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ISBN: 978-88-95868-46-2
Bernhard_Bernhard 14/04/2020 14:28 Pagina III
Indice
VII Introduzione
1 Giulio Schiavoni, Radici e sconfinamenti: Ernst Bernhard
fra Bildung tedesca e mondo italiano
35 Antonio Vitolo, Ernst Bernhard: tra archetipi e mitobiografia
51 Vittorio Tamaro, Attraversando Eranos con pesci, uccelli e fiori
67 Massimiliano De Villa, Ernst Bernhard e Martin Buber:
pensieri in dialogo
93 Giovanni V.R. Sorge, Sette frammenti inediti di Ernst Bernhard
105 Carlo Laurenti, Ernst Bernhard o come metabolizzare
meteoriti culturali inemulabili
115 Carlo Spartaco Capogreco, Ernst Bernhard internato
(1940-1941)
137 Alberto Saibene, Ernst Bernhard e Adriano Olivetti: una traccia
151 Andrea Cortellessa, Il mentitore e il suo mentore.
Giorgio Manganelli ed Ernst Bernhard
167 Intervista di Alessandro Orlandi a Luciana Marinangeli
177 Vincenzo Loriga, Ritratto di Ernst Bernhard
191 Carla Vasio, Memorie
1
Viola Papetti, Il sarcofago di Manganelli (1991), in Ead., Gli straccali di Manga-
nelli, Sedizioni, Viddalba 2012, p. 56.
2
Giorgio Manganelli, Ernst Bernhard: ‘comunicazione personale’ (1977), in Id., Il
vescovo e il ciarlatano. Inconscio, casi clinici, psicologia del profondo. Scritti 1969-
1987, a cura di Emanuele Trevi, Quiritta, Roma 2001, pp. 39-46, qui p. 42.
3
Del quale manca una ricostruzione sistematica che darebbe conto di una delle
couches più segrete, e decisive, della cultura italiana di secondo Novecento (tra le figure
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che si trovarono più o meno a lungo a passare per lo studio di Via Gregoriana 12 si
ricordano Bobi Bazlen, Giacomo Debenedetti, Adriano Olivetti, Federico Fellini, Amelia
Rosselli, Natalia Ginzburg, Luciano Emmer e Vittorio De Seta). Per la biografia si rinvia
all’Introduzione di Hélène Erba-Tissot all’edizione a sua cura dei pochissimi scritti di
Bernhard, Mitobiografia, Adelphi, Milano 1969, 19853, pp. XIX-XLIV. Decisamente
più idiosincratico Vincenzo Loriga, Ritratto di Ernst Bernhard, in Il corpo e la forma.
Un’estetica per la psicanalisi, numero monografico da lui curato di «La ginestra.
Quaderni di cultura psicanalitica», 1996, pp. 26-42.
4
Cit. in Salvatore Silvano Nigro, Viaggiare è un’esperienza passionale, postfazione
all’edizione a sua cura di Giorgio Manganelli, Cina e altri Orienti [1974], Milano,
Adelphi, 2013, pp. 325-346, qui 327-328.
5
«Cristina Campo va da lui per curare l’agorafobia e le crisi di vomito. Lo vede per
un periodo piuttosto lungo (almeno due anni), anche se non intraprende un’analisi
regolare. Manca per mesi poi, quando l’angoscia le toglie il respiro, si rifugia nello studio
di via Gregoriana [...]. A Bernhard manda gli amici più cari, come Gianfranco Draghi,
che diventerà uno dei dirigenti della Società junghiana». Cristina De Stefano, Belinda e
il mostro. Vita segreta di Cristina Campo, Adelphi, Milano 2002, p. 65.
6
Rinvio a due miei contributi: Giorgio Manganelli, il giroscopio dell’anima [2006],
nel mio Libri segreti. Autori-critici nel Novecento italiano, Le Lettere, Firenze 2008,
pp. 189-208; e L’amore col telescopio, in La scommemorazione. Giorgio Manganelli
1990-2010, atti del convegno di Pavia, 11 novembre 2010, numero monografico a cura
di Maria Antonietta Grignani di «Autografo», I (2011), 1, pp. 79-100.
