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DUE UTOPIE: LO SCIENTISMO E IL RITORNO ALLA NATURA

Evandro Agazzi

Si afferma spesso, e non senza ragione, che il nostro tempo ha condotto all'estinzione le ideologie, intendendo come tali esemplarmente le ideologie politiche, come il socialismo, il liberalismo, il fascismo, che permangono come quadri di riferimento deboli e sbiaditi, accettando reciproche infiltrazioni e rinunciando a quella compattezza dottrinale che faceva di esse dei sistemi di principi e valori affermati come assoluti e, in quanto tali, capaci di impegnare a fondo la prassi umana in una lotta spesso senza quartiere per il loro trionfo. Eppure non si pu negare che queste tradizionali ideologie sono state sostituite da altre, di profilo apparentemente pi basso, ma non meno pervasive e che, nonostante l'apparenza di una loro indifferenza politica e di una loro trasversalit (come oggi si usa dire) rispetto ai tradizionali schieramenti politici, hanno un forte impatto sul modo di concepire il senso e i compiti dell'esistenza umana e, in particolare, si traducono in programmi ed impegni di natura concretamente politica. Si tratta dell'ideologia scientista e di quella del ritorno alla Natura che si combattono seriamente e riflettono le loro ottiche anche a livello delle grandi questioni della politica mondiale. Proprio per questo loro carattere esse, come le ideologie tradizionali, mostrano un carattere tipicamente utopistico, sul quale vale la pena di riflettere e far riflettere. In particolare, una corretta educazione civica non pu evitare di far prendere consapevolezza ai giovani di quanto esse affermino (spesso implicitamente) e di quanto implichino. II concetto di utopia Il significato corrente di termini come utopia e utopistico tende ad identificarli con la nozione di irrealizzabilit, ossia attribuisce loro una connotazione negativa che, tuttavia, si accompagna anche ad una sfumatura positiva, in quanto si ritiene che l'utopia esprima una visione ideale generosa ancorch illusoriamente disancorata dalla concretezza. Analizzando questo significato corrente, non difficile riconoscere che un'utopia si caratterizza per la presenza di un nucleo ideologico che ispira una visione escatologica. Tra i molti significati della nozione di ideologia scegliamo ai nostri fini quello che la identifica con l'assunzione di un certo valore (di per s parziale) al rango di intero, attribuendogli in tal modo un carattere di assolutezza e di preminenza sopra tutti gli altri valori e, conseguentemente, anche il ruolo di costituire un ideale regolativo per la prassi umana. In quanto tale, il valore assolutizzato di un'ideologia appare in grado di conferire un senso alla vita individuale e collettiva, indicando ad essa una meta ideale di perfezione verso cui tendere nella prassi concreta, pur nella consapevolezza che la sua piena realizzazione si colloca in un futuro indeterminato e lontano, che pu apparire oggi irrealizzabile, ma che non appare tale di per s e, anzi, merita tutti i nostri sforzi affinch un giorno si realizzi (in ci consiste l'aspetto escatologico del versante pratico dell'ideologia, che genera la visione utopica). Lo scientismo Con queste premesse non difficile riconoscere il carattere ad un tempo ideologico e utopistico dello scientismo. Questo pu infatti essere identificato con quella concezione che attribuisce alla scienza un valore assoluto, riconoscendo in essa l'unica forma autentica di

conoscenza umana, che costituisce pertanto lo strumento pi adeguato per risolvere tutti i problemi dell'uomo: tanto quelli strettamente conoscitivi quanto quelli pratici (nella misura in cui l'unica maniera razionale di affrontare un problema pratico quella di analizzarlo adeguatamente dal punto di vista conoscitivo, onde scegliere quelle soluzioni che sono dettate dai risultati di tale analisi e dalla conoscenza dei mezzi adeguati che detta analisi suggerisce o addirittura impone). chiaro pertanto che, se la scienza viene considerata come lo strumento pi adeguato per analizzare conoscitivamente un problema, anche le sue soluzioni saranno quelle che la scienza medesima pu offrire in quanto sapere applicato, ossia in quanto matrice diretta della tecnologia. Possiamo dunque qualificare lo scientismo come ideologia scientifico-tecnologica. Il passaggio verso l'utopia si verifica quando questa concezione d luogo ad un impegno pratico, ossia all'impegno di promuovere e far trionfare una simile visione del mondo e della vita. Dal punto di vista storico possiamo indicare nel positivismo del secolo XIX la corrente filosofica che inaugur esplicitamente lo scientismo, senza dimenticare, per altro, che le premesse si incontrano lungo tutto il corso della filosofia moderna. Questa si svolse in parallelo con gli sviluppi della scienza moderna e da questa trasse non soltanto ispirazioni circa il modo di concepire le forme adeguate di conoscenza (da Cartesio a Kant, sia pure con accentuazioni diverse), ma anche circa i benefici pratici che la scienza pu offrire. A tal proposito dobbiamo ricordare non solo Bacone (che sottoline fortemente il ruolo della scienza nell'assicurare l'avvento del regnum hominis grazie ad un progressivo dominio sulla Natura e prospett anche nella Nuova Atlantide un quadro volutamente utopistico a tal riguardo), ma lo stesso Cartesio, che si espresse in forme non dissimili (anche se non esplicitamente utopistiche) in diversi passi delle sue opere. In particolare l'idea di progresso, divenuta imperante nel contesto della modernit e soprattutto a partire dal pensiero dell'Illuminismo, traeva dalla fiducia nella scienza (e in generale nella razionalit da questa incarnata) la sua forza di attrazione e persuasione. La fortuna filosofica del positivismo si esaur praticamente con la fine dell'Ottocento e nel Novecento fu resuscitata soltanto all'interno di una scuola importante, ma limitata (il neopositivismo). Tuttavia lo scientismo rimasto profondamente radicato nella mentalit comune delle societ occidentali. Basti pensare che, dal pi al meno, tutti siamo convinti di vivere in una situazione di progresso, in quanto conosciamo molto di pi e molto meglio che non i nostri antenati e disponiamo di una quantit enorme di strumenti per assicurare il nostro benessere e la nostra salute, di cui essi non disponevano: ci vuol poco per rendersi conto che queste accresciute conoscenze e questi accresciuti strumenti sono quanto ci stato offerto dagli sviluppi delle scienze delle tecnologie. Quindi siamo tutti un poco scientisti. Le difficolt dello scientismo Esiste comunque una difficolt non insignificante nei confronti di un'effettiva realizzazione del programma scientita, e consiste nel fatto che l'uomo possiede una visione del mondo e della vita radicata nel senso comune, la quale costituisce il quadro di riferimento e di senso in cui egli situa se stesso, si riconosce e si comprende. Le diverse scienze (sia quelle naturali che quelle umane) hanno indotto non poche modificazioni in questa visione, le quali in un primo tempo potevano apparire come idealizzazioni o approfondimenti di certi elementi del quadro di senso comune (pi o meno facilmente integrabili in esso), ma che si sono rivelate sempre pi come autentiche falsificazioni di questo quadro. Si venuta in tal modo producendo una vera e propria divaricazione fra quelle che il filosofo americano

Wilfrid Sellars ha chiamato l'immagine manifesta e l'immagine scientifica del mondo (aggiungendo che la prima sostanzialmente erronea, mentre quella vera la seconda). Pertanto, se vogliamo sinceramente promuovere il progresso dell'umanit (intendendolo molto semplicemente come un passaggio dall'errore alla verit) dobbiamo darci da fare perch l'immagine scientifica sostituisca l'immagine manifesta: questo evidentemente un aspetto utopico che Sellars implicitamente riconosce come risvolto del suo (ancorch non esplicitamente dichiarato) scientismo. Tuttavia l'utopicit non consiste, in questo caso, in una semplice difficolt pratica, ma in una pi radicale difficolt di principio. Infatti la stessa immagine scientifica non pu costituirsi se non a partire dal senso comune e dalla sua immagine del mondo, e ci non in un senso puramente intuitivo e quasi visuale, bens in un senso ben pi profondo, in quanto la visione di senso comune include anche tutta una gamma di concetti generali, categorizzazioni, classificazioni, codificazioni linguistiche, concezioni ontologiche e metafisiche pi o meno implicite che si sono venute strutturando ed evolvendo nel corso dei millenni della storia umana e che sono necessariamente impiegate nell'elaborazione della stessa immagine scientifica che, pertanto, non pu nello stesso tempo considerare errata la visione di senso comune ed avvalersi di essa come strumento affidabile per la sua propria costituzione. Si aggiunga poi che la stessa idea di immagine scientifica quanto mai problematica, in quanto le varie scienze ci offrono tante immagini parziali del mondo, ritagliate in funzione dei loro particolari criteri e metodi di indagine, e non si vede come questa pluralit di immagini possa dar luogo ad una sola immagine scientifica unitaria e globale, dentro la quale l'uomo possa riconoscersi e situarsi. Infine, anche se ci potesse realizzarsi, non sapremmo a quale immagine scientifica affidarci, essendo ben noto che tutte le scienze si trovano in perenne flusso, superando continuamente e correggendo le loro concezioni teoriche: una volta ancora, dovremmo confidare nel raggiungimento utopistico di un'immagine scientifica finale del tutto indeterminata e imprevedibile che dovrebbe sostituire allora l'immagine manifesta di senso comune. Ma nel frattempo che cosa dovremmo fare? Queste riflessioni critiche, che per comodit abbiamo riferito alla posizione di Sellars, colpiscono in realt lo scientismo in quanto tale e indicano che la sua debolezza non risiede nella valorizzazione della scienza, bens nella sua assolutizzazione, ossia nell'attribuirle l'esclusiva per quanto concerne la conoscenza della verit, nel non riconoscere che la sua portata solo parziale rispetto alla complessit di quel mondo della vita (per usare una famosa espressione di Husserl) che viene colto nella immagine manifesta del senso comune. Con ci non si vuole affermare che l'immagine di senso comune sia in tutto e per tutto valida, e neppure negare che essa evolve anche nella misura in cui recepisce aspetti dell'immagine scientifica (riuscendo, per cos dire, a metabolizzarli al suo interno). Lo stesso Husserl, del resto, mentre rimproverava alla scienza di dare una visione deformata del mondo della vita e di allontanarsi dalla genuinit di quest'ultimo, riteneva che la verit piena si potesse raggiungere mediante un'indagine difficile e rigorosa, costituita dalla sua fenomenologia trascendentale. Lasciando perdere questi riferimenti, possiamo dire che quella scientifica una visione ridotta della realt e che, affinch essa non diventi una visione riduttiva, necessario tenere aperta l'ottica sulla pienezza del reale, quale viene colta nella pienezza del vissuto umano, con tutta la variet di accessi al reale, di problematizzazioni, di conferimenti di senso che esso pone in atto.

