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1

POESIE
DI-

IPPOLITO NIEVO.

POESIE
DI

IPPOLITO NIEVO
SCELTE E PUBBLICATE
DA

RAFFAELLO BARBIERA
CON PROEMIO.

SUCCESSORI LE MONNIEU.
1889.

Propriet degli p]ditori.

PREFAZIONE.

Se

Lucciole

il

d'

tempo

scintillare e \

stesso caro

galantuomo,

Amori garibaldini deWo

poeta faranno riamare

poesia degli entusiasmi.

Cos dicevo tempo


il

la

fa,

esprimendo

desiderio che fossero ripubblicati

migliori

le

Ippolito Nievo torneranno a

versi del Nievo, dimenticati

dai pi; e rivoltomi all'uopo all'egre-

editrice

Mantova e alla casa


Le Monnier la quale gi avea

regalato

all' Italia le

gia famiglia Nievo a

sioni

questa
tare

il

meditabili Confes-

d'un ottuagenario, ricevevo da


1'

onorevole compito

di

appron-

volumetto che adesso vede

la luce.

PREFAZIONE.

VI

Mi parve un momento che da quel


mare Tirreno, ove miseramente

perfido

e cosi giovane

si

spense, risorgesse

il

simpatico poeta mantovano, e colla sua


aria battagliera, col suo

amore per

le

cose belle, col suo mesto sorriso dicesse

Anche oggi potrei combattere;


anche oggi potrei levare un canto di
fede; anche oggi potrei ridere dolente
((

di tante miserie.

Ed

Lasciatemi rivivere!

ecco pertanto

le

sue pi note-

voli poesie, nelle quali sta l'essenza del

suo spirito.
Il Nievo visse in un' epoca di penosa e squallida transazione: gli ardimenti del quarantotto parevano finiti

per sempre:

miracoli del cinquanta-

nove non parevano


aria

s'

possibili

e solo per

intravedea dalle pupill pi in-

tente qualche cosa che annunciava a

una prossima risurrezione.


Il Nievo fu l'accorato poeta

di tale

epoca. Nelle sue Lucciole egli punge


pusilli e

zio di

dormenti,

tomba che

l'

si

lagna del silen-

attornia, e

con libero

PKEFAZIONE.

VII

sfogo preludia ai tempi novi, nella cui

aurora egli doveva brillare ahim

solo

un momento.

....

Ignoti canti

Mugghiarmi odo nel cuor, qual

di rubella

Possa che insorga a tenebrosa speme

E intollerante de' vigliacchi giorni


Ad altro si prepari ordine d'anni.
Cosi scriveva

Nievo:

il

e la stessa

forma un po' nebulosa un po' apocalittica di questi versi accenna ai crepu,

tempo. All'amico
Arnaldo Fusinato, scriveva con mag-

scoli confusi di quel

gior chiarezza,

ma

collo stesso intendi-

mento:
I

posteri otterran quello ch'io canto!

soggiungeva sdegnoso:

Torcono

il

grugno e dicono:

Strana superbia per

si

Deh quale

scarso effetto

Tanto scalpor per mezzo madrigale


0 per qualche nebbioso apologhetto!
Arnaldo, essi non san che pietra e fango

Ergono

al ciel le torri. Io

li

compiango!

PREFAZIONE.

vili

umorismo nella lirica


a mio parere, con

L'

italiana

Ippolito

fiorisce,

Nievo. Parlo dell'umorismo

vero,

della
della

come

dizio l'elevazione del dolore,


1'

divario

fra

l'uno e

Giusti satirico

sue liriche, c'


sino

ma
il

alla

Qualche

l'altra!

volta, ne' versi d' Ippolito

schietto

la

elevazione della critica. Qual

satira

il

di

non gi
celia pura e semplice, non gi
satira. L' umorismo a mio giu-

quello eh' sorriso e lagrima

Nievo

nell'

si

sente

insieme delle

Nievo, egli stesso,


crudezza, genuino

sue finezze e originale nel suo

colle

umorismo. Anche il Giusti trae dallo


sdegno il mesto riso, ma la mestizia
ridente di

lampi
frusta

si
,

di lui

Si

cui

egli parla, solo

di lui

che

il

critico pi elevato

che, in una parola, satirico.

pu dire ancora che

1'

fiore nato dalle rovine; e

sempre che qualche parte


l'

le gioie

Eppure r umorismo

umorismo
si

suppone

del cuore del-

umorista sia rovinata: che

siano spente, che


rie.

a rari

palesa in lui che fa sibilare la

d'

le illusioni

siano

memo-

Ippolito Nie-

,,

PREFAZIONE.

IX

vo accompagnato dalla avvivatrice speranza giovanile;

il

suo unfiorisnio non

rassomiglia a nessun altro. Nessun

umo-

rista

vero rassomiglia ad altro umori-

sta,

perch

il

sorriso e la malinconia

hanno sfumature
del Nievo sgorga

infinite.

sangue del giovane eppur


re;

amaro

L'umorismo
come

a stilla a stilla

ma non

forte

suo cuo-

lascia amareggiati;

male d'oggi, ma
di domani.
Non t' irrita ti eccita; ti fa vergognare
ma non li avvilisce. Quel riso melanconico e sdegnoso figlio non d' un
vi senti la tristezza pel

anche

la

speranza pel bene


,

cuore spostato o malato, come quello


della

maggior

parte

degli

umoristi

ma

d'un animo bench dolente, ancor


sano, e buono, che vuol renderci sani
e buoni. Dolente era certo chi scriveva

.... non io condanno


Lo spasso che prendea da mane a sera
Sulle mosche un tiranno:
Pi illustre opra non merta e pi severa
Quest' esilio nel fango.

Pur le

mosche compiango!

PREFAZIONE.

Esilio nel fango!

parola

esilio

Quest'amara

corre spesso sulle lab-

bra del poeta. L' Ultimo

esilio la

importante

bench qua

l,

lirica di lui,

pi

per dirla con una frase dantesca,

materia

sia

rimasta sorda alla volont

La forma

del poeta.

e
la

difatto

(come

in

quasi tutte le liriche del Nievo) fa pensare allo smarrimento della


cui parla con

insolito

pardi, ricco possessore

me.

Neil'

Ultimo

gura Dante

il

ancora

il

sita

cervello del

lima, di

scherzo
di

esilio,

il

Leo-

magiche

il

poeta

li-

raffi-

quale dopo sei secoli

vi-

mondo, e pi di tutto il
mondo come oggi, con una
chiama

frase fortunata di Vittorllugo,

si

ormai Parigi. Tu

l'austero

lo

senti

poeta che, congiunto all'ombra di Antonio Rosmini, inveisce addolorato contro la societ

moderna, nella quale non

vede alcuna anima grande.

singhiozzando:

Artefici,

Disse, qui veggo e macchine:

Ma un'anima

perdio! chi

me

Pecore avanti!... un'anima

la

nnostra?

PREFAZIONE
Chiedo: una sola

Inondi

!....

xr

e l'iride

cielo e la vittoria vostra.

il

Dante qui un fantasma poetico


il Nievo, il
:

chi vibra in questa lirica

quale a volte

si

lascia cadere in braccio

allo scetticismo,

fidente,

ma

per risorgere pi

poi ch'egli in fondo crede a

un roseo domani

come

e,

sua giovinezza spesa per

l'

lo

prova

grandezza

del paese, crede alla

la

indipendenza
djsl-

r olocausto.

Un'altra lirica, che pel contenuto


lascier impressione nel lettore, V Iri

del pianto.

consacrala a un' attrice

parla appunto d'un' attrice della quale

svolge la vita psicologica.


L'attrice del Nievo ricorda

superbo

Genova

di

Sicilia, l'are infrante di

misteriosi

di

Venezia,

cento splendide cose,


il

bacio

di

il

lido

tramonti della

Roma,

ma non

sua madre.

nidi

ha in mente
ricorda

Non perde

il

coraggio, spera. Quando appare sulla

scena per
e nel

la

prima volta,

vergognosa,

volto sente ftto lo sguardo del

PREFAZIONE.

XII

popolo

affollato.

Comincia a recitare,

r acclamano subito come miracolo.


Sulla scena, sostiene la lotta d' un finto

tutti

non sparse mai un

amore, piange;

pianto

volgo applaude frene-

vero.

si

Il

tico, ed ella lagrima ancora. Pur, nel

vedere un popolo che l'applaude quando


ella infila

il

coturno parigino, un po-

polo che oblia per


pri migliori

Goldoni,

il

gli

stranieri

drammaturghi,
Pellico....

il

non respira

Ella

ma

E non

sulla

sospira,

scena

si

fuoco.

di

sulla scena

della vanit,

solo

accende

si

sdegno e lancia parole

di

pro-

l'Alfieri,

il

fumo

consuma.
agita

si

in

quel

modo, ma quando torna

tito

giorno della rappresentazione tea-

trale al giorno vero

dal

men-

trova pi serva e

pi abbietta la plebe sovrana, pronta


allo sciocco

ed

ella

plauso e

ne freme,

cuore. S' innamora,


sere riamata.

Se a

Il

ai fischi

e l'ira le

ama

suo amante

amo.

Ma

1'

amore

il

e crede d' esle scrive:

te io rassomigliassi, sarei la

pi gentile; ed ella:
t'

maligni;
snerva

Io

cosa

t'amo!

io

alato fanciullo

xm

PREFAZIONE.

uomo non ama

e vola via. Queir

pi la

povera attrice, perch, gi vinto dalla


noja, vorrebbe assaporar solo la sen-

non camerc l'amore, in una

suale volutt dell'amore e

pace

di librarsi,

sfera pi limpida e

pi alta. Ella

di-

spera, invoca la Morte, e questa cala

neir orrida sua notte e le grida


fri,

ma

splendi!

sponde

la

poveretta.

gloria? Desio

sei sole

ma

tue

le

dono. Ecco:

gloria! tu

vampe non mi accen-

sono malata,

io

sof-

stupore dei

pazzi,

dei

sdegno dei grandi.

deboli,

E splender, riMa che cosa la

plausi

mi abbandonano!... tutti!... Quante lagrime ho versato! Scendi, 0 ultima lagrima, io muojo e alfine
cessano e

sorrido

tutti

Pianto e splendore sono


scrive

il

Nievo

e V Iri del

fratelli

piantolo

fa

intendere. Nella protagonista di quel


piccolo

dramma

una miniatura
dello Scribe e
il

intimo par

di

vedere

Adriana Lecouvreur
del Legouv; se nonch

dell'

Nievo s'ispir al vero, s'ispir ai


d'una di quelle attrici che sulle

casi

XIY

PREFAZIONE.

scene italiane passarono

a'

suoi giorni

come meteore.
Nelle liriche lasciate dal Nievo ve-

donsi parecchi accenni

che forse

poesia forte-

di

mente originale, prime

linee di quadri

avrebbe dipinti se la vita


Neil' In del piaito
volle racchiudere in una lirica la storia
di

egli

fosse bastata.

gli

un'anima. Qualche metro,

tenario, talora slabbra,


frase efficace del Giusti

set-

il

per usare
la frase

la

qual-

che volta non chiara, intorbidita;

ma r intonazione
nova l'idea
efficaci

cosi giusta ed cosi

di affidare a

una

spezzature, quasi

lirica tutta

singulti, le

di un cuore afllitto, che si perdona volentieri alla mancanza di raffi-

voci

natezze di forma.

Anche

colla bella poesia //

piccolo

dramma

Felice

Romani

perdono tent

intimo nella

lirica

il

ma

forma dell'antica canzone usata da


troppo simmetrica e lascia intravedere ci che manca nel Nievo: il

la

lui

lungo studio.

XV

PKEF AZIONE.

li.

Nievo

Ippolito

si

si

dai moama, ma non

stacca

ribondi romantici. Egli

abbandona come i romantici


non fa pubblica mostra

guori

molti di essi

lan-

come

del suo povero cuore d

del suo cuore infranto


la loro fraseologia.

sione

ai
,

dell'amore

nale, vigoroso,

Anche
si

non usa

nell'

espres-

manifesta

origi-

disinvolto, nobile so-

pratutto. Ama, e quando si accorge di


non essere corrisposto, celia con brio

persino di s stesso. Alla bellezza femminile chiede ispirazioni;

e alla

perba bellezza che, come dice,


negli

su-

favilla

eroi di amore insidioso,


ingenuamente

stessi

preferisce

La venust pudica
D' un'ancelletta santa,

e vuole

che

Nievo.

1'

amore

sia ala

che

lo levi

PREFAZIONE.

XYI
in alto.

E sempre

spirito

puro e forte:

Ed

io

quando per

Vette ansando

Scordo

le

mira quello

all'alto

erme
mi levo,
1'

carni inferme:

D'un lontano m'imbevo


Riverbero di Dio,
E appuro l'amor mio.

Leggendo

il

Nievo, l'animo

si

spa-

stoia dalle piccinerie della vita

che du-

ransi ogni giorno, e

si

lita;

noi

spirito

ci

sentiamo

elevato,

ci

si

affina,

sentiamo aristocra-

vera aristocrazia, eh' quella

tici della

del sentimento alla quale ogni

che

senta

degnamente

uomo,

s,

di

dee

La poesia deve renderne pi

aspirare.

buoni, pi

squisiti

gentiluomini,

deve perfezionare, se essa


del bello

nobi-

pregni del suo

se la generosit

se r entusiasmo del

il

bene

1'

ci

essenza

suo ideale
il

suo foco.

PREFAZIONE.

XVII

III.

Nel cogliere i profili umani, il


Nievo felicissimo. Lo provano i suoi
Bozzetti veneziani

Venezia

di

Eva dell'acque

ne' quali ritrae la


fa.

non conosce bene

veneziano o

parecchi anni

come

il

chi

la

non

strana

Prati chia-

Venezia, sfuggiranno certe finezze

del Nievo.
I

Bozzetti veneziani sono satire ispi-

rate da affetto per Venezia e dal desi-

derio di vederla risorgere: egli la batte

perch la ama.
Comincia col dipingere a brevi tocchi la piazza di San Marco, queir incantevole sala colla sua gente floscia che pas-

seggia su e gi pel lastricato di


lucido delle Procuratie,
giri egli

li

chiama

ciarla e ride

gli avi e delle

marmo

marmorei

o posa nei caff,

immemore dei

trionfi

de-

nuove umiliazioni. Quei

PREFAZIONE.