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spirato che risaliva al gennaio precedente e del quale, come vedremo, pro-
prio Ebe aveva chiamato a testimone. In precedenza Manganelli, ha ricor-
dato la figlia Lietta, «aveva provato con un freudiano, ma stava peggio di
prima»7; dopo la morte di Bernhard, nel 1965, affronterà ulteriori analisi
sempre di matrice junghiana, fra gli altri con Nino Lo Cascio e Marcello
Pignatelli, discepoli diretti del suo mentore8; ma alla sua figura resterà sem-
pre legato, ricordandola fra l’altro in una recensione a Mitobiografia, la rac-
colta postuma dei suoi scritti uscita nel 1969, che si legge come un breve,
lampeggiante ritratto, nonché nella già citata testimonianza consegnata nel
1977 a un altro discepolo di Bernhard, Aldo Carotenuto.
Se nella concezione junghiana i simboli dell’arte e della letteratura
sono «come ponti gettati verso una riva invisibile»9, non c’è dubbio che
per Manganelli e la sua generazione sia stato Bernhard – ancorché il suo
magistero di molto si discostasse dall’ortodossia junghiana: se quest’ul-
tima espressione non è un ossimoro – il pontifex chiave. L’uso terapeutico
della scrittura (o della pittura, come inizialmente nel caso di Amelia Ros-
selli)10 derivava a Bernhard dalla produzione di immagini che, aveva
scritto Jung in Scopi della psicoterapia (a sua volta sviluppando il metodo
freudiano della «libera associazione»), può condurre allo scioglimento di
quello da lui chiamato «blocco», cioè il momento in cui «la mia coscienza
non vede più davanti a sé nessuna via e di conseguenza si blocca»11. Sti-
7
Lietta Manganelli, Album fotografico di Giorgio Manganelli (2001), a cura di
Ermanno Cavazzoni, Quodlibet, Macerata 2010, p. 72 (sul rapporto con Bernhard cfr.
pure, ivi, le pp. 59 e 71).
8
Cfr. Viola Papetti, Archeologia del critico, introduzione all’edizione a sua cura di
Giorgio Manganelli, Incorporei felini, vol. 2: Recensioni e conversazioni radiofoniche su
poeti in lingua inglese (1949-1987), Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2002, pp. X-XI.
9
Carl Gustav Jung, Psychologie und Dichtung (1922), trad. it. di Elena Schanzer,
Psicologia e arte poetica, in C.G. J., Opere, a cura di Luigi Aurigemma, Bollati
Boringhieri, Torino 1966-2007, vol. 10.1: Civiltà in transizione: il periodo tra le due
guerre (1985), pp. 355-378, qui p. 346 (si veda il commento a questo passo in Carmelo
Colangelo, Dal motivo all’archetipo. L’approccio junghiano alla letteratura, in
Giancarlo Alfano – Carmelo Colangelo, Il testo del desiderio. Letteratura e psicoanalisi,
Carocci, Roma 2018, pp. 87-104, qui p. 92; per un quadro d’insieme si può vedere, oltre
alla sintesi citata di Colangelo, Rossana Dedola, Freud e Jung: la letteratura come
sintomo o come simbolo?, in Ead., La Via dei Simboli. Psicologia analitica e letteratura
italiana, Franco Angeli, Milano 1992, pp. 15-36).
10
Cfr. Amelia Rosselli, 15 disegni e acquerelli di Amelia Rosselli, a cura di Stefano
Giovannuzzi, e Tre scritti e un acquerello per Ernst Bernhard, a cura di Chiara Carpita,
nel volume a mia cura La furia dei venti contrari. Variazioni Amelia Rosselli con testi
inediti e dispersi dell’autrice, Le Lettere, Firenze 2007, pp. 111-128 e 129-135.
