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Il segreto dell’Acciaio

Ma… serve per la massa?

Molto tempo fa lessi nella Sala della Meditazione un articolo di Focus o de Le Scienze sul successo
delle medicine alternative. Questo era dovuto al fatto che il medico “alternativo” ha un rapporto
molto più profondo con il paziente. In altre parole, lo… ascolta.
Il classico dottore, quello della mutua ma anche proprio il “luminare” crea la sua anamnesi del
paziente tramite mezzi strumentali o test clinici e ha perso, progressivamente, la capacità di
ascolto, cosa che ad esempio l’omeopata ha. Molte volte si arriva a livelli paradossali in cui il
dottore ti dice quello che hai e se tu fai notare che ciò che viene detto è in contraddizione con il
proprio stato e che il causa-effetto torna poco… si altera. Addirittura ci sono dottori che sbuffano
quando il paziente ritorna dicendo che la cura non ha funzionato, come se la malattia stessa
volesse mettere in discussione il suo sapere.
Il problema è molto semplice: è impossibile stilare una diagnosi se non si ascolta che cazzo ha da
dire il diretto interessato.
Ho frequentato e conosciuto in profondità molti ambienti sportivi differenti. Con mia sorpresa il
profilo psicologico di colui che “fa i pesi in palestra” è estremamente recettivo ai cambiamenti,
tendenzialmente è disposto a mettere in discussione molte delle sue certezze pur di ottenere il
risultato voluto.
Questa caratteristica latita invece in tantissimi contesti competitivi che basano teoria e pratica
dell’allenamento sulla “tradizione” e sul “si è fatto sempre così”, refrattari al cambiamento a meno
che non venga dall’interno o da fonti sicure. Sperimentazione, intuizione, voglia di andare fuori
dagli schemi sono qualità rare. Banalmente, allenatori che si attengono a quanto detto nei Sacri

Nuova
Nuova
informazione
informazione

Serve
Serve per
per
Si la massa?
la massa? No

Memorizzo
Memorizzo Scarto
Scarto

1
Testi di 30 anni fa, sicuramente ottimi, senza dare nemmeno due click scaci scaci a Google per
vedere che si dice in giro…
Potremmo discutere per ore del perché e addirittura se è come dico io o come dite voi. Offritemi un
drink e sarò lieto di incontrarvi in qualsiasi bar dove potremo anche parlare di temi ben più profondi
quali “la violenza negli stadi” o “è possibile l’amicizia fra uomo e donna”
Il palestrato-che-vuol-capire è perciò propenso ai cambiamenti e mai come nel mondo del “fitness”
c’è un proliferare di metodi e tecniche. Peccato per un piccolissimo particolare che rende questa
propensione estremamente selettiva: gli input che arrivano al suo cervello sono filtrati da un
semplicissimo programmino, due sputi di codice assembler che però girano a priorità altissima
cablati a fuoco direttamente nel kernel del sistema.
Il flow chart precedente descrive questo programma che non si termina nemmeno prendendo a
martellate l’hard disk o sparando nella CPU con una Desert Eagle: non ci sono cazzi, se il palestrato
ha deciso che “non serve per la massa” non spenderà nemmeno due microsecondi del suo tempo,
nemmeno se ne andasse della vita di un parente.

Take-home messages
Per imparare è necessario essere
motivati

Chi è motivato è più


propenso all’ascolto

Ascoltando si
apprendono nuove
informazioni

Che hai
Hai detto?
capito?