XVIII

quattro cavalli di bronzo, opera di scalpello argolico

posti l

in alto

sulla ba-

San Marco sdegnosi della fiacca


et, si levassero almeno avolo trasportando seco le cupole dorate! Chi non
invidia la libert dei colombi e la loro
silica di

reggia pi

bella

d'

ogni reggia, so-

spesa sui cornicioni dei palazzi, fra la


terra,

il

cielo ed

il

mere?

11

poeta

si

sofferma a notare due decrepiti nobi-

mondo peggio-

lucci che lagnansi del

rato; e

alle statue

di

bronzo che coi

loro martelli battono le ore sulla cam-

pana della torre

come adesso

ci

dell'orologio

dice:

paiono lunghe neU

le ore! Accorciatele. Oh, volavano ben pi rapide quando i giorni


erano gravi di opere. Anche il Nievo
crede (ed un errore) che proprio sulla

Tozio

famosa dei giganti nel palazzo duMarin Faliero, mentre il popolo fuggiva inorridito
al truce spettacolo. Ora silenzio su
scala

cale sia rotolata la testa di

quella solenne scala

marmorea

e donzelle vi strisciano

piede.

dame

mollemente

il

'

XIX

PREFAZIONE.

Ed

ecco

zarra via

la calle

la tortuosa

dove non ostante


,

biz-

le leggi fisi-

che delle stagioni, un calore soffocante


da Senegal succede d' improvviso al gelo
nordico.

una

risata.

frolli

bellimbusti strappano

Ma che

serve, o prode non-

no, che tu risusciti ne' nostri sogni per-

ch

si vergognino
postumo scalpore di

posteri piccini

s? Che serve

il

di
fa-

zioni vinte, di studi, di guerre? Credi

che oggi non

si

provino minori fatiche

sbadigliando pei caff cittadini? Pure,

soggiunge

il

poeta, non possiamo accu-

sare lo scirocco della mollezza presente.

Ai giorni dei Dandolo e dei Morosini

r atmosfera era diversa?

Con qual
dipinge
siglia

il

grazia maliziosa

il

Nievo

viaggiatore che viene da Mar-

duro, ignorante, e non sa distin-

guere Venezia dalla Mecca.


Quella
Riva degli Schiavoni lambita dalla
(c

laguna azzurra,
di bei

affollata di belle

donne,

giovani, di bambini, festosa.

Si grida, si canta, si suona.

scende su tutta
venditore

d'

la folla

La sera

gioconda, e

diil

arance accende un' umile

XX

PREFAZIONE.

Janternetta; mentre Pulcinella da


sotto

ambulante imprende

a cielo sereno.

Ma

si

nuvolone nemboso,

spengono

leva dal

soffia

il

allora le lanterne e

un

ca-

sue geste

le

mare un

vento e

fuggono

si
i

cappelli e gli amori.

Pulcinella osserva

La sgombra
tempo

Il

riva e dice:
il

pi felice

Degl' improvvisatori

Ah,

fino nella sua ironia Pulcinella!

L' arguta
visi

maschera allude

rivolgimenti

politici

agi'

improv-

possibili.

Il

buon popolo veneziano sentiva spesso


simili allusioni e anche pi coraggiose,
pi apertamente patriottiche, da Pulcinella, da Arlecchino,

da Facanapa,
amenissimo tipo quest' ultimo creato da
un pover'uomo, di vero talento comico, certo Reccardini, il quale anche
pe' suoi intenti liberali meriterebbe una
menzione onorevole in una storia del
teatro popolare.
Il

bozzetto del Nievo intitolato 11 tra*

ghettante^

ci

presenta il gondoliero vene-

XXI

PREFAZIONE.

ziano che colla sua burbera querimonia


si

E non

lagna degli scemati guadagni.

novo Caronte,
che non tragitta pi da una riva all' altra i cittadini, questi trovando pi co-

ha

torto quel simpatico

modo

passar

speso fra

il

due

le

nuovo ponte
rive.

che solca tardo tardo

di ferro so-

il

grosso burchio

il

canale verde;

e le birrerie aperte in seguito

vasione degli spavaldi

implacabili bevitori di birra

sere estive

il

cos detto

delle gondole pel

de;

tira

sempre pi

famosa

nelle

il

mare

si ri-

di

anti-

1'

Redentore
Giudecca dopo la qual

festa notturna del

nell'isola della
festa

quel mare campo

vittorie ai veneziani antichi

ca,

fresco corso

maestoso Canal gran-

lido dal quale

il

in-

all'

ufliciali austriaci

costume dei Veneziani, sempre

avidi di spettacoli, di recarsi in folla

ammirare

ad

dal Lido lalevatadel sole sulle

onde dell'Adriatico;
nicomio

di

solitaria

e quel

San Servolo,

in

tristo

ma-

una

isola

l, in

mezzo allalaguna quieta

e tante e tante altre singolarit di

nezia offrono al Nievo argomento

Ve-

d' os-

XXII

PREFAZIONE.

servazioni ironiche, di ricordi storici,


di concise

talvolta troppo concise

descrizioni.

umida e buia calle al baluna casa una rosea fresca fanadesca un uccellino nella gabbia,

In un'

cone

d'

ciulla

il

come quel volto sia irra-

poeta chiede

mezzo

diato di tanta gaiezza in

all'

oscu-

rit della stradicciuola malinconica.

che

cenno
anni

di

le

An-

pubblici, piantati per

giardini

Napoleone

I,

dove ne' primi

e per-

piante stentano ad attecchire

e la mostra pubblica di quadri

sino la gentile fioraia toscana da vari

anni sparita dalla circolazione che sotto


le

Procuratie

si

vedeva

di fiori ai forestieri....

offrire

sono

mazzolini

trattati dal

Nievo; ma sempre a punta di penna,


brevemente.
Per le vie di Venezia si aggirava

un giorno, un tipo curioso, un


storie razza non spenta del tutto
,

alle
il

cantain riva

lagune. Sior Tonin Bonagrazia era

suo

nome ed
,

era

ribile parlantina,
gingilli, di brio.

uomo

dalla inesau-

adorno di anelli,

di

Spacciava farmachi in-

PREFAZIONE.

a tutti, erbe salutari, consigli.

fallibili
Il

popolo

poich

XXIII

lo

amava non lo ama il Nievo


non piacciono.
:

le ciarle a lui

poeta

il

quando parla
chiam una

di

risparmia

strali

gli

Milano. Quella eh' egli

regina

volta insubre

agli occhi suoi

una gabbia

mie, che imitano

gli stranieri..,.

satira, chi

non

lo

scim-

di

Ma

la

sa? esagera sempre.

IV.

Ippolito Nievo mirabile pi che

Quel cuore pronto


sdegno, era pronto del

altrove neir idillio.

a gonfiarsi di

pari a riposirsi nelle dolcezze tranquille


dei campi. Altra qualit della natura del
Nievo appunto r affezione alla campagna e a' campagnuoli. Il talento pittorico eh' egli possiede nel ritrarli

E un sentimento
cogliere
pi.

lo

raro.

guida a

sentimenti della vita dei cam-

La freschezza

circola,

delicato

quasi,

dell' aria

campestre

direi, ne' suoi

versi:

XXIV
vi

PREFAZIONE.

vedi

le

albe

placide

vi

senti

sorgenti cristalline e chiacchierine,


colloqui degli uccelli,

le
i

canti rozzi dei

pu scrivere nulla di pi
Le due bimbe?
Leggendola, si vola colla nnernoria alle
due fanciulle di opposta indole
che
vi vengono incontro nelle prime pa-

pastori.

Si

grazioso dell' odicina

gine delle Confessioni di

un ottuage-

nario.

Se

miei concittadini non mi vo-

gliono ascoltare, che m'importa?

esclama
de'

egli

io riparer nella solitudine

campi

Solitudine dolce che m' invita

sfogliar

miei verdi anni pei campi

Sul tappeto di qualche erta fiorita.

Ove mai non avvien che un'orma

io stampi
Senza che Poesia semplice e bella
Tosto non venga a folleggiar su quella.

Egli narra la storia, vera e pateti-

una contadina che perdona a chi


la storia d'una vecchierella, chiamata la strega e temuta per
questo dagli sciocchi mentre ia buona

ca, di
la fa

morire;

XXV

PREFAZIONE.
ispiratrice di chi

si

Racuna ragazza che

confida a

conta del sacrificio

d'

lei.

per non defraudare del proprio aiuto


fratellino orfano, rinuncia a

il

nozze invi-

diate.

Quando

il

Nievo dipingeva

tanti bei

campagna, non era ancor venuta l' arte de' moderni che con
quadretti della

velato intento sociale


alle

ba;

ci

fanno assistere

agonie penose dei martiri della gle-

Nievo

il

s'

ispirava al vero e lo ri-

traeva delicatamente.

V.

Negli
gentili

Amori

goribaldiii

volontari, che per

ecco

liberare

paese nativo volano allegri contro

il

il

pe-

non dimentichi che all' amore di


patria pu sposarsi T amore della bellezza
ricolo

femminile.

Eppure

il

Nievo, che partecip

spedizione gloriosa dei Mille,

alla

non era

XXVI

PREFAZIONE.

come

ilare

compagni; bens

tanti suoi

grave e meditabondo;
ch'egli presentisse

da

si

sarebbe detto

morte!

Giuseppe Abba, uno dei

Cesare
Mille,

la

me

mi

richiesto,

favorisce

questi preziosi ricordi sul Nievo in Sicilia

Di Ippolito Nievo non posso dir


che a vederlo s indovinava in lui

altro

un uomo superiore.
pena
l'

lo

Io

1'

ho amato ap-

ebbi veduto nella carrozza del-

Acerbi che eral' intendente della spe-

Stavamo accampati al Pozzo di


Renna, un giorno di pioggia. La carrozza era l in mezzo al campo; e, dal

dizione.

fondo

di essa,

quel giovane avvolto nel

guardava lontano nella gola


dei monti per dove si aveva a passare
volendo andare a Palermo. Lo riveggo
mantello

sempre
penso a
nico

mini

momento, quando riAveva un occhio malinco-

in quel
lui.

qualcosa di diverso dagli

in tuttala persona. Io

allora

immaginavo

di lui

sa quale straordinario

mi

sbagliai.

altri

uo-

fantasioso

che fosse chi

essere, e non

PREFAZIONE.

XXVII

Nel presentare agl'Italiani una scelta


dei canti del

Nievo

io

credo di non far

opera volgare. Fra tanti verseggiatori,

lampeggi un poeta;
dozzina

fra tanti scettici

da

risorga

un

fra tanti sfiaccolati

tipo di giovane insofferente di ozio e di

servit; d'

un giovane animato da entu-

siasmi che sono la vita della


covi
la

vita.

Ec-

un poeta che non ha maschera

strappa agli

altri.

perch abbiamo bisogno


ratori.

Affisiamoci in lui,
di

buoni

ispi-

suo tipo geniale. La morte,

Il

morte in et cosi giovane dopo


aveva combattuto le battaglie
dell' indipendenza col Garibaldi l' ha illuminato di nova poesia. A soli ventinove anni, nel 1860, mori naufrago,
mori come un infelice da leggenda e la
morte ha reso pi gentile il suo tipo,
ha coronato di una mesta ghirlanda il
suo capo.
Concludo con due notizie biblio-

e quella

eh' egli

grafiche.

Le

poesie,

contenute

in

questo

volumetto, sono scelte dalle Lucciole


pubblicate a Milano

coi

tipi

di

Gi-

XXVIII

PREFAZIONE.

seppe Redaelli nel 1858 e dagli Amori


garibaldini editi da Pietro Agnelli pure
in

Milano nel 1860.


Le Lucciole preludiano

Amori

garibaldini

\3.

la lotta; gli

cantano.

Milano, Dicembre 1882.

Raffaello Barbiera.

LUCCIOLE.

ALLE MIE

FIGLIE.

Lucciolette che ronzate


Pei crepuscoli ideali
Care stelle forviate

Da

vostr' orbite immortali


Forse ancor del ciel natio

Affaticavi

il

desio?

Io vi sciolgo r ali al volo,


Lucciolette cattivelle
Ite pur lambendo il suolo
Colle timide fiammelle,
Giacch i cieli a voi contese
;

Legge improvvida
NlETO.

e scortese.
1

ALLE MIE FIGLIE.

Ai romiti casolari
Nel silenzio dei villaggi
Pei giardini solitari

Seminate i vostri raggi,


Fra le tenebre dei chiostri
Seminate i raggi vostri.
Pei tumulti delle feste

Melanconiche volate,
Sol palesi alle modeste
Ciglia, e all'alme addolorate,

Onde vengan esse poi


Meditando dietro a voi.

chi stanco

si

risente

Dalla stolida allegria


Rischiarate santamente
L' annebbiata fantasia.

Perch al cor

venga

gli

e al viso

D' altro oprar pi maschio riso.


Lucciolette, anco un

Ed

il

pugno che

momento,

vi accoglie

Vi dar libere al vento.


Vinto han gi
Il ritroso

le

vostre doglie

animo mio.

Lucciolette,

addio,

addio!....

SOPRA DOMIZIANO E LE MOSCHE.

La

vita cosa grulla;


L'

una telaccia tutta a buchi

Da farci dentro nulla,


E forse a stento tra gli

sdruci e

sghembi
i

lembi

N' esce quanto bisogna


Per coprir la vergogna.

Cosi canta

turchesco
e molti in refettorio
A svariato desco
Molti nei banchi ingordi o in dormitorio
Quel cencio col preterito
Trattan secondo il merito.
il

Volgo dei saggi;

SOPRA DOMIZIANO E LE MOSCHE.

Balen si nel cuore


Di qualche anima grande altro pensiero,

Che la vita

d'

amore

Volle una prova ed un conato al vero;


Ma troppo tal fatica
Di nostra et nimica.

Sicch non io condanno


Lo spasso che prendea da

mane

mosche un tiranno:
Pi illustre opra non merta

a sera

Sulle

o pi severa

Quest' esilio nel fango.

Pur le mosche

compiango!...

L'ULTIMO

ESILIO.

In capo a cinque secoli


Goduti al Purgatorio,
Dante volava al fin di sua speranza,
Quando il Signore un subito
Gli spir desiderio

Di riveder la sua terrena stanza.

Gi de' nostri miracoli


Giunto un sentor fuggevole
Era lass ma non ci si credeva.
Dicean: Poffar che crescano
Tutto d' un colpo in uomini
I nipotini lattimosi d'

Eva?

l'

ultimo

esilio.

Cosi sopra una nuvola


Dolce fendendo l' aere
Quel benedetto Fiorentin discese.