11
Carl Gustav Jung, Ziele der Psychotherapie (1929), trad. it. di Elena Schanzer,
Scopi della psicoterapia, in Opere, cit., vol. 16: Pratica della psicoterapia (1981), pp.
43-60, qui p. 50.
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Ivi, p. 54.
12
Ivi, p. 56.
13
14
Emanuele Trevi, Come si diventa uno scrittore: lo spazio psichico di Giorgio
Manganelli, postfazione all’edizione a sua cura di Giorgio Manganelli, Il vescovo e il
ciarlatano, cit., pp. 87-106, qui p. 99.
15
Giorgio Manganelli, Jung e la letteratura, in Jung e la cultura europea, Atti del
convegno di Roma, 21-22 maggio 1973, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1974,
pp. 235-244; poi in Id., Antologia privata, Rizzoli, Milano 1989 (e Quodlibet, Macerata
20152); infine in Id., Il vescovo e il ciarlatano, cit., pp. 15-30, qui p. 15.
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e ci sono degli scrittori che noi sentiamo benissimo che cominciano a fun-
zionare nel momento in cui entrano nell’inferno»16.
Che quella all’inferno fosse stata da molto presto, nel vissuto psichico
di Manganelli, la collocazione più congeniale, lo dicono passim tanto le
sue opere pubbliche, da Hilarotragoedia alla Palude definitiva passando
appunto per Dall’inferno17, che i documenti privati resisi a oggi disponi-
bili. Sul suo incontro con Bernhard, per esempio, esiste anche un’altra te-
stimonianza, in tutti i sensi più a caldo di quella che citavo all’inizio: una
lettera di Manganelli al fratello Renzo, del 3 aprile 1959, pubblicata dalla
figlia Lietta nel volume di «lettere familiari» Circolazione a più cuori.
All’indomani di «una durissima crisi: di quelle verticali», annuncia Man-
ganelli: «ieri pomeriggio sono andato dallo psicanalista: così non mi è
più possibile andare avanti». Dopo un’ora, ecco la prognosi: «il medico
mi ha detto che è una situazione caotica, ma che è risolvibile: e forse in
non gran tempo». Segue, del medico, questo brevissimo ritratto: «mi dà
molta fiducia: so che ha guarito casi assai inquietanti. È un anziano tede-
sco, vive a Roma da molti anni. Speriamo sia la strada buona»18. Allo
stesso Renzo qualche anno prima aveva consegnato di sé, Manganelli, il
seguente ‘quadro clinico’:
16
Ivi, p. 23.
17
Rinvio a Giorgio Manganelli, l’inferno del nostro affanno, nel mio Libri segreti,
cit., pp. 257-296. In particolare su Dall’inferno, testo davvero estremo del 1985, si
veda Gilda Policastro, La tanatologia parodica di Giorgio Manganelli, in Ead., In
luoghi ulteriori. Catabasi e parodia da Leopardi al Novecento, Giardini, Pisa 2005,
pp. 101-128.
18
Lettera di Giorgio Manganelli a Renzo Manganelli del 3 aprile 1959, in Giorgio
Manganelli, Circolazione a più cuori. Lettere familiari, a cura di Lietta Manganelli,
Aragno, Torino 2008, p. 159.
19
Lettera di Giorgio Manganelli a Renzo Manganelli del 2 novembre 1955, ivi, pp.
146-147.
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20
Ivi, pp. 147-148.
21
Carlo Emilio Gadda, Giornale di guerra e di prigionia (1955-1991), in data
«Milano, 10 settembre 1919», in Id., Opere, edizione diretta da Dante Isella, vol. 4:
Saggi giornali favole II, Garzanti, Milano 1992, pp. 863-864.
22
Lietta Manganelli, Album fotografico di Giorgio Manganelli, cit., pp. 54-55. Al
fait divers in questione Tiziano Scarpa ha dedicato un divertente testo teatrale, Il
Professor Manganelli e l’Ingegnere Gadda, pubblicato nel numero su Giorgio
Manganelli di «Riga» cit. alla nota seguente, alle pp. 26-68, e poi raccolto in Id., Comuni
mortali, Effigie, Milano 2007.