2
In questo pezzo descriverò le conseguenze pratiche del Segreto dell’Acciaio. Serve per la massa?
Non lo so e manco mi frega perché se ragionate così la vostra conoscenza non evolverà di un
millimetro e rimarrete ancorati ai soliti tre o quattro ragionamenti, un po’ come quelli che hanno
letto Tecnica d’allenamento con i pesi di Stuart McRobert e per loro questo è il testo
omnicomprensivo del Sapere Biomeccanico Universale.
Sono interessato, perciò ascolto
In tutti i testi di apprendimento, motorio o meno, un punto cruciale è la motivazione, il voler capire,
comprendere, applicarsi. Perché voi possiate imparare qualcosa dovete volerlo. Non solo: dovete
essere curiosi di provare, di mettervi in gioco.
Si sentono tanti discorsi sulla “testa” e le “palle”, sulla mentalità vincente bla bla bla. Bene: in
questo caso ciò che serve non è l’atto eroico a fine partita, ma proprio il volersi interessare nello
spogliatoio della strategia della gara.
Tutto questo aumenta la recettività della vostra mente. Non occorre essere dei geni per capire che
una persona demotivata o svogliata manco ascolterà quello che dite, ma se non ascolta… cosa va a
finire in quella testaccia? Cosa processa quel cervello se le informazioni in ingresso non ci sono?
Il problema è però più sottile. Se manca la voglia di mettersi in gioco, la curiosità, tutte le
informazioni saranno filtrate per determinare dove siano in difetto, dove vadano in contraddizione
con il vissuto personale come se questo contrasto fosse un attacco alle proprie sicurezze.
L’informazione sarà distorta e l’apprendimento fallirà. Non solo è necessario ascoltare, ma anche
ascoltare senza giudicare se non alla fine.
Per questo motivo, prego i seguenti soggetti di evitare di leggere:
 Quelli che vivono l’allenamento come una battaglia personale contro tutti quelli che non si
allenano come loro. Cercheranno solo le differenze con le proprie idee, amplificandole
negativamente e non vedendo invece le similitudini. Perdono così l’occasione di integrare le
differenze a partire dalle uguaglianze, arricchendo il loro personale bagaglio. Si
arroccheranno sulle loro posizioni difendendo l’indifendibile.
 Quelli che vogliono solo risultati pratici, immediati, spendibili. Quelli che hanno fretta di
ottenere qualcosa. Parcellizzeranno tutto il testo in una serie di caselline etichettate “questo
mi serve”, “questo non mi serve” come una specie di elenco di dritte. Così facendo si
concentreranno sul particolare perdendo di vista la visione generale e la “dritta n°5” (o il
“tip #5” se volete) andrà irrimediabilmente in contraddizione con la “dritta n° 64”.
 Quelli che leggono e pensano “questo lo so già”, un mio difetto tipico. In ogni testo,
specialmente in quelli che scrivo io, è difficile trovare delle grandi novità. Su 100 nozioni
solo 2 saranno veramente “nuove”. Però filtrare le informazioni con “questo lo so già”
significa che quando le due novità passeranno sotto gli occhi non verranno viste, garantito. Il
meccanismo è una forma di pregiudizio, pre-giudizio: giudicare prima. Prima di conoscere
veramente la fine ho già dato la mia opinione, ma… la fine non la conosco.
 Saccenti, strafottenti, boriosi, presuntuosi, gente che non è capace a dire “ok, scusa ho
sbagliato”. Non perché non apprenderebbero ma semplicemente perché mi stanno sui
coglioni i tipi così. “Scusarsi” è una forma di “forza” d’animo, non di “debolezza”: è più
difficile ammettere i propri errori che evidenziare quelli degli altri. Chi non si scusa mai è
per me, fondamentalmente, un insicuro.
Perciò, respirone… fatto? Ok, leggete e magari qualcosa vi servirà. Forse, “per la massa”. Di sicuro,
“per la forza”.

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Motor learning
E’ possibile affrontare l’argomento “apprendimento motorio” in due modi: induttivo partendo dal
basso, dagli effetti, e risalendo verso le cause, deduttivo partendo dall’alto, dalle cause, e scendendo
verso il basso verso gli effetti.
Sebbene ami la prima strada perché evidenzi meglio il percorso di conoscenza, ho stavolta preferito
la seconda: vi ho triturato i testicoli con tutta la pizza su come il cervello memorizza le
informazioni, adesso è del tutto banale liquidare l’apprendimento motorio, garantito.