Ma

da ponente un

Non

zefiro,

so se avverso o prospero,

un

Sviollo

Insomma

tratto dal natio paese.

figuratevi,

Prese terra nell'India:


Fortuna ancora die iutendea quel gergo
Ma un Inglese eteroclito,
Spesato a fiutar 1' aria,
Sul terzo passo gli si aggiunse a tergo.
certo scambiandolo
Per un Pope scismatico,

Il qual,

Grli

fu scorta al confin di Tartaria.


Ed io, dicea l' ingenuo

Poeta io che teologi


Credea gl'inglesi!?... Che teologia!

Furbo quel bianco! dissegli


Un Armenuccio carico
Della sua merce che veniagli a' panni.
Per me varcai la Manica,
N Turchi mai mi occorsero
Che fosser Turchi come quei Britanni.

l'

ultimo

esilio.

Fra noi, esempligrazia,


Se a virt non appajasi
Ricqjiezza,

premia almen l'ingegno

e l'opra.

Ma l invece dal prossimo


A succliiellar il prossimo
Una

La quale chiamata
Gioco di borsa

Appunt

essere

io. giAdiQO',

'

j^rch tira al borsajolo.

Per pendii^li, ninnoli,"

legai Ijaratteria's'adopra.

ry)''

specchi a bazza,;vemlonoJ

:pf

Devotamente ag^i|]aia^^merciaifl4b^^

per ci far si schivano


uccider bimbi e femmine

Da

dieci pedice

Sclam

il

il

giorno.

E un gran

Toscano semplice.

pec-

[cato!

Nossignore! l'industria,
Disse l'Armeno; e io compro a buon mer

[cato.

-Compri un delitto, e a spiccioli


Paghi uno sciupo d' anime!
Grid il Poeta. E l'altro: Io poi non c' en Sian benedetti i Tartari,
[tro!

Dante seguiva.

Almeno

al

fil

Infilzano

di lancia,

fuori o dentro!

l'

ultimo

esilio.

il coltello ha il suo manico;


Dirian quei di Camaldoli,
E d' impugnarlo ben mi riprometto.
Si bene infatti preselo

Qui

Che mise il Chan in bilico


Per seguir lui di lasciar Maometto.

Ma

sturbar per un gricciolo


volle Hegel e 1' Asia,
Tanto pi che venuto a ci non era.

Non

Onde inforcato un arabo


Destrier, che tolse a prestito,

Salp via pel deserto a gran carriera.

corri e corri, oceani

Di sabbia, e monti ed aride


Lande varcando in riva al mar fe' sosta.
Rimpetto all'atra Tauride
Era la piaggia, e giungere
Pi opportun non iioteva, a farlo apposta.
Fischio di palle e scoppio
Di mine! Oh eletta musica
Per r orecchio viril d' un trecentista!
Per fu d' uopo un' anima
al Purgatorio
Sostenesse in quel baratro la vista.

Che rotta

l'

Ohim,

ultimo

pensava

esilio.

memore

il

Prior de' Bianchi:

posteri

Con quanto danno van copiando

i nonni!
Questo da cinque secoli
Ottenner frutto?... Oh povere
Rime!... Oh speranze !... Oh mal perduti sonni!

Ulora (debbo

io dirvelo?)

alma forte e tetragona,


Qual femminetta, si disciolsc

L'

in pianto.

questo mondo un'infima


Bolgia sotto a Lucifero
Parve al Signor dell'altissimo canto.

Porse;

fra s rizzandosi

Aggiunse:

forse al peggio
Diedi di cozzo e il ben no '1 vidi unquanco,
Ahi che in fronte a Bisanzio
Splendeva ancor la barbara
Mezzaluna!... Ei mirolla e si fe' bianco.

3nde al lucente Bosforo


Dale le spalle, rapido

Lambendo

il

suolo

come fatua vampa,

Giunse laddove Borea


Fra padiglion di nebbia
Simile a re co' suoi guerrier

s'

accampa.

10

l'

ultimo esilio.

L, se non altro, un docile


Silenzio era, una putrida
Calma, n la rompean cMassi di guerra;
Ma sol del vecchio G-uttemberg

La ferrea prole e stridula


Che svaga i non felici ozii

alla terra.

Dante raccolse un foglio


Storiato a mosaico,

lesse e gli sembr non aver letto.


Sicch adocchiando un mistico
Vecchio impancato a scrivere
Del senso lo chiedea di quel sonetto.

In quell'esiguo
mici dotti efluvii
Imprigionar vorreste?... Mi credete
Forse un ciarlier da bettola,
O un j)ozzo dove ogni asino
Venga di maggio a levarsi la sete?

Rispose:

Naso

Studiate, amico! E a scrivere


Torn. Nette di virgole
Giuro che a un fiato empi quattro facciate.
Disse il J?oeta: O sughero.
Sta' a galla! Al mio boi secolo
T' avrebber

messo ad unger

le

spedate!

ultimo esilio.

l'

11

Poi con paterno orgoglio


Il gran naso palpandosi
N' and picchiando ed a quest' uscio

Trov,

de' quali

a quello,

vogliono

Che a qualchedun facesse

Ma

poeti e filosofi

chi se

'1

di cappello.

un popolo

vide?...

Confitto a far lunari

Di poco ajuta

il

Guelfo o

il

Ghibellino;

Che se quel tanto scrivere


Quadr al poeta, dolsene
Poi tre tanti al guerrier di Campaldino.

cDeh!

mormorava;

a correre,

Come van zoppi gli uomini!


Come tardo il parlar fatti matura!
Ecco, dopo una frottola
Di seicent' anni, trovoli
Al punto ancor di San Bonaventura.

Passate

oltre l'Atlantico,

Gli sugger

un

politico:

Vedrete diavolio di gambe e braccia!


poeta arrendevole.
Come a cambiar di pagina,
Fece del mappamondo un voltafaccia.

Il

12

l'

ultimo esilio.

Ma

trov che alla patria


Di Franklin, occupavano
Le formiche la jiiazza e i ragni il foro.
Ohim! chiese a un Etiope
Accoccolato a suggere
L' ultima pipa: dove son costoro?

A far razza

coi canteri,

Quegli rispose;

Che

diletto

non

e
v'

giurano

ha

fuori di quello.

Infatti sedia, tavola

Non

vide e stipo e armadio


Che non s'avesse intorno un capannello.

dal legno con magico

Tocco evocar tentavano


Balli di spirti e sgorbii di versiere.
Che il bosco, ov'io la trccia
Smarrii, pens ridendola,
Sia stato il botteghin d' un rigattiere?

Pover' a me, che soglio


Col capo nelle nuvole
Stare, andare, seder!... Dio mi dia scampo
Pur quasi persuadomi
Che dei Tullii e dei Cesari
La natura perduto abbia lo stampo!

l/

~ a Pardon!

strill

Cicisbeo, che

13

ULTIMO ESILIO.

il

un minuscolo
monologo

Udito avea sbarcando allor sul molo.


Pardon! questa da eretico.
Se Monsieur vuol chiarirsene,

Corra a Parigi.

A Parigi?...

E via

Mal' aria.

Dante pensava:

in

mente anco

Garrula

Plebaglia di dottor

partissi a volo.

lio

fitta

nel fango:

una disputa

Col tenuta in pubblico,


Che a ripensarci di vergogna piango.

Pur poco mal

lo

spendere

Quest' ultim' ora d' ozio


In una scorsa fra Rodano e Senna.

In tal pensiero,

subiti

Vanni

al desio discioglie,
lieve tosto piucch augel s'impenna.

In breve all'occhio saltagli


Un non so che pi torbido
Quale in carta parria macchia
Questo r avrebbe ad essere,

d'

inchiostro.

Pens, se non mi zoppica


L'antica geografia, Parigi nostro.

l'ultimo

14

esilio.

IT.

Calossi a liombo; e

un sucido

Di monelli sbaraglio
Gli fu tosto dintorno in

fisclii,

Poeta assie^iano
Che procede gravissimo
Qual chi in basso cammina
Cosi

Accorto

in risa.

il

alfn

che

e ali' alto avvisa.

al nobile

Togato aspetta e al lauro


Del crine il chiasso sempre pi trasmoda,
Svolt da un canto e a celebre
Sartor di a ridipingere
figura coi color di moda.

La sua

Oh non sembro una scimmia?


Pensava, nei ridicoli
Panni sbuffando sul bastion pi
Ma veggiamo di patria
(ual

il

solenne

folto;

ufficio

Che tante barbe ha

in quella sala accolto.

l'

15

ultimo esilio.

Era un Caff. Qual granchio


Pure sedette, e a prendere
S'accinse un th, ma gli veniva male.
!

Poi stufo dei pettegoli


Che li buffoneggiavano,
Si butt a braccia tese in un giornale.
Ahi! le tre prime pagine
Davan sol ringhi e favole;
L' altra rimedi a malattie segrete.

Questo, soggiunse, bastami:


Fin nel duol, dei magnanimi
Agone, a quanto pare onta or si miete.
<'

di col nel togliersi,

Quel verso risovvennegli:


Uscimmo quindi a riveder le stelle.
Che se qua e l gli piacquero
Le donne pur dolevasi
Di non discerner putte da zitelle.
,

Cosi ronzando all' occhio,


Ecco sorgergli un tempio
Pien diromor, di canti e di bandiere.

E queste sventolavano
Rosse, turchine e candide,
E quei canti dicean Buond, Messere!

16

l'

Buond Messer Griangiacopo


Tu clie credevi all' anima,
Perch non darci or colla tua
Perch col suo bisbetico
Ingegno enciclopedico

Non la

ultimo esilio.

rificchi

a far

1'

la baja?

orologiaja?

Corre or potresti un ciondolo,

dir se dorme al Panteon


Tanto pensier quanto qui se ne palpa.

Ma

se scultor

1'

elettrico

Oggi, e pittrice 1' ottica,


Non vien da ci che tu fosti una talpa?

E che l'uom dell'immemore


Madre natura

l'ultimo

Aborto, o il sogno d' un'idea pi grande,


O del gran Nulla il limito,
O la sbattuta gocciola
D'un mar che fuor d' ogni confin si spande?

Uomo!

un

altro ripiglia.

Creator non artefice


Non uomo pi ma Dio guarda il tuo regno
Vedi al tuo cenno i cardini
Tremar del mondo, e fremere
Sue forze schiave del tiranno ingegno.
,

l'

Gi

il

ultimo

17

esilio.

tuo superbo spirito

Cresce, trabocca e penetra

L'immane

pietra,

il

gelido metallo,

Onde, intese ai miracoli


Folgoreggianti, sembrano
L' ore attardarsi nel sidereo ballo!

Qui poco e troppo alternansi


Come i moti del pendolo,
Disse il Poeta: onde la voglia cresce.
Ma a quanto intesi, il tempio
E questo dei miracoli,
N ornai la noja e il primo orror m' incre[sce.

Doppi-o armeggio di gomiti

Gli apri modesto un adito.


Entr, guard, vide, ascolt, comprese.
Comprese in qual s' imbestia
Vii

mercimonio

Per far al

1'

anima

liscio corpicciuol le spese.

questo tutto? il misero


Vate dicea; lo spirito
Cosi si svampa, e s stesso cancella?
0 Epicuro, o Pitagora,
Perch le vostre candide
Leggi son volte a idolatria si fella?
NiEvo.

18

L ULTIMO ESILIO.

Sempre la carne fracida


Rinnover sul mistico
Parente il furiai scempio di Lajo
Veo^go mostri Titanici
Ansii le gole ignivome

Roder

massi, e stritolar

1'

acciajo;

Ma

queir idea, che pronuba


Fra terra e cicl libravasi,
Avvinta a lor quant' mai
G'

immani ceppi

sci va e lass

strascica

Talor col pi fulmineo,


spiritata al mar s'avventa

'?

Ma

dove son

passn;

gli altissimi

Voli e l'eteree cantiche?


Dove la luce che nei cor fu chiara?
Ahi che del cicl dimentica,

Qual mostruoso rettile,


le vie negro d' abisso impara.

Solo

Tale parlando un torbido

Sguardo men sul popolo


Che ammirando sfilava a randa a randj
Sdegno ed orror l'indomito
Coro stringean, ma vinselo
Pittade ancor dell' et miseranda.

l'

sin^^hiozzando:

Artefici,

13

qui veggo e macelline:


un' anima, perdio, chi me la mostra?

Disse,

Ma

ultimo esilio.

Pecore, avanti!...

un'anima

Chiedo: una sola!... e l'iride


Inondi il cielo e la vittoria vostra!

Nessun

1' udiva; il lauro


Egli riebbe, e 1' ampia
Toga si svolse dall' omero al piede.
E via pel vuoto ergendosi
Divise in croce 1' aria

Come

chi benedice eppur

non

crede.

Ma

reso alla purissima


Luce, un desio piegavalo
Pien di paura al tremulo Oriente.
Oh invitto della patria
Amore!... O lieto, o misero,
Pi dell' istessa speme ognor potente!

niveo vertice
una primizia
Godea pel ciel nel caro aere natio.
Quando a lui d'un filosofo

Sfiorato

il

Dell'Alpi,

il nudo spirito
Che dal Verban salia piangendo a Dio.

S'oiferse

L ULTIMO ESILIO.

20

Si videro

Kesso

e,

per

eli'

l'

intimo

tra gli spiriti,

Furon noti in amore al primo sguardo,


c 0 Mae .tro queir anima
!

Cominci tutta in gemiti:


Percli a tuffarvi in Dio foste

si

tardo?

Uispose il sommo: Placito


Superno in terra trassemi
Pria di sorger dal fuoco all'Alma Sfera.
Ma deggio '1 dir? l'incendio
Spirtal di cinque secoli
Dato ancor non m' avea guerra si fiera.

Fermate allora!

supplice
a volgervi

L' altro soggiunse;

Altrove il pianto mio vi persuada.


Dante abbracci in silenzio
L' afflitto spirto, e presero
Cosi confusi verso il ciol la strada.

Ma quando

dai cerulei
Spazi la terra un atomo

Turbinato parca da sfera a sfera,


Quel di Fiorenza un ultimo
Sguardo pieno di lagrime
Lo porse mormorando una preghiera.

l'

ultimo esilio.

O sempre msero
Superbo seme! O dubbio

disse

Tremendo!... Eppur tal sei, tale sarai.

Anzi traligni e infurii


Or che il progresso inalberi
Sull'universo e mente e cor non

liai!