23
Rinvio al momento (in attesa che trovi la strada della pubblicazione l’edizione
integrale di questo documento-chiave, da tempo allestita da Federico Francucci) alla
selezione dagli Appunti critici pubblicata a mia cura nel numero monografico di «Riga»
su Giorgio Manganelli, a cura di Marco Belpoliti e mia, Marcos y Marcos, Milano 2006,
pp. 71-99.
24
Cfr. Giorgio Manganelli – Giovanna Sandri, Costruire ricordi. Ventisei lettere di
Giorgio Manganelli e una memoria di Giovanna Sandri, a cura di Graziella Pulce,
Archinto, Milano 2003.
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è il 17 luglio, mia madre, mia madre è morta, mia madre è morta da dieci
giorni, è una morta giovane, una neomorta, lo sfintere impotente dell’ago-
nia preannuncia lo sfintere ineducato dell’infanzia. Se esiste un’infanzia
dei morti. Se i morti imparano a camminare (apparire?). Se i morti abbiano
genitori. Sì: io sono la madre di mia madre25.
25
Cit. in Salvatore Silvano Nigro, La ruggine dell’anima, postfazione all’edizione
a sua cura di Giorgio Manganelli, Vita di Samuel Johnson, Adelphi, Milano 2008, pp.
97-113, qui p. 101.
26
Ernst Bernhard, Il complesso della Grande Madre. Problemi e possibilità della
psicologia analitica in Italia (1961), in Id., Mitobiografia, cit., pp. 168-179, qui p. 170.
27
Ivi, p. 173. Da questo scritto di Bernhard ha preso spunto Marco Belpoliti per una
lettura antropologica del Manganelli corsivista in Mamma, mammifero, postfazione
all’edizione a sua cura di Giorgio Manganelli, Mammifero italiano, Adelphi, Milano
2007, pp. 131-147.
28
Ernst Bernhard, Il complesso della Grande Madre, cit., p. 171.
29
Rinvio ad Amelia Rosselli, una vicinanza al Tremendo (1997), nel mio La fisica
del senso. Saggi e interventi su poeti italiani dal 1940 a oggi, Fazi, Roma 2006, pp. 317-
330 e 720-726.
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30
Giorgio Manganelli, Discorso dell’ombra e dello stemma: o del lettore e dello
scrittore considerati come dementi (1982), a cura di Salvatore Silvano Nigro, Adelphi,
Milano 2017, p. 48. Su questo nesso cfr. Gilda Policastro, Madri / Inferi, in Giorgio
Manganelli, numero monografico cit. di «Riga», pp. 378-394.
31
Emanuele Trevi – Mario Trevi, Invasioni controllate, Castelvecchi, Roma 2007, p.
59. Mario Trevi ha trattato più estesamente e ‘tecnicamente’ questo nodo in un saggio
davvero illuminante: Per uno junghismo critico (1987), in Id., Per uno junghismo critico.
Interpretatio duplex, Fioriti, Roma 2000, pp. 1-118 (si vedano in particolare le pp. 61-90).
32
Cfr. Ronald D. Laing, Knots (1970), trad. it. di Camillo Pennati, Nodi. Paradigmi
di rapporti intrapsichici e interpersonali, Einaudi, Torino 1976; con un’introduzione di
Stefano Mistura, ivi, 20076.
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quel blocco espressivo nello stesso Purgatorio, sei canti più avanti, venga
raccontato – proustianamente, direbbe Gianfranco Contini33 – lo sciogli-
mento34. Il pellegrino è giunto alla sommità della montagna bruna e quella
che gli appare è Beatrice, destinata a sostituirsi a Virgilio quale guida nel
prosieguo del percorso ultraterreno. È una Beatrice dura, severa, vindice,
che si manifesta virile e militare come ammiraglio. E che lo aggredisce:
«Guardaci ben! Ben son, ben son Beatrice.