La crisi dello scientismo L'utopia scientista entrata in forte crisi a partire dalla met del Novecento, in primo luogo sul piano pratico e poco dopo anche su quello conoscitivo. Dal primo punto di vista, si incominciato a porre in dubbio che le applicazioni della scienza (ossia le conquiste tecnologiche) siano di per s destinate a migliorare la condizione dell'uomo. La bomba atomica indic non soltanto che la tecnologia aumenta enormemente le capacit di distruzione e di morte (cosa del resto ben documentata dai progressi tecnici e tecnologici di tutti i tempi), ma che pu addirittura minacciare la stessa sopravvivenza dell'intera umanit (ad esempio, in caso di guerra atomica scatenata anche solo per errore). Le stesse utilizzazioni 'pacifiche dell'energia nucleare si sono mostrate suscettibili di provocare terribili disastri di lunga durata (Cernobil solo l'esempio paradigmatico di simili pericoli), e perfino tecnologie industriali di tipo tradizionale hanno rivelato rischi analoghi (come nel caso dei disastri di Seveso e Bhopal prodotti dall'industria chimica). Riguardo a tecnologie pi recenti, come quelle legate all'ingegneria genetica e, in generale, alle biotecnologie, si assiste al diffondersi di allarmi e timori che concernono i pericoli, reali o possibili, di una loro incontrollata applicazione alle specie viventi e all'uomo medesimo, per non parlare delle possibili conseguenze future incontrollabili e per ora difficilmente prevedibili. Pi in generale, si constata come il diffondersi delle tecnologie industriali stia producendo effetti di contaminazione ambientale, alterazioni dell'ecosistema, sfruttamento massiccio di risorse materiali ed energetiche non rinnovabili, che in un futuro non molto lontano potrebbero compromettere seriamente le condizioni della vita sul nostro pianeta (compresa la vita umana). Dal secondo punto di vista (quello conoscitivo), basti rilevare come nella seconda met del Novecento abbiano sempre pi preso piede, in seno alla stessa filosofia della scienza, interpretazioni anti-realiste, che ne hanno sottolineato oltre misura il carattere fallibile, la dipendenza da contesti sociali e da condizionamenti linguistico-culturali, fino a negare le sue caratteristiche non soltanto di conoscenza vera, ma addirittura di conoscenza oggettiva e rigorosa, affidabile e superiore a forme di conoscenza prescientifiche o extra-scientifiche. Questo aspetto, per quanto molto rilevante in quanto fattore di disgregazione dello scientismo, ci interessa meno ai fini del presente discorso. Infatti stato soprattutto l'aspetto pratico (quello, per intenderci, che sfatava il mito di una tecno-scienza che contribuisce di per s al miglioramento della qualit della vita) a suscitare una diffusa reazione anti-scientifica e antitecnologica in molti strati della cultura occidentale; una reazione che, opponendosi correttamente all'unilateralit riduttiva dello scientismo, veniva assumendo per parte sua connotazioni non meno unilaterali ed eccessive. L'utopia del ritorno alla Natura La reazione invest direttamente la tecnologia, ma indirettamente anche la scienza in quanto essa costituisce il fondamento conoscitivo della tecnologia e in quanto, oggi, essa risulta inestricabilmente connessa, per i suoi sviluppi, con la tecnologia medesima. Della tecnologia, poi, si volle attaccare quello che , senza dubbio, l'aspetto centrale, ossia il suo essere l'espressione massima dell'artificialit, considerata come opposizione alla Natura e, quel che pi conta, connotata negativamente proprio in ragione di tale opposizione. Anche in questo caso si pu riconoscere il riaffiorare di posizioni non nuove. Non tanto quelle di tradizione antichissima che esistevano prima che sorgesse la scienza moderna (riannodabili alla filosofia stoica, per la quale la Natura rappresentava un ordine razionale assolutamente

buono e il sequere naturam costituiva un principio etico fondamentale, e proseguite in seno alla cultura di ispirazione cristiana, per la quale la natura esprime l'ordine voluto dalla sapienza divina, al quale moralmente doveroso adeguarsi), quanto a quelle manifestatesi a guisa di contrappunto proprio mentre il culto della scienza guadagnava terreno nella cultura moderna. Basti pensare alla teorizzazione della natura buona e dell'azione corruttrice della societ, propugnata da Rousseau (e colpita dall'ironia di Voltaire proprio in nome dei benefici che la scienza offriva ai suoi contemporanei), o al mito del buon selvaggio diffuso nel Settecento, o alle opere letterarie del tipo di Paul et Virginie di Bernardin de Saint Pierre: tutto un filone cui ha recato il suo contributo lo stesso Goethe, ripreso abbondantemente dai romantici e costretto a rimanere in sordina a causa dei successi roboanti che venivano rapidamente conseguendo le scienze fisiche e le loro applicazioni tecnologiche, fino a quando esso fu praticamente ridotto al silenzio dalla comparsa della teoria darwiniana dell'evoluzione, la quale faceva della lotta per la vita la legge fondamentale del mondo vivente, con tutti gli aspetti di spietatezza e crudelt che essa implica e che sembravano togliere ogni fondamento all'idea di una natura buona. Oggi questo filone riemerso ed ha gi assunto le forme di una nuova utopia, quella del ritorno alla Natura. L'aspetto ideologico del ritorno alla Natura Anche in questo caso non difficile rintracciare l'elemento ideologico e l'elemento escatologico che caratterizzano l'utopia. Il primo consiste in uri assolutizzazione della Natura, che viene caricata di una forte connotazione assiologica: essa qualcosa di intrinsecamente positivo, le inerisce una sorta di sacralit (da intendersi come una indisponibilit all'arbitrio dell'uomo) che implica in primo luogo un rispetto e, sul piano pratico, un conformarsi ad essa. L'elemento escatologico consiste nel fatto che, nonostante si parli di un ritorno, questo non pu ovviamente consistere in un rovesciamento della freccia del tempo, in un regredire verso il passato, bens in un programma di azione proiettato verso un futuro lontano e indeterminato, in quanto oggi tale ritorno irrealizzabile (date le condizioni onnipervasive imposteci dalla tecno-scienza), ma si pu lavorare perch esso si realizzi gradatamente a partire dalle condizioni attuali. Tenendo conto del fatto che la tecnologia viene considerata, in quest'ottica, come antiNatura, come espressione del fatto che la Natura pu liberamente essere manipolata e sfruttata, che essa totalmente disponibile ai voleri e ai capricci dell'uomo, chiaro che il programma del ritorno alla Natura assume quasi inevitabilmente i tratti di un programma antiscientifico e anti-tecnologico. Non ha molta importanza che a questa conclusione alcuni possano esser giunti sulla scorta di certe dottrine filosofiche (ad esempio, della condanna heideggeriana della tecnica), piuttosto che per il fatto di aver attribuito alla perdita del rispetto per la Natura le conseguenze pericolose e i danni effettivi dello sviluppo tecnologico, o ancora per aver ritrovato in tradizioni di pensiero e di cultura pi antiche (o magari in suggerimenti di culture extraeuropee) le motivazioni pi o meno razionali di questo atteggiamento. Comunque si sia giunti ad esso, quello che ora ci interessa proporne una valutazione critica analoga a quella che abbiamo dedicato allo scientismo. Critica dell'ideologia naturalista Osserviamo, in primo luogo, che l'opposizione all'artificiale costituisce una vera incongruenza da parte di chi propugna il rispetto per la Natura. Infatti anche l'uomo fa parte

della Natura, ma ne fa parte secondo la propria natura (cio la propria essenza caratteristica), che diversa da quella delle piante e delle altre specie animali non umane. In particolare, un tratto caratteristico della specie umana che, mentre le altre specie viventi sopravvivono e si sviluppano quasi esclusivamente adattandosi all'ambiente, i membri della specie umana sopravvivono e si sviluppano adattando l'ambiente alle loro esigenze, vale a dire intervenendo sull'ambiente naturale, modificando certe sue caratteristiche e, soprattutto, costruendosi un proprio ambiente che , per ci stesso, artificiale (ossia prodotto ad arte, intenzionalmente, secondo un progetto studiato e voluto). Negare la legittimit dell'artificiale significa, quindi, opporsi a quanto naturale per l'uomo, significa misconoscere la specificit della natura umana, ossia non rispettare la Natura in tutte le sue dimensioni. L'attivit grazie alla quale l'uomo costruisce il suo ambiente artificiale la tecnica che, fin dagli inizi, ha consentito all'uomo non solo di utilizzare la Natura, ma in parte anche di sostituirla e di aggiungere ad essa un mondo artificiale fatto non solo di cose materiali, ma anche di istituzioni, costumi, forme di vita, che di solito compendiamo sotto la denominazione di cultura, e l'evoluzione della specie umana, ben pi che un'evoluzione strettamente biologica, stata un'evoluzione culturale cui scienza e tecnologia hanno potentemente contribuito. Una forte accelerazione in questo processo si verificata con la nascita della scienza moderna, la quale ha determinato la transizione dalla semplice tecnica alla tecnologia la quale, in questo preciso senso, pu essere considerata come scienza applicata. Il prodotto tipico della tecnologia la macchina, ossia un artefatto che non pi il risultato di ritrovamenti efficaci pi o meno causalmente acquisiti e affinati nel tempo, bens un nuovo ente progettato in applicazione di conoscenze scientifiche, finalizzato a funzionare in un dato modo e del quale si sa come funzioner e perch funzioner cos prima ancora di averlo realizzato. La macchina, pi che porre la Natura al servizio dell'uomo, sostituisce la Natura in qualche aspetto o funzione e, mano a mano che il numero e il tipo di macchine aumentano, si viene costruendo un vero nuovo mondo, che allarga a dismisura il mondo tecnico entro cui l'uomo sempre vissuto, facendolo diventare un mondo tecnologico le cui dimensioni coprono ormai quasi tutte le attivit umane, specialmente a causa del fatto che il sistema tecnologico risulta mosso da una sorta di dinamica interna che lo spinge a dilatarsi continuamente. In conclusione, oggi il pi diretto ecosistema dell'uomo il mondo tecnologico, non solo perch quello nel quale vive, ma del quale vive. Per questo oggi improponibile distruggere tale ecosistema artificiale, e qui sta un limite preciso dell'utopia del ritorno alla Natura. Un'utopia accettabile Dobbiamo ora venire ad una considerazione pi fondamentale. Non esiste alcuna ragione probante per asserire che la Natura in s e per s incondizionatamente buona e, di fatto, l'umanit ha dovuto spesso lottare, e ancora costretta a farlo, contro le calamit naturali, le malattie e tante altre manifestazioni di una Natura nemica, approntando a tal fine gli strumenti della tecnica e della tecnologia. D'altro canto, neppure il mondo tecnologico in s e per s incondizionatamente buono, come si visto sopra. Tanto l'ideologia scientistatecnologica quanto l'ideologia naturalista ignorano questo fatto, in quanto entrambe sono riduttive e perci riflettono tale riduttivit anche sulle rispettive utopie. Queste si mostrano, quindi, irrealistiche non soltanto perch propongono un ideale oggi irrealizzabile, ma anche e soprattutto perch tale ideale irrealizzabile intrinsecamente, in quanto viene a collisione con la pienezza dell'esistenza umana, che esige per un verso il rispetto del pi generale mondo

