesistenti, pure funzioni linguistico/ ideologiche con le quali si portano avanti i propri interessi privati depotenziando le altrui volont. Ma se legoismo il fondamento ultimo di ogni azione umana, come spiegare il fatto che la grande maggioranza degli uomini acconsente a formazioni politiche, modi di produzione, idee religiose e morali sfacciatamente contrari ai loro interessi? La risposta di Stirner che lattuale sistema di dominio deve necessariamente fondarsi sul linguaggio. Infatti gli esseri umani, per portare avanti i loro interessi, devono cooperare con i loro simili; e lo strumento indispensabile per tale cooperazione per lappunto il linguaggio. I meccanismi del dominio delluomo sulluomo passeranno perci anchessi per lo strumento principe della comunicazione intersoggettiva: la parola.

M. Stirner, ivi, p. 337.

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Se si tratta dintendersi e comunicare con gli altri, posso ovviamente far uso solo dei mezzi umani, di cui dispongo perch sono anche uomo, oltre ad essere me stesso. (...) Il linguaggio o la parola ci tiranneggiano nel modo pi brutale perch ci sollevano contro un intero esercito di idee fisse5.

Il meccanismo ideologico delle idee fisse Prima di andare avanti occorre sgomberare preliminarmente il campo da un possibile equivoco. La riflessione stirneriana non rivolta a mettere in evidenza il fatto banale che alcuni uomini possano ingannare coscientemente altri uomini attraverso lutilizzo di una particolare dialettica; il meccanismo linguistico/ideologico che viene analizzato invece del tutto inconscio, al punto tale che i personaggi che ricevono evidenti vantaggi dal suo funzionamento e coloro che altrettanto evidentemente ne vengono svantaggiati possono essere accomunati dalla fede in esso. Torquemada e la sua vittima possono entrambi credere in perfetta buona fede nella validit del cristianesimo; anzi il potere del torturatore si basa proprio sul fatto che esiste tale condivisione. In questottica il potere ottenuto di fatto da una parte della societ contro la maggior parte degli uomini un risultato del processo, non un suo scopo coscientemente perseguito6. Questo meccanismo, vero e proprio fondamento della societa gerarchica, ha molto a che fare per Stirner con la logica della follia tant vero che il termine che egli utilizza per definirlo fissazione.
Che cos che chiamiamo idea fissa? Unidea che ha soggiogato luomo. Se voi riconoscete che una tale idea fissa sintomo di pazzia, rinchiudete chi ne schiavo in un manicomio. E forse che la verit di fede di cui non si pu dubitare, la maest, per esempio, del popolo alla quale non si pu attentare (chi lo fa

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M. Stirner, ivi, pp. 360-361. Linfluenza di tale concezione stirneriana sul concetto marxiano di ideologia evidente. Lunico e la sua propriet era stato letto con estrema attenzione da Karl Marx: Lideologia tedesca di Marx ed Engels dedicato in larga parte alla discussione critica delle tesi di Max Stirner.

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reo di lesa maest), la virt contro la quale il censore non pu permettere una sola parola, affinch la moralit si mantenga pura, ecc., non sono tutte idee fisse? (...) Un povero matto del manicomio convinto, nel suo delirio, di essere Dio Padre o lImperatore del Giappone o lo Spirito Santo, ecc.; un bravo borghese convinto di essere chiamato ad essere un buon cristiano, un protestante credente, un cittadino fedele, un uomo virtuoso, ecc. bene nellun caso come nellaltro si tratta esattamente della stessa cosa: di un idea fissa. Chi non ha mai tentato e osato non essere un buon cristiano, un protestante credente, un uomo virtuoso, ecc. schiavo e succube della fede, della virtuosit, ecc. Gli scolastici filosofavano solo allinterno dei dogmi della Chiesa; papa Benedetto XIV scrisse opere ponderose restando sempre allinterno delle superstizioni papistiche, senza mai metterle in dubbio; allo stesso modo ci sono scrittori che riempiono grossi in-folio sullo Stato, senza mai mettere in questione la stessa idea fissa dello Stato e i nostri giornali rigurgitano di politica, perch sono fissati sullidea che luomo sia fatto per diventare uno zon politikn; e cos i sudditi vegetano nella sudditanza, i virtuosi nella virt, i liberali nellumanit, ecc., senza provar mai sulle loro idee fisse il coltello tagliente della critica. E cos quei pensieri sono ostinati e irremovibili come le manie di un pazzo: chi li mette in dubbio, compie atto sacrilego. Ecco cos veramente sacro: lidea fissa7.

Il meccanismo che Stirner descrive fondato sostanzialmente su di un meccanismo di depotenziamento della volont politica delle classi subalterne. Il testo stirneriano inizia difatti proprio con la constatazione che le classi superiori coloro per la cui causa noi dobbiamo lavorare, sacrificarci ed entusiasmarci8 posseggono la capacit politica di far passare i propri interessi privati per interessi pubblici. Le religioni di tutti i tempi, ivi compresa lattuale religione dellUomo, sono interpretate da Stirner come puri meccanismi ideologici. Le classi superiori non affermano affatto di voler portare avanti i propri interessi privati e di subordinare a questi ogni interesse altrui, e in primo luogo gli interessi dei senza potere: esse affermano al contrario di voler portare avanti obietti7 8 M. Stirner, Lunico e la sua propriet, cit. pp. 52-53. M. Stirner, ivi, p. 11.

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vi per questultimi psicologicamente e/o socialmente desiderabili, almeno allapparenza. Questi obiettivi vengono ampiamente sbandierati ed utilizzati come collante sociale, meccanismo ideologico unificante dei desideri di tutti gli strati della societ: il servo e il padrone hanno tutti uguale interesse a salvarsi lanima, a captare la benevolenza della divinit sulla societ nel suo complesso, a mostrarsi potenti verso i nemici esterni, a combattere la disoccupazione... Le classi dominanti si fanno allora benignamente carico del compito di portare a compimento tali obiettivi, sacrificandosi per essi. Per un puro caso, per, le strategie volte a conseguire tali obiettivi collettivi coincidono stranamente con gli interessi privati dei potenti. Come possibile che le classi subalterne caschino da millenni in un simile inganno, apparentemente facile da smascherare? Questo accade perch gli interessi privati delle classi subalterne vengono accusati di egoismo, ovvero di voler sabotare in maniera bieca il bene pubblico. Le classi subalterne vengono educate9 ad aver vergogna di s, dei propri desideri, della loro stessa vita; qualunque loro azione non subordinata agli interessi dei ceti dominanti bollata come asociale, dominata da volgari interessi privati e additata al pubblico ludibrio. La richiesta di un piccolo aumento salariale da parte dei lavoratori viene negata come contraria agli interessi della societ, dello sviluppo delleconomia, della creazione di nuova occupazione, ecc., mentre larricchimento dei grandi proprietari e dei burocrati statali viene fatta apparire come un mezzo per conseguire il bene pubblico. Accade cos che le stesse classi subalterne educate partecipino alla repressione di quelle sue componenti che vogliono, coscientemente o perch giunte alla disperazione, dar libero sfogo al loro egoismo; esse per prime credono infatti che il perseguimento degli interessi pubblici comporti la loro subalternit. Le cose vanno male perch finora abbiamo vis9 Linteresse di Max Stirner verso il problema della educazione evidente in molti altri suoi scritti: cfr. M. Stirner, ber Schlegesetze (Sulle leggi scolastiche) e, soprattutto, Das unwahre Princip unserer Erziehung oder: Humanismus und Realismus (Il falso della nostra educazione, ovvero lumanesimo ed il realismo).

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suto al di sopra delle nostre possibilit: un tale modo di pensare, implicitamente autodenigratorio, ha necessariamente come corollario che gli interessi della nazione possono venire realizzati solo attraverso larricchimento di chi gi ricco ed il contemporaneo impoverimento ulteriore di chi povero gi . I poveri, i senza potere, vengono cos intrappolati nel meccanismo inutile ed anzi controproducente della denuncia morale: invece di perseguire coerentemente e senza remore i propri interessi privati, si limitano di solito ad accusare i potenti di cattiveria, di immoralit, insomma di egoismo. Ma condannando la prassi dellegoismo essi non fanno che introiettare sempre di pi quel meccanismo che li ha depotenziati politicamente, portandoli a rinnegare i propri interessi, a farli vergognare di se stessi e a credere che se non lazione del singolo potente gli interessi privati delle classi dominanti coincidano proprio con linteresse generale della societ.
Secondo la borghesia ognuno possessore o proprietario. Come mai, allora, i pi non hanno praticamente niente? Dipende dal fatto che i pi sono contenti gi solo del fatto di essere possessori, anche se quel che posseggono non sono che i loro stracci10.

Poich nella societ si manifestano i peggiori disagi, soprattutto gli oppressi, cio gli appartenenti alle classi sociali inferiori, pensano di trovare la colpa nella societ stessa e si pongono il compito di scoprire la societ giusta. solo il vecchio fenomeno per cui si cerca la colpa in tutti gli altri prima che in se stessi; la si cerca quindi nello Stato, nellegoismo dei ricchi, ecc. i quali invece debbono la loro esistenza proprio alla nostra colpa11.
Voi ripetete sempre meccanicamente a voi stessi la domanda che avete sentito porre: A che cosa sono chiamato? Che cosa devo fare?. Basta che vi poniate queste domande e vi fate

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M. Stirner, Lunico e la sua propriet, cit. p. 275. M. Stirner, ivi, p. 126.

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dire e ordinare ci che dovete fare, vi farete prescrivere la vostra vocazione12.

Questo, secondo Stirner, il meccanismo ideologico con il quale le classi subalterne vengono depotenziate politicamente e instradate in un vicolo cieco. Credendo di perseguire il loro interesse, esse in realt inseguono solo dei fantasmi senza esistenza oggettiva la volont di Dio, lessenza dellUomo, il bene pubblico, la giustizia, laltruismo, ecc. e cos facendo consentono paradossalmente allinteresse delle classi dominanti: Il bene comune pu esultare mentre io devo chinare la testa, lo Stato pu prosperare nel modo pi splendido mentre io faccio la fame13. Il consenso come fondamento dello Stato Il potere politico, lo Stato, quindi nellanalisi di Stirner lesatto contrario di una funzione pubblica. Vale la pena di specificare che la gestione privatistica delle funzioni di governo appare essere un momento strutturale del potere politico e non un dato storico contingente una sorta di usurpazione in vista dei loro scopi privati che alcuni uomini fanno di quelle che dovrebbero essere delle istituzioni dedite alla cura degli interessi collettivi. Questultimo ragionamento Stirner lo bolla come un cedimento alla retorica del dover essere: gli uomini di Stato dovrebbero accantonare i loro interessi particolari, e dovrebbero dedicarsi agli interessi pubblici. Sta di fatto che ogni singolo ha interessi diversi da quelli di ciascun altro, che gli interessi generali della societ e cose simili si sono dimostrati essere nientaltro che meccanismi ideologici per portare avanti al meglio determinati interessi privati. Dal momento quindi che esistono solo ed esclusivamente interessi privati, lo Stato nellanalisi stirneriana non altro che il privato pi forte14 cos forte proprio perch riesce a convin-

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M. Stirner, ivi, pp. 52-53. M. Stirner, ivi, p. 224. Privato ovviamente non nel senso di individuo, ma in quello di persona giuridica; nel senso cio per cui si parla, per esempio, di interes-

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cere il resto della societ che il perseguimento dei suoi scopi privati coincide proprio con il bene pubblico.
Tutti i tipi di governo partono dal principio che tutto il diritto e tutto il potere appartengono al popolo preso nella sua collettivit. Nessuno di essi, infatti, tralascia di richiamarsi alla collettivit e il despota agisce e comanda in nome del popolo esattamente come il presidente o qualsiasi aristocrazia15.

Il fondamento della potenza dello Stato dunque il paradossale consenso alla sua politica in primo luogo alla necessit della sua esistenza che questi riesce ad estorcere allintera societ, soprattutto alle classi inferiori che ne subiscono gli effetti negativi.
Loperaio starebbe davvero molto meglio se il padrone, con le sue leggi, le sue istituzioni, ecc. tutte cose poi che loperaio a pagare non esistesse affatto. Ma con tutto ci il povero diavolo ama lo stesso il suo padrone16.

Come nella cinquecentesca analisi di La Botie17 anche per Stirner quindi il vero fondamento della tirannia che per lui coincide tout court con lo Stato non sono i pur importanti apparati militari e burocratici, bens il paradossale consenso che questi riesce ad estorcere ai dominati. Senza leducazione dei sudditi a quella paradossale forma di consenso che egli chiama fissazione, credenza nei fantasmi, idee fisse, il potere politico resterebbe in piedi ben poco. Legoismo come fondamento delluguaglianza reale e del rifiuto del consenso Se le classi dominanti fanno leva sullegoismo altrui cercano infatti di convincere le classi dominate che i loro intesi privati della FIAT (che pure non era composta dal solo Giovanni Agnelli). M. Stirner, Lunico e la sua propriet, cit. p. 208. M. Stirner, ivi, p. 324. Cfr. de La Botie, Discorso sulla Servit Volontaria, allegato al I fascicolo di Porta di Massa Laboratorio Autogestito di Filosofia (Consenso), primavera-estate 1995.

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ressi coincidono con quelli del potere segno evidente per Stirner che questa lunica molla dellagire umano. Lunica possibile strategia di rifiuto del consenso dovr perci passare a sua volta proprio per legoismo, per i biechi interessi materiali del singolo. In effetti, la tesi di Stirner che legoismo distruttivo se e solo se una parte della societ depotenziata in questo suo egoismo, a tutto vantaggio della parte restante. Legoismo generalizzato, invece, eguaglierebbe di fatto le condizioni umane, impedendo la formazione della gerarchia sociale. Ci che Stirner vuol dire evidente: la scelta che si pone non tra arbitrio personale da un lato e ordine legale/morale dallaltro. La scelta effettiva fra un arbitrio personale nudo e quindi non pericoloso, ed un arbitrio personale che, grazie alle armi della morale e della legge, pu assumere una legittimazione, una potenza e una impunit, e pu quindi esaltare a dismisura la sua componente distruttiva, che sarebbe rimasta, altrimenti, di dimensioni innocue18. La generalizzazione dellegoismo porterebbe quindi di fatto ad una societ egualitaria, anche se Stirner non ama questo termine. Il riconoscimento dellunicit dei singoli, delle loro aspirazioni, dei loro interessi e desideri, impedirebbe infatti la formazione delle gerarchie sociali. Se non hanno fantasmi da adorare e/o da temere, idoli cui sacrificarsi, gli individui venderanno a caro prezzo la loro merce, e nessuno sar perci pi in grado di sfruttare il lavoro altrui.

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AA. VV., La tirannia delle parole: una lettura di Max Stirner, Comidad, Napoli, 1989, p. 19. In effetti, Stirner qui utilizza uno strumento classico della riflessione etico-morale: quello di domandarsi gli effetti della generalizzazione di un comportamento del singolo (cosa accadrebbe se tutti facessero cos). Solitamente, questo strumento serve a mostrare come ci che dal punto di vista del singolo appare un comportamento apparentemente valido o quantomeno neutro dal punto di vista morale (p. e. io posso nascondere la verit delle cose agli altri, se io so cosa giusto per loro sapere o meno), in realt un comportamento del tutto negativo se visto dal punto di vista della sua generalizzazione (anche gli altri decideranno per me ci che io devo o non devo sapere). In questo caso, per, Stirner utilizza questo strumento classico dellargomentazione filosofica per mostrare come un comportamento che, oggettivamente negativo se isolato al singolo, portatore di notevoli potenzialit positive se totalmente generalizzato.

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Il proletario19 Stirner suggerisce perci alla classe sociale di cui sociologicamente fa parte di valorizzare al massimo le proprie capacit lavorative, di non svenderle a nessun costo nei confronti delle classi dominanti, impedendo cos il perpetuarsi del meccanismo gerarchico.
Noi non vogliamo regali da voi, ma non vogliamo nemmeno regalarvi niente. Per secoli vi abbiamo fatto lelemosina per generosa stupidit, abbiamo dato lobolo di noi poveri a voi ricchi, vi abbiamo dato ci che non vi appartiene, giunto il momento che apriate la vostra borsa, perch dora in poi la nostra merce comincer a salire vertiginosamente di prezzo20.

Una tale azione presuppone il rifiuto del consenso non alla singola politica statale e/o padronale ma allidea di potere politico in quanto tale, in altre parole la fuga dai meccanismi ideologici su cui si fondano i legami religiosi della societ gerarchica. Va tenuto presente che per Stirner la borghesia non la classe detentrice del potere statale, bens una classe vassalla nei confronti del potere dello Stato. Lo Stato per Stirner lunico vero proprietario che concede in feudo ad alcuni dei suoi servi pi fidati alcune parti della sua propriet, sapendo di poterle avere indietro in ogni momento attraverso il diritto di esproprio (per questo egli vede nei progetti di Weitling e Marx di statalizzazione dei mezzi di produzione una semplice variante del capitalismo). La classe proprietaria, in cambio del suo feudo, svolge funzioni di controllo sulla classe lavoratrice e attira su di s gli odi di questa, che spesso vedono nello Stato un possibile difensore contro le angherie dei suoi feudatari. La concessione in feudo della propriet dei mezzi di produzione permette cos allo Stato di diffondere nella societ una sorta di versione moderna della favola del Re Buono e dei Ministri Cattivi.
19 In pi luoghi della sua opera Stirner si definisce tale (o anche povero): in effetti, egli proveniva da una famiglia di modeste condizioni economiche e viveva dello stipendio di maestro elementare. Lunico e la sua propriet ha, in ogni caso, come interlocutore privilegiato le classi lavoratrici, il che ha portato a parlare a nostro avviso con buone ragioni di un operaismo stirneriano. M. Stirner, Lunico e la sua propriet, cit. p. 284.

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Rifiutare il consenso alla societ gerarchica significa dunque, per Stirner, rompere il meccanismo ideologico di autodenigrazione che porta il singolo a rinnegarsi, a credersi un essere abietto, le cui inclinazioni e i cui desideri devono necessariamente passare in secondo piano davanti a Dio, alla Patria, alla Nazione, al Bene Pubblico, allInteresse Generale, alla Societ, alla Comunit, alla Chiesa, allUomo, alla Verit, alla Santit e via allinfinito21. Per questo Stirner afferma che noi viviamo ancora pienamente immersi in una cultura mitico/religiosa: dal suo punto di vista assolutamente indifferente inginocchiarsi davanti alla volont di Dio o allessenza dellUomo, alla Fede o alla Libert. Avremo sempre a che fare con meccanismi ideologici che depotenzieranno alcuni individui a tutto favore di altri, creando servi e padroni la societ gerarchica. Negare il consenso a tali meccanismi ideologici appare a Stirner come lunica strada dotata di senso per la costruzione di una societ in cui la follia non sia la norma dominante, al punto tale da far apparire degni di alta considerazione ed offerti a modelli di comportamento i comportamenti pi assurdi ed autolesionisti.
Come non esaltare la coscienza di Socrate, che gli fa rifiutare il consiglio di evadere dal carcere? Ma non capite che Socrate pazzo a concedere agli ateniesi il diritto di condannarlo? (...) Il fatto di non fuggire fu appunto la sua debolezza, il suo delirio, per cui credeva di avere ancora qualcosa in comune con gli ateniesi, ossia lidea di essere un membro (e solo un membro) di quel popolo. (...) Avrebbe dovuto restare sulle sue posizioni e, dato che non aveva pronunciato contro se stesso una sentenza di morte, avrebbe fatto bene a disprezzare la sentenza degli ateniesi e a fuggire. Ma egli, invece, si sottomise, riconoscendo nel popolo il suo giudice, immaginando di essere piccola cosa di fronte alla maest del popolo. Il fatto di sottomettersi, come a un diritto, al potere violento al quale in realt soggiaceva, fu tradimento di se stesso: fu virt22.

Stirner vede dunque nella Societ senza Stato in quella che lui chiama lAssociazione degli Egoisti, il compimento
21 22 Cfr. su questo tema M. Stirner, ivi, pp. 193-194. M. Stirner, ivi, p. 225.

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definitivo del processo storico di demitizzazione avviato al tempo dellantica Grecia. Gli esseri umani hanno imparato col tempo che gli esseri supremi delle religioni non erano altro che fantasmi; ora auspicabile che ogni singolo giunga finalmente a comprendere di non avere un fine nella vita cui tendere, diverso dai suoi desideri e dalle sue aspirazioni. Luomo singolo non deve diventare un vero Uomo pi di quanto un cane deve diventare un vero Cane. questo linsegnamento pi interessante che la lettura di un testo come Lunico e la sua propriet pu dare: il gioco dellautodenigrazione, del sentirsi impotenti ed umili di fronte ad entit esterne, qualunque esse siano, di rinnegare la propria individualit, il proprio specifico senso della vita a favore di sensi a noi estranei un gioco senza senso; che, infine, dietro lapparente razionalit del consenso allideologia umanistica, alla societ capitalistico/liberale moderna, pu nascondersi una lucida ma non per questo meno distruttiva follia. Appendice. Chiarimenti innescati dal dibattito seminariale a) Stirner e la Tradizione Filosofica. Stirner ha subito, nel corso degli anni, una lettura sostanzialmente legata al cosiddetto irrazionalismo o, per utilizzare una terminologia maggiormente in voga, al pensiero debole: in particolare, il nome cui stato pi frequentemente legato stato quello di Nietzsche23. Mi sembra invece evidente che una tale lettura sia inconsistente e, in larga misura, dovuta ad un sostanziale fraintendimento del suo pensiero. Alcuni chiarimenti preliminari: il termine Filosofia, come molti altri, usato in svariate accezioni, sia colte sia popolaresche. Lo si usa talvolta per indicare la complessiva visione del mondo di una persona, in altre parole linsieme delle sue idee sul mondo, sulla conoscenza, sulla politica, sulla vita sociale, sulla religione Altre volte, invece, lo

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Vedi, per una ricostruzione della lettura di Stirner, lottimo (in generale) E. Ferri, La citt degli Unici. Individualismo, nichilismo, anomia, Giappichelli Multiversum, Torino, 2002.

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si usa per indicare una qual certa abilit nel sapersi muovere tra le cose del mondo, nelle difficolt della vita quotidiana, nelladattarsi alle circostanze senza per lasciarsene sopraffare. Altre volte, invece, si usa il termine per indicare una visione del mondo argomentata razionalmente e con estremo rigore concettuale. Si usa il termine in questo senso sostanzialmente come sinonimo di scienza soprattutto in area linguistica anglosassone. Il termine usato talvolta anche per indicare un atteggiamento di pensiero aperto, rivolto continuamente allindagine, critico. Altre volte, infine, si usa il termine Filosofia per indicare una particolare scienza, nata in Grecia pi di duemilacinquecento anni fa in contrapposizione alle forme del pensiero mitico, che cerca di trovare e analizzare il fondamento logico di verit di qualsiasi conoscenza (scientifica, morale, religiosa, politica, ecc.). Si usa allora il termine con questo significato quando si fa riferimento come abbiamo gi accennato ad un sapere scientifico che indaga soprattutto anche se non esclusivamente le verit assolute, in quanto esse, essendo valide sempre e comunque, indipendentemente dal particolare linguaggio usato o dal contesto cui si applicano, possono essere usate come fondamento logico, criterio ultimo di giudizio di validit, per tutte le altre verit. Ovviamente qui non si tratta di stabilire un uso giusto o sbagliato del termine; gli usi di un termine sono usi, e basta. Una comunit di parlanti pu utilizzare quel suono o quel segno grafico attribuendogli il significato che gli pare, purch sia cosciente di ci e non cada negli equivoci. Quello che, per, pu essere evidenziato in maniera oggettiva che lultimo significato del termine Scienza del Fondamento qualcosa di assolutamente peculiare nella cultura umana: mentre tutti gli altri significati lo portano verso la confluenza con altri aspetti culturali (visione del mondo, scienza, saggezza, atteggiamento critico), laspetto di riflessione fondazionale invece unico ed inconfondibile24.
24 Cfr. E. Voccia Cos la Filosofia. Tecnica, Linguaggio, Verit, Fondamento, in Porta di Massa Laboratorio Autogestito di Filosofia, VIII fascicolo (Filosofia), La Citt del Sole, Napoli, 2002, pp. 19-23.

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Stirner, mi pare evidente, rientra a pieno in questa concezione forte, fondazionalistica, della Filosofia: il suo argomentare si basa proprio sul non dare per scontato nulla, nel richiedere ad ogni concetto di andare ben oltre laccettazione del senso comune, e da questo punto di vista i suoi debiti con Hegel sono enormi25. Lungi dal riconoscersi in un generico e banale appello ad un nichilismo gnoseologico e/o ontologico, la sua causa fondata sul Nulla dellinconsistenza delle argomentazioni ideologiche, delle idee fisse che sostanziano la societ gerarchica, che egli sottopone ad unanalisi stringente e nullificante. b) Il Linguaggio come Fondamento della Societ. Di l da tutto ci, poi lo stesso contenuto della sua opera maggiore, come abbiamo visto, ad essere tipicamente fondazionalistico. Stirner, come abbiamo visto, svaluta sia il livello politico, sia il livello economico, sia il livello culturale, come strutture portanti dellessere sociale: tutte queste strutture, infatti, non potrebbero essere quelle che sono indipendentemente dal linguaggio. Il linguaggio, dunque, non per nulla un semplice strumento, pi o meno accidentale, bens il vero fondamento dellagire sociale umano, ci che ne caratterizza lessenza, e per comprendere i paradossi della societ il consenso sostanziale dei sudditi alla loro penosa condizione, in primo luogo nelle sue caratteristiche, nelle sue potenzialit che egli indaga. Il linguaggio gli appare dotato di caratteristiche distruttive le idee fisse ma anche foriero di potenzialit positive enormi. In effetti, egli ritiene che la societ gerarchica sia una societ assurda, delirante, non in quanto fondata sul linguaggio tout court, bens in quanto fondata su di un uso folle e improprio del linguaggio stesso. La sua idea di una
25 Cfr. G. W. F. Hegel, Enciclopedia delle Scienze Filosofiche in Compendio, Laterza, Roma-Bari, 1984, pp. 4-5 ( 1). In generale, poi, la stessa struttura de Lunico e la sua Propriet ricorda assai da vicino la Fenomenologia dello Spirito hegeliana, per non ricordare la testimonianza di Engels che lo classifica, allinterno del gruppo dei giovani hegeliani, come il pi interessato alle questioni legate alla Filosofia nel senso forte (lettera di Friedrich Engels a Max Hildenbrandt, in E.Ferri, La citt degli Unici. Individualismo, Nichilismo, Anomia, cit., pp. 167-169).

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Associazione degli Egoisti legata, a doppio filo, al concetto che un uso diretto e proprio del linguaggio della comunicazione intersoggettiva sia lo strumento per la creazione di una societ radicalmente egualitaria. Per abbattere le fissazioni, per guarire lumanit dalla follia, Stirner invita ad un uso ampio e senza remore della razionalit, del principio logico di causalit e di quello di non contraddizione. Luso folle del linguaggio e la conseguente follia sociale che ne consegue sono per lui proprio il risultato della rinuncia, implicita od esplicita, dei principi logici alla base del linguaggio corretto. Il sacro per lui proprio questo, e vale la pena di richiamare, stavolta a questo riguardo, una precedente citazione di un passo della sua opera maggiore:
Che cos che chiamiamo idea fissa? Unidea che ha soggiogato luomo. Se voi riconoscete che una tale idea fissa sintomo di pazzia, rinchiudete chi ne schiavo in un manicomio. E forse che la verit di fede di cui non si pu dubitare, la maest, per esempio, del popolo alla quale non si pu attentare (chi lo fa reo di lesa maest), la virt contro la quale il censore non pu permettere una sola parola, affinch la moralit si mantenga pura, ecc., non sono tutte idee fisse? (...) Un povero matto del manicomio convinto, nel suo delirio, di essere Dio Padre o lImperatore del Giappone o lo Spirito Santo, ecc.; un bravo borghese convinto di essere chiamato ad essere un buon cristiano, un protestante credente, un cittadino fedele, un uomo virtuoso, ecc. bene nellun caso come nellaltro si tratta esattamente della stessa cosa: di un idea fissa. Chi non ha mai tentato e osato non essere un buon cristiano, un protestante credente, un uomo virtuoso, ecc. schiavo e succubo della fede, della virtuosit, ecc. Gli scolastici filosofavano solo allinterno dei dogmi della Chiesa; papa Benedetto XIV scrisse opere ponderose restando sempre allinterno delle superstizioni papistiche, senza mai metterle in dubbio; allo stesso modo ci sono scrittori che riempiono grossi in-folio sullo Stato, senza mai mettere in questione la stessa idea fissa dello Stato e i nostri giornali rigurgitano di politica, perch sono fissati sullidea che luomo sia fatto per diventare uno zon politikn; e cos i sudditi vegetano nella sudditanza, i virtuosi nella virt, i liberali nellumanit, ecc., senza provar mai sulle loro idee fisse il coltello tagliente della

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critica. E cos quei pensieri sono ostinati e irremovibili come le manie di un pazzo: chi li mette in dubbio, compie atto sacrilego. Ecco cos veramente sacro: lidea fissa26.

Lo stato di follia causato dalluso improprio del linguaggio per lui fondamentale: se i meccanismi ideologici del dominio possono agire con dilaniante potenza, creando i sommi deliri e dolori della societ gerarchica, proprio perch essi agiscono in una collettivit che stata educata a svalutare gli strumenti sommi del linguaggio, i suoi principi logici di base. La potenza dellanalisi stirneriana evidente se solo si pone attenzione al fatto che, oggi, lOccidente industrializzato, nonostante gli indubbi progressi in tutti i campi del sapere oggettivo, ha adottato, come principio dellopinione pubblica, non solo un generico umanesimo retorico, ma addirittura posizioni irrazionalistiche, emarginando di fatto, nellambito della disciplina filosofica, qualunque riflessione coerentemente razionale27. La spiegazione da dare a questo dato di fatto non pu essere altro che la necessit del controllo ideologico delle classi subalterne. I meccanismi ideologici del dominio hanno bisogno, in altri termini, di persone educate ad accettare per vere conclusioni contraddittorie con le premesse, a non notare la contraddizione tra mezzi e fini, ecc. Nel passato, questo ruolo educativo era svolto esclusivamente dalla religione. La pratica religiosa era quasi sempre, per la stragrande maggioranza delle persone tenute fuori di qualunque processo di scolarizzazione, la fonte principale di acculturazione. Una fonte, questa, che combatteva strenuamente, persino nelle classi dominanti, la diffusione di una cultura scientifica e filosofica seria, portatrice in altri termini di una prassi coerente di ricerca della verit oggettiva. La Rivoluzione Industriale, per, ha imposto una sempre maggiore scolarizzazione delle classi subalterne, accrescendo le potenzialit di un loro accesso ad una forma mentis razio26 27 M. Stirner, Lunico e la sua propriet, cit. pp. 52-53. Vedi, di l dallaspetto religioso di alcune sue tesi, V. Hsle, Hegel e la fondazione dellidealismo oggettivo, Guerini e associati, Milano, 1991; cfr. anche, in unottica pi laica, T. Nagel, Lultima parola contro il relativismo, Feltrinelli, Milano, 1999.

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nale e, di conseguenza, di un loro sganciamento dal controllo ideologico del dominio. Lapologia contemporanea delle varie forme di irrazionalismo, allora, pu essere letta come una sorta di meccanismo di assicurazione da parte delle classi dominanti nei confronti del rischio di essere costrette ad esporre le classi dominate ai meccanismi logici della razionalit. Le masse vengono istruite, in altre parole introdotte ad una serie di contenuti e di strutture argomentative valide nellottica di un sapere oggettivo forte. Al tempo stesso, per, questi stessi contenuti e strutture argomentative vengono, ad un livello metalinguistico e con una enorme pressione sociale, fortemente negati e svalutati in quanto tali. Lobiettivo cardine di un tale processo stato linfiltrarsi nella stessa cultura del movimento operaio e socialista di tensioni irrazionalistiche, allo scopo di depotenziarne le potenzialit sovversive dello stato di cose presente. La cultura contemporanea perci rinchiusa in un tipico doppio legame, resa schizofrenica28, immersa in un contesto dove, alla fine dei conti, lunica verit che conta e che resta sostanzialmente indiscussa, nonostante le sue palesi contraddizioni quella del potere. c) La Questione dellUguaglianza. Ho gi ricordato che Stirner usa raramente il termine uguaglianza, eppure non v filosofo che prima di lui abbia cos radicalmente sostenu28 Per unanalisi del concetto di doppio legame come meccanismo eziologico-causale della schizofrenia e di altre sofferenze mentali cfr. G. Bateson, D. D. Jackson, J. Haley, J. H. Weakland, Verso una teoria della schizofrenia, in G. Bateson, Verso unecologia della mente, Adelphi, Milano, 1976, pp. 244-274, e P. Watzlawick, A. Beavin, D. D. Jackson, Pragmatica della comunicazione umana, Astrolabio, Roma, 1971. In generale, comunque, si ha un doppio legame (double bind: gioco di parole con bouble mind schizofrenia) quando: 1. avviene, in un determinato contesto, la comunicazione di un determinato contenuto e, a livello di metacomunicazione, la negazione di quel contenuto stesso; 2. impossibile, per una serie di motivi, negare e-o sfuggire a questa comunicazione paradossale. P. e., un padre, che condiziona fortemente la sopravvivenza economica ed affettiva di una figlia, pu tenerla letteralmente reclusa, impedendole di partecipare a qualunque attivit sociale, giustificando, a livello di metacomunicazione, il suo atteggiamento con una frase del tipo lo faccio perch tu sia felice.

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to la tesi della perfetta equipollenza di tutti gli esseri umani detto per inciso, questo uno dei punti che pi rendono difficile il suo accostamento a Nietzsche, che sostiene con altrettanta radicalit la tesi opposta29. Il paradosso facile da spiegare: sinora si cercato, a giudizio di Stirner, di comparare luomo allUomo, alla sua idea o, meglio, ad un suo ideale. Luguaglianza, allora, diveniva un compito: occorreva adeguarsi ad un modello, divenire un vero uomo e, anche se si presupponeva luguaglianza radicale di tutti gli uomini, in realt si finiva sempre in un nuovo modello cui, di l dalle belle intenzioni dei suoi autori, alcuni uomini corrispondevano, altri meno Per Stirner, invece, noi siamo gi uguali ora perch siamo sin da ora tutti diversi. Nulla dellumano dellhomo sapiens sapiens ci alieno, ma ognuno di noi ha declinato la propria umanit in modo unico, irripetibile ed imparagonabile. Di conseguenza, nessuno di noi pi o meno uomo di altri, proprio perch un modello della declinazione dellumano, cui paragonare i singoli individui effettivamente esistenti, non esiste. Di conseguenza, la societ gerarchica non ha fondamento se non sul Nulla. Lunica societ che possa vantare credito nei confronti della ragione o, meglio, di un uso proprio del pensiero, solo quella egualitaria. Non a caso perci, pi che alla cosiddetta corrente individualista ben pi influenzata dal superominismo nietzscheano e, dunque, da un dover essere modellizzante dellUomo Engels30 vede leredit stirneriana nella corrente comunista dellanarchismo, lunica, in effetti, teoria politica che ha provato a sostanziare concretamente lidea di unAssociazione degli Egoisti: un Unione senza Valore, radicalmente egualitaria, non basata su di un modello dellumano da raggiungere, ma solo sulla reciproca e pianificata cooperazione per il raggiungimento del maggior benessere possibile del singolo, che sempre libero di scindersi da essa e di
29 Cfr., solo per fare un esempio, F. Nietzsche, Al di l del Bene e del Male. Preludio di una Filosofia dellAvvenire, Rizzoli, Milano, 1992 (ma, per i nostri scopi, sufficiente anche solo la lettura della parte IX Che cos Aristocratico?, pp. 233-268). Vedi sempre la lettera di Friedrich Engels a Max Hildenbrandt, in E. Ferri, La citt degli Unici. Individualismo, nichilismo, anomia, cit. pp. 167-169.

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riorganizzarsi al meglio con chi gli pare, dove le decisioni valgono solo per chi le accetta.31 Stirner, daltronde, per quanto la cosa possa sembrare paradossale, ben poco individualista e notevolmente realista nel delineare il rapporto tra gli unici e le loro associazioni egualitarie: lo certamente, ed ecco un nuovo apparente paradosso, ben pi del suo antagonista Karl Marx. nota, infatti, la riflessione del pensatore socialista tedesco volta al rifiuto della elaborazione utopistica. Nel suo rifiuto di prefigurare il futuro egli per si costringe, ogni qualvolta portato a descrivere in qualche modo lobiettivo del movimento socialista, ad una notevole genericit o, talvolta, ad una sorta di pseudo-utopismo del tutto irrazionale, privo in pratica di quellaspetto di progettazione sociale razionale che caratterizza il pensiero utopico. Questaspetto stato messo in rilievo soprattutto da Domenico Losurdo:
Nella societ comunista, in cui nessuno ha una sfera di attivit esclusiva ma ciascuno pu perfezionarsi in qualsiasi ramo a piacere, la societ regola la produzione generale e appunto in tal modo rende possibile fare oggi questa cosa, domani quellaltra, la mattina andare a caccia, il pomeriggio pescare, la sera allevare il bestiame, dopo pranzo criticare, cos come mi viene voglia; senza diventare n cacciatore, n pescatore, n pastore, n critico [MEW, vol. III, p. 33]. Se accogliamo tale definizione, allora il comunismo presuppone uno sviluppo cos prodigioso delle forze produttive da cancellare i problemi e i conflitti relativi alla distribuzione della ricchezza sociale e quindi relativi al lavoro, e alla misurazione e al controllo del lavoro, necessario alla sua produzione; anzi, cos configurato, il comunismo sembra presupporre la scomparsa, oltre che dello Stato, della divisione del lavoro, e in realt dello stesso lavoro, il dileguare, in ultima analisi, di ogni forma di potere e di obbligazione32.

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Cfr. il classico P. Kkopotkin, La conquista del pane, Anarchismo, Catania, 2002, ma anche il meno conosciuto ed inaspettato C. Pisacane, La rivoluzione, Einaudi, Torino, 1970 (particolarmente i capitoli: IX. Diritto di propriet; X. Governo; XI. Dichiarazione di princip; XVIII. Risorgimento dItalia). D. Losurdo, Utopia e stato di eccezione, Laboratorio Politico, Napoli, 1996, cit. p. 76.

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La tesi generale di Losurdo che Marx sarebbe condizionato da posizioni anarchiche: egli dimentica per che queste posizioni marxiane nascono proprio come critica allanarchismo. Le pagine citate, che sinseriscono nella tematica della abolizione del lavoro, sono nate, infatti, proprio allinterno della polemica antistirneriana. Stirner, infatti, riteneva impossibile tale abolizione, e poneva invece ad obiettivo della unione degli egoisti, dellazione dei proletari, la liberazione del lavoro dal capitalismo e dallo Stato: Lo Stato si fonda sulla schiavit del lavoro; se il lavoro diventer libero, lo Stato sar perduto33. Anche la prefigurazione della scomparsa di ogni forma di potere e di obbligazione fa parte della polemica antianarchica di Marx: Stirner, infatti, affermava che:
ben vero che una societ a cui aderisco mi toglie alcune libert, ma in compenso me ne concede altre; non c niente da dire nemmeno sul fatto che io stesso mi privo di questa o di quella libert (...). Per quel che riguarda la libert, non vi differenza essenziale tra lo Stato e lunione. Neppure la seconda pu nascere o conservarsi senza che la libert venga limitata (...). La religione e in particolare il cristianesimo, hanno tormentato luomo con la pretesa di realizzare ci che contro la natura e contro il buon senso; lautentica conseguenza di questa esaltazione religiosa, di questa tensione esagerata nel fatto che la libert stessa, la libert assoluta, venne alla fine innalzata ad ideale (...)34.

Stirner, insomma, una volta analizzato con lattenzione che merita, fa piazza pulita di uninfinit di preconcetti anche quelli nati allinterno di coloro che pretendono di ripeterne il pensiero. Un motivo di pi per leggerlo con occhi naiv.

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M. Stirner, Lunico e la sua propriet, cit. p. 124. M. Stirner, ivi, pp. 321-322.

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ax Stirner: misconosciut o materialist a


di Manuel Guidi1

che sicuramente rifugge ogni classificazione, ancora oggi per molti versi scandaloso, scritto con unirruenza tale da esser passato alla storia pi come lelucubrazione di un eccentrico che come un vero testo filosofico. Distruttivo nei confronti di ogni ideale si pone come imprescindibile per chiunque sinteressi di filosofia pratica. Un libro audace fino al parossismo. Estremo a tal punto da condurre ad una variet di interpretazioni tra loro assolutamente antitetiche. Effettivamente difficile dare a Stirner uninterpretazione univoca ed pressoch impossibile inquadrarlo in una scuola di pensiero. Forse pi facile definirlo in negativo: non un dogmatico, non un idealista, non un romantico. Plekanov non volle certo elogiarlo quando per primo lo defin come il padre dellanarchismo. Nonostante la fama di fondatore dellindividualismo anarchico, dovuta, oltre che al parere dei suoi detrattori, anche allopera del suo biografo MacKay3, il ventaglio di interpretazioni che gli sono state date sono eclettiche, esse lo assimilano allesistenzialismo come al nichilismo, allateismo antiautoritario come al nazismo. Qui si cercher di individuare in Stirner un filosofo fondamentale del dibattito di met ottocento intorno alla morte del
1 2 3 Questo testo una versione corretta e rivista di un intervento svolto durante il ciclo seminariale Genealogie del dominio. F. A. Lange, Storia del materialismo, 1866, Casa editrice Monanni, Milano, 1932. MacKay, Max Stirner sein Leben und sein Werk, Berlino, 1898.

opera fondamentale di L Max Stirner Lunico e la sua propriet un libro famigerato pi che famoso, un testo
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dogmatismo e la nascita della filosofia pratica. Dibattito che port al superamento dellidealismo hegeliano e con il marxismo al suo rovesciamento. Possiamo distinguere lanti-idealismo stirneriano da quello marxiano proprio per il fatto che Marx attua un vero e proprio rovesciamento dellidealismo che, facendo derivare le sovrastrutture dalle strutture economiche, il pensiero dallessere, propone una filosofia che lascia sostanzialmente inalterato il dualismo. Il nesso generativo giunge a far coincidere il modo di produzione con il modo di vita; ripropone quello spazio di definizione che nel suo sviluppo teorico precedente Marx aveva occupato con la categoria di essenza. In Stirner invece non vi unestrinsecazione come oggettivazione dessenza4. La persona come universale astratto, non ha per Stirner nessuna forza negativa, il soggetto singolare ad averne. Non viene ammesso nessun pensiero astraente, nessuna scissione, la forma filosofia si sgretola di fronte allUnico. Oltre a ci la prospettiva escatologica del comunismo di sanare le Trennung, la separazione, negata dallegoista che vuole appropriarsi subito di tutto. Il superamento pratico del momento speculativo in Stirner, anzich determinare le sovrastrutture in chiave economicistica una vera e propria appropriazione immediata dellesistente da parte del soggetto attuata attraverso una dissoluzione di ogni aura sacra che circonda la legalit, in primis quella che regola la propriet privata. Anzich ribaltare il dualismo hegeliano, derivando il pensiero dallessere, legoista vuole sciogliere il dualismo attraverso laffermazione del solo io empirico, presupponendo se stesso al proprio pensiero. LUnico fa tabula rasa di tutti i valori, nientificandoli non in quanto risultanti da interesse o da un rapporto economico ma semplicemente perch falsi in quanto posteriori allIo. La componente nichilista non nega per la volont, che, come autocoscienza, come interiorizzazione e superamento della scissione, non sembrerebbe dissimile dalla coscienza di classe marxiana. La differenza che questa volont singo4 Cfr. P. Vinci, La forma filosofia in Marx Commento allIdeologia tedesca, Cadmo editore, Roma, 1987.

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lare, non aspetta la maturazione della possibilit rivoluzionaria, delle contraddizioni hegelianamente interne al concetto, legoista si ribella quando gli pare, autonomamente. Lanti-essenzialismo dei due pensatori simile e al contempo diverso, esso reciprocamente anti-hegeliano. Lelemento volontaristico il perno su cui ruota lanti-idealismo dei due giovani hegeliani di sinistra. In mancanza di una tale componente la filosofia stirneriana non condurrebbe a nulla e la dottrina marxista sarebbe solo uninterpretazione del mondo. Non c nessunessenza, nessunidea di umanit alla quale lindividuo dovrebbe conformarsi. Stirner radicalizza e supera il concetto di alienazione di Feuerbach. Lidea di essenza delluomo, infatti, si rivela problematica proprio in quanto essenza, e non uomo stesso. In quanto essenza indifferente se essa viene posta al di fuori delluomo come Dio, o nel suo interno; lego stirneriano non n Dio, n luomo, n mia essenza. Secondo lautore dellUnico Feuerbach non fa che strappare lo spirito dalla sua dimora celestiale e obbligarlo a venire in noi. Nel concetto cristiano lo spirito di Dio contemporaneamente interno ed esterno, ci libera dal male in quanto dimorante in noi, luomo religioso dunque posseduto dallimmagine divina. Analogamente la ragione universale del mondo si realizza nel mondo attraverso il suo vertice: lio umano. Ogni singolo uomo si trova quindi posseduto dallessenza dellumanit. Ci che Stirner rintraccia e condanna in Feuerbach questa appartenenza dellessere al concetto, lio proprietario infatti supera questa dipendenza rovesciandola. Il carattere empirico di tale rovesciamento subito colto da Engels che, nel novembre del 1844, scrive a Marx dellUnico. In questa lettera Stirner descritto come un idealista convertito al materialismo e allempirismo, una specie di Bentham ateo, un empirista filtrato da Hegel. Inizialmente Engels, colpito dallestremo anti-idealismo dellopera, si entusiasma per molte delle argomentazioni stirneriane. La risposta di Marx a questa lettera introvabile ma il contenuto probabilmente unanticipazione della critica contenuta nellIdeologia Tedesca. Poco dopo, infatti, Engels, rivedr il suo apprezzamento iniziale per poi trasformarlo totalmente nelle feroci e minuziose critiche del terzo capitolo dellIdeologia tedesca, sarcasticamente intitolato San Max.

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Laccusa principale rivolta allUnico quella di essere ancora legato allidealismo hegeliano, lunica differenza tra Hegel e Stirner, dice Marx, quella che c tra loriginale e la copia. Il metodo storiografico adoperato come la prassi proposta sarebbero ancora imbrigliati in una storia di spiriti, di fantasmi, non terrebbero conto delle relazioni reali tra gli uomini, si tratterebbe ancora di mera critica. Eppure proprio Engels che preso dallimpressione immediata del libro sottolinea come Stirner sia stato capace di partire dallio, dallindividuo empirico in carne ed ossa. Il problema secondo Engels addirittura che Stirner non va oltre, non si eleva al di l di questo ego empirico. Un fatto interessante che la parola materialismo in questi anni ha, nellopera marxiana, ancora unaccezione negativa, Engels invocando materialismo ed empirismo in unargomentazione contro lumanismo feuerbachiano, contro lidealismo che deriva il singolo dalluniversale condanna lidealismo in una prospettiva antimoralistica molto vicina a quella stirneriana. Dunque proprio negli anni in cui Marx elabora quello che sar poi definito il materialismo storico, il dibattito filosofico, tra lui e gli altri hegeliani, sembra tematizzare proprio la definizione della parola materialismo. Lestremo antieticismo del materialismo stirneriano non pu non aver influenzato lanalisi marxiana. La strada che conduce dalla connotazione negativa del termine materialismo contenuta nella Critica alla filosofia hegeliana del diritto pubblico o dalla condanna morale dellegoismo dei Manoscritti economico-filosofici del 44 al Marx scientifico e autochiarificato5 sembra tenere assai conto del fatto che come scrive Engels a Marx: siamo comunisti anche per egoismo, vogliamo essere uomini, e non soltanto individui, per egoismo. Il fatto di cadere dallastrazione idealistica a quella materialistica e non arrivare a nulla, scrive sempre Engels, sembra essere ironicamente confermato dalla frase conclusiva dellUnico io ho fondato la mia causa su nulla. La sagace ingenuit con cui Stirner nega qualunque istanza normativa, provoca la reazione di Marx che per terr signifi5 La mancata pubblicazione dellIdeologia Tedesca la caratterizz, a detta degli autori, proprio come autochiarificazione.

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cativamente per s abbandonando i manoscritti dellIdeologia Tedesca nel solaio, alla critica roditrice dei topi. Se in Marx linfrastruttura economica prende il posto dello spirito come motore della storia in Stirner invece vi un superamento tutto volontaristico, un superamento pratico e individualistico del movimento speculativo, e con esso luccisione della scienza e della filosofia. Questo tentativo di dissolvere il classico dualismo di pensiero ed essere fa di Stirner un esemplare allievo di Hegel. Non per un allievo inerte, anzi, la sua analisi del potere indica come principio delleteronomia proprio le idee, alle quali, anzich appartenerci, noi apparteniamo. Il bersaglio dunque la pretesa assolutizzante della ragione hegeliana, e il suo superamento consiste in quello che possiamo definire come un meccanismo dappropriazione.
Vero ci che mio, non vero ci a cui appartengo; vera per esempio lunione, non veri lo Stato e la societ6.

Ci che viene messo in questione quello che Hegel stesso definiva come pensiero separante, intellettualistico. Compiuta la dissoluzione del dualismo di pensiero ed essere ad opera di un divenire determinato dallagire egoistico, viene portato a termine un progetto tutto hegeliano. Ecco dunque che Stirner, come Marx, proprio nel suo estremo anti-hegelismo si riconferma discepolo del grande maestro. Comunemente ad altri incendiari del pensiero filosofico, Stirner vuole porsi fuori dalla filosofia dichiarandola morta. Per comprendere il significato e le conseguenze di una tale eccentricit occorre esporre brevemente alcune interpretazioni che furono date dellopera stirneriana, esse testimoniano come sia difficile situare filosoficamente lestremo materialismo dellegoista. Secondo un importante interprete di Stirner, Henry Arvon, la fortuna del famigerato libro pu essere suddivisa in quattro periodi7.
6 7 M. Stirner, Lunico e la sua propriet, Adelphi, Milano, 1979 p. 370. H. Arvon, Lactualit et la pense de Max Stirner, in AA.VV., M. Stirner, ou la premire confrontation entre Karl Marx et la pense anti-autoritaire, LAge dhomme, Lausanne, 1979.

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Una prima ondata dinteresse quella che segue immediatamente la sua pubblicazione. Nellambito della dissoluzione della filosofia dello spirito assoluto, per usare unespressione marxiana, operata dalla sinistra hegeliana, legoismo stirneriano si presenta come autodeterminazione pratica e radicale della volont singola. Come successe ad altri testi della sinistra hegeliana il libro fu subito sequestrato per blasfemia ma significativamente fu rimesso in circolazione poich secondo il Ministero dellInterno era addirittura troppo assurdo per essere pericoloso. Una tale impressione per non dur a lungo, e il libro fu definitivamente proibito con laccusa di negare il diritto di propriet, di giustificare lomicidio, il suicidio, e qualsiasi altro crimine. Malgrado la censura il libro diede vita ad un interessante dibattito sulle riviste del radicalismo di sinistra dellepoca. Si apre un dibattito con Feuerbach sullessenza del cristianesimo, con Bauer sul concetto di Critica. Ma laspetto pi interessante del dibattito dellepoca riguarda la gi citata diatriba con Marx ed Engels. In una seconda ondata dinteresse, mezzo secolo dopo, sulla scia del successo dellopera nietzschana, la figura dellunico viene interpretata come unanticipazione del Superuomo. Probabilmente pi che di unanticipazione si tratta di un vero e proprio riferimento non dichiarato. La vicinanza teorica dei due filosofi si pu scorgere in diverse istanze: dal diventare ci che si alla filosofia del martello fino a giungere alla volont di potenza. Eppure tale vicinanza fu negata dalla sorella di Nietzsche, Elisabeth, che nel suo noto tentativo di deformare il pensiero del fratello, contest ogni similarit tra i due. Oggi per sappiamo, e il fatto stato ampiamente documentato, che alla biblioteca di Basilea Nietzsche non solo prese in prestito una copia dellUnico ma addirittura ne raccomand vivamente la lettura allallora suo discepolo Adolf Baumgartner il quale, intervistato da Franz Overbeck8, ricord chiaramente persino un risoluto commento nietzschano a Stirner: quanto di pi audace e consequenziale sia stato pensato dopo Hobbes. A
8 Cfr. C. A. Bernoulli, Overbeck und Nietzsche, Jena, 1908.