Ben io di cotal ciancia


Che ingemma il Dizionario
Farei presente alle infernali bolge!
Riprese 1' altro: Il nocciolo
Forse a Dio solo cognito.
Progresso c' , ma fretta lo travolgf^.

Forse!...

Dante

risposegli.

Ma

ancor se in questo secolo


Speso avessi la mia vita mortale,
La Divina Commedia
Saria tutta da ridere,
Ed il trino suo regno uno spedale!

IL MICINO.

Il

micino,
Poverino,
Gli un gattino
Di pel fino,

Che

s'

aita

Per far bella


Questa vita
Meschinella.

Tre giornate
Visse agiate
Sulle entrate

D' un abate:

Ma
S'

il padrone
ammal,

E il ghiottone
Scanton.

IL MICINO.

Sua dimora
Tenne allora
Con signora
Che sa ancora
Di due occhi
Troppo cari
Far gli sciocchi
Tributari.

Ma

il micino
Capolino

Fe' al camino
Del vicino
Poich a un estro
Del vajuolo
L' occhio destro

Rest solo.

Quel musetto
Vezzosetto

Grande

affetto

Dest in petto
D' un banchiere

Che

il suo spasso
Suol avere

Dal Ribasso,

IL MICINO.

Ma un

trattato

Risaldato

Ha

lo stato

Pi scrollato,

il

gattesco

Spigolistro

Balza al desco
B' un ministro.

Sordo

e muto
L vissuto
Ben pasciuto,

Coticuto,
Colla sorte
S' arrovella
D' aver corte
Le budella.

Par nel mondo


Smilzo o tondo
O^ni pondo
Tocca il fondo.
Ond' oi giunto
Del morire
Sul mal punto
Fini a diro:

IL MICINO.

Unto e agiato
Son campato,
Perch ingrato

Sono

stato!

raccolta

Tal sentenza

Fu da molta
Discendenza.

0 che cuore
Pien

d'

Oh che

amore

fiore

Di candore!
Che il vangelo
Messo ha in vista

E lo

zelo

Pagnottista!...

26

IN VINO VERITAS.

Spumi nei nappi

il

vino

nei cervelli il brio,


Giacch crudel destino

f^^iorni

numera.

mio

Contro

il

cristallo

Frema

la

vostra tazza:
pazza.

Ogni altra vita

In vino veritas

Pel mare dei bicchieri,

Anche

alle

bocche torte

Sui naufraghi pensieri


L a s<^ano;herato porte

il

riso navi<;a.

anima fugge in traccia


Ocir allegra bonaccia. Tn vino veritas!

L'

VINO VERITAS.

IN

27

Nel caldo estro rapita,

Essa cosi non pav


Le nubi della vita
Spente

Che faremmo noi


Senza

il

in roseo.

tristi

Lacryma-Cristi?

Ecco novella un' onda


Di nettare carezza
La gola invereconda

La Musa

dell'

Sul tripode

sogna

le ardenti lave,

si

il

In vino veritas!

dir

mi imbroglia.

ebbrezza
drizza

profetizza, e frizza!

In vino veritas!

Ma

che miro?... Oltre il vetro


Dei calici si stende

Un nuovo mondo e tetro,

un' irta Australia.

Ahi, le beate tende


L trapiantar fia d' uopo.

dopo, amici?... e dopo?...

In vino

veritas!

L, paziente ultrice
Sta la Ragione e aspetta
indarno profuga,
Questa turba felice
Che dall' icaria vetta
Pi misera procombe
A brancicar le tombe. In vino veritas
,

28

IN

VINO VERIT S.

La nube variopinta
Che ne avvolgea la mente
Dal troppo ardor fu vinta

La gota

pria ridente,

Or dalle rughe

piove in

If

[grim<

offesa,

L' interno orror palesa.

In vino veritas!

Turpe ebbrezza, fugace

Come ogni uman


Neppur
Il tirso

in te la

riposo,

pace

In vino veritas!

pi che tregua.

pampinoso

Pel bacchico furore


Ci ricaccia al dolore.

Ha

sette note

il

suono,

Sette color la luce,

sette nel cor sono


arcani palpiti.
Chi neir amor s' induce,
Mossi sei passi in alto,
Giunge al Loucadio salto. ~ In vino veritas

Chi baldo la speranza


Toglie all'aereo stallo,
E per la prima danza a lei s' abbraccia,
L'atra al settimo ballo
Fidanzata del mondo
Trova che il preme a fondo. In vino verit^

IN

29

VINO VEIUTAS.

Sol chi feroce squarcia

La mal redata piaga,

E dell'urgente marcia
Sol esso il core appaga

nervi sguscia,

Pi in l dell' ore estreme


Di non caduca speme. In vino veritas!

Lunge

la tazza vile

Donde postuma scoppia


La verit che ostile il senno
Lunge! per

rosica;

s'addoppia.
Non si disnoda il groppo:
Dirlo una volta troppo! In vino veritas
lei

LA NEBULOSA.

Gi due mill'anni in fondo


Al ciel, dove di luce
S' agita informe un mondo
Che appena a noi traluce
Nella quiete bruna
Di notte senza luna,

Crebbe a splendor pi certo

Una

fievole stella,

Oasi in un deserto,
Povera navicella
Sorgente a colmo d'onda
In quel mar senza sponda.

LA KLBULOSA.

Un

vergine suo raggio


il volo
Pel secolar viaggio,
Qual da madre figliuolo
Dispiccasi talora
Che il primo passo ignora.

Mosse tremando

Le vasto onde materne


Dei lucidi elementi,

D'ombre profonde eterne


Varc spazii silenti,
Esul da forza arcana
Volto a plaga lontana.
Gli strascichi lucenti

Pass delle comete;


Per zone trasparenti

Perennemente

liete

Degli alternati soli

Segui

g'

Aggiunse

immensi

alfin la

voli.

cima

Dell'aure nostre, e accorto


Del tiepidito clima,
Come chi vede il porto

In mar cupo che freme


Tutto trem di speme.

LA NEBULOSA.

Pur con cresciuta lena


Pel taciturno rezzo,
Che alla notte serena
Crescea frescura e olezzo,
Del lungo esilio infido
Scese al bramato nido.

Da due

mill' anni errante


Pel ciel r etereo lume
Si mescol nn istante
Col Tiberino fiume.
Un guizzo di d'orgoglio;
Poi mori di cordoglio.

B3

LA GRAN MADRE.

ti'

madre quando all'ultim'ora


Conobbe esser venuta, e l'anima era
Impaziente di mutar dimora,

antica

Alla figlia

si

volse in tal preghiera.

-0

figlia, morte ogni mio duol divide


Dai servili timori e dallo selierno;
Gi come sospirata alba m' arride
Del libero sepolcro il bujo eterno.

Deh! pel cotanto amor con cui ti venni


Tessendo di speranze alte la vita,
Per quante angoscio a tuo schermo sostenni,
Onde ora sono mortalmente attrita,
NiEvo.

LA GRAN MADRE.

Serba al mio nome il venerando onore,


E abbracciata alla sacra ombra materna.
Come ad ncora fida, il tuo dolore
Con ogni stadio di virt governa.

Per

le

lagrime mie cliefuron molte,


tu sai, non far onta alla mesta

Come

Larva, obbliando nelle gioje stolte

Che del
Di severe

lutto

virt,

l'

onor solo

come

ti resta.

di vezzi

Onnipotenti, il cor vigile adorna,


Che sol per esse quel che tanto apprezzi
Calmo poter nei vinti animi torna.

mia! vivi nel pianto


fas
Pria che nel riso; e allo splendor del

figlia, figlia

Al suon

malie del canto.

dell' oro, alle

Pei sensi

non

aprir

l'

animo

casto.

composta
quando
Senta quell'armonia che ha nome atnore
l'esser tuo di s

a calice sacro il labbro accosta


Al labbro di colui che avr il tuo cuore.

Come

obblVar; ma sculta
Nell'alto cor la serba; indi secura
Cresca fidanza nella prole adulta
Di trar vendetta della mia sventura!

L'immagin mia non

LA GRAN MADRE.

35

Com'ebbe detto

ci, le scarne braccia


Alla figliuola singhiozzando stese,

E la bocca prem sulla sua faccia


Finch in breve il sospiro ultimo rese.
Sull'esanime corpo abbandonata,
Il bel viso stracciandosi e le chiome,
Stette la figlia, e la

Chiam ben
Ed

madre adorata
nome.

dieci e dieci volte a

sua man compose


vestimento a queir estinta cara,
E ghirlandato di pallide rose
Ne fid il capo alla funerea bara.
ella stessa di

Il

Poi quand'

uomo

feral dagli impietrati

Occhi tolse per sempre il volto santo,


E il martello inton dei misurati

Lugbri colpi

il

sepolcral suo canto,

uno strido, e delle man facendo


Forza alle orecchie, e traballando in giro
Al vuoto letto, sull'uscio tremendo
Giacque supina e le manc il respiro.

Mise

Come suole, il dolor volse al delirio


La mente inferma, e per tre giorni
Vittima ignara fin del suo martirio
Poi la ragione al suo loco sedette.

stette
;

36

T.A

GRAN MADRE.

sangu ed il desio risorto


Di vita in lei solo dal duol sorpresa,
Furono al nerbo giovami conforto

Il giovili

Da

rintuzzar la

non iDrofonda

offesa.

E come prima dal


E allo specchio

guancial fu sorta
ridotta, e quei le rese
Una sembianza macilenta e smorta.
Della prima belt desio le prese.

Nello studio servii di sua freschezza


Tutta raccolta, con diurna cura
Dal pensiero cacciava ogni tristezza
E la materna squallida figura.

Ne vede appena

ravvivarsi i fiori
Della gota gentil, che tutta lieta.

Dei loro tardi e gracili colori


Incolpa quella sua stanza segreta.

per le vie far mostra si consiglia


Delle venuste forme e del sorriso
Che fra le labbra sboccia, ed invermigl
Colle sue rose il pallidetto viso.

Poi con obblio sacrilego del voto

Sapremo della madre al turpe foco


Che gi di senno il cor le facea voto.
Esca cerc nell' amoroso gioco.

LA GRAN MADRE.

gemmato disonor di fronte


Sfacciatamente vile alza la buffa
In furiosi amor di febbre, d' onte
E di pianto fecondi il cuore attuffa.

Dra al

nelle tarde veglie e nelle danze

Fa larga pompa de

le spalle

ignudo,

e illustri

ganze

Adoni

fra sfibrati

Ai disonesti ragionar prelude....

Povera madre!

Alma

tu che dalla sede

del cielo rinnovarsi al

Per opra

di costei

Credevi, e

il

forte

1'

mondo

antica fede

amore

verecondo!

eata ancor, se della fede eterna


Dell'anima lass conscia, tu puoi
Negar il casto amplesso e la materna
Gloria a chi vii ripudia i dolor tuoi!

L'ALLEGRA MORTE.

Lo

spirito gentile

Mosse da Dio le penne


E in un garzon ne venne

A
Sceso dall'

starsi umile.

Ali)i al

mare

Povero pellegrino,
Credette oltre Appennino
In ciel tornare.

Quando venir

sul vento
ud di guerra,
sorgere da terra
Un gran lamento.

Un tuono

ALl.EGKA MORTE.

1.

Pianse lo spirto allora


Spogliando il mortai velo,
E sciolse r ali al cielo,
E pianse ancora.

Ma

r angelo

di

Le lagrime

morte

gli terse,

Indi del cielo aporse

A
Guarda!

lui lo porte.

gli disse; e

Sul fatai libro

Guarda onde

il

mise

dito,

sei fuggito
Ei lesse, e rise.

-10

Al)

Ximi

GIOVAVI FILODHAMMATICI.

Prodi garzoni, egregi


Diletti son, elio

con pietosa cura

La modesta sventura
Sanno a jiarte chiamar

del dolce loro.


Perci ribenedetti
Quc' nobili diletti
Ci rimenano in cor doppio ristoro.

N a

voi sorrise il fasto


Oltraggiator di splendidi banchetti,
K di notturne danze il molle incanto
Viet 1' animo casto
Dalla piet delle miserie altrui.

Furo

i tripudi sprone
Di virtuoso intento,
E all' onorato agone
Studio gentil di carit v'indusse,
O forti anime e buono.

'

Alcuni filodrammatici rappresentarono unii

franctse a beneficio de' poveri; ed Eleonora


della valente

prima

attrice.

coninio(li;i

era

il

nome

AX)

ALCUNI GIOVANI FILODRAMMATICI.

Ma

perch mai vgg' io


In itala favella

Per italici attor riviver quella


Parigina Talia clie pi ne offende?

Perch nostrali

affetti

virt cittadine or

non

ci

apprende

dotto labbro vostro?


Vi sgomentite voi, voi pur nipoti

Il

Di Goldoni e d'Alfieri,
Or che tanta di voti
Concordia e di iiensieri,

E d' opre ferve sulle patrie


Ad instaurar le scene?

arene

Un' altra volta rivedervi, e schietti


Interpreti di noi, de' consueti

Costumi

e di concetti

Figli d' itala

mente

io

non

dispero.

allora in te m' aspetto

Mirar effigiata, o Leonora,


Lei che a rifar l'abbietto
Seme Latin quaggi s' attende ancora.
Donna potente e bella
Che virt spira ed incrollabil fedo
Negli atti, nel gestir, nella favella;
E un senno alto risiede
Nell'ampia fronte, ed un viril consigli
Parla dal folgorante arco del ciglio.

AD ALCUNI GIOVANI FILODRAMMATICI.

42

Pur

alle dotto prove ed a quel santo


Pensier che le suggella

Benedir chiunque in s comprenda


Tutta la varia umanit sorella.
E a voi tutti speranze
Preparano soavi i ben sudati
Giochi; siccome sono
Di fidanza argomento al pio colono
I verdi seminati.

Passa la mortai vita, o giovinetti,


Come scenico ludo
Di cui sentenzia il plauso. Ai Stigli fiu
Scese il poeta, e d' ogni spirto ignudo
Giudice fu coi numi!

i:

L'

IRI

DEL PIANTO.

AD UNA ATTRICE.
Anima

bella, tra la gloria e il duolo


Errava un' altra bella anima un giorno,
Finch r ali protese e fu il suo volo
Senza ritorno.

Non

pianger, no! La morte sua fu 1' ora


Del di men triste, in cui la fuggitiva
Luce sembr di pi celeste aurora
Farsi giuliva.

Solo pria di partir nelle terrene


Cose lo sguardo serenato affisse,
E al mal sofferto e allo sperato bene
Hibenedisse.

l' iri

del pianto.

quei pensier che le veniaiio al core

Dai ricordi pietosi acri, diversi,


non terreno amore

llincolor di

In pochi versi.

