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La politica e gli spazi

I giornata di studio
Figure dello spazio, politica e societ
Firenze, 25 ottobre 2002

a cura di
Bruna Consarelli

Firenze University Press


2003
La politica e gli spazi : I giornata di studio Figure
dello spazio, politica e societ : Firenze, 25 otto-
bre 2002 / a cura di Bruna Consarelli. Firenze :
Firenze university press, 2003.
http://digital.casalini.it/888453156X
Stampa a richiesta disponibile su http://
epress.unifi.it

ISBN 88-8453-156-X (online)


ISBN 88-8453-157-8 (print)
320.01 (ed. 20)
Politica-Teorie - Spazio

Quaderno pubblicato con il contributo


dei fondi M.I.U.R. (Cofinanziamento
2001) per il programma di ricerca di
rilevante interesse nazionale Strutture
sociali e poteri di governo in et moderna
e contemporanea

2003 Firenze University Press

Universit degli Studi di Firenze


Firenze University Press
Borgo Albizi, 28, 50122 Firenze, Italy
http://epress.unifi.it/

Printed in Italy
Indice

Bruna Consarelli
Presentazione 1

Interventi
Vittore Collina
Lattenzione agli spazi 5
Lea Campos Boralevi
Libert e propriet: la politica dello spazio nellEuropa moderna 27
Pietro Costa
La civitas e il suo spazio: la costruzione simbolica del territorio
fra Medio Evo ed et moderna 43
Gianfranco Poggi
Of space and politics 59

Discussione
Luca Scuccimarra
Lo spazio del pensare 73
Silvio Suppa
Brevi considerazioni su differenti modi di interpretare lo spazio 83
Francesca Lidia Viano
Suggestioni mediterranee: civilt o imperi? 87
Sara Lagi
Territorio e popolo in Hans Kelsen 91
Michela Nacci
Spazio, tecnica, globalizzazione 97

Indice dei nomi 101


BRUNA CONSARELLI
Universit di Roma Tre

PRESENTAZIONE

Questo quaderno, consultabile anche on-line, raccoglie gli inter-


venti della prima giornata di studio sul tema La politica e gli spazi,
svoltasi a Firenze il 25 ottobre 2002 ed inaugura una serie dedicata
ad illustrare i risultati del gruppo di ricerca intitolato Figure dello
spazio, politica e societ, promosso ed organizzato da Lea Campos
Boralevi, Vittore Collina e da me stessa, nel quadro dellattivit
scientifica dellAssociazione Italiana degli Storici delle Dottrine
politiche.
Lobbiettivo che ci accomuna il desiderio dimpostare un
itinerario di studi, destinato a snodarsi attraverso un ciclo di se-
minari, aperto allincontro ed al dialogo fra cultori di discipline
diverse, sulle grandi tematiche politiche e sociali dellet moderna
e contemporanea, indagate dalla prospettiva degli spazi e della loro
produzione.
Sotto il profilo interpretativo, la nozione di spazio ci sembrata
particolarmente feconda, non solo per il suo carattere diacronico,
ma per il suo intrinseco valore di categoria concettuale, che, con il
suo declinarsi storico, segna e palesa le svolte epocali, costituendone
un indicatore significativo. Essa si configura come uno strumento
prezioso per cogliere i mutamenti e le profonde trasformazioni da
cui sono contrassegnate la nascita e levolversi della modernit, della
quale scandisce il passaggio ad una contemporaneit, fattasi, man
mano, sempre pi complessa e pregna dinterrogativi di difficile
risposta, finendo con il diventare un valido scandaglio per penetrare
la labirintica realt odierna.
La chiave dello spazio, con le sue molteplici determinazioni e
le sue nuove rifrazioni, come suggerisce Vittore Collina, nel
suo saggio introduttivo una possibile alleata, forse quella mag-

Bruna Consarelli (a cura di), La politica e gli spazi


ISBN 88-8453-156-X, 2003 Firenze University Press
2 Presentazione

giormente affidabile, per affrontare la sfida ineludibile dellattua-


lit: frutto di quel processo di globalizzazione, ancora in fieri, che,
iniziatosi negli ultimi dieci anni del ventesimo secolo, ha investito
il piano economico, politico e tecnologico, creando uno scenario
mondiale, assolutamente inedito, in cui gli antichi confini sociali e
culturali, sia reali che simbolici, hanno perso senso, ponendoci di
fronte allesigenza di ri-pensare le coordinate spaziali elaborate dal
pensiero moderno.
Si tratta di una sfida che per essere raccolta implica necessaria-
mente uno sforzo critico, imposto dal venir meno o meglio dallo
scomporsi, con una progressiva perdita del centro, dellassetto spa-
ziale entro il quale era uso fare e dire la politica.
Scaturisce da tutto ci quella attenzione agli spazi, testimoniata
da studi recenti in ambiti diversi, evidenziata da Collina, che, trat-
teggiando le linee di sviluppo della trasformazione della concezione
dello spazio fra Ottocento e Novecento, ravvisa nei primi anni del
ventesimo secolo lorigine della divaricazione oggi esistente fra
spazio fisico e spazio virtuale, inteso come complesso di spazi
mediatici, immateriali, artificiali.
In altre parole, la de-materializzazione dello spazio, a cui ha cor-
risposto una sua pi ampia e variegata simbolizzazione, istituendo
un gioco di rimandi, ha impresso al termine stesso una pluralit di
accezioni, arricchendone la semantica di numerosi assunti, riscon-
trabili nella grande quantit dei suoi usi analogici o metaforici e
nella vasta gamma delle sue aggettivazioni.
I colloqui che sono stati programmati su le metafore dello spa-
zio, gli spazi immaginati, gli spazi e la tecnologia ed i nuovi spazi
politici, mirano a saggiarne le possibilit, nel tentativo di disegnare
una sorta di mappa articolata della dimensione spaziale, per sua
natura consustanziale a quella politica, quale possibile ausilio per
orientarsi nella storia pregressa e trarne indicazioni per analizzare
lassetto immanente .
Ben lungi dal seguire un tracciato lineare, il rapporto spazio-
politica si infatti sviluppato attraverso un percorso tortuoso, il
cui approdo finale genera una notevole incertezza interpretativa:
Bruna Consarelli 3

ripercorrerne le tappe pu servire ad individuare una cifra di lettura


della situazione attuale, in grado doffrire prospettive interpretative
pi funzionali ed aderenti al contesto vigente.
Anche se non sta a me giudicare, credo tuttavia di poter dire
che gi nel primo incontro, di cui questa pubblicazione il frutto,
alcuni risultati degni di rilievo sono stati raggiunti. O perlomeno,
rileggendo i testi questa la sensazione che ne ho tratto. Seppur par-
ziali, rispetto ad un progetto volutamente percepito come work in
progress, gli esiti interpretativi delle relazioni qui presentate mi sem-
brano costituire dei tasselli importanti, forieri di nuovi e numerosi
spunti critici, allinterno di un disegno pi ampio e complessivo, di
cui fissano alcuni tratti fortemente significativi.
Un disegno che si ulteriormente allargato e problematizzato,
grazie alle considerazioni di quanti sono intervenuti nella discussio-
ne, mostrando viva partecipazione ed interesse, ed offrendo con i
loro contributi uno stimolante ventaglio di riflessioni.
Certa dinterpretare i sentimenti di Lea Campos Boralevi e
Vittore Collina, nel concludere questa breve nota di presentazione,
desidero dire grazie, anche a loro nome, a tutti coloro che hanno
preso parte al nostro incontro, consentendoci cos diniziare un
dialogo intellettuale, modulato da voci diverse, che ci auguriamo
diventi sempre pi corale.
Voglio infine ringraziare Egle Betti Schiavone e Sabrina Celeste,
che frequentano il dottorato di Teoria e storia della formazione
delle classi politiche dellUniversit degli Studi di Roma Tre e
Francesca Natale, iscritta al dottorato di Storia delle dottrine poli-
tiche dellUniversit degli Studi di Roma La Sapienza, per laiuto
che mi hanno dato informatizzando i testi, allinsegna di un esem-
plare spirito di collaborazione.
VITTORE COLLINA*
Universit di Firenze

LATTENZIONE AGLI SPAZI 1

Nel pensiero e nella cultura europea i primi anni del Novecento


sono particolarmente densi di elementi nuovi, di tensioni e di
fratture. In questo ambito sono da considerare i mutamenti che al-
lepoca investono lo spazio e che toccano sia i modi di pensarlo che
quelli di viverlo. Si tratta di mutamenti profondi che coinvolgono
sfere diverse e che proprio per questo, credo, non sono stati oggetto
di ampi studi complessivi. Eppure il fenomeno interessante e non
manca di avere risvolti che sono collegabili anche con problemati-
che di grande attualit.

1. Nellintroduzione di Maniera di pensare lurbanistica (pubbli-


cato nel 1946) Le Corbusier scrive: con una violenta rottura, unica
negli annali della storia, tutta la vita sociale dellOccidente s stacca-
ta in questi ultimi tre quarti di secolo dalla sua cornice relativamente
tradizionale e ben armonizzata con la geografia. Lesplosivo che ha
prodotto questa rottura costituito dallimprovviso irrompere in
una vita fino allora scandita dal passo del cavallo dalla velocit nel-
la produzione e nei trasporti delle persone e delle cose.2 Anche nelle
pagine successive egli insiste sullidea di una gigantesca frattura, il
cui culmine si situa tra la fine del XIX ed i primi del XX secolo, e
lassocia, tra laltro, agli effetti della ferrovia e della stampa.3

1
Questa relazione rielabora e sviluppa il testo di un mio articolo, Spaces: Physical
and Virtual, pubblicato sulla rivista bulgara Critique and Humanism, n. 2, Hu-
man and Social Studies Foundation, Sofia 2002.
2
Charles-Edouard J.G. L C, Maniera di pensare lurbanistica, Laterza,
Bari 1977, p. 5.
3
Il riferimento alla ferrovia non stupisce. Meno immediata, ma pi importante,
forse, lindicazione della stampa, che pu preludere a quanto, in parte, diremo pi
avanti.

Bruna Consarelli (a cura di), La politica e gli spazi


ISBN 88-8453-156-X, 2003 Firenze University Press
6 Lattenzione agli spazi

Se non mancano gli autori che argomentano, magari in toni


meno drastici, ma ugualmente decisi, pertinenti ed anche pi det-
tagliati, lidea che in quellarco di anni si verifichi un vero e proprio
passaggio epocale, la citazione di Le Corbusier, proprio in quanto
proviene da un architetto, ci colloca dufficio entro il tema dello
spazio. E lo spazio vive effettivamente un periodo di cambiamenti
concentrati e profondi.
Leffetto di rottura, infatti, rafforzato dalla concomitanza. Per
indicare solo alcuni degli ambiti, si pu ricordare che sul piano
del pensiero crollano potenti ed antiche coordinate teoriche (in
particolare la geometria euclidea e lidea dello spazio come grande
contenitore esterno); sul piano pi latamente culturale si arriva alla
percezione ed alla creazione di spazi nuovi (la distribuzione delle
parole sul foglio, in poesia, con i vuoti relativi), alla composizione
di spazi diversi dal passato (come quelli del cubismo in pittura),
alla scoperta degli intrecci interno-esterno, dei passaggi veloci, dei
rovesciamenti. Sotto la spinta delle trasformazioni industriali, delle
applicazioni tecnologiche e degli spostamenti demografici cambia-
no le modalit con cui si vive lo spazio nel quotidiano (pensiamo
ai nuovi mezzi di trasporto, alle stazioni ferroviarie, alle metropo-
litane, ai quartieri operai che sorgono nelle periferie delle citt,
ma anche agli sventramenti che investono i quartieri pi antichi).
Mentre sul piano politico lo spirito nazionale indica spazi spesso
assai diversi dai confini storicamente raggiunti dagli Stati e la corsa
alle colonie ridisegna la geografia politica su scala mondiale. A tutto
questo bisogna aggiungere che si profilano spazi di diversa natura:
i primi spazi mediatici, legati alla stampa, che vive, allepoca, la sua
stagione culminante di libert e di potere, al cinema, che si diffonde
rapidamente ed alla radio, che sta passando dagli usi militari alla
storia del suo sviluppo civile.
In altre parole, allo spazio fisico, allo spazio simbolico (che
sintreccia con quello fisico fin dai primordi della storia umana),
agli spazi artificialmente plasmati (in quanto trasformati dagli in-
terventi umani), agli spazi immaginati e metaforici della produzione
artistica e letteraria, cominciano ad aggiungersi degli spazi specifi-
Vittore Collina 7

camente legati alla comunicazione: l dove la comunicazione non


pi interpersonale e diretta ma diviene, secondo la tipologia di
ompson, interazione mediata e quasi-interazione mediata.4
Spazi mediatici che sono prodotti col supporto di apparati tecno-
logici che si fanno complessi e che sono strettamente legati alle
innovazioni tecnico-scientifiche; che necessitano di personale spe-
cializzato ed aggiornato; che sono gestiti con criteri industriali e che
richiedono quindi consistenti risorse finanziarie e la necessaria rete
di relazioni sia col mondo economico che con quello politico.
Dal punto di vista storico sarebbe quanto mai interessante scen-
dere nel dettaglio ed analizzare minutamente questi cambiamenti,
assieme alle loro reciproche implicazioni.5 Ma in questa sede gli
obiettivi sono ovviamente diversi: mi propongo di mettere in evi-
denza gli elementi di fondo che caratterizzano le trasformazioni del-
lo spazio tra Otto e Novecento; di dare risalto alla forma di spazio
nuovo, artificiale, legato ai mezzi di comunicazione di massa, che
oggi ci avvolge e che ha la sua storia; e di indicare limportanza dei
riferimenti allo spazio che si possono operare oggi.

2. Michel Serres apre il terzo capitolo di una delle sue opere pi


importanti, Le passage du Nord-Ouest (1980), mettendo a confronto
lincipit di un romanzo di Balzac (Batrix ou les amours forcs, 1839)
con quello de Luomo senza qualit di Musil. Balzac inizia il suo
racconto con una sorta di localizzazione geometrica: la Francia
linsieme che contiene, tra le altre, la provincia della Bretagna; tra le
citt della Bretagna, Gurande, cinta dalle sue mura; a Gurande,

4
Vedi John B. T, Mezzi di comunicazione e modernit, Il Mulino, Bolo-
gna 1998, pp. 122-129.
5
Emergerebbe un lavoro interdisciplinare di proporzioni vastissime e di grande
richiamo storico culturale, destinato ad andare dalle applicazioni industriali alla
filosofia, dallo studio del costume al romanzo, dalle teorie scientifiche allarte, dalla
geometria allurbanistica, dalla poesia alla musica e non solo. Un libro che risponde
bene allintenzione di creare un vasto affresco quello di Stephen K, Il tempo e
lo spazio, Il Mulino, Bologna 1995, che vanta tra i numerosi meriti quello di essere
uno dei pochi ad affrontare frontalmente il tema.
8 Lattenzione agli spazi

tra le varie strade, una in particolare, poi una stradina ed alla fine di
essa una casa vicino alla chiesa. Nella sala da pranzo di questa casa
il barone di Guaisnic, uno dei personaggi principali. Una descrizio-
ne che si fonda su di una concezione continua dello spazio e, nel
commento di Serres, esprime con lordine geometrico una visione
immutabile delle cose. Robert Musil comincia il suo romanzo (il
primo volume pubblicato nel 1931 e la storia si situa nel 1913)
con delle osservazioni metereologiche del tutto generali (la depres-
sione dellAtlantico, che si dirige da Ovest ad Est verso la Russia)
e continua con una descrizione rapida del traffico automobilistico,
del passaggio dei pedoni, dei flussi pi o meno concentrati e del
rumore. Lazione dei due personaggi che compaiono situata in una
strada larga e piena di gente; la citt Vienna, ma lautore anticipa
che non bisogna dare una particolare importanza al nome della citt
ed aggiunge: come tutte le metropoli essa fatta di irregolarit,
alternanze, precipitazioni, intermittenze, collisioni di cose e di av-
venimenti. Michel Serres sottolinea in questo caso lo spazio vario,
fluttuante, irregolare e scrive: Vienna, la capitale, ma che importa
il suo nome, sembra un liquido in ebollizione.6
Siamo dunque su di un piano eminentemente teorico e Serres,
parlando di passaggio a Nord-Ovest ripercorre le visioni dello
spazio ed allude alla storia della cultura occidentale ed agli sforzi
per sottrarsi alle gerarchie dellordine antico ed alla chiarezza del
razionalismo seicentesco: la ragione cartesiana rifiuta il fluttuare dei
corpi liquidi, i bordi frastagliati ed incerti, il mondo delle sensazio-
ni; lidealismo cartesiano un realismo [] lo spirito lo spirito
dei solidi [] solido dai bordi perfetti, chiaro, distinto, rigoroso,
cristallo. Lideale della conoscenza il solido cristallino [] lideale
del sistema classico il cristallo.7 Con linizio del Novecento si
giunge ad affermare la pluralit dei sistemi spaziali e linsuperabile
immanenza di tutti i punti di vista; in qualunque posizione sia

6
Michel S, Le passage du Nord-Ouest, Les ditions de Minuit, Paris 1980, p.
56.
7
Ivi, p. 43.
Vittore Collina 9

losservatore, linformazione non che parziale e quindi in genera-


le assai debole. La perdita della distinzione si verifica nel soggetto
come nelloggetto;8 con riferimento agli impressionisti ma con pi
ampia portata leggiamo: il solido scomparso nel fluido, la luce
nei colori9 ed il fluido, in unaltra sequenza allegorica, un liquido
che bolle, in cui tutti sono immersi e dove ai bordi netti del cristallo
si sono sostituiti quelli fluttuanti dellordine e del disordine. Dallo
spazio delle similitudini e della continuit, che sottintende una sta-
tica rigidit del reale, si passati dunque, secondo Michel Serres,
allo spazio vario, incerto, stocastico, plurale, che solo di recente si
pu rappresentare matematicamente attraverso le iperfrastagliate
sinuosit dei frattali10 e che meglio si adatta alle caratteristiche del-
lumana sfuggente realt.
Su di un piano meno filosofico e pi attento agli aspetti econo-
mici, sociali e politici, Henri Lefebvre interpreta la svolta del XX
secolo come il passaggio tra lo spazio storico e lo spazio dellastra-
zione. Bisogna premettere che Lefebvre, ne La production de lespace
(1974), mette a punto una distinzione tra spazio percepito, pensato
e vissuto,11 che gli consente unanalisi molto accorta dei fattori che
intervengono nelle determinazioni spaziali e della complessit dei
loro legami e delle loro dinamiche; questo gli permette di costruire
una visione storica ricca e articolata, che dietro alle formule sinteti-
che in grado di sviluppare e di raccogliere considerazioni di vasto
respiro e di denso costrutto. Alle origini, dunque, secondo la sua
trattazione, vi un primo spazio naturale in cui prevale di gran

8
Ivi, p. 56.
9
Ivi, p. 47.
10
Michel Serres si riferisce alla geometria frattale messa a punto dal matematico
Benoit B. Mandelbrot negli anni Settanta.
11
Lefebvre distingue tra la pratica dello spazio (fondata sulla percezione degli spazi
della realt quotidiana, della realt urbana), le rappresentazioni dello spazio (ovvero
lo spazio pensato dagli architetti, dagli urbanisti, che traducono le concezioni in
linguaggio tecnico), lo spazio vissuto (dagli abitanti, dai cittadini, singolarmente e
collettivamente, e vissuto attraverso le loro immagini e la loro simbologia degli spazi).
In sintesi, lo spazio in quanto percepito, pensato e vissuto.
10 Lattenzione agli spazi

lunga il dato fisico-materiale ed in cui gli elementi simbolici sono


rari e primitivi. Con lo sviluppo della religione e della politica e
con il formarsi delle citt esso si allontana inesorabilmente: questi
fattori, infatti, pongono le basi per lo spazio dellantichit, che
Lefebvre chiama anche spazio assoluto in quanto la simbologia
che si afferma con esso rinvia a dimensioni religiose universali; la
citt in questo periodo spesso una imago mundi e sembra capace
di rappresentare lintera realt del cosmo. Lo spazio storico si apre
con let del Rinascimento, quando le simbologie della trascenden-
za cedono il posto alla visualizzazione, alla prospettiva, alle attivit
umane: a questo punto la citt il luogo della produzione, degli
scambi, della ricchezza e diventa la protagonista del periodo; non
pi il risultato di una narrazione immaginosa, ma diventa soggetto,
che si proietta nelle sue nuove parti ed pensato dal punto di vista
politico. Le strade diventano diritte; gli edifici sono allineati; nei
palazzi assumono rilievo le facciate; tetti e balconi sottolineano la
fuga della prospettiva. Per la prima volta si giunge alla progetta-
zione di quartieri e di nuove citt. Daltro canto, secondo questo
autore, le attivit tipicamente urbane della produzione artigiana e
del commercio preparano laccumulazione e pongono le basi per lo
sviluppo del capitalismo; di qui gli elementi che, pi tardi, giunge-
ranno a caratterizzare lo spazio astratto. Si tratta dellaffermarsi del
valore di scambio, del riferimento preponderante al lavoro astratto
nella nuova scala della produzione industriale, dellannunciarsi di
un processo di mondializzazione che astrae dalle condizioni locali;
con ci il progressivo trionfo di tutto ci che formale, quantifica-
bile, equivalente, scambiabile, e che si pu legare al potere. Mentre
il potere dello stato si pone anchesso in termini astratti e formali,
quando lascia le strutture dellAncien rgime e si adegua ai criteri
del modello liberale fondato sul diritto e sulla razionalizzazione
della pubblica amministrazione. Con queste convergenze, secon-
do Lefebvre, agli inizi del Novecento si entra nellet dominata
dallastrazione dello spazio globale, che produce lo scoppio della
citt, la frammentazione del vissuto, il crollo dei valori, che vede il
tramonto della prospettiva e della visualizzazione (come elementi
Vittore Collina 11

che accomunavano le percezioni e le concezioni precedenti dello


spazio) e che tra le sue manifestazioni pi recenti conta la prolifera-
zione dei supermercati e delle autostrade, ovvero di quegli spazi che
sono stati nominati non luoghi.

3. Le considerazioni di Michel Serres e di Henri Lefebvre ci al-


lontanano radicalmente da quella visione classica (che pure perma-
ne a livello di coscienza comune) dello spazio come grande conteni-
tore esterno, che dal primo Novecento non regge pi. Daltra parte,
Henri Lefebvre, con la sua concezione della produzione sociale dello
spazio, pone una premessa importantissima per accogliere lidea di
spazi non pi fisici, ma simbolici e artificiali.
Lidea degli spazi come produzione umana disancora lo spazio da
una collocazione eminentemente ontologica e, a prescindere dalle
specifiche tesi di Lefebvre, apre un vastissimo campo di applicazio-
ni, che pu essere sondato in chiave storica, ma che ammette tante
altre modalit di approccio. La citt, per esempio, il tipico spazio
costruito anche nei suoi tratti fisici dalluomo (ed in quanto tale
visto con sospetto dalla religione); per toccare un punto nevralgico
nella storia della citt e nella produzione di spazi fisici e non, il pen-
siero va alla metropoli (che si affermano sul finire dellOttocento),
dove quelli che si intrecciano sono spazi sociali, economici, politici,
dove si sviluppano le nuove forme di comunicazione, si ridefinisce la
distinzione tra pubblico e privato, si diffondono mode, stili di vita,
tipi di consumi e di divertimenti. qui, in particolare, che si situa
lindustria culturale del tempo, che pu contare da un lato sullin-
tensificarsi degli scambi sociali e dallaltro sulle innovazioni tecnolo-
giche (telegrafo, telefono, agenzie, fotografia, dischi) e, in generale,
sullestendersi delle forme di riproducibilit tecnica. Per collegare la
storia politica alla storia economica e sociale, invece, risalendo nel
tempo ci si pu interrogare sugli spazi prodotti dallo Stato moder-
no nel corso della sua opera di unificazione e di centralizzazione,
sui residui (che nel Quattrocento e nel Cinquecento erano ancora
consistenti) dellordine spaziale legato alla feudalit, sui nuovi spazi,
che si creano con lo sviluppo della rivoluzione industriale, e sulla
12 Lattenzione agli spazi

ridefinizione spaziale che investe i rapporti sociali col diffondersi


dellindustria tessile prima, poi dellindustria metallurgica.
Quello che pi ci interessa in questa sede, comunque, la pro-
duzione di spazi mediatici, ovvero la produzione di spazi artificiali,
immateriali, caratterizzati da flussi di prodotti simbolici posti in
essere dai mezzi di comunicazione di massa.
Anche in questo caso si pu ricorrere ad una prospettiva storica,
quella della storia dei media.
Fatti salvi i secoli in cui linvenzione della stampa con la riprodu-
cibilit della scrittura comincia a far circolare i libri e modifica pro-
fondamente i modi della precedente comunicazione scritta, con
il diffondersi dei periodici e dei giornali quotidiani che si creano le
prime aree di circolazione di informazioni, aree che acquistano una
certa densit di flussi e che con il formarsi delle agenzie di stampa
(prima nazionali poi internazionali) si ampliano rapidamente fino a
raggiungere una dimensione mondiale. Let doro della stampa,12
che Jean-Nol Jeanneney colloca tra la fine dellOttocento e la Prima
Guerra Mondiale, il momento alto di questo primo tipo di spazio
mediatico che soffre ancora dei limiti dati dal supporto della carta
stampata e dalla necessit di una distribuzione fisica, di un traspor-
to materiale quotidiano. Il cinematografo produce un altro tipo di
spazio mediatico con altro linguaggio e altre forme di distribuzione,
di fruizione e di contenuti: qui la circolazione dei prodotti simbo-
lici ancora pi evidente, raccoglie spettatori in uno spazio fisico
nuovo, ma crea contemporaneamente gli spazi pi impalpabili delle
immagini viste e delle rappresentazioni e dei valori veicolati che si
calano nella memoria e coinvolgono pi o meno consapevolmente.
La radio prima, poi la televisione, creano altri spazi mediatici, altri
flussi di notizie, di informazioni, di forme di intrattenimento, e
sono caratterizzate dal fatto di basarsi su di un mezzo ricevente e
di raggiungere capillarmente i destinatari a casa loro. Aggiungiamo
che lintervento di spazi mediatici nuovi comporta modifiche, ag-
giustamenti e gerarchizzazioni in riferimento a quelli preesistenti.