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questa si aggiunge unaltra testimonianza, quella di Ida Overbeck, che ricorda due conversazioni con Nietzsche nelle quali sarebbe emerso come non solo Nietzsche riprendesse con entusiasmo alcune tematiche dellUnico ma addirittura come temesse di essere accusato di plagio nei suoi confronti. Inoltre la morte radicale di dio attraverso una riduzione nichilista della dimensione ontologica della verit come base dei valori, dunque una concezione della verit come alienazione, indubbiamente un tratto comune ai due filosofi. Sembra poi scontato rilevare come entrambi gli autori considerano legoismo una virt a torto disprezzata. In questi anni in Italia, Stirner viene interpretato, sulla base della sua avversione a qualunque buonismo, come nemico dogni socialismo. Addirittura il fosco socialista Mussolini in un articolo del 19 apparso sul Popolo dItalia stigmatizzando i salvatori del genere umano scrive:
Lasciate sgombro il cammino alle forze elementari degli individui, perch altra realt umana, allinfuori dellindividuo, non esiste! Perch Stirner non tornerebbe dattualit?9.

Indicativo delleclettismo dinterpretazioni date allUnico il fatto che invece Schmitt vide nellUnico una reale minaccia per lo stato. Lunico troppo evasivo, ingovernabile, per essere tollerato. Analogamente a questa sussunzione da parte del fascismo della potenza come criterio della possibilit, Stirner stato visto come un autore inseribile nellantistatalismo di destra. In quanto traduttore di J.B. Say e dellanarchico Adam Smith, alcuni lo vorrebbero assimilare alla tradizione liberale borghese se non al liberismo di Nozick. Ma il quieto fatalismo con cui Smith guarda alla societ divisa in classi inconciliabile con la rivolta prospettata da Stirner. Uninterpretazione dellUnico come uomo competitivo che vede nellidea di potenza del singolo una vocazione quasi darwinista, giunge a leggere in Stirner un interprete di un egoismo inconsapevolmente virtuoso. Ma legoista non

B. Mussolini, Opera omnia, La Fenice, Firenze, 1954, vol. XIV, p. 194.

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limprenditore di Schumpeter, piuttosto un ladro o un sovversivo. Vedere nella societ di unici un hobbesiano stato di natura fa di Stirner un autore riconducibile alla scuola del laissez-faire liberista. La questione per non cosa lasciar fare allindividualista perch lui non riceve nulla da nessuno, semmai se lo prende. Questa interpretazione non tiene dunque conto del fatto che una propriet privata tutelata dallo stato e una competizione in termini di legge costituirebbe, nel pensiero stirneriano, proprio quella falsa propriet e quella falsa libert che lo stato concederebbe in feudo ai propri cittadini.
La libera concorrenza non libera, perch mi manca la materia, la c o s a stessa per poter far concorrenza. Contro la mia persona non vengono fatte obiezioni, ma siccome io non possiedo la cosa necessaria, anche la mia persona deve ritirarsi. E chi ha la cosa necessaria? Forse quellindustriale? Allora potrei prendergliela? No, essa propriet dello stato, lindustriale lha solamente in feudo, in possesso10.

Si potrebbe obiettare che in realt attraverso il meccanismo del debito pubblico sia lo stato stesso ad essere propriet di quellindustriale, ed infatti lo stesso Marx a portare questargomento divenuto oramai un classico. Ma il fatto stesso che lo stato venda le proprie azioni una dimostrazione del suo comportarsi come un privato, anche se, in quanto promulgatore di leggi, come il privato pi forte. La simbiosi dello Stato con gli interessi della borghesia inoltre conferma la necessaria ostilit dellUnico nei confronti di entrambi. proprio la critica delluguaglianza formale dei cittadini di fronte alla legge che contraddistingue lavversione di Stirner nei confronti dellordinamento borghese: Secondo la borghesia ognuno possessore o proprietario. Come mai allora, i pi non hanno praticamente niente?11. Per Stirner sembra essere dunque lo stato il vero proprietario. La vera limitazione alla libera propriet la legge che la tutela. Ci sembra dunque alquanto fuorviante fare di
10 11 M. Stirner, Lunico e la sua propriet, cit., p. 274. M. Stirner, ivi, p. 275.

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Stirner un rappresentante del pensiero liberista, infatti lui stesso a definire legoismo del borghese come mera cupidigia eccitata da un oggetto. Una terza rinascita dellinteresse per lUnico legata alla pubblicazione nel 1932, da parte dellIstituto per il marxismo-leninismo, oggi Archivio russo di Stato di Storia contemporanea, dellIdeologia Tedesca di Marx ed Engels. Lanalisi minuziosa quanto feroce dellUnico determin gran parte del dibattito successivo. Stirnerismo diventa sinonimo di individualismo sfrenato, anarchismo estremista, di rivolta senza prospettive. Lautore non viene mai citato direttamente, preferibilmente viene usato come modello negativo. Marcuse, ad esempio, accus il soggetto sartriano di assomigliare allego anarchico dellUnico arrivando ad accostarlo alla tradizione illuminista di dominio sulla natura. Eppure proprio in quegli anni che Marcuse approfondisce la critica al positivismo totalizzante sottolineando limpossibilit dellaffermazione delluomo in quanto soggetto e valorizzando quegli aspetti del pensiero hegeliano, che un certo marxismo (quello della Terza ma soprattutto della Seconda Internazionale) aveva abbandonato a favore di una concezione della storia talmente determinista da condurre al quietismo. Le analisi marcusiane della ragione unidimensionale o quelle del marxismo sovietico sembrano essere anticipate dallavversione stirneriana verso il pensiero totalizzante o verso lidea di partito inteso al di sopra dellindividuo12. Fu Daniel Guerin a porre laccento sul carattere profetico delle osservazioni stirneriane, riconducibili posteriormente al partito e allo stato bolscevico burocratizzato. E sempre Guerin sottoline lanticipazione da parte del filosofo di alcune tematiche freudiane come il conflitto tra io e super-io. A tal proposito lidea marcusiana di super-io repressivo esposta in Eros e civilt pu essere ricondotta, anche se magari Marcuse non sarebbe daccordo, a quella che Stirner chiama la dominazione della idee. Sempre in questo periodo Lwith pubblic il suo Da Hegel a Nietzsche, un testo chiaramente influenzato dallinterpreta12 Lattacco condotto da Stirner rivolto, infatti, al comunismo statalista e autoritario sostenuto in Francia da Babeuf e in Germania da Weitling.

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zione marxiana dove, nonostante lestrema lucidit con la quale vengono colti gli elementi centrali dellambiente giovane hegeliano, Stirner viene trattato in modo piuttosto ingeneroso. La lettura del libro di Lowith, in ogni caso, spinse Henri Arvon ad approfondire il tema, approfondimento che lo port nel 54 alla pubblicazione di Aux sources de lexistentialisme, unimportante rivalutazione in senso esistenzialista, che prendendo le distanze dalla lettura anarchica di MacKay, arriva ad accostare lateo Stirner al credente Kierkegaard. Fu per Hans G. Helms a portare lautore dellUnico in Francia ma il suo libro: Ideologia della societ anonima risente del giudizio marxiano a tal punto da dipingere Stirner nientemeno che come un precursore del nazismo. Unultima interessante lettura che vorrei brevemente citare quella condotta dai situazionisti. Qui lo sviluppo congiunto di alcune intuizioni hegeliane del giovane Marx, come la tematica dellalienazione o della realizzazione della filosofia da parte del proletariato, e tematiche stirneriane come la soggettivit radicale, il rifiuto del sacrificio o il crimine, potrebbe forse riuscire a compiere la proibita congiunzione tra Stirner e Marx. In conclusione lambiguit e i pregiudizi che circondano lUnico sono decifrabili attraverso la variet di interpretazioni che ne sono state date, le varie letture presuppongono percorsi intellettuali tanto diversi da renderne ardua una lettura comparata. Oggi possiamo vedere lattualit di Stirner in tematiche come quelle dellindividuo associato contro lo stato, legoismo contro la religione sociale, il godimento contro il lavoro (quindi il crimine contro il sacrificio), la vita quotidiana contro la politica e la dittatura delleconomia. Si tratta di leggere in Stirner, se non il capostipite, almeno un autore imprescindibile di unanalisi del potere che, come disse Guerin13, ci ricorda che lobiettivo ultimo di ogni socialismo, al di l di una radicale mutazione economica, la disalienazione dellindividuo.

13

Cfr. D. Guerin, Stirner Pre de lanarchisme? Son apport et ses lacunes, in AA. VV., M. Stirner, ou la premire confrontation entre Karl Marx et la pense anti-autoritaire, cit.

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a n n g e g e n M a n n . Individualismo e relazioni
di Lara Caldarozzi1

LEigentum stirneriano il riferirsi del mondo al prospettivismo dellio, di un io colto nella sua prassi e dinamicit e non inteso come statica entit. Roberto Escobar, Nel cerchio magico

unico e la sua propriet2 ha gi un incipit estremamente problematico : io ho fondato la mia causa su nulla, citazione che introduce lintero libro. Questo verso tratto da una poesia di Goethe scritta e pubblicata nel 1806, intitolata Vanitas! vanitatum vanitas!. La figura di Goethe in rapporto a Max Stirner, nonch la posizione iniziale del verso rispetto a tutto il libro, rendono a mio avviso interessante occuparsi di questo caso letterario quanto filosofico. Perch affidare ad un poeta come Goethe, pi avanti nel libro affiancato a Hegel, definiti rispettivamente in tono polemico, il poeta della borghesia e il filosofo della borghesia, lapertura di un testo come Lunico e la sua propriet il cui principale bersaglio polemico proprio questa classe sociale? Probabilmente ci che viene fornito al lettore una chiave di accesso allo stile provocatorio e allintenzione antiteoretica di tutto il libro. Quasi che questa scelta iniziale, apparentemente contraddittoria, possa svelare in maniera semanticamente adatta il ritmo polemico e mai scontato dellargomentare di Stirner e aprire a un orizzonte in cui la riflessione filosoficopolitica fa dellironia e del sarcasmo strumenti critici ed estetici imprescindibili.

1 2

Questo testo una versione corretta e rivista di un intervento svolto durante il ciclo seminariale Genealogie del dominio. M. Stirner, Lunico e la sua propriet, Adelphi, Milano, 1999.

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Inoltre nel verso in questione compare un tema di cardinale importanza per la filosofia tra 800 e 900: il nulla. In rapporto a un filosofo che si caratterizza come Stirner, tale problematica, non pu che essere trattata alla luce del suo radicale e dissacrante ateismo. In proposito, vorrei riportare allattenzione linteressante analisi condotta da Giampietro Berti e ripercorrerla tematicamente. Lateismo stirneriano dovrebbe condurre la logica della secolarizzazione, inaugurata dalla fine della guerra dei Trentanni, al suo approdo ultimo, al nichilismo. Ne Il pensiero anarchico3, Berti cita un periodo dellUnico che ben riassume questo tema : Il divino la causa di Dio, lumano la causa delluomo. La mia causa non n il divino, n lumano, non ci che vero, buono, giusto, libero, ecc., bens solo ci che mio, e non una causa generale, ma unica, cos come io stesso sono unico4. Attraverso la citazione di alcune battute del dibattito in proposito: Stirner si propone di eliminare ogni trascendenza intesa non solo in termini religiosi di divinit ma in termini di sacralit, di (santit) dal piano autentico dellessere, problematizzando una morte di Dio che supera per radicalit quella di Nietzsche e Heidegger, e che non trova confronto in nessun altro esponente del pensiero occidentale, Berti si accinge ad esporre la propria lettura profonda e radicale dei nessi che legano ateismo, nichilismo e affermazione dellunico. In lui, pi che in qualunque altro, la morte di Dio totale e definitiva 5. Un approccio del genere renderebbe irreversibile la morte di ogni divino. La causa di questo la coscienza del nulla, cio il nulla, che non un orizzonte teorico aperto sullindicibilit dellessere, sulla possibilit di fondare un discorso sullessere, ma la pura e definitiva consapevolezza, della morte di ogni pensare filosofico che sia rivolto alla ricerca dellessere stesso: Dio negato in quanto non c nulla da dire sullessere non perch il nulla intenda o alluda ad esso,
3 4 5 G. Berti, Il pensiero anarchico dal Settecento al Novecento, Piero Laicata Editore, Manduria-Bari-Roma, 1998. M. Stirner, Lunico e la sua propriet, p. 13, cit. in G. Berti, Il pensiero anarchico dal Settecento al Novecento, p. 91. G. Penzo, M. Stirner. La rivolta Esistenziale, Torino, 1971, pp. 170, 206, cit. in G. Berti, Il pensiero anarchico dal Settecento al Novecento, p. 91.

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ma perch la consapevolezza del nulla testimonia larbitrariet di ogni discorso sullessere, la sua gratuit, la sua nonfondazione6. Dio dice Stirner ha fondato la sua causa su nulla su nullaltro che se stesso. Allo stesso modo io fondo allora la mia causa su me stesso, io che, al pari di Dio sono il nulla di ogni altro, io che sono lunico7. Tornando al verso goethiano, citato in precedenza, credo che il nulla in esso nominato, possa essere inteso, alla luce delle precedenti riflessioni, in una peculiare accezione ontologica: io ho fondato la mia causa su nulla cio su nullaltro che me stesso. Enrico Ferri, ne La citt degli unici dir:
Un individuo che si ritiene in s compiuto, quindi autosufficiente e autonomo, non riconosce principi trascendenti a cui uniformare la sua vita; un individuo che vive in un mondo dove Dio morto, deve imparare a fondare solo su se stesso la propria esistenza8.

Dunque la determinazione stirneriana del nulla, nega lideologia ed opera una critica radicale rispetto alluso dell astrazione come unico strumento concettuale per dare conto di s e della realt; in direzione fortemente antiteoretica, il nulla diviene gravido e creatore, secondo Stirner, di possibilit esistenziali. bene comunque precisare ulteriormente tale punto di vista; Berti in proposito ha osservato: Il nulla stirneriano non il nulla ontologico in s, vale a dire lo speculare rovesciamento di un nuovo filosofare teologico. piuttosto, la nientificazione del pensare in quella direzione, lazzeramento di ogni nostalgia dellessere. Pertanto la sua valenza ontologica, in realt, la non valenza ontologica del niente9.

6 7 8 9

G. Berti, Il pensiero anarchico dal Settecento al Novecento, cit. pp. 91-92. M. Stirner, Lunico e la sua propriet, cit. p. 13, cit. in G. Berti, Il pensiero anarchico dal Settecento al Novecento, p. 92. E. Ferri, La citt degli unici. Individualismo, nichilismo, anomia, G. Giappichelli, Torino, 2001, cit. p. 444. H. Arvon, M. Stirner ou l exprience du nant, Paris, 1973, cit. in G. Berti, Il pensiero anarchico dal Settecento al Novecento, p. 92.

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Il nulla ricompreso o compreso per la prima volta grazie allopera di Stirner, come niente dunque la coscienza della mancanza di ogni fondazione precisamente dellimpossibilit ontologica della fondazione di un centro. In sostanza viene denunciata, in seguito alla morte di Dio, limpossibilit ontologica di ununica e sola legittimazione, e per conseguenza la possibilit esistenziale dellunico10, che si d a partire dalla sua consapevolezza di essere non fondato.
Con Stirner gli obiettivi dissacranti dellilluminismo arrivano alla loro logica conclusione: il filosofare dellUnico, a differenza di ogni altro filosofare, non soltanto esplicita il nulla, ma lo rende indispensabile per operare la conversione da una significazione del mondo imposta allindividuo ad una significazione del mondo prodotta dallindividuo11.

La radicalit la praticit del nulla, cio la sua funzione esistenziale, pi che la sua funzione teoretica. Lunico quindi si percepisce come tale perch ha la consapevolezza di essere non fondato, o, fondato su nulla, e quindi di essere un non centro o meglio ancora un centro tra centri. Il nulla si determina quindi come quello spazio che permette lunicit di ogni singolo, come la condizione perch possano esistere pi centri. In che senso? Nel senso che lunico per se stesso il centro, lassoluto di se stesso, ma ha come fondazione il nulla, e questo lo distanzia e rende possibile la presenza di tanti altri assoluti che cooperano insieme nella forma dellunione, dellassociazione. Certo, in questo centro egli assoluto, ma assoluto nella sua esistenza, cio nella sua unicit-fattualit, per cui egli lunico di se stesso mentre nulla di ogni altro12. Assoluto nella sua esistenza, non nella sua essenza; lo scarto rispetto alla teologia fondativa precedente si d nellambito di queste riflessioni. In questo senso Mann gegen Mann suona come un nuovo modo di rapportarsi e confrontarsi di ciascuno di fronte a ciascu10 11 12 G. Berti, Il pensiero anarchico dal Settecento al Novecento, op. cit., p. 93. G. Berti, ivi, p. 93. M. Stirner, Lunico e la sua propriet, op. cit., cit. p. 13, cit. in G. Berti, Il pensiero anarchico dal Settecento al Novecento, p. 93.

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no, come un nuovo e sorgivo modo di vivere lalterit, rispettandola a partire dalla sua diversit. Ma lio non tutto, bens distrugge tutto e solo lio che si dissolve, lio che non arriva mai ad essere, lio finito realmente io. Fichte parla dellio assoluto, io, invece, parlo di me, dellio caduco13. Il processo di immanentizzazione atea che trova compimento in un testo come Lunico, toglie centralit a Dio rispetto allindividuo ponendo lio e non luomo al centro del mondo. (E vedremo perch non luomo ma lio).
La morte di Dio, afferma Enrico Ferri, la formula con la quale stato sintetizzato lesaurirsi del primato della teologia, con la conseguente crisi della morale e del diritto ad essa ispirati. Ammonisce Zarathustra: Dio morto, noi labbiamo ucciso; luomo non riconosce pi Dio come principio della propria vita ed in tal modo costretto a cercare in se stesso, sul piano dellimmanenza le coordinate della sua esistenza14.

La centralit conquistata dallindividuo azzera ogni significazione del mondo che non sia la sua creazione: Io, questo nulla, estrarr da me e le mie creazioni15, oppure, lUnico pone termine al pensiero, alla sua dominazione, perch un espressione muta1617. Muta, in che termini? Muta sta per ontologicamente muta, non fondata, parlante soltanto attraverso la propria esistenza, cio attraverso la pratica. Queste riflessioni si iscrivono in quello che il cuore della tematica stirneriana: la problematica della dominazione del pensiero, dello spirito, del sacro. un rapporto di schiavit che si innesca rispetto a tutte le nostre produzioni mentali, ovvero tutte le nostre idee, quando non le possediamo pi come creatori, ma, esse ci possiedono e rendono dipendenti. Secondo Stirner, tale dinamica ricostruibile alla luce di una
13 14 15 16 17 M. Stirner, Lunico e la sua propriet, cit. p. 192, cit. in G. Berti, Il pensiero anarchico dal Settecento al Novecento, p. 94. E. Ferri La citt degli unici. Individualismo, nichilismo, anomia, cit. p. 444. M. Stirner Lunico e la sua propriet, cit. p. 246, cit. in G. Berti Il pensiero anarchico dal Settecento al Novecento, p. 95. M. Stirner, I recensori di Stirner, cit. p. 108, cit. in G. Berti, Il pensiero anarchico dal Settecento al Novecento, p. 95. G. Berti, Il pensiero anarchico dal Settecento al Novecento, cit. p. 95.

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storia del pensiero che ripercorra brevemente ma in modo efficace i momenti salienti del definirsi di tale autoespropriazione intellettuale dellindividuo. Lestremo pi vicino a noi di questo excursus filosofico lidealismo, massima espressione filosofica della spiritualizzazione della realt. Le origini invece, sono molto lontane, risalgono alla sofistica greca, con il suo dominio dellintelletto, guida dellagire umano. Lintelletto per, non problematizza le proprie cause, non si interroga sullintenzionalit dellagire; per un passo del genere bisogner attendere Socrate, per questo definito, fondatore delletica. Secondo Stirner listanza etica che inaugura lo scollamento tra individuo e mondo avr fra i suoi primi interpreti filosofici lo scetticismo, lo stoicismo e lepicureismo; queste tre correnti, seppur differenti, esprimerebbero, tre modi di contrapporsi al mondo o quantomeno di cercare di aggirare quel nemico che la mondanit viene a costituire. Il salto irreversibile sar poi il cristianesimo. Con il suo avvento la spiritualizzazione giunge al suo acme. Luomo in attesa dellaldil, della salvezza, teso a svalutare la realt materiale che vive, in funzione di unalternativa lontana e ciecamente totalizzante, alla quale affidare la realizzazione dei propri desideri e la cessazione dei propri dolori e disagi terreni. Nel cristianesimo cattolico, secondo Stirner, la spiritualit declinata per in maniera meno totalizzante rispetto al protestantesimo; infatti, nella necessit di avere un referente istituzionale terreno come la Chiesa, si concepisce ancora un contatto con la realt. Con le indulgenze, ad esempio, viene ammessa, di fatto, la possibilit di una terrena cancellazione dei peccati, e soprattutto si consente alla mondanit dellistituzione ecclesiastica di costituire unautorit potente in materia. Nel caso del protestantesimo, invece, luomo ha interiorizzato il sacro al punto da diventare egli stesso sacerdote, ha interiorizzato lautorit che nel cattolicesimo ancora sentiva il bisogno di materializzare allesterno; cos lessenza, di feurbachiana memoria, che lindividuo aveva prima alienato allesterno nel divino, nel sovrumano, con il protestantesimo viene reintroiettata producendo un individuo posseduto dallo spirito. Tale condizione fantasmatica rende privativi e condizionati i rapporti con qualsiasi forma di alterit,
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pregiudicando relazioni spontanee ed immediate. Il massimo interprete filosofico di questo spirito santo sarebbe Hegel, soprattutto se si considerano le sue affermazioni sul tema dellidentit tra spirito e realt. Il famoso motto ci che razionale reale e ci che reale razionale18; paradigmatico, di una realt concepita solo come il luogo in cui si da lo spirito, senza nessunaltra accezione. Ma apprestiamoci ad analizzare le dinamiche psicologiche prodotte nellindividuo dalla dominazione delle idee, e, cerchiamo di definire per quanto possibile lesistenza individuale in questo quadro. Fissato, ossesso: Stirner usa proprio questi termini per definire lindividuo borghese che vive la presenza di uno spirito dentro di s, da cui non riesce a liberarsi. Lio dominato da idee fisse, il Pensiero, lUomo, la Societ, lUmanit, lo Stato, il Bene etc., astrazioni, generalizzazioni spersonalizzanti imposte allindividuo. Lunica modalit per distruggerle dissacrarle e ricondurle alla loro determinazione particolare; tale riappropriazione individuale di ogni contenuto mentale, di ogni creazione, si d in prima istanza, mediante il riconoscimento del nulla. Il nichilismo, in Stirner, si connota come un momento ineludibile, in quanto consente di uscire dalla dominazione del concetto, operando una negazione di esso. Lespressione storica della condizione alienata che Stirner descrive, la borghesia e il suo liberalismo borghese, mentre la rivoluzione francese e lilluminismo ne avrebbero determinato le condizioni di possibilit politiche, culturali e storiche. La considerazione che attraversa tutta questa analisi riguarda le modalit attraverso cui la borghesia ed il liberalismo borghese, nati dalla rivoluzione, hanno prodotto a loro volta una nuova forma di dominio, riflessione filosofico-politica che diverr drammaticamente cara al Novecento. In effetti, secondo Stirner, sotto il profilo politico l89 ha condotto alla distruzione del privilegio, la dinamica servo padrone stata superata attraverso lidea delluomo che per
18 G. W. F. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, Laterza, Roma-Bari, 2001, p. 14.

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nascita gi giuridico, quindi garantito formalmente delluguaglianza rispetto al proprio simile; la legge, si fatta carico di dissolvere astrattamente il privilegio. Ma il prezzo per lindividuo, la sottomissione alla legge, di cui lo Stato lincarnazione. Per liberarsi da un padrone ci si trova a doverne servire un altro, molto pi grande e impersonale. Anche dal punto di vista sociale il liberalismo ha innescato dinamiche affini: ha espropriato gli individui di tutto ci che detenevano attraverso lennesima e totale generalizzazione rispetto al singolo che la Societ, unica e impersonale proprietaria, a cui lindividuo, sottomette il proprio lavoro, rendendosi ancora una volta schiavo. questo il contesto in cui compare una veemente critica al socialismo, fautore, secondo Stirner, nel lavoro, delletica del dono. NellUnico cos si esprimono i socialisti rivolgendosi figuratamene agli egoisti, agli unici:
Vogliamo farli diventare straccioni, non vogliamo avere niente nessuno, affinch tutti abbiano. Cos parlano i socialisti.

Stirner di seguito commenta:


Chi questa persona che voi chiamate tutti? la societ! Essa ha un corpo? Noi siamo il suo corpo!19.

Rispetto alla posizione di Stirner in merito, Ferri commenta: Il suo individualismo critico verso quelle concezioni che individuano luomo in un suo presunto carattere, ritenuto costitutivo della sua umanit: lo spirito o la ragione, ad esempio, o il lavoro secondo la vulgata socialista20. Lultimo aspetto del liberalismo che Stirner prende in considerazione la sua dimensione umanitaria, grazie alla quale luomo viene messo al centro del mondo. Nelle battute immediatamente finali dellUnico si legge un lungo e articolato periodo in cui Stirner analizza le concatenazioni tramite cui si attua tale processo: Ora, vero che labolizione dei padroni comporta quella dei servi, che quella del possesso comporta quella delle preoccupazioni e che quella di Dio comporta quella del pregiudizio, perch con il padrone
19 20 M. Stirner, Lunico e la sua propriet, cit., pp. 124-125. E. Ferri, La citt degli unici. Individualismo, nichilismo, anomia, cit., p. 448.

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INDIVIDUALISMO E RELAZIONI

scompare il servo, col possesso le preoccupazioni che esso provoca e con Dio, che tanto ben radicato, cade il pregiudizio, ma siccome il padrone rinasce come Stato, il servo ricompare come suddito, siccome il possesso diviene propriet della societ la preoccupazione risorge nel lavoro, e siccome il pregiudizio Dio diventa il pregiudizio uomo rinasce una nuova fede, la fede nellumanit o nella libert21. La centralit assunta dalluomo in luogo di Dio, ripercorrendo la critica di Stirner a Feuerbach, non costituisce, ipso facto, il superamento della dinamica di alienazione su cui si fonda la religione. Se infatti, avendo riconosciuto Dio come una proiezione delluomo, tale dinamica viene poi introiettata dallindividuo, il quale costretto a vivere con un fantasma dentro di s, la problematica si solo ribaltata: in fondo, dalla teologia si passati allantropologia ma il nodo non risolto. Per Stirner, infatti di secondaria importanza se il padrone, sia umano o sovrumano, in quanto la schiavit rimane comunque. In questi termini, il problema rimane aperto. Che cosa ha dunque prodotto lateismo illuminista? Luniversalizzazione di una presunta morte di Dio e la centralit delluomo borghese il quale costituisce un paradigma sia sociale che politico. Egli possiede, o stirnerianamente posseduto, da un corredo di valori, di credenze e certezze, che lo identificano. Fuori dal paradigma borghese si staglia il disumano, il non identificabile n categorizzabile; inconcepibile porsi fuori dal criterio unico, socialmente accettato e benedetto, di umanit. Stirner descrive in modo chiaro tale aspetto, pone ben in evidenza la condizione asfittica in cui lindividuo borghese, prigioniero di un paradigma occulto, costretto a vivere. Rispetto allAncien Regime si consumata una rivoluzione, ma i suoi sviluppi risultano complessi e controversi tanto quanto le cause che lhanno provocata. Stirner, con una frase mi sembra sintetizzi lintrico di aspetti evidenziati: Il liberalismo non altro che la conoscenza razionale applicata ai nostri rapporti esistenti. Ma se domina la ragione soccombe la persona.
21 M. Stirner, Lunico e la sua propriet, cit. pp. 152-153.

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onomia e r agione A ut in Max S tir ner


di Alessandro Lucera1
La filosofia non tale quando non esprime un pensiero autonomo. Cosa significa autonomo? Il termine autos- nomos, che si d la sua propria legge, ha in filosofia un significato chiaro: darsi la propria legge vuol dire porre domande, e non accettare nessuna autorit; neppure quella del proprio pensiero anteriore. Cornelius Castoriadis, Dellautonomia in politica Con saperi assoggettati intendo una serie di saperi che si erano trovati squalificati come non concettuali o non sufficientemente elaborati: saperi ingenui, saperi gerarchicamente inferiori, saperi collocati al di sotto del livello di conoscenza e di scientificit richiesto. Michel Foucault, Corso del 7 gennaio 1976 Ma essi vogliono servire per possedere beni: come se potessero guadagnare qualcosa per s, dato che non possono dire neanche di appartenere a s stessi. E. Boetie, Discours de la servitude volontaire

cio decisamente non convenzionale al problema del dominio, cerca proprio di rispondere a questa domanda. La famiglia, la religione, lo stato, la critica, lio, lo spirito, lideologia, il linguaggio, leducazione, la ragione, il diritto, la filosofia stessa, nessuno di questi argomenti viene risparmiato da una
1 Questo testo una versione corretta e rivista di un intervento svolto durante il ciclo seminariale Genealogie del dominio.

he cosa lautonomia in C politica? Il famigerato Lunico e la sua propriet di Max Stirner, attraverso un approc-

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sistematica e rigenerante opera di distruzione. Molto spesso i filosofi costruiscono sistemi chiusi in s stessi, restano avvinghiati a determinate forme che hanno creato e raramente riescono a rimettere in questione il proprio pensiero anteriore. La filosofia di Max Stirner invece unesaltazione dellautonomia del pensiero, intesa proprio come interrogazione illimitata, che non si arresta dinanzi a nulla e che rimette continuamente in discussione s stessa. Lunico e la sua propriet, si potrebbe dire, un testo che deve la sua forza solo alla durezza che oppone a tutti quelli che lo circondano, ma questa durezza non mai interrogazione vuota o mancanza di forza propositiva. Isolato come il proprio autore, il testo di Stirner un tentativo di spiegare che una societ autonoma, cio proprietaria di s stessa, pu essere formata solo da individui autonomi. Lindividuo stirneriano, legoista, lunico un individuo che agisce solo in seguito a riflessione e deliberazione. La sola possibilit di essere libero passa attraverso una completa autonomia della ragione che non mai esclusione o egoismo tout court ma autonomia dai meccanismi di controllo del dominio, autonomia di una mente che in grado di pensare con la propria testa. LUnico rifiuta ogni pensiero che non pu essere messo in discussione: la fede esclusa, non esistono dogmi, passioni o pregiudizi. Legoista, lio pensante, domina la scena.
Un pensiero veramente mio proprio solo se io non esito in nessun momento a metterlo in pericolo di morte, se io non ho da temere, nella sua perdita, una perdita per me, una perdita di me. Un pensiero veramente mio proprio se io lo posso sottomettere, ma esso non pu mai sottomettere me o rendermi strumento fanatico della sua realizzazione2.

In effetti per Max Stirner lindividuo si trova immerso in una societ completamente ideologgizzata dove ogni aspetto della vita politica e sociale dominato dal concetto di sacro. Il passaggio dai moderni ai contemporanei per Stirner non coincide con una desacralizzazione ma solamente con un mutamento delloggetto sacralizzato. La critica mossa a
2 M. Stirner, Lunico e la sua propriet, Adelphi, Milano, 1979, cit. p. 357.

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Feuerbach quella di aver operato una semplice sostituzione. Dio stato trasferito allinterno delluomo e luomo stesso divenuto oggetto di culto. Si passati quindi dalla schiavit della legge di Dio alla schiavit della legge della morale. Come posso dire di essere libero, se vivo in una societ governata da una legge imposta a tutti? Grazie anche allopera compiuta da Hegel lo spirito ha raggiunto la sua massima espansione estendendosi ad ogni aspetto del reale. La moralit, e qui il riferimento esplicito Kant, il pilastro della vita sociale e dello stato ma il dominio della moralit, ci avverte Stirner, un completo dominio del sacro, una gerarchia. Oppressi da coloro che si appoggiano sui pensieri, ovvero da coloro che non sono in grado di mettere in discussione il proprio pensiero anteriore, viviamo in una societ totalmente gerarchizzata. Attraverso due fondamentali strumenti, il linguaggio e leducazione, questa opera di gerarchizzazione della societ viene attuata dalle classi cosiddette dominanti in maniera quasi inconsapevole. Grazie ad un linguaggio costruito in funzione dellautorit e grazie ad un sistema educativo che paralizza la critica, il potere esplicita il suo dominio. Il potere, attraverso una macchina ideologica inconsapevole, la cui estrinsecazione, per Stirner, sicuramente la statolatria hegeliana, crea consenso cercando di far coincidere in tutti i modi interesse pubblico ed interesse privato. Per Max Stirner linteresse pubblico non esiste ma esistono solo delle finzioni, per molto reali, linguistico-ideologiche che depotenziano la volont propria e altrui, creando, e qui Stirner riprende il tema centrale del Discours de la servitude volontaire di Etienne de la Boetie, servitori ubbidienti e oppressori convinti. Il nostro linguaggio, sostiene Stirner, si sviluppato per lo pi, in riferimento alla morale cristiana e risente ancora di questo opprimente legame. Schimpf ovvero insulto anticamente significava solo scherzo ma la seriet cristiana che non accettava il riso ne ha stravolto il significato e il termine Frevel ovvero crimine o sacrilegio in realt significava solo azione audace3.

M. Stirner, ivi, p. 179.

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Ma il nome davvero indifferente o invece non vero che una parola, uno shibboleth ha sempre esaltato e sedotto gli uomini?4.

E ancora:
Per me il misero linguaggio non ha parole e la parola, il logos per me soltanto una parola5.

La denigrazione continua di ogni aspetto egoistico della vita degli individui da parte della classe dominante serve solo in realt a mascherare forme pi grossolane di egoismo. In effetti per Stirner lo stato solo il singolo pi forte. Le classi subalterne vengono educate al bene comune: il bene dello stato, il bene della patria, la crescita economica e sociale e cos vengono intrappolate nel meccanismo linguistico della denuncia morale. Inoltre le classi subalterne sono spinte anche da un meccanismo contrario verso concetti astratti che non coincidono assolutamente con la realt dellindividuo. Abbagliato da ci che irraggiungibile ed addestrato al desiderio assoluto, lindividuo, perde completamente di vista i propri interessi egoistici, vegetando in un mondo che non gli appartiene. Riguardo al rapporto educazione-stato Stirner dice: Lo stato mi aggiusta con le forbici della civilt per poter sviluppare s stesso liberamente6 ed aggiunge: Laddestramento diviene sempre pi generale e comprensivo7. Si delinea quindi un dominio del concetto che si esplicita nella ricerca della verit e nella ricerca della libert assoluta. Lanelito verso la libert, intesa come qualcosa di assoluto, meritevole di ogni prezzo, sostiene Stirner, ci ha sottratto la nostra propria individualit creando quel rinnegamento di s che non permette allindividuo di entrare in contatto con i suoi veri bisogni e desideri.
ben diverso che la societ limiti la mia libert oppure la mia propria individualit. Nel primo caso, essa ununificazio4 5 6 7 M. Stirner, ivi, p. 169. M. Stirner, ivi, p. 193. M. Stirner, ivi, p. 234. M. Stirner, ivi, p. 340.

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ne, un accordo, ununione; ma se si attenta allindividualit, la societ una potenza per s, una potenza al di sopra di me, qualcosa che mi resta inaccessibile e che io posso certo ammirare, adorare, venerare e rispettare, ma non dominare e distruggere: non lo posso fare perch io mi rassegno. La societ sussiste grazie alla mia rassegnazione, al mio rinnegamento di me, alla mia vilt chiamata umilt. La mia umilt, il mio scoraggiamento costituiscono il suo coraggio, sulla mia sudditanza si fonda il suo dominio8.

Queste due parti dello stesso processo di sottomissione cercano continuamente di far passare lidea che la volont dominatrice coincida con la volont propria. La volont dominatrice, che secondo Stirner, dopo la rivoluzione borghese divenuta completamente impersonale in quanto scomparso il dominatore che veramente vuole, ha creato una illusione di indipendenza dallarbitrio. Il principe costituzionale non domina pi con la legge di Dio ma ora governa con la legge dello stato e della morale. Ma questa , secondo Stirner, solo unillusione perch la volont del dominatore si esplicita come legge e la volont propria dellindividuo viene continuamente esclusa da parte dello stato. Stirner si esprime chiaramente anche a proposito del ruolo degli intellettuali. Egli sostiene che chi s stesso, chiunque non propriet dello stato, viene considerato dallo stato stesso una nullit. Il fatto che lo stato non lo utilizzi, palesa per Stirner quel passaggio fondamentale del processo disciplinare che la creazione del consenso9. Lesclusione sistematica di chiunque sia proprietario di s stesso elimina allorigine ogni possibilit di critica al sistema poich solo rinunciando a questa facolt, a ci che viene definito pensiero autonomo lindividuo pu farne parte.
Che cosa sono la maggior parte dei nostri intellettuali e colti sudditi? Sogghignanti padroni di schiavi e schiavi essi stessi10.

8 9 10

M. Stirner, ivi, p. 321. Mi sembra interessante segnalare come questa tesi sia oggi centrale nel lavoro svolto sul potere da Noam Chomsky. Cfr. M. Stirner, Il falso principio della nostra educazione, ennEsse edizioni, Roma, 1969, Vol. 2, p. 243.

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Stirner sostiene anche che lo stato impensabile senza il dominio e la schiavit e invita piuttosto legoista alla disubbidienza prima e alla rivolta poi. Ledificio del diritto completamente costruito sulla forza e sul potere. Il diritto esplicita solo la volont del dominatore. Chi ha potere ha il diritto e se non avete il primo non avete nemmeno il secondo11. Quindi, per Stirner, questo semplicemente il solito fenomeno per cui il potere mi appare come separato da me12, come se lindividuo abbia sempre la necessit di collegare il proprio potere con quello altrui o di collegarlo ad unidea mentre in realt legoista, lunico, lindividuo proprietario, essendo egli creatore e creatura il solo che pu fondare il suo diritto. Il superamento o meglio la nuova prospettiva politica delineata da Max Stirner lunione: Verein degli egoisti. Attraverso quindi una liberazione dal sacro e dallideologia si arriva, grazie al processo di appropriazione dellindividuo proprietario, ad una effettiva liberazione materiale. LUnico per Stirner creatore e creatura, vive in un fluire incessante ed in continuo dissolvimento di s stesso. Non ha nessuna missione ed anzi il suo unico imperativo lazione. Maledice la stabilit e rifiuta come punto di vista critico ogni posizione esterna al proprio io, in quanto si considera sempre punto di partenza e mai punto di arrivo.
Solo se siete unici potrete avere rapporti reciproci tali che ognuno di voi possa essere veramente, in questi rapporti, quello che 13.

Anticipando gran parte del linguaggio freudiano Stirner pone laccento sullimportanza di una effettiva conoscenza dei propri desideri e bisogni. La societ ci ha corrotti reprimendo i nostri pi intimi desideri, indebolendoli per mezzo di una macchina ideologica che ci opprime fino a cambiarci radicalmente. Siamo dominati da fantasmi, ossessi e spiriti, lideologia e la religione, sono i principali artefici dello stato di mino11 12 13 M. Stirner, Lunico e la sua propriet, cit. p. 203. M. Stirner, ivi, p. 289. M. Stirner, ivi, p. 143.

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rit in cui mantenuta lumanit, ma anche lindividuo responsabile di questa oppressione e proprio attraverso lui stesso e le sue capacit intellettuali passa lunica possibilit di liberazione. Questa tesi pone le basi della critica che Max Stirner, riprendendo e sviluppando largomentazione kantiana14, muove alle rivoluzioni, giudicandole come riformiste in quanto cambiano le strutture di governo ma non gli uomini.
Rivoluzione e ribellione non devono essere considerati sinonimi. La prima consiste in un rovesciamento della condizione sussistente o status, dello Stato o della societ, ed perci unazione politica o sociale; la seconda porta certo, come conseguenza inevitabile, al rovesciamento delle condizioni date, ma non parte di qui, bens dallinsoddisfazione degli uomini verso s stessi, non una levata di scudi, ma un sollevamento dei singoli, cio un emergere ribellandosi, senza preoccuparsi delle istituzioni che ne dovrebbero conseguire. La rivoluzione mirava a creare nuove istituzioni, la ribellione ci porta a non farci pi governare da istituzioni, ma a governarci noi stessi, e perci non ripone alcuna radiosa speranza nelle istituzioni15.

Mentre il rivoluzionario cerca la costituzione pi giusta il ribelle vuole liberarsi da ogni costituzione e quindi mentre la rivoluzione tenta di creare istituzioni pi giuste, la ribellione spinge lindividuo verso una nuova consapevolezza prima e verso forme di governo antiautoritarie poi. Con una rivoluzione forse si pu mettere fine ad una determinata oppressione ma solo attraverso una ribellione si pu giungere ad una radicale ed autentica modifica dellatteggiamento di pensiero. Questa ribellione, intesa appunto come riappropriazione, porta allunione degli egoisti.
Lunione non sta insieme n per un legame naturale n per uno spirituale e non n una lega naturale n una spirituale. Non un sangue o una fede (cio uno spirito) a fondarla. In un legame naturale quale quello di una famiglia, di una stirpe, di una nazione e perfino dellumanit i singoli hanno valore

14 15

Cfr. I. Kant Risposta alla domanda: Cos lilluminismo, in Scritti Politici e di filosofia della storia e del diritto, edizione postuma a cura di N. Bobbio, L. Firpo, V. Mathieu, UTET, Torino, 1965. M. Stirner, Lunico e la sua propriet, cit. p. 330.

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solo come esemplari della stessa specie o dello stesso genere; in un legame spirituale, quale quello di una comunit, di una Chiesa il singolo non ha altro significato che quello di essere un membro dello stesso spirito; nellun caso come nellaltro ci che tu sei come unico deve essere represso. Come unico puoi affermarti solo nellunione, perch lunione non ti possiede: sei tu che la possiedi o che ne fai uso16.

Lunico in quanto individuo proprietario realmente libero solo allinterno dellunione in quanto non listituzione che lo possiede ma questultima che posseduta da lui. Lunico, libero dal meccanismo del dominio del sacro inteso appunto anche, come santificazione del concetto di stato creatore e padrone dellunione in quanto egli pu sottrarsi ad essa in qualsiasi momento. Stirner ci offre una visione ancor pi profetica sostenendo riguardo lo stato che il fine santifica i mezzi. Ovvero, che lo stato, e mi viene in mente innanzitutto il Reich hitleriano, per raggiungere i suoi scopi pronto a caricare di sacralit ogni tipo di idea. Per concludere vorrei tornare al problema delleducazione che secondo Max Stirner un elemento fondamentale nella creazione di consenso e quindi nella creazione di dominio. In uno scritto precedente LUnico e la sua propriet, ovvero Il falso principio della nostra educazione del 1841, Max Stirner giudica il problema delleducazione come la questione sociale pi importante, egli delinea alcuni aspetti di questa fabbrica del consenso molto interessanti su cui vorrei concludere.
Abbiamo dunque ragione di chiedere che cosa si sia fatto di noi e che cosa si pensi di fare. Si educa con coscienza la nostra disposizione a diventare creatori, oppure veniamo trattati solo come creature la cui natura permette solo laddestramento?17.

E riguardo al singolo:

16 17

M. Stirner, ivi, p. 326. M. Stirner, Il falso principio della nostra educazione, ennEsse edizioni, Roma, 1969, Vol. 2, p. 264.

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Ci si appaga nel comprendere le cose e i dati ma il comprender s stessi sembra che non interessi a nessuno18.

Parlando delle istituzioni Stirner evidenzia il ruolo enorme delleducazione e la necessit di una sua radicale riforma. Il rapporto di vassallaggio e soggezione in cui intrappolato lallievo non permette, secondo Stirner lo sviluppo di una vera facolt critica. Leducazione deve essere uneducazione per lautonomia e verso lautonomia, per condurre chi la riceve a creare invece di imparare come un semplice contenitore, dove lo scopo finale delleducazione sia quello di sviluppare un creatore, un uomo libero e non soltanto un uomo colto. Per Stirner il sapere deve morire e rinascere come volont, deve ricrearsi nuovamente ogni giorno come libert personale, perch: Se lidea di libert si sveglia nelluomo, esso andr libero, liberando s stesso di nuovo senza soste, se invece si formano degli uomini colti questi si adatteranno sempre alle circostanze nel modo pi educato ed elegante e non saranno che sottomesse anime di servi19. Si sempre avuta grande cura nel bandire la forza tentatrice dei pensieri stirneriani, per dirla con Edmund Husserl, ma Lunico e la sua propriet, resta sospeso in una estrema difesa di un grande significante dei tempi moderni: lautonomia. Manifesto contro lo stato e contro la sua razionalit totalizzante che atrofizza e rende evanescente lindividuo, il testo di Stirner resiste e si ribella, dando inizio a quella opera di riappropriazione di s in cui siamo tuttora impegnati.

18 19

M. Stirner, ibidem. M. Stirner, ibidem.

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P
Potere

o t er e po t enziale vs dominio t o t ale

di Giulio Nicola Soldani1

arlare di potere, rispetto P alle formulazioni teoriche prodotte da Hannah Arendt, non vuol dire parlare di dominio, n tanto meno del genere di potere analizzato da Michel Foucault. Per arrivare al concetto di potere, cos come concepito nel pensiero arendtiano, bisogner affrontare gradualmente una serie di tematiche che, una volta sviluppate, serviranno da fondamenta per ricostruire tale concetto. Quindi, se da un lato si proceder nella formulazione di ci che Hannah Arendt intendeva per potere, attribuendo a tale concetto valenza positiva, dallaltro si evidenzieranno i tratti fondamentali che costituiscono il dominio, come lei lo ha inteso. Per iniziare sar opportuno ripercorre alcuni passaggi compiuti dallautrice, cio parlare delle differenze che contraddistinguono la sfera pubblica da quella privata, trattare lazione e il discorso come momenti fondanti dellagire politico, pubblico e collettivo, esaminare la nascita e gli sviluppi della societ e, per finire, percorrere lanalisi dei totalitarismi che univocamente si originano dalla capacit di manipolare le masse. In una delle sue opere pi famose e discusse The Human Condition2, Hannah Arendt compie una precisa distinzione tra lo spazio pubblico e la sfera privata.

1 2

Questo testo una versione corretta e rivista di un intervento svolto durante il ciclo seminariale Genealogie del dominio. H. Arendt, Vita Activa, Bompiani, Milano, 1964.

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Infatti Arendt possiede una sorprendente vigilanza semantica che si propone di separare i concetti, di combattere ogni confusione di distinguere, distinguere3
Dietro la confusione apparente c un fermo convincimento alla luce del quale tutte le distinzioni avrebbero, nel migliore dei casi, unimportanza relativa: che laspetto politico pi sostanziale , ed sempre stato, la domanda: Chi comanda Chi? Potere, potenza, forza, autorit, violenza, non sono altro che parole per indicare i mezzi attraverso i quali luomo domina sulluomo; sono considerati sinonimi perch hanno la stessa funzione. soltanto dopo che si sar rinunciato a ridurre gli affari pubblici allesercizio del dominio, che i dati originali nel campo degli affari umani appariranno, o piuttosto, riappariranno nella loro autentica diversit4.

Lanalisi inizia dalla polis greca, dove la distinzione tra pubblico e privato era netta e significativa. Nellantica Grecia la dimensione privata, cio la dimensione delloikia, veniva considerata privata in quanto priva della possibilit di influire, anche minimamente, nello spazio pubblico. Non a caso, le donne e gli schiavi erano costretti a condurre la propria vita senza alcuna aspirazione politica, in unesclusione permanente dagli aspetti pubblici della polis. Chi determinava le regole della sfera domestica era il capo famiglia, che aveva poteri illimitati sugli altri familiari, il suo comandare incontrastato rappresentava una forza prepolitica e il centro della pi rigida diseguaglianza5, la sfera domestica prevedeva un dominio che neanche il pi assoluto dei tiranni avrebbe mai aspirato ad ottenere.
Gli antichi ritenevano necessario possedere schiavi a causa della natura servile di tutte le occupazioni che provvedevano ai bisogni relativi alla conservazione della vita lavorare significava essere fatti schiavi dalla necessit poich gli uomini

3 4 5

P. Ricoeur, Potere e Violenza in Filosofia Politica, a. XV, n. 2, agosto 2001, p. 183. H. Arendt, Sulla violenza Ugo Guanda Editore, Parma, 1996. H. Arendt, ivi, p. 24.

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POTERE POTENZIALE VS DOMINIO TOTALE

erano dominati dalle necessit della vita, potevano conquistare la propria libert solo attraverso il dominio su quelli che assoggettavano con la forza alla necessit. La degradazione dello schiavo era un colpo del destino e di un destino peggiore della morte, perch comportava la metamorfosi delluomo in qualcosa di affine ad un animale addomesticato6.

Arendt continua sostenendo che la schiavit non era un semplice mezzo per ottenere profitto tramite lo sfruttamento, quanto il tentativo di escludere il lavoro dalle condizione di vita umana7. La sfera domestica rappresentava quindi il regno dellantipolitica: il regno delle necessit che dominano lessere umano. Le necessit venivano soddisfatte dalla fatica del lavoro compiuto dagli schiavi, che venivano visti come nonumani in quanto condividevano dei caratteri comuni con le altre forme di vita animale8. La nascita della sfera pubblica avvenne quando le comunit basate sui rapporti di parentela si allargarono ad altri membri, il legame di sangue venne meno e si verific lassimilazione di diversi gruppi familiari in un unico corpus, in ogni modo sempre ben distinto: da un lato gli aspetti comuni rappresentati dalla sfera delle necessit, dallaltro il confrontarsi degli uomini liberi, su questioni inerenti alla comunit. Questo era il vivere insieme tipico della polis, un modus vivendi che rispettava e si avvaleva delle diversit dei propri componenti, che prescindeva, inoltre, dallunirsi, tipico del mondo animale, che possiede come unico obiettivo quello di quietare lincombenza delle necessit legate alla sopravvivenza. Per il cittadino ateniese approdare dalle condizioni confortevoli della sfera domestica a quella pubblica era tuttaltro che scontato. La qualit fondamentale, per ogni cittadino libero e di sesso maschile, che doveva prendere parte per la prima volta alla sfera pubblica, era il coraggio. Il coraggio di lasciare la propria dimora, un luogo sicuro in cui si doveva
6 7 8 H. Arendt, ivi, p. 60. H. Arendt, ivi, p. 61. Con ci Hannah Arendt non intende minimamente giustificare la bench minima forma di schiavismo o di sfruttamento.

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badare unicamente alla propria sopravvivenza, e recarsi altrove dove qualsiasi altro suo pari lo avrebbe potuto contrastare, dove egli stesso sarebbe stato chiamato a prendere delle decisioni e a rischiare in prima persona. perch lattore politico supera la paura della morte che pu lasciare la sfera familiare votata alla riproduzione e alla protezione della vita per esporsi sulla scena pubblica a rischi molteplici che vanno dallostracismo al rischio della morte9.
Questa idea che solo chi disposto a rischiare la propria vita possa essere libero non mai scomparsa dalla nostra coscienza il coraggio la pi antica di tutte le virt politiche10.