naturale in cui lo stesso mondo artificiale vive e di cui vive, e per altro verso il buon funzionamento di quel mondo artificiale e tecnologico che costituisce l'insieme delle condizioni di vita dell'uomo contemporaneo. L'autentica utopia che merita oggi di essere coltivata quella che si sforzi di realizzare un'integrazione e armonizzazione di questi due mondi, e ci potr avvenire nella misura in cui si recuperi il senso globale e unitario dell'esperienza umana integrale, con tutte le sue dimensioni di valore, di senso, di impegno, accettando che queste vengano soddisfatte attraverso quegli accessi forniti dalla riflessione filosofica, dalle arti, dalle religioni, dall'impegno civile, dalla ricerca della pace e della giustizia, dal rispetto per la libert e dignit di ogni essere umano, dalla valorizzazione della sfera dei sentimenti, che non possono certamente essere surrogati n da un ricorso agli strumenti riduttivi della scienza e della tecnologia, n da un generico appello al rispetto della Natura.

L'etica ambientale tra speranze e preoccupazioni


Ludovico Galleni

Sarebbe interessante iniziare un percorso scolastico sull'etica ambientale con un piccolo test. Gli insegnanti potrebbero chiedere agli studenti qual secondo loro la pi grande scoperta scientifica del ventesimo secolo. Probabilmente avremmo le risposte pi disparate, ma concentrate nei campi della fisica (astronomia e fisica delle particelle) e della biologia, fondamentalmente intesa come biologia molecolare. Non vorrei essere pessimista, ma 'credo che nessuno dar la riposta a mio parere pi corretta, almeno dal punto di vista dell'etica ambientale. La risposta corretta infatti che la pi grande scoperta della scienza del ventesimo secolo consiste nella consapevolezza che ci troviamo a vivere su un piccolo pianeta a risorse limitate e dagli equilibri fragili. E il problema che esiste dunque una antitesi precisa tra la necessit di un utilizzo di risorse che sono limitate e il mantenimento di equilibri che sono fragili. Risorse limitate e fragili equilibri Questo , dunque, il problema che la scienza del ventesimo secolo ci pone e che diviene la struttura portante di ogni riflessione di etica ambientale. chiaro che l'etica ambientale si sviluppa in molte piste'. Qui per vogliamo dare per accettato il fatto che la protezione dell'ambiente, nella prospettiva di una sopravvivenza a lungo termine della umanit, sia un valore condivisibile. L'argomento si pu sviluppare partendo da un ottica cristiana, il costruire la Terra in Crissto Jesu di Teilhard de Chardin che collega la costruzione della Terra alla convergenza dell'umanit verso il punto omega, il momento della seconda venuta di Cristo. Da questo punto di vista per permettere che questo cammino dell'umanit sulla Terra possa compiersi, bisogna preservare il luogo dove questo cammino avviene cio la Biosfera di questo piccolo pianeta. D'altra parte si pu tentare un approccio pi generale e ontologico quale quello di Jonas che in fondo ritiene che la Terra vada preservata anche per le generazioni future proprio perch l'esistenza del pensiero una ricchezza ontologica di questo piccolo pianeta che va

mantenuta perch l'essere (in questo caso la presenza di esseri pensanti) meglio del non essere collegato alla loro scomparsa. Si tratta di uno sforzo coraggioso che supera i limiti che pone l'etica nicomachea4 per quel che riguarda il futuro lontano e cerca di fondare ontologicamente la necessit di una responsabilit anche verso le generazioni future. Comunque sia, i due percorsi permettono di costruire l'etica ambientale in maniera teologicamente e filosoficamente pi robusta che un generico e superficiale amore per la natura. interessante notare come tutte e due le prospettive siano in qualche modo antropocentriche: l'una, quella religiosa perch in fondo chiede di conservare la Biosfera per permettere di continuare il cammino che l'umanit redenta deve compiere nell'alleanza col Creatore che l'ha redenta; l'altra perch richiede la necessit di conservare la natura affinch il pensiero, inteso come novit ontologica, possa sopravvivere nell'economia generale dell'Universo. Una volta chiarita la necessit di salvaguardare la Biosfera, occorre anche indicare quali relazioni tra umanit e Biosfera possono ottenere lo scopo. Relazioni tra Umanit e Biosfera In effetti si pu vedere un collegamento,di tipo simbiotico come quello che meglio rappresenta la pi corretta relazione tra umanit e Biosfera: la Biosfera pu ormai sopravvivere solo se l'Umanit se ne fa carico e costruisce la Terra nel rispetto dei meccanismi di stabilit della Biosfera, dall'altra l'Umanit pu sopravvivere solo se conserva questa Biosfera: il rapporto dunque di cooperazione per un reciproco vantaggio, cio un rapporto di simbiosi. Per, la gestione del rapporto che crea decisamente problemi perch porta a visioni e comportamenti molto diversi. Abbiamo due tendenze: una che potremmo chiamare genericamente ottimista e una che potremmo chiamare pessimista, ma che forse, pi semplicemente andrebbe chiamata realista! Quella ottimista si basa su due presupposti. Il primo quello della banalizzazione dei problemi, il secondo quello di una speranza quasi dogmatica che, ammesso e non concesso che i problemi ci siano, il mercato e la tecnologia potranno risolverli. Sembra ormai abbastanza chiaro che stiamo assistendo a cambiamenti che interessano la struttura stessa dell'intera Biosfera, dalla diminuzione dello strato di ozono all'aumento della temperatura, all'aumento del tasso di estinzione delle specie. Il problema lo si banalizza quando si fa una riflessione solo in apparenza corretta cio si afferma che la storia della Biosfera caratterizzata da fluttuazioni anche abbastanza ampie di molti parametri importanti. Ci si riferisce ad esempio alle differenze di temperatura che si sono avute passando da un periodo glaciale ad uno interglaciale o al fatto che le estinzioni sono un fenomeno naturale: senza le estinzioni non ci sarebbe la vita che oggi conosciamo e d'altra parte la storia stessa della vita sulla Terra caratterizzata da estinzioni di massa. A questo punto qual il problema? Perch allarmarsi per fenomeni che la Biosfera ha gi conosciuto in passato e che dunque pu benissimo conoscere anche oggi? Dovremmo allarmarci solo perch oggi questi fenomeni possono essere imputati alla attivit dell'Uomo, una attivit particolarmente scriteriata? Nulla di nuovo che non possa poi risolversi grazie all'autoregolazione della Natura o comunque ad interventi riparatori mirati da parte dell'Uomo stesso che come altera, ripara...

Il secondo punto ne , dunque, praticamente la conseguenza: se i guasti non sono poi cos catastrofici non vi nulla di allarmante: lasciamo fare al mercato e alle tecnologie; in fondo sono i motori che ci hanno portato al progresso che ci ha accompagnato fino ad oggi; perch dovrebbero fallire in questa nuova sfida? Il mercato diviene ancora una volta il motore immobile (le sue leggi sono immutabili) del cambiamento e la tecnologia diviene il deus ex machina che risolve tutti i problemi. Si tratta dunque di una impostazione che paradossalmente ha una robusta base metafisica: la fede nei sistemi di autoregolazione del comportamento umano basati sulla libera iniziativa e sullo sviluppo e la diffusione delle tecnologie. L in fondo la metafisica dell'illuminismo, almeno nella sua seconda fase cio quella che sostituiva all'idea metafisica di un Creatore che con la sua azione provvidente e previdente aveva organizzato per il bene globale la creazione e al cui progetto la creatura pensante doveva armonizzarsi nell'alleanza liberamente scelta, l'idea di un progresso che autonomamente garantiva di sostituirsi alla costruzione provvidenziale del Creatore. L una idolatria della razionalit, che il limite pi grande dell'illuminismo, anche perch poi d origine all'aspetto peggiore del mondo contemporaneo, cio all'idolatria del mercato e del profitto. I problemi vengono dunque banalizzati: cos funziona la natura e cos lavora il mercato: non un caso che Rockfeller, facendo catechismo alle scuole domenicali, citasse il darwinismo e la selezione naturale come la legge che Dio aveva messo nella natura per garantire la sopravvivenza del pi adatto e quindi il capitalismo americano, che eliminava le industrie pi deboli concentrando il potere economico nelle mani dei pi forti, in realt era l'esecutore della legge di Dio. Curioso che il darwinismo, considerato di solito come un attacco ateistico alla fede, qui divenga invece uno strumento di apologetica del capitalismo. Un piccolo pianeta a risorse limitate Se la Biosfera non sembra automaticamente adattarsi a questa visione, probabilmente ha bisogno di qualche piccolo ritocco e dunque possiamo ora cominciare a sostituirne i componenti biologici con componenti biotecnologici. In fondo non stiamo facendo lo stesso col corpo umano? Avremo quindi una Biotecnosfera che risponde meglio alle necessit del mercato e del progresso. E qui emergono alcuni problemi importanti. Innanzitutto la qualit dell'approccio metafisico. L'idea teorica, , come abbiamo visto, quella del progresso illimitato cara all'illuminismo. Questa idea si scontra per con un dato importante: quello di un piccolo pianeta a risorse limitate. La base empirica dell'idea illuminista di progresso era basata sul fatto che le nuove scoperte geografiche mettevano a disposizione dell'uomo bianco occidentale spazi e risorse apparentemente illimitate e la sua inventiva permetteva di sviluppare una capacit tecnologica che sembrava permettere di sfruttarle al meglio. In fondo l'energia che ha permesso la rivoluzione industriale stata ottenuta grazie allo sfruttamento di sempre nuove risorse ed alla capacit di affinare sempre di pi la tecnologia. Adesso come abbiamo visto ci rendiamo conto di due cose importanti: da una parte che le risorse sono limitate e quel che pi conta inserite in cicli che tendono a mantenere stabili i parametri principali della Biosfera. Quindi non possiamo sfruttarle all'infinito. Rimane allora la speranza nella tecnologia. Ma la tecnologia ha una conseguenza non banale: produce sottoprodotti di rifiuto e questi sottoprodotti, proprio perch sono prodotti da processi completamente al di fuori dei cicli naturali, sono decisamente difficili da smaltire. Questo dunque pone l'altro problema: non solo