12
Jean-Nol J, Storia dei media, Editori Riuniti, Roma 1996, p. 87.
Vittore Collina 13

Il discorso storico potrebbe essere molto pi dettagliato ed


esaustivo, ma quanto esposto mi sembra sufficiente per suffragare
lidea che i mezzi di comunicazione di massa possano essere consi-
derati produttori di spazi simbolici o virtuali. Agli spazi simbo-
lici o virtuali, tuttavia, si pu giungere anche per unaltra via (pi
filosofico-epistemologica), centrata sulla categoria della realt e sul
suo indebolirsi.
Alla fine degli anni Settanta del XX secolo, grazie ad una serie
di interventi dovuti a pensatori di area francese, si diffondono tra
filosofia e sociologia delle riflessioni che hanno come oggetto le
immagini, le rappresentazioni, i simulacri, e che parlano di impero
delle immagini e di derealizzazione. Penso ad alcuni scritti di H.
Lefebvre, a J. Baudrillard, e allallargarsi, sia in Italia che nella cul-
tura europea e americana, di una problematica che, interpretata e
vissuta secondo diversi umori, prende atto di un mondo, quello in
cui viviamo, rarefatto dallaccumularsi degli strati simbolici e depri-
vato di quei caratteri di solidit, di permanenza, di concretezza che
un tempo si associavano allidea di realt. Rarefazione e demateria-
lizzazione riconosciuta poi in vari ambiti, tra cui quello economico
(il valore simbolico che prende il sopravvento nei prodotti), quello
psicologico (il narcisismo nelluomo postmoderno) e quello politi-
co (lo Stato spettacolo). In campo sociologico, approfondendo gli
strati culturali che si interpongono tra soggetto e oggetto, si fa
strada lidea della realt prodotta socialmente. Tra i semiologi si
mette fortemente in dubbio che luomo possa uscire dagli universi
linguistici che si sono storicamente e socialmente creati.
In ultima analisi queste considerazioni hanno colto laccentuarsi
di un processo che, fin dallinizio, ha caratterizzato let moderna
nel segno della produzione di condizioni sempre pi artificiali e
distaccate dalla materialit e dalla staticit esistenti. Questo proces-
so, che ha passato vari momenti di accelerazione e che nellultimo
secolo ha assunto un andamento esponenziale, rispecchiato dalle
sorti dellidea di realt: nonostante il distacco rinascimentale dalla
metafisica aristotelica, lidea di realt, agganciata alla visione mec-
canicistica e quantitativa della scienza seicentesca, risulta ben salda
14 Lattenzione agli spazi

negli statuti epistemologici del pensiero moderno fino alla fine del
Settecento.13 A partire dallet delle rivoluzioni e a partire da Hume,
da Kant e dallidealismo, sul piano filosofico, le cose cambiano rapi-
damente: lo sviluppo delle ricerche scientifiche, linaugurazione di
nuove branche del sapere, le ridefinizioni delle competenze della fi-
losofia, assieme a condizioni sociali ed economiche divenute molto
pi dinamiche, cominciano a mettere in discussione le caratteristi-
che prima assegnate alla realt. Poi, con le teorie che si affacciano
nel primo Novecento, con i dibattiti attorno al sapere scientifico,
col principio di indeterminazione di Heisenberg (1927) che inve-
ste il mondo della microfisica, con il teorema di Gdel (1930) che
mina le certezze delle parti fino ad allora meno contestate della ma-
tematica, assieme alla grande fiducia riposta nelle scienze, si sgreto-
lano gli attributi di solidit, stabilit, di immodificabilit assegnati
alla realt. Il concetto ha perso i contorni precisi di un tempo e
si fatto altamente problematico.14 Circa lo spazio in particolare
diverse opere recenti concordano nel constatare che lo spazio fisico
si allontana irreversibilmente,15 che i riferimenti spaziali assumono
una portata sempre pi metaforica, che (sotto la spinta del formali-
smo scientifico da una parte e il proliferare dei simulacri dallaltra)
il referente perduto e il mondo loggetto pi dimenticato16
nellultimo mezzo secolo.
Si pu dire in altri termini che la realt odierna composta da
una bassa percentuale di materiali fisici stabili e di certezze non con-

13
Solidit incontestabile ed immutabilit del reale sono confermate sul piano
storico-sociale dal fatto che i mutamenti, che pure avvengono, si verificano lenta-
mente e su tempi lunghi.
14
Vedi sul tema il volume degli atti di un noto convegno tenuto a Firenze nel 1982:
AA.VV., Livelli di realt, a cura di M. Piattelli Palmarini, Feltrinelli, Milano 1984.
Si pu aggiungere che con le tappe recenti dello sviluppo industriale, che da una
parte hanno contribuito a far impennare complessit e artificialit e dallaltra han-
no moltiplicato inquinamento e alterazioni degli equilibri ecologici, le incertezze
sono facilmente palpabili anche sul piano delle conoscenze comuni.
15
Vedi Henry L, La produzione, cit., p. 53.
16
M. S, Le passage, cit., pp. 99-100.
Vittore Collina 15

trovertibili e da unalta percentuale di materiali simbolici e culturali


e di aree di indeterminazione e di incertezza conoscitiva.17
Nel cambiamento di queste proporzioni, che un tempo si pre-
sentavano rovesciate, hanno giocato un loro ruolo (assieme ad altri
grandi fattori) il passaggio alla comunicazione mediata, lo sviluppo
dei mezzi di comunicazione di massa, il fatto che i flussi di infor-
mazioni, di immagini e di prodotti simbolici nel corso dellultimo
secolo siano incredibilmente cresciuti e si siano diffusi (anche se in
modo diseguale) su tutta la superficie del pianeta.

4. Tenendo conto di questo mi sembra largamente giustificato


parlare della formazione di un complesso di spazi virtuali legati
allo sviluppo dei media, aggiungendo due precisazioni: la prima
quella di considerare lespressione in senso lato e non con specifico
riferimento alla realt virtuale sperimentata negli anni Ottanta e
Novanta; la seconda quella di non limitare lidea alluso di Internet
ed al World Wide Web.
Ho parlato finora, scivolando con leggerezza, di spazi mediatici,
di spazi simbolici e spazi virtuali. A questo punto occorre precisare.
Lespressione Virtual Reality, coniata nel 1981 dallo statunitense
Jaron Lanier [] descrive un sistema di tecnologie che consente la
visione immersiva e interattiva in ambienti di sintesi (ricostruiti e/o
gestiti, cio, attraverso il computer) in cui vengono generate simula-
zioni realistiche o fantastiche.18 Le origini vanno ricondotte da una
parte a sistemi di simulazione militari per laddestramento al volo,
dallaltra ad una serie di esperimenti per la creazione di un cinema
totale con film capaci di coinvolgere tutti i sensi; alla met degli anni
Ottanta si arriva alla diffusione di sistemi per la sperimentazione
della realt virtuale mediante lintegrazione di immagini, mo-
vimenti, sensazioni, percepite artificialmente e in condizione di
interazione attraverso tute, guanti, visualizzazioni, e mediante un
complesso lavoro di coordinazione svolto dai computer. Il senso con

17
Il che si rispecchia bene nel liquido in ebollizione di Michel Serres.
18
AA.VV., La comunicazione, a cura di M. Stazio, Esselibri, Napoli 2002, p. 601.
16 Lattenzione agli spazi

cui uso lespressione spazi virtuali non si riduce a queste esperienze


di realt virtuale, pi vasto, come si evince da quanto detto in
precedenza: non dipende in modo cos diretto da specifici apparati
tecnologici, non riconducibile a esperienze singole o di piccolis-
simi gruppi. Il termine virtuale, unito allo spazio mi serve per
sottolineare contemporaneamente la non fisicit, lartificialit, non
disgiunte dallefficacia, dalla possibilit di influire attivamente su
altri ordini di realt. A questo proposito, per evitare di opporre vir-
tuale a reale, non ritengo particolarmente utile ricorrere alla teoria
delle cause di Aristotele ed al passaggio tra ci che in potenza e ci
che in atto (con i problemi derivanti dal finalismo implicito nel
movimento mosso dalla causa formale), n risalire etimologicamen-
te da virtuale a virtus e a vir, per dare corpo alla decisione umana e
per pensare il virtuale come un progetto (secondo la tesi di Philippe
Quau).19
Sono incline, piuttosto, a cogliere sul piano etimologico il
riferimento a vis, per sottolineare che limmaterialit degli strati
simbolici tuttaltro che priva di una sua effettualit. Ma ritengo
che per cogliere il senso degli spazi virtuali, nei termini con cui li
ho presentati, sia utile soprattutto far ricorso ad un altro scritto di
Lefebvre, sulla societ delle immagini, ed alle categorie messe a
punto in quella sede:20 immagini e rappresentazioni vengono da
lui situate in un gioco complesso di presenza ed assenza; esse
tendono verso una presenza nellassenza,21 capace di produrre
effetti, dotata di proprie dinamiche (che si muovono tra i poli del-
lidentit-ripetizione e della similitudine-frammentazione) e utile in
chiave temporale per padroneggiare il divenire22 e per vivere (o
ingannare) lattesa.
Per quanto riguarda il secondo punto oggi si parla abbastanza

19
Vedi AA.VV., La comunicazione, cit., pp. 606-608. Di Philippe Quau citata
una intervista dal titolo La rivoluzione del virtuale, pubblicata in MediaMente,
Roma, 15-12-1995.
20
Si tratta del volume La prsence et labsence, Casterman, Tournai 1980.
21
Ivi, p. 80.
22
Ivi, p. 81.
Vittore Collina 17

correntemente di spazi virtuali con riferimento agli spazi creati dal-


lelettronica avanzata e alluso di Internet.
Su questa linea si pone ad esempio Antonio Baldassarre, che
prende atto che la comunicazione sociale passata per almeno
cinque grandi rivoluzioni e che quattro di esse si sono verificate
proprio nel secolo XX,23 ma assegna soltanto allultima (quella che,
integrando telefono, televisione e computer in un unico sistema ca-
pace di interazione, ha consentito lo sviluppo mondiale della rete)
la prerogativa di aver creato lo spazio cibernetico, ovvero quella
sorta di spazio artificiale nel quale si produce lazzeramento della
distanza e lannullamento della durata.24 Per sottolinearne il di-
stacco e le diverse caratteristiche egli ribadisce limportanza che
lo spazio ha sempre avuto ed ha tuttora per luomo, in relazione
al dato fondamentale della sua corporeit,25 e insiste soprattutto
sul fatto che luomo ha sempre configurato lo spazio in termini
naturali, anzi fisici.26 Lo spazio cibernetico, invece, cancellando le
distanze fisiche e portando vicino a zero gli intervalli di tempo, sot-
trae luomo ai vincoli della sua fisicit e, a suo parere, si caratterizza
per due conseguenze importanti: la raggiunta indifferenza della
comunicazione rispetto alla lontananza e alla vicinanza materiale;

23
Antonio B, Globalizzazione contro democrazia, Laterza, Bari 2002, p.
9. A sostegno di queste considerazioni Baldassarre fa numerosi riferimenti a Paul
Virilio, a Zygmunt Bauman, a John Tomlinson.
24
Ivi, p. 12.
25
Egli nota tra laltro che luomo ha misurato a lungo lo spazio prendendo come
parametro alcune parti del proprio corpo e che ha segnato termini e confini l
dove riusciva ad arrivare con la propria azione (ivi, p. 10).
26
Ibidem. Sono portati esempi relativi al mercato, ai rapporti economici e alle re-
lazioni giuridiche, sociali e politiche sempre correlati in passato e in parte anche
oggi con lo spazio naturale o fisico: dove domina la categoria del potere, questo
viene sempre definito in termini di spazio naturale o fisico (ivi, pp. 10-11). Su
questo punto Baldassarre evidenzia giustamente come nel concetto di Stato la
fisicit dello spazio assuma la consistenza del territorio e pi in generale conclude
che fino a oggi luomo ha utilizzato una nozione naturalistica dello spazio, grazie
al quale questo stato sempre concepito come un ambito naturale o fisico definito
da limiti o da confini (ivi, p. 11).
18 Lattenzione agli spazi

il superamento dellessenzialit del limite rispetto alle varie forme


dellazione umana, con tutti i problemi che di qui scaturiscono.27
A mio parere pi corretto pensare lo spazio cibernetico come
dotato di caratteri particolari nel pi ampio contesto degli spazi
virtuali sorti con lo sviluppo dei mezzi di comunicazione di massa.
Ci risponde ad una migliore visione storica, perch gi coi giornali
(che pure hanno un supporto materiale e necessitano di una distri-
buzione fisica delle copie) ci si comincia ad allontanare dallo spazio
fisico in senso stretto (la diffusione delle opinioni), mentre poi lal-
lontanamento diviene netto con la radio e con la televisione. Ma,
soprattutto, offre migliori opportunit per comprendere le correla-
zioni che si creano tra gli spazi mediatici e gli ordini di rapporti che
si instaurano a diversi livelli tra i flussi di prodotti, che costituiscono
questi spazi, e le ideologie, i miti, i valori, le rappresentazioni collet-
tive, le immagini, i modelli, le attese ecc., che popolano luniverso
culturale di una societ.
Per fare qualche esempio si pu pensare agli spazi culturali
che si conquista il cinematografo nei suoi primi decenni di vita:
con il primato del cinema francese in Europa, poi con la nasci-
ta dellindustria hollywoodiana e la sua espansione nel Vecchio
Continente dopo il primo conflitto mondiale. E, assieme ai prodot-
ti cinematografici, i modelli di vita, le attese collettive, i punti forti
delle culture in cui nascono, la loro esportazione, con tutti i lati
economici del fenomeno, ma anche con quelli della comunicazione
culturale e con i risvolti politici che a questa esportazione si possono
unire. Oppure si pu ricordare la guerra radiofonica che vede im-
pegnate numerose potenze nel campo delle emissioni radiofoniche
negli anni precedenti la Seconda Guerra Mondiale: in questo caso
il legame tra comunicazione e politica diretto e con le onde della

27
A questo proposito Baldassarre accenna ai problemi pratici e a quelli teorici,
toccando da un lato i contrasti con una realt in senso lato istituzionale che fa i
conti costantemente con i confini e indicando dallaltro le difficolt di reimposta-
re categorie di pensiero che dal limite hanno tradizionalmente enucleato la coppia
dentro-fuori, lidea di esteriorit e di alterit, le figure dello straniero e del nemico.
Vittore Collina 19

radio, sostenute dalla potenza delle emittenti, nella lingua del paese
destinatario, si creano degli spazi di irraggiamento di idee, di valori,
di parole dordine, di formule propagandistiche, di apologhi, pro-
grammati dalle apposite istituzioni a sostegno e a diffusione delle
ideologie dei relativi regimi. Con lo scoppio del conflitto si passa ad
azioni pi pressanti e pi mirate dove la comunicazione entra a far
parte di quella che si chiam la guerra psicologica e dove, ancora
una volta, la lettura del fenomeno in termini di spazi virtuali, a mio
parere, d chiarezza e consente appropriati approfondimenti.

5. Lo spazio virtuale, dunque, come complesso di spazi mediati-


ci, immateriali, artificiali, correlati tra loro, dotati di una loro forza,
costituiti da flussi di prodotti simbolici con delle loro specifiche
dinamiche e una loro relativa autonomia.
In una pi ampia prospettiva, ad un secolo circa dalla frattura
pratica e culturale del primo Novecento, per lampiezza da loro rag-
giunta si pu dire che siamo davanti a una grande divaricazione tra
spazi fisici e spazi virtuali, una divaricazione evidente, elementare,
fondamentale, accelerata dallavvento dello spazio cibernetico, che
ha prodotto grandi conseguenze e sembra destinata a prolungarsi
con sviluppi difficilmente prevedibili.
La discontinuit con le epoche precedenti, comunque, non
completa. E le forme di rapporto precedenti sono state accolte ed
inserite nel ben pi vasto gioco attuale. Infatti, come ho gi accen-
nato, nel corso dei secoli anche gli spazi fisici hanno visto crescere
la loro commistione con elementi e piani simbolici posti dalluomo
(pensiamo ai miti dellet classica, ai templi che segnano i luoghi,
alle implicazioni culturali sancite dai confini, agli sviluppi della
cartografia in et moderna o al semplice fatto dei nomi attribuiti).
Daltra parte sappiamo bene come gli interventi materiali operati
sin dai tempi pi antichi abbiano introdotto dosi di artificialit,
che sono cresciute, sono cambiate, si sono assommate, in base alle
necessit e alla cultura di ogni epoca e che negli ultimi due secoli
hanno vissuto una vera e propria impennata (col passaggio alle
metropoli, con lo sviluppo delle reti ferroviarie e stradali, con gli
20 Lattenzione agli spazi

impianti portuali e aeroportuali ecc.): tutto questo appartiene al


mondo degli spazi fisici, ma dipende dallintervento umano, dalla
progettazione, dagli strumenti teorici in uso, dalle intraprese collet-
tive, dalle capacit tecnologiche raggiunte ed ben lontano ormai
dalla fisicit naturale.
Nelluniverso degli spazi virtuali stato poi ricompreso un
ambito particolare, presente fin dallantichit, che conferma la
complessit degli elementi in gioco e dei rapporti: quello degli
spazi immaginari: gli spazi favoleggiati nei miti e nelle leggende, o
descritti nelle utopie o presentati-proposti nei saggi, nei romanzi o
nei prodotti delle arti visive. Spazi di fatto inesistenti, ma non privi
anchessi di efficacia, ad esempio per linfluenza sulle linee estetiche,
le concezioni funzionali, le mode, gli stili, le finalizzazioni costrutti-
ve. Non pi veicolati dalla comunicazione orale, essi sono rientrati
nel mondo dellera Gutenberg e dei mezzi successivi e partecipano
delle dinamiche della societ di massa e di quella postindustriale.
Oggi come spazi inventati, pensati, descritti, narrati, offrono una fi-
gurazione pi o meno fantasiosa, pi o meno verosimile, e fluttuano
in modo tipico tra presenza e assenza.

6. Una volta raggiunta questa veduta generale sui cambiamenti


attraversati dal concetto di spazio, sulla produzione degli spazi, sugli
spazi virtuali di origine mediatica e sulla loro attuale egemonia,
importante spostarci su di un altro ordine di considerazioni: lattua-
le semantica dello spazio.
Presi nel loro complesso, tutti i riferimenti fatti e le articolazio-
ni presentate fanno pensare alla quantit di significati della parola
spazio, alla vastit dei suoi usi analogici o metaforici, allampia
gamma delle aggettivazioni (spazio pubblico, spazio economico,
spazio vitale, spazio interiore),28 al numero delle determinazioni
spaziali che usiamo in tutti i campi (larghezza - lunghezza - altezza,
davanti - dietro, alto - basso, dentro - fuori, centro - periferia).

28
Per queste aggettivazioni vedi Bruno G, Spazio, CLUEB, Bologna 2000,
p. 29.
Vittore Collina 21

Davanti a una presenza cos varia e dilatata suona molto restrit-


tiva e fondamentalmente provocatoria lidea che circola da alcuni
anni della fine dello spazio, anche se, ovviamente, riferita allo spa-
zio fisico e rispecchia la forte accelerazione spazio-temporale che si
verificata con le applicazioni delle nuove tecnologie.
Sfiorando il tema dal punto di vista filosofico, Bruno
Giorgini, uno studioso italiano di fisica teorica, fa convergere diver-
se citazioni a sostegno della tesi per cui in qualche modo lo spazio
una precondizione di esistenza di tutto ci che noi riusciamo a
pensare.29 Per questo Giorgini fa capo a Kant, allo spazio come
forma a priori dellestetica trascendentale e al neokantismo di
Merleau-Ponty; chiama in causa Wittgenstein e le pagine del suo
Tractatus con lidea che i fatti dello spazio logico sono il mondo e
che possiamo s rappresentare spazialmente uno stato di cose che
vada contro le leggi della fisica, ma non uno che vada contro le leggi
della geometria;30 ma cita anche Leopardi, quando, immaginan-
do la fine delluniverso, parla di un silenzio nudo e di una quiete
altissima [che] empiranno lo spazio immenso,31 ed un astrofisico
famoso, J.N. Islam della Cambridge University, che nel 1979 ha
costruito un modello relativo alla fine delluniverso e ha tentato di
descriverla. La conclusione che neanche il pessimismo pi radicale
riesce ad estirpare in noi il senso dello spazio, segno questo di tutta
la sua forza e, azzarda Giorgini, della buona lega ontologica32 che
lo spazio pu vantare.
Senza avventurarmi su questo terreno, che non il mio e che
richiederebbe conoscenze filosofiche specifiche di alta qualit, credo
che i drastici mutamenti che si sono prodotti nel rapporto tra spazio
e tempo e lo sganciamento che pratichiamo quando ci spostiamo
negli spazi virtuali non significhino la fine dello spazio, ma indichi-
no uno scivolamento semantico in atto: non si pu prescindere dal-

29
Ivi, p. 30.
30
Ibidem.
31
Ivi, p. 33.
32
Ivi, p. 30; 35.
22 Lattenzione agli spazi

le denotazioni degli spazi fisici, che per complessivamente stanno


perdendo dimportanza; crescono invece gli usi che sono in sintonia
con gli spazi virtuali. Non un caso che nel linguaggio dei computer
e di internet le metafore spaziali siano molto frequenti.33
In altri termini ritengo in primo luogo che, quando si parla di
spazio oggi, dalla funzione denotativa della parola ci si sposti spes-
so verso le altre funzioni di tipo analogico e metaforico. In secondo
luogo penso che, al di l del problema del carattere ontologico o
meno, luso delle determinazioni spaziali sia particolarmente radi-
cato nel comportamento umano e valga sia nel modo di orientarci
e di fronteggiare gli spazi fisici, che in quello di immaginare e di
ordinare mentalmente rappresentazioni, idee, pensieri. Si tratta di
un uso straordinariamente esteso, che comunque elaborato a li-
vello collettivo e non universalmente uguale (penso, ad esempio,
al fatto che nella cultura araba la dimensione verticale dellalto e
del basso, che da noi molto usata per rappresentare il potere, ori-
ginariamente in questo senso non compariva).34 Esso inoltre lavora
in profondit e si pu scoprire allorigine di problematiche che di
primo acchito appaiono molto lontane: a questo proposito penso
ai nessi che sono stati ipotizzati tra certe patologie psicologiche
e lantica concezione aristotelica dello spazio come spazio pieno,
della negazione del vuoto, e quindi dellhorror vacui, che anche
superata teoricamente avrebbe lasciato grandi tracce nellinconscio
collettivo,35 e penso a quanto sostiene Gaston Bachelard, nel suo
libro raffinato e coinvolgente, su La potique de lespace, a proposito
della dialettica del fuori e del dentro, denunciando le sempli-
ficazioni filosofiche scaturite da questa metafora spaziale che, col

33
Lo fanno notare Gary G e Susan J. D in un saggio, Y a-t-il une
place publique dans le village global?, pubblicato in AA.VV., Vers une citoyennet
simul, Ed. Apoge, Rennes 1999, p. 128.
34
Vedi Bernard L, Il linguaggio politico dellIslam, Laterza, Bari 1991, pp. 14-
18.
35
Vedi il saggio di M. G, Lo spazio e il limite, Il Centauro, nn. 11-12,
mag.-dic. 1984.
Vittore Collina 23

fascino di una pretesa chiarezza geometrica, diventata una sorta


di mito.36
La mia conclusione intende soffermarsi ancora su questi aspetti
per aggiungere qualche rifinitura e qualche indicazione. in primo
luogo una generale perorazione sullimportanza di tener presente
le determinazioni spaziali, che circolano largamente nel nostro
linguaggio e nel nostro pensiero (in forma di metafore morte, ad
esempio) per unopera di chiarezza e di vigilanza critica. in se-
condo luogo un invito a non sottovalutare i riferimenti agli spazi
fisici, agli aspetti territoriali, alle rappresentazioni geografiche, agli
spazi immaginari, che si incontrano abbondantemente in tutta la
letteratura delle scienze umane, per la ricchezza di implicazioni
che ne possono derivare se li sappiamo leggere compiutamente. In
terzo luogo unapertura di credito circa le capacit rappresentative
e immaginative che analogie e metafore spaziali possono esplicare