Infine il coraggio serviva per confrontarsi, per gareggiare per dare vita allagonismo, al confronto, allagire di concerto che non deve essere un tacito accordo accettato da tutti, quanto un agire simultaneo che risponde a contenuti diversi espressi tramite modalit simili.
Il coraggio quello che permette di rispondere presente in una situazione critica o nella quale in gioco la libert degli uomini11.

Il confronto, innanzi citato, era tuttaltro che violento o militare, serviva piuttosto, a conferire la gloria al migliore: la gloria come unico fine dellagire politico, la gloria per essere ricordati e per conferire continuit allagire politico. importante sottolineare la differenza che per Arendt sussiste tra la terra in quanto pianeta e il mondo come spazio dellapparenza12, come luogo dove sussiste linteresse, inteso come inter-est: ci che sta tra gli esseri umani, che da loro prodotto, che tra loro li collega e che anticipa e precede ogni costituzione formale della sfera pubblica13.

9 10 11 12 13

Cfr. M. Abensour, Hannah Arendt contro la filosofia politica?, in Hannah Arendt filosofia, politica, verit, Farenhait 451, Roma, 2001. H. Arendt, Che cos la Politica?, Edizioni di Comunit, Milano, 1985. M. Abensour, Hannah Arendt contro la filosofia politica, cit. p. 63. H. Arendt, Vita Activa, cit. p. 146. H. Arendt, ibidem.

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POTERE POTENZIALE VS DOMINIO TOTALE

Lutilizzo peculiare che lautrice fa dellespressione spazio dellapparenza sottintende una serie di nessi concettuali che proceder immediatamente ad illustrare. Come fa notare Roberto Esposito lapparenza cui Arendt si riferisce non affatto identificabile con la parvenza, intesa come qualcosa di diverso dalla realt, dal momento che essere e apparire14 coincidono. Ci vuol dire che Arendt non riduce lapparire ad un orizzonte puramente fenomenologico, ma lo apre ad una dimensione puramente ontologica15. Apparire gli uni agli altri la caratteristica irrinunciabile che fa s che gli esseri umani convivano e condividano uno stesso mondo. Scrive Hannah Arendt:
per noi, ci che appare che visto e sentito da altri come da noi stessi costituisce la realt la presenza di altri, che vedono ci che vediamo e odono ci che udiamo, ci assicura della realt del mondo e di noi stessi16.

Il fatto che tutti gli esseri umani siano uguali poich appartenenti alla stessa specie, ma allo stesso tempo diversi, in quanto individui pensanti, parlanti e agenti, rende necessario verificare e accertarsi delleffettiva cosalit del mondo come terreno comune dentro al quale potere agire. Ci che Arendt vuole sostenere con questo ragionamento che per sussistere una sfera pubblica questa deve essere in minima parte comune, poich ci che pubblico , per definizione, sotto gli occhi di tutti. La sfera pubblica il luogo virtuale che accoglie lagire politico. A questo punto bisogner interrogarsi riguardo allazione, cio riguardo alle modalit in cui possibile agire e riguardo alla politica domandandosi ci che si gi domandata Hannah Arendt: Che cos la politica?. Prima di tentare di rispondere a queste domande sar bene sottolineare come lazione rappresenti il cardine di tutta la concezione politica arendtiana.
14 15 16 H. Arendt, La vita della mente, il Mulino, Bologna, 1987. Cfr. R. Esposito, Per un Critica di Hannah Arendt, in Hannah Arendt, filosofia, politica verit, Roma, 2001. H. Arendt, Vita Activa, cit. p. 37.

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Hannah Arendt equipara lazione alla nascita. Nascere vuol dire venire al mondo e iniziare una vita in un mondo mai visto prima. La nascita linizio di qualcosa che non si pu pianificare, per vari motivi: dallincombere della morte, alle proprie relazioni con gli altri, fino ai fatti storici che condizionano la vita di intere popolazioni. Il mondo si rinnova continuamente per nascita, ed trascinato nel nuovo dalla spontaneit dei nuovi venuti17. Torniamo momentaneamente allidea di inizio come cominciamento di qualcosa. Appare evidente, leggendo Arendt, come intraprendere lagire politico equivalga ad uscire da un guscio che isola gli esseri, pur tenendoli vicini. Avviene una rottura vera e propria, la tradizione del dominare o dellessere dominati viene meno. Allinterno della sfera politica greca, lequivalenza tra la libert di agire e il sancire-un-inizio-cominciare-qualcosa illustrata al meglio dalla parola archein18, mentre il significato originario del vocabolo prattein, parola che definiva lagire, era condurre-a-termine- la-cosa-iniziata, quindi lazione soprattutto cominciamento, ma in buona parte anche compimento degli obiettivi prepostisi. Ma lazione che lattivit fondamentale della vita activa possiede molteplici caratteristiche. Se da un lato lunica forma possibile dellagire politico, dallaltro appare come lattivit che offre minore garanzia e certezza19, nel senso che la molteplicit degli attori e leterogeneit delle singole risposte, rendono impossibile prevedere con precisione la catena infinita di modificazioni e reazioni che unazione innescata qui e ora innescher. Lattore non padroneggia mai le conseguenza dei suoi atti: scatena processi caratterizzati dallirreversibilit dellinizio, ma dei quali si ignora la fine20. Lazione si dimostra imprevedibile nellesito e irreversibile nel processo. Hannah Arendt sostiene che esistono due modi di arginare limprevedibilit e lirreversibilit, che consistono nella promessa e nel perdono. Promettere significa
17 18 19 20 H. Arendt, Che cos la Politica?, cit. p. 38. H. Arendt, ivi, p. 37. M. Leibovici, Hannah Arendt. La passione di comprendere, Citt Aperta edizioni, Troina (EN), 2002, cit. p. 157. M. Leboivici, ivi, p. 157.

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non violare gli accordi presi. Lorigine di questo fenomeno antica e risale al tempo di Abramo il quale ha trascorso tutta la vita a stimolare patti (perfino con il suo dio!), si sviluppa attraverso le teorie contrattuali dei romani, fino alla filosofia politica dei secoli successivi. Ma perch latto di promettere qualcosa, sia esso un modo di comportarsi o un oggetto, gioca un ruolo cos importante nella sfera dellagire comune? la stessa Hannah Arendt a scrivere che limprevedibilit che latto di promettere dissolve perlomeno di duplice natura: scaturisce simultaneamente dalla fondamentale fluidit delluomo che non pu garantire oggi chi sar domani e dallimpossibilit di predire le conseguenze di un atto in una comunit di eguali dove tutti hanno la stessa facolt di agire21 . Quindi, come si detto in precedenza, la libert di cui godono lagire e la politica, che sono due momenti del tutto attinenti luno allaltro, se non corrispondenti, implica dei rischi. Il perdono ha una genesi diversa da quella della promessa. Anchesso nasce, secondo Arendt, in seno alla cultura ebraica: lo utilizz per primo, come atto religioso, Ges di Nazareth. Hannah Arendt molto ferma nella sua convinzione, che vede nel perdono un momento politico fondamentale: il fatto che -Ges di Nazareth- abbia compiuto questa scoperta in un contesto religioso e labbia articolata in un linguaggio religioso non una ragione per prenderla meno sul serio in un senso strettamente profano22. Il perdono servirebbe a garantire la possibilit di continuare a vivere, politicamente parlando, la vita di tutti i giorni, affinch si continui ad agire nonostante gli errori e i soprusi commessi in precedenza. Senza la facolt di perdonare la storia non potrebbe assolutamente continuare. Questi due elementi che Arendt individua e che utilizza come valvole regolatrici dellimprevedibilit dellagire, possono essere ricondotti alla sua propria vicenda personale,
21 22 H. Arendt, Vita Activa, cit. p. 180. H. Arendt, ivi, p. 176.

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riguardo a quanto accaduto in Germania dal 1933 al 1945 e al suo successivo ritorno in patria. Bisogna comunque aggiungere che sebbene possiedano un valore come categorie desunte dallosservazione attenta dellagire politico, lasciano piuttosto a desiderare come effettivi fondamenti teorici, allinterno di tutta largomentazione. Prima di procedere oltre e cercare di stabilire meglio che cosa sia la politica, bisogner affrontare un aspetto dellazione, finora neanche citato, che il discorso. Il discorso, per Arendt, non separato dallazione, perch agire significava comunicare, convincere i propri pari tramite lazione-discorso, non certo tramite la violenza che di per s la negazione della politica. Se lazione simile alla nascita, dal momento che ogni uomo unico e con la nascita di ciascuno viene al mondo qualcosa di nuovo nella sua unicit23 e simile al cominciamento, inteso come archein greco, come agere latino, che vuol dire mettere in movimento qualcosa24, il discorso deve rivelare lidentit del nuovo venuto e supportare nella comunicazione lattore che compie gli atti. Una delle realt pi singolari e stimolanti del pensiero greco sta nel fatto che non compaia una distinzione netta, infatti chi compie grandi gesta deve sempre conferire anche grandi paroleperch lo stesso parlare era considerato a priori un modo dagire25. Vivere una vita senza discorso vuol dire vivere in una condizione del tutto simile a quella animale. La rivelazione del discorso, connesso allazione, avviene solo quando si con gli altri, insieme, ma non quando si contro gli altri, nel caso dei criminali, o per gli altri, nel caso dei benefattori, due categorie che aspirano a rimanere anonime e che di fatto non agiscono politicamente. La guerra, ad esempio, una delle situazioni in cui ci si trova ad essere contro gli altri, perci lessere insieme agli altri viene meno. In questi casi, che sono sempre esistiti, il
23 24 25 H. Arendt, ivi, p. 129. H. Arendt, ivi, p. 130. H. Arendt, Che cos la Politica?, cit. pp. 36-37.

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discorso diventa mera chiacchiera un semplice mezzo in pi per raggiungere un fine26, quindi diventa una forma di produzione e fabbricazione, molto simile al lavoro o allopera, in questo caso le parole non rivelano nulla, la rivelazione viene solo da semplici atti, e questo risultato non pu rivelare il chi lidentit unica e distinta dellagente lazione senza un nome, un chi che le sia annesso, priva di significato27. Hannah Arendt conclude il paragrafo 26 di Vita Activa sostenendo che i monumenti eretti in memoria del Milite Ignoto dopo la prima guerra mondiale esprimono tuttora la necessit di trovare un chi che testimoniasse quattro anni di massacro in massa daltronde fu proprio il rifiuto di rassegnarsi al fatto brutale che la guerra non era stata azione di nessuno, ad ispirare lerezione dei monumenti agli ignoti, a tutti coloro che la guerra non era riuscita a render noti e aveva quindi derubati, non della loro vittoria, ma della loro dignit umana28. La rivelazione dellidentit che avviene tramite il discorso rientra nellambito dellontologia dellapparenza arendtiana. Se domandassimo ad Hannah Arendt che senso ha la politica, ci risponderebbe che il senso della politica la libert29, che da un lato altra cosa rispetto alla giustizia e, dallaltro, lo rispetto alla ricchezza e alla propriet. Quindi per Hannah Arendt la politica politeia. La traduzione letterale del vocabolo greco politeia, infatti appartenenza alla citt, ma anche diritti e doveri del cittadino e ancora attivit o vita politica e azione politica30. Il fulcro concettuale della riflessione intorno al senso della politica espresso in questa frase: determinante per noi soltanto il fatto che consideriamo la libert in s come qualcosa di politico e non come il fine forse pi alto dei mezzi politici31. Lagire politico contiene in s la libert, meglio: la
26 27 28 29 30 31 H. Arendt, ivi, p. 131. H. Arendt, ibidem. H. Arendt, ivi, p. 132. H. Arendt, Che cos la politica?, cit. p. 21. Cfr. F. Montinari, GI, Vocabolario della lingua greca, Loescher Editore, Torino, 1995. H. Arendt Che cos la politica?, cit. p. 41.

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libert si d nellagire politico. Questa constatazione implica una pluralit di fattori che si possono dedurre. La prima che la libert non si pu ottenere nel pi assoluto isolamento, non c libert da soli, perch da soli non c dialogo, non c azione, non ci sono il perdono e la promessa. La libert una condizione cui si arriva solo vivendo e agendo nella pluralit. La seconda che ognuno di noi chiamato a prendere parte attivamente agli affari pubblici, poich solo dal momento in cui ci mettiamo in discussione allinterno della sfera pubblica, la nostra opinione verr accolta, ascoltata, magari discussa e contrastata, ma comunque presa in considerazione. Inoltre, rimanendo sempre nellanonimato e nel disimpegno, c il rischio di crearsi un proprio mondo solipsistico, una realt idiota, perch le negata la pluralit del discorrere di qualcosa e con essa lesperienza della realt del mondo32. Tornando alla polis, Hannah Arendt reputa la sua fondazione il momento cardine dello sviluppo del pensiero politico greco, in cui per conservare tutte le caratteristiche della vita tra eguali33, gi presente nellepica omerica, veniva istituito un corpus di leggi e di luoghi tali da tutelare questo spazio pubblico, questo contenitore impolitico dellagire plurale politico. Ho utilizzato questo termine per definire la polis perch solo lavvicendarsi del discutere e dellagire che avviene tra i cittadini da considerarsi politico, tutto ci che accade fuori dallagor da considerarsi non politico. Due esempi su tutti, in primis il fatto che quando iniziava una guerra la dimensione politica veniva meno e la forza era lunico approccio con il nemico, in secundis i grecinon consideravano affatto i mezzi per fondare e conservare lo spazio politico delle attivit politiche legittime34, in pratica avevano preso coscienza del fatto che tra diritto, ammesso che si possa parlare di diritto per i greci, e libert cera un vuoto incolmabile, perch il ruolo del legislatore era considerato alla stessa stre32 33 34 H. Arendt ivi, p. 40. H. Arendt, ivi, p. 35. H. Arendt, ivi, p. 40.

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gua di quello di un artigiano, di un tecnico, con lunica differenza che lartigiano produceva oggetti tramite il lavoro manuale e il legislatore no. Come risulter ormai evidente, c un nesso che lega tra loro lo spazio dellapparenza, la sfera pubblica, lagire e la politica. Lultimo tassello che manca per chiudere il cerchio del mondo politico, cos come stato osservato da Hannah Arendt il potere. Il potere ci che resta dopo lazione. Ci che unisce gli esseri umani agenti che li rende una comunit politica: Il potere ci che mantiene in vita la sfera pubblica, lo spazio potenziale dellapparire tra uomini che agiscono e parlano35. Il potere potenziale, cela la potenzialit dellinsieme degli attori agenti, ha dalla sua parte la potenza della pluralit, dellaggregazione spontanea e consapevole: Il potere sempre, vorremmo dire, un potere potenziale e non unentit immutabile36. Il potere corrisponde alla capacit umana di agire di concerto37. Il potere non mai propriet di un individuo; appartiene ad un gruppo ed esiste soltanto fino a che il gruppo continua ad essere unito38. Il potere dei molti e qualora qualcuno si isolasse dai pi avrebbe come qualit utilizzabili unicamente la forza e la violenza che sono lesatto contrario del potere, in quanto strettamente individuali e non condivisibili. Ci che invece in grado distruggere il potere la violenza, la violenza delle tirannie, la violenza dei totalitarismi. Un esempio concreto dellesercizio del potere da parte di chi lo detiene ci offerto da Arendt in queste poche righe: la rivolta popolare contro i governanti materialmente forti pu generare una potenza quasi irresistibile, anche se rinuncia alluso della violenza davanti a forze materialmente trop35 36 37 H. Arendt Vita Activa, cit. p. 147. H. Arendt, ibidem. Tale espressione viene usata da Hannah Arendt anche in Che cos la Politica?, cfr. la nota 13 di p. 39, a p. 165 dove si dice che lespressione, in inglese nel testo arendtiano, viene ripresa da Edmund Burke: Thoughts on the Cause of the present Discontents, 1770. In On Governament, Politics and Society, N.Y. University Press, New York, 1976. H. Arendt Sulla Violenza, cit. p. 47.

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po superiori. Chiamarla resistenza passiva certamente unironia; si tratta in realt del modo di azione pi attivo ed efficace che sia mai stato escogitato, perch non pu essere contrastato col combattimento, dove vi disfatta o vittoria, ma solo massacro di massa in cui anche il vincitore sconfitto, perch privato del suo premio, la vittoria, poich nessuno pu regnare sui morti39. A mio avviso nonostante il forte carattere evocativo, Hannah Arendt appare contraddirsi, soprattutto in virt della frase successiva a quella citata che a sua volta recita: Il solo fattore materiale indispensabile alla generazione di potere il vivere insieme delle persone40. fondamentale vivere, sopravvivere, se lintera comunit o lintero gruppo vengono sterminati il potere si dissolve, perch linfra che quelle persone si erano create muore e quindi svanisce insieme alla loro morte. Per di pi lingenuit risulta essere doppia, in vista, anche, dei lunghi e approfonditi studi sui campi di sterminio compiuti dalla stessa autrice. Il vivere insieme presuppone prima un vivere che forse in questo passo stato in maniera troppo evidente sottomesso allargomentazione. Nonostante alcuni passaggi controversi o a volte addirittura ingenui, tutta la riflessione su politica, potere e azione lasciataci da Arendt ha un forte potenziale libertario, una grande vena di orizzontalit, in quanto nel suo pensiero appare in modo chiaro e definito lidea della politica legata alla partecipazione diretta, pi che alla delega, alla messa in discussione dellindividuo piuttosto che della fazione, allagire politico come frutto di una decisione propria e indipendente, anzich come decisione di un partito. Appaiono, per anche momenti, allinterno dei quali viene formulato un ideale estremamente meritocratico e, in parte anche aristocratico. Ci sempre in relazione alla partecipazione agli affari umani. Semplificando largomentazione potrebbe suonare cos: chi partecipa ha un peso contrattuale effettivo, cio in condizione di decidere collettivamente, quindi di poter alterare lordine delle cose o, piuttosto di mantenerlo, chi rifiuta di partecipare, escludendosi e solle39 40 H. Arendt Vita Activa, cit. p. 147. H. Arendt, ibidem.

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vandosi dallincarico di dover decidere e confrontarsi, legittima lazione degli altri e la subisce. Il potere realizzato solo dove parole e azioni si sostengono a vicenda, dove le parole non sono vuote e i gesti non sono brutali, dove le parole non sono usate per nascondere le intenzioni ma per rivelare la realt e i gesti non sono usati per violare e distruggere, ma per stabilire relazioni e creare nuove realt41. Dominio Hannah Arendt divenne nota, non solo negli ambienti accademici, dopo la pubblicazione de Le origini del totalitarismo42, che stata unopera fondamentale per lo studio dei fenomeni totalitari. In essa venivano abbandonate le analisi marxiste di stampo economico e, tramite altre categorie politiche, se ne introducevano di nuove. Queste nuove categorie verranno teorizzate in modo pi organico nelle successive opere arendtiane, a partire da Vita Activa, passando attraverso On Revolution43 fino ad approdare a Che cos la politica?. Questo breve excursus mostra chiaramente in quale modo lautrice proceda nel formulare riflessioni e teorie su un tema che attraversa tutti i suoi scritti politici. Tale tema il dominio. Tutta la riflessione di Hannah Arendt sulla politica prende le mosse da un dato concreto e crudo: gli stermini e le distruzioni di massa44 operate in Europa e in Urss dai regimi totalitari. Non difficile intuirne il motivo. Da un lato lautrice ha vissuto in prima persona tutti i pericoli e i travagli comportati dal totalitarismo, dovendo prima emigrare in Francia e poi negli USA, dallaltro la maggior parte delle sue amicizie si sono interrotte sia per motivi di persecuzione da parte del regime, che per motivi di adesione al regime.

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H. Arendt, ivi, p. 146. H. Arendt, Le origini del totalitarismo, Edizioni di Comunit, Milano, 1989. H. Arendt, Sulla rivoluzione, Edizioni di Comunit, Milano, 1996. Sarebbe un eufemismo considerare ci che avveniva nei campi di sterminio semplici omicidi.

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I totalitarismi in generale, e i campi di sterminio nello specifico, hanno rappresentato forme di dominio e di soppressione totale, mai viste prima nella storia dellumanit. Il fattore caratterizzante di questi fenomeni il loro lato organizzativo, programmatico, pianificatorio. Solo depredando i nuovi nati della loro spontaneit, del loro diritto di iniziare qualcosa di nuovo, il corso del mondo pu essere deciso e previsto in senso deterministico45. La nascita e la vita stessa dei totalitarismi non sono, per Arendt, eventi casuali, sono piuttosto uno dei risultati possibili scaturiti dal rifiuto dellazione, dalla sostituzione di questa con il comportamento, ma anche dalleliminazione dello spazio pubblico e della sfera privata e delle differenze che li separano luno dallaltra, inoltre dallimposizione di una sfera sociale le cui caratteristiche verranno discusse di qui a poco. Che i totalitarismi siano uno dei risultati possibili e non lunico risultato possibile dimostrato da due fattori assolutamente non trascurabili. Il primo quello storico: tutti i tipi di societ e di esercizio del dominio dallet moderna ad oggi non sono stati di carattere totalitario, il terrore giacobino non era di carattere totalitario, non lo era la societ autoritaria guglielmina, o la societ contemporanea, dove i governi degli stati che si autoproclamano democratici sono in realt ci che ogni filosofo politico classico avrebbe definito oligarchici46. Il secondo fattore risale al campo teorico dellazione politica e dellintrinseca imprevedibilit del suo esito. Dalla sfera sociale avrebbero potuto scaturire altri apparati di dominio diversi da quelli esistenti. Il sociale il processo che vede la sfera privata e lorganizzazione domestica invadere, contaminare e impossessarsi dello spazio pubblico dellapparenza. Questidea proviene dalla filosofia platonica, si sviluppa in merito alle incomprensioni dei romani rispetto al pensiero greco, ad esempio in Seneca, e raggiunge una grande importanza durante il Medioevo grazie a Tommaso dAquino, prosegue il suo sviluppo tramite il pensiero degli economisti classici, approda
45 46 H. Arendt, Che cos la Politica?, cit. p. 38. Cfr. C. Castoriadis, La rivoluzione ha ancora senso?, (intervista di Marcel Gauchet), in MicroMega 1/90, cit. p. 198.

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sino a Marx e si estende a tutti i marxisti e paramarxisti attivi ancora oggi allinterno del panorama politico contemporaneo. Per la sfera sociale il fatto che una nazione sia formata da individui eguali o da individui non-eguali non ha molta importanza in questo senso, giacch una societ chiede sempre ai suoi membri di agire secondo un interesse solo47. Lunica voce fuori dal coro fu, secondo Hannah Arendt, quella di Rousseau e dei romantici che scoprirono la sfera intima, che andava a ribellarsi contro le esigenze di livellamento della sfera sociale, contro quello che noi oggi chiameremmo il conformismo inerente ad ogni societ48. Nella societ feudale, come nella societ di massa, ci che conta lidentificazione con uno status sociale. Omologarsi, seguire modelli di comportamento, rifiutare lagire politico, uniformarsi ad un unico pensiero, ad un unico ideale: quello del bene comune, sono questi i sintomi che colpiscono i non pi individui, le donne e gli uomini massa. La scienza non affatto innocente rispetto a tutto questo, il conformismo stesso, e cio lassunto che gli uomini si comportano e non agiscono gli uni di fronte agli altri, che si trova alla radice della moderna scienza economica, la cui nascita coincise con il sorgere della societ e che, insieme al suo strumento tecnico principale la statistica, divenne la scienza sociale per eccellenza. Leconomiaavrebbe potuto conseguire un carattere scientifico solo quando gli uomini fossero diventati esseri sociali e avessero seguito unanimemente certi modelli di comportamento, e quando chi non ne avesse accettato le regole sarebbe stato considerato anormale o asociale49. Hannah Arendt infligge una critica cos profonda e dura alle scienze sociali, perch a suo avviso esse sono lo strumento di controllo per coloro che intendono agire, che non accettano di seguire i modelli di inattivit offerti e imposti dalla grande famiglia comune, la societ. Daltronde il fine della statistica quello di unificare il pi possibile i propri

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H. Arendt, Vita Activa, cit. p. 29. H. Arendt, ivi, p. 29. H. Arendt, ivi, p. 31.

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dati basandosi sui grandi numeri, operando cos un livellamento delle eccezioni. Lapplicazione della legge dei grandi numeri o dei lunghi periodi alla politica, o alla storia, non significa nientaltro che la deliberata obliterazione della loro vera sostanza, ed vano cercare un senso nella politica, o un significato nella storia, quando tutto ci che non sia comportamento quotidiano o tendenza automatica stato scartato come irrilevante50. Per quanto riguarda invece la critica delleconomia, questa si inserisce perfettamente nella critica delle ideologie, che verr trattata di seguito. Ci che sostanzialmente si chiede Hannah Arendt per quale motivo la pluralit degli esseri umani debba essere costretta e convinta a comportarsi in modo unanime per assicurare alla nazione unopportuna crescita economica, dal momento che questo problema non riguarda la sfera politica, ma quella della necessit. La necessit di ridurre lessere umano in tutte le sue attivit, a livello di un animale condizionato, che si comporta in modo prevedibile51, alimenta lideologia economica. Lagire politico nella sfera pubblica stato sostituito dal lavoro nella sfera sociale, pi precisamente col fare: mentre siamo diventati eccellenti nel lavoro che compiamo in pubblico, la nostra capacit di azione molto decaduta da quando lavvento della sfera sociale lha relegata nella dimensione dellintimit e della vita privata52. Laspetto della vita inerente alla mera sopravvivenza, che veniva occultato quasi per vergogna nella sfera privata, ora domina la sfera sociale ed sotto gli occhi tutti. La concezione platonica dellarchein ben diversa da quella di Hannah Arendt cio da quella della polis. Platone infatti metteva laccento su un altro significato del verbo greco che vuol dire comandare. Chi comanda non deve agire (prattein), ma solo impartire ordini che devono essere eseguiti senza alcun genere di critica o analisi individuale. Arendt sostiene che questo atteggiamento di Platone miri a limitare le potenzia50 51 52 H. Arendt, ibidem. H. Arendt, ivi, p. 33. H. Arendt, ivi, p. 36.

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lit dellazione tentando di intaccarne limprevedibilit dellesito, in modo da ottenere tramite volont del sapiente che governa, del Re-filosofo, comportamenti prevedibili e sicuri che, se guidati, avrebbero condotto al bene comune. Platone fu il primo a introdurre la divisione tra quelli che sanno e non agiscono e quelli che agiscono e non sanno, al posto dellantica articolazione dellazione in principio e conclusione, cos che sapere cosa fare e farlo divennero due prestazioni del tutto differenti53. Da qui nasce il rifiuto di Hannah Arendt tanto di definirsi filosofa, quanto di assimilare la filosofia alla politica. La mia professione per parlare in generale la teoria politica la differenza consiste nella cosa stessa. Lespressione filosofia politica, che io evito, straordinariamente sovraccarica di tradizione, quando parlo di questi argomenti, in termini accademici, ho sempre cura di mettere in rilievo la tensione tra filosofia e politica, cio luomo in quanto essere che filosofa, e luomo in quanto essere che agisce54. Nel caso di Hannah Arendt si tratterebbe di denunciare listituzione platonica della filosofia, che nella sua ostilit alla citt avrebbe provocato un oblio dellazione, dellagire politico55. Altre argomentazione vengono addotte da Hannah Arendt in contrasto con la filosofia politica platonica. Lautrice procede nelle opere in questione con un paragone tra la nascita e lazione politica. Ma se la nascita il correlativo dell azione, qual il correlativo della morte? La risposta chiara: il correlativo della morte la filosofia, che insegna a riflettere soprattutto sulla morte, piuttosto che ad agire, insegna ad isolarsi per meditare pi agevolmente, a fuggire dagli affari della citt per elaborare la nostra condizione di esseri mortali. A questo punto si giunge dallimmortalit della gloria civile allimmortalit dellanima56 tutto a discapito della citt.
53 54 55 56 H. Arendt, ivi, p. 164. H. Arendt, La lingua materna, Mimesis, Milano, 1993 (intervista televisiva con Gunther Gaus del 28 ottobre 1964). M. Abensour, Hannah Arendt contro la filosofia politica, cit. p. 61. M. Abensour, ivi.

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Concepire la partecipazione agli affari umani come controproducente per la meditazione, per la preghiera e per il raccoglimento una caratteristica propria della filosofia platonica e di tutte le elaborazioni che ne verranno fatte successivamente, come, quelle di Agostino57. Altro punto nodale di questa riflessione il rapporto tra il sapere del filosofo e il non sapere degli altri cittadini. Il rapporto tra filosofia e politica non si mai dato come momento di riflessione sullazione, al contrario si sempre soffermato sui rapporti delicati intercorsi tra la cittadinanza e i filosofi. Nella prospettiva di diseguaglianza, il sistema di governo migliore quello che mette i saggi a riparo dagli stolti, lontano dai loro errori, dalle loro pazzie. Esso pensato, definito, nellinteresse dei filosofi, lontano dalla citt, se non addirittura contro di essa58. Questa argomentazione d luogo ad almeno due conseguenze fondamentali. La prima di carattere storico e dimostra come Platone fosse stato in sintonia con queste idee al punto di fondare unaccademia appartata dalla vita della polis. Grazie ad essa i suoi membri erano esentati dal partecipare alleffettiva sfera pubblica, della quale riproducevano le dinamiche allinterno dellaccademia stessa. Quindi tutti gli allievi di Platone e dellAccademia non avrebbero potuto mai prendere parte alla reale sfera degli affari umani. Unaltra conseguenza riguarda la verit. La verit, per la filosofia platonica, viene pronunciata dal saggio e il filosofo ne il portatore. La doxa che fino a quel momento era considerata il cardine dellagire, perch espressione delle diversit degli esseri umani, perde importanza, da elemento fondante dellazionediscorso diventa lopinione dei pi, degli stolti. Con questa pretesa unificante rispetto alle opinioni molteplici, espresse tramite lagire e il discutere, si distrugge la libert e si instaura una tirannia, che annulla qualsiasi esperienza politica, in quanto sopprime la pluralit.
57 58 H. Arendt si laureata con una tesi sul Concetto di amore in Agostino. M. Abensour, Hannah Arendt contro la filosofia politica, cit. p. 71.

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La caratteristica principale della tirannia dominante era il suo isolamento lisolamento del tiranno dai suoi sudditi59, che molto simile a quello del filosofo lisolamento del saggio per prendere le decisioni, rispetto alla pluralit degli stolti. Nessuna filosofia politica ha saputo immaginare la politica indipendente da un legame gerarchico, da un legame verticale la riflessione di Hannah Arendt appare invece palesemente libertaria, perch si ricollega allidea secondo cui il nocciolo della politica non lamministrazione degli uomini (Platone, Hobbes, lo stesso Kant, Montesquieu con tutte le loro differenze) ma il diritto costitutivo, fondativo, ancorato allantropologia: in politica chiunque, insieme agli altri, deve occuparsi degli affari umani60. Ancora pi che dalla tirannia la dimensione politica viene annullata dai regimi totalitari. Questi regimi agiscono su un corpo sociale gi ampiamente manipolabile: le masse. Queste rappresentano lultimo stadio della societ, che ha cancellato tutte le distinzioni, da quelle tra i singoli individui a quelle tra gruppi eterogenei. Tutte le differenze sono state assimilate in un unico soggetto sociale che si muove in ununica direzione, compatto, unanime. La distruzione dellinter-est lascia cadere gli esseri umani uno addosso allaltro. Linteresse, (letteralmente ci che sta in mezzo, che sta tra, e per traslato ci che collega) ci su cui si fonda la politica. Esso stabilisce la distanza che deve passare tra un essere umano e laltro, in modo da lasciar muovere ogni individuo agevolmente e in modo diverso dal suo vicino. Si detto dunque che la massa un soggetto sociale che ha perso la caratterista della pluralit e si muove come se tutti i componenti fossero un unico individuo. Lunit delle masse facilitata da un collante sociale che lideologia, il pensiero ideologico. Emancipatosi cos dalla realt percepita coi cinque sensi, esso insiste dunque su di una realt pi vera, che nascosta dietro le cose percepibili, dominandole tutte, e
59 60 H. Arendt, Vita Activa, cit. p. 149. Cfr. A. Dal Lago Hannah Arendt: la delusione della filosofia, in Vite attive, Edizioni Lavoro, Roma, 1996.

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che si avverte soltanto disponendo di un sesto senso. Questo fornito appunto dallideologia, da quel particolare indottrinamento che viene impartito negli istituti appositamente creati per leducazione dei soldati politicianche la propaganda del movimento totalitario serve a staccare il pensiero dallesperienza e dalla realt e una volta giunto al potere, il movimento procede a mutare la realt secondo i suoi presupposti ideologici61. Lideologia quindi una percezione alterata del mondo in cui viviamo, il quale, in base a questo principio, non costituisce pi il terreno comune su cui intraprendere lazione collettiva. Ne consegue che il significato e limportanza dellapparire vengono stravolti. Il totalitarismo, diversamente da tutti i regimi tirannici che si limitano ad esercitare il terrore, si alimenta distruggendo, a poco a poco, la massa che lo ha appoggiato e che gli ha dato vita. essenzialmente diverso da altre forme conosciute di oppressione politica, come il dispotismo, la tirannide e la dittatura. Dovunque giunto al potere, esso ha creato istituzioni assolutamente nuove e distrutto tutte le tradizioni sociali, giuridiche e politiche del paese. A prescindere dalla specifica matrice nazionale e dalla particolare fonte ideologica, ha trasformato le classi in masse, sostituito il sistema dei partiti, non con la dittatura del partito unico, ma con un movimento di massa, ha trasferito il centro del potere dallesercito alla polizia e perseguito una politica estera direttamente aperta al dominio del mondo62. Ci avvenne tramite la pianificazione delle eliminazioni di massa di tutte le minoranze, di tutti i dissidenti e di intere categorie che vennero rinchiusi e sterminati nei campi di concentramento e di sterminio nazisti e sovietici. Questi eventi si verificarono come conseguenza dellessenza stessa dei totalitarismi, che non ebbero altre mire se non quelle di piegare la societ alle propria necessit: lesercizio del dominio fine a se stesso. I regimi totalitari non intesero instaurare un proprio consensus iuris63, n tanto meno
61 62 63 H. Arendt, Le origini del totalitarismo, cit. p. 645. H. Arendt, ivi, p. 630. H. Arendt, ivi, p. 632.

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instaurarlo a seguito di una rivoluzione, piuttosto ignorarono qualsiasi genere di legge, perfino quelle stabilite da essi stessi. Unaltra caratteristica costante dello stato totalitario lessere in continua evoluzione e cambiamento, seguendo i principi dettati dalla logica dellideologia e dalla logica del volere del capo. La creazione di un nemico comune, diverso ogni volta da quello precedente, funzionale alla legge di eliminazione in base alla quale i movimenti assumono ed esercitano il predominio delle masse. I dittatori totalitari hanno sempre considerato infatti ogni paese conquistato come casa propria e, nello stesso momento, la loro nazione unicamente come un paese da conquistare. C un altro aspetto del totalitarismo che viene trattato da Hannah Arendt, il rapporto che gli intellettuali instaurarono con esso. Per molti anni si discusso riguardo al dissenso degli scrittori e degli intellettuali russi, un caso su tutti stata lopera di Aleksander Solzenicyn Arcipelago Gulag. Ma anche la Germania ha visto tanti intellettuali scegliere la via dellesilio, tra i quali compaiono i nomi di Thomas Mann, Theodor W. Adorno, Max Horkheimer, Walter Benjamin e la stessa Hannah Arendt. Anche lei, come gli altri, sembrava allepoca non voler accettare il dato di fatto dellincapacit degli intellettuali, e dei filosofi in particolare, di prendere coscienza riguardo allimminenza del grave pericolo, degli eventi che stavano per scatenarsi e che avrebbero portato al crollo della Repubblica di Weimar. Torna qui molto coerentemente la critica rivolta a Platone, che costru una copia della polis, un luogo dove ospitare pochi saggi, i quali risultarono del tutto distanti dal mondo e perci incapaci di rapportarsi agli affari umani. Il riferimento qui rivolto a Martin Heidegger, che oltre ad essere stato uno dei maestri di Hannah Arendt, ha anche intrattenuto con lei una relazione sentimentale. Ma se Heidegger stato colpevole per un motivo, lo sono stati, per un altro, anche gli intellettuali ebrei che costituivano la crme dellintellettualit dellepoca64 in Germania.

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A. Dal Lago, Hannah Arendt: la delusione della filosofia, cit. p. 74.

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Conclusioni Linvito costante ad agire, che sembra rivolgerci Hannah Arendt tramite tutte le sue opere, mira ad evidenziare la situazione in cui ci troviamo a vivere. Nonostante la fine della Guerra Fredda e lo scampato pericolo della corsa alle testate nucleari, il mondo appare come un focolaio costante di guerre sparse in diversi luoghi del pianeta. Un ritorno allagire, cos come lo intendevano i greci, significherebbe una maggiore possibilit di confronto, di comprensione e di ascolto reciproco. Chiss che adottando modalit diverse di fare politica non si potrebbe arrivare allabolizione di governi illegittimi che regolano landamento globale degli affari umani. Questa ultima affermazione potrebbe per risultare impropria alle orecchie della pensatrice stessa, in quanto pi che mirare alla libert come fine, come idea astratta e universale, Arendt sostiene che la libert sia parte integrante dellagire. La libert non un fine da ottenere, piuttosto una pratica da esercitare. Lidea di agire senza fare affidamento su istituzioni rappresentative, le quali si fondano sulla delega della rappresentanza partitica e che sfocia nelle dinamiche di carattere verticale e gerarchico, sembra affascinare Hannah Arendt, al punto che, per dirla con Martine Leiboivici: lazione non mai suscettibile di rappresentanza, in quanto limplicazione personale richiede lattualizzazione di uno spazio plurale. Pertanto lo stesso dispositivo della cabina elettorale la negazione dellazione65. Quando Hannah Arendt parla dellagire, fa riferimento a precisi momenti della storia occidentale in cui lagire di concerto dava forma alla sfera pubblica. I momenti cruciali da lei individuati coincidono con la polis greca, col sistema delle circoscrizioni di Jefferson, con le societ rivoluzionarie e i consigli municipali che si erano formate in tutta la Francia dopo il 1789 sino al 1870, anno della Comune di Parigi , cos come le comuni, i consigli, i Raete i consigli formatisi in seno alla repubblica bavarese del 1919 e i soviet66, di
65 66 Cfr. M. Leibovici, Hannah Arendt. La passione di comprendere, cit. p. 200. H. Arendt, Sulla rivoluzione, cit. pp. 295-296.

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fronte ai quali, sostiene Arendt, gli stessi Marx e Lenin rimasero colpiti per la spontaneit con cui si formavano e per lorizzontalit che essi dimostravano nellagire di concerto. I fatti del 1956 in Ungheria sono stati lesempio finale, ma paradigmatico, dei rapporti che sono intercorsi dalla Rivoluzione dOttobre in poi tra partito e consigli, tra potere e dominio. Il nome Unione Sovietica per la Russia post-rivoluzionaria stata fin da allora una menzogna, ma questa conteneva fin da allora un riluttante riconoscimento dellimmensa popolarit, non del partito bolscevico, ma del sistema dei soviet che il partito aveva ridotto allimpotenza67. Nel mondo contemporaneo le imposizioni degli apparati governativi che riducono la sfera sociale al luogo del consenso o peggio del consumo, limitano e danneggiano lagire politico senza nemmeno occuparsi pi delle necessit dellessere umano. Se Hannah Arendt contestava ai rivoluzionari francesi il fatto di aver confuso il fine della rivoluzione, perch ci che chiedevano era il pane piuttosto che la libert, allora oggi vi un ritorno addirittura allAncien Regime, data la mancanza tanto del pane quanto della libert. Il fatto che la sfera pubblica venga sacrificata costantemente e invano allideale delleconomia, non implica forse il fatto che sia giunto il momento di riconvertirla come sede dellagire politico?

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H. Arendt, ivi, p. 298.

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rivoluzione alla microfisica. D alla Come orientarsi nella guerra permanente


di Federico Primosig1

er la riflessione che vorrei P articolare far una distinzione iniziale ripresa da Todd May , un filosofo americano, il
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cui tipo di categorizzazioni risente di un impianto anglosassone ma utile comprendere fin da subito il terreno su cui si prover a ricostruire lidea di potere in Foucault. Todd May distingue tre tipi di filosofia politica: formale, strategica e tattica. Quella formale evita di inserirsi in quella tensione sempre esistente tra lessere e il dover essere, tra lo status quo cos come si da nella realt e come invece i soggetti che parlano di filosofia politica vorrebbero che si delineasse. Si caratterizza per schierarsi sempre con uno dei due poli, non tenendo per rilevante la tensione tra i due. Un esponente di questorientamento Rawls, che nel suo scritto pi rappresentativo, Una teoria della giustizia3, si limita a fornire i principi che ogni essere razionale sceglierebbe come preliminari per la costruzione di una societ. Il secondo tipo di filosofia politica quella strategica, caratterizzata da unanalisi unitaria mirante ad un unico fine. Figurativamente questo tipo di visione della politica potrebbe essere rappresentata come una serie di cerchi concentrici in cui il nucleo centrale (che potrebbe essere leconomia o la politica) circondato dai problemi ad esso relativi. I due filosofi pi rappresentativi di questo tipo di categoria sono Machiavelli e Lenin. Machiavelli poneva al centro della que1 2 3 Questa testo la trascrizione rivista e corretta di un intervento svolto nel ciclo seminariale Genealogie del dominio. T. May, Anarchismo e post-strutturalismo, Eluthera, Milano, 1998. J. Rawls, Una teoria della giustizia, Feltrinelli, Milano, 1982.

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stione politica il governo dellItalia, Lenin invece le strutture economiche. Il terzo tipo di filosofia politica, di maggior interesse a mio avviso, la filosofia politica di tipo tattico, che, in una battuta, potrebbe dirsi basata sullidea che non esiste un centro di emanazione del potere ma esistono vari luoghi indifferenti che emanano potere contemporaneamente. Unimmagine adatta a riassumere tale punto di vista potrebbe essere quella di una fitta rete di linee che sintersecano. Rappresentanti di una filosofia politica di tipo tattico potrebbero essere lanarchismo, sia storico, sia in rapporto al dibattito contemporaneo, e quella corrente noto sotto il nome di post-strutturalismo4, su cui eviter di dilungarmi ma nella quale possono essere inseriti Michel Foucault, Gilles Deleuze e Jean Francois Lyotard. Sia gli anarchici sia i post-strutturalisti vedono opportunit dintervento politico in una molteplicit di luoghi di conflitto, senza stabilire la priorit di una lotta rispetto le altre. Fedele allesposizione di Todd May a questo punto, tenter di tracciare un breve percorso filosofico politico che consenta di mettere a fuoco le differenze e le similitudini esistenti tra Michel Foucault e gli altri filosofi politici a lui vicini. Partiamo dallanalisi della filosofia politica strategica, da Lenin. Il testo fondamentale di Lenin, il Che fare5, fu scritto nel 1905 per dare indicazioni ai comunisti russi appunto sul da farsi nella fase delicata che si trovavano a dover affrontare. Sinteticamente possiamo delineare il leninismo come una filosofia caratterizzata da tre elementi: ununica lotta, ununica teoria, ununica leadership. Ununica lotta perch la lotta di classe per Lenin la lotta centrale, su cui bisogna concentrarsi, non una lotta tra le altre ma la lotta determinante; ununica teoria perch una teoria o a favore della rivoluzione oppure aiuta la borghesia a prevenirla. Ununica leadership poich in quella fase storica, a parere di Lenin, i proletari non potevano cogliere immediatamente la necessit di compiere una rivoluzione perch la gestione riformistica, sindacalista, era in grado far fronte ai bisogni immediati del
4 5 Non questa la sede per sondare lefficacia di tale definizione che ci limitiamo ad utilizzare per convenzione. V. I. Lenin, Che fare?, in Opere scelte, vol. 1, Editori Riuniti, Roma, 1975.

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proletariato, rendendo difficile cogliere come immediata la necessit di compiere la rivoluzione. Il tema dellavanguardia rivoluzionaria un problema intrinseco alla filosofia politica di tipo strategico. Infatti, se il potere ha un unico centro di emanazione, esisteranno anche dei soggetti, dei segmenti sociali, pi vicini ad esso ed inevitabilmente il compito rivoluzionario sar, in una simile dinamica, loro appannaggio. Ci ad ovvio discapito di tutti gli altri attori sociali, il cui ruolo dovrebbe limitarsi a seguire i vertici del processo rivoluzionario. Una forte critica a tale modello, in linea con lanalisi prodotta da Foucault sullo stesso tema, quella di Rosa Luxemburg. Essa sostiene che limposizione della disciplina per raggiungere il socialismo, a spese della spontaneit delle masse, costituisce in germe la riproposizione di una struttura di tipo capitalistico. La storia dar ragione alla Luxemburg, ma, in sede di esposizione di teorie politiche, preferisco non dare cenni storici, i quali meriterebbero ben pi attenzione che una citazione a margine. Una prima variazione di questo modello viene compiuta dalla scuola di Francoforte, principalmente da Adorno e Horkheimer, i quali fondamentalmente dissolvono il centro del potere: il potere non pi identificato nel dominio capitalistico inteso in termini economici, nei rapporti di produzione, nei rapporti di classe, bens viene esteso a tutta lo spazio sociale. Una delle parole chiave nella loro elaborazione industria culturale, con cui sintende una sorta di dispositivo di persuasione che attraverso il cinema, la letteratura, produce una cultura diffusa che finalizzata a cooptare il potenziale soggetto rivoluzionario, in altre parole il proletariato. Quindi la classe che dovrebbe fare la rivoluzione, nella visione piuttosto pessimista di Adorno e Horkeimer stata cooptata dalla classe dominante e qualsiasi forma di risposta positiva suscettibile di essere o recuperata dai parametri del capitalismo o di essere comunque immediatamente emarginata. Su questa linea, ma con una visione meno negativa, si pu inserire Herbert Marcuse. Chi rivedr questo modello un discepolo della scuola di Francoforte, Jurgen Habermas, che in realt andrebbe inserito tra i filosofi politici di tipo formale. A suo parere lo strumento di resistenza alla cooptazione la possibilit di ritrovare una comunicazione libera dalle

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distorsioni culturali della cos detta cultura borghese. Ci sembra per che in Habermas il passaggio allintervento pratico non sia ben chiaro: innanzi tutto questo agire comunicativo presupporrebbe una situazione linguistica ideale che nei fatti , a nostro avviso, difficilmente riscontrabile e si presenta come una struttura quasi trascendentale che non tiene presente una serie di fattori, come limpossibilit di separare lambito della produzione materiale da quello comunicativo. Una corrente che ha sicuramente qualcosa di affine allanalisi della scuola di Francoforte e che si situa a cavallo tra il marxismo e lanarchismo, quella che fa capo allinternazionale situazionista che attraverso i suoi bollettini e i suoi due testi fondamentali, La societ dello spettacolo6 di Guy Debord e Trattato sul saper vivere ad uso delle giovani generazioni7 di Roul Vaneigem, elaborano quella che forse la migliore descrizione del passaggio di assorbimento del potere su tutta la sfera sociale. La loro proposta politica consiste nellinserirsi nel flusso spettacolare del capitale per sovvertirlo attraverso pratiche come quella del dtournement cio di risignificazione dellestetica del capitale. Un altro filosofo marxista che sicuramente aggiunge molto al pensiero di Lenin Althusser. Althusser sostiene che non esiste ununica teoria ma che al contrario essa devessere sensibile al riscontro pratico e soprattutto che la sua scrittura e messa a punto non pu essere separata da chi poi dovr praticarla. Comunque egli, come tutti i pensatori finora considerati, considera il proletariato come lunico soggetto politico e alla base di tutto i rapporti di produzione e di classe. Simile a quella di Althusser, ma ancora pi radicale, la posizione dellAutonomia Operaia, movimento nato dalle ceneri di Potere Operaio negli anni 70. Il suo principale teorico italiano Toni Negri e negli Stati Uniti Harry Cleaver. Questa teoria prevede una sorta di ricompattazione del proletariato come soggettivit autonoma portatrice dei propri interessi, sganciata da qualsiasi forma di avanguardia (emblematico in
6 7 G. Debord, La societ dello spettacolo, in Commentari sulla societ dello spettacolo, Sugarco, Milano, 1990. R. Vaneigem, Trattato del saper vivere ad uso delle giovani generazioni, Malatempora, Roma, 1999.

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questo senso lattacco frontale al PCI da parte dellAutonomia negli anni 70). Si nega lopportunit di unavanguardia che simpadronisce del potere dallalto, affermando una riappropriazione da subito della propria vita quotidiana e di un comunismo da subito. Cornelius Castoriadis, ultimo pensatore della tradizione marxista che citiamo in questo excursus, una sorta di posttrockijsta, fondatore della rivista Socialismo o Barbarie, centrale nel dibattito filosofico francese, sulla quale scrisse anche Michel Foucault. Castoriadis vede nel potere, sia di natura capitalista sia di natura sovietica, un elemento in comune: la burocrazia. La sua proposta pratica per sconfiggere la burocrazia legata ad unassunzione di responsabilit generalizzata nella societ in cui si elimina la distinzione tra dirigenti ed esecutori: tutti devono divenire dirigenti, da un punto di vista economico politico e personale. Castoriadis negli ultimi anni della sua vita simpatizzer per posizioni molto vicine allanarchismo e per una visione simile a quella di Kropotkin. Laltra grande tradizione di filosofia politica con cui bisogna confrontarsi lanarchismo, la cui figura chiave, almeno per una certa fase Bakunin. Vale la pena di ricordare i termini di una polemica molto conosciuta tra lui e Marx. Marx sosteneva che il proletariato avrebbe dovuto prendere il potere, impossessarsi dellistituzione statale per procedere, attraverso una fase di transizione, alla sua estinzione. Bakunin fece da subito notare che occupati i vertici del potere statale, questa fase si sarebbe fossilizzata e automaticamente lavanguardia del proletariato sarebbe divenuta la nuova classe dominante. Lanarchismo storico ha una tradizione molto lunga e complessa, ci che ci interessa sottolineare, il modo costante di concepire il potere non come proveniente da un centro ma di riconoscerlo in segmenti diffusi sul tessuto sociale. La critica pi grossa che si pu fare a gran parte dellanarchismo tradizionale di vedere come fondamento della distruzione del potere lassunto che la natura delluomo essenzialmente buona. Il percorso del seminario Genealogie del dominio partito invece da un autore che viene tradizionalmente inserito nellanarchismo storico ma che parte da un presupposto opposto. Parliamo ovviamente di Max Stirner, il quale ritiene

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che la natura delluomo sia tuttaltro che buona, bens egoista. Tra i pensatori anarchici contemporanei vale la pena di citare almeno Colin Ward e Murray Bookchin. Ward propone qualcosa di molto vicino a quello che dir Foucault. La sua idea di politica implica la costruzione di strutture reticolari e non di gerarchie piramidali. Per Ward non interessante cambiare letichetta al vertice della piramide ma bisogna sradicare il sistema gerarchico, perch tutte le istituzioni oppressive sono strutturate in maniera gerarchica: lo stato, lesercito, la scuola, luniversit e cos via, quindi proprio la struttura gerarchica che va eliminata alla radice. Bookchin sostiene lopportunit di una pressione continua sulla societ alla ricerca dei suoi punti deboli, per cercare di aprire spazi di possibilit realmente rivoluzionari. Si potrebbe confondere questa posizione con una specie di riformismo, ma Bookchin stesso a dire che questo tatticismo non equivale al riformismo perch un felice intervento politico in un punto nodale della societ in cui si accentra il potere pu avere effetti di riverbero su tutto il tessuto sociale. Esiste comunque un paradosso in questo pensiero che uno degli scogli su cui la teoria anarchica tende in parte ad infrangersi. Parliamo di quello che potrebbe essere definito il paradosso federalista. La soluzione politica suggerita da questi pensatori una sorta di federalismo conclusivo, il problema quindi se alla fine questo federalismo sia un nuovo obiettivo strategico come il comunismo per lideologia del marxismo oppure no. Su questo si pu citare un interessante dialogo che si tenuto negli Stati Uniti tra Michel Foucault e Noam Chomsky8. Chomsky sosteneva la tradizione anarcosindacalista classica e Foucault gli contesta proprio il fatto che cercare di immaginare una societ ideale ha comunque il difetto che questimmagine verrebbe forgiata attraverso gli strumenti e le categorie della societ attuale. In questo Foucault si dimostra a nostro parere ancora pi tattico di Chomsky su questa prospettiva. Laltro limite, che differenzia fortemente i pensatori anarchici dal pensiero di Michel Foucault, lidea che il potere sia
8 Cfr. N. Chomsky - M. Foucault, Giustizia e natura umana, Ida Palma e edizioni associate, Palermo, 1994.