siamo un piccolo pianeta a risorse limitate, ma anche dagli equilibri fragili e che invece devono essere tenuti in alta considerazione perch debbono essere salvaguardati. Che fare allora? L'etica ambientale ci indica delle scelte precise. Non solo un inserimento dell'utilizzo delle risorse all'interno dei cicli che mantengono la stabilit, ma anche un diverso modo di riferirsi al concetto stesso di progresso: il progresso ormai vuol dire stabilit. Occorre dunque recuperare una diversa base metafisica all'approccio ambientale. Da questo punto di vista rimane fondamentale, almeno all'interno della prospettiva cristiana, l'idea teilhardiana di costruire la Terra per procedere nel cammino dell'umanit verso il punto omega; ma questa prospettiva deve essere ricollegata a quella della stabilit. Qui diviene importante la riflessione che si sviluppa sempre grazie ad un altro importante aspetto dell'opera teilhardiana: quello che cerca di studiare i collegamenti tra viventi e non viventi a livello di Biosfera. In effetti vi sono alcune ipotesi scientifiche che ritengono che i parametri fisico chimici che permettono la sopravvivenza della vita sulla Terra (temperatura della biosfera, concentrazione dell'ossigeno, concentrazione dell'anidride carbonica, salinit dei mari, piovosit) sono mantenuti stabili da una serie di anelli di retroazione negativi che interessano le relazioni tra viventi e non viventi.

Stabilit della Biosfera La Biosfera non dunque un elemento passivo che subisce i cambiamenti dell'ambiente ma un'entit attiva che mantiene stabili i parametri che le permettono la sopravvivenza. E chiaro, a questo punto, che, accettando la necessit di un progetto di conservazione della Biosfera, occorre porsi il problema se ci che facciamo si inserisca all'interno degli anelli di retroazione che mantengono la stabilit. Il rischio infatti che alterando la qualit degli anelli, trasformandoli da anelli di retroazione negativi ad anelli di retroazione positivi, si ha come conseguenza una forte instabilit. E l'instabilit della Biosfera rischia di portare a situazioni di catastrofe difficilmente controllabili. Allora, nel momento in cui c' il serio dubbio che questi meccanismi siano presenti e siano attivi, dovere preciso della scienza indagarli il pi possibile e dall'altra parte diviene un preciso imperativo etico lavorare nel costruire la Terra, nel rispetto di questi meccanismi. L'effetto seda, ad esempio, collegato ad un eccesso di anidride carbonica che viene prodotto immettendo nell'atmosfera i risultati della ossidazione dei combustibili fossili. Ma questo meccanismo libera nell'atmosfera un enorme quantit di materiale organico che era stato tolto dalla Biosfera e immagazzinato in riserve che partecipano ad un ciclo lento. E se corretta l'ipotesi che stiamo discutendo, questa rimozione aveva permesso il mantenimento della stabilit. La riemissione rapida di materiali rischia di avere conseguenze drammatiche, se non entrano in gioco meccanismi che riportano la situazione sotto controllo; ma questi meccanismi non sembrano interessare nessuno. L'aumento di anidride carbonica dovrebbe essere compensato da un aumento dei sistemi di rimozione dell'anidride carbonica stessa cio dalle piante o comunque dai viventi fotosintetici. Quindi dovrebbe essere seguita da una ampia opera di forestazione. Al contrario assistiamo anche a una massiccia opera di deforestazione che fa saltare completamente i sistemi di stabilit.

Questo non un comportamento etico dal punto di vista dell'etica ambientale. E un piccolo esempio, se vogliamo banale e arcinoto, ma che chiarisce bene come, in fondo, l'etica ambientale possa dare delle precise indicazioni su norme di comportamento, norme che, ahim, sembrano disattese: il protocollo di Kyoto decisamente moderato ma ha molta difficolt ad essere sottoscritto. Teilhard de Chardin parlava di costruire la Terra nel rispetto dei meccanismi evolutivi e oggi le nuove prospettive evolutive sono legate alla consapevolezza del concetto di stabilit. Il progetto dunque diviene quello della stabilit della Biosfera. Il progetto si articola nel collegare i fini e l'opera dell'Uomo inteso come globalit cio come Noosfera a quello della Biosfera e della sua stabilit. Il concetto che emerge nuovo e fondante dunque quello di simbiosi. La Noosfera deve esser considerata come una entit simbionte con la Biosfera e che per sopravvivere deve condividerne i fini. Se dunque i fini della Biosfera sono quelli della stabilit dei paramenti che permettono la sopravvivenza della vita e la sua evoluzione, la Noosfera deve innanzitutto inserirsi all'interno dei meccanismi che mantengono la stabilit della Biosfera. Nella prospettiva dell'etica ambientale, alla prospettiva della metafisica del progresso infinito e delle risorse illimitate deve sostituirsi quella del muoversi verso il futuro, ma all'interno di una situazione generale di mantenimento della stabilit della Biosfera.

Perch la tecnocogia non sufficiente a risolvere i problemi ambientali


Christian Berg

tipico ed intrinseco della nostra era tecnologica che praticamente ogni problema ambientale, in un modo o nell'altro, correlato con la tecnologia. Questo evidente nel caso di incidenti di vasta portata quali quelli di Seveso, nel 1976, di Bophal nel 1984, e di Tschernobyl nel 1986. Questi incidenti dimostrano drammaticamente quanto possano essere pericolose le nostre moderne tecnologie e quanto sia fragile la vita umana e il nostro ambiente naturale. Incidenti di questo tipo avvenuti nel passato hanno contribuito ad una coscienza ambientale e noi siamo molto pi consapevoli dei problemi dell'inquinamento, dell'anidride carbonica e dell'effetto serra, delle scorie nucleari, dei problemi che derivano dall'eccesso di pesca nei nostri mari e negli oceani, ecc., di quanto lo fossimo all'incirca venti anni fa. Minacce all'ecosistema Ma certamente questi incidenti sono uno fra i vari fattori che minacciano il nostro ambiente e l'ecosistema. In una scala globale e in una prospettiva a lungo termine vi sono minacce ancora pi pericolose per il nostro ambiente di quelle causate da tali incidenti. in effetti l'uso massiccio delle pi comuni tecnologie che ancora pi problematico - ma noi tendiamo a rispondere maggiormente ad eventi su larga scala che a cambiamenti che si fanno strada lentamente. Molti dei nostri odierni problemi ambientali sono la conseguenza di un uso normale della tecnologia. L'impoverimento dello strato di ozono, il riscaldamento globale, l'estinzione di specie, la deforestazione delle foreste pluviali tropicali, la degradazione del suolo ed il suo avvelenamento, l'eccesso di pesca in mari e oceani e molti altri problemi sono

il risultato della tecnologia che usiamo quotidianamente. Non sembra esserci problema nel tagliare un albero della foresta pluviale. Ma in Brasile le foreste pluviali vengono tagliate ogni anno su una superficie vasta quanto il Belgio'. Questa una reale minaccia al nostro ecosistema globale. Se continuiamo ad abbattere le foreste pluviali, occorreranno poche decine di anni e tutte le foreste pluviali saranno completamente eliminate. Naturalmente la tecnologia ha migliorato le nostre condizioni di vita, ha ridotto la mortalit infantile, ha aumentato la nostra speranza di vita e la qualit della nostra vita e cosi via. Tutto questo per lo si potuto ottenere perch la tecnologia ci spinge a sfruttare le risorse naturali ad una velocit senza precedenti. La tecnologia ci d il quadro di riferimento per uno stile di vita che sfrutta le risorse in maniera intensiva e per l'odierno consumismo. Quale sviluppo sostenibile? Che cosa possiamo fare alla luce di questa situazione? Deve essere la tecnologia colpevolizzata per questo? Certamente non possiamo vivere senza tecnologia - comunque non con una popolazione mondiale di sei miliardi di persone: il problema non se noi vogliamo o no la tecnologia, ma quale tecnologia vogliamo. In altre parole abbiamo la necessit di sviluppare tecnologie che siano corrette dal punto di vista ambientale, dobbiamo produrre tecnologie sostenibili. Di fatto, durante gli ultimi decenni molto sforzo stato prodotto nello sviluppo di nuove tecnologie sostenibili, che usano in maniera pi efficiente energia e risorse, che riducono le emissioni inquinanti, che riducono i rifiuti ed i rischi di incidenti. Questi sforzi hanno gi portato a grandi miglioramenti. Le tecnologie odierne hanno un grande potenziale per uno sviluppo sostenibile. Le nostre automobili sono molto pi efficienti nel loro uso di energia, le nostre fabbriche emettono molte meno sostanze tossiche, ricicliamo carta, vetro, metalli, sviluppiamo tecnologie efficienti di tutti i tipi per energia e risorse. Possiamo dunque sperare che la tecnologia possa essere capace, un giorno, di risolvere tutti i nostri problemi ambientali? In altre parole, esiste una soluzione tecnologica per la nostra attuale crisi socio-ecologica? S e no. Da una parte non potremo raggiungere uno sviluppo sostenibile senza la tecnologia. Dobbiamo concretizzare tutte 1E potenzialit ambientali delle tecnologie contemporanee. parte l'aumento dell'efficienza nell'uso dell'energia e delle risorse, la tecnologia pu aiutarci nel trasformare le nostre societ da societ basate sull'agricoltura e l'industria a so. ciet basate sui servizi. Mentre per lungo tempo il prodotte interno lordo (PIL) si sviluppato con lo stesso tasso di sviluppo del consumo di risorse ed energia, possiamo osserva. re un lento disaccoppiamento di queste due variabili negli ultimi due o tre decenni - almeno nella Unione Europea'. Ir altre parole le nostre economie crescono un po'pi rapidamente rispetto al consumo totale di energia e risorse. Queste processo di trasformazione dovuto ad un processo di minore utilizzo dei materiali che tipico di un passaggio da una societ industriale ad una di servizi. Se lo sviluppo economico e il consumo delle risorse fossero completamente svincolati, potremmo raggiungere uno sviluppo dell'economia e, al contempo, stabilizzare le risorse. Questa la ragione per cui molti ricercatori ed economisti hanno grandi attese nelle nuove tecnologie informatiche e tecnologiche. Essi infatti sperano che queste tecnologie possano contribuire alla diminuzione della dipendenza dai beni materiali e promuovere il passaggio ad una societ di servizi. Dall'altra parte, al contrario, non potremo raggiungere uno sviluppo sostenibile con la sola tecnologia. Vi un effetto importante che mette in dubbio l'idea che soluzioni