Come degnasti d’accedere al monte?
non sapei tu che qui è l’uom felice?». (Purg., XXX, 73-75)
A questo punto si leggono quindici versi che sono, a mio modesto pa-
rere, i più belli mai scritti nella nostra lingua (Sì come neve tra le vive
travi, con quel che segue). È il momento in cui Dante, letteralmente, si
scioglie in pianto:
lo gel che m’era intorno al cor ristretto,
spirito e acqua fessi, e con angoscia
de la bocca e de li occhi uscì del petto. (Purg., XXIV, 97-99)
33
Cfr. Gianfranco Contini, Dante come personaggio-poeta della Commedia (1957),
in Varianti e altra linguistica. Una raccolta di saggi (1938-1968), Einaudi, Torino 1970,
pp. 335-361.
34
«Nella poesia di Dante, e ciò non è vero solo per il Purgatorio, non si dà stato di
grazia senza far misurare nel contempo la distanza dal punto negativo di partenza; non
si dà libertà senza impaccio superato o nodo sciolto; non c’è scatto senza sofferto
accumulo di energie interne». Guglielmo Gorni, Il nodo della lingua e il verbo d’amore.
Studi su Dante e altri duecentisti, Olschki, Firenze 1981, pp. 13-14. Nell’episodio di
Bonagiunta si compone così «una storia della poesia volgare in cui il novo sviluppa dal
nodo». Ivi, p. 15 (la metafora del «nodo della lingua» viene poi rintracciata,
dall’erudizione di Gorni, in Aulo Gellio, nello storico Giustino e nel Vangelo di Marco,
«nel racconto del miracolo del sordomuto sanato da Gesù»: 7,35).
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FINE sto piangendo, non so se di gioia; son le ore sei e sei minuti del 19
gennaio 1961; sto scrivendo in casa Magnoni, nella mia stanza, e sono solo
in casa; è un freddo giovedì, sereno di cielo; alle otto e venti devo vedere
Ebe a Porta Pia, davanti al cinema Europa; non so ancora se le dirò che
HO SCRITTO UN LIBRO ore 6 e 8 minuti35.
Il nodo della lingua, anche in questo caso, si scioglie solo nel freddo
– e nel pianto.
Ma il nodo di Manganelli è ancora più intricato. Perché se la letteratura
abita esclusivamente all’inferno, ma se alla scrittura si può accedere solo
sciogliendo i suoi ghiacci, quello in cui ci troviamo è un doppio legame. Si
chiederà Manganelli nel Discorso dell’ombra e dello stemma: «dunque scri-
vere ‘cura’? Oh no; scrivere è un sintomo, ma a questo sintomo v’è, sola
alternativa, il sintomo di sopprimere i sintomi»36. Se «l’incantesimo verbale,
il discorrere, è una cerimonia con l’ombra»37, l’analista dovrà consentirci
di accedere a questa cerimonia, senza però privarci mai del tutto dell’ombra
che ne è sostanza ultima. E infatti nel primo dei suoi ritratti a memoria di
Bernhard dice Manganelli: il «‘guaritore’ è dalla parte dell’ombra, l’alleato
operoso della malattia; la sofferenza può essere nevrosi e iniziazione ma
forse tra i due termini la continuità è assoluta» (tanto è vero che, nota Man-
ganelli un clic verbale del mentore, «Bernhard scrive che il paziente deve
venire ‘contagiato’ dalla sanità del terapeuta; squisita ambivalenza, che
chiude tutto il senso tragico di quella lenta operazione maieutica: altrove
leggiamo che da un labirinto di esce solo per trapassare ad altro labirinto»)38.
35
Cit. in Mariarosa Bricchi, Manganelli e la menzogna. Notizie su Hilarotragoedia
con testi inediti, Interlinea, Novara 1999, p. 18.
36
Giorgio Manganelli, Discorso dell’ombra e dello stemma, cit., p. 47.