36
Fuori e dentro scrive Bachelard formano una dialettica di esclusione e la
geometria evidente di questa dialettica ci acceca dal momento in cui la facciamo
agire nellambito di campi metaforici. Essa ha la nettezza risolutiva del si e del no
che decide di tutto. Senza prendere precauzioni ce se ne fa una base di immagini
che presiedono a tutti i pensieri del positivo e del negativo. I logici tracciano dei
cerchi che si sovrappongono o che si escludono e ben presto tutte le loro regole
sono chiare. Il filosofo con il dentro ed il fuori pensa allessere e al non-essere. La
metafisica pi profonda si cos radicata in una geometria implicita, una geome-
tria che lo si voglia o no spazializza il pensiero; se il metafisico non disegnasse,
penserebbe? Laperto e il chiuso per lui sono dei pensieri. Laperto e il chiuso sono
delle metafore che egli attacca a tutto, persino ai suoi sistemi. In una conferenza
Jean Hyppolite ha studiato la sottile struttura della denegazione, ben differente
dalla semplice struttura della negazione, egli ha potuto giustamente parlare di
un primo mito del fuori e del dentro. Jean Hyppolite ha aggiunto: voi sentite
quale sia la portata di questo mito della formazione del fuori e del dentro: quella
dellalienazione che si fonda su questi due termini. Ci che si traduce nella loro
opposizione formale diviene in pi alienazione e ostilit tra i due. E cos la sempli-
ce opposizione geometrica si tinge di aggressivit. Lopposizione formale non pu
restare tranquilla. Il mito la lavora. Ma non si deve studiare questo lavoro del mito
attraverso limmenso campo dellimmaginazione e dellespressione dandogli la fal-
sa luce delle intuizioni geometriche (Gaston B, La potique de lespace,
PUF, Paris 1998, pp. 191-192).
24 Lattenzione agli spazi

a sostegno di descrizioni e interpretazioni, soprattutto se queste si


riferiscono alla realt contemporanea.
I termini delle rappresentazioni spaziali (a quelli gi indicati
possiamo aggiungere i piani, le superfici, le intersezioni, i percorsi,
le curvature) sembrano molto adatti per rendere visivamente le con-
dizioni complesse del vivere odierno e possono diventare strumenti
utili per la comprensione della societ, delleconomia e della politi-
ca, che risultano sempre pi multiformi e variamente intrecciate tra
loro. I primi casi che mi vengono in mente appartengono alla storia
dei media e ai rapporti tra media e politica. Ma, a sostegno della tesi
esposta, pu avere maggior valore una testimonianza esterna e mi
sembra molto efficace un brano di Giuseppe Dematteis che parla
appunto di economia, di spazi vecchi e di spazi nuovi: Va ammesso
che la concezione deterministica dello spazio geografico radicata
nel senso comune anche perch alle origini della storia c sicura-
mente un rapporto di questo tipo, il quale ha mantenuto certe sue
parvenze fino a tempi relativamente recenti. Nelle economie prein-
dustriali e ancora nelle fasi iniziali dellindustrializzazione moderna
la maggior parte dei fatti economici o almeno la parte pi ovvia
ed evidente di essi presenta forti correlazioni con fatti ambientali e
di posizione geografica. Va per notato che, tra i tanti cambiamenti
del nostro secolo, c anche stato quello di rendere questa immagine
del mondo poco aderente alla realt. La concezione metaforica dello
spazio geografico diventa dunque una necessit, se vogliamo ade-
guare le nostre categorie descrittive alle trasformazioni pi recenti.
Lo spazio a cui pu far riferimento chi si occupa oggi dellarticola-
zione territoriale dei sistemi economici sempre meno quello delle
carte geografiche esso non pi n omogeneo n continuo come
poteva sembrare un secolo fa. Risulta invece da una combinazione
e sovrapposizione sempre pi complessa di diversi tipi di spazi, tra
i quali quello metrico euclideo consente di descrivere soltanto gli
interventi fisici pi diretti. Ad esso sfuggono certe relazioni essen-
ziali, come quelle della dominazione economica e culturale, della
diffusione delle innovazioni, della comunicazione informatica.37
37
Giuseppe D, Lo spazio del cambiamento economico. Entit fisica o meta-
fora?, in AA.VV., Gli spazi del potere, cit., pp. 30-31.
Vittore Collina 25

Per quanto riguarda poi gli spazi politici voglio riportare lopi-
nione espressa da Danilo Zolo nel corso di un convegno, tenutosi a
Bologna nel settembre del 2001, su Consenso e legittimazione tra et
moderna e globalizzazione. Dichiarandosi in sintonia con un recen-
te volume di Carlo Galli38 ed innanzitutto, sullidea che lo spazio
sia una metafora essenziale per cogliere il significato profondo e la
funzione principale dei sistemi politici moderni, Zolo precisa che lo
spazio politico a suo parere una categoria politica significativa
e utile assai pi come metafora esplicativa, che non come categoria
empirica che intende riferirsi a una dimensione della realt e del-
lesperienza politica.39 Pur non escludendo che la dimensione spa-
ziale in senso strettamente fisico e geografico sia rilevante per lanalisi
politica egli insiste sulla fecondit euristica della spazialit politica
intesa metaforicamente40 e tra gli esempi tocca il rapporto tra siste-
ma e ambiente, centrale nella teoria generale dei sistemi di Niklas
Luhmann e Ludwig von Bertalanffy, ed i meccanismi di inclusione
ed esclusione di cui si avvalgono le varie forme di nazionalismo.
Senza la pretesa di recuperare lidea platonica, per cui la geo-
metria la messa in forma del mondo,41 gli spazi e le loro de-
terminazioni, oggi, ci sono alleati nel penetrare la complessit che
ci circonda e in cui siamo coinvolti, a patto di non accontentarci,
secondo le indicazioni di Bachelard, delle figurazioni pi elementari
e delle scorciatoie ad effetto.

38
Si tratta del libro Spazi politici. Let moderna e let globale, Il Mulino, Bologna
2001.
39
Danilo Z, Gli spazi della politica, in AA.VV., Politica, consenso, legittimazione,
a cura di R. Gherardi, Carrocci, Roma 2002, p. 61.
40
Ibidem.
41
Ivi, p. 36. Bruno Giorgini riprende il pensiero platonico e limmagine del de-
miurgo per sottolineare che nellantichit mancavano le divisioni del sapere che
sono state introdotte con let moderna e nellauspicio che la geometria possa
riacquistare quelle valenze multiple che possedeva e che possa nuovamente coniu-
garsi con lestetica e con la morale.
26 Lattenzione agli spazi

*Professore di Storia delle dottrine politiche presso la Facolt di


Scienze Politiche dellUniversit di Firenze, Vittore Collina ha svolto
e svolge tuttora ricerche sul pensiero democratico e sul pensiero con-
servatore dellOttocento e del primo Novecento. Contemporaneamente
rivolge i suoi interessi scientifici verso la sovranit estera e i rapporti
internazionali, verso i temi delle immagini, delle rappresentazioni e
dei flussi simbolici, verso la storia dei media e verso le problematiche
relative allo spazio ed alla politica. Tra gli scritti pi recenti: Proposte
di democrazia diretta durante la Seconda Repubblica, in AA. VV.,
Le ideologie del 1848, UTET, Torino 1999; Stato, spazio e confini. Dal
solido allo stato gassoso, in AA. VV., Barriera o incontro. I confini nel
XX secolo, Mimesis, Milano 2000, pp. 223-242; Taine: i capi natu-
rali e la societ come organismo vivente (1863-1894), in AA.VV., La
teoria della classe politica da Rousseau a Mosca, C.E.T., Firenze 2001;
Spaces: Physical and Virtual, Critique and Humanism, Human and
Social Studies Foundation, Sofia, vol 14, n. 2/2002, pp. 209-223.
LEA CAMPOS BORALEVI*
Universit di Firenze

LIBERT E PROPRIET: LA POLITICA DELLO SPAZIO


NELLEUROPA MODERNA

Questa giornata di studi dedicata a La politica e gli spazi, orga-


nizzata insieme agli amici Collina e Consarelli nellambito di un
progetto di studio sulle Figure dello spazio, politica e societ, che cer-
ca di sviluppare una serie di riflessioni sui grandi temi politici e so-
ciali dellet moderna e contemporanea dal punto di vista degli spa-
zi e della loro produzione, mi sembrata loccasione migliore per
presentare, seppure in forma seminariale, alcune idee che da tempo
vado elaborando e che in qualche modo si sono addensate e precipi-
tate come si dice in Chimica proprio su sollecitazione di questo
progetto. Il precipitato che propongo alla benevola attenzione di
amici e colleghi, riguarda un binomio classico, frequentatissimo
nella storia del pensiero politico: libert e propriet. Non certo
questa la sede per documentarne la presenza decisiva nel pensiero
politico moderno. Mi limito a citare solo un esempio, il pi classico
e ovvio: Il fine di ogni associazione politica la conservazione dei
diritti naturali ed imprescrittibili delluomo. Questi diritti sono la
libert, la propriet, la sicurezza e la resistenza alloppressione.1
questa lenunciazione del binomio libert/propriet nel cele-
bre art. 2 della Dichiarazione dei Diritti dellUomo e del Cittadino
proclamata l8 agosto 1789 dallAssemblea Nazionale francese, co-
stantemente presente anche nelle successive Dichiarazioni emanate
nel corso della Rivoluzione Francese, che ribadiranno tutte, pur
con accentuazioni e priorit diverse, il nesso libert/propriet. Tale
enunciazione venne incorporata nel testo delle diverse Costituzioni,

1
Dichiarazione dei diritti delluomo e del cittadino, 1789, in Felice B, Le
carte dei diritti, Bologna 1957.

Bruna Consarelli (a cura di), La politica e gli spazi


ISBN 88-8453-156-X, 2003 Firenze University Press
28 Libert e propriet: la politica dello spazio nellEuropa moderna

che fissavano il livello di propriet (o di reddito) discriminante per


il diritto di voto attivo e passivo, per concedere cio i diritti di citta-
dinanza, con cui esercitare la libert: la scelta del criterio per fissare
i diversi livelli fu al centro di una serie infinita di dibattiti e prov-
vedimenti legislativi. Questi dibattiti avrebbero poi caratterizzato
tutto il secolo XIX, ma erano gi stati preceduti, durante la Guerra
civile inglese di met Seicento, dai celebri Dibattiti di Putney.
Tutte le Storie del pensiero politico ci spiegano che la concezione
che lega i diritti di cittadinanza alla propriet, nelle diverse Costi-
tuzioni della Rivoluzione Francese, ha le sue origini nelleredit
lockiana-giusnaturalistica della Fisiocrazia francese, nella tradizione
repubblicana francese e naturalmente nella tradizione inglese.
Gli studi recenti sul repubblicanesimo, tuttavia, sembrano esser-
si concentrati soprattutto sullinfluenza di Machiavelli e, attraverso
Machiavelli stesso, sul retaggio di Roma, attraverso categorie anco-
ra condizionate dalla lezione degli anni Cinquanta di Berlin2, che
parlava di libert negativa, nel senso di libert da, di immunit
da interferenze altrui, e di libert positiva, intesa come autonomia,
come libert di, cio positiva. Secondo questa lezione, Locke ma
anche Hobbes, e qui iniziano i problemi seri! sarebbe il campione
della libert da (la libert dalle interferenze dello Stato, la libert
dei moderni); il repubblicanesimo invece, come le concezioni clas-
siche, riprenderebbe la libert di, la libert di partecipare alla vita
della polis, retaggio di una libert degli antichi (che, nelle sue ripro-
posizioni moderne, Berlin considera tendenzialmente autoritaria, a
partire da Hegel e Marx).3
Forse in opposizione a Pocock, che aveva sottolineato la
cornice aristotelica entro cui collocare lumanesimo civico del
Machiavellian Moment4 e quindi, secondo la prospettiva di Berlin,

2
Vedi la bella Prefazione di M. Geuna a Philip P, Il repubblicanesimo. Una
teoria della libert e del governo, (1997), trad. it. Feltrinelli, Milano 2000.
3
Isaiah B, Two Concepts of Liberty, (1958) in Quattro saggi sulla libert, trad.
it. Feltrinelli, Milano 1989.
4
John Greville Agard P, e Machiavellian Moment. Florentine Political
ought and the Atlantic Republican Tradition, Princeton 1975, trad. it. Il Mulino,
Bologna 1980.
Lea Campos Boralevi 29

appartenente al tipo di libert positiva, libert di i primi studi


di Skinner ci hanno insegnato che la libert propugnata dal repub-
blicanesimo classico moderno non era positiva, libert di, ma era
una particolare forma di libert da, cio, secondo lo schema Berlin,
libert negativa, moderna.5 Successivamente, la stessa posizione di
Skinner si andata modificando, tanto che arrivato ad affermare
con forza che il repubblicanesimo presenta la libert in opposizio-
ne alla schiavit, la libert come assenza di dominio, secondo la
lezione di Pettit, come Skinner stesso riconosce; o meglio, secondo
la pi recente versione di Skinner, ulteriormente modificata, il re-
pubblicanesimo sarebbe espressione di una concezione della libert
neo-romana.6

Queste categorie e queste interpretazioni del repubblicanesimo


tuttavia aprono, o lasciano irrisolti, alcuni interrogativi che ritengo
fondamentali, fra i quali quello che riguarda i modi e i tempi in cui
questa presunta concezione repubblicana della libert sia confluita
nella modernit: in altri termini queste interpretazioni non rendo-
no conto di come, quando e perch, a partire da una libert neo-
aristotelica, romana o neo-romana, si possa essere formato un bino-
mio cos forte e sorprendentemente robusto, ancora oggi vivace e
vitale, come quello di libert e propriet.
Le mie perplessit sulle interpretazioni che sembrano acco-
munare quasi tutti gli studi pi recenti sul repubblicanesimo a
partire dai due pi citati, Pocock e Skinner, egualmente intenti a
rivolgersi allantichit greco-romana come unica fonte o come fonte
predominante del pensiero politico repubblicano moderno, seppur
facendo riferimento a pensatori diversi come Aristotele e Tito Livio,
ma sempre attraverso la mediazione del famoso Machiavelli sono

5
Quentin S, e Foundations of Modern Political ought, Cambridge.
1978, trad. it Il Mulino, Bologna 1989; soprattutto cfr. I., e Republican Ideal of
Political Liberty, in Machiavelli and Republicanism, a cura di G. Bock, Q. Skinner,
M. Viroli, C.U.P., Cambridge 1990.
6
P. P, Postscritto 1999, in op. cit., e Q. S, Liberty before Liberalism,
Cambridge 1998, trad. it. Einaudi, Torino 2001.
30 Libert e propriet: la politica dello spazio nellEuropa moderna

cresciute col tempo. Ma la reazione propositiva, anzich solo critica,


mi venne durante un seminario a Bordeaux, in cui ebbi loccasione
di sentire Skinner che presentava le sue riflessioni sulla libert neo-
romana, utilizzando fra laltro una citazione da e Tenure of Kings
and Magistrates di Milton. Nel passo citato Milton, facendo espli-
cito riferimento alla decisione di giustiziare Carlo I come tiranno,
istituisce la differenza fra vera e finta libert: noi possiamo anche
boast, as we doe, to be a free nation , senza per avere il potere di
remove, or to abolish any governor supreme, or subordinat, ed es-
sendo privi di that power, which is the root and sourse of all liberty,
to dispose and oeconomize in the Land which God hath given them,
as Maisters of Family in thir own house and free inheritance,7 per
cui, in realt, viviamo in condizioni di tyranny and servitude.
Senza questo potere il potere di disporre ed amministrare
le proprie propriet, che Milton considera naturale ed essenziale
in una nazione libera, anzi fonte di qualunque libert pur
andando a testa alta, i suoi cittadini sono solo schiavi e vassalli di un
Signore il cui governo, anche se non illegale e anche se non intolle-
rabile, non un governo libero e perci da abbattere.8
Espressi allora le mie perplessit, perch quella citazione non mi
sembrava appartenere n a un linguaggio aristotelico, n ad uno
neo-romano e nemmeno ad un linguaggio machiavelliano, ma mi
suonava piuttosto come un linguaggio di matrice biblica.9

7
John M, e Tenure of Kings and Magistrates, in Political Writings, a cura di
M. Dzelzainis, C.U.P., Cambridge 1991, pp. 32-33: quel potere, che la radice e
la fonte di ogni libert, di disporre e di amministrare i propri beni nella Terra che
Dio ha dato loro, come padri di famiglia nella loro casa e nelle loro propriet eredi-
tate liberamente; mi pare superfluo ricordare che il termine oeconomize costituisce
un evidente riferimento alloikonomia aristotelica, e cio larte di governare la casa
e la famiglia.
8
Ivi, p. 33: Without which natural and essential power of a free Nation, though
bearing hig thir heads, they can in due esteem be thought no better than slaves and
vassals born, in the tenure and occupation of another inheriting Lord.
9
Mi sembra significativo notare che Skinner, citando questo passo a sostegno della
sua interpretazione neo-romana, abbia omesso proprio le due righe qui evidenzia-
te nel suo articolo su John Milton and the Politics of Slavery, Prose Studies, 23,
Lea Campos Boralevi 31

Come succede talvolta, questo piccolo episodio ha avuto per me


una grande importanza, perch, cercando di mettere meglio a fuoco
le mie perplessit su quella citazione, ebbi loccasione di riflettere
sulla straordinaria importanza nel testo biblico del legame popolo-
terra, che si riverbera nel nesso libert/propriet. Cos, con una
sinapsi probabilmente casuale, misi in relazione alcuni risultati del-
le ricerche che allora conducevo e che conduco tuttora, sullantico
Israele come modello politico nel pensiero europeo fra Cinque e
Seicento, da una parte, ed il lavoro che, negli anni, ho dedicato alle
teorie sulla propriet.

Cercher di delineare qui, seppure in modo molto schemati-


co, limportanza del modello politico-sociale costituito dallantico
Israele nella cultura dellEuropa moderna, strettamente legata alla
centralit in essa della Bibbia, gi ampiamente dimostrata e ap-
profondita da tantissime ricerche: in unepoca in cui la conoscenza
degli antichi significava portare nuova luce alle ricerche scientifiche
pi avanzate, non solo gli autori dellantichit greca e latina, ma an-
che la Bibbia e in particolare lAntico Testamento, occuparono un
posto centrale nello sviluppo del pensiero politico europeo, giacch
la Bibbia contiene la storia epica e politica di un popolo, gli antichi
ebrei, che diventano il popolo di Dio attraverso il patto e la legge;
contiene la storia di uno Stato fondato da questo popolo, delle sue
diverse forme di governo, delle sue divisioni interne, degli scontri e
delle lotte fino alla sua dissoluzione, distruzione e allesilio: in altre
parole la Bibbia contiene la storia di quello che nellEuropa moder-
na veniva definita la Politia Judaica o Respublica Hebraeorum.
Il dibattito su questi temi con riferimento al modello politico
biblico-ebraico raggiunse il momento pi alto e pi intenso sicura-
mente fra la met del Cinquecento e la seconda met del Seicento,
anche se inizi ben prima e continu a lungo dopo, e coinvolse
studiosi, intellettuali e politici di tutta lEuropa, attraversando

2000, pp. 1-22, ora ripreso in I., Visions of Politics, vol. II, Renaissance Virtues,
C.U.P., Cambridge 2002, pp. 286-307, (cit. p. 299).
32 Libert e propriet: la politica dello spazio nellEuropa moderna

divisioni religiose e politiche e sviluppandosi soprattutto in Italia,


in Francia, in Svizzera, in Olanda e in Inghilterra, con importanti
influenze e sviluppi nei paesi baltici e in America.10
Oltre a studiare lorigine, lo sviluppo e la diffusione della lette-
ratura sulla Respublica Hebraeorum come modello politico e sociale
nellEuropa moderna, mi sono sempre interrogata sui motivi di que-
sta straordinaria diffusione in questo periodo. Alcuni storici, come
Schama ad esempio, pur approfondendone alcuni aspetti e fasi,
molto spesso si sono limitati a registrare e documentare la diffusio-
ne e la ricezione di questo modello nei settori pi diversi (nelle arti
figurative, nel teatro, nella poesia).11 Sono invece profondamente
convinta che la chiave per comprendere questo fenomeno storico-
culturale vada cercata, come in tutte le cose, nel porsi le giuste do-
mande e nel cercare di dare delle risposte, interrogandosi in partico-
lare sui motivi di tale straordinaria diffusione in questo periodo.
Ho quindi cercato in altre sedi di mostrare, ma anche di
spiegare, il ruolo fondamentale che la letteratura sulla Respublica
Hebraeorum esercit sullo sviluppo del pensiero politico dellEuropa
moderna, attribuendolo a tre ordini di motivi:
a) limportanza dei suoi autori: da Savonarola ed Erasmo, a
Bodin, Montano, Sigonio, Althusius e Grozio, a Cunaeus e Selden,
Harrington e Milton, e poi fino a Spinoza e Locke, tanto per citarne
i nomi;
b) leccezionale qualit dei contributi di pensatori di quel ca-
libro: non si tratta di ricostruire una querelle fra oscuri autori di
pamphlets andati perduti o sepolti nella polvere delle biblioteche, ma
di rileggere con una nuova prospettiva gli apporti a questo dibattito
contenuti nelle opere dei pi grandi pensatori politici del tempo;

10
Rimando al numero monografico de Il pensiero politico, XXV, 2002, 3, pp.
365-521, uscito anche come volume autonomo, con indici, intitolato Politeia bi-
blica, a cura di L. Campos Boralevi e D. Quaglioni, Olschki, Firenze 2003.
11
Simon S, Il disagio dellabbondanza. La cultura olandese dellepoca doro
(1987), tr. it. Mondadori, Milano 19932 ; cfr. Lea C B, La Respu-
blica Hebraeorum nella tradizione olandese, Il pensiero politico, XXV, 2002, 3,
pp. 431-463.
Lea Campos Boralevi 33

c) la rilevanza cruciale dei temi in discussione: non solo sco-


muniche, successioni, contratti, prestiti e calendari, pesi e misure
temi allora importanti, ma oggi oggetto di interesse antiquario ed
erudito; ma anche temi scottanti ancora nei nostri giorni, come il
rapporto fra potere civile e religioso, i limiti al potere assoluto delle
monarchie (ma anche del potere politico in quanto tale), le forme di
governo, la poliarchia, il federalismo (foedus la traduzione latina di
berith=patto, alleanza: lantico Israele diventa quindi nella prima et
moderna lo Stato federale per eccellenza); e quindi il diritto natu-
rale, il diritto romano e quello comune; ma anche politica e storia,
storia e cronologia, propriet, libert e giustizia sociale.12
Riflettere sulla questione dal punto di vista degli spazi e della
loro produzione, ci permette oggi di aggiungere un ulteriore moti-
vo, e di offrire quindi unaltra risposta non meno importante al
problema storico posto dalla straordinaria diffusione ed influenza
del modello politico-biblico nellEuropa moderna. Giacch lantico
Israele costituiva un modello politico e sociale interessante, anche
e soprattutto perch rappresentava un rapporto particolare, anzi
unico, fra politica e spazi.
d) Se osserviamo dunque la questione dal punto di vista della
politica e degli spazi, comprendiamo come il modello biblico ebrai-
co costituiva nella prima et moderna un esempio peculiare di rap-
porto fra politica e spazi, e cio fra popolo e terra (attenzione, non
terra-popolo, come spiegher meglio fra poco), inteso:
1) come rapporto a livello collettivo-pubblico fra popolo e terri-
torio allinterno di uno Stato; e, allesterno, nel rapporto con terri-
tori di altri Stati e altri popoli rapporto centrale nella definizione

12
L. C B, Per una storia della Respublica Hebraeorum come mo-
dello politico, in Dalle repubbliche elzeviriane alle ideologie del 900, a cura di V.I.
Comparato e E. Pii, Olschki, Firenze 1997, pp. 17-33; E., Mizvoth beneh Noah:
il diritto noaico nel dibattito seicentesco sulla tolleranza, in La formazione storica
dellalterit, Studi di storia della tolleranza nellet moderna offerti a A. Rotond,
promossi da H. Mchoulan, R.H. Popkin, G. Ricuperati, L. Simonutti, 3 voll.,
Olschki, Firenze 2001, tomo II, pp.473-494.
34 Libert e propriet: la politica dello spazio nellEuropa moderna

della questione dei confini, che caratterizza il passaggio dallo Stato


feudale a quello nazionale;
2) a livello individuale-privato come rapporto fra i singoli, le
singole famiglie e trib, e la loro terra, cio la propriet loro asse-
gnata;
3) infine come rapporto politico fra propriet, rispetto della
legge e cittadinanza un rapporto che, se correttamente inteso,
realizzava la promessa di libert nella terra promessa, appunto, nel-
laccordo, nel patto stipulato con Dio, in cambio dellobbedienza
alla legge divina.
Per quanto riguarda il primo punto, posso in questa sede solo
accennare ad un altro grande settore della letteratura sulla Respublica
Hebraeorum, riguardante il problema dei confini: John Selden,
grande ebraista, autore nel 1640 di un De iure naturali et gentium
iuxta disciplinam Hebraeorum, fu il protagonista della celebre po-
lemica con Grozio ed il suo Mare Liberum, con la sua altrettanto
celebre risposta intitolata Mare clausum, pubblicata a Leida nel
1635. In questopera il giurista inglese approfondiva il concetto di
confini internazionali, di demarcazioni non feudali tra Stati sovrani,
e rivendicava lorigine biblica e talmudica dei confini intorno allo
Stato di Israele e fra i diversi appezzamenti assegnati alle diverse tri-
b, affermando il principio dei confini come fictio iuris vincolante,
che legittimava lidea di una totale separazione fra Stati, fissata da
confini politici, cio politicamente significativi.13
Ma anche e soprattutto per il secondo ed il terzo punto della
questione che agli occhi degli studiosi del tardo umanesimo lantico
Israele presentava un nuovo, interessantissimo rapporto fra politica,
terra e popolo, e cio fra legge, propriet e libert/cittadinanza.
Secondo i commenti rabbinici, e Maimonide in primis, questo
rapporto veniva correttamente inteso seguendo le leggi dellanno