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essenzialmente una forza repressiva, il potere come qualche cosa che agisce in maniera negativa sul tessuto sociale. E da qui potremmo far partire effettivamente la riflessione sul potere di Michel Foucault. Foucault distingue una concezione economicista del potere e una concezione non economicista. Nella concezione economicista del potere rientrano sia la tradizione cos detta giuridica (per indicare la quale spesso utilizza termini diversi) che quella marxista. Il primo dei tre modelli su cui si andata a costruire storicamente questidea del potere la societ schiavistica, dove il potere visto come censura, come impedimento del libero sviluppo della libert degli individui attraverso una strategia di repressione. Il secondo modello affonda le sue radici nella societ feudale, dove il potere visto come prelevamento e trasferimento attraverso la coercizione da una casta meno privilegiata a una pi privilegiata, cio la sottrazione della ricchezza da una casta allaltra. Il terzo modello, il pi importante, quello cos detto giuridico discorsivo, improntato sul modello politico della monarchia amministrativa e che ha per protagonisti fondamentalmente tre concetti: quello del sovrano, quello della legge, e quello dellinterdizione. La prospettiva di Foucault era invece proprio quella di trovare una filosofia politica non costruita attorno alla figura del sovrano: Bisogna tagliare la testa al re: non lo si ancora fatto nella teoria politica9. I referenti sono ovviamente Machiavelli e Hobbes, ed a partire dalla critica che Foucault muove loro che si pu capire quale sar la sua interpretazione del potere. Foucault sostiene che non bisogna partire dallidea del sovrano come fonte del potere ma prendere in considerazione i soggetti nelle loro relazioni reciproche. La teoria della sovranit presuppone un soggetto da assoggettare, unessenziale unit del potere da fondare e la legge da rispettare. Foucault parte invece dalle relazioni stesse e non dai soggetti perch a suo avviso la costituzione del soggetto avviene attraverso delle relazioni di potere. Foucault non prende in considerazione lunit del potere ma considera le
9 Intervista a Michel Foucault, in M. Foucault, Microfisica del potere, Einaudi, Torino, 1977, p. 15.

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strutture di potere come strategie globali che attraversano e utilizzano delle tattiche locali di dominazione. Quindi la tradizione che pi vicina a quella di Foucault quella non economicista che vede il potere non come un bene di scambio, economico appunto, che qualcuno possiede, che si pu dare, che si pu prendere, si pu strappare, si pu cedere, bens vede il potere come qualcosa che costantemente in atto. Chi, prima di lui, ha descritto il potere in questo modo gli ha attribuito un ruolo fondamentalmente repressivo. I referenti potrebbero essere Georg W. F. Hegel, Sigmund Freud, Wilhelm Reich e Herbert Marcuse. In questa cos detta ipotesi repressiva, il potere ha essenzialmente solo la funzione di reprimere, si presenterebbe quindi come censura, come sbarramento, come esclusione, rimozione, praticamente come un enorme super-io. Se cos fosse il potere sarebbe molto fragile, mentre per Foucault il potere qualche cosa di essenzialmente produttivo: produce desiderio, produce sapere, produce delle pratiche. La griglia interpretativa proposta dal filosofo francese per analizzare il potere quella della guerra, concezione che ricava, a suo stesso dire, da Nietzsche. Se gli altri riferimenti erano Marx, i philosophes del XVIII secolo, come Rousseau, per la visione economicista, che vede appunto il potere come bene di scambio; Marx e il marxismo per la visione che vede il potere come fondamentale per mantenere i rapporti di classe e conservare i processi economici; Freud e Wilhelm Reich come referenti per lidea di potere in atto, per inteso solo come repressivo, il paradigma della guerra sarebbe stato teorizzato per la prima volta da Friedrich Nietzsche. I due autori su cui Foucault operer una sorta di lettura critica per delineare questo paradigma sono Thomas Hobbes e il barone Von Clausewitz. Perch la guerra come griglia interpretativa del potere? Come dicevamo, per Foucault il potere non qualcosa che cade dallalto ma il potere sempre sinonimo di rapporti di potere. Questa rete di rapporti una guerra costante che si maschera da pace. Clausewitz afferma che la guerra il proseguimento della politica con altri mezzi, Foucault rovescia questo paradigma sostenendo che in realt la politica il proseguimento della guerra con altri mezzi. A suo avviso gi quello di Clausewitz era un paradigma che

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tendeva a rovesciare una visione precedente. Si riferisce a Hobbes e Machiavelli, i pensatori che inaugurano lidea moderna del potere come leviatano, formato da vari corpi che trovavano nel sovrano lanima, e in cui la testa del leviatano il centro di emanazione del potere. Proprio riferendosi a questo modello Foucault sostiene lopportunit di tagliare la testa al leviatano e di sottrarre il principe ai rapporti di potere. Tutto il discorso di Hobbes si fonda sulla cos detta guerra di tutti contro tutti, che a parere di Foucault una guerra delle somiglianze; non una guerra delle differenze, non una guerra del pi forte sul pi debole, ma una guerra che si compie in una sorta di uguaglianza diffusa. Se infatti esistesse un soggetto evidentemente prevalente rispetto ad un altro soggetto, o non ci sarebbe guerra, perch il soggetto pi debole prende atto della potenza superiore di colui che ha di fronte, oppure verrebbe combattuta ununica guerra che sarebbe vinta una volta per tutte dal soggetto pi forte. Questa originaria guerra di tutti contro tutti, non un qualcosa di teorico, non unimmagine pura fornita dai filosofi. Foucault bens convinto che questo tipo di filosofia politica sia nata nelle vicende storiche, nel sangue, nella lotta. La legge, la societ civile non nascono da unidea astratta per cui un filosofo pu dire: Costituiamo un patto civile per poter andare avanti la legge invece nasce da massacri reali. Foucault lo dice chiaramente:
Lorganizzazione, struttura giuridica del potere, degli stati, delle monarchie, delle societ, non trova il suo principio l dove tace il clamore delle armi. La guerra non mai scongiurata perch, innanzitutto ha presieduto alla nascita dagli stati: il diritto, la pace e le leggi sono nate nel sangue e nel fango delle battaglie. E si tratta di battaglie e di rivalit che non erano affatto come immaginavano filosofi e giuristi battaglie e rivalit ideali. Non si tratta, insomma, di una sorta di selvatichezza teorica. La legge non nasce dalla natura, presso le sorgenti a cui si recano i primi pastori. La legge nasce da battaglie reali: dalle vittorie, dai massacri, dalle conquiste che hanno le loro date e i loro orrifici eroi; la legge nasce dalle citt incendiate, dalle terre devastate; la legge nasce con quei celebri innocenti che agonizzano nellalba che sorge10.
10 M. Foucault, Bisogna difendere la societ, cit. p. 49.

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La situazione che si svilupper dopo questa guerra fondativa, sar in realt, una situazione di guerra permanente nascosta dalla pace, Hobbes stesso porta come esempio il fatto che il viaggiatore prima di partire chiude con il chiavistello la propria casa perch sa che esiste una guerra permanente tra i ladri e coloro che possono essere derubati cos come questa guerra esiste tra gli stati, che sono come dei guerrieri che stanno uno di fronte allaltro fissandosi pronti ad estrarre le spade. allinterno di questorizzonte di guerra nascosta dalla pace che bisogner calibrare lagire politico. allinterno di questo paradigma che si former lidea di microfisica del potere di Michel Foucault. Questa rielaborazione di Clausewitz, Hobbes e Nietzsche costituisce il terreno su cui lanalitica del potere di Michel Foucault prender corpo, essa non vedr il potere come identificato nello stato ma come un insieme di rapporti, come un potere che passa attraverso i corpi, attraverso le relazioni sociali, attraverso gli atteggiamenti, attraverso i rapporti di genere, quindi uomo-donna ma anche donna-uomo, attraverso listruzione, attraverso la famiglia, attraverso quelle che possono essere nominate pratiche e su cui presto ci soffermeremo. Il fatto che il potere non possa essere identificato nello stato ha trovato il suo esempio pratico nella storia dellUnione Sovietica. Prendere il possesso del potere statuale senza cambiare le strutture che sottostanno a questo potere cio le gerarchie sociali, la famiglia, la sessualit, il modo di vivere, di concepire il corpo, riprodurr comunque una situazione di dominio. Il potere passa attraverso e ricopre tutta la sfera sociale, ma per sfera sociale non si intende uno spazio vuoto che queste relazioni dovrebbero andare a riempire, la sfera sociale composta dalle relazioni stesse. Il termine che potrebbe aiutare a comprendere questidea di sfera sociale una parola deleuzeiana: rizoma. Il rizoma una radice aerea che si ramifica da ogni parte si lega ad altre radici senza unorigine o un centro riconoscibile. Il cercare una sfera sociale indipendente che le relazioni andrebbero a riempire, sarebbe come la ricerca di un fondamento, e per Deleuze questo tipo di attitudine fa parte di un pensiero arborescente, ben diverso dal pensiero rizomatico (il rizoma per lappunto diverso dallalbero, visto come simbolo della

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produttivit verticale e normativa, ma anche dalla radice simbolo di origine o fondamento). Lanalisi di Foucault del potere procede a partire dalle sue determinazioni periferiche ultime, non dal suo luogo dorigine; Foucault non si domanda da dove parte il potere ma dove esso si applica, quali sono i punti in cui questo potere agisce effettivamente sugli individui. Quindi lo stato, a suo parere, con tutti i suoi apparati, e tutta la sua potenza, ben lontano dal ricoprire il campo reale degli effetti di potere. Nella societ ci sono migliaia e migliaia di relazioni di potere e quindi ci sono migliaia e migliaia di lotte, di resistenze. Il fatto che Foucault veda il potere ovunque non vuol dire che non c possibilit di resistenza, ma al contrario che ovunque si presenta il potere si presenta la resistenza, che le relazioni di potere sono sempre reversibili, e tanto pi questa resistenza sar forte, tanto pi il soggetto dominante tender a far valere il proprio potere, la propria forza con pi insistenza; e solo nei momenti pi estremi in cui la resistenza si fa pi forte, il potere svela quello che potrebbe essere chiamato il suo volto cinico che di solito non viene allo scoperto perch altrimenti, se il potere mostrasse solo il suo volto cinico la sua forza repressiva, il suo dire di no, nessuno lo asseconderebbe cos facilmente. Al contrario il potere va pensato come una rete produttiva, che produce pratiche che produce discorsi, che produce sapere, e sul nesso tra potere e sapere non mi dilungo11. Abbiamo detto che la struttura dello stato non riuscirebbe a controllare in modo continuo e indolore la totalit degli individui se non si radicasse al loro interno sfruttando come in una strategia globale tutte le tattiche locali ed individuali che rinserrano ciascuno di noi. Esistono poi quelle che Foucault chiama le tecniche di potere in altre parole ci che effettivamente queste determinazioni periferiche del potere sono di preciso. Per una certa fase del suo pensiero si sofferma su quelle tecniche di potere comprese nel concetto di disciplina. Il libro che prende in analisi questo tipo di tecniche

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A questo proposito rimando allintervento Potere e sapere: lanalisi di Michel Foucault e la figura dellintellettuale di Alessandro Palmieri allinterno di questo stesso volume.

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Sorvegliare e punire12. Le discipline sono dei metodi di addestramento dellimpiego del tempo e del corpo finalizzate ad aumentare lefficienza degli individui per coinvolgerli in un processo di assoggettamento totale e costante. Le discipline si caratterizzano per essere un tipo di potere individualizzante che funziona attraverso una sorta di setaccio che trattiene ogni singolo individuo, attraverso appunto dei meccanismi di disciplina sul corpo. Lanalisi di Foucault si focalizzer su alcuni campi dapplicazione del potere tra cui la sessualit e le prigioni. Lidea di tecnica del potere come disciplina sta dentro un orizzonte definibile anatomo-politica cio di politica dellanatomia del corpo, distinto da quella che sar una fase successiva, unindividuazione successiva delle tecniche di potere per Foucault, la biopolitica. La biopolitica non prende in esame il corpo e lindividuo come singolo ma la popolazione in quanto tale, in quanto entit biologica. La biopolitica segna appunto quel passaggio in cui il potere comincia ad assumere lintera popolazione come elemento da formare, studiandone i flussi di natalit, mortalit e morbilit, cio di diffusione delle malattie. Il campo che fa da legame tra lanatomo-politica e la biopolitica ovviamente la sessualit su cui Foucault si concentrer negli ultimi anni della sua riflessione. Questo tipo di tecniche differente dalle tecniche diffuse nei modelli precedenti di potere, cio sono differenti dalla schiavit che implicava non uneducazione del corpo ma unappropriazione vera e propria del corpo, cos come diversa dal vassallaggio, in cui il potere si esercita innanzi tutto sui prodotti del lavoro e non sul corpo. Lultimo orizzonte del pensiero di Foucault rappresentato dal concetto di governamentalit su cui si stava concentrando nellultimo periodo della sua vita. La governamentalit si presenta quasi come il risultato di una somma, in essa si uniscono sia i suoi studi sulla ragion di stato che quelli sul potere pastorale, cio sul potere ancora individualizzante del cristianesimo o comunque di tutte le pratiche di confessione.

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Cfr. M. Foucault, Sorvegliare e punire, Einaudi, Torino, 1976.

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Vorrei fare una precisazione sullidea di pratiche. Abbiamo detto che il potere si manifesta non attraverso un centro di emanazione ma che esso attraversa delle pratiche, delle costituzioni di saperi e delle formazioni, appunto, di pratiche. Le pratiche sono le opportune unit di analisi del potere per Michel Foucault. Una pratica una regolarit sociale intesa ad uno scopo. Ci che la caratterizza una discordanza tra gli obiettivi che si prefiggono gli attori di queste pratiche e gli eventuali effetti che queste pratiche otterranno. Questo perch? Perch queste pratiche non sono necessariamente trasparenti agli attori che ne prendono parte e le costituiscono? Innanzi tutto ogni pratica si incrocia a sua volta con altre pratiche e la combinazione stessa , in s stessa, una pratica; lesito di questi incroci non per forza prevedibile e non necessariamente preso in considerazione preliminarmente dal protagonista della pratica. Le pratiche, poi, sono spesso indotte da altre pratiche ignote agli attori che vi si muovono dentro. Le pratiche sono inseparabili dal potere, cio dagli effetti che ha ognuna sulle altre, dai vincoli che ogni pratica crea su unaltra pratica. In pi lo scontro di forze che abbiamo visto essere sottinteso in questo discorso che sotteso quindi anche alle pratiche implica un certo grado di determinazione inconscia che va ad occultare agli attori i veri obiettivi. Teniamo inoltre conto che parlare di pratiche vuole dire formare un sapere sulle pratiche ma il sapere stesso una pratica quindi vincolato dai punti di cui sopra. Ancora una volta Deleuze ci viene in aiuto per spiegare meglio questo concetto. Per Deleuze noi e le nostre pratiche siamo composti di linee che si intersecano, linee che lui distingue in segmentarie, molecolari e di fuga. Utilizzando nuovamente il vocabolario di Deleuze possiamo capire ancora meglio: Deleuze rifiuta la ricerca di un oggetto totale prediligendo invece il cos detto oggetto parziale perch le connessioni macchiniche avvengono sempre tramite oggetti parziali. Per analizzare questo tipo di situazione cos poco unitaria ci sar bisogno di un metodo opportuno. Il metodo che Foucault suggerisce la genealogia che rappresenta a suo avviso una vera e propria insurrezione dei saperi. La genealogia si caratterizza per non cercare lorigine, lessenza esatta della cosa, lidentit originaria. Si parte invece dalla convin-

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zione che lunit di un oggetto il prodotto di una dispersione di eventi singolari di cui cercare la provenienza e lemergenza, il momento della nascita, da ricercare nel gioco aleatorio delle dominazioni, la genealogia riscoperta meticolosa delle lotte e insieme memoria bruta degli scontri13. Le relazioni di potere sono ovunque e non sono qualcosa di negativo, il problema non quindi eliminare le relazioni di potere bens darsi quellethos che consentir allinterno dei giochi di potere di avere a che fare con il minimo possibile di dominio. Per Foucault il termine dominio rappresenta quello stato di cose in cui i rapporti di potere raggiungono un livello di irreversibilit per cui le relazioni non sono pi mobili ma bloccate e fisse. Etica coincide nel pensiero del filosofo francese con la cura di se, come per i greci, luomo che ha un belletos luomo che pu essere ammirato e preso come esempio, quindi cura di se vuole dire non rimanere schiavi di se stessi e dei propri desideri ed inscindibile dalla cura per gli altri. La politica che deriver dai tratti del pensiero di Foucault delineati in questintervento sar una politica di diffusione e molteplicit che si scontra con il potere in una variet di luoghi spesso sorprendenti. Non implicher un soggetto politico predefinito perch per Foucault il concetto di soggetto inscindibile da quello di assoggettamento. Il soggetto non si da a priori ma si costituisce attraverso alcune pratiche, giochi di verit, pratiche di potere. La politica deve essere affidata ad una desoggettivazione della volont di potenza. Per concludere si tratta di una proposta di sperimentazione politica sociale e individuale. Si sperimenta costruendo pratiche che si pronti ad abbandonare se gli effetti sono intollerabili: pratiche emancipanti possono avere esiti diversi da quelli previsti allinizio per interazioni impreviste o per sviluppi di altre pratiche, non esiste nessuna progettualit della pratica. Il suo effetto non la rivoluzione ma lallargamento di spazi locali di libert situate. Inoltre Foucault opera una sorta di riorientamento della figura dellintellettuale visto non pi come osservatore ma come protagonista. Quindi il lavoro
13 M. Foucault, Bisogna difendere la societ, cit. p. 17.

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DALLA RIVOLUZIONE ALLA MICROFISICA

dellintellettuale, il lavoro che Michel Foucault s prefissato quello di forgiare degli strumenti danalisi e dintervento politico sulla realt. In poche parole, la politica di Foucault coincide con una sorta di attivismo radicale postrivoluzionario che approvava le lotte specifiche contro il potere localizzato e particolarizzato, di donne, prigionieri, pazienti ospedalieri, omosessuali e cos via. In tutto ci non cera nulla di riformista, in un dialogo tra Deleuze e Foucault si dice che il riformismo un concetto stupido ed ipocrita. Chiudo con una citazione di Foucault molto esplicativa di tutto il suo pensiero: Vorrei che i miei libri fossero bottiglie molotov, oppure campi minati, vorrei che si autodistruggessero dopo luso come fuochi dartificio14.

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Intervista con J. L. Ezine in Nouvelles littraires, 17-23, marzo 1975, p. 277.

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otere e sapere: lanalisi di Michel Foucault e la figura dellintellettuale


di Alessandro Palmieri1

a teoria del potere su cui fa L perno lanalisi foucaultiana della societ si articola a partire dallanalisi dei saperi; attraverso lo strumento concettuale dellindagine genealogica, Foucault, influenzato da Nietzsche, pone le basi di una reinterpretazione storica delle relazioni tra soggetti, e quindi, delle relazioni di potere. Queste relazioni di potere si coniugano con la produzione cognitiva del sapere e ne entrano a far parte come verit, in una specie di fitto reticolato in cui sapere potere e verit si intrecciano e si condizionano a vicenda. Un punto di vista, quello del filosofo francese, molto articolato e che sicuramente meriterebbe una riflessione di pi ampio respiro proprio rispetto al metodo dindagine storico-filosofica con il quale si pongono le basi per un ripensamento delle teorie classiche del potere e delle relazioni sociali tra individui; un punto di vista che distinguendosi dalle tradizionali metodologie di fare storia e di approcciarsi a problematiche come quella del potere, offre molti spunti sulla riflessione molto aperta della trasmissione dei saperi e del ruolo delicato dellintellettuale, che si colloca in questo dibattito come principale attore/riproduttore di pratiche discorsive che producono effetti di verit. Ed proprio questo laspetto che vorrei analizzare: in che misura sapere e potere si rapportano? E lintellettuale, colui che detiene il potere del sapere, che ruolo ha in questo quadro? Nella prospettiva di queste domande, la trasmissione dei saperi, pi volte analizzata dallo stesso Foucault, entra in
1 Questo testo una versione corretta e rivista di un intervento svolto durante il ciclo seminariale Genealogie del dominio.

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relazione con il dibattito sviluppatosi tra gli anni 50 e 60 intorno al ruolo dellintellettuale. Ripercorriamo a grandi linee liter che ha condotto alla metamorfosi di tale figura. Per molto tempo (in un periodo che va dalla prima met dell800 fino alla seconda guerra mondiale) lintellettuale, o meglio lintellettuale di sinistra, ha rivestito il ruolo di detentore assoluto della verit e della giustizia. Lo stesso Foucault in unintervista del 1976: Lo si ascoltava come rappresentante delluniversale, essere intellettuale era essere un po la coscienza di tutti2. Di uguale tenore le cose dette da Sartre in una conferenza del 1965:
I philosophes appaiono dunque come degli intellettuali nel senso gramsciano del termine: nati dalla classe borghese, costoro vogliono esprimere lo spirito oggettivo di tale classe3.

Gli intellettuali erano dunque, i produttori di verit assoluta, il loro ruolo era assegnare immortalit alle proprie idee legandole ad un soggetto o ad un progetto universale. Ciascuno aveva lossessione della propria idea; da questo quadro non dunque eccessivamente difficile comprendere la ricaduta ideologica e partitica che tale figura ha prodotto. Rivoluzioni culturali e politiche sono rimaste assoggettate a logiche di potere determinate e determinanti: determinate, in quanto facevano riferimento ad una struttura che non lottava contro il potere, ma che mirava a impossessarsene; determinanti, sul piano strategico, la teoria determinava lunica lotta da seguire (per esempio il proletariato contro la borghesia) privando gli individui dellimmaginazione politica. Le forme di pensiero hanno cos avuto modo di organizzare le nostre vite ed i nostri modi di fare; nascono verit sulla nazione, sulla terra e sulla razza come compimento ultimo di una metafisica crudele che condusse alle tragiche conseguenze che hanno condizionato il XX secolo. Successivamente il ruolo dellintellettuale si sensibilmente modificato. Egli non si occupa pi delluniversale ma
2 3 Cfr. M. Foucault, Nietzsche, la genealogia, la storia, in Microfisica del potere, Einaudi, Torino, 1977, pp. 29-54. J.-P. Sartre, Difesa dellintellettuale, Bompiani, Milano 1999, p. 54.

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POTERE E SAPERE: LANALISI DI MICHEL FOUCAULT INTELLETTUALE E LA FIGURA DELL

si colloca in settori culturali ben distinti e determinati. Tale passaggio, sviluppatosi a partire dalla seconda guerra mondiale e avvenuto grazie al cambiamento delle condizioni lavorative (limmagine paradigmatica di tale passaggio per Foucault il fisico atomico Oppenhemeir), ha fatto s che lintellettuale assumesse un nuovo ruolo politico: ha stabilito nuovi rapporti e nuove dipendenze tra categorie apparentemente disgiunte. La politicizzazione avviene in settori specifici, perde importanza la figura dello scrittore, nel senso che la scrittura non pi il segno distintivo dellintellettuale, e i legami politici tra i diversi settori del sapere iniziano a riprodursi in modo molto pi immediato:
cos i magistrati e gli psichiatri, i medici ed i lavoratori sociali, coloro che lavorano nei laboratori ed i sociologi, possono, ciascuno nel suo proprio luogo ed a mezzo di scambi di esperienze ad appoggi reciproci, partecipare ad una politicizzazione globale deglintellettuali4.

Ed in questo senso la trasmissione dei saperi resta ancora troppo politicizzata, e di conseguenza strumentale allesercizio di un potere che resta intrinsecamente legato alla produzione di verit. Un simile mutamento ha fatto in modo che la formazione dellintellettuale non fosse pi giuridica ma scientifica. Non si richiedono pi conoscenze ma competenze. In questo quadro lintellettuale specifico ha perci assunto una veste ambigua; egli in quanto specialista ha dovuto assumersi delle responsabilit politiche, condizione inevitabilmente controversa. Lo stesso Foucault ammette limportanza di questa nuova figura con una riflessione che non punta a squalificare lintellettuale nella specificit del suo rapporto con il proprio sapere locale. Infatti tutto ci pu apparire complessivamente positivo nella misura in cui lintellettuale specifico pu divenire portavoce di lotte locali (come nel caso della psichiatria) ma, come ho gi detto, non scioglie lambiguo legame preesistente tra lintellettuale e la produzione di verit; ci che intendo dire, in altre parole, che il problema
4 Cfr. M. Foucault, Microfisica del potere, cit., pp. 20-24.

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dal macro trasmigra nel micro. Le certezze che prima erano politiche emigrano nel tecnico-strumentale. Lintellettuale specifico rischia cos di diventare, come direbbe Marcuse, strumento di una razionalit tecnologica e unidimensionale. Lintellettuale specifico non pi il giurista detentore di verit, ma lo scienziato, lesperto, lo specialista; egli diventa la coscienza degli effetti di potere del suo specifico sapere. Gi Gramsci nei quaderni, con largo anticipo intravedeva i rischi di questo passaggio:
Si pu osservare in generale che nella civilt moderna tutte le attivit pratiche sono diventate cos complesse e le scienze si sono talmente intrecciate alla vita che ogni attivit pratica tende a creare una scuola per i propri dirigenti e specialisti di grado pi elevato, che insegnino in questa scuola5.

Lintellettuale dunque, detentore di cultura e quindi portatore di un privilegio, risulta inevitabilmente gravato della responsabilit di saper gestire in modo equidistante e sereno gli strumenti di cui in possesso, molti di pi rispetto a quelli a disposizione delle masse, e di basare le proprie analisi sui fatti accaduti, sui casi, sugli eventi, sulla storia, non su punti di vista teorici predefiniti. proprio tale condizione privilegiata che rende interessante lanalisi del ruolo sociale e politico di questa figura. Il rischio che spesso si cela dietro comportamenti ingenui e superficiali rispetto alla ricaduta sociale della produzione intellettuale ci che va smascherato. Non nuova, nella storia dellintellettuale occidentale e nellapologetica dellimperialismo, questa falsa o vera ingenuit diventa tanto pi pericolosa quanto pi il potere a cui asservita acquista peso politico e si autolegittima a quel comportamento sfacciato e perfido che ben conosciamo; i media di informazione ne sono un esempio quotidiano. Ecco cosa scrive Chomsky nel suo libro Linguaggio e libert:
I pi non sono dei bugiardi. Semplicemente non possono tollerare uneccessiva dissonanza cognitiva. Non voglio negare che
5 A. Gramsci, Gli intellettuali e lorganizzazzione della cultura, Editori riuniti, Roma 1996, p. 123.

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vi siano bugiardi matricolati, propagandisti con la faccia di bronzo. Li possiamo trovare nel giornalismo come nel mondo accademico, ma non credo che sia la norma. La vera norma lobbedienza, la scelta di atteggiamenti acritici e della facile strada dellautoinganno6.

Dunque, sembra che il circolo Sapere-Verit-Potere il perno sul quale si regge tutta larchitettura della nostra societ. E non , a mio avviso, un caso che i nostri sistemi di trasmissione del sapere tendano ad operare forti distinzioni di merito seguendo un principio di scelta e di esclusione.
Di tutto quel che avviene tu non capirai, non percepirai se non quel che reso intelligibile da ci che stato accuratamente prelevato nel passato, e che, a dire il vero, non stato prelevato che per rendere intelligibile il resto7.

Linsegnamento foucaultiano evidentemente teso alla denuncia dei rischi legati a qualsiasi visione totalizzante del mondo, a qualsiasi weltanschaung, (ad esempio la continuit della storia, la retorica dei rapporti di classe) che soffoca la molteplicit delle interpretazioni possibili. proprio attraverso questa manipolazione di ci che dato sapere sul mondo che si ottiene il mascheramento di ci che accade, quello che Foucault chiama lavvenimento. Altrettanto occultante ogni forma di determinismo storico fondativo: lavvenimento e il potere appaiono esclusi dal sapere, ma in realt sono ben nascosti in esso. Il processo estremamente lineare; la teoria e il discorso generale garantiscono unorganizzazione sociale omogenea e costante, la tecnica, sviluppata egregiamente dallintellettuale specifico permette lo sviluppo attraverso una linea preimpostata. Ed proprio dallavvenimento che prende piede lanalisi di Michel Foucault: lavvenimento, costituisce un elemento di rottura e di novit fondamentale nello scenario storico; a partire dal rifiuto di qualsiasi struttura che sia produttrice di senso, che dia un senso strutturale di continuit ai processi storici, lanalisi degli avvenimenti lanalisi delle lotte, attraverso le quali la
6 7 Cfr. N. Chomsky, Linguaggio e libert, Saggitore, Milano, 2000. M. Foucault, Microfisica del potere, cit. p. 57.

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storia si rende intelligibile, a partire dai dettagli e dalle mille sfumature dei fatti accaduti. Analizzare il rapporto tra potere e sapere sovrapponendo questi due concetti (come spesso accade) significherebbe banalizzare il discorso foucaultiano, e a mio avviso una riproposizione tout court proprio del tipo di sapere che si intende criticare. Resta da chiedersi da dove si pu attingere per questa sorta di storia delle lotte. Nel caso del sapere se ci si attiene solamente allevoluzione della figura dellintellettuale, o al cambiamento delle condizioni economico-sociali, si rischia di studiare solo le forme generali; del resto con battaglie ideologiche anti-repressive (culturali, sessuali, religiose, politiche) considerando il potere come la legge che vieta, ci siamo spesso dimenticati di tutti quei processi di individualizzazione che hanno portato a nuove tattiche di potere e nuovi meccanismi culturali. La battaglia ideologica si fa portavoce di verit assolute; meccanismi educativi e culturali vengono classificati come repressivi, senza considerarne tutti gli effetti positivi a cui essi possono indurre. La complessa funzione sociale delle relazioni di potere deve assumere la prospettiva della tattica politica. Prospettiva che trasforma la critica da negativa a positiva; si tratta di passare, come dice Foucault dalla limitazione necessaria al superamento possibile. Ed in questo senso la critica sar genealogica: i punti di resistenza che si formano allinterno delle relazioni di potere non serviranno a dedurre ci che ci impossibile fare o conoscere, ma la possibilit di non essere pi e di non pensare pi quello che ci dato essere e conoscere. Infatti tutte le relazioni di potere hanno bisogno di una molteplicit di punti di resistenza e non quindi un caso che il potere sia stato combattuto con battaglie ideologiche scagliate contro la repressione. Le resistenze non sono estranee, non dipendono da principi eterogenei ma sono solo laltro termine delle relazioni di potere; si sono formate al loro interno e hanno prodotto nella societ soggetti rimodellabili, deboli, i cui pensieri e corpi sono divenuti intrisi di ragioni assolute e dogmatiche e quindi risussunti nella rete che invece si voleva distruggere. Il problema non comprendere se la trasmissione dei saperi sia estranea al potere o meno, se sia costituita o se si autocostituisca; quale che sia la sua natura si continua in ogni
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caso a concepirla in rapporto ad un potere che legge. esattamente di questa concezione che dobbiamo liberarci, per rivitalizzare la molteplicit delle interpretazioni storiche possibili8. Non dare soluzioni, cercarle; non attraverso una ricerca stantia di uno studio passivo e oggettivo, ma attraverso uno studio che si muove dallintimit culturale di ognuno di noi. Lintellettuale dovrebbe mettere se stesso costantemente in discussione a partire da una forte autocomprensione del suo ruolo. Ci equivale a comprendere che al di l di qualsiasi orientamento educativo, repressivo e censorio, il potere non si d nellistruzione dallalto incidendo sui saperi, ma permea gli stessi luoghi in cui il sapere nasce e si trasmette. Quindi lintellettuale, non deve in nessun caso considerarsi al di fuori di questo sistema di potere, al contrario, tenuto a ponderare il rischio di divenire allo stesso tempo, strumento e riproduttore. I rapporti di potere sono presenti, sempre, la dove si parla di istruzione: sarebbe illusorio criticare listruzione a posteriori nei limiti di un possibile esercizio repressivo di essa, come sarebbe altres vano procedere ad una sua analisi prescindendo dal potere. Il potere, in particolare sullistruzione pu esercitarsi con pari intensit a diversi livelli: dalle decisioni generali ed importanti ad esempio in materia di riforma delluniversit fino ad una piccola lezione. Su qualsiasi apparato o istituzione fa perno, il potere pu agire in modo uniforme e forte. Funziona negli ingranaggi della legge, del divieto, della censura, come nei nuclei familiari. Da ci si evince che luso autonomo delle proprie potenzialit, la capacit di fuggire ogni cristallizzazione del sapere il presupposto del filosofare suggerito da Foucault: pensare fino a che punto possibile pensare in modo diverso, indagare i singoli eventi storici per comprendere se stessi; questo, secondo me, il presupposto sul quale si basa la critica genealogica, in cui lintellettuale dovrebbe collocarsi per pensare il presente in relazione alla sua opera ed a se stesso.
8 Cfr. M. Foucault, Metodologia per la conoscenza del mondo: come sbarazzarsi del marxismo, in Il discorso, la storia, la verit, Einaudi, Torino 2001, pp. 241-267.

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La tradizione occidentale non ha agevolato, anzi ha inibito tale atteggiamento mentale incentivando la sensazione di separazione tra il soggetto espropriato del potere e il soggetto autorizzato a detenerlo, paralizzando qualsiasi forma di immaginazione politica. Tale blocco ha fatto s che si profilasse un paradigma per cui il potere risulta necessariamente legato allesistenza di un soggetto autorizzato ad esercitarlo mai ponibile in discussione.
per questo che loccidente rifiuta con tanto accanimento tutto ci che pu far saltare questo catenaccio. E lo si pu attaccare in due modi. O liberando dallassoggettamento la volont di potere (cio a mezzo della lotta politica presa come lotta di classe), o attraverso un impresa di distruzione del soggetto come pseudo-sovrano cio a mezzo di un attacco culturale, soppressione dei tab, delle limitazioni e delle divisioni sessuali; pratica dellesistenza comunitaria; disinibizione nei confronti della droga; rottura di tutte le interdizioni e di tutte le chiusure attraverso cui si ricostituisce e si riproduce lindividualit normativa9.

M. Foucault, Microfisica del potere, Einaudi, Torino, 1977, p. 59.

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altra faccia della guerra: Clastres-Deleuze-Foucault


di Judith Revel1

I Guarani non furono mai buoni selvaggi, assillati comerano dallassoluta convinzione di non essere fatti per linfelicit. Pierre Clastres, La Societ contro lo Stato possibile che nel momento stesso in cui, sconfitta dallo Stato, essa cessa di esistere, la macchina da guerra attesti al pi alto grado la sua irriducibilit, si dissemini in macchine per pensare, amare, morire, creare, che dispongono di forze vive o rivoluzionarie suscettibili di rimettere in questione lo Stato vincitore? Gilles Deleuze e Felix Guattari, Mille piani

Clastres, Deleuze/Guattari, Foucault: una strana coincidenza ue libri hanno senzaltro D profondamente segnato il pensiero francese nellimmediato dopo 68, con fortune tuttavia ben diverse. Un gioco di rimandi e di riferimenti incrociati li lega strettamente insieme, nonostante loblio che oggi ne ha cancellato la vicinanza: e se Mille piani2 di Deleuze e Guattari continua, a ventanni di distanza, a fornire alla filosofia odierna tutta una gamma di strumenti concettuali e di spunti di lavoro, chi si ricorda ancora il formidabile lavoro di
1 2 Per gentile concessione dellautrice pubblichiamo qui questo articolo gi apparso in Posse. Guerra civile nellimpero, Manifestolibri, Roma, 2002. Cfr. G. Deleuze - F. Guattari, Mille piani, Enciclopedia Italiana, Roma, 1987. Il capitolo XII (Trait de nomadologie: la machine de guerre), sul quale lavoreremo dora in avanti, stato ripubblicato separatamente: Nomadologia. Pensieri per un mondo che verr, Castelvecchi, Roma, 1995.

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Pierre Clastres, La societ contro lo Stato3? Due ricerche in un certo senso speculari: non solo perch Clastres cita LantiEdipo, prima di essere citato a sua volta lungamente da Deleuze e Guattari in Mille piani, ma perch si soffermano entrambi su una domanda che non pu, a noi che li leggiamo oggi, non sembrare familiare: possibile concepire una dimensione del politico che non sia immediatamente riconducibile a quella del potere statale? possibile immaginare un modello del sociale che non sia immediatamente ridotto alla semplice figura della sua gestione o, direbbe Foucault, della sua disciplinarizzazione? La questione della resistenza, posta con forza da Clastres attraverso lanalisi di alcune societ primitive il cui modello di organizzazione sconfigge per anticipo ogni possibilit dintrodurre qualcosa come uno Stato, la stessa che attraversa tutto il lavoro di Deleuze e Guattari: da questo punto di vista, il capitolo 12 di Mille piani, Trattato di nomadologia: la macchina da guerra, non semplicemente un omaggio esplicito alla memoria di Pierre Clastres ma la riformulazione del problema in chiave attuale qui ed ora : c modo di scongiurare nelle nostre societ di capitalismo avanzato la formazione di un apparato di Stato? Di liberare lo spazio aprendolo alla dimensione dellesteriorit, della mobilit, del nomadismo? Di ridare allesistenza di una comunit di singolarit (Clastres, per caratterizzare la forma di organizzazione delle societ di cui si occupa, usa la parola chefferie (la traduzione italiana traduce la parola francese con il suo equivalente inglese chieftainship) in senso strettamente antropologico, Deleuze e Guattari parlano in modo pi metaforico di trib, di popoli) la ricchezza e la potenza della comunit? E se questo possibile, come caratterizzare questo fare societ al di fuori da quello che il pensiero politico moderno ci ha abituati a pensare in una correlazione obbligata con la figura dello Stato-nazione? Popolo, massa, folla incarnano per la posterit hobbesiana nella quale il nostro vocabolario politico continua per parte a riconoscersi quello stato naturale o comunque pre-evoluto nel quale lorganizzazione sta3 Cfr. P. Clastres, La societ contro lo Stato, Feltrinelli, Milano, 1977.

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tale non ha ancora fatto giocare lorganizzazione del contratto: un regno della forza individuale, del potere selvaggio, del rischio della vita, del dominio fisico: un mondo descritto come contiguo alle forme pi basse e animali dellesistenza in comune, dove il comune in permanenza smentito e messo in causa dallespressione della violenza dei desideri privati. Il desiderio privato si opporrebbe quindi alla cosa pubblica come lanimale alluomo, la fisicit alla mediazione politica, il corpo individuale al corpo sociale. Al contrario, possiamo denunciare come illusione retrospettiva alla nascita degli Stati-nazione questa prospettiva evoluzionistica e smontare linsieme di queste false opposizioni, reintroducendo una serie di concetti che fuoriescono sia dalla finzione epistemologica della pericolosa e violenta naturalit pre-statale che dalla troppo semplice e ormai poco credibile figura dello Stato buono ed equo? Singolarit non individuo ma non nemmeno cittadino nel senso stato-nazionale che diventato il suo; moltitudine non gregge animalesco (o massa, o folla) ma non nemmeno una delle tante forme organizzate nate dentro il paradigma statale (societ civile, classe, partito, gruppo, collettivit, patria ecc.). Eppure nella loro definizione che in termini diversi e a partire da orizzonti dissimili, Deleuze e Guattari (a partire da Spinoza ma anche dalle esperienze di lotta post-68) e Clastres (a partire dallo studio antropologico dei Guarani) si ritrovano e formulano la posta in gioco di una sfera sociale non statale, che inventi cio altre modalit di comunanza, di organizzazione e di funzionamento e ne affermi non solo la possibilit ma la potenza. Al centro delle loro riflessioni, un elemento essenziale: la guerra. Negli stessi anni (il libro di Clastres del 74, Mille piani del 80), anche Foucault, approdato fin dallinizio del decennio ad una problematizzazione diretta sia dei rapporti di potere che dei rapporti al potere, comincia ad interessarsi alla guerra. Ed dellanno immediatamente successivo alla pubblicazione di Sorvegliare e punire (1975) il corso al Collge de France recentemente pubblicato con il titolo Bisogna difendere la societ in cui la guerra occupa una figura strategica. Ricordiamoci che Sorvegliare e punire finiva con unallusione velata alla necessit di percepire nel lontano

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vale a dire allorizzonte di un mondo disciplinarizzato, o meglio: sotto la sua stessa superficie il sordo brusio della battaglia. E i testi foucaultiani che chiudono in modo fortemente polemico gli anni 70, in particolare con unintensa riflessione sulla rivoluzione iraniana, cercano di comprendere (vale a dire allo stesso tempo di capire e di integrare) la dimensione della sommossa, della guerra interna intesa come rivolta, come forma estrema della lotta contro il potere dentro un nuovo paradigma che Foucault sta tentando di formulare. Ora ovvio che il parallelismo storico tra queste tre figure del pensiero francese non basta. Ed altrettanto ovvio che, per noi che viviamo in un mondo un po pi vecchio del loro, un mondo al quale sono bastati quindici anni per dare alla moltiplicazione delle guerre con particolare predominanza delle guerre interne, dallex-Jugoslavia al Ruanda, dallAlgeria alla Cecenia, dal Sudafrica a Timor-Est, dal conflitto israelo-palestinese alla polveriera afghana un sapore di quotidiana banalit, quellemergere di una riflessione sulla guerra a met degli anni 70 non pu non sembrare importante. Non che la guerra sia in s un oggetto storicamente sfuggito allattenzione dei filosofi: senzaltro si dice guerra e si pensa Clausewitz cosi come si dice caverna e si pensa Platone, in uno strano e perverso piccolo gioco di rimozione associativa. Evidentemente non si tratta di dire che la riflessione di Clausewitz abbia perso in acutezza. Si tratta invece di notare che i tre autori francesi citati prima possiedono almeno in partenza un punto in comune: parlano di guerra, s, ma una guerra precisamente ben lontana dallaforisma clausewitziano secondo il quale essa non sarebbe che la continuazione della politica con altri mezzi. Anzi, tutti e tre partono dallassoluto rovesciamento di quellaforisma. Quello che vorremo chiederci oggi il perch di tale rovesciamento, e se quel rovesciamento non forse la condizione di possibilit di qualcosa che, sulla scia di Foucault, potremmo chiamare biopolitica.

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La societ contro lo Stato Lidea di Clastres semplice. I tentativi di definire una classificazione delle societ da primitive a avanzate secondo il grado di presenza o meno del potere, comuni nellantropologia contemporanea, peccano sia per eurocentrismo sia per cattivo evoluzionismo. Tale rappresentazione poggia in effetti su due assiomi del tutto discutibili: il potere sidentifica con lo Stato; lacquisizione progressiva di un modello sempre pi perfezionato di Stato segna il progresso della storia umana. Ora, la relazione tra subordinazione e comando, caratteristica della forma-Stato cos come la conosciamo in Occidente da quattro secoli non caratterizza in generale lessenza del potere politico; e la sua mancanza non significa che il potere politico non si dia sotto unaltra forma: lungi dallessere societ senza potere perch senza Stato, le societ Guayaki e Guarani studiate da Clastres offrono un altro modello del politico, unaltra articolazione del potere. Da qui tre conseguenze: le societ non si dividono tra societ con potere e senza potere, ma tra societ coercitive (dove il nesso subordinazione/comando fondamentale) e societ non-coercitive; il potere coercitivo non il modello del potere vero ma un caso particolare, essenzialmente sviluppato in et moderna; anche in societ dove listituzione politica assente (dove, per esempio, non esistono capi sul modello dei nostri capi di Stato), il politico nonostante tutto presente e la questione del potere si pone. Come dice Clastres: il politico pensabile anche senza la violenza, non pensabile il sociale senza il politico: in altre parole, non vi sono societ senza potere. Che cosa significa allora questo strano rapporto al potere che non coercizione? Esso passa innanzitutto attraverso la ridefinizione della figura del leader: il leader non possiede nessun potere di decisione e non mai sicuro che i suoi ordini saranno eseguiti, il suo potere sempre passibile di contestazione e si esercita paradossalmente in quanto funzione impotente perch dipendente dal gruppo. Si capisce allora linteresse diretto del leader a mantenere la pace: il prodursi di una crisi che distrugga larmonia interna richiede lintervento del potere, ma suscita, nel medesimo tempo, quel-

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lintenzione di contestazione che il capo non ha i mezzi per superare. La funzione di leadership esiste quindi solo nella misura in cui vuota e perch la coesione del gruppo viene assicurata la dipendenza capo/societ quindi doppia e assoluta , ma la garanzia richiesta da questo precario equilibro lesclusione della guerra dal campo del politico. Ci che ci danno da vedere gli amerindiani studiati da Clastres di conseguenza una doppia consapevolezza: da una parte, il potere non pu essere definito come mera funzione di comando perch il principio di unautorit esteriore e separata si traduce immediatamente in una trascendenza creatrice della sua propria legalit, cio in un pericolo per il gruppo nella sua totalit; dallaltra, questa minaccia legittima sia il rovesciamento totale della figura del capo come funzione vuota sia la squalifica politica della guerra come elemento di divisione, e di conseguenza come il rischio di reintroduzione del trascendente sotto la forma della separatezza. Due commenti a questo proposito. Il primo riguarda per lappunto la trascendenza. Nel pensiero politico di stampo hobbesiano, la natura definita come regno della forza e della violenza deve essere trasformata in un sistema contrattuale culturale che quello della politica dello Stato. Lopposizione quindi direttamente costruita attorno al passaggio natura/cultura interpretato come passaggio animalit/umanit, vale a dire passaggio violenza/Stato. Scrive invece Clastres:
[] scoprendo la grande affinit del potere con la natura, in quanto duplice limitazione delluniverso della cultura, le societ indiane hanno saputo inventare un mezzo per neutralizzare la virulenza dellautorit politica: hanno scelto di esserne esse stesse le fondatrici, ma in modo da non lasciar apparire il potere che come negativit subito padroneggiata.

La cultura intesa come produzione sociale diventa allora quella realt presa tra la violenza naturale e la violenza del potere: la societ deve affermare la sua estraneit sia al regno animale sia alla costruzione di unautorit separata. Per questo motivo, la sfera sociale viene concepita come equidistante dalla natura e dallo Stato: il terzo termine che rompe la morsa sulla quale si fondata la lunga storia degli abusi del
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potere, e che afferma il controllo dellambiente naturale e la padronanza del progetto comunitario senza mai far uscire fuori di s qualcosa che, separandosi, potrebbe alterarlo, corromperlo, dissolverlo o sottometterlo. La societ si d quindi nella la sua assoluta immanenza: contro lappiattimento sulla finzione dello stato di natura, contro la trascendenza di ogni tipo di gerarchia o di mediazione politica tra alto e basso, tra dominanti e dominati, tra schiavi e padroni, tra sudditi e governanti, tra cittadini e dirigenti. Il secondo commento riguarda invece specificamente il problema della guerra. Certo, il capo tende a evitare la guerra per mantenere la stabilit e la coesione del gruppo nella misura in cui esse sono anche il fondamento del suo paradossale potere impotente. Ma le pagine che Clastres dedica alla guerra sono in realt assai sorprendenti e per certi versi piuttosto ambigue. Dopo aver ricordato che per regola generale un capo non tenta (non vi pensa nessuno) di sovvertire la relazione normale (cio conforme alle norme) che egli ha con il suo gruppo: sovversione che, da servitore della trib, ne farebbe il padrone, aggiunge tuttavia che a questa regola derogano alcune eccezioni: quasi sempre connesse con la guerra. In effetti, la preparazione e la condotta di una spedizione militare rappresenta lunico caso in cui un capo pu esercitare una certa autorit non perch il capo si meriti in generale il rispetto ma perch la sua competenza tecnica di guerriero che gli vale provvisoriamente un altro statuto. Terminata la spedizione, il capo guerriero torna ad essere un capo politico, vale a dire senza potere. Lurgenza della spedizione militare contraddice il rigetto generale della guerra intesa come minaccia della coesione sociale al di fuori del campo politico: ci sono apparentemente dei casi in cui il rischio della scissione interna, della rottura dellequilibrio sociale, deve essere corso per salvare la comunit. Ma il rischio rimane, anche se spostato dal gruppo (il problema della scissione) al capo: finch la volont del capo non oltrepassa quella della societ, le relazioni abituali fra la seconda e il primo si conservano immutate. Ma il rischio che il desiderio della societ sia superato da quello del suo capo, il rischio che questi si spinga al di l da ci che deve, esca dallo stretto limite assegnato alla sua funzione: questo rischio

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costante. Il capo, talvolta, accetta di correrlo, tenta dimporre alla trib il suo progetto individuale, di sostituire il suo interesse personale allinteresse collettivo. Rovesciando il rapporto normale che determina il leader come un mezzo al servizio di un fine socialmente definito, tenta di fare della societ il mezzo per realizzare un fine puramente privato: la trib al servizio del capo, e non pi il capo al servizio della trib. Ora quella lunga citazione dice esplicitamente che la guerra un punto possibile di rovesciamento e di trasformazione delle societ senza Stato o dobbiamo chiamarle societ contro-Stato? in societ con Stato. Pi sorprendente invece la frase con la quale Clastres chiude il ragionamento: Se funzionasse, avremmo qui il luogo di nascita del potere politico come costrizione e violenza, avremmo la prima incarnazione, la figura minima dello Stato: ma non funziona. Ma non funziona: allultimo momento, e nonostante tutta lanalisi sia stata impostata su studi antropologici e casi documentati, Clastres sembra allultimo momento rifugiarsi dietro la denuncia del proprio discorso come non funzionante; in altre parole, assegna allipotesi appena formulata il valore di una finzione come se lanalisi dellarticolazione tra societ, guerra e organizzazione del potere si presentasse soltanto come un bel modello epistemologico astratto, una struttura resa pi vivace dai colori di un racconto in forma di parabola (come in alcune analisi di discorsi mitologici fatti da Dumzil), una favola destinata alle nostre societ avanzate. Ora, poco prima dellanalisi della funzione dei capi di guerra, Clastres aveva ammesso la sua incapacit a rendere conto del passaggio di una societ da un modo di organizzazione senza Stato a unorganizzazione con Stato: tuttal pi si poteva studiare il modo in cui alcune societ non solo vivevano senza Stato ma sviluppavano strategie per scongiurare la formazione di un potere separato e, in qualche modo, prestatale. Ma trovandosi davanti ad unipotesi consistente quella che fa della guerra lincarnazione di un doppio pericolo: la scissione comunitaria da una parte, la presa di potere dallaltra , egli indietreggia. Nel momento in cui la guerra si presenta come elemento di trasformazione del sociale in unorganizzazione radicalmente eterogenea alla quale il sociale stesso viene assoggettato quella di un potere sepaL ATRA FACCIA DELLA GUERRA: CLASTRES DELEUZE FOUCAULT

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rato , Clastres si ferma: Ma non funziona. Ora, non a caso su questo punto che si riapre lanalisi, alcuni anni dopo, in uno dei capitoli finali del libro di Deleuze e Guattari Mille piani, intitolato per lappunto Trattato di nomadologia: la macchina da guerra. Quale ruolo attribuire alla guerra nel rapporto complesso che lega la comunit alle sue forme di organizzazione? O per dirlo in termini diversi, nellintreccio che insieme articola e oppone il comune al potere? La macchina da guerra di Deleuze e Guattari Il punto di partenza del capitolo XII lassoluta estraneit della guerra ai due poli che rappresentano sia la funzione legislatrice che la funzione dispotica Varuna e Mitra, dicono Deleuze e Guattari, in un omaggio ai lavori di Georges Dumzil. La guerra esula da questa struttura binaria che, nella misura in cui funziona in opposizione, produce in realt ununit sovrana e contribuisce a formare qualcosa come un campo dinteriorit (milieu dintriorit). Indra, il dio della guerra, si oppone allUno sovrano perch rappresenta invece una molteplicit pura e senza misura e afferma la sua differenza qualitativa: possiede unaltra origine, appartiene ad unaltra specie, di unaltra natura rispetto a ci che Deleuze e Guattari chiamano fin da subito un apparato di Stato. Per natura, la guerra non appartiene allo Stato; e se allo Stato capita di fare la guerra, soltanto perch si appropriato la macchina da guerra, ne ha giuridicamente integrato lesteriorit, e ha permesso lorganizzazione di una funzione militare:
[] ogni volta che si identifica lirruzione della potenza della guerra con la stirpe di dominazione di Stato, tutto si confonde e non si pu pi comprendere la macchina da guerra se non sottola specie del negativo, poich non si lascia sussistere nulla desterno allo Stato stesso []. Clausewitz ha il presentimento di questa situazione generale, quando tratta il flusso di guerra assoluta come unIdea, di cui gli Stati si appropriano parzialmente secondo i bisogni della loro politica, e in rapporto alla quale sono conduttori pi o meno buoni.