37
Ivi, p. 60.
38
Giorgio Manganelli, La metamorfosi del gran guaritore (1969), in Id., Il vescovo
e il ciarlatano, cit., p. 12. Sempre a Mario Trevi (nel volume suo e di Augusto Romano,
Studi sull’ombra [1975], Cortina, Milano 2009) si deve una fondamentale revisione del
concetto junghiano di ombra, certo debitrice nei confronti di Bernhard.
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Beckett aveva «qualcosa da dire»: per uno scrittore, inizio rovinoso. Il pro-
blema è, sempre, di trasformare quel «qualcosa da dire» in struttura, in lin-
guaggio; prendere la propria «verità» per i capelli e trascinarla in una regione
in cui il vero non ha alcun privilegio sul falso; trattarla come la convenzione
propria di un genere, o uno schema metrico, o un’arguzia allitterativa39.
39
Giorgio Manganelli, Qualcosa da dire (1965), in La letteratura come menzogna
(1967), Adelphi, Milano 1985, pp. 95-98, qui p. 97.
40
Rinvio al mio Al Leopardi ulteriore. Giorgio Manganelli e le Operette morali, in
«Quel libro senza uguali». Le Operette morali e il Novecento italiano, a cura di Novella
Bellucci – Andrea Cortellessa, Bulzoni, Roma 2000, pp. 335-406. Si dovrà riflettere,
per approfondire questa tematica, su una notazione che Bernhard fa en passant nel suo
discorso sul Complesso della Grande Madre (cit., p. 174): «Una autorità che rispecchia
in modo singolare il processo evolutivo e l’opera della Grande Madre in Italia, è la
Chiesa Romana».
41
Lettera di Giorgio Manganelli ad Angiola Manganelli del 29 maggio 1973, in
Giorgio Manganelli, Due lettere, Adelphi, Milano 1990; ora in Id., Circolazione a più
cuori, cit., pp. 178 e 180.
42
Id., Discorso dell’ombra e dello stemma, cit., p. 60.
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e, tutto sommato, allora avrei scelto Freud come maestro. Dopo ho capito
che la differenza profonda tra Jung e Freud è che Jung è un po’ pasticcione,
ed è straordinariamente importante che lo sia, mentre Freud non lo è per
nulla. La differenza è che Jung spesso ha il tocco magico del ciarlatano
che Freud non ha mai […] allora, in fondo, avevo un’idea coerente di me.
Avevo l’idea che avrei dovuto essere un’unica immagine coerente. Avere
un’unica autobiografia.
è stato proprio rompere quella idea lì. L’idea della unicità dell’io e quindi
una decomposizione dell’immagine della mia personalità, di quello che io
ero. […] L’autobiografia è un genere plurale […]. Noi siamo continua-
mente altre persone e continuamente percorriamo nuove strade. Ecco,
anche questo mi viene da Bernhard: aver capito che la strada giusta è fatta
da un’infinità di strade sbagliate43.
43
Caterina Cardona, Io, Manganelli, un dizionario impazzito (1990), in Giorgio
Manganelli, La penombra mentale. Interviste e conversazioni 1965-1990, a cura di
Roberto Deidier, Editori Riuniti, Roma 2000, pp. 223-227, qui pp. 225-226.
44
Giorgio Manganelli, Ernst Bernhard: ‘comunicazione personale’, cit., p. 42.
45
Cfr. Giorgio Manganelli, Discorso dell’ombra e dello stemma, cit., p. 130.
46
Caterina Cardona, Io, Manganelli, un dizionario impazzito, cit., p. 227.
47
«In che senso qualcuno può desiderare di ‘essere frainteso’?», gli chiede il figlio
Emanuele; e Trevi risponde: «Secondo me, questo si adatta più a Manganelli stesso che
a Bernhard. È una bella proiezione. […] È lui, non Bernhard, che nei suoi libri esige di
essere frainteso, o meglio, forse, inteso in varie maniere». Mario Trevi – Emanuele Trevi,
Invasioni controllate, cit., p. 59.
