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ROBERTO SAVIANO (dallintroduzione a La bellezza e linferno A.

Mondadori Milano )2009

Scrivere, in questi anni, mi ha dato la possibilit di esistere e se qualcuno ha sperato che vivere in
una situazione difficilissima potesse indurmi a nascondere le mie parole, ha sbagliato. Ho scritto in
una decina di case diverse. Tutte piccolissime e buie. Le avrei volute pi spaziose, luminose, ma
nessuno me le fittava.
Non potevo girare per cercarle e nemmeno decidere da solo dove abitare. E se diventava noto che
io stavo in quella via ero subito costretto a traslocare. E' la situazione di molti che vivono nelle mie
condizioni. Ti presenti a vedere l'appartamento che con fatica i carabinieri hanno selezionato, ma
appena il proprietario ti riconosce, la risposta sempre la stessa: "La stimo moltissimo, dottore,
ma ho gi molti problemi. Capisce, qui la gente ha paura". Per accanto a questa paura, copertura
vile per non voler essere ascritti a una parte - alla mia - , ci sono stati anche i gesti di molti che non
conoscevo, che mi hanno offerto un rifugio, una stanza, amicizia, calore. E anche se spesso non
ho potuto accettare le loro proposte, ho scritto pure in quei luoghi ospitali e colmi di affetto.
Molte delle pagine riunite in questo libro non le ho nemmeno scritte in una casa, ma in camere
d'albergo. Buie, senza finestre da poter aprire, senza aria. All'estero capitato anche che non
vedessi nient'altro che quelle camere e il profilo della citt dietro i vetri oscurati di una macchina
blindata. Non si fidavano a lasciarmi uscire e spesso non si fidano nemmeno a lasciarmi nello
stesso albergo per pi di una notte. Pi la criminalit e le mafie sembrano lontane, pi ti trattano
come qualcosa che potrebbe esplodergli sotto gli occhi. Con dei guanti che non sai se sono da
cerimonia o da artificieri. E tu non capisci se sei pi un pacchetto regalo o un pacco-bomba.
Pi spesso ancora ho scritto in caserma. Nel ventre quasi vuoto e immobile di una grande, vecchia
balena fatta per operare. Mentre fuori intuisci movimento, c' il sole, gi estate. Sai che se
potessi uscire, in due minuti passeresti davanti alla tua vecchia casa, la prima dove ti dissero
"Finalmente te ne stai andando!", e in altri cinque saresti al mare. Ma non puoi farlo.
Per puoi scrivere. Devi e vuoi continuare. Il cinismo che contraddistingue molta parte degli addetti
ai lavori lascia intravedere sempre una sorta di diffidenza per tutto quello che non ha uno scopo
preciso. O il distacco di chi vuole solo fare un buon libro, limare le parole sino a ottenere uno stile
bello e riconoscibile. E' questo ci che deve fare uno scrittore? Questa letteratura? Allora, per
quanto mi riguarda, preferirei non scrivere.
Il bisogno di distruggere tutto ci che possa essere desiderio e voglia: questo il cinismo. E'
l'armatura dei disperati che non sanno di esserlo. Che vedono tutto come una manovra furba per
arricchirsi, la pretesa di cambiare come un'ingenuit da apprendisti stregoni e la scrittura che vuole
arrivare a molti come una forma di impostura da piazzisti. Nulla pu essere tolto a questi signori
diffidenti e perennemente con il ghigno di chi sa gi che tutto finir male, perch non hanno pi
nulla per cui valga la pena di lottare. Ma nel privilegio delle loro vite disilluse e protette, non hanno
idea di che cosa possa veramente voler dire scrivere.
Scrivere il contrario di tutto questo. E' riuscire a iscrivere una parola nel mondo, passarla a
qualcuno come un biglietto con un'informazione clandestina, uno di quelli che devi leggere,
mandare a memoria e poi distruggere: appallottolandolo, mischiandolo con la tua saliva, facendolo
macerare nel tuo stomaco. Scrivere fare resistenza.
La mia vicenda di questi anni mi ha permesso di incontrare molte persone che non potr mai
dimenticare. Mi ha dato la possibilit di trovarmi con Enzo Biagi, di capire che quell'uomo anziano
aveva ancora tanta voglia di interrogarsi e di capire il mondo.
E poi Miriam Makeba, la grande "Mama Africa", la voce che cantava la libert di un continente e
invece morta a Castel Volturno, dopo un concerto per ricordare sei fratelli uccisi dalla camorra e
per esprimere la sua vicinanza a me, che non aveva mai incontrato, bersaglio di un nemico di cui
lei non conosceva nemmeno il nome.
Nello stadio del Barcellona ero scortato dai Mossos, i corpi speciali della polizia catalana che
volevano portarmi a vedere la partita circondato da un cubo di vetro antiproiettile e che poi, mossi
a compassione, mi hanno risparmiato quel nuovo tipo grottesco di prigione. L ho incontrato Lionel