Richiamiamo il Segreto dell’Acciaio ™©® (l’uso non autorizzato del marchio comporta la
fucilazione sul posto dopo dolorose torture fisiche): il cervello è allenabile, cioè le esperienze lo
cambiano. La memoria è la formazione nel cervello di “tracce neurali”, connessioni fra neuroni e
alterazione della chimica di queste connessioni: il cervello è plastico e si adatta all’ambiente per
sopravvivere.
Vi presento nel disegno seguente uno schema molto famoso quando si parla di apprendimento
motorio o motor learning.
Lo schema rappresenta l’esecuzione di un movimento complesso. Sembra difficile, per questo ho
messo un sacco di disegnini, come si fa con i bambini piccoli o con i giapponesi per intessarli
all’argomento (alla fine anche uno zuccherino, come ai cavalli). Immaginate di stare eseguendo uno
squat e mettete un dito sulla casella programma motorio:
 Dovrebbe essere abbastanza intuitivo che il movimento del vostro corpo è gestito da una
specie di “programma”, nel senso che il gesto complessivo è la somma coordinata di tanti
piccoli gesti: i glutei indietro, la schiena contratta e così via. Di sicuro non alzerete la gamba
destra o a metà discesa toglierete le mani dal bilanciere: esiste una “regia”, che è
direttamente nella nostra testa.

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Memoria

Scelta del programma


motorio Cosa andava
fatto

Programma
Cosa deve
motorio (schema)
essere fatto

Midollo spinale
Cosa è stato
fatto

Informazioni sulla forza e


Muscoli
lunghezza dei muscoli

Informazioni sulla posizione


Movimento
delle parti corporee

Informazioni visive
Ambiente
ed uditive
I
 l programma impartisce le proprie direttive inviando “ordini” attraverso il midollo spinale
(muovete il dito più in basso, non addormentatevi perché non lo dirò più, fate finta di
giocare al Gioco dell’Oca). Vi è una semplificazione nel senso che il programma “gira”
anche nel midollo spinale, ma per ciò che ci riguarda va bene così.
 Gli ordini arrivano ai muscoli e il movimento inizia, interagendo con l’ambiente. In questo
caso il bilanciere che scende.
Notate come il fatto di compiere un gesto sotto l’azione di ordini motori comporti l’attivazione di
tutta una serie di sensori che forniscono informazioni:
 L’ambiente attiverà una risposta uditiva o visiva, tramite i nostri sensi. Nel nostro caso,
vedere che ci stiamo abbassando e che le barre del rack scorrono ai lati della nostra visuale.

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 Il movimento stesso fornirà indicazioni sulla posizione spaziale delle nostre singole parti
corporee.
 I muscoli, i tendini e le articolazioni segnaleranno il loro stato di tensione interna tramite i
propriocettori quali gli organi del Golgi o i fusi neuromuscolari.
Queste informazioni sono dette di ritorno perché proprio tornano indietro tramite le terminazioni
motorie sensive risalendo la spina dorsale per entrare nel cervello: tornare indietro, feedback.
L’intero set informativo costituisce ciò che si chiama “cosa è stato fatto” (non lo trovate sui libri, è
una mia idea…) ed un ingresso del sommatore rosso con il “+” dentro. Il sommatore confronta
cosa “è stato fatto” con “cosa andava fatto” per generare l’ordine successivo, il “cosa deve essere
fatto” necessario per la scelta del successivo programma motorio e… il ciclo riprende.
Il disegno costituisce un cerchio perché tornate al punto iniziale con un nuovo comando: cerchio,
loop. Il movimento è a catena chiusa o closed loop.
Tutti i movimenti che eseguiamo in palestea sono a catena chiusa perché vi è un continuo controllo
della traiettoria essendo svolti lentamente a causa del carico elevato. La caratteristica fondamentale
di un movimento a catena chiusa è il fatto che l’effetto influenza la causa, permettendo di riprendere
eventuali situazioni anomale e di correggere se possibile le traiettorie.
I movimenti balistici sono invece a catena aperta: la velocità elevata impedisce il controllo della
traiettoria con il ritorno delle informazioni e infatti ciò che conta in questo tipo di movimenti è
settare bene le condizioni iniziali per poi eseguire il tutto più velocemente possibile, partendo dal
presupposto che se “parto bene” il risultato non può che essere ciò che voglio.
I movimenti a catena chiusa o a catena aperta caratterizzano anche i vari stadi dell’apprendimento.
Quando imparate un movimento nuovo state attenti a ciò che fate, cioè controllate che gli ordini del
vostro cervello determinino l’effetto che cercate, proprio secondo lo schema descritto. Quando
invece il movimento è stato assimilato lo eseguite con minor attenzione alle informazioni di ritorno,
in automatico.
Ora, secondo me questo tipo di distinzione è un errore didattico perché induce il lettore in un
pericoloso errore: se riesco a fare uno squat pensando a finire la serie piuttosto che alle singole
ripetizioni il movimento è comunque closed loop poiché il controllo dello “stato” dell’atleta avviene
lo stesso dato che i sensori sono sempre attivi e forniscono informazioni.
Solamente movimenti estremamente veloci, più veloci del tempo di risposta dei sensori e di
attuazione degli ordini, possono essere considerati veramente open loop, ma sono molto meno di
quanto si possa pensare.
Amici martellisti mi raccontavano che durante un lancio riuscivano a percepire la correttezza
dell’assetto per poterlo in qualche maniera correggere prima che il martello schizzasse via.
Tentavano di correggere un errore in partenza: quando atleta e martello girano quest’ultimo deve
sempre “stare dietro” l’atleta perché ciò significa che è l’atleta che comanda e non la palla di ferro.
Analogamente i saltatori in alto, con l’asta, triplisti e saltatori in lungo capiscono benissimo se
l’istante della spinta a terra è “good” or “bad” e adattano la traiettoria in aria per quanto possibile.
Non fatevi fregare, i movimenti closed loop, a feedback o retroazionati sono quanto di più potente
esista in Natura. La Natura stessa è closed loop, perché l’effetto di una causa è causa di un nuovo
effetto…
Un programma motorio
A questo punto nella classica trattazione dell’apprendimento motorio inizierebbe una lunga
trattazione su cosa sia un programma motorio, mentre noi liquidiamo questo in 30 secondi.