13
Su John Selden, cfr., Sergio C, La miglior legge del regno. Consuetudine,
diritto naturale e contratto nel pensiero e nellepoca di John Selden (1584-1654),
Giuffr, Milano 2001, 2 voll.; e J. S, Table-talk, a cura di P. Carta, C.E.T.,
Firenze 2003.
Lea Campos Boralevi 35

sabbatico e del giubileo ebraico, descritte in dettaglio nel libro


Levitico, 25, di cui riporto i passi salienti: Quando sarete entrati
nella terra che sto per darvi, la terra dovr riposare un sabato in
onore del Signore: per sei anni seminerai il tuo campo [], ma nel
settimo anno ci sar una completa cessazione dal lavoro per la terra
(Lev. 25, 2-4).
E ti conterai sette settimane di anni, sette anni sette volte, e
la durata [] ti risulter in quarantanove anni. Allora sonerai il
corno del suono nel settimo mese il dieci del mese, nel giorno del-
lespiazione sonerete il corno in tutto il vostro paese. E consacrerete
il cinquantesimo anno e proclamerete libert nella terra per tutti i
suoi abitanti: il Giubileo, tale sar per voi, tornerete ciascuno al
suo possesso e ciascuno alla sua famiglia (Lev. 25, 8-10).
E se un tuo fratello impoverir presso di te e si vender []
fino allanno del Giubileo lavorer presso di te, ed allora uscir da
presso di te, egli ed i suoi figli con lui, e torner alla sua famiglia ed
al possesso dei suoi padri torner (Lev. 25, 39-41).
Fondamentalmente il Giubileo, istituzione sociale dellantico
Israele continuamente discussa e presente in tutto il dibattito politi-
co Cinque-Seicentesco, imponeva ogni cinquantanni la liberazione
degli schiavi, la remissione dei debiti, ma soprattutto la riappropria-
zione delle terre ai cittadini di Israele che ne fossero stati privati per
i motivi pi diversi. Nel testo biblico riappropriazione significa la
reintegrazione dei proprietari originari nelle terre che erano state
attribuite alla loro famiglia e alla loro trib nella divisione della terra
di Canaan appena conquistata sotto la guida di Giosu.
In questo modo la proclamazione del Giubileo ogni cin-
quantanni riproduceva periodicamente il paradigma della storia
biblica della liberazione dallEgitto, a beneficio degli schiavi che
avevano perduto la libert personale, dei debitori insolventi, ma
anche e soprattutto dei proprietari che avevano perso la terra loro
originariamente assegnata per eredit, secondo la linea: schiavit-
liberazione- patto- legge- propriet- diritti di cittadinanza- libert.
Secondo questo paradigma, la conquista della terra promessa
precede logicamente, o meglio, rende possibile losservanza delle
36 Libert e propriet: la politica dello spazio nellEuropa moderna

leggi, e losservanza della legge divina la condizione per ottenere


la terra. Esattamente come lantico Israele ha il diritto di possedere
la terra, per promessa divina, cos il singolo individuo o famiglia
ha, per volont divina, il diritto di mantenere la propriet del pro-
prio appezzamento di terra e di ritornare quindi in possesso della
propriet eventualmente persa. Questo diritto la pre-condizione
per losservanza delle leggi, cio per lesercizio della libert, cio
quello che in termini pi semplici si direbbe la pre-condizione per
il diritto di cittadinanza. Esattamente come il popolo ebraico non
poteva praticare la libert, cio losservanza (e nemmeno laccetta-
zione) della legge divina nella schiavit dEgitto, cos gli schiavi, i
debitori insolventi e i proprietari spossessati non erano in grado di
praticarla in Israele. Ma laumento eccessivo del numero dei citta-
dini incapaci comprometteva lesercizio della libert e della giusti-
zia per tutta la comunit politica. Per questo, ogni cinquantanni,
questi cittadini venivano reintegrati nella loro capacit dalle leggi
del Giubileo, che permettevano un periodico riequilibrio sociale.
Come anche per alcune feste agrarie mutuate dalle usanze delle
culture vicine, e trasformate dallantico Israele in festivit nazionali
storico-politiche,14 cos il Giubileo riprendeva usanze assire e sume-
riche, aggiungendovi una decisiva componente storico-politica con
forte valenza sociale e civica: le leggi del Giubileo permettevano
periodicamente alla memoria dello schema fondante dellEsodo
(schiavit-liberazione-patto-legge-propriet-diritti di cittadinanza-
libert) di irrompere nella realt sociale dello Stato ebraico, rige-
nerandolo.
Per questo, gli studiosi dellEuropa moderna che affrontavano
le pagine del Levitico, vi leggevano i termini di una lex agraria del-
lantico Israele, rafforzandone la valenza di modello politico-sociale,
anche in antagonismo, o in alternativa, a quello romano.
Nellantica Roma infatti la cittadinanza era pre-condizione per
il diritto di propriet, ma non viceversa. La propriet delle terre ve-

14
Come la Pasqua, Festa delle primizie in tutto il Medio Oriente, trasformata in
festa storica della liberazione dallEgitto e quindi in festa della libert.
Lea Campos Boralevi 37

niva concessa ai cittadini romani, ma non era la propriet in quanto


tale a costituire un pre-requisito per il diritto di cittadinanza.
NellEuropa moderna la fonte del nesso libert/propriet, della
liberty and property, tuttavia, non era esclusivamente biblica e pote-
va trovarsi anche nel tardo diritto romano-giustinianeo, soprattutto
in alcuni commentatori medievali e tardo-medievali, nel diritto
comune e nelle esperienze storiche dei diversi paesi europei; ma non
si trova nellantica Roma.
Nel 1617 Petrus Cunaeus, latinista, giurista, studioso di lingue
semitiche, membro del patriziato olandese e professore di politi-
ca alluniversit di Leida, dove fu anche rettore, pubblic presso
gli Elzevier di Leida unopera in tre libri, intitolata De Republica
Hebraeorum. Lopera ebbe un successo straordinario, ebbe pi di
sette edizioni, prima della fine del secolo, in latino, venne tradotta
in francese, inglese, olandese, e costitu a lungo il prototipo del
modello delle opere di questo tipo. Fu la prima opera politica che
introdusse il pensiero normativo e politico di Maimonide nel pen-
siero politico europeo dellEuropa moderna. 15
Seguendo la strada tracciata da Bodin nella comparazione fra Sta-
ti,16 ed utilizzando i commenti di Maimonide alle leggi del Giubileo,
Petrus Cunaeus individu un argomento decisivo in favore della su-
periorit della Respublica Hebraeorum rispetto agli altri Stati dellanti-
chit, giacch esso fu lunico a dotarsi di una efficace legge agraria.17
Questa legge agraria, imposta da Mos, faceva in modo che
la ricchezza di alcuni non tendesse ad opprimere gli altri, una
lex agraria per la quale i proprietari della terra non potevano mai
trasferire il pieno e completo diritto di propriet a qualunque altra

15
Non mi trattengo sugli altri contenuti di questopera, per i quali mi permetto di
rimandare a Petrus C, De Republica Hebraeorum (e Commonwealth of the
Hebrews), C.E.T, Firenze 1996, a cura e con introduzione di L. Campos Boralevi.
16
Anna Maria L D G, La Respublica Hebraeorum come modello
politico scientifico nella Methodus di Jean Bodin, Il pensiero politico, XXV,
2002, 3, pp. 382-398.
17
Lex agraria il nome che Cunaeus d alle leggi ebraiche sul Giubileo, dimostrando
la sua consumata arte di mediatore culturale nel momento in cui compara gli Stati
dellantichit.
38 Libert e propriet: la politica dello spazio nellEuropa moderna

persona n attraverso la vendita n attraverso alcun contratto.18


Ogni cinquantanni infatti la terra ritornava ai proprietari ori-
ginari, limitando le disuguaglianze, favorendo la stabilit sociale, la
concordia, la symphonia di Giuseppe Flavio, che in Petrus Cunaeus,
al contrario che in Machiavelli, era la chiave per spiegare la durata,
un classico criterio nel giudicare la validit di una respublica.
I Greci non ebbero mai una simile legge ed i Romani non riu-
scirono mai a darsi una buona legge agraria. La superiorit della
legge agraria Mosaica era legata anche alla divisione originaria della
terra in lotti (cio assegnati a sorte alle diverse trib e famiglie),
un sistema molto migliore del diritto romano di occupatio, fonte
di grandissime discordie e conflitti nel popolo. Cos un aspetto
apparentemente secondario della legislazione Mosaica, le leggi del
Giubileo con la sua restituzione della terra tra i proprietari originari,
la remissione dei debiti, e lemancipazione di schiavi, diventa il ful-
cro sul quale Cunaeus costruisce il suo argomento per la superiorit
della Respublica Hebraeorum rispetto agli altri Stati antichi per stabi-
lit e durata, legandole allidea classica della aequalitas.
Lopera di Petrus Cunaeus ebbe una circolazione straordinaria
in tutta lEuropa del Seicento, ed anche in Inghilterra, dove nel
1653 Clement Barksdale, il traduttore inglese di Grozio, ne fece
anche una versione inglese, col titolo di e Commonwealth of the
Hebrews, per renderla leggibile ad un pubblico ancora pi ampio.
Nel 1656 James Harrington pubblica il celebre e Commonwealth
of Oceana, e immortal Commonwealth, che era fondato sulle due
migliori leggi che mai si fossero date: la legge agraria ebraica, e il si-
stema elettorale veneziano. Harrington spiega che cos questa legge
agraria: Questo tipo di legge che fissa lequilibrio nella propriet
della terra chiamata agraria, e fu introdotta per la prima volta da
Dio stesso, che divise la terra di Canaan fra il suo popolo in lotti,
di tale virt che, dovunque abbia retto, il governo non mai stato
cambiato, se non per consenso; come in quellineguagliato esempio
del popolo dIsraele, quando vivendo in libert essi sentirono la

18
P. C, De Republica Hebraeorum, cit., pp. 11-12.
Lea Campos Boralevi 39

necessit di scegliere un re. Ma senza la legge agraria, qualunque


governo, sia esso monarchico, aristocratico o popolare, non pu
durare a lungo.19
Harrington definisce: Uno Stato egualitario (equal common-
wealth) uno Stato che egualitario sia nel suo equilibrio (balance)
o fondamento, sia nelle sue superstrutture, cio nella sua legge agra-
ria e in quella della rotazione. Una legge agraria egualitaria una
legge perpetua che istituisce e mantiene lequilibrio della propriet
(dominion), con una distribuzione tale che nessuno uomo o un nu-
mero di uomini o aristocrazia pu arrivare a superare (overpower)
lintero popolo in propriet di terra.20
Roma fu un unequal commonwealth, uno Stato non egualitario,
non bilanciato e da l deriv la sua continua discordia. Israele fu un
equal commonwealth per la sua legge agraria, non per la sua rotazio-
ne, ossia per il sistema elettorale che era imperfetto, ed era invece
perfetto a Venezia. Nella parte centrale dellOceana, Harrington,
contro lopinione di Machiavelli che riteneva che a Roma le lotte
per la legge agraria causarono la fine della repubblica, seguendo
Petrus Cunaeus, afferma con forza, colle parole del Lord Archon,
che la legge agraria invece necessaria per la stabilit di governo, e
che anzi: Se la massima sicurezza per uno Stato consiste nellessere
dotato di un antidoto efficace contro questo veleno [le discordie
interne] il maggior pericolo proviene proprio dallassenza di una
legge agraria, e in questa sta tutta la verit dellesempio di Roma.
La conclusione che :A people planted upon an equal agrarian and
holding to it, if they part with their liberty, must do it upon good
will, and make but a bad title of their bounty.21
questo concetto di libert, legato allequilibrio proprietario,
che Harrington contrappone in un celebre passo allidea di libert
negativa presente in Hobbes. Allautore del Leviathan, che aveva

19
James H, e Commonwealth of Oceana, (1656), in e Political
Works of J. H., ed. by J.G.A. Pocock, C.U.P., Cambridge 1977, p. 164.
20
Ivi, pp. 180-181.
21
Ivi, pp. 235-236.
40 Libert e propriet: la politica dello spazio nellEuropa moderna

provocatoriamente affermato che la libert era la stessa a Costanti-


nopoli ed a Lucca, Harrington risponde non solo distinguendo fra
liberty from the laws e liberty by the laws come sottolineano tutti
i sostenitori del Harrington machiavelliano ma anche differen-
ziando lo statuto proprietario dei cittadini lucchesi da quelli turchi:
whereas the greatest bashaw is a tenant, as well of his head as of his
estate, at the will of his lord, the meanest Lucchese that hath land is
a freeholder of both, and not to be controlled but by the law.22
A me sembra che questo concetto di libert/propriet, legato
alla legge agraria e cio ad un assetto politico-sociale che garantisce
la sicurezza e la stabilit nella distribuzione della propriet, come
quello propugnato da Harrington, non sia propriamente n aristo-
telico, n neo-romano, n machiavelliano.
Le sue fonti si trovano, fra laltro, nella letteratura della
Respublica Hebraeorum, cio in un libero adattamento del modello
ideologico ispirato dalle leggi dellantico Israele. Di questa opinione
era del resto anche John Toland, quello stesso Toland che fu il primo
curatore sia delle opere di Harrington sia di quelle di Spinoza, e che
pubblic la biografia di Milton; quello stesso Toland che stabil una
linea di tradizione fra Sigonio, Cunaeus, Harrington e Spinoza.23
Ma il punto qui non quello di ricostruire la tradizione della
Respublica Hebraeorum, bens quello di rintracciare lorigine del nes-
so libert e propriet nella storia del pensiero politico europeo.
unidea moderna, si detto, un nesso che non c, in questa forma,
nel pensiero politico classico, soprattutto in quello romano. Guar-
dando allantichit alla ricerca di una legittimazione, i pensatori ai
quali dobbiamo la formulazione del moderno principio di libert e
propriet, trovarono nellantico Israele, rivisitato dalla loro cultura e
dalla loro forma mentis eclettica di tardi umanisti, la fonte cui attri-
buire non solo una presunta antichit, e quindi nobilt, ma anche
la sacralit di una nuova politica degli spazi.

22
Ivi, pp. 170-171.
23
J. H, Oceana, a cura e con introduzione di L. Campos Boralevi,
C.E.T., Firenze 2003.
Lea Campos Boralevi 41

*Professore di Storia delle dottrine politiche nella Facolt di Lettere


e Filosofia dellUniversit di Firenze, Lea Campos Boralevi (Ph. D. in
Scienze Politiche e Sociali, Istituto Universitario Europeo) ha studiato
Bentham, lutilitarismo classico ed il femminismo, in Bentham and
the Oppressed, W. de Gruyter, Berlin-New York 1984 con Prefazione
di M. Cranston, e in numerosi altri saggi, curando, insieme a E. Di
Rienzo, linedito Trait de la proprit e il carteggio con Bentham e
Dumont di Andr Morellet (CET, Firenze 1990). Ha poi diretto le
sue ricerche sul tema dellantico Israele come modello politico e sociale
nel pensiero repubblicano olandese ed europeo (Classical Foundational
Myths of Republicanism: e Jewish Commonwealth, in Republi-
canism, ed. by M. Van Gelderen e Q. Skinner, 2 voll., C.U.P., Cam-
bridge 2002), curando ledizione del De Republica Hebraeorum di
Petrus Cunaeus (CET, Firenze 1996), insieme a D. Quaglioni, e il
fascicolo speciale de Il pensiero politico (XXV, 2002, 3) dedicato alla
Politeia biblica
PIETRO COSTA*
Universit di Firenze

LA CIVITAS E IL SUO SPAZIO:


LA COSTRUZIONE SIMBOLICA DEL TERRITORIO
FRA MEDIO EVO ED ET MODERNA

Che la civitas, la comunit politica come tale, abbia bisogno


di spazio, occupi spazio, unaffermazione tanto evidente quanto
ovvia. Si tratta per di quelle evidenze ed ovviet che in realt na-
scondono fenomeni assai complessi, capaci di sfidare le procedure
conoscitive di molteplici saperi specialistici, dalla geografia politica
alla sociologia, dalla storia allantropologia, dallurbanistica al di-
ritto. Hanno a che fare con lo spazio della civitas, tanto per esem-
plificare, la storia politica di uno Stato impegnato in una strategia
di espansione territoriale, la storia economica del rapporto citt-
campagna oppure ancora lanalisi dei luoghi del potere, lo studio
dellespressione urbanistica della differenziazione politica e della
stratificazione sociale.
Lo spazio non per soltanto una grandezza fisica, misurabile,
non soltanto un luogo, una zona del mondo nella quale la comu-
nit politica concretamente esiste, ma anche una delle coordinate
attraverso le quali la comunit politica pensa se stessa, si rappresen-
ta, si esprime culturalmente. Proprio perch la comunit politica
non pu esistere se non in uno spazio determinato, essa tende conti-
nuamente a rappresentare se stessa attraverso lo spazio: nasce da qui
la radicata propensione del discorso politico-giuridico ad impiegare
metafore spaziali, ad impiegare lo spazio come una coordinata at-
traverso la quale dar conto della struttura, dellordine interno della
comunit politica.
Per la comunit politica dunque lo spazio rileva, insieme, come
realt, come quella porzione di mondo nella quale essa con-
cretamente insediata, e come simbolo o metafora, come schema

Bruna Consarelli (a cura di), La politica e gli spazi


ISBN 88-8453-156-X, 2003 Firenze University Press
44 La Civitas e il suo spazio

indispensabile per la propria autocomprensione. Lo spazio come


territorio e lo spazio come simbolo o metafora: sono due modi
diversi di intendere lo spazio della civitas e ciascuno di essi merita
unanalisi approfondita. Rispetto a queste due distinte aree di inda-
gine la domanda che vorrei pormi si colloca in una zona intermedia
o piuttosto in un loro punto di intersezione: vorrei tentare di capire
in che modo la comunit politica concepisce se stessa attraverso il
territorio, in che modo il territorio viene assunto come elemento di
rappresentazione della civitas. In questa prospettiva lo spazio non
immediatamente risolto in simbolo o metafora: ancora una
porzione del mondo fisico, un territorio. La domanda che allora
vorrei pormi pu essere formulata nei termini seguenti: che succede
quando una comunit politica trasforma una parte del mondo fisico
nel suo spazio? In che modo la rappresentazione dellordine politi-
co fa del territorio una sua componente essenziale e quali valenze
simboliche vengono attribuite al territorio in quanto assunto come
momento costitutivo della comunit?
Una domanda siffatta pu essere impostata per le pi diverse
culture e una risposta appagante pu provenire soltanto da analisi
ravvicinate di contesti determinati. un lusso che in questa sede
non posso concedermi. Tenter allora soltanto di prospettare alcuni
schemi o modelli riferibili (con inevitabili forzature e semplifica-
zioni) ad alcuni momenti chiave della storia politico-intellettuale
dellEuropa occidentale fra medioevo ed et moderna.
Vorrei subito esplicitare la mia ipotesi di partenza: lipotesi che
lelemento spaziale ha giocato, in diversi contesti storici, un ruolo
insostituibile nella rappresentazione dellordine politico proprio in
quanto la fisicit, la materialit del territorio, con i monti, i fiumi,
la terra, gli insediamenti, sono stati presi sul serio ma al contempo
hanno sviluppato anche un significato ulteriore, sono stati assunti
come simbolo, come sostegno visibile, dellidentit profonda della
comunit politica.
Assumo come primo banco di prova la citt medievale: una
forma politico-sociale di primaria importanza in Italia e in Europa
a partire dal XII secolo. La citt, come ricorda Isidoro di Siviglia,
Pietro Costa 45

innanzitutto fatta dai suoi cittadini, una civitas, ma anche fatta


dalla pietra delle sue case, chiese, palazzi: la citt anche urbs. La
citt insomma ripete ed esalta nellorganizzazione del suo spazio
limmagine (e la realt) dellordine nel quale essa si riconosce.
Della citt non mancano di parlare teologi e giuristi e della citt
parlano testi che con i loro caratteristici topoi e le loro clausole di
stile vengono a comporre un vero e proprio genere letterario me-
dievale: le Laudes urbis, gli scritti celebrativi delluna o dellaltra
citt, impegnati a parlarci delle bellezze non del vivere politico in
generale, ma di una precisa, concreta citt. Sono testi che esaltano
la ricchezza e la grandezza della citt e dei suoi palazzi, la possanza
delle mura e il numero delle porte, la campagna ridente e fertile che
la circonda. Opera sullo sfondo il raccordo con la citt archetipica,
Gerusalemme, e resta ben presente la distinzione isidoriana fra
civitas e urbs. Sono i cittadini a creare la citt; eppure non potrebbe
esservi la citt senza il palazzo, la chiesa, le abitazioni, le mura; e le
Laudes, nel momento in cui cantano le meraviglie dello spazio cit-
tadino (delluso che la citt ha fatto dello spazio), sono consapevoli
della doppia dimensione, realistica e simbolica, della loro strategia
narrativa.
a tutti familiare (grazie alliconografia non meno che ai testi
letterari) limmagine della citt medievale: una comunit politica
che ha originalmente ridisegnato e plasmato lo spazio con il suo
stesso esserci. una citt che, soprattutto in Italia, si vuole fondata
sul mythomoteur della coniuratio e si alimenta di una forte identifica-
zione dei cittadini con la respublica; ed nello stesso tempo una citt
segnata da precise differenze di status giuridici e politici e da una
rigida gerarchizzazione dei ruoli. questo originale microcosmo
politico-sociale che si crea il proprio spazio, determina i luoghi del
potere, costruisce le torri e i palazzi gentilizi, stringe intorno ad essi
le abitazioni plebee. La civitas traduce e rende visibile nelle pietre
dellurbs la propria stratificazione sociale e politica, ma al contempo
celebra nelle sue cattedrali e nei suoi edifici pubblici gli emblemi
della propria identit collettiva. La citt insomma ripete ed esalta
nellorganizzazione del suo spazio limmagine (e la realt) dellor-
46 La Civitas e il suo spazio

dine nel quale essa si riconosce: un ordine dominato dallidea della


verticalit, fondato sulla gerarchizzazione delle differenze e sulla loro
riconduzione ad un vertice, ad un potere eminente e indiscutibile.
La citt medievale organizza il proprio spazio intorno ad un ver-
tice e in ci essa semplicemente conferma la logica universalmente
condivisa dalla societ e dalla cultura dellepoca. Il vertice intorno al
quale si stringe la citt non per semplicemente un potere eminen-
te: (e soprattutto concepito come) il potere di una comunit, il
potere di un corpus, di una universitas, di ununit che vive dellap-
porto fattivo dei suoi membri: lo spazio cittadino non lo spazio del
signore; lo spazio di una collettivit differenziata e gerarchizzata e
tuttavia dominata dal senso di una comune identit e di una vocazio-
ne civica soggiacente alla pur violenta conflittualit che la pervade.
La citt, per essere rappresentata come civitas, non pu non es-
sere anche valorizzata come urbs: non pu non tradurre la propria
immagine di ordine in una coerente organizzazione dello spazio e
viceversa non pu usare lo spazio come un mero spazio, ma deve
riorganizzarlo, segnarlo, costellarlo di luoghi significativi, luoghi del
potere e insieme luoghi dellappartenenza ad uno spazio comune,
ad uno spazio collettivo.
La citt dunque si crea e si rappresenta in quanto segna uno
spazio, lo trasforma nel suo territorio, lo usa come uno degli specchi
nel quale riflettere la propria immagine. Proprio per questo la citt,
costruendo se stessa nello spazio e attraverso lo spazio, non pu non
introdurre, fra i segni che costellano il suo territorio, un segno che la
conclude e la costituisce definitivamente: un segno di delimitazio-
ne, un confine. Crearsi come spazio significa delimitarsi e conchiu-
dersi. E anche in questo caso la civitas si rispecchia coerentemente
nellurbs, della quale un tratto caratteristico la drammatizzazione
e lesibizione del confine: le mura che chiudono e difendono la citt
medievale. Le mura sono il complemento necessario della citt me-
dievale: sono, ancora una volta, materia e simbolo, struttura difensi-
va e segno visibile delle valenze essenziali dellordine cittadino.
Attraverso le mura la citt medievale rende tangibile un tratto
per cos dire archetipico della comunit politica: il suo costitutivo
Pietro Costa 47

particolarismo, la sua natura di gruppo-noi distinto, separato dai


gruppi altri. Il dentro e il fuori, linterno e lesterno: non un caso
che la dialettica noi-altri, caratteristica di ogni comunit politica,
si esprima abitualmente ricorrendo a metafore spaziali. La civitas si
costituisce organizzando uno spazio (organizzandosi come spazio) e
segnando un confine: ancora una volta, dare un confine alla citt,
chiudere lo spazio cittadino entro le mura, un gesto tangibile e
visibile, un intervento che incide sulla conformazione fisica dello
spazio (le mura, le torri, le pietre) ed insieme un evento simbolica-
mente rilevante e complesso.
Proprio perch lo spazio cittadino uno spazio concluso, esso
postula uno spazio esterno, definito per opposizione o negazione:
extra moenia. Le mura impediscono allesterno di condizionare
linterno: impediscono lintrusione di qualsiasi potere concorrente,
respingono le pretese delle giurisdizioni signorili, creano uno spazio
immune, libero. Laria della citt rende liberi: la citt sottrae i citta-
dini ai poteri esterni, li rende immuni perch membri di un corpo,
di una universitas dotata di iurisdictio, politicamente autonoma. Lo
spazio interno lo spazio della libertas, della immunitas, dellau-
tonomia: lo spazio segnato dai luoghi del potere cittadino, ma
anche uno spazio di condivisione e di comune appartenenza.
E poi lo spazio esterno. Come appare lo spazio esterno visto
dallalto delle mura cittadine? Una porzione dello spazio esterno (di
diversa, variabile e contesa estensione) legata alla citt pur essendo
differenziata da essa: il contado. Il contado un territorio domina-
to, utilizzato dalla citt, ma non assorbito in essa. un territorio che
si carica a sua volta di una valenza simbolica e contribuisce a definire
per opposizione il civis: citt e contado, civis e rusticus; ed lo spazio
urbano che evoca la civilitas, di contro alla condizione umanamente
incompiuta, selvaggia, degli abitanti del contado, condannati alla
rusticitas.
Esiste dunque un fuori della citt che, se per un verso si defini-
sce in opposizione alla citt stessa (civilitas/rusticitas), per un altro
verso assume la citt come il proprio centro di gravitazione. La citt
domina (affascina e spaventa al contempo) e comunque attrae:
48 La Civitas e il suo spazio

una forza centripeta, un centro che attrae un esterno differenziato


e sottomesso.
Esiste poi, per cos dire, lesterno dellesterno: oltre il piccolo
spazio del contado si apre per la civitas il grande spazio, occupato
dai vari centri di potere che compongono la complicata geografia
politica della societ medievale. Nemmeno il grande spazio in-
differente per la civitas e per la sua autocomprensione. Il civis tale
non soltanto in quanto diverso dal rusticus, ma anche in quanto op-
posto al non cittadino, allo straniero. Cittadino e straniero vengono
ad essere, nella rappresentazione della civitas, due facce della stessa
medaglia. E lo straniero, questa enigmatica e affascinante figura del
discorso della cittadinanza, incomprensibile senza tener conto del-
luso politico-simbolico dello spazio: opera nella rappresentazione
della civitas una logica opposizionale secondo la quale appartenenza
e non appartenenza, cittadino e straniero, spazio interno e spazio
esterno si sostengono a vicenda.
La citt si definisce, per un verso, chiudendosi nelle sue mura,
per un altro verso protendendosi oltre i suoi confini, guardando
agli spazi esterni, popolandoli di figure volta a volta promettenti o
minacciose: lo spazio esterno non una zona vuota e indifferente;
suggerisce immagini e stereotipi, genera attese e timori; lo spazio
del mercante, lo spazio della comunicazione e dello scambio, lo
spazio del mendicante, che pu mettere in questione, con i suoi
spostamenti, gli equilibri economici della citt, lo spazio del nemi-
co che minaccia la sopravvivenza o lautonomia della citt.
Del rapporto di complementarit che lega lo spazio interno e lo
spazio esterno le mura sono il segno visibile: la citt circondata,
definita, difesa da mura; ma le mura di cinta sono anche munite di
porte: la citt si difende e si definisce come realt esclusiva, ma al
contempo si apre allesterno, si offre come snodo di comunicazione.
Mura e porta esprimono tangibilmente la doppia valenza dello spa-
zio segnato dalla citt: lo spazio interno e lo spazio esterno, la chiu-
sura di uno spazio entro il quale dispiegare la propria particolaristica
esistenza e al contempo il fascino ambiguo di uno spazio altro volta
a volta attraente o minaccioso.
Pietro Costa 49