tecnologiche, da sole, possano risolvere la nostra crisi ambientale. Il cosiddetto effetto rimbalzo descrive un fenomeno che si pu evidenziare in varie situazioni, cio il fatto che i benefici ecologici delle nuove tecnologie possono essere vanificati da cambiamenti nel comportamento e nello stile di vita. Ad esempio si hanno grandi speranze guardando ai benefici ecologici delle tecnologie informatiche e della comunicazione: stato detto, per esempio, che, usando i calcolatori, saremmo stati in grado di ridurre, tra gli altri aspetti positivi, il consumo di carta. stata anche coniata la frase: ufficio senza carte. Oggi ci rendiamo conto che accaduto esattamente l'opposto, consumiamo pi carta che mai. Secondo alcune statistiche, una lettera, in un ufficio, viene stampata, in media, otto volte prima di essere inviata. Secondo la Rank Xerox Company, il consumo di carta negli Stati Uniti aumentata del venti per cento all'anno negli interi anni Novanta - il periodo in cui si sono diffusi anche a livello domestico personal computer, internet, etc 3 (da Computer Bild, fascicolo 12, anno 1998). Un altro esempio deriva dal traffico negli Stati Uniti. Mentre il consumo di energia stato stabile negli Stati Uniti dal 1985 al 1998, il consumo di energia nel settore del traffico aumentato del cinquanta per cento. Sebbene automobili e mezzi pesanti siano divenuti pi efficienti nei loro usi di energia, il consumo totale di energia dovuto al traffico su strada aumentato di circa il cinquanta per cento negli ultimi cinquanta annns. Questo dovuto a due ragioni principali: innanzitutto il traffico enormemente aumentato nello stesso periodo - il traffico per il trasporto di beni almeno raddoppiato in alcune regioni europee. Inoltre gli stili di vita e di consumo sono cambiati. Mentre le automobili con l'aria condizionata erano una rarit nel 1970, oggi molte persone considerano ovvia la presenza di questi accessori che consumano energia. Inoltre la mobilit molto aumentata sia per uso privato che di lavoro. Vi sono molti altri campi in cui si pu evidenziare un tale effetto rimbalzo. Ci che oggi appare come un oggetto di lusso, domani diverr una necessit. Cosa sta a significare tutto questo. Innanzitutto che la tecnologia da sola non ci porter ad uno sviluppo sostenibile, misure integrative sono necessarie. Secondariamente sarebbe disastroso che il cosiddetto terzo mondo usasse la stessa quantit di energie e di risorse del ricco Nord. Un americano ed un europeo medio usano circa cinquanta volte mediamente l'energia e le risorse della popolazione nelle regioni povere dell'Africa e dell'Asiab. Se ogni cittadino della Terra usasse la stessa quantit di energia e di risorse che usiamo noi, questo causerebbe l'immediato collasso dell'ecosistema. Questo si porta dietro, come terzo punto, il fatto che non possiamo continuare a consumare energia e risorse come facciamo oggi. Modificare lo stile di vita Bisogna guardare a stili di vita pi essenziali e frugali con meno consumo di energia e risorse. Non si pu infatti trovare una giustificazione al fatto che i Cinesi, per esempio, possano rimanere al loro livello di utilizzo dell'energia e non cerchino di adottare i nostri livelli di consumismo ed il nostro stile di vita, mentre noi andiamo avanti con il nostro consumismo quotidiano. Inoltre la riduzione del nostro consumismo non ' solo un problema di giustizia, anche un problema che torna poi, in ultima analisi, a nostro vantaggio. Se vogliamo che altre nazioni abbiano cura dell'ambiente, - e questa l'unica possibilit per il nostro pianeta - nostro compito, nelle ricche regioni del nord del mondo di prendere l'iniziativa.

Ci che occorre una riduzione nell'uso per individuo di materiale e di energia. Naturalmente questo non vuol dire ascetismo, perch uno stile di vita pi. frugale pu anche contribuire ad un aumento della qualit della vita. Prendiamo ad esempio in considerazione il viaggiare. Anche prima dell'undici settembre, i dirigenti delle compagnie internazionali cercarono di organizzare video conferenze invece di incontri faccia a faccia costosi in tempo e denaro. In un periodo di depressione economica o di bassa crescita questa sembra una misura utile. Nello stesso tempo questo cambiamento di stile di vita dovrebbe aver contribuito ad un aumento del livello della qualit della vita stessa: non andando pi in giro per tutto il mondo, ma spendendo un po' pi tempo con la famiglia e gli amici. Dopo l'undici settembre 2001, vi sono state ulteriori ragioni per evitare viaggi aerei: sicurezza, tempi lunghi ai controlli di sicurezza, stress. Inoltre, un gruppo di ricercatori australiani impegnati nel campo della sociologia hanno trovato una correlazione negativa tra il materialismo e la capacit di godersi la vita. qui materialismo inteso nella importanza che viene data ai beni materiali. In poche parole, tanto maggiore il valore che viene dato al possesso delle cose materiali, tanto minore la soddisfazione che se ne ricava. Naturalmente questa indagine stata fatta in un campione di societ della cosiddetta classe media - non tra i pi poveri. Ma senza dubbio dimostrato che il possesso di beni materiali non arricchisce la vita, almeno al di sopra di un certo livello di reddito. Sebbene stili di vita sobri siano importanti, essi non saranno veramente operanti finch non riusciremo a stabilire una nuova strutturazione per la nostra economia globale. Nella pratica, la nostra economia spesso scarica all'esterno certi costi. Molti prodotti sul mercato sono fortemente sostenuti. In Europa questo particolarmente vero per i prodotti agricoli, che spesso sono direttamente sostenuti. Dal momento che le linee aree non pagano tasse sul loro carburante, tutti i prodotti trasportati per via aerea ricevono un implicito sostegno. Questo ha contribuito all'enorme aumento del traffico aereo di beni durante gli ultimi venti anni, che cresciuto del trecento per cento nell'Unione Europea. Una nuova legislazione necessaria per poter costruire una rete di rapporti economici sostenibile. Questo richiede, comunque, accordi e trattati internazionali. Gli stati nazionali stanno perdendo sempre pi potere a favore di compagnie trasnazionali, che sono in grado di spostarsi in quelle nazioni con legislazioni sociali ed economiche pi deboli. Per questo occorrono accordi internazionali per gli standards sociali ed ecologici. Concludendo, le tecnologie sostenibili sono una condizione necessaria ma non sufficiente per uno sviluppo sostenibile. Solo se siamo in grado di cambiare anche il nostro sistema economico e i nostri schemi di consumo, solo se adottiamo uno stile di vita pi frugale e bastevole, lo sviluppo sostenibile sar raggiunto.

Equilibrio o sviluppo? Tecnologie, decisioni politiche, futuro


Alessandro Cordelli

Ogni specie vivente affronta e risolve nei modi pi svariati il problema della sopravvivenza e del raggiungimento delle ottimali condizioni di vita. Nel caso dell'Homo sapiens la ricerca del soddisfacimento dei bisogni individuali e di gruppo ha trovato una via assolutamente originale: la modifica dell'ambiente circostante. Oggi, per la prima volta in

migliaia di anni, ci troviamo seriamente minacciati da situazioni direttamente originate dal nostro stesso sviluppo e dalle nostre tecnologie. Sviluppo o equilibrio? Il primo punto su cui vogliamo soffermarci parte da una domanda inquietante e provocatoria: dovr terminare lo sviluppo? A dire il vero, prima di porre questa domanda, sarebbe forse pi giusto stabilire che cosa si intenda per sviluppo. Se guardiamo alla storia umana degli ultimi millenni, possiamo ricavarne un'idea di sviluppo abbastanza chiara: una parte dell'Umanit andata avanti crescendo demograficamente, aumentando la resa agricola dei raccolti e riducendo in tal modo la denutrizione, sviluppando prevenzione e cure per un numero sempre crescente di malattie, incrementando la velocit dei trasporti e il flusso di uomini, merci e informazione. Siamo certi per che questa sia un'idea di sviluppo valida in ogni tempo ed in ogni situazione storica? L'incremento demografico pu essere una carta vincente per una specie di poche migliaia di individui sparsi su regioni inospitali vaste milioni di chilometri quadrati, (come era l'Umanit all'inizio dell'ultima era glaciale) ma si pu rivelare estremamente dannoso quando la popolazione ammonta a miliardi di individui e le risorse rischiano di essere saturate; cos un maggiore apporto proteico in una dieta povera e sbilanciata come quella di un contadino nell'alto medioevo rappresenta sicuramente un miglioramento della qualit della vita, ma si pu dire altrettanto per un sedentario impiegato sovrappeso europeo o nordamericano contemporaneo? Vediamo dunque che quelle che fino a ieri sono state universalmente considerate le linee guida della lotta dell'Uomo per emanciparsi dalle dure leggi di Natura hanno assunto oggi una valenza diversa, Inoltre forse giunto il momento di sottoporre ad una seria critica quella posizione cos ben radicata nel pensiero occidentale della progressione storica che implica lo sviluppo (ed da esso implicata). Anche se i guasti ambientali e sociali prodotti dalla trasformazione dell'energia, dalla produzione e dal consumo di beni e servizi, dall'eccessiva urbanizzazione, dal traffico, ecc. sono sotto gli occhi di tutti, opinione comune che qualsiasi problema dovuto all'inadeguatezza delle attuali tecnologie potr essere risolto e superato da nuove tecnologie, pi efficienti, pi avanzate, che al momento magari sono in fase di sperimentazione, allo studio, o solo pensate. Questa posizione superficiale e talvolta in malafede (si tende spesso a scaricare sulle prossime generazioni il peso delle conseguenze di scelte discutibili). Infatti essa ignora una delle pi generali leggi della Fisica che potremmo parafrasare nel seguente modo: la Natura non regala niente, ossia quello che si tira fuori da una parte dobbiamo in qualche modo pagarlo da un'altra. Nella trasformazione dell'energia soprattutto, ma non solo, tecnologie in teoria efficienti e pulite mostrano imprevisti effetti collaterali una volta che vengono applicate su larga scala. Si pensi ad esempio all'energia nucleare: sulla carta sembrava la risposta a tutti i problemi energetici dell'Umanit, ma alla realizzazione degli impianti sono seguiti incidenti molto gravi, senza parlare dei problemi legati allo stoccaggio e smaltimento delle scorie. E cos per altre soluzioni che sembrano a portata di mano. Oggi si punta molto sui nuovi motori a idrogeno per migliorare la qualit dell'aria nei centri urbani, e indubbiamente questa scelta risolver il problema (almeno per la parte legata al traffico). Ma proviamo a pensare ad esempio a un paese come l'Italia con oltre 33 milioni di autovetture circolanti: dal momento che non esistono giacimenti di idrogeno il combustibile