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Un programma motorio è l’attivazione di una serie di tracce neurali, di percorsi dentro la corteccia
cerebrale e il midollo spinale dovuti ai sensori esterni che permette l’invio degli ordini agli organi
motori. Fine. Punto.
Come si crea un programma motorio? Ripetendo il movimento tante volte quanto è necessario
perché si formino nuove connessioni che permettano di organizzare al meglio ciò che è richiesto.
Anche qui, fine, punto.
Spero di riuscire a comunicare questo messaggio: allenare un movimento è alterare il proprio
Sistema Nervoso come avviene in un qualsiasi fenomeno di apprendimento. In questo caso
l’alterazione è dentro la corteccia motoria e l’allenamento diventa un caso particolare di
apprendimento.
Practice makes you perfect?
Tutti conosciamo il detto “la pratica rende perfetti”: la pergamena virtuale ne è la rappresentazione
ingegneristica con le forme per i bambini piccoli. Il programma neurale si crea ripetendo il
movimento e confrontandolo con un movimento di riferimento, fino a che “non viene bene”.

Start
Start

Provare
Provare
l’esercizio
l’esercizio

Tecnica
Tecnica Modificare
Modificare
ideale
ideale

Analizzare
Analizzarelele
differenze
differenze

La
Lamia
mia No
tecnica
tecnicaèè
“ottima”?
“ottima”?

Si

Stop
Stop

7
Si può notare come l’apprendimento stesso sia un processo closed loop di continuo confronto fra
ciò che è stato fatto e ciò che si sarebbe dovuto fare. Molti temono gli “errori” cioè il non eseguire
un movimento in maniera corretta, ma in realtà gli “errori” sono un fenomeno inevitabile: l’”errore”
è semplicemente una differenza con il riferimento preso, ed è necessario per avvicinarsi a questo!
Se non esistessero queste differenze sarebbe impossibile apprendere, perciò è possibile affermare
che gli errori siano necessari o, estremizzando, che non esistono errori ma solo opportunità di
miglioramento!
Problemi
Per quanto lo schema esemplifichi ciò che tutti facciamo, nasconde al suo interno una serie di
subdole finezze che sono la causa del mancato raggiungimento della “perfezione”.
Un primo problema è che, ovviamente a mio avviso, le implicazioni dei concetti descritti non
vengono spiegate correttamente allo studente, impedendogli di comprendere veramente la portata
delle problematiche.
Apprendimento