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Deleuze e Guattari pongono quindi guerra e Stato in una contraddizione che soltanto parzialmente pu essere risolta attraverso un meccanismo di appropriazione abusiva e momentanea; ma tale appropriazione rappresenta comunque in s un pericolo per lapparato di Stato perch il dominio sulla guerra assoluta non mai totale. Il ch equivale a dire che se la funzione militare statale possiede solo una definizione derivata e negativa (lesercito dello Stato: in quel genitivo sta tutta lintegrazione delloriginaria esteriorit della guerra), la macchina da guerra invece suscettibile di una definizione positiva e ontologicamente piena. Il riferimento a Clastres interviene a questo punto. Deleuze e Guattari attribuiscono allanalisi clastriana lidentificazione della guerra come meccanismo di scongiuramento della formazione dello Stato. Ora, se vero che in alcuni testi questa tesi sembra presa in considerazione dallantropologo4, rimane il fatto che La societ contro lo Stato sembra invece fare della guerra il possibile punto di trasformazione delle societ senza Stato in societ con Stato. In realt, per Deleuze e Guattari, si tratta di far giocare alla guerra la funzione che spettava al potlatch nelle analisi di Mauss: cos come il potlatch impediva la concentrazione della ricchezza, la guerra impedisce la concentrazione e la formazione di un potere separato dalla comunit. La guerra non quindi n uno stato di natura alla maniera di Hobbes , n una derivazione dello Stato la guerra come derivazione del potere , bens uno stato sociale che impedisce e scongiura lo Stato. Essa mantiene in effetti lo sparpagliamento e la segmentarit dei gruppi, bloccando la possibilit della loro unificazione in un tutto necessariamente unitario e gerarchico; inoltre, blocca il capo guerriero in un tipo di prestigio fondamentalmente legato allesperienza bellica che difficilmente pu trasformarsi, da mera fama, in vero potere. Insomma, la guerra primitiva non produce lo Stato e nemmeno ne deriva. Nemmeno ne deriva: su questo, Clastres e Deleuze-Guattari si trovano daccordo. Pi difficile invece la prima parte dellaffermazione: se dire che la guerra non produce lo Stato equiva4 Cfr. P. Clastres, Livre I e II, Payot, Paris, 1977.

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le a rifiutare di trasformarla in un fondo naturale (la guerra di tutti contro tutti, la quasi animalit della fisicit assoluta), allora si pu capire la corrispondenza delle analisi. Se invece si vuole separare in modo assoluto la guerra e lo Stato, non si pu non segnare una distanza dalle analisi di Clastres. Ora, loperazione interessante ma anche problematica che fanno gli autori di Mille piani consiste nel cercare di mantenere allo stesso tempo il riferimento antropologico alle societ senza Stato e lidea di una separatezza radicale della guerra e dellapparato statale. Ma per riuscirvi, sono tuttavia costretti a porre un certo numero di postulati che non vanno da s e sui quali si articoler, in seguito, la ripresa foucaultiana del problema in chiave largamente critica. Il primo postulato afferma che lo Stato esiste da sempre: equivale quindi a de-storicizzare la forma-Stato per impedire ogni rapporto di derivazione guerra/Stato, in qualunque senso lo si definisca. La cosa non per cos semplice, non solo perch le societ sono comunque nella storia (anche se in una storia non evoluzionistica), ma anche perch fare dello Stato un sempre gi dato equivale in realt a trasformarlo in ci che la guerra rappresenta per tutto il pensiero politico moderno da Hobbes in poi: una natura. Lo Stato diventa quindi il fondo della realt sociale e politica. Il secondo postulato riguarda invece il rapporto esistente tra lo Stato gi sempre esistente e quello che ne rappresenta leccedenza, il fuori. Deleuze e Guattari argomentano: Lo Stato la sovranit. Ma la sovranit regna soltanto su ci che capace dinteriorizzare, di appropriarsi localmente. Il problema pero che, ponendo contemporaneamente lo Stato e la guerra come un dentro e un fuori, si in qualche modo costretti a pensarli in modo dialettico, vale a dire in un rapporto di derivazione/determinazione che pu certo prendere la forma di unopposizione, ma che ne riafferma tuttavia lessenziale legame. Difatti, quello che si viene definendo un campo perpetuo dinterazione che lega le macchine da guerra a metamorfosi e gli apparati identitari di Stato, il molteplice e lunitario, il decentramento e il potere centralizzato, la societ e il potere su di essa, il nomos e la polis. Si pone allora un dilemma che Mille piani non risolve. Per definire la guerra come eccedenza, bisogna definirla come

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fuori, come pura esteriorit rispetto allinteriorit dello Stato. Ma definendola come esteriorit dallo Stato, la si riconduce ad un rapporto di determinazione che era precisamente ci che si cercava di annullare. Il tema del fuori presente in tutta la riflessione francese a partire da Blanchot, sbocca inevitabilmente su un rompicapo dialettico. A meno di fare del fuori unentit astratta, un limite, un resto che, nelle sue varie versioni, finisce sempre per presentarsi come una nuova trascendenza: una realt definita in negativo (ci che non dentro, il non-Stato) e ontologicamente separata. Significativo da questo punto di vista il fatto che il capitolo si soffermi in seguito principalmente sul modo in cui lapparato di Stato integra e sfrutta localmente la guerra, fino ad essere assorbito da essa (La guerra totale stessa superata, verso una forma di pace ancora pi terrificante. La macchina da guerra ha preso su di s lo scopo, lordine mondiale, e gli Stati non sono pi che oggetti o strumenti asserviti a questa nuova macchina. qui che la formula di Clausewitz si rovescia effettivamente; perch, per poter dire che la politica la prosecuzione della guerra con altri mezzi, non basta invertire le parole [] gli Stati, dopo essersi appropriati di una macchina da guerra e averla asservita ai loro fini, forniscono ancora una macchina da guerra che prende su di s il fine, si appropria degli Stati e assume sempre pi funzioni politiche). Ora, se la descrizione non solo convincente ma incredibilmente attuale, per noi che assistiamo, ventanni dopo, allestensione mondiale della guerra come forma di amministrazione mondiale delle popolazioni e dello spazio globale, rimane irrisolto quellinterrogativo sulla natura dei rapporti tra Stato e guerra, che Deleuze e Guattari abbandonano alla loro impasse per concentrarsi in pagine, riconosciamolo, formidabili su quello che alcuni di noi hanno recentemente definito come Impero. Ed da questa impasse resistente allanalisi che riparte precisamente Foucault negli stessi anni. La politica, prosecuzione della guerra con altri mezzi Foucault sinteressa alla guerra durante un periodo relativamente breve, tra il 1975 e il 1977, e in un modo estremaL ATRA FACCIA DELLA GUERRA: CLASTRES DELEUZE FOUCAULT

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mente denso poich vi dedica un anno intero dei suoi corsi al Collge de France5. Il primo riferimento alla guerra si limita a capovolgere la formula clausewitziana per poter semplicemente descrivere la situazione di crisi internazionale creata dagli shocks petroliferi dei primi anni settanta. In seguito, Foucault torna sul problema in modo teorico nella misura in cui, essendo il potere un rapporto di forze, gli schemi di analisi del potere non devono essere presi in prestito alla psicologia o alla sociologia, ma alla strategia. E allarte della guerra6. Questaffermazione, riformulata in modo interrogativo, diventa il cuore del corso Bisogna difendere la societ: se la nozione di strategia essenziale per fare lanalisi dei dispositivi di sapere e di potere, e se permette in particolare di analizzare i rapporti di potere come tecniche di dominazione, possiamo allora dire che la dominazione non altro che la prosecuzione della guerra? In realt, la questione si suddivide i diversi problemi. E Foucault riprende allora linsieme dei nodi messi in luce sia da Clastres che da Deleuze-Guattari: la guerra rappresenta forse uno stato primo da cui i fenomeni di gerarchizzazione e di dominazione sociale derivano [Clastres]? I processi di antagonismo, che siano individuali o collettivi, sono riconducibili al modello generale della guerra [Deleuze-Guattari]? Le istituzioni e le pratiche militari sono al cuore delle istituzioni politiche [Deleuze-Guattari]? E soprattutto, da quando si pensato che la politica era la prosecuzione della guerra con altri mezzi? Lultima domanda rappresenta un primo punto di scarto rispetto agli autori fin ora citati: Clastres non pu porsi la domanda in questi termini perch pone dal principio una distinzione tra la realt politica della societ e la funzione del potere in quanto tale: ancora una volta, le societ senza Stato non sono societ senza potere ma con una funzione di leadership svuotata dal corpo sociale; esse affermano la possibilit di un altro tipo di rapporto al potere, si, ma perch non c sociale che sia senza potere. Deleuze e Guattari,
5 6 Cfr. M. Foucault, Bisogna difendere la societ, in Riassunti dei corsi, Feltrinelli, Milano, 1999. Michel Foucault, lillgalisme et lart de punir, in La Presse, 80, 3 avril 1976, ripreso in Dits et Ecrits, cit. vol. 3, testo n. 175.

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invece, non pongono il problema dellesistenza dello Stato nella storia perch ne fanno un postulato a-storico (lo Stato sempre esistito): chiedersi allora il momento storico dellapparizione di una data forma-Stato diventa impossibile, se non come pura illustrazione di una legge generale che la precede. Il corso, che si sofferma a lungo sulla rottura tra il diritto di pace e di guerra caratteristico del potere medioevale e la concezione politica della guerra a partire dal XVII secolo, cerca essenzialmente di rispondere allultima domanda; il modello di analisi della guerra viene infine abbandonato e sostituito da un paradigma di lettura dei rapporti di potere pi complesso, ci che Foucault chiama la governamentalit. Ma prima del passaggio alla governamentalit, Foucault individua comunque nel 600 un discorso storico-politico molto diverso dal discorso filosofico-giuridico legato al problema della sovranit7 e che trasforma la guerra in un fondo permanente di tutte le istituzioni di potere. In Francia, questo discorso sviluppato in particolar modo da Boulainvilliers afferma che la guerra che presiede alla nascita dello Stato: non la guerra immaginaria e ideale come nelle filosofie dello stato di natura la non-guerra che per Hobbes fonda lo Stato e gli d la sua forma8; da questo punto di vista, Hobbes et Deleuze-Guattari si differenziano solo per il modo in cui giocano la negazione: i nostri francesi direbbero invece: la guerra il non-Stato , ma una guerra reale, una battaglia, il famoso sordo brusio la cui minaccia chiude Sorvegliare e punire. Come si sa, gli anni settanta sono per Foucault un decennio dintensa riflessione politica, segnati da alcune esperienze fatte in prima persona a cominciare da quella che lo porta ad entrare, e, abbastanza rapidamente ad uscire, dal gruppo dinformazione sulle carceri (G.I.P, Groupe dinformation sur les prisons) , da una svolta metodologica essenziale il passaggio dallarcheologia alla genealogia , da un raddoppiamento del paradigma usato (dallanalisi dei mec7 8 Cfr. M. Foucault, Bisogna difendere la societ, cit. Cfr. M. Foucault, ibidem.

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canismi di disciplinarizzazione a quella dei dispositivi di controllo), e dallapparire di una costellazione di nuovi concetti i cui significati possono a volte ancora oggi sembrare maldefiniti o addirittura sovrapponibili: biopotere, biopoteri, micropoteri, biopolitica. in tale contesto che sinserisce la sua riflessione sulla guerra. Ora, due fili rossi corrono da un punto allaltro delle analisi foucaultiane durante tutto il decennio. Il primo laffermazione che ogni formulazione di un fuori (concetto che peraltro era stato largamente utilizzato da Foucault negli anni 60) concepito come esteriorit rispetto ad un limite, come eccedenza, come resto, porta inevitabilmente alla restaurazione sia di un cerchio dialettico di derivazione/affermazione della coppia dentro-fuori o limitepassaggio a limite, sia di una figura della trascendenza rovesciata la trascendenza non pi il potere nella sua separatezza ma il contro-potere (o, nel nostro caso: la guerra come non-Stato) nella sua struttura negativa. Il perno delle analisi di Mille piani viene quindi duramente criticato e Deleuze stesso, scegliendo in seguito di abbandonare la figura del fuori per quella della piega (pli), difatti, annulla quel rapporto di pura esteriorit sul quale appoggiava fin ora il suo discorso. Il problema della rottura del circolo vizioso che insieme lega e oppone potere e contro-potere ossessiona Foucault: da questo punto di vista, larticolazione tra guerra e Stato rappresenta solo un caso per giunta storicamente determinato di quel rompicapo. Ma limportanza della guerra in realt paradossalmente legata alla sua storicizzazione, poich dire che dal 600 la guerra diventa il fondo del politico in modo indissociabile dalla nascita dello Stato-nazione moderno equivale anche a dire in quale schema di potere ci troviamo ancora tuttoggi. La genealogia foucaultiana torna sempre sul presente: essa assegna alla nostra attualit non solo una data di nascita ma una griglia di lettura. Il problema quindi per noi di riprendere queste tre analisi: a Clastres lidea di un altro rapporto al potere, e la denuncia sia dello stato di natura che dello Stato come trascendenze contro le quali pu valere soltanto lassoluta immanenza della societ, la potenza del comune; ma anche

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lidea che la guerra rappresenta forse uno dei topoi dove appare la forma di un potere pre-Statale. A Deleuze e a Clastres lidentificazione del rovesciamento di rapporto di appropriazione tra Stato e guerra: mentre lo Stato integra normalmente la macchina da guerra snaturandola per farne il suo strumento, succede oggi il contrario; la macchina da guerra ha a sua volta avvolto lo Stato e lo ha strumentalizzato: ne vediamo oggi gli effetti su scala mondiale. A Foucault lidea che la guerra come fondo del politico non una restaurazione naturale ma una storicizzazione che ci permette di delineare il rapporto di dominio nel quale ci troviamo attualmente. Tuttavia, alcuni dati sono cambiati o stanno cambiando. Il venir meno progressivo della forma stato-nazionale implica una nuova articolazione del potere con la guerra. Se la guerra rimane il fondo della politica, il passaggio ad una dimensione imperiale (che, oltretutto, sancisce definitivamente la vacuit dei discorsi sul fuori) chiede con urgenza che si ridefinisca tale rapporto. Dallaltra parte, chiede anche con estrema urgenza di porre il problema dellopposizione alla guerra: dire guerra alla guerra non forse riprendere quel turbinio dialettico dal quale Foucault cercava disperatamente ad uscire e forse vi era riuscito? Lopposizione deve non solo contrapporsi ma nel medesimo momento produrre soggettivit, consapevolezza, desideri, cooperazione. Da questo punto di vista, la nostra guerra ben diversa dalla loro ed assomiglia a ci che Deleuze e Guattari chiamavano guerre di minoranza: perch prendono la guerra come un oggetto tanto pi necessario in quanto soltanto supplementare: non possono fare la guerra se non a condizione di creare allo stesso tempo qualcosa daltro. Qualcosa daltro: un nuovo comune, una nuova trib. Problema di pratica immediata, insomma, alla quale lidea della disobbedienza e dellesodo ha forse, in parte, cominciato a dare risposta. La societ contro lo Stato, diceva Clastres. Spetta a noi, trentanni dopo, farci carico della riformulazione dellipotesi: la moltitudine contro lImpero.

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ura di s

di Ian Hacking1

uesto articolo fu scritto Q nel giro di una notte a Berkeley nellestate del 1984, quando Alan Graubard, allora il curatore di University Publishing, mi disse che qualcuno lo aveva piantato in asso e che doveva rimpiazzarlo immediatamente. Nel 1982 Herbert Dreyfus e Paul Rabinow avevano organizzato unintervista (alla parigina)2 con Michel Foucault, Sulla genealogia delletica3, e lavevano pubblicata nella seconda edizione del loro libro su Foucault Michel Foucault:Beyond Structuralism and Hermeneutics (University of Chicago Press, Chicago, 1983). In unesilarante intervista, Michel Foucault descrive parte del suo work in progress. Concordava con il titolo dellintervista, Sulla genealogia delletica. Ovviamente, molte delle sue nuove idee erano catturate dal titolo solo dando alla parola etica un senso un po inconsueto. Forse Foucault aveva scritto abbastanza su ci che diciamo e facciamo agli altri
1 2 I. Hacking, Self-improvement, in I. Hacking, Historical ontology, Harvard University Press, Cambridge, 2002. Traduciamo e pubblichiamo qui il testo per gentile concessione dellautore. Lo stesso Hacking descrive questo tipo di intervista come una forma darte francese utilizzata per presentare. work in progress: destinata ad una circolazione limitata ed esposta in termini appropriati per un dibattito allinterno di un pubblico specifico (Cfr. I. Hacking, ivi, p. 74) [n.d.t.]. Lintervista stata pubblicata in Italia con il titolo Sulla genealogia delletica: compendio di un work in progress, in H. L. Dreyfus e P. Rabinow, La ricerca di Michel Foucault: analitica della verit e storia del presente, Ponte alle grazie, Firenze, 1989, pp. 257-281 [n.d.t.].

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individui. Ora era interessato a ci che diciamo e facciamo a noi stessi. Ufficiali o invalsi o privati che fossero, i codici morali avrebbero fatto parte di questo racconto, ma esiste
un altro lato delle prescrizioni morali, che il pi delle volte non isolato allo stesso modo, ma che , a mio parere, molto importante: il tipo di rapporto che si dovrebbe avere con se stessi, il rapport soi, che io chiamo etica, e che definisce il modo in cui si suppone che lindividuo costituisca se stesso in quanto soggetto della propria azione4.

Laddove precedenti nominalisti pensavano che il s costituisse le proprie categorie, Foucault riteneva non ci fosse alcun s, alcun ego, alcun io scrivente in grado di fare una cosa del genere. Ogni soggetto umano tu, io un artefatto. A causa del suo disprezzo quasi dottrinario per le forme di repressione, e del suo radicale sconvolgimento degli standard descrittivi, molti lettori potrebbero ancora ritenerlo convinto che il soggetto umano sia creato da forze di repressione. Una simile prospettiva troppo limitata. In questa intervista, egli afferma che noi costituiamo noi stessi in quanto soggetti agendo sugli altri come agenti, dunque, non come vittime. Un campo della genealogia delletica da lui progettata era certamente quello del potere che esercitiamo. Un altro era la descrizione di noi stessi in relazione alla verit attraverso cui noi costituiamo noi stessi come soggetti di conoscenza. Di nuovo, siamo noi che lo facciamo, non ci viene fatto. La storia del sapere/potere stata illustrata in modo elaborato nei testi di Foucault, ma questi erano racconti etero-diretti cosa diciamo degli altri, diciamo agli altri, cosa abbiamo detto a noi stessi in base allopinione degli altri, cosa facciamo agli altri, o abbiamo fatto a noi stessi. Questi racconti lasciano fuori il monologo interiore, cosa dico a me stesso. Lasciano fuori lautodisciplina, cosa faccio a me stesso. Quindi, omettono il permanente luogo familiare della soggettivit. Di rado la forza che ci fa condurre una vita onesta; la coscienza. Nelle scienze umane che usiamo come
4 H. L. Dreyfus e P. Rabinow, ivi, trad. mia, [n.d.t.].

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nostra guida nella vita dato meno sapere, piuttosto che sapere-di-s. Dire questo non significa un ritorno alla soggettivit. Non c niente di privato in questo uso di parole acquisite e tecniche pratiche. Lastuzia della coscienza e del sapere-di-s sta nel farle sentire private. A lungo siamo stati tenuti lontani da manuali che fornivano tecniche per la cura di s. Una genealogia delletica sarebbe quindi uno studio su cosa siano realmente queste tecniche e su come le utilizziamo su noi stessi. Dal punto di vista pi superficiale, unopera del genere sarebbe radicalmente differente dai primi lavori di Foucault, in quanto non implicherebbe improvvise trasformazioni. Egli pensava che molti tipi di sapere subiscono generalmente brusche interruzioni, cos come le forme di potere. molti dei suoi primi scritti si occupano di discontinuit, che per Foucault di solito coincidono con larrivo di Descartes e delleconomia borghese, o con la Rivoluzione francese e con Kant. Ma i codici morali cambiano molto lentamente. I Dieci comandamenti sono un codice modello. Sono brevi e abbastanza semplici da rispettare. Ancora oggi in America alcune loro varianti vengono inculcate nei bambini, e le regole onorate quasi quanto lo erano al tempo di Isaia, pare. Le ingiunzioni di Cristo sono qualcosa di diverso. Non formano un codice, ma descrivono un modo di lavorare su se stessi, di fissare impossibili ideali o di creare colpa. importante ricordare che molte tecniche del s meditazione, confessione, esercizio, digiuni, esemplari modelli di ruolo sono tanto antiche quanto gli antichi codici, ma il modo in cui sono impiegati pu differire di generazione in generazione. Foucault ha descritto a lungo le pratiche patristiche del primo cristianesimo e quelle dei Greci. Egli asseriva che i testi classici greci erano prima di tutto incentrati sulla salute, e poi sul cibo. In un celebre simposio descritto da Platone unoccasione in cui si mangia e si beve molto lastinenza dal cibo quanto dal sesso plaudita come la pi salutare norma di vita. In questi testi trattato anche un problema specifico che ha a che fare con i ragazzi. Non vero, reclama Foucault, che i Greci non erano turbati dallamore per i ragazzi. Al contrario, ci che scrivono a questo proposito tradisce un senso di malessere. La difficolt consisteva nel fatto che il ragazzo

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doveva essere passivo, privo di piacere, e ci entrava in contraddizione con il fatto che quello stesso ragazzo doveva crescere in modo da diventare un cittadino attivo. Il sesso greco, comunque, aveva a che fare con i piaceri attivi degli adulti, piaceri che si pensavano interferire con la salute. La trasformazione apportata dal primo cristianesimo, che spesso adattava pratiche e concetti pagani, consistette nel rendere passivo il piacere. Foucault ha una complessa storia da raccontare: fatta di sogni, ritiri, confessioni, penitenze e discipline di controllo tanto della mente quanto dei suoi sbocchi fisici nel corpo. Foucault era molto abile nellimporre una nuova organizzazione a del vecchio materiale. Sostanza etica era il nome con cui indicava nientaltro che ci di cui ci preoccupiamo in quanto agenti morale. la parte di noi stessi e del nostro comportamento che rilevante per il giudizio morale. La definizione di questa parte pu differire sostanzialmente. Per noi, dice Foucault, un sentimento. Per Kant era unintenzione. A questo proposito, nellintervista, Foucault porta come esempio il contrasto riscontrabile tra un filosofo ateniese e SantAgostino. La preoccupazione dellateniese innamorato di un ragazzo se lo debba toccare oppure no. Il non toccare un valore; laccento posto sullatto che lega piacere e desiderio. Agostino, ricordando il rapporto con un suo giovane amico quando era diciottenne, preoccupato dal desiderio in se stesso. Quindi, si vede che la sostanza etica cambiata. Un secondo aspetto delletica il metodo di assoggettamento: cosa si utilizza per interiorizzare tali turbamenti, e quale Verit si ritiene rilevante a tal proposito le Sacre Scritture, la voce di una droga, la sanzione della ragione, convinzioni politiche, ossessioni personali, ogni cosa al di fuori di noi che consideriamo unautorit. Un terzo aspetto interessante delletica il modo in cui riusciamo a farla funzionare. Cosa dobbiamo fare, regolare i nostri atti, o decifrare cosa siamo, o sradicare i nostri desideri, o utilizzare i nostri desideri in modo da conseguire determinati scopi, come avere dei figli, e cos via? Foucault chiama tutto ci ascetismo in un senso molto ampio. Lo chiama anche attivit di formazione-del-s: allo scopo di

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restare fedeli alla propria moglie si possono fare diverse cose al s5. Questo ascetismo perch esclude alcuni possibili modi di essere o di comportarsi al fine di perseguire uno scopo immediato. Dietro tale scopo ci si presenta il quarto elemento delletica, una teleologia, il modo di essere cui aspiriamo quando ci comportiamo in modo morale. Per esempio, diventeremo puri, o immortali, o liberi, o padroni di noi stessi, e cos via. Ci che comunemente chiamiamo etica, nella sua forma pi nobile, deve rispondere alla domanda, cosa dobbiamo fare? Cos di valore? Foucault si trovava in un terribile imbarazzo: era ricco di valori e capace di azioni, ma allo stesso tempo si chiedeva cosa rendesse possibile il problema etico. tipico degli intellettuali, sia che si autodefiniscano pragmatisti o teorici critici o accademici socialdemocratici, tormentare Foucault riguardo questo suo apparente imbarazzo, e immaginare dibattiti come questo:
E allora cosa dobbiamo fare? Beh, se volete fare qualcosa, perch non cominciate cercando di rendere meno orrendo San Quintino? No, questo non risolve il problema. Se sei nella tradizione dello smascheramento delle origini dei codici morali e delle nostre pratiche morali, allora da che parte stai? Come puoi avere valori? Come puoi avere un campo di azione, anche per unirti alla associazione per la riforma della prigione? Persino i suoi generosi intervistatori, Dreyfus e Rabinow, hanno la sensazione che Foucault ci debba un criterio che spieghi cosa rende un tipo di pericolo pi pericoloso di un altro6.

Mi sono appena ricordato di un racconto sulla morte di David Hume. Si dice che la folla tumultuante di Edimburgo si fosse radunata intorno alla sua casa esigendo di sapere quando lateo avrebbe ritrattato. Sospetto che non passer molto tempo prima che il solenne clamore degli intellettuali a proposito di Foucault risuoni tanto pittoresco quanto il latrare della folla di Edimburgo. Tale aspettativa, comunque, non
5 6 H. L. Dreyfus e P. Rabinow, ivi, trad. mia, [n.d.t.]. H. L. Dreyfus, P. Rabinow, Michel Foucault: Beyond Structuralism and Hermeneutics, University of Chicago Press, Chicago, 1983, p. 264.

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aiuta ad eliminare lattuale tensione. A questo scopo, potrebbe essere pi utile pensare a Kant piuttosto che a Hume. Foucault era un kantiano straordinariamente abile. Di rado ci si ricorda che il suo pi lungo e forse pi importante libro, Le parole e le cose, nacque dal tentativo di scrivere unintroduzione a un libro che Foucault aveva tradotto in francese, lAntropologia di Kant. Kant stato il primo a chiedersi, come problema professorale, Cos lUomo? Il saggio di Foucault una preistoria di questa domanda, che termina con la predizione, probabilmente fuorviante, che una domanda posta in questo termini sarebbe stata presto cancellata. Il suo attuale progetto sulletica, vuole inoltre utilizzare una sorta di occhiali kantiani, per un momento. Io non so che peso dare al titolo dellintervista Sulla genealogia delletica. Ovviamente ci sono delle allusioni alla Genealogia della morale di Nietzsche. Dobbiamo prendere sul serio il contrasto morale/etica? Nietzsche utilizzava la parola Moral. I titoli di Kant utilizzano il termine Sitte, che noi traduciamo con etica. Tale contrasto investe anche gli interessi di Foucault. Egli scriveva di Sitten, non di Moral. La parola tedesca Sitte si riferisce ai costumi e alle pratiche, non esclusivamente morali. Erano proprio ci di cui si preoccupava Foucault. Ma andiamo avanti. Cosa fece Kant? Intanto, trasse dalletica qualcosa di nuovo. Nellantica Grecia, largomento delletica era stato la vita virtuosa. I valori erano fuori nel mondo, e la vita virtuosa poteva essere percepita e, con diligenza, vissuta. In seguito a questo, dopo letica divina, dopo letica naturalizzata di Hume, e dopo molto altro, Kant rese letica completamente interiore, il privato dovere della ragione. A questo riguardo Foucault ribalta esplicitamente Kant. La vita di ognuno non potrebbe diventare unopera darte? La sua non era uninsipida richiesta di esteticit, ma una proposta volta a separare la nostra etica, le nostre vite, dalla nostra scienza, dal nostro sapere. Attualmente, la retorica che si occupa della vita virtuosa si basa quasi sempre sulla rivendicazione del diritto di sapere la verit sul desiderio, sulle vitamine, sullumanit, o sulla societ. Ma non esistono verit del genere, da sapere. Questo mi trattiene sul lato Kantiano delletica di Foucault. Tra le radicali novit di Kant cera la nozione

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secondo cui noi costruiamo la nostra posizione morale. Kant dice che lo facciamo ricorrendo alla ragione, ma la novit non sta nella ragione, bens nella costruzione. Kant insegna che la legge morale pu essere morale se noi la rendiamo tale. Lo storicismo di Foucault, combinato con questa nozione di morale in costruzione, conduce lontano dalla lettera e dalla legge di Kant, ma conserva stranamente lo spirito di Kant. Kant ha fondato la sua metafisica dei costumi sullidea di libert. Questo fu un altro orientamento radicale: cosa mai hanno a che fare luno con laltro etica e libert? Foucault fu sempre scettico nei confronti dei movimenti di liberazione, sia politica che sessuale, perch assumevano sempre un sapere che riferisse in che modo la liberazione avrebbe creato il vero ed oggettivamente desiderabile stato naturale di individui. Kant fece della libert qualcosa di necessariamente esterno alla provincia del sapere. Solo in ci che intrinsecamente non-si-pu-sapere ci pu essere una kantiana Fondazione della metafisica dei costumi. Lespressione che-nonsi-pu-sapere intesa letteralmente; pertiene non solo la conoscenza dei fisicisti o della gnosi degli eremiti o il misticismo dei visionari. Significa che non c niente da dire della libert, eccetto che allinterno del suo spazio noi costruiamo la nostra etica e le nostre vite. Coloro che criticano Foucault perch non ci ha fornito un luogo in cui stare, dovrebbero cominciare le loro critiche da Kant.
(traduzione di Valentina De Rossi)

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narchismo ontologico in Gilles Deleuze, ovvero come diventare un nomade ontologico


di Todd May1

chizofrenici, linee di fuga, S spazi striati, disgiunzioni inclusive, singolarit, pieghe, divenire, eventi: perch ci sono cos tante cose negli scritti filosofici di Gilles Deleuze? Deleuze, come quasi qualsiasi filosofo della storia, lascia prolificare categorie ontologiche in ogni parte dei suoi scritti. Ogni libro di Deleuze ci offre una nuova ontologia, completa di una nuova serie di nuove essenze, relazioni, possibilit e virtualit. Appena si afferra larchitettura ontologica che sorregge un libro, subito Deleuze sforna un altro libro in cui si chiede, ancora una volta, di imparare una nuova serie di termini, di esplorare un nuovo mondo e di entrare in contatto con esso. Perch Deleuze fa cos? Perch Deleuze decide di procedere in questo modo? In questo articolo voglio esplorare alcune ragioni per cui Deleuze procede cos e voglio arrivare a suggerire che ci possono essere delle buone ragioni per tutti noi di agire come lui o di leggere persone che agiscono come lui. Non voglio spiegare nessuna delle sue ontologie. E non voglio nemmeno illustrare le analogie strutturali tra le varie ontologie, eccetto che nella misura in cui ci risulti necessario per arrivare al punto decisivo. Illustrare le ontologie e le loro analogie strutturali s appropriato, ma non in questo articolo. Il mio scopo un po pi vasto e un po pi esteso. Se riuscissi a convincere qual1 T. May, Ontological Anarchism in Gilles Deleuze, Or, How to Be an Ontological Nomad, larticolo viene qui tradotto e pubblicato per la prima volta per gentile concessione dellautore.

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cuno a leggere Deleuze, tanto meglio. Se poi riuscissi solo a convincere qualcuno a guardare di buon occhio il proliferare di ontologie, dormirei comunque sonni tranquilli. Comincer dicendo qualche parola sulle ontologie, ricordandoci qualcosa che tutti abbiamo imparato, ma che facilmente viene dimenticato. Come punto di partenza sembrerebbe un po troppo ovvio, ma credo che si dimostrer non esserlo affatto. Articolare unontologia qualcosa che i filosofi fanno; un progetto specifico che ha un ruolo nella pi vasta pratica del fare filosofia. Non si articola unontologia di punto in bianco e senza un motivo. E allora per capire in che cosa Deleuze impegnato, dobbiamo capire cosa vuol dire porre unontologia nel contesto della prassi filosofica. Le ontologie, naturalmente, sono resoconti di cosa c. Non resoconti di cosa c a New York, ovvero Central Park, buoni ristoranti, senzatetto, una atmosfera europea; e nemmeno di cosa c in fisica: atomi, quarks, forze fondamentali, ecc... Le ontologie sono resoconti di cosa c. Punto. Alcuni filosofi credono che quello che c. Punto sia proprio ci che la fisica ci dice esserci. Questa potrebbe anche essere una convinzione sensata, ma i fisici in quanto fisici non ci dicono cosa c. Punto. Ce lo direbbero solamente come filosofi, vale a dire come persone che elaborano ontologie. Il senso filosofico di fare ontologie un po pi complicato, perch di senso filosofico per farle non c n solamente uno. Alcune persone fanno ontologie perch credono che ci sia parte del tentativo di arrivare ad una spiegazione esaustiva delluniverso. Per queste persone una tale spiegazione non solo richiede di capire cosa le varie scienze dicono sulluniverso, ma anche di capire come le varie scienze si relazionano tra di loro e se ci sia altro che esse lascino non detto. Altri fanno ontologie perch credono che in ci consista capire cosa significa essere umani. Dopotutto sembra che noi umani siamo s fatti di materia, ma che anche possediamo delle caratteristiche (per esempio lintenzionalit) e facciamo cose (per esempio agiamo tenendo conto della morale) che non si adattano facilmente a delle spiegazioni condotte in base alle leggi della materia. Forse una buona ontologia ci dir di pi su chi siamo e perch siamo cos.

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Anche se tali motivazioni differiscono, quasi tutti coloro che fanno ontologia hanno uno scopo in comune: vogliono sapere com fatto luniverso. Vogliono una spiegazione, o un resoconto, o una descrizione. Quello che non vogliono qualcosa di normativo. Non fanno ontologia per supportare o promuovere o inventare qualche nuovo possibile modo di agire o di esistere. Tutti tranne Deleuze. (Beh, quasi nessuno tranne Deleuze, ma la frase senza il quasi suona molto pi accattivante). Quando Deleuze fa ontologia, sta facendo qualcosa di normativo. Per capire il punto, e capire come la normativit funziona in Deleuze, dobbiamo trovare un indizio nei miei commenti di apertura. Ci sono molte cose negli scritti di Deleuze: in un libro ci sar una serie di cose, in un altro ce ne sar una differente. In effetti, anche se ci pu risultare strano di primo acchito, non unesagerazione dire che, anche se Deleuze non fa quasi niente se non ontologie, egli non ha unontologia. Ontologie, s. Una ontologia, no. Lasciatemi soffermare su qualche esempio. Nel libro pi famoso di Deleuze, la sua collaborazione con Felix Guattari che si intitola Lanti-Edipo, ci sono schizofrenici, edipici (per la maggior parte, ma non esclusivamente, sotto le spoglie di psicoanalisti), rivoluzionari, il desiderio, il sociale, disgiunzioni inclusive. Laltro pi importante lavoro che Deleuze e Guattari hanno scritto in collaborazione, Mille piani, addirittura una cornucopia di ontologie. Ci sono nomadi, eventi, macchine da guerra, muri bianchi e buchi neri, spazi lisci e striati, macchine astratte, rizomi, pacchetti e milieu... Un lavoro precedente, Differenza e ripetizione, include, tra le altre cose, differenze, un essere univoco, idee, pensiero (che non unidea), identit. Certamente ci sono relazioni e rapporti tra queste varie ontologie. Torner su qualcuna di queste relazioni tra un attimo. Quello che per voglio precisare in questo momento che, nonostante ci siano relazioni tra le varie ontologie che appaiono negli scritti di Deleuze, esse non sono le stesse ontologie. Cose differenti appaiono in scritti differenti. E da ci si pu dedurre che qualsiasi cosa abbia in mente nel costruire le ontologie che crea, Deleuze sicuramente non sta cercando di

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comprendere come stanno le cose nelluniverso. Non alla ricerca n di una spiegazione n di un inventario di ci che l fuori. In questo senso (ma non solo in questo), Deleuze come un romanziere. Non diremo mai di un romanziere che scrive diversi libri su persone diverse, che lui o lei stiano cercando di scrivere a proposito di tutti, di tutti ma non nello stesso momento. (Okay, lo si potrebbe dire di Balzac, ma di chi altro?). Lo stesso vale per Deleuze. Non sta scrivendo sugli schizofrenici in certi libri, e su cose che non sono schizofrenici in altri. Deleuze sta facendo qualcosa di pi uniforme in ciascun libro: sta facendo ontologia. solo che in diversi libri produce risultati diversi. . Ma allora cosa sta facendo Deleuze quando fa ontologia? Sta facendo quella che chiama filosofia che, come dice nella sua ultima collaborazione con Guattari, Che cos la filosofia?, un costruire concetti e persone concettuali su un piano di immanenza. Per Deleuze scopo della filosofia non capire come stanno le cose, non spiegare le cose, ma costruire le cose. La filosofia non un viaggio di scoperta, un potente atto di costruzione (naturalmente ci implica che sia anche una distruzione). Se vi suona come Nietzsche, dovrebbe: di tutti i cosiddetti nietzscheani francesi, da Blanchot a Klossowsky a Derrida, nessuno tanto nietzscheano quanto Gilles Deleuze. Per dirla con Deleuze e Guattari:
La filosofia non consiste nel sapere, non c verit che la ispiri; ci sono piuttosto delle categorie come quelle di Interessante, di Notevole, di Importante che decidono della riuscita o dello scacco non prima per di aver costruito2.

Quando Deleuze fa ontologia, o filosofia, allora sta costruendo concetti su un piano di immanenza. Non sta cercando di capire cosa c l fuori, ma e anche in ci ricorda la pratica dei romanzieri sta ponendo un problema o un
2 G. Deleuze e F. Guattari, Che cos la filosofia, Einaudi, Torino, 1996, p. 74.

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punto di vista, e sta cercando di capire dove si vada a finire partendo da tale problema o punto di vista. I romanzieri descrivono situazioni in cui un loro personaggio li sorprende non facendo qualcosa di strano (fuori dal personaggio), ma comportandosi esattamente come si pensa che tale personaggio agirebbe. I personaggi di un romanzo, in fondo, vivono di vita propria: non accettano i limiti precostituiti dellimmaginazione del proprio autore. La stessa cosa accade per i concetti di Deleuze: sviano verso questa o quella direzione, viaggiano, producono e pongono dei risultati che si sarebbero creduti al di fuori della loro portata. Come talvolta scrive Deleuze, i concetti lavorano. E in questo loro lavoro, certe volte, qualcosa viene a crearsi: si viene a creare unontologia. Questa ontologia non una rappresentazione adeguata delluniverso, e neanche cerca di esserlo ma ci non implica che sia una rappresentazione inadeguata. Anche se non una spiegazione del nostro universo, una costruzione di un universo che potrebbe essere o divenire nostro. Potrebbe essere nostro perch la costruzione ci offre un modo un modo, non il modo di articolare una visione coerente di ci che c nelluniverso e di come tutto interagisca. Ma ancora pi interessante il modo in cui una qualsiasi delle ontologie di Deleuze pu divenire nostra. nel momento del divenire nostra, o di qualcuno di noi (mia, tua e di qualche nostro amico intimo, per esempio), che la normativit dellontologia di Deleuze viene alla ribalta. La normativit dellapproccio deleuziano allontologia prende spunto da un fatto indiscutibile quanto trascurato: il modo in cui le persone vedono il mondo influenza il modo in cui agiscono in esso. Semplice, no? Le implicazioni di questo fatto sono per spesso completamente trascurate. Lasciatemi fare un paio di esempi per chiarire il punto, prima di passare ad analizzare luso che Deleuze fa di questo fatto. Secondo molte persone (secondo proprio troppe persone per i miei gusti), luniverso consiste di un mondo fisico, di un mondo spirituale e di una divinit il cui lavoro e passatempo di mettere alla prova lubbidienza di quelli che vacillano tra il mondo fisico e quello spirituale. Questo mettere alla prova si formalizza in una serie di assurdi editti riguardanti argomenti come quale genere di

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corpo dovrebbe unirsi sessualmente con quale altro genere di corpo, quale tipo di cibo deve essere mangiato con qual altro tipo, quali generi di attivit sono e quali non sono essenziali per un giusto culto della divinit. La credenza che esista un tale universo influisce su come le persone agiscono nel mondo? Guardatevi in giro! Ci sono altre persone, diciamo i Taoisti, che credono che ogni cosa sia parte di un solo tutto e che si differenzia da esso come le onde si differenziano dalloceano, distinguibili momentaneamente ma rifluenti in esso come alla propria sorgente. Per questo genere di persone provocare dolore ad unaltra creatura significa provocare dolore a s stessi oltre che al tutto da cui si originati. Si pu facilmente prevedere quali forme di vita discenderanno da convinzioni ontologiche come queste. Sicuramente saranno diverse da quelle che dipendono dallontologia precedentemente illustrata. Le persone, i filosofi in particolare, si accontentano di prendere nota di questo fatto scontato (ovvero che il modo in cui si vede il mondo influisce su come si agisce in esso) e poi si mettono a cercare di offrire una spiegazione di come le cose sono realmente, trascurando allegramente che qualsiasi spiegazione essi diano potrebbe influire praticamente su come le persone vivono la propria vita e interagiscono con le vite altrui. Deleuze non perde mai di vista questo fatto. Dunque ancora una volta nello stile di Nietzsche invece di interrogarsi su come sia il mondo per riuscire ad agire meglio in esso, Deleuze produce uninversione: prima si interroga su nuovi e interessanti modi di essere nel mondo, e solo in un secondo momento costruisce ontologie che rendano possibili tali forme di vita. Questa inversione un momento centrale del lavoro filosofico di Deleuze dunque vale la pena che io mi soffermi un momento su esso. Molti di noi (ora sveler le mie carte: io sono un filosofo, almeno per ora) pensano che il modo corretto per riuscire a costruire una vita sensata (di successo, produttiva) consista nel comprendere, almeno a grosse linee, quale sia il senso delluniverso e quale sia il nostro posto in esso, e poi decidere, grazie a tale comprensione, quali possibilit di vita siano per noi aperte. Ci non significa dire che grazie a tale comprensione, sapremmo come

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agire. Piuttosto come dire che tale comprensione esibisce il contesto e le vie in cui la costruzione di una vita si pu dare. In questa prospettiva lontologia viene prima e la normativit viene dopo. Lontologia fissa la scena per la normativit e la normativit pu avere luogo solo sulla scena fissata per essa. Per Deleuze questo modo di ragionare del tutto inappropriato. Nietzsche ha detto: Perch la verit? Perch non la menzogna?. In questo modo Nietzsche non voleva invitare a preferire la menzogna rispetto alla verit. Stava veramente facendo quello che sembrava stesse facendo: stava ponendo una questione. Non bisogna apprezzare la verit, e in particolar modo la verit riguardante questioni ontologiche, perch la verit (ontologica) in s impone rispetto; la verit (ontologica) va stimata solamente se ci aiuter a vivere le nostre vite meglio (in maniera pi originale, pi interessante, meno alienata). Per dirla con altre parole, il valore della verit (ontologica) dipende dallidea normativa di come le vite sono e dovrebbero essere vissute. Ma se le cose stanno cos, allora lecito chiedersi se, in determinate situazioni, non sia pi utile la menzogna rispetto alla verit. Certe volte lo sar, altre volte no. Il trucco di smettere di stimare la verit solo perch... beh solo perch vera. Deleuze riuscito ad eseguire il trucco, e ci risulta evidente nelle sue ontologie. Fondamentalmente a Deleuze interessa vivere. Se la verit lo aiuta, tanto meglio; altrimenti bene lo stesso. La filosofia non consiste nel sapere [...]; ci sono piuttosto delle categorie come quelle di Interessante, di Notevole, di Importante che decidono della riuscita o dello scacco. Dopo aver detto questo sulla verit, permettetemi di fare qualcosa che Deleuze non si abbasserebbe mai a fare: lasciatemi indugiare su unobiezione. Deleuze non perde tempo con le obiezioni perch convinto che se non ti piace ci che ha concepito se le ontologie che vanno bene per lui non vanno bene per te allora invece di chiedergli di aggiustare sue ontologie, dovresti o leggere qualcuno le cui ontologie funzionano anche per te, oppure auto-produrti unontologia che ti soddisfi. Per, per ragioni che oltrepassano la

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portata di questo articolo, io credo che ci siano delle obiezioni a cui vale la pena rispondere. Una di queste obiezioni riguarda la verit. Si dice spesso a proposito dei pensatori francesi contemporanei in generale, e di Deleuze in particolare, che, dal momento che essi smettono di credere alla verit, non c motivo di assumere come vero ci che essi dicono. Perch dovremmo credere loro? Io credo che sia un errore pensare che il carattere normativo dellapproccio di Deleuze allontologia lo consegni allidea che non ci sia la verit, anche se devo ammettere di non essere certo di sapere cosa Deleuze stesso pensasse al riguardo. Se si assume che la verit sia una faccenda triviale le asserzioni sono vere solo se sono corrette allora leggere le ontologie di Deleuze ci consegner a delle verit, solo che tali verit non hanno una natura ontologica. Se, per esempio, un buon motivo per assumere lontologia presente in Lanti-Edipo che essa ci libera da unauto-comprensione di carattere psicoanalitico, allora bisogna assumere (o mostrare) che sia vero che lontologia dellantiEdipo ci libera da unauto-comprensione di carattere psicoanalitico. Per mettere la faccenda in termini generali, se ci appropriamo di unontologia per le conseguenze che produce unidea implicita in molto del pensiero di Deleuze e che talvolta viene anche esplicitata allora bisogna essere sicuri di quali siano le sue conseguenze. E se si provocano conseguenze sbagliate, allora ci sar motivo per abbandonare lontologia proposta. Per dirla in termini semplici: ci si pu obbligare a certe verit riguardanti unontologia senza doversi obbligare alla verit dellontologia stessa. E tali verit riguardanti unontologia ci permettono di mantenere il primato normativo delle ontologie senza per doverci porre il problema su cosa credere o se credere affatto. (Lasciatemi aggiungere tra parentesi che tutto ci non ci obbliga a non ritenere le nostre ontologie vere. Questo non il punto: il punto che la verit delle ontologie non la loro caratteristica pi interessante). Posso ora riprendere il filo del discorso. Con in mano quello che si potrebbe chiamare il primato del normativo rispetto allontologico, abbiamo quasi tutto il

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necessario per capire la proliferazione di ontologie messa in atto da Deleuze. Laltro elemento che bisogna aggiungere riconoscere che molte ontologie tendono a limitare i tipi di vita che possono essere condotti: un attimo fa ho portato un esempio di ci esibendo il caso dellontologia fisico-spirituale-divina. Ci sarebbero molti altri esempi: lontologia kantiana, che richiede una vita moralmente decente che ubbidisca allimperativo categorico, un altro caso di ontologia che limita le possibilit normative. Queste limitazioni risultano problematiche alla luce di due ragioni di ordine normativo. Primo, che ragione c di limitare le possibilit di vita di una persona che non sta facendo del male a nessuno? Nonostante le convinzioni di Pat Robertson e i suoi seguaci ovvero lintero establishment statunitense non preferibile che vengano vissuti diversi tipi di vita? Le ontologie che limitano le vite della gente avrebbero una giustificazione normativa solo se si dimostrasse che tali limitazioni sono in un certo qual modo necessarie. Secondo e qui posso solamente abbozzare unargomentazione che voi potrete delineare con pi precisione da soli il tipo di paletti che le ontologie impongono alle vite delle persone tendono a rinforzare lo status quo. Per metterla in altri termini, le modalit di vita promosse da molte ontologie sono esattamente quelle vite che lasciano intatto lordine sociale. Al capitalismo non dispiace lontologia cristiana (ci sono battibecchi, ma solo a livello locale), e neanche gli dispiace lontologia kantiana. Ora, si potrebbe argomentare che, se il cristianesimo o il kantismo venissero presi seriamente essi sarebbero una seria minaccia al capitalismo. Non so bene come reagire a tale argomentazione, ma una cosa mi pare indiscutibile: poich cristianesimo e kantismo promuovono modalit di vita severamente limitate che non sono palesemente rivoluzionarie, essi sono facilmente co-optabili dal capitalismo. Sarebbe pi difficile invece co-optare unontologia o un gruppo di ontologie che riconoscesse e addirittura supportasse la diversit. Stiamo accedendo allontologizzare di Deleuze. Quando fa ontologia, Deleuze sta compiendo due mosse che eliminano le limitazioni associate alle ontologie tradizio-

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nali: fa della differenza la chiave di volta di tutte le sue ontologie e lascia proliferare le ontologie. Dir solo poche parole sulla prima mossa dal momento che la seconda su cui vorrei porre lattenzione. Molte ontologie mirano a collocare al proprio centro un singolo qualcosa identico a se stesso. Non lontologia di Deleuze: Deleuze ha detto pi di una volta che lEssere Differenza. Ma se la differenza, piuttosto che qualche identit, giace al centro delle cose, allora limitare le possibilit di vita delle persone equivale a tradire le possibilit che luniverso ci offre. Luniverso ci offre la differenza, vediamo cosa siamo in grado di farcene. Laltro modo di evitare i problemi associati con ontologie limitanti di costruire ontologie in abbondanza. Differenti ontologie per vite differenti. Ogni ontologia apre a delle possibilit di vita che potrebbero non essere viste attraverso le lenti di unaltra ontologia. Al desiderio e alla schizofrenia se vanno bene per te; a linee di fuga e a eventi molecolari se funzionano meglio; o forse al nomadismo che sovverte lapparato statale. Tutte queste ontologie hanno un controllo interno che previene dalla coagulazione: incorporano tutti, in un modo o nellaltro, lidea che lEssere sia Differenza. Nonostante Deleuze stia lasciando proliferare le ontologie, egli sta anche imponendo loro un controllo esterno. Sebbene si possono citare analogie e rimandi incrociati nelle ontologie di Deleuze, nessuno nessuno, o almeno nessuno su cui valga la pena soffermarsi sar tentato di dire: Questa lontologia di Deleuze, e queste sono le vite che sono conformi ad essa. E cos si arriva al nomadismo ontologico, la forma di anarchismo ontologico propria di Deleuze. Nella sua piccola gemma su Nietzsche, larticolo Pensiero nomade, Deleuze ricorda che certe comunit resistono allincorporazione nel codice di un regime dispotico. Deleuze scrive: Alla periferia le comunit entrano in una sorta di avventura, in unaltra sorta di unit, questa volta nomadica, entrano in una macchina da guerra nomade, decodificandosi invece di lasciarsi surcodificare. Interi gruppi partono, vivono da nomadi: gli archeologi ci hanno insegnato a concepire questo nomadismo, non come una condizione primaria, ma come unav-

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ventura che finisce per coinvolgere gruppi sedentari, richiamati dal fuori, dal movimento3. Il mio suggerimento e risulter abbastanza scontato a questo punto del discorso che Deleuze un nomade ontologico: vaga per il paesaggio filosofico decodificando i significanti dispotici delle ontologie tradizionali. Ma invece di stendere propri significanti dispotici, invece di costruire case e citt che non sono altro che grandi prigioni, Deleuze continua a muoversi, attratto da ci che giace fuori da ci che ha gi scritto. Le ontologie di Deleuze sono avventure, ognuna la prossima avventura, ognuna aprente a nuove e differenti vite da vivere. Vista sotto questo punto di vista, la proliferazione di ontologie di Deleuze , sotto il punto di vista normativo, la cosa pi sensata del mondo, almeno per chi a contare sono linteressante, lo straordinario e limportante. Il nomadismo ontologico di Deleuze ci ricorda costantemente che luniverso non ci dice n chi siamo n cosa c (questo uno dei significati della morte di Dio). E dobbiamo tenere ci a mente quando assumiamo un determinato punto di vista. Possiamo rendere giustizia a tale idea, e allidea che, qualsiasi punto di vista noi assumeremo, influenzer il modo in cui vivremo le nostre vite, solo ricorrendo a qualche forma di nomadismo ontologico. Sovvertiamo lidentit dal di dentro dando un assenso ontologico alla differenza, sovvertiamo lidentit lasciando proliferare le ontologie. Nessun unico principio, nessuna unica ontologia: nessun unico insieme di criteri per giudicare quali vite vadano vissute. Una nota finale. Se la lezione di Deleuze sulla proliferazione di ontologie che la proliferazione delle ontologie una cosa buona, non c nessun motivo per accontentarci delle ontologie che egli ci ha offerto. Forse la pi grande liberazione che lopera di Deleuze ha reso possibile giace davanti a noi piuttosto che dietro di noi nei suoi scritti. Se seguiamo il sentiero di Deleuze, si pu fare meglio che finire in una sua ontologia e plasmare le nostre vite in base alle prospettive che essa ci offre. Ci sono altre ontologie da essere create e altre vite da vivere, sicuramente pi di quelle che Deleuze ha
3 G. Deleuze, Pensiero nomade, in G. Deleuze, Nietzsche e la filosofia, Einaudi, Milano, 1992, p. 320.