La civitas si definisce segnando lo spazio, differenziandolo, fis-


sando i confini: i confini separano lesterno dallinterno, separano
lo spazio interno, segnato dal potere cittadino e dallappartenenza,
da uno spazio esterno, che per non terra di nessuno, vuoto uni-
forme, ma intreccio di poteri e di soggetti in contatto o in contrasto
potenziale o attuale con la citt. Proprio per questo porre i confini
(rappresentarli, legittimarli) unoperazione in qualche modo inin-
terrotta: intorno ai confini che gravita il gioco complicato e vio-
lento della politica (della politica come guerre, alleanze, espansioni,
annessioni, conquiste); un gioco che, a dispetto della sua apparenza
rigidamente vnementielle, incide non poco sulla auto-comprensione
della comunit politica.
Pensare lordine politico significa dunque pensare i suoi confini;
ma i confini non sono segni indissolubili, bens tracce mobili, in-
certe, contese; e infatti quando si va oltre la statica rappresentazione
medievale dellordine politico, quando si guarda alla civitas con il
disincantato realismo di Machiavelli, il problema dellordine poli-
tico e della sua conservazione non appare pi separabile dal movi-
mento della civitas nello spazio, dalla sua espansione, dal continuo
spostamento dei suoi confini. Al Machiavelli dei Discorsi la possibi-
lit di conservare una respubblica nella statica tranquillit dei suoi
confini originari appare unipotesi improbabile: la natura umana
dominata da uninquietudine e da una libido dominandi che rende
sostanzialmente impossibile larresto ad uno stadio dello sviluppo;
proprio per questo la storia dei regni e delle citt un movimento
oscillatorio, dove allinevitabile espansione di un ordinamento se-
gue il suo altrettanto fatale collasso.
Il parametro spaziale ora essenziale per intendere non soltanto
la struttura della civitas, ma anche la sua conservazione e trasforma-
zione: durata ed espansione della respublica sono per Machiavelli
profili difficilmente separabili; il tempo della citt si misura con la
sua dilatazione nello spazio. Assunto per il movimento nello spazio
come uno dei parametri essenziali per la comprensione della citt,
appare presto evidente che lespansione della civitas, lungi dallessere
un fatto meramente quantitativo, incide sullidentit stessa dellor-
50 La Civitas e il suo spazio

dine politico. Ed ecco allora una domanda ricorrente: che cosa av-
viene di una respublica quando essa, spostando sempre avanti i suoi
confini, si trasforma da un piccolo Stato a un grande Stato?
un problema con il quale si misura insistentemente una lunga
tradizione, che dal Rinascimento raggiunge, attraverso molteplici
itinerari, Rousseau, proprio perch il piccolo Stato non soltanto
uno Stato piccolo, una respublica di limitata estensione territoriale,
ma (o si teme che sia) un tipo di ordine politico entro il quale il
momento, caratteristicamente repubblicano, della partecipazione e
dellimpegno civico rischia di diluirsi o di perdersi. Ancora una vol-
ta, lorganizzazione dello spazio un dato qualitativo e contribuisce
a valorizzare profili essenziali della comunit politica. a un piccolo
Stato che ad esempio Montesquieu riferisce il regime repubblicano,
perch solo nellinterazione faccia a faccia la virt civica pu a suo
avviso trovare un ambiente favorevole al suo sviluppo ed in questa
prospettiva che ancora Sismondi guarda con ammirazione e nostal-
gia alle repubbliche italiane.
In realt, lo stesso Montesquieu, nel momento in cui sottoli-
neava la rilevanza qualitativa dello spazio per la comunit politica,
faceva presente che il piccolo Stato (e il modello repubblicano con
esso compatibile) era ormai una realt politica relativamente margi-
nale. Non si sottovaluti questa osservazione montesquieuviana. Per
quanto dimessa nel tono, essa evoca con nonchalance quel formida-
bile fenomeno storico che noi siamo abituati a etichettare come le
origini dello Stato moderno.
Per indicare una direzione di senso di questo complicato e seco-
lare processo potremmo introdurre la formula seguente: dalla citt
allo Stato, o, se si preferisce, dalla piccola alla grande respublica.
Certo, nel processo di costituzione della sovranit moderna, nelle
grandi monarchie quali la Francia, la Spagna, lInghilterra (aree in
qualche modo emblematiche del processo di costruzione di una
sovranit moderna) le citt continuano ad essere rilevanti centri
di potere e forme primarie di aggregazione e di identit collettiva.
Cambia per il loro peso specifico in uno scenario entro il quale
si va gradualmente affermando (anche se con mille difficolt e
Pietro Costa 51

contraccolpi) il potere del sovrano: nel momento in cui il potere


sovrano si afferma come il centro di un assetto politico unitario,
esso colloca alla periferia qualsiasi altro assetto di potere. Centro
e periferia: ecco unimmagine spaziale cui spesso la storiografia fa
ricorso per descrivere la genesi della moderna sovranit. E in effetti
il declino dellautonomia politica delle citt e laffermarsi del potere
sovrano coincidono non soltanto con una nuova organizzazione del
territorio ma anche, e complementarmente, con una nuova rappre-
sentazione del rapporto fra lo spazio e lordine politico.
Certo, la citt continua ad avere il suo spazio; la citt ancora
il tramite di unidentit collettiva che si radica su un territorio e si
definisce attraverso di esso: lo spazio della citt non uno spazio
indifferente, ma , per un verso, un territorio segnato, unificato,
delimitato dal potere della comunit politica, mentre, per un altro
verso, un tramite, insieme reale e simbolico, di unidentit col-
lettiva e di unappartenenza. Con la costituzione del centro sovrano
per, entro un processo che (pensando ad esempio alla Francia)
potremmo collocare approssimativamente fra le guerre di religione
e lo scoppio della Rivoluzione, ci che viene a indebolirsi per lap-
punto ci che vorrei chiamare la simbolizzazione comunitaria del
territorio: quella simbolizzazione del territorio che era stata propria
della civitas medievale, capace di fare del proprio spazio un luogo,
insieme, di obbedienza e di appartenenza.
Entro un processo di crescente accentramento del potere si inde-
bolisce limmagine della communitas althusiana ed influente piut-
tosto la lezione di Bodin o di Hobbes, lidea che il fattore unificante
e portante dellordine la sovranit. il potere del centro che segna
il territorio, lo unifica, lo riconduce a s, lo chiude nei suoi confini;
il territorio segna i confini del potere sovrano e viceversa il potere
sovrano trasforma una porzione del mondo fisico in una grandezza
politico-giuridica. Il processo di simbolizzazione del territorio trova
nel potere sovrano e nella sua organizzazione burocratico-gerarchica
il suo tramite esclusivo. Di contro al territorio disordinato, policen-
trico della societ medievale prende lentamente forma il territorio
ordinato, tendenzialmente omogeneo, dello Stato moderno.
52 La Civitas e il suo spazio

Siamo di fronte ad un tratto importante della rappresentazione


moderna del nesso ordine politico-territorio: non a caso per tutta
la giuspubblicistica otto-novecentesca il territorio uno dei contras-
segni essenziali dello Stato. In questa prospettiva (che collega ideal-
mente larcaico Bodin con un qualsiasi giurista otto-novecentesco)
il territorio parte integrante dellordine politico in quanto segnato
dal potere, in quanto controllato, amministrato, plasmato dal sovra-
no: il territorio la sfera di azione della sovranit e la sovranit tale
in quanto la sua determinazione spaziale ne rende possibile leste-
riorizzazione e la realizzazione. Lo spazio la condizione di esisten-
za della sovranit e insieme (e proprio per questo) anche lunico
limite cui va incontro un potere di cui viene celebrato (da Hobbes
come dalla giuspubblicistica otto-novecentesca) il carattere assoluto
e illimitato: i limiti della sovranit coincidono con i suoi confini
territoriali (e da ci limportanza del diritto di fuga e di asilo).
Che ne in questo nuovo scenario di quella antica simboliz-
zazione del territorio, sensibile al registro dellappartenenza e del-
lidentit collettiva? Le citt non scompaiono come nevi al sole del-
lassolutismo regio (un assolutismo assai pi incoativo che effettivo)
e la simbolizzazione comunitaria del territorio continua ad agire in
periferia, facendo della citt e del suo spazio una piccola patria, se
non pi ormai un piccolo Stato. Il grande Stato invece, nel periodo
della sua formazione, fra Cinquecento e Settecento, di una simbo-
lizzazione comunitaria del territorio sembra poter fare a meno.
Certo, il grande Stato una nazione; ma nazione indica ancora
la societ dei ceti che si stringe e si ordina intorno al suo re: una
gerarchia di poteri, piuttosto che una comunit cui riferire, in tutta
la loro pregnanza, le antiche metafore corporatiste. La svolta a mio
avviso deve essere associata a quel processo politico-culturale che,
fra Sette e Ottocento, conduce a ridefinire originalmente il simbolo
nazione. attraverso la ri-definizione di nazione che il territorio
dello Stato moderno acquista quella valenza comunitaria e identita-
ria che fino a quel momento era stata debole, se non assente.
la nazione il nuovo, trascinante simbolo di identit collettiva.
Certo, il termine nazione solo ingannevolmente unitario. La
Pietro Costa 53

nazione di Sieys la nazione fondata sulla comune volont di sog-


getti giuridicamente eguali: una nazione che la grande maggioranza
dei filosofi e dei giuristi tedeschi (memori di Burke e di Herder)
respingono in nome della storia, dellanti-contrattualismo e dellanti-
volontarismo. Si sviluppano insomma nellOttocento diverse e in-
compatibili immagini di nazione, che per condividono almeno
unesigenza comune: lesigenza trovare un simbolo di appartenen-
za e di identit allaltezza di quel nuovo processo di potere che chia-
miamo Stato moderno e la risposta pi efficace sembra appunto
offerta dalla nazione (comunque intesa). E se vero che la tensione
volontaristica presente nellaccezione francese, rivoluzionaria, del
termine nazione (di cui restano ancora echi nella famosa definizio-
ne di Renan) incompatibile con lorientamento storicistico della
tradizione tedesca, anche vero che il concreto impiego retorico del
termine nazione, negli stessi anni della Rivoluzione, pur con tutto
lafflato universalistico che lo caratterizza, difficilmente sfugge alla
vocazione particolaristica cui la nazione sembra destinata.
La nazione non evoca lumanit, ma designa un gruppo deter-
minato di cui si sottolinea la comunanza di origine e (o) di destino.
La nazione un simbolo di unit, di inclusione e di appartenenza e
proprio per questo, almeno l dove essa si presenti come coestensiva
allo Stato, immette nel freddo processo del potere, nella logica pote-
stativa e gerarchica della pura sovranit, la calda corrente dellappar-
tenenza e della fusione identitaria. La logica dellappartenenza, che
nella policentrica societ medievale si esplicava nella cornice della
citt investendola dei simboli corporatisti, nellomogeneo scenario
degli Stati ottocenteschi si realizza attraverso il simbolo della nazio-
ne, che per eredita (traspone e ricrea) lafflato comunitario della
tradizione corporatista.
Ammettiamo dunque che il nuovo tramite di identit collettiva
sia la nazione; ammettiamo che la nazione riproponga, nello scena-
rio del grande Stato, quelle immagini di inclusione, di appartenen-
za, di identit, quegli obblighi di impegno e di oblazione che, nella
cornice del piccolo Stato, erano suggerite dalla citt, dalla citt come
universitas e come corpus, come comunit esigente e protettiva. Che
54 La Civitas e il suo spazio

ne della dimensione spaziale in questa complessa trasposizione di


simboli e di piani? Le diversit sono rilevanti. Quando era la citt
il principale esempio di comunit politica, la trascrizione spaziale
della sua intima struttura politico-sociale era immediata: la citt si
dava insieme come urbs e come civitas: era fatta al contempo delle
sue pietre e dei suoi cittadini, era luogo fisico e luogo dello spirito;
la citt con il suo stesso esserci rendeva visibili i luoghi del potere,
esibiva la sua valenza comunitaria e identitaria e il suo radicamento
in un luogo che di quellappartenenza e di quella identit era il con-
trassegno e il supporto.
A differenza della citt, la nazione una comunit immaginata.
Naturalmente anche la citt, nel momento in cui rappresentata,
costruita culturalmente, appunto immaginata. La nazione
per, a differenza della citt, non pu indicare, con il suo semplice
esserci, con la forza dellevidenza, le pietre e le terre in cui si ma-
terializza. Proprio per questo la nazione ha un bisogno ancora pi
perentorio di una dimensione spaziale: attraverso il territorio che
un simbolo tanto evocativo quanto impalpabile, tanto suggestivo
quanto difficile da definire nei suoi tratti costitutivi, entra nel do-
minio del visibile. I contrassegni della nazione si moltiplicano, nel-
la letteratura otto-novecentesca, e ciononostante appaiono spesso
insufficienti a stringere loggetto: la lingua, la storia, lethos, lorigi-
ne, il destino comune sono elementi volta a volta invocati per in-
dicare il substrato di unidentit collettiva, che ha per comunque
bisogno di un elemento ulteriore che la renda visibile e irrefutabile
e questo elemento non pu essere che il territorio. il territorio
che identifica un gruppo e lo distingue da un altro: non per un
territorio qualsiasi, una porzione indifferente del mondo, ma quel
territorio che la storia e il destino hanno intimamente associato ad
una comunit nazionale rendendolo parte integrante del suo esser-
ci. La nazione ancorata al suolo, legata ad un territorio che in-
timamente suo: il territorio naturale, come si dir nellOttocento,
quel territorio che, per un verso, rende visibile la nazione, e, per un
altro verso, la ricongiunge ad uno Stato che appunto su quel terri-
torio esercita il suo potere. Il territorio segnato dal potere sovrano
Pietro Costa 55

al contempo il sostegno vitale e il segno visibile della comunit


nazionale.
Non stiamo parlando di simboli rarefatti e politicamente innocui.
LOtto-Novecento europeo procede ad una epocale e sanguinosa revi-
sione dei propri equilibri politici alla luce di retoriche nazionalistiche
che attribuiscono una decisiva valenza identitaria ai territori contesi
(si pensi, come un esempio tra i tanti, alle terre irredente nellItalia
ante-guerra). Quanto pi forte la rivendicazione di identit, tanto
pi decisa la convinzione di un suo radicamento territoriale.
Radici e radicamento sono peraltro termini di una metafora
ancora oggi usata e come tale evocativa della valenza simbolica
del territorio: il territorio come veicolo di identit e strumento di
simbolizzazione di unappartenenza. Il rapporto fra nazioni nellOt-
tocento un rapporto fra appartenenze identitarie, virtualmente
incompatibili, anche se non necessariamente conflittuali (si pensi
ad esempio a Mazzini). Ciascuna di queste comunit di destino
inseparabile da un territorio che, lungi dal presentarsi come un con-
tenitore estrinseco o il luogo indifferente del loro esserci, appare un
tramite simbolicamente insostituibile della loro identit.
Nazione e territorio si implicano dunque a vicenda: la nazione
radicata su un territorio e il territorio sancisce definitivamente la
sua identit separandola da ogni altra nazione: i confini territoriali
non sono convenzionali steccati che un trattato pu spostare senza
conseguenze; i confini sono drammatizzati, irrigiditi, pregni del
significato identitario che investe il radicamento territoriale della
nazione.
Si ripropone dunque, anche per la nazione, la logica opposizio-
nale (e tipicamente spaziale) del dentro e del fuori, dellinterno e
dellesterno: lesterno della nazione ottocentesca non uno spazio
vuoto e informe, ma uno spazio pieno e articolato in territori che
non sono meri accidenti geografici, ma sono luoghi di identit, ter-
reni di incubazione e di sviluppo di entit collettive (nazioni, Stati)
precisamente individualizzati.
Per la nazione otto-novecentesca lo spazio esterno ad essa non
per soltanto uno spazio pieno ed abitato: esiste anche lo spa-
56 La Civitas e il suo spazio

zio vuoto e privo di qualsiasi contrassegno identitario. Lo spazio


pieno lo spazio delle nazioni europee e occidentali, con le quali
si immagina volta a volta un rapporto di mazziniana apertura e
collaborazione o di nazionalistica aggressivit e competizione. Lo
spazio vuoto lo spazio extraeuropeo. Che lo spazio extraeuropeo
sia, per cos dire, vuoto una tesi che molti giuristi e poi i cultori di
una vera e propria disciplina giuridica, il diritto coloniale, elaborano
accogliendo una tesi che affonda le radici nel giusnaturalismo sei-
settecentesco, in Locke e in Vattel.
Per Vattel ogni popolo ha il preciso diritto-dovere di mettere a
frutto le risorse naturali del territorio in cui vive. Se in et remote,
data la scarsit della popolazione, si poteva vivere soltanto di caccia
o di pesca, oggi inammissibile che alcuni popoli lascino incolte
le loro terre. Usurpatori di un terreno che non meritano, i popoli
oziosi non possono lagnarsi se altre nazioni pi attive e popolose
colonizzano il loro territorio, come gi avvenuto nellAmerica
settentrionale: quando i popoli nativi vengono meno ai loro doveri,
meritano di essere sterminati come bestie feroci e dannose.
Si delinea in Vattel il nucleo di una strategia che assumer una
ben diversa sistematicit e rilevanza nellet dellimperialismo otto-
novecentesco: un determinato rapporto con il territorio (fondato
sul nesso propriet-moltiplicazione dei beni-civilt) caratteristico
della modernit europea e occidentale diviene il contrassegno
di unumanit perfettamente realizzata e compiuta, di contro ai
barbari storicamente o razzialmente collocati ad un gradino in-
feriore dello sviluppo. Di fronte ad ogni singola nazione europea
non si aprono allora soltanto gli spazi pieni delloccidente popo-
lato dagli Stati-nazione: si aprono anche gli spazi vuoti, le terre di
nessuno, le terre doltremare; terre vuote non perch disabitate, ma
perch i popoli pi diversi che vivono in esse non hanno creato con
il loro territorio quel rapporto complesso (di sfruttamento econo-
mico, di dominio politico, di investimento emotivo) che loccidente
europeo identificava con la civilt e con la piena maturit umana.
Ancora una volta, la determinazione di unidentit collettiva
passa attraverso il rapporto, reale e simbolico, con il territorio. La
Pietro Costa 57

nazione otto-novecentesca disposta a riconoscere unaltra nazione


qualora scorga in essa un proprio simile, caratterizzato da unana-
loga strategia di sfruttamento e di simbolizzazione del territorio.
Per converso, la denegazione delle identit altre, il rifiuto di civilt
diverse e di diversi modi di simbolizzare il rapporto con il territorio,
induce a considerare inesistente o irrilevante il rapporto di quel po-
polo con quel territorio legittimando la messa a disposizione del
territorio stesso, trasformato in una terra nullius.
Il processo di costituzione e di rappresentazione di unidentit
collettiva si dunque accompagnato, nel lungo tratto della storia
europea cui mi sono riferito, ad una costante simbolizzazione del
territorio, assunto come parte integrante dellidentit collettiva. Sa-
rebbe interessante chiedersi ma in questa sede posso solo formula-
re la domanda senza nemmeno abbozzare una risposta se nei pi
recenti tentativi di superamento della tradizione statocentrica otto-
novecentesca, quindi innanzitutto nello scenario del nuovo ordine
europeo, il rapporto con il territorio continua ad essere un tratto
dellidentit collettiva; potremmo chiederci pi esplicitamente se
lesigenza di trovare (come stato detto) unanima per lEuropa
superando le strettoie di ununione prevalentemente giuridico-
burocratica implichi un qualche processo di simbolizzazione del ter-
ritorio (ed implichi quindi lesigenza di coniugare il problema dei
confini con la determinazione di una qualche identit collettiva); o
se invece la simbolizzazione del territorio sia un arcaico dispositivo
retorico cui una disincantata ingegneria costituzionale pu tran-
quillamente rinunciare.

*Professore di Storia del diritto medievale e moderno dellUniversit


di Firenze, Pietro Costa redattore della rivista Quaderni Fiorenti-
ni. Fra i suoi scritti: Iurisdictio. Semantica del potere politico nella
pubblicistica medievale, Giuffr, Milano 1969 (rist. 2002); Il pro-
getto giuridico, Giuffr, Milano 1974; Lo Stato immaginario, Giuf-
fr, Milano 1986; Civitas. Storia della cittadinanza in Europa, voll.
58 La Civitas e il suo spazio

1-4, Laterza, Roma-Bari 1999-2001. Ha curato, insieme a Danilo


Zolo, il volume Lo Stato di diritto. Storia, teoria, critica, Feltrinelli,
Milano 2002.
GIANFRANCO POGGI*
Universit di Trento

OF SPACE AND POLITICS

e phenomenon with which this paper is concerned is,


ultimately, the existence in the world of a (growing) plurality of
political entities which claim exclusive jurisdiction, each over a
different portion of the earth. Some of these claims are in contrast
with one another, and such contrasts sometimes dramatize the
significance of the phenomenon in question; but even aside from
this, we find deserving of some reflection the simple fact that, as we
repeat, the entities in question let us call them states affirm and if
necessary forcibly uphold their authority by reference to distinctive
parts of the earth (and of the adjoining bodies of water) let us call
them territories. In other terms, we are addressing the fact that the
boundaries of states constitute the most salient (though occasionally
contested) features of todays political map of the earth.
We stress todays to emphasize that this is by no means a
natural fact, but a distinctive historical condition, though by now
one of considerable duration. In due course we shall show that such
condition was already well established in Europe by the middle
of the seventeenth century, and outline the major events through
which it came to be extended to the world at large. We shall also
discuss some contemporary developments which, on some readings
of the matter, make that very conception of the earth, as partitioned
between exclusive political jurisdictions, somewhat less tenable at
the beginning of the 21st century than it had been for centuries
before.
e fact that it is possible to plot the historical parable
the usual rise and fall of the phenomenon with which we
are dealing, does not exclude the possibility of locating some
underlying, broader phenomenon, of which the former constitutes