necessario dovr essere prodotto in appositi impianti industriali con il conseguente aumento nel fabbisogno energetico a carico della rete di distribuzione (con i combustibili fossili questa energia era stata fornita dal Sole nel corso di milioni di anni e tramite reazioni fotosintetiche immagazzinata nei tessuti vegetali che poi si sarebbero trasformati in petrolio e carbone). Chi fornir quell'energia? Serviranno nuove centrali, ma di che tipo saranno? Nucleari? Termoelettriche? Con quali ricadute per l'ambiente? Sono considerazioni e domande di questo tipo che portano a mettere fortemente in dubbio la possibilit di un perpetuo sviluppo, sia pure di tipo sostenibile. Ma dunque, se non sviluppo, che cosa? A questo punto necessario considerare il concetto di equilibrio come alternativo a quello di sviluppo. Equilibrio significa rinunciare coscientemente a degli standard di consumo che, seppure accessibili dal punto di vista tecnologico, sono estremamente dannosi nelle loro conseguenze ambientali e sociali. un po' la situazione di un bambino che si trovi da solo in una pasticceria deserta, circondato da montagne di cioccolata che finalmente, come in un sogno, sono a sua completa disposizione. Non c' nessuno a limitare le sue voglie, ma se si abbandona totalmente ad esse, quali saranno le conseguenze? Certo, vista sotto questa luce, la questione pu sembrare dotata unicamente di valenze negative: l'Umanit costretta a limitare i consumi e cercare l'equilibrio per evitare una catastrofe in un futuro pi o meno lontano. Tuttavia non dobbiamo dimenticare che molti dei bisogni che attualmente sembrano irrinunciabili e che sono alla base dei comportamenti meno virtuosi in realt sono bisogni indotti, e che quindi nel quadro del radicale cambiamento culturale e di valori che necessariamente accompagner il nuovo sistema economico e sociale non si abbasser il livello di soddisfazione attuale, ma semmai nascer un differente concetto di benessere. Personalmente ritengo che l'abbandono di un dissennato sviluppo economico basato sui consumi a vantaggio di un saggio equilibrio produttivo e sociale oltre a scongiurare le catastrofi che oggi si intravedono all'orizzonte rappresenti un reale progresso per la specie umana in termini di soddisfazione personale e qualit della vita dei singoli individui. Ruolo e finalit della tecnologia Dobbiamo a questo punto domandarci quali siano ruolo e finalit della tecnologia attualmente e nella prospettiva di un radicale mutamento del sistema economico e sociale. Se guardiamo alla storia della Scienza negli ultimi 400 anni si ha l'idea di un cammino obbligato, sequenziale, che non avrebbe potuto avere svolgimento diverso da quello che ha avuto. In effetti sappiamo che cos non , che certe teorie avrebbero potuto avere uno sviluppo e una formalizzazione differenti e che anche l'ordine cronologico delle scoperte avrebbe potuto essere in qualche misura diverso. Per le applicazioni della ricerca scientifica questo discorso ancora pi vero; possiamo addirittura spingerci oltre dicendo che molte tecnologie potenzialmente promettenti non sono mai state sviluppate, mentre su altre si insistito anche quando risultavano poco efficienti e cariche di effetti collaterali. Uno dei principali motivi di ci sta nel connubio tra tecnologia e sistema economico. Se infatti vero che le imprese hanno bisogno di certe tecnologie per incrementare la propria competitivit altrettanto vero che la ricerca tecnologica richiede cospicui finanziamenti che, direttamente o indirettamente, arrivano dal sistema produttivo. Questo fa s che vengano incoraggiate e selezionate (in senso darwiniano) solo quelle tecnologie che sono funzionali al sistema economico, generando una spirale di continuo sviluppo che contribuisce a rafforzare nell'opinione pubblica la convinzione che l'Umanit sia destinata ad un futuro basato su

produzione e consumi sempre maggiori, con un numero crescente di orpelli tecnologici (per la maggior parte inutili), sempre pi caotico e inquinato. Un generale ripensamento delle attuali e la nascita di tecnologie nuove anche nelle finalit dunque una condizione necessaria per il cambiamento del sistema economico. Prendiamo ad esempio l'agricoltura. Le attuali tecnologie hanno come caratteristica quella di puntare a livelli quantitativi sempre pi elevati, spesso a discapito della qualit delle produzioni. Le motivazioni ufficiali di tali scelte risiedono nel fatto che una agricoltura industrializzata e globalizzata la migliore risposta al problema alimentare. Tuttavia sono in molti a sostenere che l'unico beneficio da questo modello agricolo stia nei profitti dei grandi gruppi alimentari e farmaceutici transnazionalis, mentre alcuni studi evidenziano come le economie rurali del terzo mondo (vale a dire quelle che maggiormente dovrebbero trarre vantaggio da questo sistema produttivo) siano in realt fortemente penalizzate nel passaggio dal modello locale a quello globale. Importanza di analisi preventive Venendo infine alle attuali decisioni di politica economica e ambientale che hanno ripercussioni a livello regionale o globale, vorrei evidenziare un limite grave: la mancanza in molti casi di una analisi preventiva delle conseguenze a medio e lungo termine. Si osserva infatti spesso come le scelte dei singoli governi, e ancor pi degli organismi sovranazionali, sortiscano dei risultati totalmente difformi da quelle che erano le intenzioni iniziali, purtroppo quasi sempre negativi dal punto di vista delle popolazioni. Un esempio recente rappresentato dalla crisi argentina, causata dall'adozione troppo rigida di un modello economico che evidentemente non era il pi adatto per quel preciso contesto. Possibile che nessun analista avesse previsto una simile eventualit? Con lo sviluppo negli ultimi decenni di strumenti di calcolo sempre pi potenti divenuto possibile realizzare praticamente simulazioni numeriche di fenomeni appartenenti ai pi svariati campi: dall'evoluzione degli ecosistemi, alla valutazione dei rischi nelle missioni spazialie, allo studio delle crisi politico-militari, e molti altri ancora. Caratteristica comune di queste analisi il fatto di essere basate su complessi sistemi di equazioni che possono essere risolti solo attraverso l'uso del calcolatore: maggiore la potenza di calcolo impiegata, migliori saranno i risultati. Naturalmente, per la natura stessa dei fenomeni che dipendono da numerosi fattori, una previsione esatta praticamente impossibile, tuttavia si possono avere stime attendibili dei vari effetti, valutazioni di rischio, possibili scenari, ecc., tutte informazioni estremamente importanti nel momento in cui si debbano operare delle scelte. Trascurare queste possibilit una miopia analitica le cui conseguenze possono essere molto gravi. Ad esempio, gi all'indomani dell'alluvione di Firenze del 1966, venne redatto un rapporto molto dettagliato sul rischio idrogeologico in Italia, tuttavia le scelte di politica forestale, edilizia e urbanistica degli anni successivi non hanno tenuto conto di questa analisi, e quando il nostro paese si trovato ad affrontare un periodo di maggiore piovosit come stato l'ultimo decennio ecco che frane e inondazioni si sono verificate con una frequenza allarmante e conseguenze drammatiche. Riassumendo: sulla spinta di emergenze sociali e ambientali non pi procrastinabili giunto forse il momento in cui si debba abbandonare una visione basata sullo sviluppo a favore di una fondata sull'equilibrio; tuttavia questo cambiamento non pu prescindere da

tecnologie diverse dalle attuali anche e soprattutto nelle finalit. Comunque, anche nell'ambito dell'attuale sistema produttivo, una sicura riduzione di effetti indesiderati delle decisioni potenzialmente rischiose sul piano ambientale e sociale si pu ottenere mediante un pi ampio utilizzo degli strumenti di analisi e previsione oggi disponibili.

Letica ambientale e i rapporti uomo-natura


Francesco Scalari - Paola Grattarola

Secondo una sintetica definizione l'etica ambientale quella disciplina filosofica che indaga e riflette sul rapporto uomonatura e sugli effetti, anche negativi, di tale rapporto nel passato, nel presente e nel futuro. Risulta ormai evidente, anche grazie ai resoconti pubblicati annualmente sullo stato di salute della Terra che, a causa dei continui e sempre pi incisivi interventi umani sul mondo vivente e non vivente, il nostro pianeta manifesta anche preoccupanti segni di malessere: la riduzione dello strato di ozono, l'aumento della concentrazione di anidride carbonica, l'aumento globale della temperatura del pianeta, la desertificazione, la deforestazione, la scomparsa di specie animali e vegetali, l'erosione genetica, la perdita di biodiversit, la distruzione degli ecosistemi e degli etnosistemi, l'alterazione della biosfera. Il manifestarsi di questi eventi si intreccia poi con le scelte politiche, con lo sviluppo economico e tecnologico, con i rapporti tra i paesi industrializzati e quelli sottosviluppati, con i bisogni indotti e la distribuzione delle risorse. Prospettive diverse per un'etica ambientale L'etica ambientale, di conseguenza, si configura sempre pi come uno strumento indispensabile per sviluppare la riflessione e stimolare la responsabilit collettiva nei confronti della vita sul pianeta e delle generazioni future. Da un punto di vista teorico, i rapporti che l'uomo ha instaurato con la natura nel corso della sua storia evolutiva possono essere ricondotti al seguente ventaglio di prospettive: la prospettiva antropocentrica, nella quale si possono ancora distinguere la prospettiva antropocentrica forte, la prospettiva preservazionista e la prospettiva conservazionista; la prospettiva non-antropocentrica e la prospettiva della cosiddetta deep-ecology o ecologia profonda (in contrapposizione all'ecologia di superficie di tutte le prospettive precedenti). Con il termine di antropocentrismo si identifica quella visione secondo la quale la natura detiene un ruolo subordinato rispetto alle necessit degli uomini; di conseguenza il suo valore dipende da tali necessit e le viene attribuito dall'uomo. Per non-antropocentrismo si intende la visione opposta, secondo la quale la natura ha un valore intrinseco e totalmente svincolato dal soddisfacimento dei bisogni umani; tale valore non solo non inferiore, ma pu anche essere talvolta prioritario rispetto a quello dell'uomo.