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visto ma, forse, non pi di quelle che egli ha immaginato. Accettare la sfida di Deleuze divenire un nomade ontologico potrebbe implicare che dovremmo fare di pi che seguire uno dei sentieri che Deleuze ha battuto per noi. Potrebbe implicare che dovremmo aprire un sentiero sia ontologico che normativo attraverso le ancora non percorse possibilit che luniverso ci riserva.
(traduzione di Lorenzo Fabbri)

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rove tecniche di rivoluzione: Richard Rorty, il linguaggio tiranno e il potere delle ridescrizioni
di Lorenzo Fabbri
-Preferisco ricordare le cose a modo mio -Si spieghi meglio... -Come le ricordo io; non necessariamente come sono avvenute! David Lynch, Strade Perdute La questione politica, insomma, non lerrore, lillusione, la coscienza alienata o lideologia; la verit stessa. Di qui limportanza di Nietzsche Michel Foucault, Intervista a Michel Foucault Non troveremo mai il senso di una cosa (fenomeno umano, biologico oppure fisico) se non sappiamo quale sia la forza che se ne appropria, che la governa, che se ne impadronisce o che in essa si esprime Gilles Deleuze, Nietzsche e la filosofia

n Langoscia dellinfluenza il I critico di Yale Harold Bloom descrive luomo moderno come un individuo che si muove nello spazio della tradizione post-cartesiana. La cultura in cui gli uomini e le donne si trovano a vivere accetta la scissione formalizzata da Cartesio tra res-extensa e res-cogitans, tuttavia non trova tollerabile lescamotage a cui la filosofia cartesiana ricorre per rendere plausibile il contatto tra i due mondi e per ricomporre il drammatico dualismo che essa stessa aveva introdotto: senza laccettazione della ghiandola pineale non si pu trovare modo di giustificare la credenza in una mediazione tra i due ambiti della natura. Res-cogitans e res-extensa sono infinitamente e definitivamente lontani. Secondo Bloom, la scissione cartesiana tra mente e mondo,

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tra macchina matematica estesa nello spazio e spiriti pensanti privi di estensione, ha causato una mutazione nel significato dellespressione essere influenzato: mentre nel suo senso originario voleva dire ricevere dalle stelle un fluido che determinava il proprio comportamento e il proprio carattere, dopo Cartesio ha sempre meno senso temere linfluenza delle cose sulle intelligenze1. Allora langoscia di essere influenzati viene traslata dal suo senso originalmente spaziale ed inizia ad assumere un senso temporale: la minaccia il temporalmente lontano, il passato, piuttosto che ci che distante nello spazio. Il tempo infatti il mezzo attraverso cui le intelligenze vengono influenzate da altre intelligenze. Il demone che terrorizza alcuni uomini di appartenere al continuum del tempo, poich tale continuit con il passato la bolla di carico2 che ci destina verso lo squallido grigiore delluniformit. Ci che provoca orrore che il passato, vale a dire la mentalit tradizionale, si sia installata cos profondamente in noi da imporci di non poter essere diversamente da come sono tutti gli altri. Arrendersi alla tradizione arrendersi ad essere come la tradizione decide, ad essere come si 3. Allora soltanto dimostrando la propria discontinuit dalla tradizione in cui ci si trova gettati si pu dimostrare di essersi affrancati da un determinato sistema di potere. La conservazione schiavit; la rivoluzione libert. Ma qual il primo mezzo attraverso cui il potere della tradizione si fa strada in noi? A partire da quale momento non siamo pi liberi, non siamo pi noi stessi ma siamo gi obbligati in una meccanica estraniante? Quando, insomma, inizia lalienazione? Rifacendomi in parte alle proposte teoriche di Richard Rorty, in questo articolo vorrei dimostrare che il linguaggio non solo mezzo di diffusione e di riproduzione di un

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Cfr. H. Bloom, Langoscia dellinfluenza, Feltrinelli, Milano, 1983, pp. 4647. Cfr. R. Rorty, La filosofia dopo la filosofia, Laterza, Roma-Bari 1989, pp. 3335. Cfr. M. Heidegger, Essere e Tempo, Longanesi, 1976, Milano, par. 40, pp. 231-239.

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sistema sociale dato, ma anche luogo in cui possono darsi forme di antagonismo contro lo status quo. Tema centrale del pensiero di Rorty la convinzione che il linguaggio sia la macchina da guerra attraverso cui primariamente il potere della tradizione ci configura. In un cocktail esplosivo fatto di Ricerche filosofiche di Wittgenstein, di ermeneutica europea contemporanea e di nuova storiografia della scienza di Kuhn, Rorty considera il linguaggio come lo strumento con cui si plasma la realt, il paradigma attraverso cui non possiamo fare a meno di guardare attraverso quando ci relazioniamo con il mondo, la visione egemone sul reale. Piuttosto che essere effetto della realt, di esserne una rappresentazione adeguata e accurata, il linguaggio la causa della realt. Questo non vuol dire che, in una sorta di radicalizzazione dellidealismo tedesco, il linguaggio provoca la realt, ma che il linguaggio il responsabile del senso che la realt viene assumere per noi. Quando si scrive che Il ny a pas de horstexte4 che non c un fuori-testo si vuole suggerire proprio che impossibile incontrare il mondo puro, che non ci possiamo mai semplicemente riferire ad una realt pre- ed extra-linguistica; dovunque ci voltiamo in cerca delle cose stesse, alla ricerca di qualcosa che avrebbe potuto aver luogo fuori dalla lingua5 troviamo solo linguaggi e proposizioni. La lingua ci che rende possibile pensare che esistano le cose-in-s-stesse: oltre ad essa, senza essa niente pu darsi. questo il senso che Rorty attribuisce al famoso slogan derridiano: non c nulla al-di-l e oltre i vocabolari se non altri vocabolari poich Fra noi e le cose considerate interviene sempre la mente, il linguaggio, una prospettiva scelta tra dozzine, una descrizione scelta tra varie migliaia6. Di chi la lingua che parliamo? Da dove proviene? Quale prospettiva favorisce? Che conseguenze ha la descrizione delle cose che essa ci offre?

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J. Derrida, Della grammatologia, Jaca Book, Milano, 1969, p. 51. J. Derrida, ibidem. R. Rorty, Filosofia professionistica e cultura trascendentalista, in Conseguenze del pragmatismo, Feltrinelli, Milano, 1986, p. 89.

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Siamo tutti madre-lingua: parliamo tutti una lingua che ci madre poich in essa e attraverso essa siamo nati. Lingua materna, la lingua parlata dalla madre e dal padre, dalla famiglia e della scuola, nel privato della casa e nel pubblico della piazza. soprattutto di altri, della tradizione, del passato. una forza che ci determina gi prima del momento in cui iniziamo ad essere nel mondo. Ereditando una lingua ereditiamo una forma di vita: ereditiamo una certa idea (= visione) di noi stessi, di ci che reale, di ci che possibile, di ci che irrealizzabile. Consideriamo reale, vero, necessario, ci che siamo stati educati a ritenere tale: la realt, il suo senso, solo una convinzione, nientaltro che una convenzione. E il linguaggio proprio lapparato che produce una tale eredit. Certe volte accade per che la forma di vita a cui la lingua ci consegna, s nostra, ma non lo perfettamente; non perfettamente nostra perch essa patrimonio di determinate forze nonch veicolo di produzione e di trasmissione di determinati valori, visioni, convinzioni, convenzioni, a cui non crediamo pi. Certamente impossibile uscire dal linguaggio che parliamo come lo uscire dalla nostra pelle, ma si pu scegliere se mantenere la pelle come labbiamo ereditata o lottare con essa e riconfigurarla secondo la nostra volont. Se siamo terrorizzati dallangoscia di essere influenzati dagli spettri del passato che, abitando il linguaggio, ci abitano, di ripetere la loro voce, saremo costretti ad elaborare dei modi per sfuggire ad essi: cos facendo si riuscir a possedere una lingua propria che consenta di limitare al minimo la compromissione con la tradizione in cui ci si trova gettati7. Il lato angosciante del problema di come evitare la potente invasione degli ultracorpi linguistici in noi che la scelta di non assumere una determinata tradizione socio-culturallinguistica, di mantenersi puri e incontaminati dai germi del passato, non pu essere fatta se non nella lingua da cui vorremmo sfuggire. Paradossalmente solo a casa propria che ci si pu sentire non a casa propria! Il desiderio di non essere toccati da un determinato sistema possibile soltanto se tale sistema ci ha gi profondamente toccato. Ci che rende pos7 Cfr. H. Bloom, Langoscia dellinfluenza, cit. pp. 32-33.

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sibile il desiderio rischia di rendere impossibile la sua realizzazione. La paura dunque non tanto di essere inondati dal virus del potere, quanto di essere stati gi-da-sempre influenzati da esso: siamo in ritardo rispetto alla stessa interiorizzazione che abbiamo compiuto del linguaggio del potere. Ci che terrorizza maggiormente dei germi del passato che si pu lottare contro la loro venuta solo dopo che essi sono gi venuti. In questottica viene immancabilmente a essere sospesa la promessa marx-marcusiana di una liberazione completa delluomo dallalienazione, ovvero una liberazione tout court da un determinato sistema sociale e la restaurazione di unumanit finalmente vera. Il potere-linguaggio non un mezzo di repressione che ci preclude a delle possibilit di vita propriamente proprie, non una catena che inibisce la vera natura delluomo, bens appare come lo strumento produttivo che ci consente di esistere. Non essere influenzati da nessun sistema di potere coinciderebbe con il non parlare nessuna lingua, con lessere muti, con il non poter comunicare. Di essere consegnati ad un autismo cos radicale da non consentire neanche una qualche forma di linguaggio interiore tra s e s. Limmagine tradizionale di potere, quella pre-foucaultiana, descrive il potere come un complesso meccanismo che sarebbe riuscito a ridurre al silenzio qualcosa di profondamente proprio delluomo. Ma senza linguaggio, senza potere, non ci sarebbe nessun s. Il potere-linguaggio non solo una potenza che dice no, che ci costringe; piuttosto una pervasiva contaminazione i cui bacilli virulenti configurano i corpi, producono cose, inducono piacere, formano del sapere, producono dei discorsi. Il potere/linguaggio
bisogna considerarlo come una rete produttiva che passa attraverso tutto il corpo sociale, molto pi che come unistanza negativa che avrebbe per funzione quella di reprimere8.

Le credenze vengono considerate come leffetto di un network orizzontale tra discorsi, piuttosto che il risultato del
8 M. Foucault, Intervista a Michel Foucault, in Microfisica del potere, Einaudi, Torino, 1977, p. 13.

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rapporto verticale tra cose e proposizioni. Non sono primariamente le cose ad essere responsabili delle proposizioni attraverso cui noi descriviamo la realt: linfluenza maggiore la subiamo da altre proposizioni. C un non fondamentale che attraversa gli essere umani: questo non consiste nel fatto che sono stati i discorsi altrui, non i nostri, a rendere possibili le nostre possibilit di vivere il mondo, le nostre credenze. Per il nostro esistere siamo in debito con una determinata rete di potere. Abbandonare lidea che la verit sia qualcosa che vada scoperto. La verit va prodotta: questo il presupposto da cui Rorty parte per evitare il vocabolario della filosofia occidentale. La natura non ha unessenza intrinseca che bisogna rispecchiare nelle proposizioni. Quello che Rorty si chiede quali siano le conseguenze del prendere sul serio lidea che la verit consista in un creare piuttosto che in uno scoprire. Che conseguenze ha, per esempio, sullidea che abbiamo della natura umana? Che conseguenze ha sul modo di concepire lagire politico? Frederic Jameson, nel bestseller socio-filosofico Il postmoderno o la logica culturale del tardo capitalismo9, traccia una preoccupante diagnosi di ci che teorie come quella di Rorty provocherebbero o hanno gi provocato. C stata una corrente della cultura contemporanea che, forse influenzata anche da una certa ricezione delle avanguardie filosofiche di origine francese (Foucault, Derrida, Lyotard...), ha preferito desistere da ogni forma di resistenza e di critica nei confronti del sistema di potere in cui ci troviamo immersi. Lo spirito antagonista sembrato sopito. Un preoccupante regime di afasia politica sembrava regnare inconstrastato. Invece di resistere allinvasione del linguaggio egemonico della tradizione si reputato pi opportuno abbandonarsi completamente ad esso, limitandosi ad esibire il proprio indebitamento con un determinato ordine di discorso e di potere: se le proposizioni dipendono solo da altre proposizioni, viene a cadere lidea che ci sia una lingua
9 Cfr. F. Jameson, Postmodernism or The Cultural Logic of Late Capitalism, Duke U.P., Durham, trad.it. del solo capitolo I, Il postmoderno, o la logica culturale del tardo capitalismo, Garzanti, Milano, 1989.

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migliore delle altre, che sia patria del vero rispecchiare e le cose e lessenza non alienata e liberata dellessere umano. La parodia critica si trasformata in svago masturbatorio estetizzante e apolitico10: per esempio il pastiche citazionista di molto cinema contemporaneo, si pensi a De Palma o a Pulp fiction, non pu essere interpretato se non come esibizione della necessit di essere indebitati con altrui discorsi. Non si sar pi costretti a disalienare o purificare il proprio vocabolario, perch un vocabolario virginale, non penetrato da vocabolari e centri di potere altrui, non possibile. Io credo che per la strada dellesibizione della crisi di senso non sia lunica possibile da percorrere. Si pu anche cercare di capire e di modificare le procedure che permettono al senso di prodursi: influendo su tali meccanismi si influir sui sensi prodotti. I filosofi greci sono stati i primi a dichiarare di aver scoperto cosa significasse essere umani: svelando lessenza delluomo si trovano le condizioni universali e permanenti della vita. Dopo i Greci vennero gli scienziati empirici, poi il trascendentalismo tedesco, poi gli spettri del marxismo. Tutti erano ansiosi di dirci le stesse cose:
Dissero che ci avrebbero spiegato qual era il potere supremo, la natura della realt, la condizione della possibilit dellesperienza. Cos ci avrebbero insegnato ci che siamo realmente, ovvero ci che forze diverse da noi ci costringono ad essere. Ci avrebbero mostrato il marchio che fu impresso a tutti noi11.

Ma chiudere con lidea che ci sia una natura umana che non morir, una vera natura umana che una determinata tradizione di potere ha sostituito con una finta identit sociale non adeguata allessenza delluomo, non credo che porti automaticamente allo sciopero dalla politica, che, come Jameson ha messo in evidenza, ha sedotto una parte delllite culturale mondiale. Anche se siamo convinti che non c nessuna essenza umana che vada salvata dalle pratiche alienanti della societ tardo-capitalistica, non credo che si debba
10 11 Cfr. F. Jameson, ivi, p. 35-63. R. Rorty, La filosofia dopo la filosofia, cit. p. 36.

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per questo smettere di opporsi alle pratiche alienanti della societ tardo-capitalistica. Quel melting-pot che la filosofia di Rorty non ci obbliga a rinunciare allidea di comprendere la nostra essenza o di comprendere ci che l fuori: tutto quello che si dovrebbe imparare dalla lettura rortiana delle opere di Nietzsche di considerare la comprensione a cui miriamo non come uno svelare, ma come un creare. Conoscere per il filosofo tedesco coincide con linventare. Nella prospettiva di Nietzsche raggiungere la conoscenza non significa arrivare a conoscere una verit che era sepolta dentro di noi o fuori nella realt: per lui la verit creazione. Il sole, la stella pi vicina alla terra, nel mito della caverna che Platone nella Repubblica12 fa recitare a Socrate e a Glaucone, viene descritto come ci che rende possibile, attraverso la sua luce, lapparire delle cose, il loro manifestarsi; ugualmente lartefice colui che riesce con la sua brillante illuminazione a creare possibilit di esistenza e nuove verit. Mentre i filosofi tradizionali sono impegnati nel tentativo di ricercare le condizioni di possibilit del reale, il desiderio che muove tutti gli artefici, siano essi politici, filosofi, artisti, di rendere possibile qualcosa che prima del loro avvento non era neanche lontanamente immaginabile: si vuole inventare una realt nuova piuttosto che svelare le condizioni di possibilit di una realt ad essi pre-esistente, si vuole porre innanzi un nuovo sole che imponga una nuova luce sul mondo. Un nuovo faro in base a cui orientare lo stile tipico con cui si affronta la vita. Se vero che tutti siamo effetti di potere, non vero che tutto lo siamo allo stesso modo. Alcuni, invece di accontentarsi del modo standard di essere nel mondo, invece di seguire educatamente le regole del linguaggio della tradizione, sfidano la tranquillit della verit e producono nuove ridescrizioni della realt. Rorty intende per ridescrizione non latto riproduttivo con cui si usano nuovi giri di discorso per esprimere un senso gi dato al senso comune o magari ancora nascosto nella profon12 Cfr. Platone, La Repubblica, Rizzoli, Milano, 1996, VII, 514 a, 2-517 a, 7.

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dit delle cose. Ridescrivere, per Rorty come per Nietzsche, latto artistico, poetico, attraverso cui il mondo viene investito di un senso radicalmente nuovo. Secondo il positivismo, ma anche secondo la tradizione platonica, lopera darte uno strumento pedagogico utile per rappresentare la realt evitando la difficolt per alcuni di adoperare un linguaggio radicalmente razionale: se arte e indagine razionale entrambe svelano la verit dellessere bisogna anche rimarcare la discrepanza che le separa13. Mentre, infatti, lartista si avvale di immagini che offrono le cosa solo tramite adombramenti, il filosofo lascia apparire lessenziale stesso della cosa, ci che le proprio: la sua idea. Lartista pur avendo anchegli di mira lidea, non pu coglierla adeguatamente; la sua arte costretta presentare la verit della cosa solo offuscandone e opacizzandone lo splendore. Rorty cerca di convincerci a sbarazzarci della concezione che la ridescrizione, in quanto arte, sia un lasciar apparire mimetico la realt. Dobbiamo pensare che arte e ridescrizioni, piuttosto che essere dei nuovi modi per esprimere dei vecchi sensi, dei significati che pre-esistono alla creazione poetica, istituiscano dei sensi assolutamente nuovi. Fare ridescrizioni, ovvero produrre unopera darte, vuole dire interrompere bruscamente una conversazione normale e introdurre delle insolite proposte di riforma volte a rivoluzionare il modo in cui le cose appaiono. Una ridescrizione un nuovo sole che illumina con un nuovo senso la realt. Non sono le cose a determinare il loro senso, bens la prassi linguistica che, obbligando a revisione gli eventi, raccontando di esse una storia, riesce a ri-configurarle. La realt presente in noi solo come evento il cui senso viene ad essere determinato post-festum, molto dopo la sua effettiva presentazione. Gli accadimenti tracciano, hanno gi da sempre tracciato, su quella tavoletta che la nostra coscienza delle tracce il cui significato viene inventato solamente a posteriori, nachtrglich, come scrive Freud. Bisogna che ci sbarazziamo dellidea che la ridescrizione voglia comunicare in modo nuovo un senso che sarebbe
13 Cfr. M. Heidegger, La volont di potenza come arte, in Nietzsche, Adelphi, Milano, 1994, p. 21-215.

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potuto essere comunicato anche mediante un discorso tradizionale: se si voleva significare qualcosa, ovvero usare un gioco linguistico largamente diffuso, lo si sarebbe fatto! Sia lopera darte che la ridescrizione hanno origine a causa della percezione dellinsufficienza del vocabolario comunemente accettato. Ci accorgiamo che esso inadatto alla soddisfazione di alcuni bisogni che sentiamo impellenti; le ridescrizioni e le opere darte sono i modi con cui cerchiamo di raggiungere scopi che il linguaggio familiare, la lingua del padre o della madre, non si trova a poter conseguire in quanto nel momento della sua istituzione non era neanche immaginabile la possibilit di un tale pulsione. Innestando il vocabolario di Foucault in quello di Rorty, si potrebbe dire che la lingua della tradizione non solo determina la nostra essenza creando per noi un regime di normalit, ma oltrepassando le sue intenzioni, crea anche un desiderio che rende possibile persino la devianza rispetto a tale ordine di potere. Il potere non riesce ad istaurare un dominio senza punti deboli, il delitto che compie non perfetto, completamente compiuto. Se il linguaggio fosse uniniezione che, iniettandoci un siero, inducesse in noi determinati comportamenti14, allora dovremmo concludere che ogni forma di resistenza ad esso sarebbe inutile: se lo fosse, la produzione linguistica di senso sarebbe uno spazio pacificato da una pace perpetua e non lo spazio in cui diverse visioni del mondo lottano per conquistare legemonia. Bisogna allora ipotizzare che non ci sia un unico centro di potere, ununica forza, un unico produttore di linguaggio, di senso, perch altrimenti ogni forma di resistenza sarebbe stata gi eliminata e noi saremmo consegnati ad un regime senza contraddizione, senza contraddittorio. (Potrebbe anche essere che la macchina di dominio talmente perfetta che pu addirittura produrre senza rischio un certo grado di dissidenza rispetto a s stessa?). Ma se il paradigma descrittivo della tradizione non senza alternative,
14 In questi termini stata spesso descritta lazione dellindustria culturale sulle coscienze e sui comportamenti degli individui. Se una persona raggiunta da un determinato messaggio, pu essere manipolata, indotta ad agire: questo limpianto in cui si basa il modello comunicativo della teoria ipodermica degli anni 20 e che rimane, forse, anche nelle rielaborazioni francofortesi.

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allora sempre pi necessario, per non essere riassorbiti nella pi cupa unidimensionalit, che coloro che percepiscono la possibilit di un mutamento paradigmatico nel modo di vivere la vita e nel senso da attribuire alle cose, sfidino puntualmente e capillarmente lordine del discorso abitualmente dato. Le novit di senso che talvolta irrompono sulla scena del dibattito umano, se accolte con gusto da molte persone, entrano sempre con pi frequenza nei giochi linguistici che ci capita di usare. Se una ridescrizione ha successo essa riesce a introdurre nuovi effetti di verit nel vocabolario che viene usato: si pu dire che essa poetica perch riuscita a produrre un senso originale; larte, afferma Rorty richiamandosi nuovamente al pensiero di Nietzsche, consiste proprio nella posizione di nuove verit. Lartista colui che, reagendo ai valori tradizionali, ne vuole generare di nuovi. Tale creazione pu avere luogo solo se si percepisce la necessit di deviare dal vocabolario della societ in cui si vive, dal sistema di valori con cui e in cui essa giudica le cose. Larte, per il filosofo tedesco e per quello americano, la modalit in cui il senso degli enti viene demiurgicamente forgiato, fatto essere. Nietzsche, focalizzando la sua attenzione sulla dimensione creativa, legiferante e formatrice propria dellarte15, cerca di isolare due diverse tipologie di attivit creatrice: in questo modo che giunge allantitesi tra classico e romantico16. Romantica la modalit di creare che nasce dallinsoddisfazione verso ci che si ha.
Ci che veramente crea qui linsufficienza, la ricerca di un totalmente altro, il desiderio e la fame. [] La possibilit opposta consiste che non la mancanza ma la pienezza, non il cercare ma il pieno possesso, non il desiderare ma il donare, non la fame ma la sovrabbondanza ci che crea. [] Lesigenza del divenire, di diventare altro e perci di distruzione pu ma non necessariamente deve essere espressione della forza stracolma gravida di futuro. larte dionisiaca. Lesigenza di cambiamento e

15 16

M. Heidegger, La volont di potenza come arte, cit. p. 137, cfr. p. 137-143. Cfr. F. Nietzsche, La volont di potenza, a cura di M. Ferraris e P. Kobau, Bompiani, Milano, 1995, par. nn. 843-850.

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di divenire pu per scaturire anche dallinsoddisfazione di coloro che odiano tutto ci che sussiste, per il fatto che sussiste e sta. Qui creatrice lindignazione di coloro che sono privi di qualcosa, degli sventurati e dei malcapitati, per i quali ogni superiorit sussistente gi in s una obiezione contro il diritto della sua sussistenza17.

Lartista romantico, afferma Nietzsche, non pu che essere un deviato: lesigenza di creare il senso nasce da una patologica incapacit di accettare la verit che sussiste nel consenso pubblico. Lartista il libertario che fonda una storia inaspettata. Si modifica la realt che un paradigma egemonico ci offre attraverso la posizione di un paradigma altro. Si dice s a una nuova realt che riesca finalmente a colmare la mancanza a cui siamo obbligati, a lasciar appagare esigenze nostre perch proveniente da centri di potere tradizionalmente privati della possibilit di produrre senso, e, dunque, di produrre realt. Bisogna fare spazio a forze non tradizionali. Il solido linguaggio che usiamo abitualmente un cimitero di ridescrizioni ormai morte, di menzogne che qualcuno tempo fa ha iniziato a propinare e a cui abbiamo finito per credere. La verit stessa non altro che una menzogna che abbiamo perso labitudine a ritenere tale. Invece di considerare la verit come una realt eterna che la filosofia ha il compito di svelare, la si considera come un artefatto linguistico di cui spesso i lineamenti fondamentali vengono alterati. questo il motivo fondamentale per cui chi si dedica alla critica sociale, invece di considerarsi un super-scienziato, si dovrebbe considerare, a parere di Rorty, un alleato dei poeti; il soggetto poetico e il soggetto politico sono occupati nellattivit di creare nuovi mondi, di offrire nuove ridescrizioni della realt: sono entrambi artefici. Sulla base di queste riflessioni la storia delle idee viene ad essere pensata come il tentativo polemico di nuove descrizioni di sostituirsi a verit ormai consolidate. Stringendo i tempi dellargomentazione vorrei rendere ancora pi esplicito il valore politico che una concezione delle ridescrizioni, dellarte e del linguaggio come quella di
17 M. Heidegger, La volont di potenza come arte, cit. p. 139.

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Rorty pu arrivare ad avere. Esso appare evidente anche in base a talune riflessioni di Foucault sullidea di verit. Mi riferisco a ci che il pensatore francese dice alla fine in unintervista fattagli nel 1976. Ci che Foucault afferma che non ci pu essere verit se non allinterno di un determinato sistema di potere: La verit di questo mondo; essa vi prodotta grazie a molteplici costrizioni18. Allora lo scopo di chi con le verit ereditate dal linguaggio tradizionale non vuole avere pi a che fare di riuscire a creare nuove verit. Non si tratta di liberare dal potere la verit, luomo, il linguaggio, quanto di dare voce a nuovi centri di potere e nuove forze sociali tradizionalmente azzittite dallegemonia di pochi, di produrre nuovi effetti di verit e di linguaggio. La scelta di supportare un nuovo vocabolario, e con esso delle nuove verit, non pu avvenire in base a delle giustificazioni di ordine epistemologico o ontologico: non si pu dire che il nuovo linguaggio pi vero, meno asservito a delle logiche di potere. La scelta di innovare e di essere dissidenti rispetto a un determinato stile tipico linguistico-sociale non pu che arrivare ad avere esclusivamente un fondamento etico. Vogliamo altro da ci che c perch il nuovo possibile migliore, ovvero pi in linea con determinate nostre esigenze. Le descrizioni che si sceglie di supportare saranno quelle pi utili alla realizzazione di determinati progetti politici sociali, che, necessariamente, saranno di parte, partigiani, non di tutti e universali. Per Rorty si deve calcolare lopportunit di una certa innovazione di senso e di un determinato discorso, non cavillando su quanto essi rispecchino delle realt sussistenti prima del nostro racconto, bens valutando quanto possano produrre determinati effetti di realt e di verit utili, economici, vantaggiosi per noi. Quali forze vogliamo favorire con il nostro discorso?, questa la domanda che secondo Rorty dovrebbe guidare le produzioni di senso in cui siamo quotidianamente impegnati. Leffetto di alcune visioni innovative dellagire politico che il ventesimo secolo ha prodotto, di smettere di considerare possibile la critica dellideologia: dopo Foucault non ci si
18 M. Foucault, Intervista a Michel Foucault, cit. p. 25.

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dovrebbe pi impegnare a fare delle divisioni fra ci che, in un discorso, dipende dalla scientificit e dalla verit e ci che dipenderebbe da altro19. La nuova responsabilit politica consiste nel produrre nuovi discorsi, nuovi sensi, nuovi effetti di verit antagonisti rispetto al sistema di potere e di verit gi dato.
Non si tratta di affrancare la verit da ogni sistema di potere sarebbe una mera chimera dal momento che la verit essa stessa potere ma di staccare il potere della verit dalle forme di egemonia (sociali, economiche, culturali) allinterno delle quali per il momento funziona20.

Essendo il linguaggio silenziosamente ovunque, essendo concretamente presente nella sua spettralit, bisogna che, come nel film Signs, linvasione degli ultracorpi del potere, di un determinato potere, si contrasti con una pratica di resistenza capillare, casa per casa, attribuzione di senso per attribuzione di senso, produzione culturale per produzione culturale. Ecco un aforisma di Nietzsche sorprendentemente simile ad una celebre tesi marxiana:
I filosofi non devono limitarsi a ricevere i concetti, a purificarli a rischiararli, ma devono cominciare col farli, col crearli col porli, e cercare di inculcarli21.

In quanto primo strumento di attribuzione di senso al mondo, il linguaggio eletto nel discorso di Rorty uno dei luoghi privilegiati dello scontro politico: terreno di lotta, campo di battaglia in cui sensi opposti e ridescrizioni contrastanti si sfidano. E allora affinch la resistenza non sia inutile necessario che tutte le forze che condividono un progetto di radicale avversione a ci che sussiste qui e ora e che hanno maggiormente a che fare con il linguaggio e con gli strumenti della sua riproduzione (per esempio media attivisti, registi,
19 20 21 M. Foucault, ibidem. M. Foucault, ivi, p. 28. F. Nietzsche, Frammenti postumi 1884-1885, in Opere, Adelphi, Milano, 1975, vol. VII, tomo III, p. 164.

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filosofi, produttori di telefilm, cellule post-situazioniste, romanzieri, musicisti...) collaborino nel creare un nuovo orizzonte di senso e di consenso in cui una pratica di conflitto possa darsi: infatti, secondo Rorty, le speranze di un cambiamento sociale e politico non risiedono in una lucida analisi del reale (tipo Blow-up) quanto piuttosto in una sua radicale e potente ridescrizione. Sinteticamente, e forse anche in maniera troppo semplicistica, si potrebbe dire che Rorty, invertendo la procedura marxiana, parte dai prodotti sovrastrutturali per riuscire a suscitare una radicale scossa nelle basi strutturali. E allora il consiglio che si pu trarre dallopera di Rorty, magari anche oltrepassando le sue intenzioni, di ribaltare il segno politico dei media dellindustria culturale: quegli stessi mezzi e quelle stesse strategie che il sistema di potere in cui ci troviamo gettati ha tradizionalmente usato per neutralizzare la carica virulenta di alcuni attori sociali, dovrebbero diventare gli agenti catalizzatori dello spettro della protesta.

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he significato dare al termine globalizzazione?


di Massimo De Carolis

1. Lipotesi della glocalizzazione termini globale e globaI lizzazione non possiedono ancora lunivocit e la trasparenza dei concetti scientifici. Ne una riprova la recente introduzione, nella letteratura sociologica, del neologismo glocalizzazione: unespressione coniata propriamente nel gergo degli affari sul calco di una parola giapponese1, che mira a porre nel dovuto risalto lintreccio tra il piano locale e quello globale in cui situato, oggi, ogni evento socialmente significativo. ancora presto per capire se questossimoro debba entrare stabilmente nella discussione teorica sulla societ contemporanea, o se sia invece destinato a orbitare ai suoi margini per restarvi uno dei tanti esercizi di autoribaltamento tentati, per lo pi senza seguito, dalla ricerca scientifica. In ogni caso, la proposta lessicale ha il merito sicuro di sdrammatizzare la catena di opposizioni enfatizzate nelle versioni pi popolari e ideologiche della teoria locale contro globale, uniformit contro differenze, processi sistemici contro processi dindividuazione, ecc. segnando cos un utile spartiacque tra le semplificazioni divulgative e i modelli di ricerca veri e propri, portati per lo pi a un maggior rispetto della complessit e dellambivalenza dei fenomeni sociali.
1 Lespressione giapponese dochakuka e indica, in origine, la necessit di adattare le tecniche agricole alle particolari condizioni ambientali. Negli anni Ottanta la si usata in Giappone per designare una particolare strategia di diversificazione dei prodotti destinati al mercato globale. In proposito cfr. Robertson 2002.

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Ai livelli alti, in effetti, il gioco tra le categorie appare gi da sempre pi duttile e sofisticato. Nella ricerca di Giddens sul valore sociale dello spazio e del tempo, ad esempio, lenfasi cade sul modo in cui gli assetti locali, nelle societ avanzate, si riorganizzano su parametri globali; in Ulrich Beck lindagine sui processi dindividuazione presuppone, in parallelo, lestensione dei codici globali; e in Luhmann vale infine come principio basilare che la diversificazione sociale coincida con un grado elevato dintegrazione sistemica2. Se guardiamo insomma alla ricerca pi accreditata, almeno in Europa, possiamo considerare come un punto sufficientemente condiviso quello che Robertson esprime con una formula concisa ed efficace, e cio che la globalizzazione ha comportato la simultaneit e linterpenetrazione di ci che convenzionalmente chiamiamo globale e locale o, in forma pi astratta, universale e particolare.3 Riconoscendo questa complicata trama dinterpenetrazione e simultaneit, la teoria evita il rischio di cadere troppo al di sotto della complessit dei fenomeni che chiamata a interpretare. Allo stesso tempo, non va nascosto che questinterpretazione si grava ora esattamente di quegli oneri e problemi di cui le semplificazioni ideologiche hanno pi motivo di volersi disfare. Lo si nota gi solo sfogliando lagenda dei problemi di pi immediata attualit politica legati al tema della globalizzazione ad esempio: disuguaglianze, esclusione sociale, conflitti. Questi problemi emergono dalla semplice ricognizione empirica, e sono perci un presupposto della teoria e non un suo risultato. In altri termini: noi sappiamo che i processi di globalizzazione, almeno allo stato attuale, accentuano le disuguaglianze, approfondiscono il solco tra inclusione ed esclusione e accendono nuovi conflitti e abbiamo bisogno di una teoria che ci permetta di orientarci in questi problemi emergenti. Ora, rispetto a versioni pi semplici e magari partigiane, una teoria sensibile allintreccio tra locale e globale rischia paradossalmente di rendere questorientamento pi aleatorio anzich pi facile. Si sar portati infatti a sottolineare che le culture locali, che lamen2 3 Cfr. rispettivamente Giddens 1990, Beck 1993 e Luhmann 1987. Robertson 2002, nel dattiloscritto a p. 8.

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tano esclusione e disuguaglianza, devono a volte la loro stessa sopravvivenza alle dinamiche globali; che il mercato planetario in ogni caso direttamente interessato a diversificare messaggi e prodotti, fino a includere nel proprio campionario ogni genere di esotismo; che, infine, le appartenenze tradizionali su cui si pretende di misurare lo sradicamento del presente sono spesso una produzione mitologica dellultima ora. Anche al di l delle sue stesse intenzioni, una teoria cos impostata corre insomma facilmente il rischio di trasmettere un messaggio di tranquillizzazione che cio, quali che siano le apparenze, non sta accadendo nulla di terribile. Chi per stenta a sentirsi tranquillo chi, ad esempio, trova un po riduttivo spiegare lundici settembre come un difetto di flessibilit di alcune frange dellIslam contemporaneo4 costretto, pena il ripiegamento sulle semplificazioni, ad alzare ulteriormente il tiro dellanalisi, sforzandosi di mettere a fuoco dallinterno le dinamiche e i conflitti potenziali di una societ globale. In un certo senso, unanaloga necessit di approfondimento concettuale dettata anche dallaccezione originaria del termine glocalizzazione, usato in ambito economico per indicare una precisa strategia di marketing quella per cui un prodotto rivolto al mercato planetario dovr adattare i suoi requisiti e il suo messaggio promozionale alle circostanze locali in cui opera volta per volta. Sar anche lecito dedurre da queste strategie un interesse del mercato per la diversificazione e quindi una dialettica complessa tra luniformit dei parametri globali e la variet delle loro concretizzazioni. chiaro per che non la stessa cosa se la diversit delle forme di vita e di consumo rispecchia la reale esistenza di una pluralit di mondi relativamente autonomi, o se invece sopravvive solo come elenco di varianti sullo stesso campionario di merci globali. Approfondire questa differenza vuol dire per
4 Robertson 2002, nel dattiloscritto a p. 23: it can be said that there has been insufficient adaptation to specific aspects of the modern global circumstance on the part of some strands of contemporary Islam as a religiocultural phenomenon. Yet, on the other hand, there has been perhaps, a somewhat less significant failure on the part of Western Christianity, as a general religiocultural phenomenon, to adapt to global variety.

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far dipendere il senso delle singole forme di vita dal loro rapporto con le forme di riproduzione dei grandi sistemi sociali e quindi ridefinire il concetto di globalizzazione in termini pi speculativi e rarefatti di quanto non accada, di norma, nelle stesse scienze sociali. 2. Postmoderno e globalizzazione Uneventuale via daccesso ai problemi che gravano su ogni teoria della globalizzazione pu essere aperta da qualche riflessione sulla storia o, pi esattamente, sulla preistoria recente di questa teoria. In generale, la discussione sulla societ globale nasce come tentativo di spiegare, in tempo reale, i processi sociali e storici attualmente in corso. In altri termini, nasce come risposta allinterrogativo: Che cosa sta succedendo adesso?, dunque come proposta di ontologia del presente nellaccezione coniata da Foucault nei suoi ultimi scritti5. In questo ruolo, il tema della globalizzazione prende immediatamente il posto della teoria del postmoderno, che aveva occupato la scena fino ai primi anni Novanta ed il caso di chiedersi quale sia stato il senso di questavvicendamento. Levidenza pi immediata che la societ contemporanea, nel suo sforzo di definire la propria identit specifica, sia passata dal parametro temporale del prima e del poi a un parametro spaziale quello appunto del locale e del globale. Tra le ragioni di questo spostamento probabile che abbiano pesato i paradossi cui la teoria del postmoderno sembrava condannata proprio in virt dello schema temporale adottato. Il pi flagrante di questi paradossi dipendeva dal fatto che unuguale necessit di distinguersi dal passato era stata gi tipica della societ moderna, e che da almeno un secolo era in uso adottare come criterio di fondo della distinzione la categoria temporale del superamento. Specie nella tradizione tedesca di matrice hegeliana, il Moderno distinto dallAntico non tanto per i suoi contenuti specifici, quanto
5 Cfr. in particolare Foucault 1994.

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per il tratto formale della sua apertura al nuovo ovvero, pi concretamente, per aver trasformato linnovazione e il mutamento in valori positivi6. Pretendendo di superare la modernit, uneventuale cultura postmoderna non fa che confermare la sua fedelt a questimpostazione, ammettendo cos implicitamente di essere rimasta, ancora e sempre, moderna. La conseguente rinuncia alla possibilit di aprire unepoca realmente nuova, seguita inevitabilmente dal fantasma della fine della storia, porta alle estreme conseguenze il paradosso, fino a dissolvere la distinzione tra moderno e postmoderno da cui era nata la teoria. Il passaggio a un parametro spaziale doveva presumibilmente ovviare a questi paradossi, visto che il piano semantico dellautorappresentazione della societ lascia qui il posto al dato strutturale dellespansione planetaria dei suoi processi riproduttivi. Lidea della glocalizzazione segnala invece irrimediabilmente che i paradossi, per quanto spostati da una dimensione allaltra, non sono affatto spariti. Chiamate a circoscrivere lattualit sociale, le coordinate spaziali locale/globale si avvolgono in un nodo circolare esattamente come quelle temporali ante/post. Se ne deduce che non solo non c motivo di privilegiare lo spazio sul tempo, ma che lanaloga circolarit delle due dimensioni potrebbe avere ununica radice ad esempio, nella specifica riflessivit dei processi sociali avanzati. Pi in generale, probabile che il concetto di globale, se vuole mettere a fuoco il tratto distintivo dellattualit presente, non possa valere come semplice sinonimo di planetario n limitarsi a indicare unampiezza spaziale estesa a ogni regione della terra. Intanto, per il banale motivo che il capitalismo moderno si articolato fin da principio, e non solo in questi ultimi decenni, su scala planetaria e in conformit a quello che Wallerstein chiama sistema-mondo. Senza contare che, se per mondo intendiamo, com logico, il mondo conosciuto e raggiungibile, allora c unampiezza mondiale che ha contrassegnato varie epoche antiche, sul piano politico come su quello della comunicazione o del commer6 Cfr. Luhmann 1992, p. 93 e segg.

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cio. Soprattutto, per, difficile vedere come questa semplice estensione spaziale possa alterare, da sola, la qualit dei processi di riproduzione sociale e la loro specifica influenza sulle forme di vita mentre, come abbiamo visto, proprio questo che la teoria chiamata a spiegare. Un esperimento di una qualche utilit potrebbe essere allora quello dintendere il concetto di globale non tanto n prioritariamente nellaccezione spaziale, quanto in riferimento a una specifica forma di correlazione tra sistema e ambiente. Il termine globalizzazione verrebbe allora a indicare, pi che un allargamento geografico, una tendenza evolutiva dei sistemi sociali, in cui potremmo forse riconoscere la piena maturazione di ci che in Arendt e in Foucault si annuncia gi sotto le diciture del totalitarismo o dellistituzione totale il che peraltro non esclude che il nuovo scenario possa imporre una correzione dei toni aspramente critici che hanno sempre accompagnato questa terminologia7. Possiamo provare ad esplorare questa strada, purch sia chiaro che diamo corso a un semplice esperimento speculativo, che ha oltretutto il difetto di rendere lanalisi pi generale e astratta, a danno della sua verificabilit. 3. Sistema, ambiente e sfondo Nella sua accezione rigorosa, in biologia come nella teoria dei sistemi, il concetto di ambiente non indica la generica totalit di ci che esterno a un organismo o a un qualsiasi altro sistema dato. Per ambiente sintende solo ci che correlato alle operazioni del sistema, e che il sistema stesso in grado di riconoscere e definire come altro da s. Nella classica descrizione di Von Uexkll ad esempio, che ha introdotto il concetto di ambiente in biologia, dato per certo che organismi di diverse specie, pur vivendo nello stesso spazio, si
7 Va osservato, in particolare, che la stessa Hannah Arendt, a conclusione del suo saggio sul totalitarismo, accenna allipotesi che i sistemi totalitari veri e propri siano solo la forma embrionale e imperfetta di un modello sociale ancora in fase evolutiva. Cfr. Arendt 1948, p. 630 e segg.

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muovono in ambienti diversi, perch diversi sono i tratti del mondo che ciascun organismo portato a riconoscere come segnale biologicamente rilevante8. In unaltra epoca e in unaltra disciplina, un uguale modello di correlazione quello con cui Luhmann descrive lautonomia reciproca dei vari sottosistemi funzionali in una societ avanzata, osservando che ciascuno di essi non pu vedere ci che non pu vedere9. In breve, ci che in ciascun caso costituisce il vero e proprio ambiente, correlato alle operazioni di un sistema, va distinto dal resto del mondo, che il sistema preso in considerazione non percepisce affatto o registra solo come inutile rumore. Nonostante questa sua indeterminatezza di base, anche il rumore pu avere per un peso rilevante, o perch costituisce lo sfondo e il presupposto necessario alle operazioni del sistema, o perch, pur non essendo accessibile al sistema come tale, lo per a un punto di vista esterno, con cui il sistema in stretta correlazione funzionale com ad esempio il punto di vista dei singoli individui rispetto a quello dei sistemi sociali. Quando ad esempio i viaggiatori dellOttocento esploravano mondi e societ lontane, sfruttavano una rete di collegamenti militari, politici e sociali che aveva gi la struttura integrata di un sistema; propriamente esotici, per, erano quegli aspetti del nuovo mondo che, per quanto accessibili al singolo viaggiatore, sfuggivano invece alle maglie della rete connettiva, di cui pure condizionavano la sussistenza e leventuale sviluppo futuro. Data quindi la distinzione generale tra ambiente e sfondo, a titolo di esperimento potremmo chiamare globale un sistema che esaurisce, appunto, questa distinzione, e che almeno virtualmente ingloba nel suo ambiente lintero sfondo, senza lasciare n residui n rumore. Linteresse di questa accezione sistemica del concetto di globale starebbe da un lato nella relativa facilit con cui possibile dedurne dei mutamenti qualitativi nellidentit stessa del sistema; dallaltro, nella possibilit di ampliarne lapplicazione anche al di l della

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Cfr. Uexkll 1956. Cfr. in particolare Luhmann 1986.

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semplice estensione globale nello spazio, riferendosi quindi anche a operazioni sociali diverse da quelle politiche o economiche, su cui si concentrata in genere la teoria della globalizzazione. Un esempio significativo, in questo senso, quello dellevoluzione delle tecnoscienze, specie di quelle connesse alla sfera biologica sia perch proprio in questa sfera che nasce il concetto di ambiente, sia perch le forme attuali della biotecnologia rappresentano, per molti aspetti, un paradigma della contemporaneit. Mi fermer perci su questesempio, per cercare di isolarne alcuni tratti che potrebbero valere come contrassegno di qualsiasi sistema globale. Sappiamo tutti che gli esseri umani modificano geneticamente gli organismi sin da quando addomesticarono piante e animali per la prima volta10 e che gran parte degli organismi che oggi consideriamo naturali, dai cani da pastore alle spighe di granturco, sono in realt il risultato delladdomesticamento e non potrebbero mai sopravvivere nella loro forma attuale in un ambiente veramente naturale. Tuttavia, in queste pratiche millenarie di selezione genetica, i processi basilari di crescita e di riproduzione degli organismi restavano sostanzialmente inaccessibili alla tecnica, che interveniva solo sui loro risultati. Sussistevano quindi da un lato un processo spontaneo di evoluzione naturale, dallaltro un processo tecnico di selezione programmata ma il momento naturale restava per quello tecnico uno sfondo e un presupposto impenetrabile, secondo un modello di correlazione che in Occidente rester per secoli il paradigma del rapporto tra natura e cultura. Storicamente, la prima seria breccia in questo schema stata la teoria di Darwin dellevoluzione naturale. molto significativo, in questo senso, che il primo capitolo dellOrigine delle specie si soffermi a lungo sulla selezione artificiale dei piccioni. Il nocciolo della teoria infatti proprio la rivoluzionaria ipotesi che il processo naturale e quello tecnico non siano affatto estranei luno allaltro ma procedano entrambi, in perfetta analogia, verso la selezione del pi
10 Lewontin 2000, cit. p. 274.

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adatto11. I successori di Darwin pi influenti, da Galton in poi, spinsero lanalogia tra selezione naturale e artificiale fino a una loro sostanziale equiparazione, facendone il pilastro del progetto biopolitico delleugenetica. Infine, con la nascita della genetica moderna intorno alla met del Novecento, questapparato speculativo acquis una base di sostegno e una concreta potenzialit tecnologica. I progressi della biologia molecolare sembravano infatti autorizzare lidea che lo sviluppo di ogni singolo organismo sia guidato da un programma genetico inscritto nel suo DNA, e che questo programma, a sua volta, sia il risultato di un processo indirizzato inevitabilmente allottimizzazione delle potenzialit dellorganismo quella che in gergo neodarwiniano viene indicata come fitness. La distinzione tra processi spontanei e processi programmati viene cos definitivamente meno, visto che levoluzione naturale descritta con lo stesso apparato concettuale di quella progettata in laboratorio. Di conseguenza, la natura cessa di valere come sfondo e presupposto delle operazioni tecniche per divenire, senza residui, il correlato ambientale di queste operazioni ed questo salto di qualit verso una logica globale a distinguere le biotecnologie contemporanee da quelle tradizionali, ben al di l dei singoli dettagli tecnici. Va aggiunto che questa evoluzione della tecnica non stata semplicemente imposta dal progresso oggettivo delle conoscenze. Al contrario, oggi sappiamo che tra linformazione inscritta nel DNA e le propriet effettive di un organismo vivente il rapporto molto pi sfumato e complesso di quanto si sia voluto credere in passato, e che lidea di un programma genetico pu essere sostanzialmente accantonata come una metafora fuorviante. Analogamente, per quanto sia ricca di potenzialit conoscitive lidea darwiniana di unanalogia tra selezione naturale e artificiale, la loro successiva equiparazione appare una scorciatoia sterile, che ha perso molto del suo credito scientifico12. Questo declino del

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Cfr. Gould 1984 p. 32: The principle of natural selection depends upon the validity of analogy with artificial selection. Una decostruzione critica del concetto di programma genetico si trova

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determinismo biologico non altera per minimamente il carattere globale delle pratiche tecnoscientifiche, anzi contribuisce a rendere le categorie biologiche pi fluide e pi disponibili, quindi, a qualsiasi progetto manipolativo, purch sostenuto da interessi e pressioni sociali consistenti. Si vede bene ora in che senso la distinzione di partenza tra processi spontanei e processi programmati sia infine del tutto dissolta. La selezione naturale, rimossi tutti i suoi caratteri intrinseci di caoticit, aleatoriet e disordine, viene letta e descritta sul modello di quella socialmente programmata; questultima, dal canto suo, prende la forma di un processo ingovernabile, in cui ogni centro dotato di un qualche potere, dal singolo istituto di ricerca fino allultima setta pseudoreligiosa, pu incidere dal suo punto di vista sullintero processo evolutivo per cui questo processo, nel suo insieme, non risponde pi ad alcun programma che non sia la sua spontanea autoriproduzione. C ora da chiedersi se questa indistinzione tra i due poli basilari dellordine e del disordine non vada considerata una deriva inevitabile per qualsiasi sistema globale. 4. Ordine, disordine e potenza Si pu leggere il mito della torre di Babele come la parabola di un progetto di ordine globale: unimpresa che pretende di riunire, ordinare e ottimizzare tutte le forze umane d come unico frutto il disordine di mille lingue ridotte a mero rumore. Il paesaggio postmoderno costellato di torri di Babele: dai programmi tecnologici ai mercati finanziari o alle reti di relazioni internazionali, sembra la regola che i progetti di unit e coordinazione si rovescino alla fine nellingovernabilit e nel disordine. Il punto non , semplicemente, che il disordine dilaga accanto allordine o a suo danno, ma che luno diviene indistinguibile dallaltro, e che proprio questindistinzione ripriin Atlan 1998, ma si veda anche Hubbard e Wald 1997. Per la critica del determinismo biologico nella teoria dellevoluzione il testo classico Gould e Lewontin 1984; pi di recente Sober e Wilson 1998.