Siccome un

fior che rende al suol cortese


per una le caduche foglie,
Ella lagrima a lagrima ci apprese

Una

Le arcane

doglie.

Cosi, cantata la pietosa storia,

L'alma n'and,

la bella spoglia giacqu


Virgineo solco la segui di gloria,

tutto tacque,

I.

SOSPIRI.
Di Napoli il superbo
Lido ricordo, e i monti;
I Liguri tramonti
In cuore io serbo.
Sul Tebro dei Titni
Lo reggie e i templi infranti,
Sull'Adria degli amanti
I nidi arcani.

l' iki

Le

dkl pianto.

feste vidi,

il

riso

Dell'insubre Regina,
E della tosca Alcina
Il verde Eliso.

cento ho in mente e cento


Grandi cose e leggiadre;
Ma il bacio della madre

Ahi non rammento

II.

Sempre per sogni


Librato

il

d'

oro

pensier mio

Volgea dal mondo a Dio


Mai non posando in s.
Facea gentil tesoro
D'ogni gentile affetto;
Facil prendea diletto
Della sua bianca

f.

Diceami poi tornando:


Godi, o fanciulla, e sper
nube passeggiera
Che in alto sfumer.
Sei rosa che sbocciandc
Luce e rugiade accoglie,

Sei

di sue sparte foglie

Il

suol feconderai

j>

l'iri

del pianto.

III.

SDEGNI.

Apparvi sulla scena


Vergognosetta in volto
Fitto del popol folto
Sentia lo sguardo in me.
Ma dalle labbra appen
Si tolse il primo accento
Che un sbito portento,
:

Neil' esser

Dai simulati

mio

si fe.

lai

Vero dolor mi venne:


Aspra tenzon sostenne
Col fnto amore il cor.
Piansi; n pianto mai
Sparsi pi vero e santo
Plaudiva il volgo intanto

Ed

io

piangeva ancor.

1/ IRl

DEL PIANTO.

IV.

Oh

qtial di te

disdegno

Popolo mio ti prese,


Che fai te stesso segno

sacrileghe offese ?
d' idoli volgari
Culto briaco impari?

Qual

Quando

dell'

Anglo Dante

Spiro il faror divino,


O calzo r elegante
Coturno Parigino,

M'intendi tu, m'intendi

Che

tuoi Dii vilipendi?

un macellajo,
Metastasio un forajo,
Goldoni un freddurajo,
Pellico un parolajo,

Alfieri

Marenco un orpellajo,
Nota un burattinaio
!

47

,,

Ij

Ma tu

chi

D' eroi

iri

del pianto.

sei?.... Semente
non gi ma erede
;

Della turba demente,


Cui fu il truogolo fede,
Tempio il circo cruento
E console un giumento.

V.

Non

sulla scena il fumo


Di vanit respiro
Ma lagrimo, sospiro
E mi consumo.

N alcuno

in tali pene
ogni trionfo accrebbe
Accolto crederebbe
Gli'

Ogni mio bene.

Alle notturne fole

Quando mi

toglie

il

dal mentito torno

Al vero sole

giorno

DEL PIANTO.

l/lKI

Veggo pi

stolta e serva

Questa che sprezza e ammira


Plebe dorata.... L'ira
Il

cor

mi snerva!

VI.

PALPITI.

Perch

se'

nato appena,

desietto

e vai

Pel cor eh' tuo, lo sai,


Cercando ombra e mister?
Perch sulla serena

Fronte non

fai

dimora?

De' rai non t'innamora


Il limpido piacer?

Deh r
,

esser tuo mi svela


spirami nel volto,

Mentre i consigli ascolto


Che il fido specchio d.
Taci?... e svegliar dell' ira

Non temi
La

la scintilla?

fronte, la pupilla,

Vedi, divampan gi!


NiEvo.

50

l' iri

del pianto.

Oh, della notte alfine


Veggo una larva sola
Clio al lume non s' invola
Dell'albeggiante di.
Biondo e dorato il crine
Le braccia giunte in croce
Con carezzevol voce.
In sogno mi rapi.

VII.

T'amo! dicea con tanta


Piet che si riscosse
L' alma dal sonno e mosse
Sulle sue traccie invan.
T'amo! nel cor mi canta
Celestial concento;
T' amo! ripeter sento
Da un foglio che ho tra man.

Aver

>

le

L'

tue sembianze

anima tua vorrei


insiem

gli affetti

miei

Le mie speranze.

L.

IKI DKli

PIANTO.

Sarei la pi gentile
Cosa da Dio creata.

Non mammola

sbocciata
verde aprile.

Xon alba che nel mare

Mesce il divin colore,


Non lampada clie muore
In suir altare,

Non

d' arpa suon, non rosa


Pi di me allor saria
Pudica, bella, pia,
Dolce, amorosa.

VITI.

AMORE.
La

rosa,

1'

L' alba

La

arpa e 1' ara,


che al mar sorvola,

pallida viola

Ai mesti cara,

l'iri

del pianto.

Immagini d' amore


Sono se il cor le intende

Ed

oltre

rai trascende

Il lor colore.

Sei tu la pi gentile

Cosa da Dio creata;


Io son la

meno ornata

la pi umile.

Pur, da gentil richiamo


Scossa, anche un' umil
In dolce eco sospira!

Io

t'

amo

io

t'

lira

amo!

Esul dal ciel natio


L' etereo spirto andava
E in terra sospirava
* 11 sen di Dio:

Quando scendeste

voi

Gemelli eterni, e stanza


La gioja e la speranza
Ebbero in noi.

l' iri

del pianto.

Addio, tu che nel cuore


Del divietato eliso

Ne

un

ridipingi

O Amore,

riso,

amore!

Salve a te pur, che forte

uman seme amica

All'

Ridai la patria antica,

O Morte

L' estasi che

ti

o morte,

svela

L'amor, dono di Dio


Sull' orme al pensier mio
,

Nel ver

Ma

t'

inciela.

se per fine a lui

La morte imponi

il

cielo,

Quel ver d'un doppio velo


In te rabbuj.

L'

amor del ciel s' appaga


Qualnuvola d'incenso
Cui strato

d'

aer

Ottunde

men

denso

e svaga.

I^'

IRI

DEL PIANTO.

Finch per vampe oneste


Di virt intera e dia

non

Spirabil

gli fia

L' aura celeste.

Or

si

la tua serena

Alma d'un

soffio appura
Questa che m' era oscura

Ombra

terrena.

par che a' tuoi divini


Cenni il mio fral s' avvivi
O che a raccorne vivi

Il ciel

inclini.

Or amo! or nel futuro

Nostro e del

Che

mondo

d' infallibil
*

s'

Ho

Cile se per

il

cor sicuro.

V alma Luce
amore 1' ala

Corta

Pur a sublime scala

io sper

vero

d'

Egli n' duce.

l' iri

del pianto.

Se per tua man s' intinge


Nello splendor del bello
Il

magico pennello,

amor che

pinge.

Se plebi dure o tarde


Col gesto, coli' accento
Io suscito c sgomento,

E amor

che m' arde.

tu vuoi far terrena


Questa divina cosa?
Vieni, se hai cor! ti sposa
Alla mia pena.

Se cuor non hai, non quello


Che puro ho in sen puoi tormi!
Cheti i tuoi sonni dormi,

pittorello!

Accender

di terreno
Impossibil desio
Poteva forse Iddio

Questo mio seno

Per

DEL PIANTO.

Perch non sazio mai


Di sua giustizia a scherno

IR!

Restassi esule eterno


A eterni lai?
1' aer un vago suono
Narra che eroi vi furo
Per, te V assicuro,
Io eroe non sono.
:

N per ventura intendo

Le acerbe tue querele:

Si vita io do alle tele,

a lor la prendo.

Perch profano, all' arte


Di Raffaello vai
Chiedendo ci che mai
Non potr darte?
,

Perch sulla sbiadita


Tela diffonder brami.
La tua che vita chiami,

E non

vita?

l'iri

del pianto.

Da

scialba mente speri


Raggio che eterno duri,

tinta che infuturi


I tuoi pensieri?

Oh

no! solo

non muore

opre sue chi in petto


Cova un eterno affetto.
Eterno amore!

Neil'

A RAFFAELLO.
Certo, nel ciel vissuto

Lo

spirto tuo, qui

Ove membrar
Il ciel

gli

nacque

piacque

peiduto.

Onde all' amor tuo bello


Le immagini chiedesti,

E gloria e morte avesti,


O Raffaello!
Pure se te d' amore
La Fornarina uccise
In cielo almen ti mise

in alto onore.

l'iri

bel pianto.

Ma me
N

quest' altra gioja


eterno vuol n morto.

E un

sol

mi d conforto,

Un sol!...

la noja!

IX.

DISPERAZIONE.

Ed

or

elle

vedova

Amor mi

lascia

Tu, Morte, scioglimi


D' ogni altra ambascia.

Di sposa porgimi

Tu la corona:
Tu il primo ed ultimo
Bacio mi dona!
Su dunque!
Perch

o perfida,

ristai?

Sol delle lagrime


Piet non hai?

Sorda

nell' orrida

Notte tu scendi
Vivi! gridandomi,
c

Soffri,

ma splendi!

r.'

IRI

DEL PIANTO.

X.

GLORIA.

Crudo destin m' indici

Degna

d'

amor

sorella.

Pur mesta umile stella


Io r alme irraggier.
Lo sprone dei felici

L' obblio sar dei mesti:

Poich tu lo volesti
Sol di splendor vivr.

Ma non

chiegg' io la luce

Che folgorando abbaglia:


L'

amor

nella battaglia

Solo con

me

sar.

L' amor che ai buoni duce


Ch' redentor degli empi,

Di s fulgidi esempi
Nel viver mio dar.

l'iri

del pianto.

tale trasvolanclo

Per la mondana sfera


Qual nube passeggiera
In alto sfumer.
Qual rosa die sbocciando
Luce e rugiada accoglie,
Delle mie sparte foglie
Il suol feconder.

XI.
Gloria, fatai del genio
Pena, e desio dei folli.
Gloria, stupor dei molli,

Scherno dei forti cor,


Chi sei? quale di tenebre

O di splendor mistero
Vieta il tuo nudo vero
Al sag'G^io indagator?
Luce

di luce, aureola
Sei che da amor risplende;
Ma sola non accende

Quella tua vampa il sen.


Ora perch di j)lausi
M' insegue ovunque il suono
Della mia vita il dono
,

Premio non ha

terren.

l' iki

del pianto.

XII.

MORTE.

anni son ch'io moro;


barbari monti
Cercate a me ristoro

Sett'

E per

D' arie salubri e fonti?

Ristoro a me le spoglie
Sentir fatte gi lente
Di questa che si scioglie
Vogliosa alma dolente.

Ultimo a me terreno
Conforto col desio
Rivelare al sereno
Cielo ed al suol natio.

Salvete, o gloriose
Rive si meste e belle

Di quai pi vaghe cose

Vo

in traccia oltre le stelle

L'

mi DEL PIANTO.

XIII.

Alfin del

mio martirio

Pieno raccolsi il prezzo.


Prima corona e invidie,

Ora miseria

Ma

qual calcai

Pompe

sprezzo

le futili

volgo
Tale dal fango indomita
Ora per 1' aer mi sciolgo.

Mi

vietili

e il livor del

tomba

e lagrime!

Che

al sacrifizio

non mertato obbrobrio

al

uguale

Avr premio immortale

XIV.
Lagrimette mie romite

Qual novello ardir

v' affida?

Siete tredici bandite


Dai beati orti d' Armida.

Come

osate ai

'ar palesi

lieti e ai

vostri raggi

saggi
?

l' IKI

DEL riANTO.

6;;

Lagrimette, a voi vicina


Sulla palpebra languente

Una mesta sorellina


Fu sospesa lungamente

seguirvi or

Il

desio d' ugual ventura.

Muojo

1'

assicura

alfine, alfin sorrido!

Tutte tredici gi siete


Orfanello senza nido;
Ma con voi quest' altra avrete,
Perch il numero di Giuda
Fuor del cielo non vi chiuda

Tale ella scrisse la pietosa storia


Indi alla vita di lass rinacque;
Virgineo solco la segui di gloria
E tutto tacque.

Delle lagrime sue quaggi rimaste


Io pur piangendo queste carte asp

Soavi come sono, umili, caste,

te le offersi.

L' IBI

te,

DEL PIANTO.

regina del sentir, che vai

Spandendo una vital luce d' amore


A te, grand' alma che fratelli sai
,

Pianto

splendore

LA SINFONIA DKLLA

Cosi

si

canta in ciel

NORMA.

tale ci inspira

Armonica bellezza in femminile


Sembianza, quando le profonde ciglia
Disdegno tien superbamente immote.
Ma dal muto pudor se repentino
Scoppio prorompe, pel turbato azzurro
Guizzano i lampi, quasi ira d' un Nume.

O prodigio dei suoni !... dall'eterna


Favella loro unica vita e uguale
SuU' anime poter le disparate
Immagini pigliando,

si

solleva

L'intelletto coi sensi, e tutte accoglie

Le discordi bellezze a somiglianza


Della vasta natura, e In un diletto
NiFA'O.

LA SINFONIA DELLA

63

NORMA.

Confondendole, insieme l' infinito


Molteplice indovina esser dei numi.
Tace nn silenzio: come di sepolcro
Dove di vivi eroi dorme un'invitta

Falange deprecando

tardi

fati.

un brivido per l'ossa


Di quei dormenti, e fremono animate
Le Druidiclie pietre, e incontro al sole
Vengono i morti a dimandar la vita.

Ma

tosto corre

Gallia, oli Gallia antica! i figli, i tuoi


Figli guerrieri al sacro orror de' boschi

Oh

Convengono notturni,

brancicando

Van fra le querele i sanguinosi altari!...


Mormora ancor da lunge il trionfale
Consolar canto a cui vicin risponde

Un quasi sotterraneo urto di spade,


E un minaccioso stringersi di destre.
Veglia la luna in cielo. Oh Gallia, oh antic
Gallia! al pallente virginal tuo nume
Che a notte sorge sulle candid' alpe
Consacra un'ecatombe. 0 morte, grida,
O libert! Fervala pugna; ovunque
incrocino le spade; sotto il peso
Dell'aste infranti sian gli scudi, e gli elmi
Schiacciati e le cervici, e il sangue scorra

S'

ritemprar

daghe.
spumeggianti

le irrugginite

Escon Druidi barbuti

Sacerdotesse a inaugurar la strage

LA SINFONIA DETJ.A

NORMA.