L'antropocentrismo forte afferma l'assoluto primato dell'uomo sulla natura. Quest'ultima viene considerata esclusivamente come una riserva di risorse da sfruttare per i fabbisogni ed i profitti umani immediati. La principale caratteristica di questa visione che l'uomo si pone al di fuori della natura come ente detentore di una dignit superiore rispetto a tutto ci che non-umano. Il valore della natura, di conseguenza, viene fatto coincidere esclusivamente con il valore di mercato, in quel dato momento, derivante dallo sfruttamento dell'ambiente da parte dell'uomo. Questa posizione di estremo antropocentrismo tuttavia entrata inevitabilmente in crisi dal momento in cui si cominciato ad acquisire dati sulle caratteristiche di esauribilit e non rinnovabilit di molte risorse e quindi ad elaborare dei modelli di sviluppo in cui si ponevano dei limiti allo sfruttamento delle risorse. La seconda prospettiva di tipo antropocentrico definita preservazionista ed ispirata dall'obbligo di preservare almeno alcune porzioni della natura (riserve, parchi, aree protette), che non hanno un valore economico d'uso, di mercato o di domanda ma il cui valore per gli uomini va oltre quello strettamente economico. Una delle prime manifestazioni concrete di questa nuova prospettiva si avuta negli Stati Uniti a partire dalla seconda met del XIX secolo con la istituzione della prima riserva naturale del mondo nel 1864 (Yosemite Valley), della riserva delle sequoie giganti (Mariposa Grove) ed ancora nel 1872 del primo parco nazionale del mondo (Yellowstone). Complessivamente la natura concepita come fonte di esperienze di speciale valore per gli uomini, atte a migliorare la qualit dell'esistenza, a perfezionare il carattere, a espandere e affinare la sensibilit; una sorta di museo o galleria, fonte di piaceri estetici. Ed infine si tratterebbe di una sorta di grande laboratorio in vivo da cui attingere informazioni e materiali per espandere la conoscenza scientifica o promuovere ricerche mediche, scoperte farmacologiche, tecniche terapeutiche, sperimentazioni agricole. La terza prospettiva quella definita conservazionista e sottolinea l'esigenza e il dovere di un uso anche economico ma razionale e non arbitrario della natura nel suo complesso. Sostiene in particolare la necessit di integrare i principi di libert e responsabilit come proposto dal filosofo Hans Jonas. Secondo Jonas ciascuno dovrebbe sentirsi responsabile del proprio comportamento ed impegnarsi a trattare la natura tenendo conto delle conseguenze negative che uno sviluppo incontrollato pu avere soprattutto per le generazioni future. Questo atteggiamento necessita di una conoscenza ed un'analisi approfondita dell'ambiente, che pu essere acquisita dalla letteratura sui limiti dello sviluppo e sui risultati ottenuti da discipline quali l'ecologia, - l'etologia, l'antropologia biologica e culturale. L'uomo quindi, ben lungi dall'essere un ente a parte rispetto alla natura, vi inserito; tuttavia permane il concetto di superiorit dell'uomo signore e padrone in quanto in grado, a differenza di tutti gli altri enti naturali, di assumersi delle responsabilit e rispettare dei doveri. Sia la prospettiva preservazionista sia quella conservazioni~ sta non mettono in discussione il fatto che la natura possa avere un valore intrinseco ma sottolineano comunque la centralit dell'uomo nell'attribuire, percepire ed apprezzare tale valore. Rappresentano quindi una sorta di ponte tra argomenti antropocentrici ed argomenti non antropocentrici, per cui si possono anche definire prospettive antropocentriche deboli. La quarta prospettiva quella definita non-antropocentrica o anti-antropocentrica e sostiene che la natura possiede un valore intrinseco, che questo valore non inferiore a quello

dell'uomo e che essa merita, tutela di per s, indipendentemente dal soddisfacimento dei bisogni umani. Si sostiene che l'uomo non pu utilizzare a proprio piacimento i beni della Terra; l'uomo non ha ricevuto da Dio l'autorizzazione a sottometterla alla sua bramosia. E sono molti i santi che con le loro opere ed esortazioni esaltano la biodiversit, l'ecologia e il rispetto del creato, a partire da S. Francesco d'Assisi, primo ecologista. Nel discorso alla FAO del 16 novembre 1970, Paolo VI proclamava che se ci sono voluti migliaia di anni perch l'uomo imparasse a dominare la natura, arrivato il momento di imparare a dominare il suo dominio. La limitazione imposta dallo stesso Creatore fin dal principio, espressa simbolicamente con la proibizione di mangiare il frutto dell'albero, mostra con sufficiente chiarezza che, nei confronti della natura, siamo sottomessi a leggi non solo biologiche, ma anche morali, che non si possono impunemente trasgredire. Non solo la religione cristiana ma anche il Buddismo, l'Induismo, lo Scintoismo, il Jainismo ed altre forme di religione hanno fra i loro principi etici il culto della natura e il rispetto di ogni forma di vita. Si aggiunga che a seguito degli studi condotti nel campo delle scienze del comportamento animale che rivalutano il ruolo e l'importanza della mente, delle intelligenze, dei processi cognitivi e del pensiero in alcune specie non-umane (scimmie antropomorfe), lecito ipotizzare di estendere l'area della moralit ad altre forme di psichismo animale, che si sono sviluppate nel corso dell'evoluzione e sono presenti sulla Terra. Come si pu facilmente notare questa posizione lascia inevitabilmente fuori dall'area della moralit quanto non capace di sentire e provare piacere e dolore. Tuttavia la riflessione etica si estende anche oltre questo limite. Il fatto che qualcosa in vita, costituisce una condizione sufficiente perch essa non venga usata ad altro scopo che non sia il suo stesso bene, inteso come il perseguire gli interessi e gli scopi propri di quell'organismo. Questa posizione si basa su due principi. L'uno afferma che la vita non qualcosa che ci appartiene, ma qualcosa a cui noi apparteniamo, essa un continuum indifferenziato in cui non possibile creare distinzioni tra forme pi alte e preziose e forme basse e irrilevanti, l'altro si richiama a considerazioni pi propriamente biologiche: tutti gli esseri viventi nell'esprimere la vita sia in termini di processi biochimici sia comportamentali, hanno interessi pi o meno complessi e questo fatto conferisce loro un valore intrinseco che obbliga gli uomini a rispettarne l'integrit, anche se ci non coincide o va contro gli interessi dell'uomo. Questa riflessione porta di conseguenza alla posizione successiva, costruita sui diritti della natura. Tutti gli oggetti naturali animati ed inanimati sarebbero portatori di un valore intrinseco che li rende titolari del diritto a non essere alterati, degradati o utilizzati; a questo diritto l'uomo deve contrapporre il dovere di non modificarne lo stato naturale. L'uomo cio realizzerebbe il suo bene proteggendo l'ambiente. Infine l'ultima prospettiva quella definita della deep ecology, che porta agli estremi la visione non-antropocentrica; a differenza delle precedenti che sono di natura filosofica, razionale, scientifica e discutono sulla definizione e l'identificazione di una nuova etica ambientale, quest'ultima sollecita anche una trasformazione profonda dell'uomo con strumenti di tipo emotivo e spirituale. Secondo l'ecologia profonda necessario non solo un rapporto esterno, ma un vero e proprio legame interiore tra esseri umani e non umani, fondato sulla coscienza del vincolo esistente tra tutte le componenti naturali.

Valorizzando e incrementando le esperienze di confronto e di contatto pratico con la natura si potrebbe sviluppare non un uomo moralmente superiore ma un uomo diverso, per il quale tutte le entit dell'universo sono anelli di un'unica catena e che ha con la natura un rapporto emotivo-affettivo, piuttosto che etico-intellettuale o etico-estetico.

La bioetica ambientale della scuola


Andrea Porcarelli

Quale pu essere il contesto specifico per una piena fruibilit didattica delle questioni cos importanti e delicate - dell'etica ambientale nella scuola di oggi? Due sono gli ambiti e i contesti in cui stato possibile operare negli ultimi anni: la realizzazione di percorsi di approfondimento a integrazione della didattica delle discipline scientifiche e gli interventi di educazione ambientale intesi come un ampliamento di orizzonti rispetto all'educazione alla salute. Ci soffermeremo in particolare su questa seconda linea, cercando di mettere in luce gli spazi di intersezione tra l'educazione ambientale che si affacciata nei percorsi scolastici e la bioetica ambientale di cui si parla all'interno del dibattito bioetico. Dall'educazione alla salute all'insegnamento della bioetica L'educazione alla salute si inserisce nel pi ampio quadro di un'evoluzione lessicale che gi dal 1946, con la nota definizione proposta dall'OMS, porta ad una progressiva demedicalizzazione del concetto di salute, includendo altri fattori di benessere: non solo fisico, ma anche psichico, sociale e relazionale. L'ingresso dell'educazione alla salute nella scuola italiana, nel corso degli anni '70, avviene nel segno di una logica di prevenzione. La causa occasionale dell'affacciarsi dell'Educazione alla salute nella scuola data dalla diffusione - tra i giovani - dell'uso di sostanze stupefacenti, tanto che la prima legge che disciplinava l'uso delle sostanze stupefacenti, la n. 685/75, conteneva al suo interno alcuni articoli specificamente dedicati agli interventi della scuola, visti soprattutto in termini di educazione sanitaria e di informazione sui danni derivanti dall'uso di tali sostanze. Negli anni '80 l'educazione alla salute inizia ad apparire come tale nelle fonti giuridiche che la promuovono per contrastare situazioni di disagio e dispersione scolastica. Con la prima edizione del Progetto giovani (1985) si fa strada l'idea che i giovani non debbano essere solo fruitori passivi di interventi miranti a sollecitare in loro atteggiamenti e comportamenti equilibrati, ma necessario stimolarli ad essere protagonisti, a costruire il proprio modo di star bene con se stessi, con gli altri, con il mondo. Tale impostazione viene approfondita nell'edizione 1992 (1993) del Progetto, i cui motti risultano indicativi: - star bene con se stessi in un mondo che stia meglio; - star bene con gli altri, nella propria cultura, nel dialogo interculturale; - star bene nelle istituzioni, in un'Europa che conduca verso il mondo. Gli stessi interventi di educazione alla salute si estendono agli effetti deleteri dell'alcolismo e del tabagismo, ma dovrebbero essere realizzati - almeno stando alle circolari ministeriali - nel quadro delle attivit curricolari, mediante approfondimento delle tematiche corrispondenti nell'ambito delle singole discipline. In pratica per, nella prassi concreta, tende a prevalere la logica dell'intervento episodico, talora delegato ad esperti esterni.