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stina a ogni passo la globalit del sistema. Per un sistema sociale, per, la differenza tra ordine e disordine non un parametro opzionale accanto ad altri: c, in generale, un sistema, solo nei limiti in cui sussiste questa differenza perci ci si aspetta, di norma, che qualsiasi struttura sociale miri comunque a stabilizzare questo confine e che unindistinzione tra ordine e disordine possa aver luogo solo come crisi eccezionale. Viceversa, un sistema globale sembra fare di questa eccezione la regola, al punto che lo spazio giuridicamente vuoto dello stato deccezione ha infranto i suoi confini spazio-temporali e, riversandosi fuori di essi, tende ormai ovunque a coincidere con lordinamento normale13. Siamo ancora lontani dal capire le ragioni profonde di unevoluzione dallapparenza cos paradossale, ed quindi solo a titolo dipotesi che va valutata la sua eventuale connessione con lidea di sistema globale tratteggiata nei paragrafi precedenti. Volendo comunque azzardare qualche passo in questa direzione, pu darsi che lesempio delle scienze della vita riservi ancora qualche indicazione suggestiva. Una caratteristica della genetica moderna, che la distingue ad esempio dalle discipline mediche tradizionali, che il suo oggetto vero e proprio non sono, a rigore, delle propriet reali, ma delle disposizioni, vale a dire il correlato materiale di una potenzialit: disposizione a contrarre particolari malattie, ad esempio, ma anche, pi in generale, disposizioni genetiche a reagire in un modo o in un altro a possibili stimolazioni dellambiente. Questattitudine a operare direttamente su delle potenzialit ha un peso notevole nellevoluzione della disciplina, non da ultimo perch stravolge il confine tra normale e patologico e autorizza lincremento di tecnologie di ottimizzazione estese a tutti i campi della vita14. Si tratta

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Agamben 1995, cit. p. 44. Sulla centralit delle disposizioni cfr. R. Hubbard e E. Wald, Exploding the Gene Myth, Beacon Press, Boston, 1997: che fa partire questa svolta evolutiva dal momento in cui apparso chiaro che molte malattie genetiche sono associate a geni recessivi, per cui tutti noi portiamo alleli che sarebbero debilitanti o letali se noi o i nostri figli ne avessimo due copie anzich una (cit. p. 24). Sullestensione globale delle tecnologie di ottimizzazione cfr. Ehrenberg 1991 e 1998.

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quindi di un presupposto essenziale allevoluzione dellingegneria biologica in un senso globale. Merita perci qualche attenzione il fatto che proprio questo tratto particolare abbia un corrispettivo in molti dei principali meccanismi sistemici che definiscono una societ moderna. Uneconomia puramente monetaria, ad esempio, opera, grazie al denaro, con una pura potenza di scambio, priva di valore duso; il tratto distintivo del capitalismo quello di scambiare direttamente la forza-lavoro, vale a dire la pura potenzialit di esecuzione di una qualche prestazione produttiva; la scienza moderna, a differenza dei saperi tradizionali, si organizza intorno alla ricerca, quindi intorno alla possibilit di acquisire nuove conoscenze; e il potere, diversamente dalla semplice violenza, si traduce nel mondo moderno in un codice comunicativo che fa valere la semplice possibilit di una sanzione, senza ricorrere al suo effettivo esercizio. In tutti questi esempi (e la lista potrebbe continuare) la modernizzazione di un sistema sociale coincide insomma, volta per volta, con una modificazione interna per cui le operazioni sociali decisive non sono pi affidate a delle azioni reali, ma alla loro semplice possibilit. Questa specie di magia per cui un che di possibile produce valore indipendentemente dalla sua realizzazione il segreto che ha permesso alle societ moderne di raggiungere, nel giro di poche generazioni, un tasso di prosperit e di progresso che non ha forse paragoni nella storia umana. Occorre chiedersi, ora, se non sia proprio questa stessa logica della potenzialit in fondo mai completamente chiarita nelle sue dinamiche interne a generare, a un grado elevato di sviluppo, i paradossi e le opacit che contrassegnano i sistemi globali del presente. In effetti, perch il possibile sia operativo in quanto tale, occorre un tipo particolare di comunicazione, basato ricorsivamente sulla fiducia e sulle aspettative generalizzate15. Una dose minima di violenza pu bastare a mantenere lordine, ma solo se lecito aspettarsi che tutti si aspettino la sua immancabile attivazione in caso di necessit; e, sul versante
15 Sul nesso tra fiducia e riflessivit della comunicazione cfr. Giddens 1990. Sul meccanismo ricorsivo delle aspettative di aspettative cfr. Luhmann 1987, cap. 8.

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finanziario, anche la Banca dInghilterra avrebbe qualche difficolt, se tutti i suoi creditori esigessero realmente la restituzione dei depositi. Un sistema moderno, insomma, basato largamente sul valore del credito sociale, e quindi su una ripartizione costante tra soggetti accreditati o meno, che ha forse nellistituzione della sovranit legittima la sua espressione pi eminente, ma riveste comunque un peso decisivo in ogni ambito della prassi sociale. Il punto pi delicato di questa organizzazione che il credito, con la conseguente distinzione tra chi ha credito e chi non ne ha, accelera e potenzia le operazioni sociali solo se si rinuncia sistematicamente alla sua verifica effettiva che obbligherebbe allesercizio della potenza e quindi alla sua dissipazione. Daltra parte, occorre pur verificare, almeno di tanto in tanto, se dietro le minacce esiste realmente una capacit offensiva, dietro le cifre dei listini uneffettiva produzione di ricchezza e dietro lautorit delle accademie un sapere reale. Prendono cos necessariamente corpo, allinterno di ciascun settore, delle speciali procedure di controllo, che hanno il compito di attuare questa verifica in una forma convenzionale, saggiando cio solo le rappresentazioni del sistema, senza realmente interagire con la sua prassi effettiva: il caso, ad esempio, di particolari strumenti derivati dei mercati finanziari; delle speciali procedure del diritto costituzionale; infine, dei servizi segreti dintelligence e delle norme specialissime che ne regolano i comportamenti. Queste speciali procedure di controllo sono del tutto trasversali alla prassi sociale ordinaria, perch lapparato di distinzioni che di norma il presupposto della comunicazione (legale/illegale, legittimo/illegittimo, ecc.) in questo caso, invece, proprio ci che va messo alla prova. Occorre perci che esse mantengano uno statuto eccezionale, pena lo sconvolgimento di quellordine di cui dovrebbero invece tutelare la stabilit. A questo punto, vorrei avanzare lipotesi che lassetto globale di un sistema renda tendenzialmente insostenibile questo statuto separato delle procedure di controllo, portandole a collassare sulla prassi sociale ordinaria. Una chiave di questo collasso potrebbe essere la riflessivit della comunicazione nei sistemi sociali postmoderni, per cui da un lato la comu-

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nicazione sulla comunicazione diviene la norma, e non pi appannaggio di soggetti e procedure eccezionali, dallaltro la comunit sociale comunica ormai normalmente su queste presunte eccezioni, e si regola di conseguenza. Il risultato che ogni evento socialmente significativo viene ad essere attraversato da due vettori di senso trasversali e virtualmente opposti, che permettono ambiguamente di connotarlo tanto come fattore dordine che di disordine globale. Evidentemente, il caso di un attentato terroristico qui il paradigma: una minaccia al sistema, perch impone una verifica e quindi una dissipazione della sua potenza o , viceversa, il frutto di una procedura di controllo, che mira ad assicurare al sistema la sua stabilit, sostituendo una verifica convenzionale a un conflitto reale? Il punto non tanto la maggiore o minore plausibilit, caso per caso, delluna o laltra lettura, ma la tendenza prevedibile della societ a comunicare su entrambe. il caso di concludere qui questesperimento speculativo, di cui bene ribadire ancora il carattere del tutto ipotetico. In effetti, ognuno dei passaggi argomentativi cui qui si accennato esigerebbe unanalisi ben pi accurata, se si volesse estrarne una teoria ma non era questo lo scopo. In una logica classicamente moderna, ci siamo limitati a saggiare le potenzialit delle diverse accezioni del termine globale a costo di generare, in questo modo, un certo tasso di disordine.

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er costruire una situazione: Che cos il poetico?


di Kazumi Takakuwa1

La certezza del peccato o dellerrore inclusa in un atto spesso lunica forza, invincibile, che ci spinge alla sua realizzazione. Walter Benjamin, Parigi: Capitale del XIX secolo

el 1921 Walter Benjamin N pubblica un piccolo trattato dal titolo Destino e carattere. Se si volesse riassumerne in una frase il suo obiettivo si potrebbe dire che egli cerc di liberare il nostro carattere dallinfelicit destinatagli. Perch liberarlo? Perch il carattere o almeno ci che intendiamo convenzionalmente come tale costituisce il destino immodificabile di ciascun individuo che non lorienta che allinfelicit. Avere un carattere ci che impedisce allindividuo di accedere alla felicit. La felicit, al contrario, viene considerata come una situazione in cui ci siamo liberati da questo ostacolo che il carattere. Questordine, in cui laccesso alla felicit ci impossibile, pu essere chiamato ordine giuridico in quanto questo ostacolo fondato sullidentificazione delluomo con il colpevole almeno virtualmente , ovvero con un essere che pu commettere dei crimini. Non si posti di fronte alla legge in conseguenza del compimento di un crimine. Siamo originariamente gettati nel complesso del crimine, ed cos che ci troviamo di fronte alla legge in maniera permanente.
1 Questo testo una versione corretta e sviluppata dellarticolo, in giapponese Joukyou kouchiku manyuaru: Tetsugaku teki nessun (Manuale per costruire una situazione: lezioni filosofiche), in Gendai Shisou, vol. 28, n 6, Seidosha, Tokio, Maggio 2000, p. 217-230. Lo traduciamo e pubblichiamo qui per gentile concessione dellautore.

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Secondo Benjamin, luso convenzionale del concetto di carattere aiuta cos questordine:
Il rapporto allinnocenza non si trova quindi nel destino. E una domanda che va ancora pi a fondo esiste forse nel destino un rapporto alla felicit? la felicit, come senza dubbio la sventura, una categoria costitutiva del destino ? Ma proprio la felicit che svincola il felice dallingranaggio dei destini e dalla rete del proprio. [] un ordine i cui soli concetti costitutivi sono infelicit e colpa e per entro il quale non concepibile via alcuna di liberazione (poich nella misura in cui qualcosa destinato, infelicit e colpa) un ordine siffatto non pu essere religioso, per quanto il concetto malinteso di colpa sembri rinviare alla religione. Si tratta di cercare un altro campo, dove contino solo infelicit e colpa, una bilancia su cui beatitudine e innocenza risultano troppo leggere e si librano in alto. Questa bilancia la bilancia del diritto. Le leggi del destino, infelicit e colpa, sono poste dal diritto a criteri della persona; poich sarebbe falso supporre che solo la colpa si ritrovi nel quadro del diritto si pu dimostrare invece che ogni colpa giuridica non altro che una disgrazia. [] Il diritto non condanna al castigo, ma alla colpa. Il destino il contesto colpevole di ci che vive. [] Il giudice pu vedere destino dove vuole; in ogni pena deve ciecamente infliggere destino. Luomo non ne viene mai colpito, ma solo la nuda vita in lui, che partecipa della colpa naturale e della sventura in ragione dellapparenza2.

Ciascuno di noi ha un carattere qualunque. un fatto, se non una necessit. Tuttavia se luomo vorr raggiungere uno stato come la felicit, dovr liberare il proprio carattere o la nuda vita in lui da questo incatenamento di rapporti di colpa. Questa liberazione non inizia con una pretesa di innocenza pura e semplice. Potremmo sempre dire io sono un essere che non commette nessun crimine. Eppure questo, non per niente sufficiente, in quanto si ripresenterebbe ancora, questa volta in una forma negativa, a uninclusione originaria delluomo nellordine giuridico. Daltra parte i crimini si troverebbero e si trovano ancora ovunque e non facile in
2 W. Benjamin, Destino e carattere, in Il concetto di critica nel romanticismo tedesco: Scritti 1919-1922, Einaudi, Torino, 1984, pp. 120-121.

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realt sottrarvisi. Questa situazione generale non risulta pertanto necessariamente dal radicamento del carattere nellordine giuridico. Dobbiamo vedere come dato il complesso di colpa e come il concetto di carattere vi incorporato. Il legame tra il carattere e il crimine pu avere una conseguenza patologica. I delinquenti per senso di colpa , un tipo di carattere descritto in Alcuni tipi di carattere tratti dal lavoro psicoanalitico (1916), ce ne offre il paradigma. Freud analizza in questo testo i comportamenti di coloro che non cessano di commettere, morbosamente, dei crimini.
Tali azioni venivano compiute soprattutto perch proibite e perch la loro esecuzione portava un sollievo psichico a chi le commetteva. Costui soffriva di un opprimente senso di colpa di origine sconosciuta e, dopo aver commesso un misfatto, il peso veniva mitigato. [] per quanto possa apparire paradossale, devo asserire che il senso di colpa era preesistente allatto illecito e non traeva origine da esso, ma che al contrario il misfatto medesimo derivava dal senso di colpa. Sarebbe giusto chiamare queste persone delinquenti per senso di colpa3.

Questa inversione del tempo ci ricorda il prigioniero di un episodio di Alice nel mondo dello specchio di Lewis Carroll. Questo prigioniero in prigione a scontare la pena: per il processo non comincer prima di venerd e naturalmente il reato lo commetter dopo. Dopo che la regina ebbe spiegato la situazione, Alice le pone una domanda ragionevole: e se lui non commette il reato? La risposta: Tanto meglio, no?
Alice cap che era meglio essere daccordo. Naturalmente meglio disse ma sarebbe ancora meglio se ne fosse punito. Su questo ti sbagli, stai sicura disse la regina tu sei mai stata punita? Solo per delle birichinate disse Alice. Ed stato tanto meglio per te, ne sono certa! disse la regina con tono di trionfo.
3 S. Freud, Alcuni tipi di carattere tratti dal lavoro psicanalitico, in Opere Complete, vol. 8, Bollati Boringhieri, Torino, 1978, p. 651.

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Si, ma io avevo fatto delle cose per le quali dovevo essere punita rispose Alice Qui sta la differenza Ma se tu non le avessi fatte disse la regina sarebbe stato ancora meglio, meglio, meglio e meglio!4.

Questo non che un episodio in un paese dallaltra parte dello specchio, l dove il tempo scorre al contrario (soprattutto a piacimento del potere); ma potrebbe essere che il complesso del crimine o lordine giuridico non sono possibili che attraverso questo specchio che inverte lordine del tempo. Luomo condannato anticipatamente in quanto avrebbe potuto compiere dei crimini (ed infatti questo, ci che W. Benjamin intende per carattere nelluso convenzionale del termine). Non che dopo questa condanna che ciascuno viene considerato come individuo avente o non avente una buona coscienza. Se cos non fosse, luomo non potrebbe mai essere compreso nellordine giuridico. Il crimine potrebbe essere stato commesso da chiunque ed questa stessa possibilit che individualizza ciascuno come responsabile o soggettivo. Che egli commetter dei crimini (o che non ne commetter affatto) non viene preso in considerazione: qualora non ne avesse commesso nessuno, Tanto meglio, no? Questa struttura appare nuovamente, in maniera esasperata, in un racconto di Philip Kindred Dick. Rapporto di minoranza racconta di un incubo che facciamo tutti: la Precrimine, polizia preventiva per definizione, arresta coloro che commetteranno degli omicidi in futuro, facendosi aiutare dai precog, mutanti prescienti che vedono nel futuro. Dick fa parlare i due interlocutori del problema metafisico rivelato dalla storia stessa:
Anderton riprese: Avr intuito, suppongo, il lato negativo, dal punto di vista legale, della metodologia precriminale. Noi, infatti, arrestiamo persone che non hanno violato la legge. Ma che lo farebbero di sicuro se fossero lasciate a se stesse afferm convinto Witwer. Per fortuna questo non avviene perch noi le arrestiamo prima che commettano atti di violenza. Cos leffettuazione del
4 L. Carroll, Alice nel mondo dello specchio, Milano, Rizzoli, 2001, pp. 8990.

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delitto assolutamente metafisica. Noi dichiariamo colpevoli persone che, dal canto loro, si proclamano innocenti. E, in un certo senso, lo sono. [] Nella societ odierna continu Anderton, non si commettono delitti gravi. Per abbiamo un campo di detenzione pieno di criminali in potenza5.

Liberare il carattere dal complesso del crimine vuol dire ricrearlo per uscire da questo campo immaginario che la struttura temporale perversa. Una volta rinnovato, questo concetto dovrebbe riferirsi a un carattere che possa giungere alla felicit. Deve poter essere comune a tutti gli esseri umani, ma senza supporre una comunit che li sottometta allordine giuridico. Si potrebbe, per esempio, assimilare questo carattere qualsiasi al es psicanalitico? Il fondatore della psicanalisi, al fine di criticare questa struttura perversa, finisce tuttavia per costruire unaltra struttura altrettanto perversa rispetto allordine giuridico stesso. Chiunque avrebbe potuto uccidere il proprio padre per copulare con la propria madre, e la rimozione di un tale desiderio criminale sarebbe il fondamento delle civilt Il crimine vero che egli compir (o non compir) non conta cos finalmente pi. Poich se il crimine non stato portato a termine Tanto meglio, no? e il nostro campo di detenzione chiamato societ di conseguenza pieno di criminali in potenza. Tutto questo non nientaltro che una determinazione del tempo derivata da un determinismo retroattivo e di un carattere originale totalmente fittizio, o anzi falso.
Lo studio della prima questione [sullorigine del sentimento di colpa precedente al compimento di crimini], prometteva di offrirci un ragguaglio sulla fonte del senso di colpa degli uomini in generale. Il risultato costante del lavoro analitico ci diceva che questo oscuro senso di colpa proveniva dal complesso edipico ed era una reazione ai due grandi propositi criminosi di uccidere il padre ed avere rapporti sessuali con la madre. In confronto a questi due, i crimini commessi per fissare il senso di colpa costituivano certamente un sollievo per lindividuo tor5 P. K. Dick, Rapporto di minoranza, in Le presenze invisibili: Tutti i racconti, vol. 3, Mondadori, Milano, 1997, p. 232.

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mentato. Bisogna qui ricordare che il parricidio e lincesto con la madre sono i due grandi delitti degli uomini, gli unici che nella societ primitiva vengono perseguiti ed esecrati per se stessi. Dobbiamo inoltre ricordare come altre ricerche ci abbiano avvicinato allipotesi che lumanit abbia acquisito in relazione al complesso edipico quella coscienza morale che ora considerata come una forza spirituale innata6.

Sappiamo che questa concezione dellorigine delle civilt stata gi esposta nellultima parte del terzo capitolo di Totem e tab (19121913), che poi lautore svilupper nel settimo capitolo di Il disagio della civilt (1929). Ma chi ha pensato (o sentito, o detto) per la prima volta che il parricidio e lincesto materno sono i crimini capitali? Nella letteratura della psicanalisi freudiana non ne troviamo alcuna giustificazione soddisfacente. Che lorda di fratelli, avendo ucciso il padre per copulare con la madre, si sarebbe sentita colpevole: una petitio principii. Daltronde fortemente possibile che questi due atti non si pratichino in nessuna societ, non perch essi costituiscano dei crimini capitali, ma perch semplicemente non si fa. In effetti possiamo facilmente immaginare lo stupore degli intervistati di fronte alla domanda: Nella vostra societ si uccide il padre per copulare con la madre? Risponderanno di no. Ma questo non significa per niente che esiste una legge che proibisce, definendoli crimini capitali, lomicidio del padre e lincesto materno. cos che la psicoanalisi finisce per riportare il problema del carattere al fondamento del paradosso che lordine giuridico. Non un caso che la topica freudiana colorata di una terminologia giuridica (istanze, censura, ecc.). Linconscio non che un oggetto gi rimosso o represso e possiamo identificarlo con il carattere nelluso convenzionale del termine. Linconscio senza il momento della rimozione , nel quadro della psicanalisi freudiana, impossibile. Alla fine, niente rimesso in questione: linversione dello scorrere del tempo fonda tanto lordine giuridico quanto lordine psichico.

S. Freud, Alcuni tipi di carattere tratti dal lavoro psicanalitico, cit. p. 652.

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Benjamin riassume cos questa situazione del tempo in questi modelli:


un tempo non autonomo, parassitariamente aderente al tempo di una vita superiore, meno legata alla natura. Esso non ha presente, poich gli istanti fatali esistono solo nei cattivi romanzi, e conosce anche passato e futuro solo in inflessioni caratteristiche7.

Questo riferimento ai cattivi romanzi ci ricorda una serie di pensatori Siegfried Kracauer, Antonio Gramsci, Ernst Bloch, Gilles Deleuze, Michel Foucault e Carlo Ginzburg, per non citare che loro che tutti, malgrado la diversit degli argomenti portati, tentano di riflettere su un nuovo genere letterario, per pensare la societ in modo sociologico-filosofico. Questo genere non altro che il romanzo poliziesco. Non nostra intenzione oggi dimostrare, ci accontentiamo semplicemente di segnalarlo, che questo genere, che d origine a molti cattivi romanzi, sembra essere lindizio stesso del crimine moderno, che il cancellamento o anzi linversione del tempo storico. Cosa pensa Benjamin quando cita un passaggio di Edgar Allan Poe, constatando che La certezza del peccato o dellerrore inclusa in un atto spesso lunica forza, invincibile, che ci spinge alla sua realizzazione? veramente impossibile concepire lintelletto comune senza supporre un fondamento giuridico? La societ ci conduce necessariamente al disastro generalizzato, se non si fonda sullordine giuridico convenzionale? Ma se una societ fondata sullordine quella che esclude la possibilit pura del pensiero che coincide con il gesto del Comune , non essa stessa gi un disastro generalizzato, anche se questo disastro cos poco diffuso che possiamo sopportarlo quotidianamente? Non si pu cercare la possibilit di un etica altrove che non nella fondazione dellordine tout court? Il tentativo di Wilhelm Reich in Analisi del carattere (1933) potrebbe essere una risposta alla ricerca benjaminiana di un carattere liberato dal carattere stesso.

W. Benjamin, Destino e carattere, cit. p. 122.

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Giovane psicoanalista, Reich portato a confrontarsi con ogni sorta di resistenza contro la regola fondamentale dellanalisi, lassociazione libera. Per risolvere questo seccante problema, egli sottolinea limportanza del concetto di transfert e lassolutezza del suo modello. Per Freud, la ripetizione osservata attraverso il transfert quella del passato: la nevrosi sarebbe una malattia di coloro che sono gi colpevoli; sarebbe una malattia che muove da un avvenimento anteriore, ed questo avvenimento del passato che causa la fissazione morbosa. In una parola, quello che viene messo in scena sul divano di Freud un crimine del passato, lo sbaglio di avere un passato criminale. Per contro, in Reich quello che il paziente ripete attraverso il transfert, ci che egli rende cosciente attraverso questa ripetizione, la ripetizione stessa, linfelicit del presente che si ripete sempre e gi sotto lapparenza del carattere come mezzo di difesa. Ed infatti il carattere che permette allanalista di approfittare del transfert per condurre la sua analisi. In questo senso, nei nevrotici, la messa in scena non ancora (o mai) realizzata; il loro atto non che la ripetizione nel senso teatrale del termine.
Cos divenne improvvisamente chiaro dove era ancorato il problema della quantit; non poteva essere nientaltro che la base organica, il nucleo somatico della nevrosi, la nevrosi attuale che si sviluppa dalla libido ingorgata. E quindi il problema economico della nevrosi nonch della sua guarigione in gran parte riguardava il campo somatico, ed era accessibile solo attraverso i contenuti somatici del concetto di libido8.

La causa della nevrosi attuale potrebbe ben essere un avvenimento particolare del passato, ma loggetto dellanalisi caratteriale la nevrosi uscita dalla fissazione nel presente dellinvestimento pulsionale su di un oggetto del desiderio erroneo; e questa fissazione si protegge essa stessa per mezzo di una serie di gesti e di comportamenti integrati nel paziente. Reich chiama questa ultima serie resistenze caratteriali, corazza caratteriale o nevrosi caratteriale9. Per
8 9 W. Reich, Analisi del carattere, Sugar editore, Milano, 1973, p. 37. Cfr. W. Reich, ivi, p. 67.

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esempio questo carattere pu costituire una resistenza latente.


Che cos una resistenza latente? Si tratta di atteggiamenti del paziente che non si manifestano direttamente e immediatamente, come per esempio sotto forma di dubbio, diffidenza, mancanza di puntualit, silenzio, ostinazione, mancanza di associazioni, ecc., ma si manifestano indirettamente nel tipo di produzione analitica. Cos per esempio, una eccessiva obbedienza o la totale mancanza di resistenze manifeste indicano una resistenza passiva segreta e per questo motivo molto pi pericolosa10.

Lanalisi caratteriale trasforma il carattere nevrotico (o nevrosi caratteriale) destinato allinfelicit in carattere genitale: il carattere che non ritornerebbe al presente che passando per il passato ritorna infine, grazie alla analisi reichiana, al presente in quanto tale. Il paziente si libera al momento giocando nel presente il momento stesso. Di conseguenza, listanza dellinconscio presupposta da Reich non ha bisogno della rimozione originaria. Se possiamo azzardare, linconscio reichiano pu essere definito come la possibilit che lapparato psichico ha di realizzare il proprio rinnovamento nel presente. questa sua capacit a salvare lessere cosciente dalla sua pena senza ricorrere a un qualsiasi crimine supposto nel passato. Linconscio che non suppone una rimozione originaria come momento costitutivo dellessere umano pu essere associato al genio: potenzialit non individuale in un individuo. Lindividuo pu orientarsi verso lintelletto comune attraverso il genio, senza avere una specificit personale e senza integrarsi in una societ, o comunit, particolare.
Non solo furtivo, prodigo, animoso, sembrano implicare valutazioni morali (qui si pu ancora prescindere dalla apparente coloritura morale dei concetti), ma soprattutto parole come disinteressato, maligno, vendicativo, invidioso, paiono designare tratti di carattere in cui non pi possibile astrarre da una valutazione morale. E tuttavia, questa astrazio10 W. Reich, ivi, p. 54.

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ne non solo possibile in ogni caso, ma necessaria per cogliere il senso dei concetti. Ed essa va concepita nel senso che la valutazione in s rimane perfettamente intatta e le viene tolto solo laccento morale, per far posto, in senso positivo o negativo, ad apprezzamenti non meno limitati delle determinazioni senza dubbio moralmente indifferenti di qualit dellintelletto (come intelligente o stupido). [] Mentre il destino svolge linfinita complicazione della persona colpevole, la complicazione e fissazione della sua colpa, alla mitica schiavit della persona nel contesto della colpa, il carattere d la risposta del genio. La complicazione diventa semplicit, il fato libert. [] al dogma della naturale colpevolezza della vita umana, della colpa originaria, la cui fondamentale insolubilit costituisce la dottrina e la cui occasionale soluzione costituisce il culto del paganesimo, il genio oppone la visione della naturale innocenza delluomo. Questa visione rimane a sua volta nellambito della natura ma le conoscenze morali sono cos vicine alla sua essenza, come lidea opposta solo nella forma della tragedia, che non la sua sola. Ma la visione del carattere liberante sotto tutte le forme: essa in rapporto con la libert (come non possibile mostrare qui) attraverso la sua affinit con la logica11.

La liberazione del desiderio inconscio che sempre e comunque presente, non altro che la liberazione del carattere che abbiamo appena evocato. cos che il carattere deve essere liberato da se stesso. solo in questo modo che il carattere potr essere, senzalcun rapporto con il crimine del passato. Questo permesso non quello che viene dato o autorizzato dallordine giuridico. Si direbbe piuttosto che il carattere si permette divenendo il luogo della liberazione, della comunicazione, della revoca e del rinnovo. Lanalisi della posizione del carattere allinterno dellordine giuridico la troviamo anche in Ideologia e apparati ideologici di stato (1970) di Louis Althusser. In questo testo, Althusser definisce ideologia ci che si intende per ordine giuridico: Lideologia una rappresentazione del rapporto immaginario degli individui con le proprie condizioni di esistenza reali12.
11 12 W. Benjamin, Destino e carattere, cit. pp. 123-124. L. Althusser, Ideologia e apparati ideologici di stato, in Critica marxista, vol. 8, n. 5, Editori Riuniti, Roma, 1970, p. 48.

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Il soggetto althusseriano colui che assume questa ideologia e concorre alla sua attualizzazione, e ogni individuo diviene soggetto dal momento in cui il potere lo interpella.
Dir con una prima formula: ogni ideologia interpella gli individui concreti in quanto soggetti concreti, con il funzionamento della categoria di soggetto []. Suggeriamo allora che lideologia agisce o funziona in maniera tale che recluta soggetti tra gli individui (li recluta tutti), o trasforma gli individui in soggetti (li trasforma tutti) con questa operazione molto precisa che noi chiamiamo linterpellare che possiamo rappresentarci nel modo stesso del pi banale interpellare poliziesco (o no) di ogni giorno: ehi, Lei laggi!. Se supponiamo che la scena teorica immaginata avvenga per la strada, lindividuo interpellato si volta. Con questa semplice conversione fisica di 180 gradi egli diventa soggetto. Perch? Perch ha riconosciuto che questo interpellare era diretto proprio a lui, e che era proprio lui che veniva interpellato (e non un altro). Lesperienza mostra che le telecomunicazioni pratiche dellinterpellare sono tali che linterpellare non manca praticamente mai il suo uomo: richiamo verbale, o colpo di fischietto, linterpellato riconosce che era proprio lui che veniva interpellato13.

Nel 1995, abitavo dai miei genitori a sud della citt di Yokohama (il grande agglomerato urbano a sud di Tokio). Mi succedeva a volte di fare un giro in macchina nei dintorni. Un pomeriggio, mentre passavo per Asahina (nel quartiere Kanazawaku di Yokohama), ho notato un oggetto alquanto bizzarro al bordo della strada: due catarifrangenti messi orizzontalmente, un altro in diagonale e un bastone rosso in verticale, tutto poggiato su di un piedistallo nero poco appariscente. Loggetto era grande circa quanto un uomo. Quando sono passato in quel luogo ho semplicemente trovato questo oggetto bizzarro, ma non capii chi laveva messo l e perch. Qualche secondo pi tardi compresi che sarei dovuto passarci di sera. Ritornai sul luogo, qualche giorno pi tardi con la mia macchina fotografica.
13 L. Althusser, ivi, pp. 56-57.

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Era un agente di polizia; o pi precisamente ci che i passanti notturni identificavano con un agente di polizia. Questa strada infatti, era frequentata ogni notte da giovani ragazzacci motorizzati che toglievano i silenziatori alle loro moto per aumentare il rumore. La soluzione migliore sarebbe stata di mettere ogni notte un vero agente di polizia per fermarli e interrogarli, ma questo finto agente era in realt pi che sufficiente per far s che i giovani rispettassero la legge, perch la notte ci si pu sbagliare facilmente, prendendo una cosa per unaltra. La polizia ha prodotto questo oggetto per ingannare i malfattori facendo credere loro che tutte le sere un agente di polizia fosse presente. In una parola, era uno spaventapasseri poliziesco per ragazzacci , un oggetto posizionato per spaventare i passanti notturni. Lo spaventapasseri per definizione una falsa apparenza. Ma dobbiamo chiederci: veramente una falsa apparenza? Questo oggetto non riunisce in se stesso la condizione necessaria e sufficiente della polizia? Non esso stesso la polizia tout court? Direi che un nucleo del potere poliziesco: la rappresentazione minima della polizia prodotta dalla polizia stessa. Se la polizia produce una rappresentazione del potere poliziesco per farla funzionare al suo posto, allora questa rappresentazione esattamente lessenza del potere poliziesco. Ci che qui esposto, la pura funzione della polizia, quella di essere presente per intimidire le persone, per orientare la coscienza delle persone verso lordine giuridico e questa attraverso lesposizione stessa dellesistenza della violenza. Malgrado la sua apparenza, non assolutamente un oggetto artistico, neanche in una forma infelice. Ma quale criterio abbiamo, per distinguerlo dagli altri oggetti detti artistici? In Linguistica e poetica (1960), dove esposto un ormai conosciuto funzionalismo della comunicazione, Roman Jakobson presenta la funzione artistica (che egli chiama funzione poetica, poich si tratta della poesia) come quella di coscienzializzare il messaggio guardando al messaggio stesso della comunicazione.
La messa a punto (Einstellung) rispetto al messaggio in quanto tale, cio laccento posto sul messaggio per se stesso, costituiPER COSTRUIRE UNA SITUAZIONE: CHE COS IL POETICO?

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sce la funzione poetica del linguaggio. Questa funzione non pu essere studiata con profitto se perdiamo di vista i problemi generali del linguaggio, e, daltra parte unanalisi minuziosa del linguaggio stesso esige che si prenda seriamente in considerazione la sua funzione poetica14.

Certo, questa nota pu avere senso se la comunicazione stessa gi indubitabilmente in azione, e se la modalit della comunicazione, non pu essere messa in questione. Ma non appena rimettiamo in questione la costituzione stessa della comunicazione appuriamo che questa definizione jakobsoniana sar insufficiente. Per esempio, questa definizione non ci permette di distinguere la funzione artistica di uno slogan politico da quella di un poema artistico. daltronde Jakobson stesso che non vuole distinguerli.
La funzione poetica non la sola funzione dellarte del linguaggio, n soltanto la funzione dominante, determinante, mentre in tutte le altre attivit linguistiche rappresenta un aspetto sussidiario, accessorio. [] Analizziamo brevemente lo slogan politico I like Ike (/ay layk ayk/): nella sua struttura succinta costituito da tre monosillabi e contiene tre dittonghi /ay/, ciascuno dei quali seguito simmetricamente da un fonema consonantico, /lkk/. La disposizione delle tre parole presenta una variazione: nessun fonema consonantico nella prima parola, due intorno al dittongo nella seconda, e una consonante finale nella terza. Hymes ha notato un analogo nucleo dominante /ay/ in alcuni sonetti del Keats. I due cola della forma trisillabica I like / Ike, rimano fra loro, e la seconda delle due parole in rima completamente inclusa nella prima (rima ed eco): /layk//ayk/, immagine paronomastica dun sentimento che inviluppa totalmente il suo oggetto. I due cola formano unallitterazione, e la prima delle due parole allitteranti inclusa nel secondo: /ay//ayk/, immagine paronomastica del soggetto amante involto nelloggetto amato15.

14 15

R. Jakobson, Linguistica e poetica, in Saggi di linguistica generale, Feltrinelli, Milano, 1983, pp. 189-190. R. Jakobson, ivi, pp. 190-191.

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Lo scopo del messaggio stesso costituisce, rispetto alla comunicazione del messaggio, certamente sempre uneccedenza o un sovrappi, ed tradizionalmente acquisito dinterpretare larte come una specie di sovrappi alla comunicazione stessa. La comprensione volgare dellarte, che la considera appunto un sovrappi della vita sociale che serve come lubrificante marginale, si riferisce proprio a questa tradizione. Ma questinterpretazione non ci permette di escludere dallambito dellarte il sovrappi osservato nei manufatti del potere poliziesco. In effetti, in questa prospettiva tradizionale questo spaventapasseri potrebbe essere considerato artistico proprio come lo sono gli slogan politici. Si potrebbe dire che quelloggetto un oggetto artistico fino ad un certo punto, che questo slogan un poema artistico fino ad un certo punto. Naturalmente, larte potrebbe ben essere un lubrificante per la societ; ma se viene prima sancita come tale dallordine, sarebbe ridotta alle pseudosculture installate nelle piazze delle stazioni di periferia per rassicurare il torturato paesaggio, o alle mascotte delle esposizioni universali o dei giochi olimpici. Non sarebbe che un gesto tragicomico e limitato del carattere destinato allinfelicit, atto disperato, una trovata senza possibilit alcuna, un investimento pulsionale espresso sotto forma di una soddisfacente frustrazione, la caffeina della pausa caff. Non sarebbe che il sovrappi di cui il potere dispone, che pu revocare quando e come vuole. Cos, la funzione artistica deve essere spiegata non da un funzionalismo basato sulla comunicazione del messaggio, ma da unaltra teoria della costituzione del messaggio, in breve in una prospettiva fondata sulla comunicabilit. I difensori del funzionalismo potrebbero sempre insistere sul fatto che ci di cui parla Jakobson non sono le opere ma la funzione artistica di queste opere. Occorre ricordare che Jakobson stesso a pretendere che questa funzione di unopera artistica sempre comune a quella dello slogan politico. Ci augureremmo di trovare un criterio per distinguere lo slogan dal poema, senza ricorrere a figure gi determinate dallordine. Si tratta qui di liberare larte e il carattere dun sol colpo, verso linnocenza. Come abbiamo gi visto nella lettura althusseriana, il soggetto si costituisce per mezzo dellinterpellazione da parte
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del potere. evidente che si tratta dellintegrazione di ognuno di noi nellordine giuridico. L, una volta ascoltata la voce dellinterpellazione, ognuno di noi non pu assolutamente sottrarsi allinterpellazione che gli rivolta. Se siete nellordine giuridico e vi siete sempre vi impossibile avere la convinzione, quando sentite una persona qualunque essere interpellata come soggetto giuridico, che questa non possiate mai essere voi. Non c distinzione tra il fatto di essere interpellato e il fatto di esser l. Ci mostrato assai bene dal nostro spaventapasseri. Non mostra che la sua presenza esposta, ed questa esposizione che ci recluta tutti allinterno dellordine giuridico. Una volta che questo messaggio giunto ad un destinatario qualsiasi, questa venuta gli assicura la sua accettazione e il suo significato come tale. Poich questo spaventapasseri mostra perfettamente e senza residui la sua funzione, non il simulacro di un agente di polizia. piuttosto la matrice che offre agli agenti di polizia il paradigma stesso del potere poliziesco. Cerchiamo infine di definire la funzione artistica rispetto a quella dello spaventapasseri-poliziotto: la funzione artistica quella che lascia ai destinatari, anche dopo larrivo del messaggio, la possibilit di avere la convinzione di non esserne il destinatario. Detto altrimenti, lartistico si definisce come un tipo di messaggio in cui la comunicazione non causa necessariamente il divenire unitario del destinatario in quanto tale. Sebbene questo appaia paradossale, il ricevente di un messaggio artistico colui che lo diviene avendo la convinzione di non essere identificato. Naturalmente, io potrei appartenere ai lettori presunti dallautore di questo poema poich posso leggerlo , ma devono esserci altri lettori: ecco la formula perfetta della nascita di un lettore. Lidentificazione del destinatario come tale la destinazione allinfelicit, lassegnazione al carattere convenzionale, lindividualizzazione attraverso la temporalit perversa: ehi, Lei laggi!? potrebbe essere qualcun altro, ma devo essere io. Diversamente, la comunicazione del messaggio artistico non ci destiner mai a questa infelicit. Questa non ci indirizzer da nessuna parte. Si potrebbe cos dire che lartistico liberato si definisce come ci che mette i suoi ricettori nella comunit, ma non attraverso questa individualizzazione.

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La lettura tradizionale e insufficiente, che interpreta questa comunit ricorrendo ad un concetto inconsistente come il lubrificante, ci obbliga a sopportare lassenza di una critica teorica del dtournement poliziesco della funzione artistica. Se liberate il vostro carattere dal carattere convenzionale per farne un luogo in cui agisce il comune, troverete la sola porta aperta alla felicit, e anche la sola chiave per liberarvi dun sol colpo verso larte e la vita. Chiamo liberazione non il fatto di essere pensati come dei responsabili (colpevoli virtuali), ma il fatto di essere pensati o di pensarci come comuni.
(traduzione di Manuel Guidi, Alessandro Lucera, Alessandro Palmieri)

ntervista a Giorgio Agamben

D: In Homo sacer1 viene messa in piena luce (pur con la comprensibile prudenza) la contiguit meta-ideologica tra i diversi modelli statali del Novecento, democratici o dittatoriali che siano, rimarcando oltretutto la maggiore trasparenza del nazismo nellesplicare la logica biopolitica rispetto alle democrazie liberali. Si tratta di uno strumento concettuale importante per uscire dai falsi dilemmi del presente facendo saltare alcune trappole concettuali. Questa diagnosi ancora valida? Ed possibile cominciare a pensare nuove categorie? R: Mi stato spesso rimproverato di aver assimilato in Homo sacer democrazia e totalitarismo. In realt non si trattava per me dellassimilazione di due modelli della cui diversit e della cui opposizione storica ero perfettamente cosciente, ma di una diagnosi che concerneva i processi di trasformazione che quei modelli erano andati subendo nel nostro tempo in una prospettiva biopolitica. Una volta che, come Foucault aveva mostrato, la vita biologica era diventata il fatto in ogni senso decisivo, la politica ne risultava integralmente trasformata, e certe opposizioni tradizionali (come destra/sinistra, privato/pubblico, parlamentarismo/assolutismo ecc.) perdevano la loro chiarezza e la loro intellegibilit ed entravano in una zona di crescente indeterminazione. Purtroppo le mie ricerche attuali sullo stato di eccezione mostrano che lindeterminazione ancora pi forte di quanto potevo credere qualche anno fa.

Cfr. G. Agamben, Homo sacer. Il potere sovrano e la nuda vita, Einaudi, Torino, 1995.

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D: In quale prospettiva sta lavorando attualmente sullo stato di eccezione? R: Lo stato di eccezione, che eravamo abituati a considerare una misura provvisoria e straordinaria, sta diventando sotto i nostri occhi un paradigma normale di governo, che determina in misura crescente la politica tanto estera che interna. Si direbbe, anzi, che la creazione di uno stato di emergenza permanente (anche se non necessariamente dichiarato in senso tecnico) sia divenuta una delle pratiche essenziali degli stati contemporanei, anche di quelli cosiddetti democratici. Si pensi a come gli Stati Uniti stiano oggi cercando di imporre su tutto il pianeta uno stato di eccezione permanente, rispetto al quale i vincoli del diritto tanto interno che internazionale non hanno pi alcuna forza. Ma questa dislocazione di una misura eccezionale in tecnica di governo non pu che trasformare radicalmente il senso della distinzione tradizionale delle forme di costituzione. D: Intende dire che la differenza fra democrazia e totalitarismo nello stato di eccezione si cancella? R: Prendiamo il caso dellItalia. Come sapete, il fascismo aveva lasciato formalmente in piedi la costituzione vigente ma aveva man mano svuotato il parlamento del suo senso e, raccogliendo una tradizione preesistente, con una legge aveva concentrato nel 1926 il potere legislativo nelle mani dellesecutivo attraverso i decreti-legge per ragioni di urgente e assoluta necessit. Malgrado labuso della decretazione durgenza da parte dei governi fascisti fosse tale che lo stesso regime aveva sentito la necessit di limitarne nel 1939 la portata, la costituzione repubblicana stabil con singolare continuit nellart. 77 che in casi straordinari di necessit e di urgenza il governo poteva adottare provvedimenti provvisori con forza di legge, che perdevano efficacia se non convertiti in legge entro sessanta giorni. Da allora, secondo il principio per cui lemergenza diventata la regola, la legislazione governamentale attraverso decreti-legge diventata in Italia la prassi normale. Non soltanto si ricor-

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so alla decretazione durgenza nei momenti di crisi politica, violando cos il principio costituzionale secondo cui i diritti dei cittadini possono essere limitati solo per legge (tanto la cosiddetta legge Moro che la legge del 6 febbraio 1980, che hanno gravemente limitato questi diritti, sono in realt dei decreti del governo subito approvati dal parlamento), ma i decreti-legge costituiscono ormai la forma normale di legislazione. Ci significa che il principio democratico della divisione dei poteri venuto meno e che il potere esecutivo ha in parte assorbito il potere legislativo. Il parlamento non pi lorgano sovrano cui spetta il potere esclusivo di obbligare i cittadini mediante la legge; esso si limita a ratificare i decreti emanati dal potere esecutivo. In senso tecnico, la repubblica non pi parlamentare, ma governamentale. Questa trasformazione dellassetto costituzionale, che oggi in corso in misura diversa in tutte le democrazie occidentali, perfettamente nota ai giuristi e ai politici, ma rimane del tutto inosservata dai cittadini. Proprio nel momento in cui vorrebbe dare lezioni di democrazia al resto del mondo, la cultura politica delloccidente non si rende conto di averne smarrito il canone. D: Gli ossimori su cui ha disegnato in maniera pi che convincente i dispositivi politico-giuridici della modernit (eccezionenorma, esclusione-inclusione ecc.) fondano sul paradosso lintera costruzione teologico-politica dellOccidente. Si tratta di un paradosso che inerisce alla struttura profonda del sistema di dominio o soltanto al suo apparato giustificativo ideologico? R: Dipende da come si definisce la natura dei dispositivi giuridici. Penso mi conceder che la loro efficacia non soltanto ideologica. Negli ultimi anni le mie ricerche si sono andate sempre pi concentrando sul diritto e mi pare di poter aggiungere agli ossimori che ha menzionato almeno quello diritto-anomia, che definisce lo stato di eccezione. Il problema che mi ha affascinato nel corso delle mie recenti ricerche quello del rapporto necessario che sembra unire diritto e anomia. Si direbbe che il diritto abbia bisogno di una zona anomica di sospensione della legge (lo stato di eccezio-

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ne, appunto) per poter fondare il proprio riferimento al mondo della vita. Ma essenziale per lordine giuridico che questo spazio anomico sia ancora in relazione col diritto, sia ancora, per cos dire, legale. Nel mio libro sullo stato di eccezione ho cercato di smascherare il carattere ideologico di questa pretesa, di esibire lo stato di eccezione per quello che , cio uno spazio vuoto, in cui agisce una violenza senzalcun rapporto col diritto. D: La politicizzazione della vita, una volta assunta come impossibile la rifondazione di un politico nel senso della Arendt, si configura in realt come lestinzione di ogni spazio politico. Come possibile superare questimpasse? R: Io credo che ci che ha condotto la politica alla sua eclissi attuale, non sia semplicemente la biopolitica in cui viviamo ormai da tempo, ma la contaminazione fra politica e diritto che in essa si produce. Questa contaminazione raggiunge la sua soglia critica con la Rivoluzione Francese. Non un caso che in quel contesto avvenga tanto liscrizione della nascita (la nation) come principio della sovranit politica attraverso la dichiarazione dei diritti, che linvenzione dello stato di eccezione (tat de sige politique) prima col decreto dellAssemblea costituente dell8 luglio 1791 e poi con la legge direttoriale del 27 agosto 1797. Mi ha molto colpito scoprire nel corso delle mie ricerche che lo stato di eccezione moderno una creazione della tradizione democratica e non di quella assolutista. Comunque sia, una volta che la vita diventa lelemento politico costitutivo, politica e diritto entrano in una zona di indistinzione che non pu che condurre allimpossibilit della politica. Questa si concepisce nel migliore dei casi come potere costituente, cio come violenza che pone il diritto, oppure si riduce a potere di negoziare col diritto e col potere costituito (cio con la violenza che conserva il diritto). Veramente politica , invece, soltanto quellazione che recide il nesso fra violenza e diritto e fra vita e diritto.

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D: Come la storia sembra essersi impegnata ad avverare le tesi di Debord, almeno in un caso essa ha sembrato avverare le sue. Il G8 di Genova stato contemporaneamente 1) un esempio del comportamento della mediocrazia che si distacca dal regime di cui parte integrante per indirizzare la protesta affinch non diventi rivoluzione2; 2) la sua violenza ( la comparsa dei carri armati3) ha ottenuto leffetto di mettere un freno alla spontaneit delle singolarit irrappresentabili come lei le descrive, riconsegnando a delle identit politiche, rappresentabili e rappresentate, la gestione di un movimento privo di condizioni di appartenenza, e 3) ha costituito uno stato di eccezione allinterno dello stato di eccezione permanente da lei descritto. Dopo questo evento molti personaggi della cultura si sono affrettati a commentare, mentre lei fino ad ora se ne astenuto. Potrebbe essere questa, a distanza di tempo dai fatti, loccasione per farlo? R: Per lesattezza ho pubblicato subito dopo Genova un articolo sul Manifesto su Genova e il nuovo ordine mondiale, in cui leggevo lo stato di assedio imposto alla citt come un esperimento del potere nella sua nuova strategia di controllo dello spazio urbano. Se dovessi aggiungere qualcosa oggi, metterei in relazione Genova col paradigma della sicurezza, che oggi, insieme allo stato di emergenza, il concetto-guida della politica mondiale. Durante le inchieste che seguirono, un funzionario di polizia che si sentiva abbandonato dal governo, dichiar che i politici non volevano che la polizia producesse ordine, ma che si limitasse a gestire il disordine. Non so se si rendesse conto di quanto profonde fossero le sue ragioni. Come Foucault ha mostrato, la sicurezza come paradigma di governo non nasce, come la disciplina, per istaurare lordine, ma per governare il disordine. Essa ha bisogno che il disordine si produca, per poi intervenire su di esso e indirizzarlo nel senso voluto. Del resto, la sicurezza da sempre un concetto dello stato di eccezione (salus publica suprema lex). Ma uno stato che ha come sua
2 3 G. Agamben, In questo esilio. Diario italiano 1992-94, in Mezzi senza fine. Note sulla politica, Bollati Boringhieri, Torino, 1996, p. 97. Cfr. G. Agamben, La comunit che viene, Einaudi, Torino, 1990, p. 60.

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unica legittimazione e come unico compito la sicurezza un organismo fragile, che pu essere facilmente provocato dal terrorismo a farsi esso stesso terrorista. quanto avvenuto negli Stati Uniti dopo l11 settembre. Pi che di un progetto imperiale, si tratta di qualcosa come un colpo di stato planetario. Ma se la politica si riduce integralmente a polizia, sicurezza e terrore, stato e terrorismo finiscono col costituire un unico sistema letale, nel quale ciascuno giustifica e legittima le azioni dellaltro e nel quale non nemmeno pi possibile distinguere chiaramente i due avversari. E questo precisamente lo stato di eccezione in cui viviamo, che anche e nella stessa misura una guerra civile mondiale.