Bruna Consarelli (a cura di), La politica e gli spazi


ISBN 88-8453-156-X, 2003 Firenze University Press
60 Of space and politics

a particular, time-and-space-bound variant. In particular, we may


look for more general connections between, on the one hand,
the business of politics, the workings of those institutions which,
between distinctive sections of a larger human aggregate, establish
and enforce relations of command and obedience, and on the
other hand the physical realities of space, place, location. What, if
anything, does politics have to do with space and thus, among other
things, with territory?
is phrasing of the question suggests a possible answer
which we are not interested in pursuing the answer to the effect
that homo sapiens shares with other animal species the property
of territoriality, understood as a biologically grounded, innate
tendency of the populations and/or the individuals making up the
species to attach themselves to given locations and to try to exclude
from them other populations or individuals. It is controversial
whether human beings are territorial in this sense; and even if they
are, human territoriality is patterned so differently in different
situations that one may understand it better not on biological but
on anthropological grounds, that is as a property of the species
unique to it, not (or not entirely, or not significantly) shared with
other species.
As already indicated, we would like to connect something we
might label, more generically, as the space-boundedness of human
collectivities with another property unique to the human species
with the fact that Man is, in Aristotles famous saying, zoon
politikon. is means that Man is a social animal of a particular
kind, not programmed by nature for a collective existence exclusively
grounded on the cycle of birth, copulation and death, but capable
of fashioning through rational discourse and collective deliberation
a variety of such existences, each embodying a distinctive design
for living.
We shall argue below that Mans species-distinctive capacity for
political experience (that is for designing and inhabiting such, let us
say, praeternatural collective forms) unavoidably involves him also
in the social construction and management of space, and that this
Gianfranco Poggi 61

involvement in turn affects and shapes deeply the content and form
of the political experience. How deeply it does so, can in turn be
suggested by various philosophical considerations, beginning with
the notion of space as one of the primary categories which direct
and constrain all operations of the human sensorial and intellectual
apparatus.
Leaving such considerations aside, let us just mention some
linguistic pointers to the fact that the human beings relationship
to space is extremely significant, material to its whole existence. In
several European languages, the etymology of many expressions one
uses routinely to characterize things, events, processes of particular
significance, has an unmistakable spatial reference. ink of the
German adjective gruendlich, whose root means ground, piece of
the earths surface; of the French adverb foncirement, whose root
is the Latin fundus, meaning again plot of land (fundamentally,
of course, shares that root); of the English expressions base, basis,
basic (with close equivalents in other languages) which refers back,
instead, to the Greek baino, a verb meaning to walk, march, step,
cover ground. is recurrence of spatial imagery in items of language
designating particularly relevant matters (and one could mention
many other items; consider the semantic freight of such expressions
as at bottom, central, or underlying) suggests we submit that
human beings quite generally perceive their relationship to space,
their spatial location, as laden with significance.
Such a sense of the relevance of the human beings relationship
to space (however construed), appears also from any however
cursory examination of the nature of political experience. e most
elementary (and most persistently if depressingly revealing)
understanding of that nature relates it to the purposeful, organized
use of physical force, of violence, as means of establishing
and managing interpersonal relations. But violence, in turn,
unavoidably involves an awareness of space. e significance of
violence, its unique persuasiveness one might say, lies in the fact
that ultimately it concerns (threatens, affects, destroys) the human
body; but corporeality is intrinsically a spatial matter, bodies
62 Of space and politics

existing and being perceived in the first place as contoured lumps


of living matter occupying space. Essentially, the body cannot be
addressed by the threat of, or and subjected to the infliction of,
constraint and suffering unless it is located within a space into
which reaches the Long Arm of the law, and where the jail keeper
or the executioner can work their frightful ways. (As Auden writes
in Muse des Beaux Arts, even the dreadful martyrdom must run its
course anyhow in a corner, some untidy spot). Not for anything,
ubiquitousness, the ability to operate at any given time over a large
number of locations is a much sought-after (and feared) quality of
law-enforcement agencies; and their vocabulary, both formal and
information, abounds with spatial imagery, such as apprehending
or running to ground.
A direct, physical implication of corporeality, the impenetrability
of bodies, has an immediate bearing on another intuitive aspect of
political experience, its having to do with the ordering of collective
existence. Since each individual exists as a body, and one body, one
space, at any given time a collectivity can in turn exist only as the
assemblage, the co-presence, however proximate or remote, of several
individuals, within a space several times larger than that occupied by
each of those individuals. Of course their sheer spatial juxtaposition
will not by itself qualify them as a collectivity without the existence
of a particular kind of communication process; but again this
process must take form across a jointly inhabited space, traversing
the gaps within it. Only by doing so frequently and regularly
communication can overcome, as it were, the tyranny of distance,
the dispersion, the physical apartness between the collectivitys
individual components characteristic of all collectively inhabited
spaces, although attenuated in densely settled urban ones.
But frequent and regular communication can only be sustained
(at any rate until the advent of electronic media) over a certain spatial
reach; for this reason as well as others, a collectivity can only define
itself as one collectivity, distinct from others, to the extent that the
space it occupies and over which communication takes place to the
extent required, is somehow delimited. is delimitation thanks
Gianfranco Poggi 63

to which space, by nature continuous, turns into a plurality of


juxtaposed locations can take different forms for different kinds of
collectivity. For a nomadic tribe, the delimitation will be, as it were,
a mobile one, following a sequence dictated by the seasons and by
demands and opportunities these present for the nomads way of
life (and that of their flocks). A settled collectivity, by definition,
will tend to delimit its space stably, but not necessarily as sharply
as is done by contemporary states; as we shall see, it may have
frontiers instead of boundaries. In order to deal with the demands
and opportunities of its own way of life, and the constraints placed
upon it by its given location, it may also try to enlarge its shared
space and encroach upon that of another collectivity.
is brings up another connection between space and politi-
cal experience; for the latter is generally seen as comprising those
collective activities protecting the collectivitys own space from
encroachment and/or encroaching in turn upon that of other col-
lectivities. Here, again, the centrality of violence to the political
experience rears its head, and once more its spatial components
become evident. e appropriate target of the violence in question
(in modern terms, military violence, as against that exercised by law
enforcement agencies) is the enemy. Now enmity, that is the quality
of being inimical, and thus of constituting (again) an appropriate
target for military violence, is a qualification, an intensification of
other-ness, of being or belonging to a collectivity perceived as in-
tensely and dangerously different from the collectivity one belongs
to. But other-ness, in turn, is typically seen as grounded on the
fact that a given collectivity belongs to and comes from another
place, and manifests itself most threateningly in that collectivity
encroaching, or laying claims, upon ones own space. Furthermore,
in both its strategic and its tactical dimensions, military activity
again has conspicuous spatial aspects, which resound throughout
its distinctive vocabulary terrain, supply lines, concentration of
forces, battlefield, front, strongpoint, occupation, commanding
heights, glacis but are perhaps best caught in the homeliest saying
of Yankee military lore, git thar fustest with the mostest men;
64 Of space and politics

git thar, the reference to place, is in a sense the critical point, of


the saying, requiring a more discriminating and consequence-laden
tactical judgment than the other two expressions do.
It may be objected that while, of course, like all other human
activities, political ones are implicated in space, it is time, instead,
which deserves the primary emphasis in construing the peculiar
mission of politics, constructing and guarding collectivities which
preserve their identity over long stretches of time, in spite of the
continuous attrition in their membership caused by death. But, as
Simmel argued long ago, it is largely (not exclusively) by anchoring
themselves in space, defining themselves with reference to place,
that human collectivities can perform this death-defying feat; they
preserve their identity in spite of the passage of time, largely because
successive generations hold space constant by inhabiting the same
part of the earth, and see themselves as belonging to it and it as
belonging to themselves.
Of course the search for permanence, continuity, which the root
itself of the modern expression state bespeaks has other aspects:
chiefly, institutional ones, such as enduring laws, rules of succession
in office. But again these tend to be treated as properties of a certain
portion of the earth; see the emphasis in the late Middle Ages on
the good old law and the insistence that the customs making it up
were at the same time an expression and a mainstay of a specific
pays, Land, terra, country, as Brunner points out. Only this entitled
and allowed those customs to endure through the vicissitudes of the
territories in question as they were conquered, bartered, divided,
sold, mortgaged by a succession of rulers often of foreign extraction.
Starting approximately in the same period, a plurality of distinct
territories, now including a number of townships and increas-
ingly encompassed within wider kingdoms, acquire some political
significance by means of an increasingly elaborate system of estate
representation, through which they assert and uphold, once more,
claims peculiar to those territories.
Increasingly, in the course of the modern period (which we
would date, following historical convention, from the fifteenth or
Gianfranco Poggi 65

the sixteenth century) the institutions concerning the exercise of rule


and the growing bodies of legislation come to be seen as expressly
contrived arrangements, fashioned to address specific and changing
conditions. But this does not disanchor them from the territory,
although their spatial reference tends now to be much wider and
encompassing, and although they superimpose themselves upon
(break) more locally-based bodies of rules.
In a sense, the new circumstances of modernity made the spatial
reference of political and juridical institutions even more critical.
As it became increasingly apparent that the authoritative ordering
of mundane affairs is a secular matter, settled by the decisions of
living and breathing individuals, rather than dictated by tradition
immemorial or inspired by the wisdom of God, it also became
necessary to control the resulting, giddy-making awareness of the
increasing contingency of affairs by emphasizing the often extensive,
but always limited spatial reach of those decisions. e orderings
they produce may vary, and indeed vary at will, as it seems; but
they should not vary all over the place; within increasingly large
portions of space, indeed, such orderings should be invariant. is
means, of course, that they may vary more sharply between such
portions; hence Pascals bitter remarks about modes of conduct
which may be criminal on one side of the Pyrenees but legitimate
on the other side. But the awareness of this spatial variance is spared
to most people, still locked into narrow localities; and in any case
it is less troubling than would be the awareness of their temporal
variance; for whereas time necessarily flows, place stays put. is
is the way we do this here sounds less willful, less arbitrary, less of
a threat to the common peoples need for security than this is the
way we do this now would sound. e former may even provide
some assurance against the latter; that which has an abode, as it
were, can abide.
ree final considerations argue the significance of space as the
framework of political activity indirectly, by emphasizing the spatial
aspects of social activities not themselves of a political nature, but
which in turn strongly condition and influence political activities.
66 Of space and politics

First, an elementary economic consideration: politicking consumes


resources. It can also acquire assets, and that indeed is often the
aim of political activities. But normally such activities cannot, in
and of themselves, manage such assets and make them yield regular
returns. As Marx remarked long ago, looting and robbing, essen-
tially political activities insofar as they involve organized violence,
can function at length as a mode of acquisition only as long as
somebody goes on producing something to be robbed and looted.
In any case, forms of political activity, seeking to differentiate
themselves from those typical of the pirate and the predator, must
control and exploit more regularly, less adventurously and danger-
ously, the producers activities. However, particularly in the case of
agriculture (and agriculture is the key form of production in the
societies where political power tends to become institutionalized),
productive activities are in turn strongly rooted in the locality as
Popitz states because mostly they will only produce a yield from
lengthily tended and worked assets. us by their nature, indirectly,
such activities tend to anchor in space also political ones. For many
centuries (by some account as by Arno Mayer well into the last
century) the prototypical European statesmen and politickers were
noble landowners, who owed their political status (among other
things) to their possession of rent-yielding estates. More generally,
each bounded portion of the earths territory (including the adjoin-
ing sections of the sea) constitutes also the site and the medium
of the economic activities of a population, the locus of economic
resources which can be exploited in a sustained and responsible
manner if that portion is closely and jealously guarded.
e second consideration is of a rather different kind, having
to do not with the economic wherewithal of politics, but with its
religious underpinnings. e collectivity in which sometimes the
political enterprise finds its own constituency is often grounded on
commonalities of belief and ritual; but these, in turn, have a strong
local reference, for instance when they concern chthonian divini-
ties, that is those dwelling underground, or the tribes ancestor spir-
its, which abide within the plots of the families making up the tribe.
Gianfranco Poggi 67

Over a century ago, Fustel de Coulanges developed a sophisticated,


and still partly tenable theory, to the effect that beliefs of the latter
kind underlay the constitution of the Greek polis and of similar
units within other Indo-European civilizations. Also in political
collectivities whose ruler disdains to consider the people other than
as an object of rule, he often claims an investiture from Gods who
are, once again, spatially rooted the Gods of the local temple.
Within this story that of a states system originating in early
modern Europe, and subsequently extended to cover the rest of the
world the dominant religious beliefs asserted the universal mastery
and providence of the Christian God, who dwelled in His Heaven
and in the individual soul of the believer. To this extent, basic reli-
gious orientations were untied from any specific spatial location and
could no longer directly anchor to it the power forms they legiti-
mized. However, the Church itself, even where it attributed to itself
a universal mission (as in the case of the Roman church) was or-
ganizationally articulated into separate, space-bound jurisdictions,
on which fell, among others, the task of the religious legitimation
(and the moral monitoring) of temporal rulers. As late as the Peace
of Augsburg (1555), less than a century before our story begins, an
agreement had been reached, in the presence of Europes irrevoca-
ble religious division, to make the religious allegiance of each ruler
and that of the population of his/her territory coincide; and this
(failed, as it happens) attempt to closely overlap the religious with
the political map of Europe may be considered a belated echo of an
earlier situation in which, as we have suggested, religious beliefs and
practices helped to reinforce the space-boundedness of the political
enterprise. Even as this, in the course of the modern era, becomes
secularized, it continues to seek to evoke feelings of a semi-religious
kind by the manipulation of appropriate symbols, whose referents
often are (once more) spatial from the Mother/Fatherland as a
whole to the blood-sodden ground at Gettysburg Lincoln is seeking
to hallow. (Incidentally, much of the symbology of politics plays
upon imagery of space; think of the pervasive metaphor of high ver-
sus low, visually embodied in the positioning of the throne or in the
68 Of space and politics

pyramid, and echoed in innumerable verbal expressions).


A final consideration views the political enterprise itself as just
one dimension of a broader human venture, the development of
civil society an expression which in its early acceptation refers
not to something complementary to the state, but to a human
collectivity which has transcended savagery by (among other
things) ordering itself politically. Again this process has a significant
spatial aspect, best characterized in Rousseaus suggestion that
civil society dates from the first time a man fenced some ground
and proclaimed it his own. (ere is, incidentally, an intriguing
etymological connection between fencing in both meanings of
the term: erecting a boundary around a precinct as well as engaging
in sword-play and defense: de-fendere, in Latin, means to hold at
bay, hold back. In one of his poems Horace says that all he demands
of his untidy cloak is that it should frigus defendere, hold back the
cold). e marking of political boundaries can be considered as
a macroscopic expression of the same phenomenon; it amounts,
essentially, to a form of appropriation, a way of excluding a portion
of space from traffic taking place (note the expression!) at the
discretion of Others. It can also be considered as a way of securing
the microscopic expression of the phenomenon, the emergence of
a plurality of privately controlled possessions (North & omas).
In either case, politics appears as both coaeval with the construction
of civilized existence and as (by the same token) inextricably
implicated with the bounding and the guarding of space.
In spite of all these reasons for recognizing, and indeed empha-
sizing, the spatial dimension of the political enterprise, it becomes
important not to exaggerate or misunderstand its significance. e
central aspect of that enterprise, after all, remains rule, that is the
formation and maintenance of asymmetrical relationships of power
between groups of people, allowing members of one group to direct
and constrain some of the activities of the other by sanctioning coer-
cively the actions and omissions of its components. Politics is, so to
speak, people-to-people, not people-to-space.
However, as we have seen space comes into it, on a number of
Gianfranco Poggi 69

counts. Generically, because people at both ends of the relationship


of rule live in space. More specifically, for some of the reasons ex-
amined above: for instance, because only control over space allows
the sanctioning power to attain the corporeality of its subjects; or
because those subjects are such by virtue of their belonging to a spa-
tially bounded community; or because the holders and the subjects
of such power see themselves as constituting together a similarly
space-bound collectivity, in which case an elementary spatial char-
acterization of people (as belonging inside or outside a given space)
serves also to define them as respectively We or Other.
us, while not being itself, as it were, a party to the relationship
of rule, space constitutes a framework of it; a framework so signifi-
cant, indeed, that it can serve as a proxy for those people who are
indeed a party to that relationship. On this account, for instance,
after a phase in the Dark Ages of European law when, within a giv-
en area, different bodies of law applied to people by virtue of their
different ethnic membership, the principle of the territoriality of
law slowly asserted itself as functionally superior, for it disposed of
the tricky question, which body of law applied to which individuals
among those who shared the same space.
is alternative (who rules where as against who rules whom)
persists: as late as 1830 Louis Philippe, made a point a calling
himself not, like his predecessors, King of France but King of the
French. Indeed, as late as today, the French and the German laws
determining who can claim citizenship of the respective state differ
drastically, the former implementing jus soli (in principle it is birth
and/or residence within the French territory which confers citizen-
ship), the latter jus sanguinis (in principle German citizenship is re-
served to people of German descent). At any rate, as pointed out by
Brubaker, in some of its variants, nationalism can be seen as an at-
tempt to transcend that alternative by bringing about a coincidence
between a plurality of people as constituents and addressees of a
given states authority, on the one hand, and a definite portion of
the earth over which that state rules, on the other. In any case, as we
suggested at the beginning, one can visualize the modern political
70 Of space and politics

environment, in the first instance, as a plurality of centers of rule,


each claiming exclusive jurisdiction over a distinctive territory.

*Professore di Sociologia presso lUniversit di Trento, Gianfranco


Poggi autore di numerose pubblicazioni fra cui si ricordano: Imma-
gini della societ, Il Mulino, Bologna 1973; unantologia di scritti
sociologici di Marx, Il Mulino, Bologna 1977; La vicenda dello Stato
moderno, Il Mulino, Bologna 1978, Calvinismo e spirito del capita-
lismo, Il Mulino, Bologna 1984; Denaro e modernit. La Filosofia
del denaro di George Simmel, Il Mulino, Bologna 1998.
DISCUSSIONE
LUCA SCUCCIMARRA
Universit di Macerata

LO SPAZIO DEL PENSARE

1. Dove siamo quando pensiamo? Con questo interrogativo


radicale si apre e si chiude la prima parte de La vita della mente, il
testamento filosofico di Hannah Arendt.1 Per la Arendt pensare
nellaccezione pi profonda del termine, quella della riflessione
significa, infatti, sempre porsi fuori dallordine che d forma alla
nostra esistenza quotidiana, allontanarsi da ci che presente e
vicino per rivolgere la propria attenzione a cose assenti.2 E dal
momento che il senso della nostra esistenza costruito prevalente-
mente attraverso un ordinato rapporto con lo spazio, ci non pu
non implicare anche un radicale processo di delocalizzazione, la
drastica presa di distanza da quegli ordinamenti spaziali in cui trova
accoglienza e organizzazione il continuum delle nostre vite.3
Nella storia della filosofia occidentale non mancano testimo-
nianze di unanaloga concezione del pensare come linea di fuga dal-
lordine quotidiano dello spazio. A ben vedere, proprio su questo
presupposto che il pensiero classico costruisce quella figura dello
straniamento del teoreta destinata a riproporsi infinite volte nel
corso dei secoli. La stessa Arendt ricorda la definizione aristotelica
del bios theoretikos come bios xenikos, commentando: movendosi
tra gli universali, tra essenze invisibili, lio che pensa , a rigore, in
nessun luogo; in un senso forte un senza patria.4 In una ipotetica

1
Hannah A, e Life of Mind, Harcourt Brace Jovanovich, New York-London 1978
(trad. it. a cura di A. Dal Lago, La vita della mente, Il Mulino, Bologna 1987, sulla questione
p. 88 e pp. 291-312).
2
Ivi, p. 293. Ma si veda anche p. 291: Pensare sempre fuori dellordine, interrompe tutte
le attivit ordinarie e ne interrotto.
3
Ivi, pp. 293 ss. Ma sullo spazio come dimensione antropologica cfr. Gianfranco P, Of
space and politics, in questo stesso volume.
4
Ivi, p. 292. Cfr. A, Politica 1324a 16 (trad. it. Laterza, Roma-Bari 1993, p.
224).

Bruna Consarelli (a cura di), La politica e gli spazi


ISBN 88-8453-156-X, 2003 Firenze University Press
74 Lo spazio del pensare

ricerca genealogica potremmo per andare ancora pi indietro nel


tempo: che cos, infatti, la caduta dellastronomo narrata da Esopo
se non una prima beffarda messa in scena della radicale divaricazio-
ne esistente tra lo spazio del pensiero e quello della vita? Non un
caso, da questo punto di vista, che nel Teeteto il Socrate platonico ri-
ferisca esplicitamente lanonimo aneddoto al protofilosofo Talete di
Mileto, traendone una morale egualmente valida per tutti coloro
che fanno professione di filosofia.5 Qui, per, al centro del discorso
gi il controverso rapporto che lega il filosofo a quellordine poli-
tico dello spazio che trova espressione, al tempo stesso materiale e
simbolica, nella polis e nelle sue istituzioni. I veri filosofi scrive,
infatti, Platone fin da giovanetti, non conoscono la via che mena
al foro; non sanno dov il tribunale, dov il consiglio, o altro luogo
di adunanze pubbliche della citt; leggi e decreti, recitati o scritti,
non leggono n ascoltano. Brighe di consorterie per acquistare ca-
riche pubbliche e convegni a banchetti e festini in compagnia di
auletridi, sono tutte cose che nemmeno in sogno vien loro in mente
di fare.6
Sono ben noti gli esiti paradossali a cui questa dimensione di
estraneit allo spazio della vita conduce in alcuni dialoghi plato-
nici. Nel Fedro, ad esempio, una semplice passeggiata fuori delle
mura della citt si trasforma per Socrate in una sorta di percorso ad
ostacoli che egli affronta con tutto lo smarrimento di un forestiero
bisognoso di una guida che ne indirizzi i passi.7 Quello stesso smar-

5
P, Teeteto, 174ab (trad. it. in Opere complete, Vol. II, Laterza, Bari 1971, p. 132):
Socrate riferisce qui quello che si racconta anche di Talete, che mentre stava mirando le
stelle e aveva gli occhi rivolti in alto, cadde in un pozzo; e allora una sua servetta, spiritosa
e graziosa, lo motteggi dicendogli che le cose del cielo si dava gran pena di conoscerle, ma
quelle che aveva davanti e tra i piedi non le vedeva affatto. Questo motto si pu ben applicare
egualmente a tutti coloro che fanno professione di filosofia. Sulla storia di questo tema fi-
losofico nel corso dei secoli si veda Hans B, Der Sturz des Protophilosophen (trad.
it. La caduta del protofilosofo o la comicit della teoria pura (Storia di una ricezione), Pratiche,
Parma 1983).
6
P, Teeteto, 173d-174a, (trad. it. cit., p. 132).
7
P, Fedro, 230d (trad. it. in Dialoghi filosofici, cit., Vol. II, p. 158): S
[] Insomma sei stato una splendida guida per un forestiero, caro Fedro. F
Ma sei tu, uomo straordinario, ad apparire il pi sorprendente, perch, come dici
tu, assomigli proprio ad un forestiero guidato e non a uno del posto: non ti allon-
Luca Scuccimarra 75

rimento che egli manifesta e con tonalit ben pi drammatiche


nel momento in cui, nellApologia, costretto a confrontarsi, da im-
putato, con la labirintica complessit dello spazio istituzionale della
polis. Qui, non a caso, il senso di straniamento rispetto a ci che lo
circonda torna ad essere espresso con la pi potente delle metafore
dellalterit, quella linguistica: Oggi la prima volta che vengo in
tribunale, pur avendo settantanni; sono quindi per niente pratico
del linguaggio di questo luogo. Se fossi realmente uno straniero, voi
mi compatireste se vi parlassi nella lingua e nel modo nel quale fossi
stato allevato; cos ora vi prego, e mi pare giusto, di non badare al
modo del mio parlare potrebbe essere peggiore, forse, o migliore
ma di esaminare e fare attenzione soltanto a questo, se dico cose
giuste o no. Questa la virt del giudice; quella del retore, invece,
dire la verit.8
Bisogna per evitare di declinare questa rappresentazione classi-
ca dello straniamento del teoreta nelle sole categorie difettive della
alienazione e dello sradicamento. A ben vedere, infatti, per i padri
della filosofia occidentale lestraneit del filosofo allordine spaziale
della polis sempre espressione della sua trascendenza rispetto al
ristretto orizzonte del qui ed ora. Da questo punto di vista, quello
che abita il filosofo non semplicemente un non luogo, la mera
proiezione negativa dei luoghi che danno forma alla nostra esistenza
quotidiana. Al contrario, ci di cui dispone un vero e proprio spa-
zio alternativo lo spazio del pensare la cui vertiginosa vastit pu
essere espressa a parole solo attraverso il ricorso ad una similitudine
cosmica: come puntualizza, infatti, Platone, il corpo del filosofo
si trova nelle citt e ivi dimora, ma non la sua anima la quale
tutte codeste reputandole cose da poco e anzi da nulla, e avendole
in dispregio grande, trasvola, come dice Pindaro, da ogni parte, e
ora scende gi nel profondo della terra, ora ne misura la superficie,

tani mai dalla citt n per soggiornare oltre-confine e neppur per uscir fuori dalle
mura, mi pare. S Compatiscimi, ottimo amico. Io amo imparare e i campi
e gli alberi non vogliono insegnarmi nulla, come fanno invece gli uomini nella citt.
8
P, Apologia di Socrate, 17d-18a (trad. it. in Dialoghi filosofici, cit., vol. I, p.
52). Ma la metafora linguistica compare gi in Teeteto, 172d e ss. (trad. it. cit., p. 130).
76 Lo spazio del pensare

ora sale su nel cielo a mirare le stesse, e tutta quanta investiga in


ogni punto la natura degli esseri, ciascuno nella sua universalit,
senza mai abbassare se stessa a niente in particolare di ci che le
vicino.9
Considerato dal punto di vista delluniversale, non c spazio
politico dunque che non rischi di apparire limitato e ridicolmente
oppressivo. E di fronte a coloro che sono stati allevati nello studio
della filosofia e in simili occupazioni, quelli che fino da giovinetti
vanno attorno per tribunali e per luoghi simili sembra quasi abbia-
no avuto un addestramento da schiavi rispetto a quello di uomini li-
beri.10 per questo motivo che, secondo Aristotele, i filosofi amano
lo spazio del pensare come se fosse il loro paese nato e se desiderano
tralasciare ogni attivit in nome della filosofia appunto in ragione
delleccezionale indipendenza che essa garantisce anche alla loro vita
terrena: per la sua pratica, il bios theoretikos non ha bisogno infatti
n di strumenti n di luoghi, ma in qualunque luogo del mondo
uno applichi la sua riflessione, ovunque a contatto con la presenza
della verit, perch la filosofia non si occupa di particolari, ma solo
di universali, di cose valide ovunque.11

2. Sarebbe interessante indagare come lo spazio del pensare


immaginato dalla filosofia classica in alternativa allo spazio ma-
teriale e simbolico della polis abbia contribuito alla genesi di una
diversa concezione dello spazio politico quella, universalistica, del
cosmopolitismo destinata a influenzare profondamente i successi-
vi sviluppi della storia occidentale. E sarebbe altrettanto interessante
analizzare in una prospettiva specificamente topologica le diverse
versioni della trascendenza del teoreta che nel corso dei secoli si
sono susseguite a scandire in senso epocale le modalit di autorap-
presentazione della riflessione filosofica. Tutto ci eccede per le li-
mitate finalit di questo contributo. Mi limiter perci a richiamare

9
P, Teeteto, 173d-174a, (trad. it. cit., p. 132).
10
Ivi, 172e (trad. it. cit., p. 130).
11
A, Protreptikos, B56 (trad. it. Propreptico, in Opere, Vol. XI, Roma-Bari 1993, 5,
p. 142). Ma sul punto si veda H. A, La vita della mente, cit., p. 294.
Luca Scuccimarra 77

lattenzione su un ulteriore aspetto problematico che lindagine


sullo spazio del pensare propone alla nostra riflessione, vale a dire
il sotterraneo nodo costitutivo che, a dispetto di qualsiasi opzione
autorappresentativa, lega la dimensione del pensiero allordine spa-
ziale che governa il mondo della vita. Ci a cui alludo qualcosa
di diverso rispetto a quel fenomeno di spazializzazione del tempo
nel quale Hannah Arendt identifica, in chiave esistenzialistica, un
decisivo nucleo di articolazione della vita della mente.12 Si tratta,
piuttosto, di quellimplicito orientamento allo spazio che, in modo
pi o meno consapevole, presente alla base dellintelaiatura cate-
goriale attraverso la quale, di volta in volta, noi pensiamo noi stessi
e il nostro posto nel mondo.
Anche in questo caso, lesperienza speculativa del mondo
classico a fornirci alcuni interessanti spunti di riflessione. Alcuni
decenni di raffinata indagine storiografica ci hanno reso, infatti,
sufficientemente edotti dellintenso rapporto di reciproco stimolo
intellettuale che nella Grecia antica si d tra esperienza politica e
riflessione (in senso lato) filosofica, e del ruolo di assoluta centralit
assunto in esso dalla concezione dello spazio: cos, se vero che la
simbologia che si afferma con lo spazio assoluto dellAntichit
rinvia a dimensioni religiose universali, se vero che la citt
in questo periodo spesso una imago mundi e sembra capace di
rappresentare lintera realt del cosmo,13 vero anche che nella
nuova rappresentazione dello spazio espressa, a livello materiale e
simbolico, dal sistema della polis che molti interpreti hanno identi-
ficato la reale base di articolazione della rivoluzione intellettuale