67

Dalle grotte fatali; escon dai muti


Abituri gli eroi l'antica Gallia
Pel tiranno strozzar sul proprio petto
Le gran braccia serr; mentre l'ingorda
Deit d' Eso ne lambisce il sangue.
;

dei popoli l' ira, tempestosa


Procella, turba l'armonia servile
Di lunghe et; con fragor bieco irrompe

^al

Nei languenti cadaveri la vita.


Come, rugghiando, di costretto fiume
Dagli argini straripa al letto antico
L'onda e la prima maest riprende;
Dopo la piena, il gretto uman bisogno
L' acque diverte, i rotti schermi afforza
E, debellato dall'asciutta estate
Pi che dal tardo oppositor, si volve
Mutolo il flutto fra i novelli ceppi.

Protendiamo l'orecchio! Oh qual da terra


Sorge cupo lamento e qual risponde
Lamento la notturna aura?... non s' ode
Fin nel tumulto dei teatri un freddo
Ribrezzo venir via sulle canore
Onde? e stringerci l'anima un sospiro
Che dall'anima sorge, o da riposta
Cagion di duolo in quei piaceri infusa?

LA SINFONIA DELLA

68

NORMA.

mortali adimmorfcal desio


scema noi gustiam la gioja
Di queste albe terrene: e talor viene
Di vagolanti spirti un mesto coro

Ahi

si!

Creati,

A vendicar
Mentre

sui posteri l'obblio.


sul vasto piano, e dai virenti

alma natura
tardo sol che la consoli.

Colli la paziente

Aspetta

il

Cosi anche finto a scenico trastullo


Languidamente, o amici, il guerrier gri
Da quell'eroiche et giunge nei nostri
Tempi, poveri d'eco a tanto suono.
Se pur non si riscalda alla fornace
De' Siculi Vulcani alma che avvivi
Co' suoi concenti la sparute larve
E i gi chiusi orizzonti a noi riveli.

Mutarsi allor sembra

Guerra

di selve,

Vengon per

Gemono

Da

il

teatro in negra

quando minacciando

l'aria quelle fiere note.


come sartie oppresse

cuori,

vento impetuoso,

il

sangue batte

arterie, e forse pi feroce imita


L' antica furia, come in egra mente

Le

Passa pi torvo il lemure notturno.


Simile a spade contrastanti, a grida
Di battaglieri, di feriti, a scalpito
Di cavalli, a preghiere, a moribondi

LA SINFONIA DELLA

NORMA.

Gemiti il risonante ordin si mischia


Delle corde vocali: in fin che muore
A poco a poco il suon; tace 1' antica
Armonica battaglia; il sogno fugge;
Mentre il funebre rogo incenerisce
La grandezza di Norma od il peccato,

69

LE SCIMIE MILANESI.

Andate

Non

in collera V
c'

Siam

un pcicL.

tutti scimie

Da capo a pi.
L'ultime pagine
De' nostri annali
Han sol due rubriche
Originali.

Un

tempio, un uomo:
e il Duerno.

Manzoni

LE SCIMIE MILANESI.

Oli bella!

gridano:

Panettone?
Cedi allo stomaco,
il

Mamma

ragione!

Si, vero;

il

secolo

Pi che alla mente,


Badando al sapido

Lavor del dente,


Tuffa la storia
Nella galloria.

Ma fin dell' epiche


nomane gole
Inetta scimia

Rest la prole,
Perch se l'anima
Volta in cloaca,
Nell'impossibile

Gara

s'

indraca,

Pi savia l'epa
Protesta e crepa.

LE SCIMI

Siam

MILANLSI.

tutte scimie,

A' pie ronzanti


Di pi ridicole

Scimie giganti.
Se uno spettacolo
Di scimie attrici

Fa

urlar le scimie

Betfeggiatrici;

Di queste scaltre
Ridon miir altre.

S'

alza

il

sipario.

Rubiziio e tardo
S'avanza un piccolo

Rothschild lombardo.
Di borse e cacio
Piena la bocca,
Se un nmil cedola

Firmar

gli tocca,

Gli uncini ei sx)reca


Dell' ipoteca.

1.15

SCIMIE MILANESI.

Che

se por Napoli
D' una cambialo
Lo preghi, rumina,
Si sente male.
Fosse per Bergamo

O Gorgonzola
Transe<d!...

Ma

Napoli!

Tanto non vola


L'

obeso incliiostro

D'un

Ma

Kotliscliikl nostro.

ben pi volano

I cervellini

D' altri decrepiti


Giovinettini.

Impiastri d'uomini
Fatti a Parigi

D'unti e cosmetici;
Se tu li pigi,
Ogni lor succo
Si scioglie in

mucco.

74

LE SCIMIE

MILANl<:yi.

Dell' anglosassone

Cipiglio impressi
Altri cavalcano

Che son gli stessi.


Proci e centauri
Lontre o Leoni,
Per quanto mutino
I tacchi in sproni

Sempre son sciocchi

Come

tarocchi.

Largo a Don Ciondolo,


Al signor Duca

Che

sotto

titoli

Piega la nuca.

Largo

alle stupide
Nostre Ni non;
Largo alle idropiche

Dee del bon-ton.


Son tutte esimie
Scimie di scimie.

LE SCIMIE MILANESI.

Scimie di scimio

Son tutte queste


Che ad tiltre scimie
Lecciin le pste.

Scimmiotti acefali
Gonfi la pancia,
die alle metropoli
D'Anglia e di Francia

Fan provinciale
La capitale.

Oli

dove andarono
Quei vecchi stampi
Avvezzi a moversi
Dai fori ai campi
Dove son profu^^he
Le maschie idee?
In quali circola
Vene plebee
L'antico e sano

Sangue ambrosiano?

LE

SCI.MIE iMlLANESI.

popolo
Della platea,

u, giovili

Perch non laceri

La

vii livrea?

Perch non liberi

Le

patrie scene

Da

quelle esotiche

Monche

falene?

Di buffa in seria

Va

la materia.

'mpo

di ridere

Non per noi


N d'esser scimie
Ne p pur d'eroi.
Riconficchamoci
Tali quai siamo
Nelle

memorie

Del vecchio Adamo


Di l zampilli
Jb'orza ai itusU.

LK SCIMIE MILANESr.

Gli estranei popoli

Ci

han

superato?...

Nostro
Nostro

Ma

l'obbrobri
il

peccato!

da quei popoli

Coi telescopi

La buffa patina
Non si ricopi.
Copiamo il vivo
Valore attivo.

Copiam

la libera

Furia francese:

La

testereccia

Prodez25a inglese.
Il filosofico

Senno germano,
L' ardir titanico

Americano!

Ma

poi,

Dell

ma

poi....

restiam noi!

BOZZETTI VENEZIANI.

I.

PROLOGO.

Amore

un solo affetto;
Pure mutabil sempre
Cuoce in diverse tempre

L'eterno suo caler.


Move del pari a dolce
Lusinga e a tema il viso,
Il labbro a scherno e a riso,
A gioja e a duolo il cor.

Cb se crudel matrona
Devota al cicisbeo
Sdegna omaggio plebeo
D'un vate senza sai,
Soccrrela dei servi
L' ostacolo

mendace

dirmi

ella giace,

fuori sul canal.

eli'

BOZZETTI VENEZIANI.

IT.

LA SATIRA.

Stnonano in

giovili labbro

Ironici cachinni

D' anguicrinite erinni


Orrendo pregio e vii.

Stemprato in tal sentenza


di piano ciglio

Donna

Nobil mi di consiglio
Di smetter lo staffil.

cor promise, e il voto


Tenni, ma in capo a un mese
Lo sghigno mi riprese,
N possolo frena,r.

il

Ah un

pollice di naso

Anco non ben mi quadra:

Ma

saria cosa ladra

Volermelo tagliar!

BOZZETTI VENEZIANI.

80

III.

LA PROMESSA.

illustre

Dama,

reo

Sono d'amar la colpa


Onde un crudel mi spolpa
Doppio rimorso il cor.

Ma

tal che tutto puote,

Che voti eterni ignora


Pu del suo voto ancora
Sciogliere

il

peccator.

Giuro (n sar questo


D'aria sbattuta un suono)
Glie cosi come sono

Le cose

ritrarr.

Rosei saran gl'incliiostri

D'oca

E
E

le

penne

il

resto;

ad ogni verso: Questo


in grazia tua! dir.

l-.OZZKTTI

81

VKNHZIANI.

IV.

LA PIAZZA DI SAN MARCO.

Se dei marmorei

giri

dei posanti crocchi

Dolce

La

pare

ti

a^^li

Se piaccionti
Canti,

d'

con

Ma
Grata

ti

mesci

porta questa

te

di piacer.

se

una

ti

torni

Dove raccolta
NiEvo.

in caratata festa

Memoria

Non

aperta

archi e di palazzi

Vieni, o stranier,

Air

all'

risi, sollazzi,

Offesa maest,

occhi

floscia venust,

memoria
mai

tal

1'

hai

dirlo al tuo pensier.

'

BOZZETTI VENEZIANI.

V.

AI CAVALLI DI BRONZO
SULLA BASILICA DI SAN MARCO.

Forse ad inutil

V arm

pompa
addome

di lieve

di volanti cliiome

Argolico scalpel?

Animo, ol, stendete


Le muscolose forme;
Traetevi sull' orme
Le cupolo pel ciel!

immaf^^in dei politici


L' altissima quadriga

Scolpita a eterna briga

Eternamente

sta.

Perch, povere bestie,


Non aggiogarlo al coro?

.Forse lo

sforzo loro

Miglior effetto avr.

BOZZETTI VJ^NKZIANI.

VI.

AI COLOMBI

DELLA PIAZZA SAN MARCO.


L'italo veccliio sangue

Purissimo, o colombi,
Fluir dai vostri lombi
Soffre la fiacca et.

Beati voi cui dato

Da non avara mano


pane cotidiano
Lasci la libert.

Il

Se

il

ben

dell' intelletto

Vi niega la natura,
Di qual miglior ventura

Non

seppevi appagar?
Qual reggia v' ha che oscuri

La vostra piccionaja

che pi bella appaja


Fra terra, cielo e mar?

BOZZETTI VENEZIANI.

VII.

DOPO MEZZOGIORNO.

Ritinte, imperruccate

Con molta flemma

molta,

Sfilano alla lor volta

Due

vizze antichit.

Ohim,

gorgoglia
Fin le Procuratie

Non sembran

una

pi le mie

Di dodici anni

Come peggiora

1'

il

fa!

mondo!

L' altra sfiatando biasciii,

Come

r estiva ambascia
aggreva di per di!
Volea pi dir; ma un dente
Ch' ospite in bocca avea.
Le corse alla trachea;
Fe' punto ed inghiotti.

S'

85

BOZZETTI VENJlZIANr.

Vili.

r.T

UOMINI DI BRONZO CHE BATTONO LE ORE


SULLA TORRE DELl' OROLOGIO.

Ben vi fu amico il senno


Quando la prima volta
Voi vi levaste a scolta
Del sonno cittadin.
Allor dei pioni giorni
il volo
Se il vigile orinolo

Fuggia impensato

Non ne annunciava

Or non mi fate

il fin.

il broncio
Se tra gli inerti e i grulli
Vi trovo ben citrulli
Si chiotti a restar li.
Oli che, vi garba tanto
Batter la solfa al morto?

Almen

faceste corto

Di dodici ore

il

di

BOZZETTI VENEZIANI.

IX.

SULLA SCALA DEI GIGANTL

Qui lascia onde gi doma


Fu la ducal cervice
Brandia giustizia ultrice
Di bieca libert.
E intorno a lei del volgo
Nelle fuggenti spire
Inorridivan l'ire,
Stupiva la piet.

Lav

la pioggia, il vento
Terse la pietra infame
Or di donzelle e dame
Molle vi striscia il pi .
Ma ai sorger della luna
O quando il giorno langue,
;

Ribolle ancora il sangue


Dove Falier cad.

lOZZETTI VENEZIANI.

X.

LA CALLE.

Fisica cis]posa,

Che di bugie c'introni


Diverse le pigioni
Segnando al caldo al gel,
Ecco a Venezia un chiasso
Il pi piccin dei chiassi,
Che scorna i tuoi compassi
E d la berta al ciel.
,

Rivai della Siberia


Allorch fiocca o sventa
Un' Africa ei diventa
Al rinforzar del sol.
Tre volte il di v' intasa
La gracil Musa mia.
Vorria cantar.... vorria....

Ma

la tosse

no

'1

vnol

S7

BOZZETTI VENEZIANI.

XI.

QUADRUPEDI E BIPEDI.

Sul!'

ora

clie le

rondini

Richiama al nido, il mogio


Leon dell' Orologio
Io contemplava un di.

Quando scodato branco


Di frolli leoncini
Dai morbidi cuscini
Lo sguardo mio rapi.

Alato quello e inetto


Al remigar dell' ali;
Scodati questi, ai quali
Daria la coda onor.
Se tutti son leoni
Nei baffi, nelle chiome,
,

Han

di leoni

Di somarello

il
il

nome,
cor.

BOZZETTI VENEZIANI.

xir.

SUI CAFF.

Che serve, o Nonno, bieco


Risuscitar nei sogni

Onde

di se

vergogni

postero minor?
Cile serve delle vinto
Parti, dei lunghi studi
Il

dei cruenti ludi

Il

postumo scalpor?

Credi che se di gravi

Cure civil vicenda


Al cerebro tremenda
Guerra e ai nervi ti di,
Or siano a minor briga

Dannate le mascelle,
Or che la vita imbelle
Sbadigliam pei caff?

BOZZETTI VENEZIANI.

XITI.

ALLO SCIROCCO.

Spurio, fgliuol dell'aria,


Circe dei somrai ingegni,
Bistruggitor de' regni,
Padre del sonno e re;

Ben a ragion dell' Adria


boccheggianti figli
Vapno tra due sbadigli
Maledicendo a te.

Ma come

in terra

Sconfsse e

Dandolo

Bisantini,

E come il Morosini
Ruppe gli Osmani in mar?
Ali, quel Scirocco un nostro
Peculiar nemico,

Che certo

al

Non osava

tempo antico

fiatar!

BOZZETTI VENEZIANI.

XIV.

IL TOUEISTE.