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guardi sul potere. Breve percorso nel cinema dellorrore e di fantascienza


di Lorenzo Fabbri e Federico Primosig

a sempre le storie narrate D tessono la trama delle percezioni collettive, contribuendo a creare la mitologia di una cultura e di una civilt in base ad un rapporto circolare tra arte e societ: ogni opera simultaneamente contiene e modifica lumore di unepoca. Tutto ci si fa tanto pi reale nel caso della cultura di massa e di una delle sue pi fruite forme estetiche, il cinema. Capita cos di poter leggere in alcune opere tratti della percezione diffusa in un momento storico e di poter cogliere, in una lettura diacronica, i cambiamenti subiti da determinate istanze nel corso del tempo. Ci che vorremmo tentare in questo breve saggio di mettere a fuoco, parallelamente alla ricerca pi tradizionalmente filosofica, tre diverse rappresentazioni del potere nel cinema. Prenderemo in considerazione tre film appartenenti al filone del cinema fantastico nelle sue due ramificazioni: lorrore e la fantascienza. I tre film sono Non aprite quella porta1, Star Trek Primo contatto2 e Cube3. Il film Non aprite quella porta stato girato nel 1974 da Tobe Hooper, giovane regista indipendente appartenente alla generazione di Wes Craven, David Cronemberg, John Carpenter (ma potremmo citare anche Bob Clarke e Peter Walker), che negli anni che vanno tra il 1972 e il 1974 produrranno le loro opere prime creando un nuovo paradigma nel filone politico del cinema dellorrore e di fantascienza, rinnovando radicalmente lintero genere e riuscendo a influenzare tutta la produzione cinematografica successiva.
1 2 3 Titolo originale The Texas Chainsaw Massacre, regia di Tobe Hooper, 1974. Titolo originale Star Trek. First Contact, regia di Jonathan Frakes, 1996. Id., regia di Vincenzo Natali, 1997.

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Il film narra le disavventure occorse ad un gruppo di giovani, Sally, suo fratello sulla sedia rotelle Franklin, il suo fidanzato Jerry e i loro amici Kirk e Pam, durante una gita in camper verso la vecchia casa di campagna dei nonni di due di loro. Durante il viaggio caricano a bordo un autostoppista dallaspetto inquietante che li spaventer con racconti sul macello locale (dove lavoravano anche gli zii di Sally e Franklin) e si autolesioner a sangue con il coltellino di Franklin prima di essere cacciato dal furgone. Arrivati presso una pompa di benzina per rifornire il furgone quasi a secco, fanno conoscenza del gestore della stazione di servizio, che per li informa che non ci sar benzina almeno fino al giorno successivo. La compagnia giunge infine alla casa diroccata dei nonni di Sally situata poco distante. Pam e Kirk, girovagando per la zona, decidono di esplorare una casa l vicina convinti di potervi trovare della benzina. In questa casa troveranno la morte per mano di un grosso uomo con una maschera di pelle umana (faccia di cuoio, Leatherface). La stessa sorte toccher a Jerry andato alla loro ricerca. Tramontato il sole anche Franklin, spinto (in senso letterale trattandosi di un paraplegico) da Sally, partir alla ricerca. Il giovane sar ucciso da Leatherface davanti alla sorella, la quale verr invece rapita dopo una lunga fuga e condotta al capezzale di una macabra tavolata dove incontreremo tutta la famiglia che abita linquietante casa. La famiglia Leatherface composta dallautostoppista dellinizio, suo fratello Leatherface, loro padre, il gestore della pompa di benzina, e dal nonno semimummificato (la nonna invece comoda al piano di sopra con il cane, entrambi completamente mummificati). I due principali espedienti narrativi che vengono utilizzati in questo film sono quello del viaggio e la creazione di un microcosmo metaforico. Lespediente del viaggio, della fuori-uscita dallambiente domesticamente noto, viene utilizzato come mezzo narrativo per catapultare i protagonisti in un diverso ambiente, un luogo sconosciuto. In questopera specifica il luogo sconosciuto in realt un ritorno ad un luogo dorigine per i protagonisti, la vecchia casa dei nonni dove Sally e Franklin andavano da piccoli. Il ritorno a casa, a ci che dovrebbe essere maggiormente noto e sicuro, non va
SGUARDI SUL POTERE. BREVE PERCORSO
NEL CINEMA DELLORRORE E DI FANTASCIENZA

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per come ci si aspetterebbe. Come nella descrizione del perturbante in Freud o della straniamento in Heidegger, proprio ci che maggiormente conosciuto che pi ci minaccia e ci turba. Per esempio, il luogo dorigine diverso da come i protagonisti di Non aprite quella porta se lo ricordavano: la tomba dei nonni non dove dovrebbe essere, il luogo ora diverso da come appariva allo sguardo infantile; il fiume che veniva ricordato come un luogo dove poter fare il bagno ora prosciugato. Le aspettative su ci che si dovrebbe incontrare vengono disattese; ci che non coincide con ci che dovrebbe essere. Tutto viene trasfigurato: durante il corso della narrazione il lavoro al macello acquista una connotazione negativa che allinizio del viaggio i ragazzi non gli davano. Sia gli zii di Sally sia la famiglia di Leatherface lavoravano nello stesso macello, come a dire che le due famiglie non sono qualcosa di completamente alieno luna dallaltra, ma che c una parentela, una comune radice di violenza. Tutto ci contribuisce a decostruire una certa idea ingenua e ideologica di casa e di famiglia. Menzionando, tra le altre cose, la compromissione con le brutalit del macello di entrambe le famiglie, sia quella sana sia laltra, si suggerisce che i primi meccanismi di sopraffazione e di potere si realizzano proprio nel focolare. La chiusura in un ambiente chiuso nella narrazione cinematografica, oltre ad avere la funzione descritta sopra di catapultare i protagonisti in un ambiente diverso da quello normalmente quotidiano, ne ha anche unaltra: serve per rappresentare un microcosmo metaforico e dunque uno spaccato sociale o delle istanze filosofiche tramite personaggi concettuali (vedi Ombre rosse4, La notte dei morti viventi5 o Il mostro del pianeta perduto6 ). In Non aprite quella porta la chiusura spazio temporale dellambiente viene introdotta dallinquadratura di un orologio senza lancette conficcato ad un chiodo su un albero, inquadratura che compare non appena Kirk, la prima vittima di Leatherface, si avvicina alla casa.
4 5 6 Titolo originale Stagecoach, regia di John Ford, 1939. Titolo originale The Night of the Living Dead, regia di George Romero, 1968. Titolo originale The Day the World Ended, regia di Roger Corman, 1956.

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Questo nuovo ambiente si configura come una microcosmo isolato, angusto e claustrofobico da cui non si riesce ad uscire: una delle scene principali vede Sally continuare a correre lungamente finendo per ritrovarsi sempre e comunque sotto la minaccia della famiglia di Leatherface. Questa chiusura non altro che la resa filmica di un determinato sistema gerarchico e di una certa idea di casa la cui struttura piramidale rimarcata da una serie di inquadrature dal basso. La casa simile sotto molti aspetti a quella di Psycho7 (onorato tra laltro di varie citazioni: pezzi di animali sparsi per la casa, la vecchia sulla sedia a dondolo, una scena ambientata proprio sulla scala interna dalla abitazione). Quello che pi ci interessa mettere in evidenza in questa sede tale rappresentazione del potere; questo film descrive il potere come gerarchia e repressione, repressione che si manifesta, in linea con la percezione degli anni 70, contro le giovani generazioni. Lapparato repressivo descritto in questo film ha tra le sue risorse quella dellassoggettamento degli estranei: essi vengono utilizzati solo come risorsa per favorire il mantenimento della comunit dominante; non sono altro che carne da macello, bestiame completamente assoggettato alle esigenze delleconomia, intendendo economia nel suo senso etimologico, ovvero come legge (nomos) della casa (oikia) (non ha nessun orgoglio per la sua casa dice il benzinaio riferendosi a suo figlio Leatherface quando si accorge che durante linseguimento di Sally si rotta la porta di casa). Ma a questa economia, alla utilizzabilit del corpo e dei suoi fluidi, si aggiunge anche una dimensione erotica: il corpo oggetto di desiderio, carnalit, sessualit. Ci viene testimoniato dal desiderio che sprigionano le due turiste, rinchiuse in abiti succinti e provocanti, riprese in una serie di inquadrature voyeuristiche che si soffermano sulla loro ricca carnalit. C dellerotismo nel furgone dei ragazzi, c una tensione erotica interrotta ma messa in risalto dalla presenza del fratello paraplegico, e dunque impotente, della protagonista. E c del desiderio nei gesti dellautostoppista,
7 Titolo originale Psycho, regia di Alfred Hitchcock, 1960. Tutti e due i film si ispirano alla vicenda reale del serial killer Ed Gein.

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i cui istinti erotici sono completamente assoggettati a un desiderio di distruzione, di thanatos. Questo impulso mortale e mortifero non per da intendersi come desiderio di pura distruzione, un divertimento che altro dal tempo produttivo del lavoro: si tollera che Leatherface e suo fratello trovino piacere nel dare la morte solo perch tale atto necessario al mantenimento dellordine precostituito. In questottica il piacere non visto come spreco, come atto altro rispetto al lavoro economico, ma come mezzo per rendere il lavoro seducente e invogliante. Anzi, nel momento del divertimento, vale a dire nelle frazioni di tempo in cui ci si allontana (in latino divertere) dal lavoro, dal posto di lavoro, gli agenti vengono educati e allenati alle abitudini, alle virt, alle abilit richiesti dalla societ. Il riposo sempre configurato produttivamente, mai come spreco. Ai due non serve avere un posto di lavoro perch il loro hobby totalmente assoggettato alle ragioni delleconomia. Non c una scansione del tempo che ritma la giornata in tempo libero e tempo occupato. Andiamo a decifrare nel dettaglio leffettiva divisione in ruoli gerarchici della famiglia attraverso le funzioni di ogni singolo componente, che ricordano la classica categorizzazione weberiana del potere8. Cominciamo dai piani alti. Il nonno il vertice della gerarchia, non a caso situato al piano alto della casa, egli incarna il potere tradizionale, che si legittima grazie alla forza della tradizione che lo rende una figura quasi mitica ( il miglior macellatore che ci sia mai stato [], una volta ne ha fatti fuori sessanta in cinque minuti). Come viene mostrato in una delle scene del film vive succhiando il sangue dei giovani ma incapace di compiere azioni violente in prima persona e dunque costretto a delegare a dei rappresentanti tali compiti, necessari per la propria sopravvivenza: non riesce a colpire la testa di Sally con un martello quando i suoi nipoti tenteranno ripetutamente di fargli compiere questazione. Il gestore della stazione di servizio rappresenta il lato normale, presentabile del potere, svolge un ruolo di intermediario. Anche logisticamente il medium che collega la casa
8 Cfr. M. Weber, Economia e societ, Edizioni di Comunit, Milano, 1961.

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allambiente esterno, la sua pompa di benzina situata sulla strada il luogo ideale per procacciare vittime (Sally in una nella sua prima fuga si va a rifugiare proprio nel suo ufficio). abituato ad agire discretamente, al contrario dei suoi due figli che usa rimproverare perch a causa della loro irruenza rischiano di farsi scoprire. la falsa coscienza del potere (fuori dalla casa per colpire Sally usa una scopa, strumento ben pi discreto del manganello che user allinterno delle mura domestiche) e allo stesso tempo la sua etica razionale, convinto di non agire per piacere ma per dovere. Lillusione dellinevitabile necessit della violenza e del dominio serve per assopire qualunque barlume di coscienza (Ci sono delle cose che bisogna fare anche se non ti piace). Lautostoppista rappresenta insieme a Leatheface il lato pi violento e brutale del potere. Il suo agire mosso da un desiderio morboso di violenza: ruba le teste dei cadaveri nel cimitero locale, un esperto di macellazione di cui preferisce il vecchio metodo che, lasciando i corpi intatti, eliminava lo spreco. Il suo hobby per la fotografia non riesce a sublimare il suo desiderio di impossessamento e di cattura. Leatherface la totale disumanizzazione del potere. Ci testimoniato dal fatto che, per esprimersi, non usa una lingua ma una serie di versi animaleschi. Senza voce anche senza faccia, la sua maschera di pelle che non si leva mai solo un mortifero simulacro posticcio di un volto umano. La motosega con cui aggredisce i suoi obiettivi un simbolo fallico che rimanda sia al regime di dominazione maschile su cui si fonda la famiglia tradizionale, ma anche al ricorrente legame tra eros e thanatos messo in risalto in quasi ogni scena di Non aprite quella porta. il difensore della casa, colui che punisce chi osa violare il domicilio domestico riducendolo e sacrificandolo alla sua legge. Ci pare che il film causi la sensazione che la struttura gerarchico-disciplinare esibita e denunciata sia inevitabile, invincibile. Il film infatti non ha come tema la resistenza al meccanismo violento della societ ma, in stile quasi francofortese9, la sua puntuale descrizione. La salvezza di Sally
9 Ci si riferisce alle analisi condotte intorno negli anni quaranta dal quel gruppo di pensatori che diedero vita alla cos detta scuola di Francoforte.

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non conquistata ma, casualmente e miracolosamente, semplicemente accade: la implausibilit del lieto fine non fa che confermare limpressione che per Non aprite quella porta la resistenza contro un sistema repressivo sia inutile. Il fruitore del film come i suoi protagonisti possono essere solo passivi spettatori di ci a cui sono sottoposti. C una scena che testimonia in maniera lampante questa impossibilit di agire: appesa ad un gancio da macellaio, ma ancora viva, una delle vittime costretta ad assistere passiva al massacro dellamico. Nella sequenza intorno al tavolo la ripresa ravvicinata dellocchio della vittima conferma limpossibilit di qualsiasi approccio non spettatoriale. La violenza solo subita dallo sguardo come in Arancia meccanica10 o Un cane andaluso11. Anche la presenza nel film del paralitico sottolinea limpossibilit di agire, di difendere: egli immobilizzato, con il suo misero coltellino, impotente, non pu fare niente per difendere s stesso e gli altri, da cui anzi viene deriso. La denuncia non implica la resistenza. Questo uno degli aspetti, come vedremo meglio successivamente, che differenziano Non aprite quella porta da Star Trek. Primo contatto. Con il tempo il paradigma repressivo piramidale andato via via declinando venendo sostituito, non solo nella filosofia, ma anche nellimmaginario collettivo, da forme di percezione del potere sempre pi raffinate; quello del potere non sar lunico tema narrativo ad entrare in crisi nel corso degli anni Ottanta; con esso si eclisseranno delle categorie, anche simboliche, costituenti del nostro immaginario e dei nostri riferimenti di orientamento nel mondo. In questa sede eviteremo di ripercorrere la storia del cinema fantastico evitando perci di tenere conto delle complesse tappe che esso ha percorso nei ventanni che separano Non aprite quella porta da i due film di cui ci accingiamo a parlare. Per mettere a fuoco la sostituzione del paradigma di potere coercitivo-repressivo con quello del biopotere attingeremo a uno dei prodotti pi longevi e prolifici dellindustria dello spettacolo, ovvero la serie televisiva Star Trek e una delle sue

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Titolo originale A Clockwork Orange, regia di Stanley Kubrick, 1971. Titolo originale Un chien andalou, regia di Louis Bunuel, 1929.

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appendici cinematografiche. Non questa la sede per descrivere, neanche in modo cursorio, la storia di questa serie, quindi si costretti a far affidamento alla conoscenza che ogni lettore probabilmente gi possiede; ci limiteremo allora al tentativo di esaminare brevemente solo un piccolo, ma importante, frammento delluniverso di Star Trek. Per arrivare a parlare di biopotere e prendere in analisi il film Star Trek. Primo contatto sar comunque necessario un excursus che, attraverso alcuni episodi della serie televisiva, ci consentir di comprendere la figura della specie aliena borg, metafora del capitale globale e del suo funzionamento biopolitico. Nellepisodio di Star Trek. The Next Generation Chi Q12 la nave spaziale della Federazione dei Pianeti Uniti Enterprise-D e il suo equipaggio, comandato da Jean-Luc Picard, vengono scaraventati da Q, unentit che possiede poteri simili a quelli di una divinit, nel sistema J-25, a 7000 anni luce oltre lo spazio federale. Correva la data astrale 42761.3 (il 2365 del calendario gregoriano), un momento che la Federazione dei Pianeti Uniti13 non dimenticher mai. infatti durante questa deriva cosmica che lEnterprise fa il suo primo contatto con una potentissima civilt aliena mai incontrata prima da nessunaltra nave federale: la collettivit borg. Il vascello con cui i borg viaggiano nello spazio, la loro casa nello spazio, ha la forma di un cubo ed ha un organizzazione differente dalla quella gerarchica di Non aprite quella porta14; progettato per essere altamente decentralizzato, infatti lEnterprise-D non riesce ad individuare una plancia, una sala macchine o degli alloggi. Per produrre un danno che abbia qualche rilevanza, lEnterprise deve colpire un punto tuttaltro che centrale. Il cubo borg una sorta di istituzione totale basata sulla distribuzione spaziale dei corpi individuali (ogni drone borg ha la sua alcova) e sulla suddivisione in serie dellequipaggio. I borg sono degli organismi biologici

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Titolo originale Q-who?, regia di Rob Bowman, 1989. Alleanza interstellare di governi planetari uniti dal mutuo appoggio esplorativo, scientifico, culturale e diplomatico. La forma cubica del vascello borg anche in contrapposizione con la sfera della Morte nera di Star Wars, sede di una forma di potere tradizionale.

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che impiantano sui loro corpi delle protesi cibernetiche attraverso le quali essi si dotano di potenzialit tecniche e belliche sorprendenti, divenendo perci la minaccia pi temibile per la Federazione dei Pianeti Uniti, il nemico per eccellenza. Lo scontro fra Federazione e Collettivit infatti lo scontro tra il meglio di due mondi15, di due concezioni antitetiche di pensare la prassi dellesplorazione spaziale, di condurre lincontro con le civilt test conosciute. Mentre la Federazione impara a rapportarsi con le civilt aliene tenendo conto del profondo rispetto per lalterit necessario in questattivit, impersonificato dal capitano Picard, i borg sono la rappresentazione paradigmatica di ci che sarebbe stato della Federazione se avesse perpetrato le modalit conoscitive della ragione occidentale, totalizzante e annientatrice di ogni possibile differenza. Se la Flotta Astrale, organo della Federazione, viaggia nella galassia per incontrare pacificamente strane, nuove forme di vita da cui imparare, lunico scopo dei borg quello di conquistare interi mondi, per assimilarne i membri, la civilt e la tecnologia16. Nella prassi tecno-vampiresca dei borg si trovano molte somiglianze con lespansione del capitale globale. La Federazione, impegnata ad arginare linvasione del nemico, trova grandissime difficolt: la collettivit borg mostra un alto grado di intelligenza e la loro tattica si basa sulla loro adattabilit: la maggior parte delle armi usate contro di loro funzionano solo una volta, dopo di che, quasi immediatamente, i borg sviluppano una contromisura efficace. Lesperienza di combattimento dimostra che la nave borg ha

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Il titolo originale del secondo episodio di Star Trek. The Next Generation che avr per protagonisti i borg, , per lappunto The Best of Both Worlds (Titolo italiano: Lattacco dei borg prima parte, regia di Cliff Bole, 1990). Quanto questa semplice opposizione sia in realt insufficiente a rappresentare la complessit delle sfumature esistenti nei due diversi paradigmi di esplorazione, ci verr mostrato nel film successivo basato sulla serie Star Trek, ovvero Star Trek. Linsurrezione (Star Trek. Insurrection, regia di Jonathan Frakes, 1998) in cui emerge lesistenza di una dialettica interna alla Federazione che rende evidente come il suo umanesimo sia vicino al superamento, al trapasso nel dominio capitalista alla borg.

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delle potenti armi ad energia ed capace di riparare velocemente anche i danni pi gravi. Lo stesso accade per il capitalismo che, con i suoi sistemi e apparati, non solo riesce a neutralizzare ogni attacco, ma anzi se ne nutre, cosicch ogni progetto di contrastarlo sembra destinato a fallire. Resistance is futile la minaccia che i borg amano ribadire, ma potrebbe essere benissimo quella del tardo capitalismo. Esattamente allo stesso modo, sia il capitale che la collettivit borg usano ignorare chi non rappresenta per loro una reale minaccia. La centralit del problema tecnologico viene esemplificata col viaggio nel tempo effettuato nel momento chiave della lotta tra la Federazione e la collettivit borg. Nel 2373, i borg tentano nuovamente di assimilare la Terra. Sebbene la Flotta Stellare riesca a fermare lattacco, una singola sfera borg riesce a entrare in un vortice temporale, tornando indietro nel tempo fino al XXI secolo. Nel passato i borg tentano di impedire al pioniere dello spazio Zefram Cochrane di effettuare il primo volo a una velocit superiore a quella della luce, con linvenzione della propulsione a curvatura nel 2063. La lotta tra i due modi di esplorazione spaziale va combattuta allorigine della possibilit stessa delluscita dalla sfera terrestre. Mentre la tecnologia ben usata porta allilluminismo e allumanesimo democratico della Federazione, se essa viene messa al servizio di una struttura fondamentalmente capitalista come quella borg porta alla ragione strumentale che controlla lagire in conformit a uno scopo e ladeguatezza dei mezzi ai fini; che non regolata dallarbitrio con cui il perseguimento dei mezzi, senza cui alcun fine raggiungibile, diventa il primo fine. Capovolgendosi da mezzo a fine la tecnica diventa autonoma da tutte la finalit soggettive, che subordina a s, imponendo la sua legge oggettiva a cui tutte la soggettivit si sottomettono. Meccanismi impersonali prendono il posto di valutazioni personali, mentre le cose che ci circondano diventano semplice materia prima o strumento dellapparato tecnico che non ha in vista altro fine che non sia il proprio potenziamento. La ragione strumentale non si pronuncia sulla scelta dei fini. Conosce solo la congruit dei mezzi ai rispettivi obiettivi, ci che non conosce se gli obiettivi devono essere perseguiti oppure no.
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Nel caso dei borg lassimilazione da parte della collettivit oltrepassa il concetto di sussunzione marxiano, che pure compreso nellassimilazione. Gli individui facenti parte di specie assimilate vengono impiantati con sofisticati allestimenti cibernetici per aumentarne la forza-lavoro, permettendo cos a ogni nuovo membro di massimizzare la produttivit nel compiere il compito specifico assegnatogli dalla collettivit (fordismo-taylorismo) integrando alti livelli di conoscenza scientifica e capacit produttive. I borg, in poche parole, non annientano i corpi (come la famiglia Leatherface) ma ne organizzano la produzione. Il nemico non viene eliminato ma viene assimilato. Lassimilazione borg una peculiare forma di sussunzione reale, che si differenzia dalla pi classica sussunzione formale marxiana per il modo in cui investe direttamente la sfera biologica del soggetto coinvolto e le sue modalit di rapportarsi con la sfera sociale concretizzando una sorta di antropomorfosi del capitale. Ci pare che la collettivit borg possa essere descritta come una rete di produzione biopolitica. Con il termine biopolitica, rielaborando alcuni concetti foucaultiani, indichiamo una tecnica di potere che spinge i meccanismi disciplinari fino allinvasione del biologico. Per Foucault
Abbiamo due tecnologie di potere [] che risultano sovrapposte. Da un lato abbiamo una tecnica disciplinare: essa incentrata sul corpo, produce degli effetti individualizzanti e manipola il corpo come focolaio di forze che occorre rendere insieme utili e docili. Dallaltro abbiamo una tecnologia incentrata non sul corpo, ma sulla vita; si tratta di una tecnologia che raccoglie gli effetti di massa propri a una specifica popolazione [] Una tecnologia che sicuramente, in entrambi i casi, tecnologia del corpo, ma che in un caso una tecnologia in cui il corpo viene individualizzato come organismo, dotato di capacit, mentre nellaltro caso una tecnologia in cui i corpi sono ricollocati allinterno dei processi biologici dinsieme17.

Le tecniche di potere utilizzate dai borg si spingono fino a produrre esse stesse una popolazione, una nuova specie.
17 M. Foucault, Bisogna difendere la societ, Feltrinelli, Milano, 1998, p. 215.

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Lobiettivo finale della politica borg non il disciplinamento di singoli corpi ma, come spesso esplicitano, la gestione di intere specie, gestione che comprende anche la cura della salute collettiva necessaria al mantenimento della produttivit. La collettivit borg anche in grado di provvedere alla salute di ogni suo componente: come nelle societ descritte da Foucault, in Nascita della medicina sociale18 il potere si assume il compito di garantire la funzionalit dei corpi per mantenere il sistema produttivo19. La biopolitica non esclude la tecnica disciplinare, ma piuttosto la integra, la incorpora. La focalizzazione sulla produttivit del corporale e del somatico, uno degli elementi che caratterizzano questa specie aliena. I borg riconoscono nel corpo la sua potenzialit, lo controllano nella gestione della potenza che esprime. Il corpo, la potenza, il desiderio non vengono repressi come in Non aprite quella porta, ma incanalati produttivamente, il corpo diventa un luogo positivo di iscrizione del potere, i meccanismi di controllo da esterni si fanno interni, diffusi nel corpo.
Il biopotere una forma di potere che regge e regolamenta la vita sociale dallinterno, seguendola, interpretandola, assimilandola e riformulandola. Il potere non pu ottenere un controllo effettivo sulla vita intera della popolazione che diventando una funzione integrante e vitale che ogni individuo possa abbracciare e riattivare in modo assolutamente volontario. Come dice Foucault La vita ora diventata [...] un oggetto di potere20.

Il tentativo repressivo di Non aprite quella porta era finalizzato a distruggere la vita e a tramutarla in profitto (cannibalismo), ma non riusciva a piegare gli individui al ritmo delle pratiche e della socializzazione produttrice; non arrivava al punto di penetrare interamente le coscienze e i corpi degli individui, al punto di sottometterli e organizzarli nella tota18 19 20 Cfr. M. Foucault, Nascita della medicina sociale, in Archivio Foucault 2. 1971-1977. Poteri, saperi, strategie, Feltrinelli, Milano, 1997. Cfr. lepisodio Unito regia di Robert Duncan McNeill, 1997, della quarta serie di Star Trek Star Trek Voyager. A. Negri, M. Hardt, Impero, Rizzoli, Milano, 2002, cit. p. 39: cos, quattro anni dopo il film in questione, i due autori di Impero sintetizzano il complesso dibattito sviluppatosi attorno al concetto di biopolitica dandone la loro lettura.

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lit delle loro attivit. La relazione tra il potere e lindividuo restava una relazione puramente contrappositiva. Invece la macchina del potere biopolitico abbraccia linsieme della specie per svilupparne le potenzialit, instaurando una relazione aperta ben pi complessa in cui il potere potenzia lindividuo che potenzia il potere. Il biopotere borg non si limita ad invadere i corpi ma si esprime anche come un controllo che invade le profondit delle coscienze e che si estende, allo stesso tempo, attraverso la totalit delle relazioni sociali. Ogni borg congiunto tramite un sofisticato network di comunicazioni subspaziali in modo da creare una coscienza con/sentita21 da tutti i borg, una sorta di rete informatica, in cui lidea stessa di individuo un concetto incomprensibile: ogni singolo borg non parla mai di s stesso, ma usa invece sempre la prima persona plurale. Qui viene a galla il lato specificamente post-fordista dei borg: la cooperazione produttiva viene vista come condizione del processo lavorativo22.
Nella sfera biopolitica, la vita destinata a lavorare per la produzione e la produzione a lavorare per la vita. un grande alveare in cui la regina sorveglia continuamente produzione e riproduzione. Pi lanalisi penetra profondamente, pi scopre, a livelli crescenti dintensit, gli assemblaggi comunicanti delle relazioni interattive. Lo sviluppo delle reti di comunicazione possiede un legame organico con la comparsa del nuovo ordine mondiale: si tratta, in altri termini, delleffetto e della causa, del prodotto e del produttore. La comunicazione non solo esprime ma anche organizza il movimento di mondializzazione. Lo organizza moltiplicando e strutturando le interconnessioni tramite reti; lo esprime e controlla il senso e la direzione dellim21 Laccumulazione della scienza e dellabilit, delle forze produttive generali del cervello sociale, rimane cos, rispetto al lavoro, assorbita nel capitale, e si presenta perci come propriet del capitale, e pi precisamente del capitale fisso, K. Marx, Lineamenti fondamentali della critica delleconomia politica, La Nuova Italia, Firenze, 1968, 2 voll., p. 392 vol. II. Le potenzialit emancipatrici di questa intelligenza collettiva saranno colte da un gruppo di ex droni borg che vivono nella distesa di Nekrit sperando di ristabilire una forma di collettivit con lintento per di portare pace e armonia nella loro nuova societ e creare una nuova coscienza cooperativa. Cfr. il gi citato episodio di Star Trek Voyager Unito.

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maginario che percorre queste connessioni comunicanti. In altri termini, limmaginario guidato e canalizzato nel quadro della macchina comunicativa23.

Si pu dire dunque che la prassi borg assimila ci che resiste contemporaneamente tramite annessione e connessione. Particolarmente importante risulta il ruolo della regina borg colei che porta ordine nella moltitudine di voci della coscienza borg. La regina borg si presenta come luno e il molteplice, essa incorpora elementi di individualit cos come rappresenta il nodo centrale in una vasta mente reticolare, di gruppo. La regina borg poi un personaggio sessuale, la sua arma primaria la seduzione; vorrebbe che Picard si concedesse spontaneamente ai borg . Il capitano per resiste e solo allora la regina costretta a farlo assimilare nella collettivit. Quando i borg tentano di prendere il controllo della U.S.S. EnterpriseE, la regina borg prova a sedurre il tenente comandante Data donandogli delle componenti organiche e stimolando le sue emozioni, evidentemente conscia del fatto che un mero congegno cibernetico privo di aspetti biologici non rientra nel progetto politico borg. Lingresso dellelemento della seduzione come tecnica di potere lennesimo elemento di differenza con Non aprite quella porta. Dal sesso come pulsione che va soddisfatta, si passa alla seduzione come tecnica attraverso cui realizzare determinati rapporti di forza. Contro il genere di strategie sussuntive messe in atto dai borg non c via di scampo; coloro che dai borg sono contaminati non possono pi guarire24: non c speranza per gli individui assimilati dal nemico25. importante sottolineare

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A. Negri, M. Hardt, Impero, cit. p. 47. Il primo sintomo della presenza dei borg sullEnterprise un innalzamento febbrile della temperatura dellambiente a bordo. Rarissime eccezioni allirreversibilit di questo processo sono il capitano Picard, (Cfr. il gi citato episodio di Star Trek. The Next Generation Lattacco dei borg), Sette di Nove, personaggio che fa parte dellequipaggio di Star Trek. Voyager a partire dalla quarta stagione (Cfr. Il patto dello scorpione seconda parte, regia di Winrich Kolbe, 1997) e gli ex borg del gi citato episodio Unito. In questi ultimi casi non si tratta di una guarigione completa.

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che la Federazione pur non riuscendo mai a sconfiggere la collettivit borg definitivamente ma anzi trovandosi pi di una volta sullorlo della disfatta, non ammaina bandiera bianca, bens, fedele al dovere improrogabile di non soccombere, cerca di difendere gli spazi che i borg non hanno ancora colonizzato e di elaborare contromisure capaci di poter, seppur provvisoriamente, impensierire il nemico. Sempre sotto il pericolo di assimilazione ma sempre di nuovo sul campo a combattere una battaglia che, ammesso non possa essere vinta, almeno non sar persa.
La resistenza [] costringe, sotto il suo effetto, i rapporti di potere a cambiare. Considero quindi che il termine resistenza la parola pi importante, la parola chiave di questa dinamica26.

E in Star Trek Primo contatto la resistenza non solo una negazione ma foucaultianamente un processo di creazione; resistere ricreare, partecipare attivamente al processo di trasformazione della situazione. Il film ci suggerisce che la resistenza un gesto creativo come testimonia luso situazionista delle simulazioni olografiche per ingannare i borg. La prima inquadratura del film un primissimo piano dellocchio del Capitano Picard ma in questo caso la visione solo la premessa dellazione, implicando quindi una possibilit di resistere al potere assente in Non aprite quella porta. Il film Cube, che comincia con uninquadratura identica a significare la stessa istanza, appare una rilettura foucaultiana del romanzo Labirinto di morte27 di Philip K. Dick. Cube racconta di sei persone che si ritrovano improvvisamente imprigionate in un labirinto-prigione a forma di cubo. Ogni cella cubica ha una piccola porta su ogni parete, sul pavimento e sul soffitto, che porta ad una cella adiacente. Molte di queste celle hanno al loro interno trappole mortali come gas velenosi, fiamme, spray tossici ecc. Lobiettivo di questo gruppo, formato da un poliziotto di colore, una dottoressa, una studen-

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Michel Foucault, unintervista: il sesso, il potere e la politica dellidentit, in Archivio Foucault 3. 1978-1985 Estetica dellesistenza, etica, politica, Feltinelli, Milano, 1998, pp. 300-301. P. K. Dick, Labirinto di morte, Fanucci Editore, Roma, 1994.

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tessa di matematica, un ladro, un architetto e un giovane autistico, di trovare il modo di uscire da l, usando le particolari doti che ognuno possiede. Si capisce velocemente che questa compagine composta da persone arrabbiate e intolleranti che non fanno altro che combattersi o uccidersi lun laltro. Labbandono del tono splatter con cui Cube inizia, testimonia labbandono di un paradigma in cui il corpo visto come principale luogo di investimento degli effetti coercitivi e violenti di potere; come il macabro primo capitolo di Sorvegliare e punire28, lincipit del film il necessario prologo che ci permette di passare alla rappresentazione di altre forme di potere. Contemporaneamente si opera una desessualizzazione del potere. Il corpo non interessa pi n come risorsa produttiva n come veicolo di sensualit, il potere sembra totalmente immotivato, gratuito. Linsensatezza del cubo la sua massima prepotenza. Al contrario delle provocanti protagoniste del primo film e del corpo artificiale della regina borg i personaggi di Cube sono quasi asessuati, appaiono in vesti da carcerati/ospedalizzati, regna la sterilit. Questo film condivide con il precedente la stessa metafora spaziale: il cubo con le sue geometrie equidistanti simbolizza un potere diffuso, non piramidale. La gerarchia viene sostituita da una struttura di potere reticolare. Questo potere non ha una struttura immutabile, ma costituito da spazi modulabili e fluttuanti: le stanze, a loro volte cubiche, in cui i protagonisti si muovono si ricombinano periodicamente allinterno della macro-struttura. Si configura cos uno spazio senza vertice e senza centro, privo di forme visibili di controllo in cui si mette in scena la perdita di un ordine anche simbolico che mette completamente in crisi la metafora alto/basso che caratterizzava la casa di Non aprite quella porta. A questa dicotomia si sostituisce una serie di alti e bassi, magari connessi reciprocamente ma non subordinati luno allaltro, immagine funzionale a questa reinterpretazione del funzionamento del potere. Non essendo mai dato definitivamente un potere ma essendo esso sempre in corso di riconfi28 M. Foucault, Sorvegliare e punire, Einaudi, Torino, 1976.

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NEL CINEMA DELLORRORE E DI FANTASCIENZA

gurazione, anche la resistenza si mobilizza dandosi come azione locale, stanza per stanza, secondo una pratica di antagonismo locale e tattico. Allistituzione totale con i suoi rigidi steccati (la famiglia di Non aprite quella porta con la gabbia sociale domestica o il cubo borg), si sostituisce deleuzianamente, uno spazio vuoto, levigato, non perch stato liberato dalle striature disciplinari, ma perch le striature si sono uniformemente generalizzate nel cubo. I protagonisti si trovano gettati nel cubo senza motivo apparente. La gettatezza assolutizza listituzione annullandola, la realt stessa si configura come un dispositivo di controllo. Non c un fuori rispetto al potere. Per questo non c necessit di sedurre, poich gli ospiti del cubo non hanno alternativa, non devono essere convinti. Il cubo freddo perch non ha bisogno di attrarre. Nel cubo si ha sempre la sensazione di essere controllati, il panopticon analizzato da Foucault diventa un meccanismo superfluo. Non c bisogno di un controllore, non c repressione o punizione perch allinterno del cubo nessuna devianza pu mettere in pericolo la sussistenza del cubo stesso. Cube un film anticospirazionista: nonostante la prima ipotesi di uno dei personaggi sia che dietro al cubo ci sia la mano del governo o degli alieni, come per Foucault il potere coincide con le relazione tra i soggetti, come si accorgeranno i protagonisti del film: essi stessi sono il cubo. La problematica interazione tra i personaggi rende vana la resistenza. Pur essendo gli individui coinvolti in unimpresa comune, le loro azioni sono conseguenze di esperienze provenienti da diversi ambiti di senso difficilmente connettibili, che, come le stanze del cubo, sono comunicanti ma non coincidenti. Ognuno agisce in base a regole proprie. Nella complessit sociale, indicata dalle differenti provenienze dei protagonisti, molto difficile riuscire a concordare con altre persone nellesperienza e nellazione e condividere gli stessi valori. Fallisce il tentativo di definire un orizzonte di senso per mantenere le aspettative reciproche. Per questo allimmobile istituzione totale si sostituisce la geometria variabile del cubo necessaria per controllare un tessuto sociale cos complesso e frammentato. Per cercare di uscire dal cubo in cui si trovano, i prigionieri cercano di orientarsi facendo ricorso allelaborazione

LORENZO FABBRI E FEDERICO PRIMOSIG

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matematica delle cifre che sono incise sul passaggio tra le stanze. La liberazione dovrebbe coincidere con la giusta comprensione del valore di tali numeri.
Nelle societ di controllo, viceversa, la cosa essenziale non pi n una firma n un numero, ma una cifra: la cifra un lasciapassare, mentre le societ disciplinari sono regolate da parole dordine (sia dal punto di vista dellintegrazione che della resistenza). Il linguaggio numerico del controllo fatto di cifre che contrassegnano laccesso allinformazione o il diniego29.

Il problema che per non si riesce a trovare una teoria definitiva per individuare le trappole e la via duscita. Non c una soluzione che non sia contingente e temporanea. I tentativi della ragione di comprendere il cubo falliscono. Perch il cubo? Come funziona? Come si esce? La rottura degli occhiali della studentessa di matematica allinizio del film segnala proprio questa difficolt di produrre una visione, una teoria (theorein in greco significa vedere) che spieghi la realt e ci dica come agire in essa. In Cube la sragione, laltro dalla razionalit, sembra essere lunico modo per esperire un fuori dalla totalit, per evadere dal controllo. Infatti lunico a salvarsi pazzo; la follia lultimo scampo, lunica a trionfare, mentre chi ha maltrattato il personaggio autistico per tutto il film si ritrova a morire dinanzi a lui.

29

G. Deleuze, Poscritto sulle societ di controllo, in Pourparler, Quodlibet, Macerata, 2000, p. 237.

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Eter otopie
Collana diretta da Ubaldo Fadini, Paolo Ferri, Tiziana Villani BERNI Stefano, Soggetti al potere. Per una genealogia del pensiero di Michel Foucault, 1998, pp.113, ISBN 8887231273, 8,26 CARBONE Paola, Patchwork Theory. Dalla letteratura postmoderna allipertesto, 2001, pp. 281, ISBN 8884830272, 14,46 CARMAGNOLA Fulvio, La specie poetica. Teorie della mente e intelligenza sociale, 2000, pp.185, ISBN 8887231877, 12,39 DAL BO Federico, Societ e discorso. Letica della comunicazione in Karl Otto Apel e Jaques Derrida con un inedito di Derrida: I limiti del consenso, 2002, pp. 218, ISBN8884830575, 13,00 DE BEAUVOIR Simone, La donna e la creativit, a cura di Tiziana Villani, 2001, pp.80, ISBN 888483046X, 8,50 DELEUZE Gilles, La passione dellimmaginazione. Lidea della genesi nellestetica di Kant, a cura di Tiziana Villani e Luisella Feroldi, 2000, pp. 70, ISBN 8887231753, 7,75 DELEUZE Gilles, Istinti e istituzioni, a cura di Ubaldo Fadini e Katia Rossi, 2002, pp.123, ISBN 8884830990, 8,00 DE MICHELE Girolamo, Tiri Mancini. Walter Benjamin e la critica italiana, 2000, pp.206, ISBN 8887231605, 12,39 FADINI Ubaldo, Principio metamorfosi. Verso unantropologia dellartificiale, 1999, pp.282, ISBN 8887231281, 14,46 FERRI Paolo, La rivoluzione digitale. Comunit, individuo e testo nellera di Internet, 1999, 20012, pp.206, ISBN 8887231591, 12,40 FOUCAULT Michel, Spazi altri. I luoghi delle eterotopie, a cura di Salvo Vaccaro, 2001, pp.100, ISBN 8884830028, 8,30 MARZOCCA Ottavio, Transizioni senza meta. Oltremarxismo e antieconomia, 1998, pp.212, ISBN 8887231109, 13,43 MELLO Patrizia (a cura di), Spazi della patologia patologia degli spazi, 1999, pp.242, ISBN 888723129X, scritti di Francesco Gurrieri, Romano Del Nord, Patrizia Mello, Ubaldo Fadini, Massimo Canevacci, Luisa Leonini, Massimo Ilardi, Tiziana Villani, Michele Sernini, Lucilla Frattura, Ferdinando Terranova, Ezio Manzini, Elena Pacenti, Donatella Cozzi, Giandomenico Montinari, Giuseppe Cardamone, Andrea Grillo, 14,46 PIRRONE Marco Antonio, Approdi e scogli. Le migrazioni internazionali nel Mediterraneo, 2002, pp. 148, ISBN8884830915, 13,00 RICCIO Franco, VACCARO Salvo (a cura di), Nietzsche in lingua minore, 2000, pp.278, ISBN 8887231702, scritti di Th.W. Adorno, H.G. Gadamer, M. Horkheimer, Michel Foucault, Gilles Deleuze, Franco Riccio, Keith AnsellPearson, James A. Leigh, Vincent P. Pecora, Arieh Botwinick, Scott Lash, Salvo Vaccaro, 14,46 PAQUOT Thierry, Lutopia ovvero un ideale equivoco, traduzione di Enrico Rudelli, 2002, pp. 90, ISBN 8884830591, 8,50 PETRILLI Susan, PONZIO Augusto, Fuori campo. I segni del corpo tra rappresentazione ed eccedenza, 1999, pp.430, ISBN 888723132X, 14,46

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millepiani
1. DELEUZE Gilles, GUATTARI Flix, Geofilosofia. Il progetto nomade e la geografia dei saperi (Gennaio 1994, 9,30, 1a ristampa, marzo 1996, ISBN8885889239) Oltre a Deleuze e Guattari, interventi e saggi di T. Villani, P. Virilio, P. Dalla Vigna, P. Tripodi, A. Bonomi, A. Zanini, e M. Berisso. Sono stati inseriti intertesti poetici di N. Balestrini, T. Villani e G. Gherzi. Copertina, immagini e grafica sono di L. Bobba. 2. FOUCAULT Michel, Eterotopia, Luoghi e non-luoghi metropolitani (maggio 1994, 11,36, ISBN8885889417) Oltre a M. Foucault, interventi e saggi di A. Bonomi , M. Cacciari, V. Corzani, P. Gentiluomo, A. Dal Lago, P. Dalla Vigna, U. Fadini, P. Rabissi, A. La Stella, J.P. .Ljotard, A. Merini, M. Perniola, G. Simmel e T. Villani. Le immagini: opere di Marco Porta. 3. VIRILIO Paul, La deriva di un continente. Conflitti e territorio nella modernit (novembre 1994, 10,33, ISBN 8885889484) Oltre a P. Virilio, interventi e saggi di B. Fondoianu, V. Corzani, U. Fadini, M. Foucault, C. Juhl, S. Raimondi, T. Villani, P. Virilio, A. Zanini. Immagini: opere di Enrico Baj. 4. BENJAMIN Walter, Il carattere distruttivo. Lorrore del quotidiano (marzo 1995, 11,36, ISBN888588962X) Oltre a Benjamin, saggi e interventi di A. Bonomi, V. Corzani, M. de Certau, U. Fadini, C. Formenti, M. Guareschi, A. Ponzio, T. Villani. Immagini: opere di Fabrizio Clerici. 5. PERNIOLA Mario, Oltre il desiderio e il piacere. Territori dellestremo e spaesamento (Maggio 1995, 11,36) Oltre a Perniola, interventi e saggi di S. Benvenuto, A. Dal Lago, P.K. Dick, M. Ilardi, G. Leopardi, P. Moroni, S. Loria, A.Pinotti, P. Rabissi, T. Villani. Immagini: disegni di G. Deleuze. 6. BALLARD James G., Il futuro morto. Psicogeografia della modernit (pp.144, Ottobre 1995, 11,36, ISBN 8885889522) Oltre a Ballard, saggi e interventi di E.F. Carabba, P. Dalla Vigna, P.K. Dick, U. Fadini, M. Guareschi, S. Loria, D. Marchi, G. Pascucci, T. Villani. Immagini: Csar (Baldaccini).

7. GUATTARI Flix, Architettura della sparizione, architettura totale. Spaesamenti metropolitani (pp.176, 11,88, ISBN8885889972) Oltre a Guattari, saggi e interventi di A. Bonomi, M. Canevacci, P. Desideri U. Fadini, M. Guareschi, M. Ilardi, Ch. Juhl, S. Loria, D. Marchi, P. Mello, G. Pascucci, G. Pizziolo, M. Sernini, A. Terranova, T. Villani. 8. DELEUZE Gilles, Felicit nel divenire. Nomadismo, una vita (pp.144, marzo 1996, 11,36, ISBN 8885889719) Inoltre, saggi e interventi di N. Balestrini, R. Braidotti, C. Clment, P. Dalla Vigna, U. Fadini, R. De Gaetano, U. Fadini, T. Villani, A. Zanini. 9. FOUCAULT Michel, Biopolitica e territorio. I rapporti di potere passano attraverso i corpi (pp.160, ottobre 1996 11,36, ISBN 8885889778) Inoltre, contributi di: A. Dal Lago, U. Fadini, T. Macr, P. Mello, A. Petrillo, A. Ponzio, F. Rahola, P. Rossi, G. Tamburelli, T. Villani. 10. DAVIS Mike, Geografia dellespressione. Citt e paesaggi del terzo millennio (pp.180, marzo 1997, 11,36, ISBN 8885889794) Inoltre, contributi di M. Canevacci, C. Cerreti, G. Dematteis, G. de Spuches, U. Fadini, V.Gravano, V.Guarrasi, M. Neve, M. Sernini, A. Terranova, T. Villani. 11. ARTAUD Antonin, Il sistema della crudelt. Gli affetti, le intensit, il linguaggio dei corpi (pp. 160, maggio 1997, 11,36, ISBN 8885889875) Oltre ad Artaud contributi di: P. Dalla Vigna, U. Fadini, M. Faletra, V. Gravano, T. Macr, Oscar Panizza, G. Pascucci, A. Ponzio, T. Villani. 12. DELEUZE Gilles, KLOSSOWSKI Pierre, Simulacri e filosofia. Maschere, segni, eventi nella polis contemporanea (pp.148, ottobre 1997, 11,88, ISBN8887231001) Oltre a Deleuze e Klossowski, interventi di P. Dalla Vigna, U. Fadini, T. Macr, M. Neve, T. Villani, A. Zanini. Immagini a colori della mostra Percorsi. 13. DELEUZE Gilles, GUATTARI Flix, Droghe e suoni: passioni mute. Paesaggi musicali e paesaggi della dipendenza (pp. 160, ottobre 1998, 11,88, ISBN8887231230) Oltre a Deleuze e Guattari, interventi di F. Berardi, M. Coglitore, M. De Dominicis, A.Faravelli, G. Gisolo, N. Murard, S. Petrilli, A. Ponzio, T. Villani, F. Zucchella. Opere di Massimo Tassi. 14. BAUDRILLARD Jean, Cyberfilosofie. Fantascienza, antropologia e nuove tecnologie (pp. 160, maggio 1999, 11,88, ISBN 8887231303) Oltre a Baudrillard, interventi di D. Broderick, A. Caronia, K. McLeod, U. Fadini, L. Feroldi, D. Gallo, A. Ponzio, M. Refe, F. Riccio, K. Rossi, T. Villani. Opere di Lorenzo Gatti. 15. Guerra locale, guerra globale. Pulizie etniche e geopolitica dellimpero: la nuova guerra balcanica (pp.176, 11,88, ISBN 8887231486). Interventi di P. Barcellona, M. Bellini, J. Becken, G. Bonaiuti, R. Djuric, U. Fadini, J.F. Naredetzki, P.P. Poggio, A. Ponzio, S. Vaccaro, T. Villani. Immagini di Daniel & Geo Fuchs. 16. ANDERS Gnther, Eccesso di Mondo. Processi di globalizzazione e crisi del sociale, (pp.176, 11,88, ISBN 8887231974).Oltre ad Anders, interventi di U. Fadini, , G. Bonaiuti, , C. Del B, E. Diodato, O. Marzocca, S. Petrilli, A. Ponzio, A. Rudelli, S. Vaccaro, A. Zanini. Illustrazioni di David Zanardi.

17/18. DELEUZE Gilles, Tecnofilosofia. Per una nuova antropologia filosofica (pp. 186, 14,46, ISBN 8884830044). Oltre a Deleuze, interventi e saggi di J. Baudrillard, G. Bonaiuti, G. De Michele, F. Desideri, U. Fadini, A. Gehlen, R. Gelini, P. Mello, G. Polizzi, K.Rossi, A. Schaff, T. Vllani. Immagini di Robert Longo. 19. BURROUGHS William S, Geografie del controllo. Saperi, corpi, territori (pp.162, 12,39, ISBN 8884830184). Interventi e saggi di W.S. Burroughs, G. Corso, A. Ginsberg, G. Deleuze, F. Guattari, nonch di F.Ewald, Ch. Colwelt, G. De Michele, P. Di Vittorio, U. Fadini, L. Feroldi, F.Galluzzi, Th. Pyncion, A. Rudelli, T. Villani. 20. GUATTARI Flix, Pensiero globale, cervello sociale. Lotta contro le opinioni per resistere al presente (pp.195, 13,00, ISBN 8884830389). Oltre a Guattari, interventi di S. Caponi, U. Fadini, G. Paolucci; T. Paquot, J. Reichman, A. Sohn-Rethel, A. Rudelli, S. Vaccaro, T. Villani, S. Watson. 21. ADORNO Theodor Wiesengrund, Progresso e feticismo. Ideologia e mercificazione dei corpi, degli affetti e delle relazioni nel tempo presente (pp.166, 13,00, ISBN 8884830958). Oltre ad Adorno, interventi di M. Godelier, A. Sartini, U. Fadini, T. Villani, G. Perretta, A. Caronia, A. Rudelli, P. Guglielmoni. 22/23 SPINOZA Baruch, Corpi e libert. Trasformazioni antropologiche del presente (pp.212, 14,50, ISBN 8884830796). Oltre a Spinoza, interventi di S. Berni, A. Caronia, U. Fadini, M. Guerri, G. Perretta, G. Piana, A. Rudelli, K. Rossi, A. Sartini, S. Vaccaro, T. Villani. Immagini di Carlo Porta.

QUADERNI DI millepiani
BALIBAR Etienne, La paura delle masse. Politica e filosofia prima e dopo Marx, 2001, pp.252, ISBN8887231788, 19,36 NEGRI Antonio, Lenta ginestra. Saggio sullontologia di Giacomo Leopardi, 2001, pp. 241, ISBN8884830303, 18,08 PERRETTA Gabriele (a cura di), Nel tempo delladesso. Walter Benjamin tra storia, natura e artificio. Opera e scritture sulle 18 tesi di filosofia della storia, 2002, pp. 303, ISBN8884830907, 19,00. Interventi di G. Perretta, G. Bonola, U. Fadini, F. Desideri, M. Pezzella, M. Pascucci, M. Palma, A. Caronia, A. Negri, G. De Michele, A. Illuminati, R. Genovese, L.A. Blanqui, P. Scheerbart, L. Aragon, B. Brecht, W. Benjamin, L. Voce, T. Ottonieri, GAHP

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