48
Caterina Cardona, Io, Manganelli, un dizionario impazzito, cit., p. 226.
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precedente, quella a Laura Lilli sulla depressione che è tra le sue più ri-
velatorie, si legge:
La psicoanalisi può anche funzionare non come cura, ma per la sua ma-
ieutica. Voglio dire, ti sposta. Il mondo, così com’è, è ‘illeggibile’ per il
nevrotico. Qualcosa (e ammetto che potrebbe anche essere la psicoanalisi)
deve fargli capire che, per ‘leggerlo’, deve precisamente, spostarsi […]. È
l’anamorfosi […] una tecnica pittorica per cui un oggetto viene dipinto in
modo che, guardando il quadro frontalmente, risulti invisibile. Se ti sposti,
vedi l’oggetto49.
49
Laura Lilli, In quella selva oscura (1981), in Giorgio Manganelli, La penombra
mentale, cit., pp. 88-91, qui p. 90.
50
Ludovica Ripa di Meana, Nel paese di Manganelli (1981), ivi, pp. 63-87, qui p. 72.
51
Laura Lilli, In quella selva oscura, cit., p. 91. Su Manganelli e Dante cfr. Graziella
Pulce, Giorgio Manganelli. Figure e sistema, Le Monnier, Firenze 2004, pp. 36-37;
Raffaele Manica, Manganelli, tre improvvisi: Ombre dantesche (2006), in Id., Exit
Novecento, Gaffi, Roma 2007, pp. 201-211.
52
Giorgio Manganelli, Jung e la letteratura, cit., p. 29.
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Che Bernhard non abbia pensato e scritto un suo libro, è fatto che va in-
terpretato. Non lo scrisse non solo perché come diceva, era impossibile
«chiudere in un in-quarto» la sua esperienza, ma perché […] Bernhard era
l’uomo di una dimensione in cui la letteratura, lo scrivere ignoravano la
cristallizzata oggettualità del libro55.
Il problema dello scrivere è collegato alla mia prima infanzia […] quando
non riuscivo a scrivere a scuola perché non potevo difendere il mio stile e
la mia impostazione di fronte a quella di mio padre. Mio padre era il mio
contro-tipo. Con il suo metodo di costringermi a seguire il suo stile e i suoi
pensieri, malgrado la mia resistenza e che però non potevo sostituire con
un altro scrivere mio, ho perso tutta la spontaneità e tutta l’immediatezza
nello scrivere57.
ganelli e lui avevano «qualche cosa da dirsi»58. Era forse proprio per que-
sto che tanti spiriti annodati trovarono in lui la spinta decisiva a sciogliersi
(oppure, come nel caso di Bobi Bazlen, a spostare comunque, in modo
efficace, il proprio talento)59. Più che un pontifex, in effetti, Bernhard era
stato per tutti loro un ponte: come quello di cui aveva parlato il suo mae-
stro, gettato verso una riva invisibile. Quella riva, però, potevano rag-
giungerla loro, non lui. Come in quell’apologo tormentoso di Kafka: il
destino del ponte e di chi lo percorre non potranno mai congiungersi, poi-
ché il primo non può mai voltarsi a vedere il secondo. Pena il precipitare,
straziarsi e infilzarsi sui sassi aguzzi ai suoi piedi60.
58
«Spero che abbiate degli incubi, perché è in quegli incubi che noi abbiamo
qualcosa da dirci». Giorgio Manganelli, Jung e la letteratura, cit., p. 22.
59
Eloquente il sottotitolo della bella biografia di Cristina Battocletti, Bobi Bazlen.
L’ombra di Trieste, La nave di Teseo, Milano 2017.
60
Cfr. Franz Kafka, Die Brücke (1917), trad. it. di Ervino Pocar, Il ponte, in Durante
la costruzione della muraglia cinese, in Racconti, a cura di Ervino Pocar, Mondadori,
Milano 1970, pp. 381-382.