Il dibattito sui temi della bioetica si sviluppa contestualmente nella societ italiana e, una volta entrato stabilmente nell'arengo mass-mediatico, incontra nelle scuole un certo interesse. Nel corso degli anni '90 vengono realizzate diverse esperienze di didattica della bioetica, sia a livello di formazione dei docenti, sia come interventi rivolti agli allievi. La firma del Protocollo di Intesa, tra Ministero della Pubblica Istruzione e Comitato Nazionale di Bioetica, il 6 ottobre 1999', offre un riferimento normativo solido alle scuole autonome che possono sperimentare percorsi didattici e itinerari formativi. Dall'educazione ambientale alla bioetica ambientale I programmi scolastici dell'immediato dopoguerra non danno indicazioni in tema di educazione ambientale, n ci sono riferimenti nei programmi della Scuola Media, mentre il tema viene affrontato nella premessa ai programmi della scuola elementare del 1985, in cui si afferma l'importanza che l'alunno sia sensibile ai problemi della salute e dell'igiene personale,'nel rispetto dell'ambiente naturale e nel corretto atteggiamento verso gli esseri viventi. Interessanti osservazioni destano i programmi di scienze, in cui si segnala l'importanza del problema ecologico, ma permane un riferimento ad eventuali esperienze di dissezione di animali; la svista verr corretta con la C.M. n. 69 del 18-2-1989. Di attenzione agli equilibri biologici si parla anche nei Programmi Brocca (1991-1992), ma il punto di riferimento pi significativo per l'educazione ambientale costituito dalla C.M. n. 49 del 4-21989, emanata congiuntamente dai Ministeri dell'Ambiente e della Pubblica Istruzione. Il testo delinea il quadro di riferimento e gli obiettivi per gli interventi di educazione ambientale: La nuova cultura deve portare i giovani a nuovi comportamenti diretti alla salvaguardia dell'ambiente e all'uso razionale delle risorse naturali, partendo dalla concezione dell'ambiente come patrimonio comune della nazione e dell'umanit, che va correttamente fruito e gestito con l'attiva partecipazione di tutti i cittadini. Il diritto all'ambiente va dunque concepito come diritto umano fondamentale il cui esercizio diretto a soddisfare esigenze primarie della vita dell'uomo ed insieme come dovere del cittadino di contribuire alla salvaguardia, al recupero e alla valorizzazione dell'ambiente. (...) Si tratta di riconsiderare le diverse discipline, inquadrandole :alla vasta problematica ambientale, ognuna secondo il proprio specifico ambito. In questo senso l'educazione ambientale costituisce un obiettivo trasversale di tutte le discipline. Nel 1991 viene siglato un Protocollo di Intesa tra i due ministeri a cui si rifaranno le circolari successive, nel 1992, a Rio de Janeiro, fu firmata la convenzione sulla biodiversit, ratificata in Italia mediante la legge n. 124 del 1994 che riporta l'impegno a promuovere azioni educative che dovranno essere incluse nei programmi di istruzione. Numerose sono state, in questi ultimi anni, le esperienze di educazione ambientale realizzate nelle scuole, con risultati in genere soddisfacenti dal punto di vista del gradimento degli allievi, mentre risulta pi difficile valutare l'impatto reale sui comportamenti agiti. La Carta dei principi per l'educazione ambientale, frutto del lavoro della Commissione interministeriale dei Ministeri dell'Istruzione e dell'Ambiente (Fiuggi - 1997) offre un quadro molto ricco di punti di riferimento per i percorsi formativi in tal senso. Sul rapporto tra etica ambientale e bioetica ci limitiamo ad alcune brevi annotazioni. Potremmo dire che - alle origini della bioetica nascente - tale rapporto era strettissimo, visto che chi ha coniato il termine bioetica' lo aveva pensato in un'accezione che includeva le problematiche ambientali, come un ponte tra le scienze bio-sperimentali e quelle eticoantropologiche, offrendo stili di vita per la societ, in vista di una migliore qualit della vita di tutti ed al fine di consentire la sopravvivenza dell'umanit. Fu soprattutto per impulso

dell'Hastings Center e del Kennedy Institute che la bioetica assunse il significato prevalente di un'etica relativa alle opzioni mediche nei confronti delle biotecnologie, con uno slittamento verso il solo ambito clinico quale orizzonte di riferimento. Dopo quasi venti anni dalla pubblicazione del primo libro lo stesso Van Potter sent il bisogno di ribadire la portata della sua intuizione originaria, in un testo, Bioetica globale, in cui il senso di globalit emerge dal coordinamento tra la bioetica della vita fisica (Medical Bioethics) e la bioetica dlla vita ambientale (Ecological Bioethics), proponendo una lettura in sinossi del concetto di qualit della vita fisica con quello della qualit della vita ambientale. Pu essere interessante osservare come Potter potesse essere spinto in questa direzione proprio in quanto oncologo: stata la sua attivit a suggerirgli i profondi collegamenti tra la ricerca sul cancro, la terapia, la prevenzione e le cause ambientali del cancro. Oggi si pu parlare di Bioetica ambientale come di una branca della bioetica, che da un lato suppone la base scientifica dell'ecologia (intesa come scienza degli ecosistemi) e dall'altro recupera l'istanza etica racchiusa in quella formula con cui Potter la definiva scienza della sopravvivenza: si propone la sintesi dei valori umani ed etici con l'ecosistema della vita, contestualizzando ogni aspetto biomedico nel quadro globale delle scienze ecologiche. In tal senso diviene necessario recuperare non solo la dimensione delle scelte etiche individuali, ma anche quella degli stili di vita collettivi. Puntualizzazioni sulle valenze educative della bioetica a scuola Molte educazioni sono state inserite nei percorsi scolastici in risposta alla complessit delle sfide del nostro tempo: alla cittadinanza, alla legalit, alla pace, allo sviluppo, all'Europa, ai diritti umani, alimentare, sessuale, ecc. Il loro numero e la loro complessit pongono il problema della regia educativa e culturale da parte delle istituzioni scolastiche, che devono evitare la tentazione della delega ed ogni forma di attivismo disordinato. I Profili in uscita (PECUP) del 1 e del II ciclo individuano lo spazio concettuale di questo raccordo nell'educazione alla convivenza civile, in cui confluiscono le sei educazioni trasversali pi significative: alla cittadinanza, alla salute, all'affettivit, alimentare, ambientale e stradale. Emerge cos la prima valenza educativa dell'insegnamento della bioetica come contesto epistemologico delle educazioni che riguardano la vita, l'ambiente e la salute. Tutte le educazioni suppongono un contesto valoriale di riferimento, tanto vero che si parla di educazione alla pace e non alla guerra, di educazione alla legalit e non alla illegalit: in ciascuna si compie una scelta di campo che non le rende perfettamente neutre sul piano valoriale, pena la loro totale inefficacia. Anche l'educazione alla salute, all'ambiente, l'educazione alimentare e l'educazione all'affettivit comportano dei punti di riferimento: come si potrebbe concepire un'educazione ambientale totalmente neutra, cio eticamente equidistante dall'idea della salvaguardia e da quella della distruzione dell'ambiente stesso? Il discorso sembra farsi pi complesso se si parla, ad esempio, di educazione sessuale, in cui oggi il vero tab sono i riferimenti di tipo etico che molti considerano come indebite ingerenze. Cos gli interventi cessano di avere un profilo educativo e tendono ad essere meramente informativi, tanto che molti interventi realizzati in questi anni hanno usurpato il nome di educazione sessuale e potevano pi correttamente venire designati come azioni di informazione sanitaria, talora appaltate agli esperti delle ASL. La didattica della bioetica pu anche configurarsi come uno spazio laboratoriale per l'educazione alla cittadinanza, cogliendo la dimensione sociale della bioetica in genere e della

bioetica ambientale in particolare: le grandi questioni che divengono oggetto del dibattito bioetico riguardano problemi nuovi, che si collocano in uno spazio normativo ancora da costruire (de jure condendo) e che contestualmente stimolano gli allievi alla discussione intorno alle varie ipotesi di legalizzazione. Non ha senso disquisire su leggi ancora da scrivere se non ci si ricollega ad un quadro giuridico e costituzionale che spesso gli allievi conoscono poco, ma che possono - con l'occasione - approfondire. L'insegnamento della bioetica pu fungere da chiave per una ermeneutica della contemporaneit, nel senso che il modo in cui gli uomini del nostro tempo affrontano le cruciali questioni che sono oggetto del dibattito bioetico ci offre una serie di catalizzatori concettuali per far emergere le concezioni attuali sull'uomo, la vita, la salute, l'ambiente. Tutti indicatori che ci aiutano a rispondere all'eterna domanda che ogni persona dovrebbe porsi: chi siamo e dove stiamo andando?. L'insegnamento della bioetica in genere e quello della bioetica ambientale in particolare possono offrire un utile punto di riferimento per azioni didattiche di spessore e progetti educativi di eccellenza. Sarebbe importante che gli insegnanti affrontassero tali tematiche con una logica ecologica, per non dire sistemica, sia a livello di singole Istituzioni scolastiche, sia in termini pi ampi. Il coinvolgimento dell'intera Istituzione scolastica necessario per una progettazione autenticamente collegiale degli interventi e la loro collocazione adeguata all'interno del POF in cui si potrebbero prevedere specifici progetti dedicati alle tematiche bioetiche (a cura degli stessi insegnanti della scuola, con alcuni interventi di esperti esterni). Una logica di rete, in cui le scuole si collegano tra loro e con le risorse culturali presenti sul territorio diventa, in tale prospettiva, un imperativo organizzativo importante. Hanno dato buona prova di efficacia, in tal senso, i laboratori sperimentali per la didattica della bioetica, che iniziano a fiorire in alcune regioni e che possono rappresentare una via interessante per il futuro. (Nuova Secondaria N. 5/2004)

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