12
Cfr. H. A, La vita della mente, cit., p. 300: Che si possa plasmare la corrente perenne
del puro mutamento in un continuum temporale non si deve al tempo stesso, ma alla conti-
nuit delle nostre occupazioni e delle nostre attivit nel mondo, l dove continuiamo ci che
si avviato ieri e che si spera di finire domani. In altre parole, il continuum temporale dipende
dalla continuit della nostra vita di tutti i giorni, e gli affari della vita quotidiana, in contrasto
con lattivit dellio che pensa sempre indipendente dalle circostanze spaziali in cui calata
sono sempre determinati e condizionati spazialmente. Si deve a questa irriducibile dimen-
sione spaziale della vita ordinaria se possibile parlare del tempo secondo categorie spaziali,
se il passato pu apparirci come qualcosa che giace dietro di noi e il futuro come davanti a
noi. Ma sul nesso spazio-tempo si veda anche G. P, Of space and politics, cit.
13
Vittore C, Lattenzione agli spazi, in questo stesso volume.
78 Lo spazio del pensare

che si verifica nel pensiero greco a partire dal VI secolo a.C.14 Nelle
ricostruzioni di Vernant per limitarsi ad un solo, autorevole,
esempio lordine politico dello spazio si propone, cos, come
la vera infrastruttura cognitiva di una riflessione filosofica che si
accinge ad esplorare strade mai battute prima: la nozione stessa di
kosmos, che a partire da Empedocle i Greci utilizzano per indicare
lordine delluniverso, tradisce gi nelle sue origini etimologiche la
dipendenza dal vocabolario della politica.15 Ma al di l di questo,
una intera architettura di categorie e modalit interpretative che
sembra trovare la sua base quasi-trascendentale di fondazione in
un certo modo di dare senso al mondo attraverso la rappresentazio-
ne politica dello spazio.
Considerato nelle sue concrete modalit di articolazione episte-
mica, lattivit del pensare rivela dunque inaspettati punti di con-
tatto con quellordine spazializzato dellesperire che forma la base
indiscussa della nostra esistenza quotidiana. Da questo punto di
vista, pensare non significa mai completamente essere fuori dellor-
dine, giacch se vero che interrompe tutte le attivit ordinarie, lo
stesso non pu dirsi della sottile trama di categorizzazioni che quo-
tidianamente utilizziamo per dare forma e senso allaccadere.
Il rapporto tra lo spazio del pensare e lo spazio della vita dunque
molto pi ricco e complesso di quanto qualsiasi rappresentazione
unilineare della filosofia pu farci credere: non implica una coinci-
denza assoluta, giacch proprio dagli scarti tra le due dimensioni
che spesso si sviluppa il miracolo della innovazione storica; ma non
implica nemmeno una assoluta divaricazione, giacch negli inter-
stizi del pensiero spesso si nascondono sorprendenti agganci con
le espressioni pi radicali del nostro modo ordinario di vivere il
rapporto con lo spazio.16
Giunti a questo punto del discorso, linteresse archeologico ha

14
Cfr. Jean-Pierre V, Mythe et pense chez les Grecs. tudes de psychologie historique,
Maspero, Paris 1971 (trad. it. Mito e pensiero presso i Greci. Studi di psicologia storica, Einaudi,
Torino 2001, in particolare pp. 203-269).
15
George T, Eschilo e Atene, Einaudi, Torino 1949, p. 130; Antonio C, La
Repubblica cosmica, Edizioni dellAteneo, Roma 1982, pp. 111-113.
16
Cfr. V. C, Lattenzione agli spazi, cit.
Luca Scuccimarra 79

per gi lasciato spazio a problematiche di ben pi pressante attua-


lit. Come credo sia evidente, qui ci troviamo di fronte, infatti, alla
grande sfida di una riflessione gnoseocritica sul rapporto tra spazio
e politica. Come quello classico, anche il discorso filosofico della
modernit pu essere considerato lespressione di una grande tra-
sformazione nelle modalit di organizzazione politica dello spazio.
Dietro il suo vocabolario, dietro le sue articolazioni categoriali, die-
tro le sue stesse modalit di apprensione del reale si pone infatti il
nuovo rapporto con lo spazio che innerva lorizzonte del moderno
Stato (sovrano); quella metafisica della territorialit che per molti
versi rappresenta il punto di massima espansione di una tendenza
consustanziale alla storia stessa dellOccidente: la propensione ad
intendere la propria terra come la priori del senso della propria
vita o della propria identit.17 Nel suo intervento, Pietro Costa ha
offerto una stimolante ricostruzione degli esiti radicali cui questa
dinamica conduce nella giuspubblicistica otto-novecentesca, do-
minata dalla mitologia della nazione.18 Non c bisogno per di
giungere alle pi estreme propaggini del discorso filosofico della
modernit per trovare compiutamente dispiegata quella logica
del container che identifica nel territorio la fondamentale base
qualitativa di articolazione dellidentit individuale e collettiva. Al
contrario, tracce evidenti di questo modo di pensare compaiono
gi nei grandi esponenti del giusnaturalismo razionale sei-settecen-
tesco: nessuno di essi neppure Kant pu permettersi infatti di
affrontare la questione dei fondamenti territoriali della comunit

17
Peter S, Die letzte Kugel. Zu einer philosophischen Geschichte der terrestrischen
Globalisierung, in I., Sphren II. Globen, Suhrkamp, Frankfurt a. Main 2001 (trad. it. Lulti-
ma sfera. Breve storia filosofica della globalizzazione, Carocci, Roma 2002, p. 171).
18
Pietro C, La civitas e il suo spazio: la costruzione simbolica del territorio fra medio evo ed
et moderna, in questo stesso volume: il territorio che identifica un gruppo e lo distingue
da un altro: non per un territorio qualsiasi, una porzione indifferente del mondo, ma quel
territorio che la storia e il destino hanno intimamente associato ad una comunit nazionale
rendendolo parte integrante del suo esserci. La nazione ancorata al suolo, legata ad un
territorio che intimamente suo: il territorio naturale, come si dir nellOttocento, quel ter-
ritorio che, per un verso, rende visibile la nazione, e, per un altro, la ricongiunge ad uno Stato
che appunto su quel territorio esercita il suo potere. Il territorio segnato dal potere sovrano
al contempo il sostegno vitale e il segno visibile della comunit nazionale.
80 Lo spazio del pensare

politica con la stessa ardita leggerezza dimostrata da Aristotele nel


terzo libro della Politica.19
Come ha scritto Peter Sloterdijk, lintima problematicit di
questo approccio emersa con sempre maggiore evidenza da quan-
do unondata potentissima di mobilit transnazionale ha fatto s
che in molti luoghi popoli e territori relativizzassero il legame che
intercorre tra di loro.20 Ci ha consentito di tematizzare come ter-
ritorial fallacy ogni tendenza ad identificare nello spazio la chiave di
volta della organizzazione mentale dellesperienza. Resta per il fatto
che anche nellorizzonte della modernit riflessiva,21 questa fallacia
territorialistica si conferma una delle eredit pi influenti dellet
sedentaria del mondo, presente non solo nelle scelte strategiche di
tipo pratico-politico dove diviene il punto di aggancio istintivo
di ogni utilizzo (in apparenza) legittimo della forza fisica ma nel
modo stesso in cui tentiamo di riflettere sulla nostra esperienza nel
mondo. Da questo punto di vista, il paradigma del container, pro-
dotto dalla dinamica del moderno Stato sovrano, continua a domi-
nare non solo le dinamiche di una sfera pubblica strumentalmente
manipolata, ma anche i pi sofisticati e pretenziosi percorsi delle
scienze storico-sociali: come gli esponenti della sociologia classica
noi continuiamo infatti a pensare il legame sociale su base eminen-
temente territoriale, contribuendo ad un circuito di autorappresen-
tazione fondato ancora sul dominio statale dello spazio.22
Come stato sottolineato, la vera sfida cognitiva dellera globale
consiste dunque nel trasformare la crisi delle identit regionali
della modernit nelloccasione per un confronto a tutto campo con

19
Il riferimento naturalmente ad A, Politica, III, 3, 1276a-b (trad. it. cit., pp.
75-76).
20
P. S, Lultima sfera, cit., p. 171.
21
Sul concetto di modernit riflessiva si veda Ulrich B, Riskante Freiheiten, Suhrkamp,
Frankfurt a. Main 1994 (trad. it. parziale I rischi della libert. Lindividuo nellepoca della
globalizzazione, Il Mulino, Bologna 2000, p. 178): Chiamo modernizzazione riflessiva lo
stadio in cui la modernizzazione si trasforma mediante una rielaborazione del quadro di rife-
rimento e delle categorie dellordine sociale della stessa societ industriale moderna.
22
U. B, Was ist Globalisierung? Irrtmer des Globalismus Antworten auf Globaliesierung,
Suhrkamp, Frankfurt a. Main 1997 (trad. it. Che cos la globalizzazione. Rischi e prospettive
della societ planetaria, Carocci, Roma 1999, pp. 41 e ss.).
Luca Scuccimarra 81

i fondamenti quasi-trascendentali della nostra esperienza politica.23


Nella loro variet di impostazione e riferimenti, i saggi presenti
allinterno di questo volume rappresentano altrettanti contributi
allo sforzo di chiarificazione collettiva a cui siamo chiamati. E da
questo punto di vista, una riflessione approfondita sullordine po-
litico dello spazio pu costituire un importante presupposto per la
costruzione di un nuovo e finalmente demetafisicizzato spazio
del pensiero.

23
P. S, Lultima sfera, cit., p. 170: Se lintreccio del luogo e del s viene allentato
o dissolto, ecco presentarsi alla ribalta due posizioni estreme che ci mostrano con chiarezza
direi quasi sperimentale la struttura del campo sociale: si tratta di un s senza luogo e di un
luogo senza s. evidente che finora tutte le societ realmente esistenti hanno sempre dovuto
cercare il loro modus vivendi in un qualche spazio a met tra questi due poli, dal momento
che il tipo ideale si colloca il pi distante possibile dagli estremi; e si comprende facilmente
che anche in futuro ogni comunit politica reale dovr dare una risposta al duplice imperativo
dellautodeterminazione e della determinazione del luogo.
SILVIO SUPPA
Universit di Bari

BREVI CONSIDERAZIONI SU DIFFERENTI MODI


DI INTERPRETARE LO SPAZIO

A partire dalle due relazioni del Prof. Poggi e del Prof. Costa,
ma anche ripensando alle stesse motivazioni del seminario, appare
possibile attribuire alla nozione di spazio accezioni differenti; ci
vale sicuramente nel senso delle impostazioni soggettive del tema
spazio; ma vale anche a proposito dellinfluenza dei contesti cultu-
rali, delle concezioni politiche, dei riferimenti geografici e civili in
generale, in grado di modellare e di articolare unidea diversificata
e complessa di spazio. Infatti la relazione del Prof. Costa punta
soprattutto a fornire una veduta spaziale-strutturale (dentro/fuori;
noi/altri), fino alla formazione del grande Stato, capace di coinci-
dere con la dimensione della nazione. Viceversa, il contributo del
Prof. Poggi inclina pi verso elementi sovrastrutturali, a partire dalla
comunicazione simbolica compresa in ogni relazione politica, per
poi giungere al linguaggio della forza, finalizzato al mantenimento
dellordine.
Gi sulla base di queste due distinte impostazioni, si pu rite-
nere che lo spazio risponda certo ad una sua autonomia materiale e
geografica, ma che, insieme, segni il risultato di una creazione ideale
e intellettuale. Non ci spiegheremmo, del resto, perch Braudel
preferisca parlare al plurale del Mediterraneo (i Mediterranei), per
alludere alla stabilit della consistenza geografica del bacino di mare,
unitamente alla variet delle civilt e delle forme di vita e di potere
politico che lo hanno alimentato e ancora lo dinamizzano al presen-
te. Lo spazio politico, dunque, muta al mutare delle culture e delle
legittimazioni da cui deduce la sua immagine e la sua dimensione;
forse il caso di tenere conto di questa sorta di relativizzazione dello
spazio, sia perch difficile adottarne una nozione definitiva, sia

Bruna Consarelli (a cura di), La politica e gli spazi


ISBN 88-8453-156-X, 2003 Firenze University Press
84 Brevi considerazioni su differenti modi di interpretare lo spazio

perch anche sul piano storico, la tensione al mutamento e la con-


seguente importanza del processo, rinviano comunque a principii,
concetti, valori, non suscettibili di concludersi in una sorta di iden-
tit ripetitiva e senza fratture.
Possiamo pertanto fare riferimento a due distinte rappresenta-
zioni che revocano o almeno complicano lipotesi di una definizione
certa dello spazio, ed anzi ci propongono, in estrema sintesi, due va-
rianti su cui conviene soffermarsi. Una certa dimensione strutturale
dello spazio politico mantiene tutta la sua attualit, specialmente se
essa vista come paradigma di una distinzione di civilt o di modelli
di organizzazione politica in qualche modo codificati, almeno in
seno alle tradizioni consolidate del pensiero politico: si pensi, per
esempio, alla differenza fra Oriente e Occidente, allusiva a linee,
se non frontali, almeno di marcata differenziazione geografica, ma
anche di soluzioni tecniche e ideali del governo, dellordine, della
guerra e della pace, ecc. Il binomio Oriente-Occidente, non a caso,
ricomprende la relazione fra due continenti, la cui identificazione
geografico-strutturale rinvia anche alle differenti peculiarit civili
e di costume. Le tensioni, tutte aperte, fra i processi di globalizza-
zione e le tendenze allautonomia del mondo arabo-musulmano,
spesso assumono la forma, o vengono ricondotte alla forma del con-
flitto fra democrazia (e dunque spazio-Occidente) e dispotismo (e
dunque spazio-Oriente). Vi del vero in questa contrapposizione,
ma vi anche un artificio, effetto di culture politiche potenzialmen-
te egemoniche o comunque dotate di una loro forza di costituzione
dei rapporti di valore.
Viceversa, quando si parla di americanismo il termine non
solo di Gramsci, ma nel pensiero politico ricorre anche prima e dopo
i suoi Quaderni si allude ad una specificit del mondo americano,
oggetto gi dal secolo scorso di un approfondimento di analisi
ben lontano dal riaffiorante ricorso alle abbreviazioni, per cos dire,
anti-imperialistiche. Lamericanismo la formula comprensiva del-
linnovazione, della velocit, del cambiamento, del carattere inedito
di un modello democratico, che nella sua evidenza originaria era gi
presente allacuta attenzione di Alexis de Tocqueville. Ma lamerica-
Silvio Suppa 85

nismo si connota ben presto come un fenomeno dirompente, per-


ch non si limita a segnare un mondo ed una sua dinamica interiore;
la peculiarit dellamericanismo nella sua capacit di fuoriuscire
dai suoi stessi confini e di accrescere il numero degli spazi geografici
entro cui tende ad instaurarsi. Guardavano allAmerica con speranza
gli emigranti italiani fra fine 800 e gran parte del secolo scorso, cos
come si parlava di soluzioni americane e federalistiche allindoma-
ni della devastazione europea della Seconda Guerra mondiale. In
questi stessi anni i primi con il sapore della pace in Occidente
nasceva la possibilit di un quadro di integrazione europea e di rin-
novamento istituzionale continentale, adottata anche dal composito
paesaggio delle culture democratiche antifasciste. E non un caso
che proprio la forma federalistica sembrasse promettere la rinascita
politica dellEuropa post-bellica, passando attraverso una nuova ste-
sura e divisione dei confini geografici e di quelli politici o, detto in
altro modo, attraverso una scomposizione degli spazi territoriali in
un nuovo, possibile statuto della sovranit.
Ecco, dunque, che lo spazio politico risulta di differente conte-
nuto ed intensit, a seconda della sua conformazione istituzionale ed
ideale, e rinvia a modelli politici distinti o, addirittura, a concezioni
della sovranit assai eterogenee. Il medesimo ragionamento incide
anche sui modi di intendere la descrizione di spazi apparentemente
definiti sotto il profilo etnico-geografico. Accennando ancora al pa-
radigma del Mediterraneo, baster considerare le diverse lingue, le
religioni, le economie talora in netto divario di evoluzione gli
istituti della politica e del Diritto, per comprendere quanto vasta sia
la gamma dei significati possibili a partire dal livello delle forme e
delle culture.
Due punti di riflessione, dunque, mi sembra di poter dedurre
anche per lavvenire dagli stimoli emersi nei ricchi contributi del-
lodierna sessione: da una parte vi il livello della forma (culturale
e giuridica), essenziale alla definizione dello spazio politico, anche a
proposito della relazione noi/altri; dallaltra parte vi la necessit
di cogliere tutta la contraddizione che oggi si rivela fra la logica del
globale (compreso lo spazio globale) e la tendenza dei popoli, dei
86 Brevi considerazioni su differenti modi di interpretare lo spazio

soggetti organizzati, insomma dei protagonisti dello spazio politico,


a salvaguardare un sistema mondiale di relazioni politiche libero da
ipoteche di egemonia e di omologazione.
FRANCESCA LIDIA VIANO
Universit di Perugia

SUGGESTIONI MEDITERRANEE:
CIVILT O IMPERI?

Nel 1949 Braudel sosteneva che, per cogliere le dinamiche reali


della storia, necessario rivolgere lo sguardo al Mediterraneo.1 Qui,
al confine tra Oriente e Occidente, tra cultura marittima e agricola,
i romani si erano incontrati e scontrati con greci, turchi e galli, gli
arabi avevano risalito i fiumi italici, i normanni erano approdati alle
coste siciliane, i turchi erano penetrati in Austria. Gli imperi di que-
sti popoli, da quello romano a quello normanno a quello austriaco,
si erano dissolti sotto la pressione di guerre e lotte intestine o per un
naturale processo di consunzione. Ma le civilt che avevano preso
forma al loro interno avevano continuato a vivere, pur modificate,
alterate ed, in qualche caso, capovolte. Lo storico, come uno spe-
leologo, avrebbe dovuto ricostruirne levoluzione frugando tra gli
strati della storia mediterranea: messe da parte le vicende di re,
generali e diplomatici, egli avrebbe analizzato modi di vita, strutture
familiari e sociali, tradizioni culturali.
Un viaggio tra i limoneti e i vigneti del Mediterraneo dischiudeva
dunque a Braudel le strutture nascoste della storia ed i suoi ritmi
profondi, rivelandogli nello stesso tempo come gli spazi, ai quali
gli storici avevano sempre guardato con scarso interesse, siano una
variabile storiografica fondamentale, che costringe lo storico a mo-
dificare il proprio armamentario professionale e a rivedere gli schemi
metodologici correnti. Ma era davvero cos necessario liberarsi delle
categorie imperiali e statali per affrontare lo studio del Mediterraneo?
Da Montesquieu a Robertson, da Dllinger a Freeman, gli storici
che si erano recati sulle rive di quel mare ne erano tornati con lidea

1
Fernand Braudel, La Mditerrane et le monde Mditerranen lpoque de Philip-
pe II, Colin, Paris 1949.

Bruna Consarelli (a cura di), La politica e gli spazi


ISBN 88-8453-156-X, 2003 Firenze University Press
88 Suggestioni mediterranee: civilt o imperi?

di una storia lentissima, fatta di sopravvivenze e di ritardi, dove tut-


tavia gli imperi continuavano ad essere le strutture fondamentali:
Montesquieu aveva visto limpero romano sopravvivere nelle citt
mediterranee moderne, le palafitte che si erano conservate con il
crollo della continuit territoriale romana; Dllinger aveva ritrovato
le tracce dellantico Impero universale di Carlo e dei papi medie-
vali nellItalia di Pio IX, mentre un viaggio in Sicilia aveva portato
Augustus Freeman allepoca di Federico II e della sua corte.
Lungi dal suggerire teorie storiografiche non convenzionali, il
Mediterraneo era stato dunque il rifugio di chi non aveva voluto
rassegnarsi alla fine della vecchia storia imperiale. Proprio per que-
sto storici spregiudicati come Voltaire e Gibbon che, ben prima di
Braudel, avevano cercato di emanciparsi dalla storia vnementielle,
rivalutando il ruolo di civilt e costumi, si erano scrupolosamente
astenuti dallinterrogare il Mediterraneo: Gibbon aveva preferito ri-
volgersi al mondo greco e bizantino, mentre Voltaire si era divertito
a fantasticare sui documenti di missionari gesuiti conservati nella
Bibliothque du Roi, costruendo un grande mito della Cina confu-
ciana e del mondo arabo. Lontano dal Mediterraneo, ed al riparo
dalle influenze della storiografia cattolica, essi avevano potuto mo-
strare come la storia fosse non una successione di Imperi che si avvi-
cendano secondo lo schema biblico, come sosteneva Bossuet, ma un
sistema di costumi e di modi di vita che si intrecciano secondo com-
binazioni sempre nuove. Daltra parte, anche senza spingersi sino
alla Cina confuciana di Voltaire o al mondo bizantino di Gibbon,
gli scambi commerciali e culturali che caratterizzavano lEuropa
cittadina al tempo della pace di Utrecht avevano offerto agli storici
uno spettacolo di contaminazioni e prestiti forse meno suggestivo,
ma non poi cos diverso da quello che Braudel aveva contemplato
tra i limoneti del Mediterraneo: ancora alla met dellOttocento,
i commerci, le guerre e lespansione coloniale degli Stati nordici
avevano suggerito a Bagehot, come un tempo a Hume, che levo-
luzione storica dipende non dai trattati o dalle decisioni formali di
Stati e Imperi, ma dalle combinazioni sempre nuove che emergono
dallincontro tra civilt e costumi diversi.
Francesca Lidia Viano 89

Il Mediterraneo non era losservatorio privilegiato descritto


da Braudel. Esso si rivelava semmai uno spazio insidioso, dove le
antiche memorie romane e germaniche proiettavano lombra degli
imperi sulle civilt e sugli Stati. Se tuttavia ci si inoltrava su questo
terreno sdrucciolevole armati di un concetto forte di impero, alter-
nativo a quello di Stato e di civilt, le cose apparivano un poco pi
chiare. Nel 1863 James Bryce aveva sostenuto che gli imperi non
sono n grandi Stati, come si diceva allora e come avrebbe conti-
nuato a sostenere Braudel, n insiemi di costumi, come pensavano
Montesquieu, Freeeman e Bagehot. Essi sono semplici idee capaci
di unire popoli con tradizioni, culture ed, a volte, lingue diverse in
una stessa comunit politica e territoriale.2 Ci che aveva reso gran-
di gli imperi del Mediterraneo, da quello degli Antonini a quello di
Federico II, era stata non la virt dei sudditi, n tantomeno la cul-
tura sofisticata delle citt commerciali, quanto piuttosto la capacit
dei romani di dissolvere le nazionalit particolari dei singoli Stati
imperiali in un sentimento pi generale di solidariet nazionale,
indipendente da razza, lingua, religione e territorio. Aprendo le
strutture amministrative centrali ai sudditi delle province, e mesco-
lando le proprie leggi con le tradizioni locali dei popoli sottomessi,
essi avevano posto le basi per costruire una comunit sovrastatale
che riuniva le popolazioni pi diverse intorno allidea di un impero
comune.3 E, quando limpero materiale di Roma, rappresentato

2
Le considerazioni su Bryce presenti in questo testo sono ricavate dalla mia tesi
di dottorato, discussa presso lUniversit di Perugia, che sar pubblicata presso il
Centro Editoriale Toscano con il titolo Partiti e mito americano.
3
James B, e Ancient Roman Empire and the British Empire in India, in
Studies in History and Jurisprudence, Clarendon Press, Oxford 1901; ripubblicato in
I., LImpero romano e limpero britannico in India, in Imperialismo romano e britan-
nico, Fratelli Bocca, Torino 1907, pp. 1-95, in particolare p. 49. Ma gi nel Sacro
Romano Impero, Bryce diceva: Leditto per cui Caracalla estendeva a tutti i nativi
del mondo romano i diritti della romana cittadinanza, sebbene non fosse ispirato
da ragione di benevolenza riusc tuttavia un beneficio. Annullando le distinzioni
legali esso complet lopera che gi venivan facendo il commercio, la letteratura e
la tolleranza dogni fede tranne una, e lasci, per quanto possiamo affermare, una
sola nazione tuttavia vagheggiante un sentimento nazionale (p. 5).
90 Suggestioni mediterranee: civilt o imperi?

dai centri di potere formale, era stato distrutto dalle invasioni bar-
bariche e dalle lotte intestine, lidea di ununica, grande nazione im-
periale era sopravvissuta, incarnandosi dapprima nellImpero vasto
e composito di Federico II, limperatore che aveva regnato dalle
sabbie dellOceano alle rive del mare Siculo4 ed, in seguito, in un
commonwealth americano aperto a tutte le razze, a tutte le lingue e
a tutte le religioni.
Secondo Bryce, laspetto pi interessante dellavventura medi-
terranea risiedeva non nelle singole civilt e nei rispettivi costumi,
ma nelle idee generali che le avevano tenute insieme. Mentre le
civilt, sottoposte a contaminazioni continue, si erano evolute,
trasformate, ed erano state capovolte al punto da assumere un
aspetto profondamente diverso da quello che le aveva caratterizzate
al tempo della dominazione romana, lideale di impero comune
che le aveva aggregate allora era rimasto praticamente inalterato:
trasferitosi dal Tevere alle rive dellHudson, esso continuava ad insi-
nuare negli irlandesi, nei tedeschi, negli inglesi dAmerica lo stesso
senso di fratellanza multinazionale che un tempo aveva legato traci,
galli e greci.
Ancora una volta dal Mediterraneo usciva una storia di imperi,
una storia sulla quale pesava la memoria romana. Ma la storia im-
periale di Bryce era fatta per inserire il Mediterraneo in una vicenda
pi ampia, della quale facevano parte la Germania e lAmerica, e
non per relegarlo in un mondo pre-industriale ed anti-capitalistico,
come quello al quale avrebbe guardato Braudel.