Vien duro da Marsiglia


Colla sua guida in tasca
Ed in Piazzetta casca
Illustre oltramontan.
Fiuta San Marco, sbircia
La Scala dei Giganti,

Compra un pajo
Si sdraja

di guanti,

da Florian.

Carezza un po' la morbida


Rivista de' due Mondi,

Guarda il Corso defoidi,


Paga il cigarro e il the.
Reduce a bordo, parto
Squatrando una bistecca.
Venezia dalla Mecca
Ei non distingue aff.

91

BOZZETTI VENEZIANI.

XV.

LA lUVA DEGLI SCHIAVONI.

Oh quanto amor di donne


E di leg?iadri adoni!
Come di canti e snoni
L' aere festoso pieni
Il

venditor

d'

aranci

I/nmil lanterna accende,


E Pulcinella imprende
Sue gesta a ciel seren.

Ma un

nuvolon dal mare


Ecco montar si scerno:
Si spengon le lanterne,

Fuggon

cappelli e amor.

Pulcinella osserva
La sgombra riva c dice:
Il tempo il pi lo lice

Degli improvvisiitor

BOZZETTI VENICZIANI.

XVI.

IL

TUA GII E TTAN TE.

Passate a stormi

il

nuovo

Ponte di ferro, o sciocchi!


Cosi con voi trabocchi
Il ponte e chi lo fe'!
Gi nelle corse estive
Il provvido traghetto
L' ansia speguea del petto,
Lena rendeva al pi.

E un

soldo sbattezzato

Tornava nel taschino


Mutato in un zecchino
Di vispe novit.
Or non si snebbia mai
La vostra curva fronte;
Grulli, passate

il

ponte,

Grulli, tornate in qua!

BOZZETTI VIiNEZIANI.

XVII.

IL BURCHIO
DENOMINATO IL FURIOSO.

squallido Caronte,

Perch

si tardo?....

come

un tanto nome
Non anima il timon.
E svergognando gli ozii
L' onor d'

Delle supine antenne


Serve non fa le penne
Del rapido aquilon?

Il

Furioso onusto
Di spazzature immonde

Dimentic dell' onde


corsa immensit?
Venezia ancor Venezia!

La

Rispondemi il ribaldo,
Ma non le monta il caldo

Come miir

anni

fa!

95

]>OZZliTTI VENEZIANI.

XVIII.

IL BURCHIO
LA DIVINA PROVVIDENZA.

O Provvidenza,

nave

Tre volte avventurata,


O tanto sospirata
Diva d' ogni mortai!

QurI ne' tuoi fianchi ascosa


Merce grave di spene
Rimescolando viene

La

Son

feccia del canal?

cenci,

padron mio

Dice quel dal timone;


Donde 1' acqua e il pestone

Faranno carte

uscir.

Carta! aggiunsi io
Banco-note, gazzette,

ventole, o ricette,
Dio, che volli dir!...

O....

da farne

BOZZETTI VENEZIANI.

XIX.

O Re
R-e

LE BIRRERIE.

Valpolicella,

paesano

Dove

e brillo,

del tuo zamj)illo

La Najade fuggi?
D' eretica bevanda
Sozzi fiutando

nappi,

Essa ai gi gonfi grappi


Profuga maledi.

Onde

s'

ammuffa

il

tralcio

invan nella cervogia


La giovent barbogia
Pesca r avito ardir!
Invan! Vanno ogni giorno
Gli animi arditi e grandi
E i fiaschi venerandi
Senza eredi a morir!

nOZZETTI VENKZIANr,

XX.

IL FRESCO.

Lasciando senza chiusa

La

strofa incominciata,

Mi levo alla chiamata


D' un soffio vespertin.

E perdo

il

lieve schifo

In mezzo alla laguna,


Dove per me la luna
Scioglie l'argenteo crin.

Il

Canalazzo intanto
Di gondole s'arruffa:
La folla suda e sbuffa
Gridando i remator.

Non venticello fresco,


Non pace e poesia!
Bastano a

tal

genia

Pompa, chiasso

e sudor.

BOZZETTI VENEZIANI.

XXI.

SUL LIDO.

O padre mar,
S' intese la
J?er far

da

coli'

arte

natura
te sicura

rea consorte un di.


Invan geloso sempre
Al tuo destin rilutti

La

I desiosi flutti
Non moverai di qui.

Invan l'ampia bonaccia


L'adultera lusinga
Acci un secondo stringa

Connubio espiatori
Gi tu disperi e fuggi
L'

immemore

Sirena.

Sorge l'asciutta arena


Simbol

di spento

amor.

BOZZETTI VENEZIANI.

XXII.

LA SAGRA DEL REDENTORE.

Rive

e campielli

inonda

popolar contento;
Cento barcliettc e cento
Guizzano nel canal.
E delle appese faci
La variopinta luce
Il

navigliier conduce

Al margine

ospitai.

Gi popolosi gli orti


Sono di bande e deschi:
E amor godendo i freschi
Per scettro il tirso tien.
Tal dei trionfi antichi

La

gioja al di s'offria:

Notturna fantasia

Ora sull'alba svien!

BOZZETTI VENEZIANI.

XXIII.

l'alba dell'adriatico.

Espero

brilla;

il

mare

increspa lievemente.
Forse dell' alba ei sente
L' alito messaggier.
La prima luce appena
Col volo il crin s'asciuga
S'

Che
Il

dei vapor va in fuga


gregge mattinier:

Essa il fuggente incalza


Per valli e piani e colli,
Di lui fecondi e molli
Fa l'erbe, i rami, i fior.

E il

sol,

presagio eterno,

Ridendo alfin pel cielo


Cinge con flammeo velo

La

terra del dolor.

BOZZETTI VENEZIANI.

XXIV.

IL MANICOMIO DI SAN SERVOLO.

Voga

pei lenti flutti,

O bruna gondoletta,
E all'eremo t'affretta
Che sorge da lontan.
Canti

non

odi e risa

Sonar per l'aere intorno?


Si magico soggiorno

Tu

cerchi altrove invan.

Queir umil lido il flutto


Bacia pi azzurro e mite,
Degli orti l

Sono

fiorite

le ajuole

ognor.

L dove i saggi a dura


Dannan prigion gli stolti
L solo ancor sui volti
Lice parlare al cor.

BOZZETTI VENEZIANI.

XXV.

A GOLDONI.

Gran dipintor del

vero,

Perch al fedel pennello


Si frivolo modello
Il secol

tuo rec?

Perch non or

sei

vivo

Che

il

mondo birboneggia

il

Che

buifo a eroe s'atteggia,

jer filosof?

Ora che

sciolta in piazza

Scambietta

la

commedia,

sulle sceno attedia

Sonnifera virt?
Sciocco! che dissi?... e quale
Forza or di scherno avresti?
Tacer con noi dovresti
E pianger anche tu!

BOZZETTI VENEZIANI

XXVT.

LA PATRIZIA.

Contro

il

Premi

marmoreo
l'

plinto

intatto seno,

Il bel ciglio sereno


Fisa al cadente sol.
Perch, nobil donzella.
Il tuo leggiadro aspetto
Di mille occhi al diletto
Concedersi non vuol?

Dimmi, perch non

La gondola

sali

giuliva

Che alla frequente riva


meni a trionfar?
Perch si fanno meste,

Ti

Poi tra

le

argentee

stille

Lampe ggian le pupille


Quando le volgi al mar?

101

P.OZZETTI VENEZIANI.

XXVII.

Chi il cor non indovina


Della sembianza mia,
Il labbro invan desia

Far

vile e traditor.

Fugg-o le feste inette,


Sdegno volgari omaggi,

Per

me paure

Altro

e oltraggi

non ha l'amor.

Forse l'eterno Iddio


Di fiammeggianti impronte
Non pu un'altera fronte
Di donna folgorar?
Forse di un foco arcano
In fondo al sen non ardo?
ciel pregando io guardo
Guardo sperando al mar!

Al

BOZZETTI VENEZIANI.

105

XXVITI.

Eppur si dolco o buona


Eppur sei bella tanto,
Si cara al riso, al canto,
Si amabile al parlar;

Che le canore ciancie


Sol con lo Sguardo ammut
E in un sospiro muti
Il plauso loopolar.

Perch col forte aspetto


In questi servi ig:navi
Delle virt degli avi

Non

desti invidia

Ecco, gi

il

almen?

mar

si

Ecco, di vele pieno:


E Morosini, Zeno,

E Dandolo

che vien!

schiude;

100

BOZZETTI VENEZIANI.

XXIX.

Oli se di rosei sogni

anima mia
almen potria
Far mutolo il dolor!
L'afflitta

Godesse!...

Potria sperar dal foco

D'un solo cor

scintillo

Ch'egual incendio a mille


Destassero nel cor.

Potria la rediviva
Sognar gloria d'un giorno,
E il trionfai ritorno
Di Dandolo e di Zen.
Io guardo sempre al mare,
Guardo per l'aer bruno,
Guardo nel ciel!... Nessuno
Veggo!... Nessuno vien!

BOZZETTI VENEZIANI.

XXX.

AI BAGNI.

Amico, sui marini


Lidi

si

freschi e gaj

ravvivar

n'

andai

La smorta giovent.
N mai come all'estive
Veglie, al teatro, al ballo
Il lucido cristallo
Si lusinghier

Ma

mi

fu.

dalla breve ebbrezza

Reduce

al queto lare,
Lasciai sul limitare

Quel sogno di piacer.

Tornan
Tornano i

Non

le rose al volto,

gigli al seno;

torna il bel sereno


De' giovani pensier.

lOS

BOZZETTI VENEZIANI.

XXXI.

PI ALTO.

Reduce

al queto lare,

Perch con vacue ciance


Contristi delle guance
ravvivato fior?
Di fanciullesche brame
Il cor perch rimordi?
Il

Di flaccidi ricordi
Perch ti pasci ognor?

alma giovinezza
Sol colui mai non fugge
Che come 1' ape sugge
Dalle memorie il mi.
Piangi de' tuoi verd'anni
Il bel seren fuggito?

Dall'

Non

ergesi infinito

Oltre le nubi

il

ciel?

BOZZETTI VENEZIANI.

XXXII.

LA POPOLANA.

In buja umida calle

Rosea fanciulla

ft

esca

Spesso al balcone adesca


L'alato prigionier.
E il passegger che tanto
Lieta e gentil la mira
Dall' anima sospira
Un candido pensier.

Donde quel

volto ottenne

L' allegra leggiadria?

La

luce per qual via


Ai rai le balen?
Chi lavor la perla

Neil' ispide conchiglie?

Di candide giunchiglie
Chi il rio pi scuro orn ?

BOZZETTI VENEZIANI.

XXXIII.

LA PESCATRICE.

bambino, saggi
Dal petto mio la vita:
Dio non me 1' ha largita
Che per donarla a te.
Dormi; o bambino, dormi

Sui^gi, o

Nelle fastose sale,


Pi tepido guanciale

Di questo scn non

Lunge

pel

mare intanto

L' occhio sospeso io

mando

Ov'ei ne va pescando
Sul fragil navicel.
Ove l'azzurro flutto
A chi guardando pensa
Sola una cosa immensa
Par coir azzurro ciel. ^

BOZZETTI VENEZIANI.

XXXIV.

PONTE DEI

IL

Sull'

annottar

fSOSPIllI.

la ciondola

D'un g^iovin damo accogli


La f^iovinetta moglie
D'amico cavalier.

in cerca del teatro

Lo smemorato remo
Si perde nell' estremo
Pi bujo del sestier.

La

giovinetta, avvezza
Gi all'amorosa giostra,
Fa virtuosa mostra
Di sdegno e di pudor.
Ma al Ponte dei Sospi
Un sospiretto emise
Dal niveo sen: sorrise
Il

grato vincitor.

BOZZETTI VENEZIANI.

XXXV.

GIARDINI.

Quale desio malnato


Sempre quaggi ne mena
Dove suir arsa arena
L'ombra atteccliir non vuol

poetin, vorresti

Con questo verde aspetto


Persiiadermi affetto
Al tuo campestre suol?

T'inganni, o semplicetta!
Cosi del solo un lume,
Cosi del mare un fiume,
Cosi del bosco un pin,
Cosi di bella madre
Sembrai! l' immago i mostri

Come

dei

campi nostri

Codesto tuo Griardin.

1}

O Z Z E TX I \ E N Z I A N I

XXXVI.

LA CHIOZZOTTA.

Sul burchio del suo Beiope


Venne a veder San Marco,
N mai pi fido al carco

Fu sguardo

Ma

di noccliier.

al sospirato approdo

La sponda non arriva,


Che gi la bella a riva
Balza con pie leggier.

Per ammirar venuta


Piazze

Cupido

E gli

palazzi e chiese,
occhio intese

1'

occhi altrui scopri.

Tanto

Che

di ci fu

paga

di nuli' altro seppe;

Fini col dire a Beppe:

Schiavo
NiEvo.

io

rimango qui
8

BOZZETTI VENKZIANI.

114

XXXVII.

IL

NOBILUOMO.

Chiede a sbattendo il ventole


Decrepito coniglio

Che nel Maggior Consiglio


Vot r ultimo si:

Percli, mammina fresca

tra i bimbi stai,


sciupi in nanne, in lai
Il fiore de' tuoi di?

Sempre

Rispose la gentile:
Fra lor cercando vado
grado
L' arte ondo grado a

Uomini

E
Farli

il

li

far.

lercio veccliio:

usavamo

Si, ma

noi!

simili a voi!

La donna rimbecc.

un

UOZZKTTl VENEZIANI.

XXXVIII.
sior tonin bonagrazta

(cantastoiue).

(l'Academo
Nel Portico c nel prato
Del vaofo Peripato

Ne<?li orti

Atene cinguett.
Sicch alle greche plebi
Di servit foriero

Umore

battagliero

Di ciarle s'innest.

Qui d'un brioso empirico


Il

cicaleccio

ameno

Facile tenne in freno


Il

senno popolar.
Or morto lui, chi resta?

Lieve

gli sia la fossa,

Ma non

cosi ch'ei possa

Giammai

risuscitar!

BO^^ZETTI VENEZIANI.

XXXTX.

FORESTIERI.

D'arcigni e fulvi Inglesi


Un antorevol branco
Cui fa stecchiti il bianco
Settemplice collar,

Un

saltellante stormo

Di Francesini

Che move

Un

arzilli

di gingilli

vario tintinnar,

D' albini e di mulatti

Un

ibrido miscuglio

Ecco

gli eroi

che in luglio

Ci pestano sui pi.

Rincasa appena agosto


I gotici lor baffi,

Che di stampati schiaffi


rendono merc.