Incremento

Forza
forza

AA

BB Contributo sistema
CC
nervoso
Contributo
ipertrofia
0 t 0 t

Nei vari studi sull’apprendimento motorio troviamo spesso questi tipi di grafico. A sinistra le
“curve di apprendimento”. E’ relativamente facile quantificare l’apprendimento di uno schema
motorio ad esempio contanto il numero di “gesti” eseguiti correttamente sul totale dei gesti: più
questo numero aumenta, più si è appreso bene il movimento.
La curva B è tipica dell’apprendimento di movimenti complessi: all’inizio i gesti sono “scorretti”
perché si devono proprio apprendere le basi, poi tutti noi abbiamo sperimentato una impennata di
miglioramenti con una successiva decrescita. Ciò avviene perché superata la primissima fase in cui
è necessario apprendere la coordinazione di base, quando si è formata una prima traccia motoria
ogni successiva ripetizione porterà a rinforzarla sempre di più, fino a che non si sarà stabilizzata
nella nostra corteccia. A quel punto il movimento è appreso e non ci sono più differenze esecutive.
A destra un altro classico grafico che mostra ciò che tutti sappiamo: i miglioramenti iniziali sono
dovuti a potenziamenti neurali, quelli successivi a potenziamenti ipertrofici. Come si suol dire, la
massa viene dopo la forza.
Il problema di queste rappresentazioni è che forniscono un modello semplice da ricordare ma…
sbagliato perché parziale. Sembra, cioè, che il processo sia continuo ed uniforme, una bella S et
voilà, si impara e poi… poi o massa o si è raggiunto il proprio limite. Sull’asse del tempo che unità
di misura c’è? Secondi o eoni?
Superata la fase iniziale in cui in qualsiasi movimento siamo al livello “bradipo brocco” in palestra
iniziano i miglioramenti dovuti proprio alla pratica dei movimenti.
Questi, spiace dirlo per coloro che pensano che facendo due cagate di squat o di panca di essere dei
veri guerrieri, sono molto semplici rispetto ai gesti della ginnastica, del balletto o delle arti marziali
dove risulta evidente a tutti che serva molto tempo per raggiungere un livello di decenza minimo.
8
Forza
Forza

… e arriviamo
Pensiamo di qua!
essere qui…

Per anni siamo


qui…

… cambiamo
qualcosa…
0 t 0 t

… in realtà
siamo qui!
Non solo: essendo la palestra una attività non codificata in cui la mediocrità imperversa senza freno,
arrivati ai primi 100Kg di panca storta si pensa di essere sulla cima della S, quando invece siamo
del tutto dall’altra parte, come illustrato nel grafico qua sopra a sinistra dove ho sostituito
l’apprendimento con la forza: se la nostra forza aumenta, infatti, abbiamo appreso come utilizzare
meglio il nostro corpo per quello che ci interessa.
Non solo: può capitare che ristagnamo per anni sempre agli stessi livelli poi… bang, cambiamo
qualcosa come a destra e la nostra forza migliora. Ciò significa che l’apprendimento motorio era
ben lontano dall’essere concluso!

280 12
270

260
10
250

240
8
n° ripetizioni
Massimale (Kg)

230

220
6
210

200

190 4
180

170 2
160

150 0
2

1993 - 2008 -
9

0
19

19

19

19

19

19

19

19

20

20

20

20

20

20

20

20

20

20

240Kg 1x1 240Kg 10x1

Chiaramente io non ho dati statistici alla mano, posso solo portare la mia esperienza che però trova
spiegazione all’interno di questo modello:
 A sinistra l’andamento del mio massimale di stacco solo cintura negli anni: dopo un picco
terrificante una lunghissima stasi, poi il bang!
 Se il miglioramento è stato importante sul massimale, è sul volume di lavoro, cioè sul carico
di allenamento che il salto è ancora più impressionante, come mostrato a destra: nel 2008
sono riuscito ad usare il carico massimale del 1993 per ben 10 volte di fila nell’arco di
mezz’ora, un miglioramento del 1000%
Perché questo comportamento? Torniamo alla pratica che rende perfetti: per ottenere un
miglioramento è necessario che siano a puntino i contenuti di tutte le casell.