Messi, l'attaccante argentino del Bara, che riuscito a rifare, identico, il gol pi bello di Diego
Armando Maradona. Faccia da bimbo che non dice nulla delle sofferenze che ha patito, delle cure
dolorose che gli hanno permesso di crescere e divenire il pi grande giocatore dei nostri giorni.
A volte per mi trovo a guardare indietro. E allora so a chi questo libro non destinato. Non va a
tutte quelle persone con cui sono cresciuto, che si sono accontentate di galleggiare, di tirare a
campare in giorni tutti uguali. Non va ai rassegnati, fermi a scambiarsi le fidanzate, scegliendo tra
chi rimasto spaiato come le scarpe dentro scatole impolverate. A chi crede che per diventare
adulti bisogna caricarsi in groppa i fallimenti di un altro, piuttosto che rilanciarsi insieme in una
sfida. Io non scrivo mandando lettere verso un passato che non posso n voglio pi raggiungere.
Perch se guardo indietro so che rischio di finire come la moglie di Lot, trasformata in statua di
sale mentre guardava la distruzione delle citt di Sodoma e Gomorra. E' questo quel che fa il
dolore quando non ha nessuno sbocco: ti pietrifica. Come se i tuoi pianti, a contatto col tuo
rancore, si rapprendessero in tanti cristalli divenendo una trappola mortale. Allora, quando mi
guardo indietro, l'unica cosa in cui mi riconosco sono le mie parole.
Questo libro va a chi ha reso possibile che Gomorra divenisse un testo pericoloso per certi poteri
che hanno bisogno di silenzio e ombra. A chi ha assimilato le sue parole, a chi si ritrovato nelle
piazze per leggerne delle pagine, testimoniando che la mia vicenda e le mie parole erano diventate
di tutti. Senza di loro non ce l'avrei fatta a continuare a esistere pensando a un futuro. Sapendo
che la mia vita blindata era comunque una vita. Senza i miei lettori non avrei mai avuto le prime
pagine dei giornali, le telecamere in prima serata. Devo a loro se ho compreso l'importanza del
confronto con i media. Quando dietro non ci sono il vuoto, la trama di finzioni che non fanno altro
che distrarre e consolare, ma ci sono la voglia e il desiderio di tanti di sapere e di cambiare, perch
non possono essere usati tutti i mezzi di comunicazione possibili per unificare le forze? Perch
averne tanto sospetto o paura?
Paura. In tutte le interviste, in tutti i Paesi dove il mio libro stato pubblicato, mi chiedono sempre
se io non abbia paura che mi possano ammazzare. "No" rispondo subito, e l mi fermo. Poi mi
capita di pensare che chiss quanti non mi crederanno. Invece cos. Perch la peggiore delle
mie paure, quella che mi assilla di continuo, che riescano a diffamarmi, a distruggere la mia
credibilit, a infangare ci per cui mi sono speso e ho pagato. Lo hanno fatto con chiunque abbia
raccontato e denunciato.
C' una frase di Truman Capote, vera e terribile: "Si versano pi lacrime per le preghiere esaudite
che per quelle non accolte". Se ho avuto un sogno, stato quello di dimostrare che la parola
letteraria pu ancora avere il potere di cambiare la realt. La mia "preghiera", grazie ai miei lettori,
stata esaudita, ma sono anche divenuto altro da quel che avevo immaginato. E questo stato
difficile da accettare, finch non ho capito che nessuno sceglie il suo destino. Per pu sempre
scegliere la maniera in cui starci dentro. E per quanto mi riesca, voglio provare a fare il mio lavoro
nel migliore dei modi, senza sconti e semplificazioni, perch questo ci che sento di dovere a
tutti coloro che mi hanno sostenuto.
Il titolo di questo libro vuole ricordare che da un lato esistono la libert e la bellezza necessarie per
chi scrive e per chi vive, dall'altro esiste la loro negazione: l'inferno che sembra continuamente
prevalere. Ad Albert Camus appartiene una piccola frase apparentemente senza peso. Per me,
invece, ne ha molto perch mi ricorda quanto Giovanni Falcone diceva a proposito della mafia e
del suo essere un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani delimitato da un inizio e da una
fine. Ecco allora quel che scrisse Camus: "L'inferno ha un tempo solo, la vita un giorno
ricomincia".
E' quello che credo, spero, voglio e desidero anch'io.
Per questo se mi invitano a parlare in televisione e so che mi ascolteranno in molti, cerco
solamente di farlo bene, senza sconti, addolcimenti, semplificazioni.
[]
Ormai non temo pi di servirmi di ogni mezzo tv, web, radio, musica, cinema, teatro -, perch
credo che i media, se usati senza cinismo e senza facile furbizia, siano esattamente quel che
significa il loro nome. Mezzi che consentono di rompere una coltre di indifferenza, di amplificare
quel che spesso gi da loro dovrebbe urlare dal cielo.

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