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“Verbali” volant

La Commissione grandi rischi, riunita prima del terremoto, si chiuse


senza un testo scritto. Il documento fu firmato dopo il sisma.
L’accusa del sismologo Enzo Boschi

di Manuele Bonaccorsi - 11 dicembre 2009

«Ridicolo. In tanti anni non ho mai visto una riunione del genere della Commissione grandi
rischi. Chiusa in appena mezz’ora, senza neppure un testo scritto. Il verbale dell’incontro è
stato firmato solo il 6 aprile, a terremoto avvenuto». Chi parla è Enzo Boschi, presidente
dell’Ingv (Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia) e decano della sismologia in Italia.
E l’argomento dell’intervista che Boschi ha rilasciato a left, proprio mentre si parla
dell’intenzione di Bertolaso di sottrarre all’istituto la gestione della rete di rilevazione
sismica, è a dir poco scottante. Potrebbe interessare, ad esempio, al procuratore della
Repubblica de L’Aquila Alfredo Rossini, che cura l’inchiesta sui crolli causati dal sisma del 6
aprile e segue il filone d’indagine dedicato alla riunione della commissione Grandi rischi
del 31 marzo. Filone aperto in seguito all’esposto di un avvocato aquilano, Antonio
Valentini. Ipotesi di reato: mancato allarme.

Ma andiamo con ordine. Il 31 marzo il capo della Protezione civile Guido Bertolaso indice
una riunione della commissione Grandi rischi, che secondo la legge è il massimo «organo
consultivo e propositivo del Servizio nazionale della Protezione civile su tutte le attività
volte alla previsione e prevenzione delle ipotesi di rischio». L’incontro viene indetto in
seguito ai due terremoti del IV grado Richter che colpiscono L’Aquila il 29 e il 30 marzo.
«Credevo che avremmo fatto le ore piccole. In questi casi, dinanzi a gravi eventi, in una
zona tra le più a rischio d’Italia, la commissione si conclude solo dopo aver preso una
decisione all’unanimità, messa nero su bianco in un verbale», racconta Boschi. «In una
riunione in genere il verbale viene approvato alla riunione seguente. Ma questo non ha
senso per la commissione Grandi rischi. Da sempre, quando l’incontro viene convocato su
un preciso evento, il verbale è firmato subito», spiega Boschi. Il motivo è semplice: dalle
analisi della commissione può dipendere la sicurezza di intere comunità. Il 31 marzo,
invece, l’incontro appare più una riunione di condominio. Manca Guido Bertolaso, che in
quel periodo è impegnato nella preparazione del G8 della Maddalena. Sono presenti il
vicepresidente della commissione Barberi e il vice di Bertolaso Bernardo De Bernardinis.
Sin dalle prime battute si intuisce che l’incontro è stato indetto per tranquillizzare la
popolazione. «Sono le 18:45 quando De Bernardinis prende la parola e apre la riunione ma
poco prima delle 19.30 la chiude d’un tratto. Senza una delibera, senza un verbale.
Rimango stupito, mi sembrava che non si fosse neppure iniziato, la sala era piena di
persone che non conoscevo, amministratori locali, credo», racconta Boschi. «Solo in
seguito ho saputo che l’interruzione era dovuta alla conferenza stampa a cui non ero stato
invitato», precisa il sismologo.

Sette giorni dopo, il terremoto sveglia nella notte tutto il centro Italia. I sismologi partono
per L’Aquila per valutare la situazione. I professori Barberi, Calvi, Eva e il direttore
dell’ufficio sismico della Protezione civile Mauro Dolce, tutti componenti della
commissione, si riuniscono a L’Aquila. Sono le 16.30. «All’inizio della riunione, Dolce mi fa
vedere gli appunti dattiloscritti dell’incontro del 31, lo stesso fa con Barberi, che li
corregge. E poi tutti firmiamo. Credevo si trattasse di una formalità ma era ridicolo firmare
quel foglio a terremoto avvenuto». Subito dopo si svolge una seconda riunione della
commissione, che dura molto poco, il tempo di stilare un nuovo verbale nel quale si
ribadisce l’«impossibilità di prevedere un singolo evento sismico». Poco dopo «la
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Protezione civile nazionale rilascia un comunicato, che viene ripreso dall’agenzia Asca:
«Terremoto: Bertolaso, da commissione Grandi rischi nessun allarme», il titolo. Il capo della
Protezione civile spiega: «Avevo chiesto la riunione perché volevo un momento di
confronto. Dopo c’è stata una conferenza stampa in cui il professor Berberi e il professor
Boschi hanno esaminato tutte le informazioni e hanno stabilito che non era assolutamente
prevedibile alcuna situazione di terremoto più violenta di quelle che erano state
registrate».

«Falso, tutto falso - riprende Boschi. Cercano un capro espiatorio. A quella conferenza
stampa non c’ero, lo sanno tutti. Non scherziamo, dal 1999 all’Ingv sosteniamo che la zona
aquilana è una di quelle a maggior rischio. L’Aquila si trova in un territorio che in un nostro
studio abbiamo definito “lacuna sismica”, una tra le quattro zone dove la possibilità di un
sisma di vaste proporzioni è più probabile. In quella riunione io non ho né allarmato né
tranquillizzato. Sarei folle ad andare in una zona che il mio istituto definisce ad altissimo
rischio a tranquillizzare tutti». Continua Boschi: «Certo, la riunione non doveva svolgersi in
quel modo. Ma, per favore, non date la colpa agli studiosi. Noi possiamo dare indicazioni di
massima mentre i politici scaricano le responsabilità sui sismologi. Se il terremoto del 6
aprile ha procurato danni così gravi la colpa è dei costruttori, che non hanno seguito le
norme. E dei politici locali, che erano a conoscenza degli studi, quello di Abruzzo
Engineering ad esempio, che segnalava con precisione gli edifici a rischio». Di quella
riunione, evidentemente, non tutti si fidavano. Tanto che pochi giorni dopo, il 2 aprile, il
sindaco Massimo Cialente invia alla Protezione civile un telegramma, chiedendo di
dichiarare lo Stato di emergenza a L’Aquila. Il giornali ne danno notizia il 18 aprile. Lo
stesso giorno Berlusconi dichiara: «Il giorno prima di quel telegramma il governo aveva
riunito la commissione Grandi rischi, che ha avuto un sessione lunga finita con un verbale
dove si dichiarava che non c’era alcuna possibilità di prevedere il sisma. Questo dimostra
l’efficienza della Protezione civile di cui dobbiamo essere fieri e orgogliosi». Peccato che la
«lunga sessione» fosse durata poco più di mezz’ora e che il «verbale» di cui parla il
premier fosse stato redatto solo dopo 7 giorni. E trecento morti.

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