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Per prima cosa, è necessario avere ben chiara quale sia la tecnica ideale: se non voi, il vostro
allenatore ma qualcuno deve capire quali siano i principi biomeccanici del movimento. Se così non
è tutti noi ci limiteremo a “la schiena nello stacco deve stare dritta” senza capire che è invece
necessario tenere compattati i dischi vertebrali contraendo tutti i muscoli paravertebrali.
Conoscere la tecnica corretta è una competenza che si acquisisce solo se si è a contatto di persone
competenti nell’ambiente, solo se si vuole andare oltre il normale bagaglio di conoscenze. Non
voglio che pensiate che io mi ritenga competente, però vi posso dare alcune dritte che permettono di
far capire se l’interlocutore con cui guardate un video o un atleta è competente , anche se voi siete
assolutamente digiuni della materia:
 Deve essere in grado di farvi capire la logica del movimento in maniera chiara fornendovi
informazioni superiori alla semplice banalità.
 Deve essere in grado di farvi notare particolari che voi non avete notato.
 Non solo, dopo dovete essere in grado di percepirli autonomamente in tutti i seguenti
movimenti: ciò significa che vi hanno descritto degli aspetti del movimento che
effettivamente si ripetono.
 Deve essere in grado di evidenziare i possibili errori spiegandovi il perché essi accadono e
come evitarli. La spiegazione deve seguire un filo logico, nel senso che osservando una serie
di movimenti di persone diverse deve essere possibile evidenziare i pregi e i difetti di ogni
esecuzione.
Che sia motocross, pesca subacquea, sollevamento olimpico o freeclimbing “uno che le cose le sa”
riesce a spiegarvi con semplicità perché e come certe cose succedono senza annodarsi.
L’analisi delle differenze fra ciò che fate voi e la tecnica ideale è direttamente collegata alla
conoscenza della tecnica ideale stessa: la conoscenza della tecnica ideale è una condizione
necessaria per riuscire a capire in cosa la personale tecnica si discosta.
Non è però sufficiente. Ciò che manca è qualcosa di banale, così banale che mi vergogno a
scriverlo: è indispensabile riguardarsi. Noi lifters domenicali non abbiamo mai un allenatore, siamo
allenatori di noi stessi. Come capire ciò che stiamo facendo se non ci riguardiamo?
Il motivo fondamentale per cui io sono migliorato è stato il calo del prezzo delle videocamere
MiniDV: la prima volta che vidi un mio stacco… rabbrividii!
Oggi con le webcam a basso costo e la possibilità di fare video con cellulari da 3 euro è possibile
per tutti mettere in pratica lo schema in maniera corretta. Il problema è che tutti guardano e
commentano i video degli altri e mai i propri.
Perfect practice makes you perfect!
Il punto è che solo così è possibile modificare ciò che si discosta dalla tecnica ideale e… migliorare.
Perciò, non è un problema di volume di allenamento né è vero che la pratica rende perfetti: è la
pratica perfetta che rende perfetti!
Dovete ficcarvi questo in testa: l’esecuzione ripetitiva di un movimento porta alla creazione di uno
schema nel vostro cervello. Questo accadrà comunque. Se voi imparate un movimento di merda, la
traccia neurale permetterà solo la ripetizione di un nuovo movimento di merda, anzi, lo consoliderà
sempre di più tanto che per voi quello sarà il movimento corretto.
Più voi pensate che state facendo bene, meno sarete propensi a mettervi in gioco, più difficile sarà
distruggere lo schema mentale preesistente per costruirne uno nuovo: se ritornate indietro al
processo di memorizzazione, il vostro cervello confronta una esecuzione con quella che ha
assimilato.

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Se lo schema è sbagliato è necessario resettarlo del tutto, distruggerlo per ricrearlo. Per far questo
esisterà un periodo transitorio in cui per forza di cose “peggiorerete” perché state facendo svanire la
vecchia traccia ma quella nuova non è ancora pronta: a tutti scoccia peggiorare, perciò questo
processo non lo attua quasi mai nessuno, attribuendo alla genetica o a problemi posturali ciò che
invece è la creazione di una traccia sbagliata nella propria testa.
Questo è ciò che è successo a me ma poiché sono un essere umano basato sul carbonio come tutti
voi, questa è di sicuro la spiegazione più convincente per i fallimenti di tutti gli altri.
Dual Factor Theory… again!