4
I., e Holy Roman Empire, T. e G. Shrimpton, Oxford 1864; Macmillan, Lon-
don 1904; trad. it., I., Il Sacro Romano Impero, Vallardi, Napoli 1886, pp. 45, 64,
192-193.
SARA LAGI
Universit di Perugia

TERRITORIO E POPOLO IN HANS KELSEN

In Vom Wesen und Wert der Demokratie (1920; 1929), lopera


dedicata alle caratteristiche ed alla tutela della democrazia parla-
mentare, il giurista austriaco Hans Kelsen (1881-1973) definisce il
termine popolo con le seguenti parole: il popolo non contra-
riamente a come esso viene ingenuamente concepito un insieme,
un conglomerato, per cos dire, di individui, ma semplicemente un
sistema di atti individuali, determinati dallordinamento giuridico
dello Stato [], perci una finzione considerare come un insieme
dindividui lunit di una molteplicit di atti individuali unit
che costituisce lordine giuridico qualificandola come popolo e
destare cos lillusione che questi individui costituiscano il popolo
con tutto il loro essere, mentre essi vi appartengono solamente at-
traverso alcuni loro atti che lordine statale protegge e ordina.1
Nel passo appena citato il giurista correla lidentit e lunit di
popolo ad un complesso di norme, piuttosto che a una data realt
territoriale. Per cui, in Kelsen, il termine popolo finisce per indicare
una rete di relazioni giuridiche, indipendentemente dagli effettivi
confini territoriali entro i quali quelle stesse relazioni maturano e si
stabiliscono. Linterpretazione kelseniana di popolo e territorio, cos
come essa emerge da Vom Wesen und Wert der Demokratie, appare
anzitutto linevitabile corollario della teoria normativa del diritto, che
Kelsen comincia a elaborare sistematicamente nei Hauptprobleme der
Staatsrechtslehre (1911) e in Das Problem der Souveranitaet (1920).
Con entrambe le opere Kelsen si pone lobiettivo di ri-fondare la
scientia iuris su basi teoriche pi solide, affrancando il diritto da

1
Hans K, Essenza e valore della democrazia, [1929], in I., La democrazia, a
cura di M. Barberis, Il Mulino, Bologna 1998, pp. 58-59.

Bruna Consarelli (a cura di), La politica e gli spazi


ISBN 88-8453-156-X, 2003 Firenze University Press
92 Territorio epopolo in Hans Kelsen

tutti quegli elementi sociologici, psicologici e politici che, a suo


giudizio, lo rendono impuro, snaturandolo. Il diritto norma e
questultima pura ed a-valutativa, rappresenta il regno del Sollen
(Dover-Essere), contrapposto a quello mutevole ed empirico del
Sein (Essere). Kelsen elabora pi sistematicamente la sua tesi nella
prima edizione della Reine Rechtslehre (1934), dove distingue fra
validit, concepita come forza vincolante, ed efficacia, per separare
con maggiore rigore il diritto, in quanto dover-essere, dalla sfera
dellessere che concerne leffettivo comportamento degli uomini.2
Alla luce di queste considerazioni, la dottrina giuridica di Kelsen
appare la necessaria premessa alla critica del carattere territoriale di
popolo: come il diritto presentato nella sua dimensione logico-
giuridica, cos lidea di popolo viene de-spazializzata, rapportata al
mondo delle norme, tanto che nella prima Reine Rechtslehre Kelsen
trasforma il concetto di persona, e quindi di cittadino, in un centro
di imputazione di diritti e doveri, espungendo da esso qualsiasi rife-
rimento psicologico e naturalistico.3 La riformulazione del rapporto
fra popolo e territorio, operata da Kelsen, rispecchia pi precisa-
mente il clima culturale che si diffuse in Europa nella prima met
del 900. In quel periodo si assistette alla dissoluzione delle sintesi
classiche (hegelismo e fisica meccanica tra tutte) e della certezza,
in esse implicita, di poter individuare un fondamento metafisico
allesistente. Questo cruciale cambiamento di prospettiva si ricolle-
ga, a sua volta, alla progressiva sparizione del concetto di funzione

2
Renato T, Prefazione a H. K, La dottrina pura del diritto, trad. it. di
R. Treves, Einaudi, Torino 1952, p. 11. Negli anni 40, dopo la fuga negli U.S.A.
per sottrarsi alle persecuzioni naziste, Kelsen formul un giudizio meno netto sul-
lantitesi tra Sein e Sollen, giungendo ad affermare che Dover-Essere ed Essere non
rappresentano due realt ontologicamente diverse, bens due differenti metodi per
indagare il diritto. Cambiamento di prospettiva che Kelsen matur a contatto con
la realt giuridica e scientifica americana, pi sensibile di quella europea e tedesca
alla sociologia del diritto e alle problematiche ad essa connesse. Renato T,
Sociologia del diritto e sociologia dellidea di giustizia nel pensiero di Kelsen, [1981], in
H. K, R. T, Formalismo giuridico e realt sociale, a cura di S. L. Paulson,
E.S.I., Napoli 1992, p. 168.
3
R. T, Prefazione, cit., p. 11.
Sara Lagi 93

e relazione a favore di quello di sostanza. Al contempo, sulla scorta


del neo-storicismo e del neo-kantismo, i mezzi, razionalmente posti
dal soggetto, vengono contrapposti ai fini, determinati da scelte e
motivazioni legate alla valutazione personale e quindi ritenuti irra-
zionali.4 Conseguentemente a ci la lettura che il giurista austriaco
d di popolo e territorio pu essere interpretata quale portato di
una corrente di pensiero orientata a definire la realt nel suo aspetto
formale e normativo piuttosto che sostanziale. Kelsen stesso, nel
passo sopra riportato, osserva che lunica via per dare una definizio-
ne univoca e certa, di unit ed identit del popolo, sia abbandonare
il piano dei dati sensibili, nella loro mutevolezza, spostandoci su
quello razionale dellordine giuridico e del diritto.
Nella negazione del carattere territoriale, ossia sostanziale, di
popolo inoltre contenuta la reazione di Kelsen alla scienza giuri-
dica di fine 800, e segnatamente, allopera del suo maestro Georg
Jellinek. Nella Staatslehre di Jellinek il concetto di popolo ancora
legato ad una precisa dimensione spaziale: un popolo tale poich,
tra le altre ragioni, vive in unarea geografica delimitata, i cui confini
sono il prodotto delle vicende storiche. Con ci Jellinek esplicita i
suoi legami con la Scuola storica tedesca, fiorita in Germania nella
tarda seconda met dell800, che individuava nellappartenenza fisica
ad un determinato territorio uno degli elementi costitutivi delliden-
tit e dellunit di ogni popolo e una delle condizioni che, secondo
Meinecke, elevano un popolo alla dignit di nazione (Volkstum). Come
i suoi predecessori, Gerber e Laband, Jellinek giustifica la superiorit
dello Stato sulla societ civile e quindi la supremazia dellautorit ese-
cutivo-amministrativa su quella legislativa, affermando che lo Stato
lunico produttore del diritto. Negli ultimi decenni dell800, queste
tesi avevano offerto una forte legittimazione giuridica alla monarchia
guglielmina ed, in senso lato, a tutti quei regimi politici caratterizzati
da un governo forte e dotato di ampie prerogative.5

4
Roberto R, Hans Kelsen e il dibattito sulla democrazia e il parlamentarismo
negli anni 20 e 30, introduzione a H. K, Socialismo e stato, Giuffr, Milano
1979, pp. XL-XLI.
5
Maurizio F, Giuristi e costituzione politica nellOttocento tedesco, Giuffr,
94 Territorio epopolo in Hans Kelsen

In aperta polemica con il suo maestro, Kelsen elabora, sin dai


Hauptprobleme, una dottrina giuridica volta a negare allo Stato
qualsiasi plusvalore (Mehrwert) rispetto alla societ civile. Kelsen
rigetta lidea che lo Stato produca il diritto, poich esso stesso il
diritto, il quale rappresenta una realt logico-giuridica, ossia norma-
tiva. Muovendo da queste premesse Kelsen afferma che lidentit e
lunit di un popolo dipendono dal rapportarsi e dal sottomettersi
ad un medesimo ordinamento giuridico.
In modo analogo il territorio non pi assimilabile ad una mera
area geografica, quanto allo spazio di validit della norma giuridi-
ca. Leggiamo a proposito nei Grundrisse der allgemeinen Staatslehre
(1926), che rappresentano un ideale collegamento fra i Hauptpro-
bleme e la prima Reine Rechtslehre:
Ora, lo spazio, al quale circoscritta la validit dellordina-
mento giuridico del singolo Stato il territorio statale (Staatsgebiet).
Questultimo innanzi tutto lambito di validit, non lambito
fattuale di efficacia, dellordinamento statuale. Dal fatto che da
qualche parte si realizzi effettivamente un atto dello Stato non segue
in s per s che quel luogo debba necessariamente essere il territo-
rio di quello Stato []. Che alla base del concetto di territorio si
trovi lo Stato quale ordinamento giuridico valido appare anche dal
fatto che lunit essenziale allo Stato come unit del territorio
determinata esclusivamente dalla unit di validit dellordinamento
giuridico dello Stato e non viene toccata in alcun modo dal fatto che
il territorio non costituisca, dal punto di vista geografico-naturale
una unit.6

Milano 1979, pp. 304-315. pur vero che Jellinek, con maggiore incisivit rispet-
to ai suoi predecessori, cerc di riformulare, in chiave pi propriamente liberale, il
rapporto tra Stato e societ civile. La sua Staatslehre riconosce infatti ai cittadini il
diritto di ricorrere alla Legge (giudici amministrativi) contro eventuali atti illegali
dellamministrazione. Cfr., Gustavo G, Democrazia e diritti. Germania: dallo
stato di diritto alla democrazia costituzionale, Laterza, Roma-Bari 1999, p. 48.
6
H. K, Lineamenti di teoria generale dello stato, [1926], cit., in I., Dottrina
dello stato, a cura di A. Carrino, E.S.I., Napoli 1994, p. 71.
Sara Lagi 95

Riqualificando lidea di territorio in termini prettamente giuri-


dici, Kelsen rigetta inoltre la correlazione tra i concetti di territorio
e popolo, da un lato, e Stato e Sovranit, dallaltro, affermatasi nel-
lEuropa moderna in seguito allo sviluppo di entit statali che, dalla
seconda met del 500, avevano legato il loro destino a determinate
realt territoriali sulle quali esercitavano il loro imperium e che di-
fendevano dalle minacce esterne.7
opportuno osservare che la Weltanschauung giuridica di Kelsen
colpisce anche la classica contrapposizione fra diritto nazionale e in-
ternazionale. Dalla pace di Westfalia sino alla seconda met dell800
erano stati sollevati numerosi dubbi sulla validit ed efficacia del
diritto internazionale, poich, al contrario del diritto nazionale,
non era legato ad una determinata realt territoriale e non sembrava
possedere alcuna organicit. La situazione rimase sostanzialmente
invariata con la scuola di Triepel, Anzellotti e Jellinek, dato che i tre
giuristi fondarono la legittimazione del diritto internazionale sulla
volontaria autolimitazione (Selbstbeschraenkung) che ciascuno Sta-
to, raggiunto un certo livello di evoluzione, opera a favore dellaltro.
Nei primi decenni del 900, Kelsen super queste posizioni: de-ter-
ritorializzando i concetti di popolo, territorio e sovranit e trasfor-
mando questi ultimi, compreso lo Stato, in complessi articolati di
norme giuridiche, il diritto internazionale non pi considerato n
meno valido, n meno efficace, n in nessun modo subordinato a
quello nazionale, giacch tra i due non viene pi riconosciuta alcu-
na differenza qualitativa, aprendo cos la strada alla futura dichiara-
zione dei diritti delluomo.

7
Nicola M, Lo stato moderno, lessico e percorsi, Il Mulino, Bologna 2000,
p. 22.
MICHELA NACCI
Universit dellAquila

SPAZIO, TECNICA, GLOBALIZZAZIONE

Questa nota formata da due punti: nel primo prender in


esame due tesi di successo, una sulla tecnica come essenza del nichi-
lismo, laltra sulla scomparsa dello spazio nella globalizzazione; nel
secondo punto metter in questione entrambe le tesi ed avanzer
una modesta proposta.

1. La prima tesi. Unaffermazione che si sente ripetere con una


certa insistenza, e che sembra ormai possedere lo status di ovviet,
lidentificazione fra tecnica e modernit sulla base dellessenza
del nichilismo. La tesi pu essere riassunta nel modo seguente: la
modernit lepoca del nichilismo dal momento che coincide con
la concezione dellessere come divenire, cio come composto di
essere e non-essere. La tesi possiede una variante: la modernit
lepoca del nichilismo dal momento che lepoca dellimmagine
del mondo, nella quale cio il mondo viene considerato come un
oggetto di fronte a cui si erge un soggetto che lo conosce e lo usa:
il mondo diviene immagine, la natura diviene qualcosa di inerte,
manipolabile a volont da parte delluomo. La tecnica omologa
alla modernit proprio per questa stessa essenza nichilista che la
contraddistingue: solo in unepoca nella quale lessere si trasfor-
mato in divenire e il mondo natura da utilizzare a piacimento che
la tecnica pu nascere e trionfare. Tecnica, modernit, nichilismo
vengono cos considerati sinonimi luno dellaltro, e si pu afferma-
re che la tecnica coincide con il dominio nichilista del mondo.
La seconda tesi. Nella letteratura sulla globalizzazione ricorrente
la tesi che riguarda la morte della geografia. Da Paul Virilio (che
sembra aver coniato lespressione) fino a Naomi Klein, attraverso
Zygmunt Bauman che lha sottolineata con forza, circola in queste

Bruna Consarelli (a cura di), La politica e gli spazi


ISBN 88-8453-156-X, 2003 Firenze University Press
98 Spazio, tecnica, globalizzazione

teorie sul mondo contemporaneo la tesi secondo la quale lo spazio


non conta pi: se, infatti, la globalizzazione intesa come la inter-
connessione sempre pi stretta fra tutte le parti del mondo, chiaro
che il valore dello spazio scompare, dal momento che gli scambi (di
ogni tipo) che avvengono su scala globale lo trascurano completa-
mente, lo superano, possono permettersi di ignorarlo. Se internet
mette in contatto istantaneamente e a basso costo, qualunque parte
del mondo con qualunque altra, se gli spostamenti finanziari non
hanno bisogno per accadere di spostamenti fisici di beni o persone,
ecco che lo spazio non conta pi niente e pu esserne decretata la
fine.

2. Ma siamo sicuri che sia proprio cos? Si tratta, per la tesi


sulla tecnica come per quella sulla globalizzazione, di affermazioni
tanto affascinanti e diffuse quanto imprecise. Iniziamo dalla prima.
Il grande successo dellequivalenza fra tecnica e modernit sulla
base dellessenza del nichilismo ha messo in ombra interpretazioni
della tecnica forse meno totalizzanti ma sicuramente pi affidabili.
Come noto, quella che abbiamo riassunto la tesi heideggeriana
sulla tecnica: a ben vedere, non solo di Heidegger, ma di molti
filosofi del Novecento. Pi precisamente, possiamo definirla come
una definizione ontologica della tecnica. Essa ha messo in ombra
altre concezioni della tecnica, anchesse presenti nel Novecento, che
si possono definire in modo un p sbrigativo come pragmatiste:
ad esempio la concezione anglo-americana, che trova in Dewey un
interprete paradigmatico, e che vede nella tecnica uno strumento
delluomo per ridurre lincertezza che presente nel mondo, alla
stessa stregua del pensiero astratto. In questa tradizione la tecnica
non ha affatto un carattere nichilista, ma caratterizzata piuttosto
dalla strumentalit intesa in senso non riduttivo, alla pari delle pi
alte creazioni dello spirito umano. In questa tradizione il mondo,
insieme allo spazio, non perde mai la sua caratteristica di realt:
luomo vi lavora costantemente per trovare in esso una sua collo-
cazione, una sua sicurezza, per realizzare in quel mondo i fini che
si prefigge.
Michela Nacci 99

Veniamo alla tesi che riguarda la globalizzazione: studiosi che


vanno da Sasskia Sassen ad Amartya Sen fino a Jurgen Habermas
mettono in rilievo la semplificazione eccessiva contenuta nella tesi
sulla fine dello spazio che abbiamo citato sopra: il globale secondo
il loro parere non avrebbe affatto fagocitato il locale (cio lo spazio),
ma la sempre maggiore interdipendenza del mondo avrebbe dato
luogo al glocale, un misto di globale e locale. In altri termini,
nellepoca della globalizzazione lo spazio continua ad avere im-
portanza, continua ad esistere: il mondo della rete globale non
composto solo dai celebri non-luoghi descritti da Marc Aug. Se
decidiamo di seguire questa interpretazione, scopriamo che allin-
terno di uno stesso processo di globalizzazione che riguarda tutto
il mondo, la globalizzazione si declina in modo molto diverso a
seconda dei luoghi in cui si verifica.
Dunque il mondo non uniforme neppure oggi e continua a
essere formato da luoghi, da spazi. Un esempio che viene proposto
quello delle cosmopoli multietniche, il regno della nuova realt
globalizzata in cui convivono tutti i mondi possibili nella ibrida-
zione di culture, religioni, lingue, cibi e abbigliamento: citt come
Londra, New York, Hong Kong, sono le sedi per eccellenza della
globalizzazione. Proprio qui notano gli autori citati non affatto
vero, come talvolta si legge, che le differenze si perdano in un miscu-
glio generale. vero invece che allinterno delle citt-mondo (come
Sassen le definisce) si riformano i localismi, le differenziazioni le-
gate allo spazio, a seconda dei quartieri. Tali differenziazioni di un
quartiere rispetto allaltro sono per nuove rispetto al passato, e
ad esempio non si basano pi sullidentica appartenenza etnica
come cemento della comunit.

Come studiosi del pensiero politico, credo che dobbiamo essere


molto attenti a contese di questo tipo fra interpretazioni diverse,
proprio perch esse chiamano fortemente in campo una caratteri-
stica della nostra disciplina: lattenzione al contesto, la fedelt nel
riportare le varie posizioni presenti in uno stesso periodo. Anche,
forse soprattutto, quando tale periodo si colloca molto vicino a noi.
100 Spazio, tecnica, globalizzazione

Questo vale per il problema della tecnica-modernit-nichilismo:


dobbiamo riconoscere che accanto a quella ontologica sono esisti-
te altre interpretazioni. Fra laltro, tali interpretazioni non hanno
quelle conseguenze catastrofiche per la tecnica e la modernit che la
tesi ontologica possiede.
La stessa considerazione vale per il problema della globalizzazio-
ne: proprio dagli storici del pensiero politico pu venire in questo
caso un richiamo ad una maggiore cura per le interpretazioni che
della globalizzazione vengono date. Forse in questo modo si riuscir
a evitare a questo concetto, ancora assai sfuggente, la sorte che
capitata alla tecnica nel corso del Novecento: che si affermi di esso
una sola accezione semplificata, radicale ed accattivante, che elimi-
na dalla scena le versioni pi realiste, pi moderate e proprio per
questi motivi pi difficili da accettare.
INDICE DEI NOMI

ALTHUSIUS Johannes, 32. CARTA Paolo, 34.


ANTONINI, famiglia, 89. CARUSO Sergio, 34.
ANZELLOTTI Bortola, 95. CELESTE Sabrina, 3.
ARENDT Hannah, 73, 76-77. COLLINA Vittore, 1-3, 5, 26-27,
ARIAS MONTANO B., 32. 77-78.
ARISTOTELE, 16, 29, 73, 76, 80. COMPARATO Vittorio Ivo, 33.
AUDEN Wystan Hugh, 62. CONSARELLI Bruna, 1, 27.
AUG Marc, 99. COSTA Pietro, 43, 57, 79, 83.
COULANGES Fustel de, 67.
BACHELARD Gaston, 22-23, 25. CRANSTON Maurice, 41.
BAGEHOT Walter, 88-89. CUNAEUS Petrus, 32, 37-41.
BALDASSARRE Antonio, 17-18.
BALZAC Honor de, 7. DAL LAGO Alessandro, 73.
BARBERIS Mauro, 91. DEMATTEIS Giuseppe, 24.
BARKSDALE Clement, 38. DEWEY John, 98
BATTAGLIA Felice, 27. DI RIENZO Eugenio, 41.
BAUDRILLARD Jean, 13. DLLINGER Ignaz von, 87-88.
BAUMAN Zygmunt, 17, 97. DRUCKER Susan J., 22.
BECK Ulrich, 80. DUMONT tienne, 41.
BENTHAM Jeremy, 41. DZELZAINIS Martin, 30.
BERLIN Isaiah, 28-29.
BERTALANFFY Ludwig von, 25. EMPEDOCLE, 78.
BETTI SCHIAVONE Egle, 3. ERASMO da Rotterdam, 32.
BLUMENBERG Hans, 74. ESOPO, 74.
BOCK Gisela, 29.
BODIN Jean, 32, 37, 51-52. FEDERICO II, dAragona, re di
BOSSUET Jacques-Bnigne, 88. Sicilia, 88.
BRAUDEL Fernand, 83, 87-90. FEDERICO II, imperatore, 89-90.
BRUBAKER Rogers, 69. FEDRO, 74.
BRUNNER Otto, 64. FILIPPO II, re di Spagna, 87.
BRYCE James, 89-90 FIORAVANTI Maurizio, 93.
BURKE Edmund, 53. FLAVIO Giuseppe, 38.
FREEMAN Augustus, 87-88.
CAMPOS BORALEVI Lea, 1, 3, 27,
32, 33, 37, 40-41. GALLI Carlo, 25.
CAPIZZI Antonio, 78. GALZINGA M., 22.
CARACALLA, 89. GERBER, 93.
CARLO I, Stuart, re dInghilterra, 30. GEUNA Marco, 28.
CARLO V, imperatore, 88. GHERARDI Raffaella, 25.
CARRINO Agostino, 94. GIBBON Edward, 88.

Bruna Consarelli (a cura di), La politica e gli spazi


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102 Indice dei nomi

GIORGINI Bruno, 20-21, 25. LUIGI FILIPPO, re di Francia, 69.


GIOSU, 35.
GDEL Kurt, 14. MACHIAVELLI Niccol, 28-30, 38-
GOZZI Gustavo, 94. 40, 49.
GRAMSCI Antonio, 84. MAIMONIDE Mos, 34, 37.
GROZIO Ugo, 32, 34, 38. MANDELBROT Benoit B., 9.
GUMPERT Gary, 22. MARX Karl, 28, 66, 70.
GUTENBERG Johann, 20. MATTEUCCI Nicola, 95.
MAYER Arno, 66.
HABERMAS Jurgen, 99. MAZZINI Giuseppe, 55.
HARRINGTON James, 32, 38-40. MCHOULAN Henry, 33.
HEGEL G.W. Friedrich, 28. MEINECKE Friedrich, 93.
HEIDEGGER Martin, 98. MERLEAU-PONTY Maurice, 21.
HEISENBERG Werner, 14. MILTON John, 30, 32, 40.
HERDER Johann Gottfried, 53. MONTESQUIEU Charles-Louis de
HOBBES omas, 28, 39, 51-52. Secondat, 50, 87-89.
HUME David, 14, 88. MORELLET Andr, 41.
HYPPOLITE Jean, 23. MOSCA Gaetano, 26.
MOS, 37.
ISIDORO DI SIVIGLIA, 44. MUSIL Robert, 7-8.
ISLAM Jamal N., 21.
NACCI Michela, 97.
JEANNENEY Jean-Nol, 12. NATALE Francesca, 3.
JELLINEK Georg, 93-95.
ORAZIO, 68.
KANT Immanuel, 14, 21, 79.
KELSEN Hans, 91-95. PASCAL Blaise, 65.
KERN Stephen, 7. PAULSON Stanley L., 92.
KLEIN Naomi, 97. PETTIT Philip, 28-29.
PIATTELLI PALMARINI Massimo, 14.
LABAND Paul, 93. PII Eluggero, 33.
LAGI Sara, 91. PIO IX, 88.
LANIER Jaron, 15. PLATONE, 74-76.
LAZZARINO DEL GROSSO Anna POCOCK John Greville Agard, 28-
Maria, 37. 29, 39.
LE CORBUSIER Charles-Edouard J.-G., POGGI Gianfranco, 59, 70, 73, 77, 83.
5, 6. POPITZ Johannes, 66.
LEFEBVRE Henry, 9-11, 13-14, 16. POPKIN Richard H., 33.
LEOPARDI Giacomo, 21.
LEWIS Bernard, 22. QUAGLIONI Diego, 32, 41.
LINCOLN Gettysburg, 67. QUAU Philippe, 16.
LOCKE John, 28, 32, 56.
LUHMANN Niklas, 25. RACINARO Roberto, 93.
Indice dei nomi 103

RENAN Joseph Ernest, 53. SUPPA Silvio, 83.


RICUPERATI Giuseppe, 33.
TAINE Hippolyte, 26.
ROBERTSON William, 87. TALETE DI MILETO, 74.
ROTOND Antonio, 33. THOMPSON John B., 7.
ROUSSEAU Jean-Jacques, 26, 50, 68. THOMSON George, 78.
TITO LIVIO, 29.
SASSEN Sasskia, 99. TOCQUEVILLE Alexis de, 84.
SAVONAROLA Girolamo, 32. TOLAND John, 40.
SCHAMA Simon, 32. TOMLINSON John, 17.
SCUCCIMARRA Luca, 73. TREVES Renato, 92.
SELDEN John, 32, 34 TRIEPEL Heinrich, 95.
SEN Amartya, 99.
SERRES Michel, 7-8, 9, 11, 14. VAN GELDEREN Martin, 41.
SIEYS E. Joseph, 53. VATTEL Emmerich de, 56.
SIGONIO Carlo, 32, 40. VERNANT Jean-Pierre, 78.
SIMMEL George, 64, 70. VIANO Francesca Lidia, 87.
SIMONUTTI Luisa, 33. VIRILIO Paul, 17, 97.
SISMONDI J.-C.-L. Simonde de, 50. VIROLI Maurizio, 29.
SKINNER Quentin, 29-30, 41. VOLTAIRE Franois-Marie Arouet, 88.
SLOTERDIJK Peter, 79-80.
SOCRATE, 74-75. WITTGENSTEIN Ludwig, 21.
SPINOZA Baruch, 32, 40.
STAZIO Marialuisa, 15. ZOLO Danilo, 25, 58.

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