Allenamento

Fitness

Preparazione

Fatigue

La Dual Factor Theory è l’evoluzione della Supercompensazione. Sono convinto che fra qualche
anno qualcuno la spaccerà per una incredibile novità tirando fuori forme di allenamento assurde.
A seguito di un allenamento il livello di preparazione ha prima una decrescita per poi risalire oltre
il livello iniziale. E’ un modello macroscopico che cerca, come per la Supercompensazione, di dare
una spiegazione agli effetti dell’allenamento.
La particolarità di questa teoria è che l’effetto dell’allenamento non è monolitico come per la
Supercompensazione (mi stanco, “compenso”, “supercompenso” per poter resistere ad uno stimolo
ulteriore) ma suddiviso in due componenti: fitness, la componente di miglioramento, fatigue, la
componente di fatica.
La teoria stabilisce perciò che il miglioramento c’è sempre, solamente è coperto dalla fatica. Per
ottenere una prestazione è necessario dissipare la fatica per dar modo al miglioramento di
manifestarsi.
Una teoria del genere è, passatemi il termine, neurofisiologicamente molto più plausibile della
Supercompensazione: l’effetto dell’allenamento è una variazione della configurazione del Sistema
Nervoso che avviene sempre. Se l’allenamento permette il perfezionamento del gesto tecnico
(tecnica ideale, analisi delle differenze bla bla bla) il Sistema Nervoso varierà “migliorando”.
Pertanto, a seguito di ogni allenamento il miglioramento è sempre presente!

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La Supercompensazione invece non riesce ad inquadrarsi in questo contesto: essendo monolitica a
seguito di un allenamento c’è solo un peggioramento ma questo cosa implica? Che il mio Sistema
Nervoso peggiora?
Chiaramente l’allenamento comporta il drenaggio delle risorse organiche: accumulo di scorie
metaboliche, microlesioni, sbilanciamenti elettrolitici e tutto quello che macroscopicamente si
chiama fatica.
Perciò l’allenamento è di fatto un equilibrio: il massimo stimolo che l’organismo può tollerare.
Pertanto, per migliorare devo allenarmi quanto più frequentemente e intensamente possibile per
cablarmi in testa gli schemi motori che mi servono ma compatibilmente con le disponibilità delle
mie risorse organiche.
Sovra-allenarsi significa andare in riserva con tutte le conseguenze del caso non ottenendo od
ottenendo meno delle aspettative, sotto-allenarsi significa non fornire lo stimolo corretto, anche in
questo caso non ottenendo o ottenendo meno.
Il talento è sopravvalutato
“Si ma lui è geneticamente portato”, “si ma io sono un ectomorfo”, “si ma la forza è per il 70%
genetica”. Mi sono imbattuto in uno studio molto interessante: “The Role of Deliberate Practice in
the Acquisition of Expert Performance”, un mattone di 44 pagine anche un po’ classista.
In sintesi, emerge da questo studio che in quasi tutti i campi ciò che al “pubblico” sembra essere
talento in realtà è la manifestazione di anni ed anni di pratica secondo quelli che sono i canoni che
ho descritto. Il livello di performance dei violinisti d’elite (non i primi 10 al mondo, ma i primi 10
delle più importanti scuole) è oramai tale che Paganini sarebbe fuori da qualsiasi selezione e così
negli scacchi o nel balletto. Se ci pensiamo, è così in qualunque sport.
E’ vero, il talento è fondamentale. Ma oramai ad ogni livello le competizioni non vengono più vinte
da emeriti sconosciuti: il top è raggiunto da talenti che si allenano proprio ricercando la perfezione
in ogni aspetto del loro gesto atletico e la genetica ha a quei livelli un ruolo marginale dato che è
una costante per tutti (come il doping, perciò toglietevi quel risolino idiota dalla bocca…)
In palestra la genetica è sopravvalutata perché il livello di apprendimento motorio è scarsissimo e i
risultati prestativi considerati come di rilievo sono invece mediocri se confrontati con le giuste scale
di riferimento.
La massa è dettata dalla genetica, la forza molto meno. Infatti la forza migliora tantissimo mentre la
massa molto meno.
Però perché la forza migliori è necessario purgare via dalla propria testa strati e strati di guano
neurale, incrostato da anni ed anni di pratica sbagliata e di nozioni errate.

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