Ci

HOZZKTTl VENEZIANI.

117

XL.

IL

Menami

GONDOLIERE.

un poco

al fiosoo

Alla Giudecca o al Lido,

Dicea Rosetta al lido


Burlevol gondolier.
Non sai quanto m' aggiunga
Pi te desio novello,
Molle vederti e snello
Sul remo tuo cader.

Anima ma,

Malizioso

Il

risposo

il

damo:

cielo sa s'io t'amo,

So cerco

il

tuo piacer:

Ma tropiio

le

padrone

M' appreser, clie in amore


Il far da rematore

E un

scipido mestier.

BOZZETTI VENEZIANI.

XLI.

LA BAUTTA.

Di negro volto armata


Deridi invan gli inermi:
Fonde cerati schermi
Chiuso di sole ardor.
La lieve orma, i freschi

La

voce,

il

Neil' occhio

Sogno

brio dinota,
il

roseo nuota

del primo amor.

Colei d'un riso a

un

tratto

timpani mi sega,
E con voce di strega

Mi figge immoto al suol.


Amanti, sposi, figli
Ebbi, vajuolo

Ho

e lue:

due
un dente sol!

sessant' anni,

Cauterii,

BOZZETTI VENEZIANI.

XLII.

IL

VEGLIONE.

Sul naso agli IlkistriKSsimi

Braveggia Pulcinella:

Rosauva

la scarsella

Altrui fiutando va.

veccliierelle squinciansi,

predican Dottori:
Guerrieri e trovatori
S'

impalan qua

e l.

Saltellano Pagliacci,

Scimmieggian Meneghini,
Fra garruli Arlecchini
Borbotta Pantalon.

E ognuno s per gloria


Fa segno all' altrui riso;
La maschera han sul viso,
Pur maschere non son.

IH)

BOZZETTI VENEZIANI.

XLIII.

RIALTO.

Coi cancstielli in braccio,


Massa] e e giardiniere

Sguisciando mattiniere
S'alternano il buon di.
E ad armeggiar di frizzi
Il fnttorin le addestra

Che

l'uscio o la finestra

Del pollajuolo

apri.

Scesa dal ponte intanto


De' buongustaj la frotta,
Su quella mostra ghiotta
Medita il desinar.
Palpan lamponi e pesche
Fiutan tacchini e pesce.
Nulla a VeufZ/a cresce,
Tutto le dona il mar!

121

JOZZETTI YKNEJCIANI.

XLIV.

LA GONDOLA.

alba delle nottole


Dalle patrizie soglie
La gondoletta scioglie
Insidioso il voi.
Raccogliersi alla riva
D' un conscio atrio cadente

All'

Poi pel canal silente


Vagare a lungo suol.

Suir ora de' plebei


Sonni ritorna al porto;
Donna con viso smorto

W esce e furtivo pi.


Ma
Che

le

incontrala

domanda:

il

marito

Donde

Vieni?
E colei risponde:
Fui a pregar per te
!

BOZZETTI VENEZIANI.

XLV.

INTORNO AL POZZO.

t'ansi! a nuova
Venuta montagnuola,
Emerita acquajuola
Venia chiedendo un di.

Come

Oliim!

rispose quella,

L' aria de' nostri

monti

Le limpidette fonti,
Il sol non trovo io qui.

Sibben di

Ho
Ma

lesti ganzi
intorno una dozzina,
se mi san meschina,

Nessuno mi vorr.
Sciocca! imbracciando i se
Rispose la compagna;
Le nozze alla montagna,

La dote

qui

si fa!

BOZZETTI VENEZIANI.

XLVI.

IL GRECO.

Invan d'accorta vedova


balcone,

Assediato

il

Un Greco

scuriscione

Ardito in casa entr.


La man col le chiede,
Ma un subito ^l tocca
Dalla maestra bocca
Inzuccherato no.

Mi date un

tal rifiuto

Senza perch?

le

chiese.

Ed ella a lui: Da un mese


Non passeggiate invan!
Ottimo forse a Sparta,
Qui per un buon consorte
Parlate troppo forte.
Tossite troppo pian!

JiOZZlOlTJ VENIOZIANI.

XLVII.

IL

PONTE FERROVIARIO
SULLA LAGUNA.

ignivoma

versiera,

Del tardo burcliio erede,


Discliindt il passo e cede
Gli antichi dritti il mar.
Il giorno col fumoso

Pennon disciolto ai venti;


Lunge con occhi ardenti
Neil' alta notte appar.

Apparo

giunge:

come

Dello i'nggonti ruote


Gli archi trascorre e scuote
Un Subito tremor;

Cosi al fiammante mostro


la laguna rade,

Che

Tema
Il

e speranza invade
dubbioso cor.

I
]{

OZ Z E T

N R Z I A N I.

TI

XLVIII.

NELLA CHIESA DEI

FRAllI.

Dietro un gran professore


A IT assi lunghi e rari
Pel lastrico dei Frari

Moveva

1'

altro

di.

Sorte bizzarra,
ei disse,
giucca all' altalena:

Ne
Son

trecent' anni

appena

Glie Tizian colori.

chi

biasmava

in lui

trascorrente segno
Plora or caduto il regno

Il

Del Veneto color!


La sorte, ohim! risposi,
Ci di mortai la spinta,
Se a chi sbiadi la tinta
Tarda il disegno ancor.

BOZZETTI VENEZIANI,

126

XLIX.

LA MOSTRA DI BELLE ARTI.

Donna

gentil

mi

chiese,

Ti piace Giambellino

Risposi:

Gli divino!

E Gior^ion che ti par?


Farmi eh' ei tragga in terra
L' eterea poesia

Tiziano?

L'anima

Si

India

col guardar!

forte del pennello


L' arte

Si!

ami tu?

soggiunse;
come, aggi

dissi. E

Tanto tuo amor

N ancor

1'

si

d,

annua

de' quadri

Mostra lodar t'intendo?

Scusa,

diss' io

L'avea scordata

tossendo

gi.

BOZZETTI VENEZIANI.

127

LA VISITA.

Nina,

bellezza bella,

Con qual

piacer

vedo!

ti

Viscere, te lo credo!
Un mese senza te! ~
Di' due! Mo' proprio
Uh come

!...

vero!

tempo scapila!
Perci mai non ti accliiaiipa.

Glrazie!

il

Ehi Zanze,

il

caff.

prendi. E Levante? proprio


Moca.... cos' hai? Mi scotta
Ancora (Crepa,

g:liiotta!)

(Di ribollito sa!)

Bel tempo eh? Un po' scirocco.

Si, cara....

mille.... (al

Come?

ten' vai

un

si

presto

bacio.

diavol

va').

Questo

BOZZETTI VENEZIANI.

LI.

ca' FOSCARI.

e sordo all' invida


Bile del volgo ingrato,

Qui stette;

Qui dall' umano fato


Tent scerpare il duol.
A dopi)ia impari ebbrezza
Schiuse la mente e il seno;
Qui dall' amore osceno
Sciolse poeta il voi!

custodi del lutto


Ducal, pollute stanze!

O turpi rimembranze
Degne di pianto al par!

Da Missolungi profuga
Forse la larva afflitta
Una

grand' ombra gitta


Sul breve suo peccar!

129

UOZZETTl VENEZIANI.

Lll.

ALLA Ol-D?^PRO.

come un sogno
Che d' iridi trapunto
Tenga il pensiero assunto

Sei bella

Nel pi profondo ciel;


Leggiera come un cigno
Che in mezzo al mar si giacque
Senza turbar dell'acque
Il

trasparente vel.

Misteriosa sei
Come una statua argiva.
Cui vuol ciascuna diva
Il proprio nome dar.
Quando la luna bacia
Gli aerei tuoi triglifi,

Sembra che

il

suol tu schifi

Pronta in cielo a sfumar.


NiEvo.

BOZZETTI VENEZIANI.

LUI.

LA REGATA.

Tutta in barchette, in gondole

Come bambina

in culla,

ninna e si trastulla
La mobile citt.
Vaghe, ridenti donne,
Si

varioiiinti arazzi

Camuffan dei palazzi


La veneranda et.

Sul remo snelle ancora


Si piegano le rene,
E plausi e doni ottiene
Della regata il re.
Ancora il fluido sposo
Si liscia e si fa bello,

Quasi aspetti
11

Doge

sol

1'

anello....

non

v' !

BOZZETTI VENEZIANI.

LIV.

ALLA FIORAJA.

Vieni dai verdi clivi


Clio mandan 1' acqua in Arno ?
Abbandonasti indarno

Si allegra regi'on!

fu culla Siena,

ti

Si-ena dal louro accento?...

Qui pur de' labbri io sento


Melodioso il suon.

conti tra le vaglie

Donne onde Lucca madre?


Veneri pi leggiadre
Nate dal mar qui son.
Fuggi, gentil fioraja,
,

O se restar qui vuoi,


Sul suol que' fiori tuoi
Spargi, funereo don,

131

BOZZETTI VENEZIANI.

LV.

IL

PALAZZO DUCALE.

Qui dei malfidi amici


E dei nemici opiiressi
Salian tremanti i messi
A supplicar merc.
Della marina Roma
Qui i Dittator segreti

Volgean a'ior decreti


Popoli, Papi e Re.

Or

di curiosi un volgo
Profano vi passeggia,
Signore della reggia
E un vecchio Ciceron.
E narra che in Senato
Portavano porrucca,

Che mangiavano zucca

E avean sempre

ragion.

BOZZETTI VENEZIANI.

LVT.

l'

arsenale.

Di qui gli antiqui dogi


Le venete galee
Traean nell'acque egee
Alla tenzon naval.
Perdeano sangue e vita
.

Ma

a lor dovea la croce

Suir Ottoman feroce


Salute trionfai.

1' ottomana luna


Con Soliman tramonta,

Gi

E
Il

gi Venezia sconta
secolare ardir.

Se or nelle tombe osassi


Rivisitar quei duci,

Vedrei

le

vuote luci

Postumo pianto empir.

BOZZETTI VENEZIANI.

LVII.

IL

TEATRO LA FENICE.

Nella Mitologia

M'inganno, oppur si dice


Che vive la Fenice
Cinqnecent' anni e muor.
Dal volontario rogo
Sorta con nuovi vanni
D'altri cinqiiecent' anni

Apre

il

lunario allor.

Pover'a noi, se questa


Fenice Veneziana
Dell' araba germana
Le usanze imiter.
Ma poich pi non sono
Mitologici Dei,
Spero che pur costei

Per sempre un di morr.

135

BOZZETTI VENEZIANI.

LVIII.

SUL PARTIRE.

Da' tuoi beati

lidi

Malgrado mio mi stolgo,


E ad altro suol mi volgo
O gran Donna del mar.
Pur un estremo canto
T' offre il devoto ingegno
E del tuo dolce regno
Mi prostro al limitar.

Baciar la terra voglio


Dove mostrar ti piacque,
Che se il leone giacque,
Peranco non mori.
Tal r Etna dopo un secolo

Raccende i fochi suoi


Beata te, che puoi
^Risuscitar

cokS!

BOZZETTI VENEZIANI.

136

LIX.

AMMENDA.

tu clie

Amo

come

VENEZIA.

culla

de' miei parenti,

Perdona i duri accenti


Di qualche mia canzon.
Infrano^er la penna
Che nel tuo sdegno incorse
Purch non resti in forse
Di riaver perdon.

Perdesti assai, maggiore


Ti crebhe onor. Pi grande
Ti fan le venerande

Impronte del dolor.


Il

Ti resta de' poeti


mistico saluto:
de' tuoi figli il muto

E
Non

disperato amor.

BOZZETTI VENEZIANI.

LX.

EPILOrxO.

Amore

un

solo affetto

Pien di Q>ntrarie voglie:


Di palpiti, di doglie,
Di gioja, di tremor.
Ch se speranza amica
In ogni vario metro

Non

gli tenesse dietro,

Pi non sarebbe amor.

Spesso rabbuffi ed onte


Al giovami desio

Suadono

l'obblio,

Insegnano

rane or.
si raggrinza
Come sensibil erba
Cliiuso del cielo serba

Ma

Il

il

il

cor che

vivido mador.

108

AD ARNALDO FUSINATO.

Eleg-ia sulla sorte dei

poven poeti che hanno


un'oncia di cervello e due di coscienza.

Arnaldo mio, son pur ingiusti i fati


Che sui miseri figli delle Muse
Di caustici, di oscuri e di sventati
Soglion versare le pi strambe accuse.
Fosse ver che poeti, asini e cani
Sono nati per pascolo ai tafani?

Ogni ladro impancato alla taverna

Pu conciar come vuole i suoi pensieri;


Sol noi dobbiam con pazienza eterna
Porgerli bianchi ai bianchi e neri ai neri.
Sol noi dobbiamo a tutti, e tutte 1' oro,

Una manna imbandir

d'

ogni sapore.

139

AD ARNALDO FUSINATO.
rnaldo,

Come

il

verso tuo, raggio

la luce d'

dell' arte,

un meriggio

estivo,

parte
Si limpido risplende in ogni
scrivo.
Che, dove hai scritto, io vergognando

Tra mille idee pur mi sostien quest'una,


Ch' ove il sol piacque piacer la luna.
giacch sei mutolo, e del fido
Gigaro armato coli' Erminia al fianco
Covando stai del famigliar tuo nido

nzi,

Castelfranco,
parler, dovessi

Le poetiche ova a
Io parler,

Dar sempre
)irai:

si,

fiato agli

Deh perch

argomenti

stessi!

corre oggi spigliato

verso a te che fai mestiero


Di mandarlo per via grave e steccato,
Quasi gonfio di chiudere un pensiero?,
Oh Arnaldo, tu lo sai! burlesca o seria
La forma ognor s' attaglia alla materia:

Cotanto

il

pensiero che ti scappa in rima


che stan sempre con noi.
Devi il linguaggio, che parlando prima
Usavi, usarlo nello scrver poi:

3h se

il

di quelli

cosi quando inusati spremi


pi sublime accorgimento i temi.

Ma non
Da

AD ARNALDO FUSINATO.

140

Allor la mente d' ogni suo tesoro


Si spoglia a far quo' figli suoi vezzosi:
Allora in terra e in ciel chiede per loro
I colori pi belli e armoniosi;

Poi

finito

ella

eli'

ha

di vagheggiarli,

Avveduta sorvien l'Arte a


Sta bene!

Ma

slattarli.

a qual pr'? se chi dal capo

AUambicca un pensiero e se lo adorna,


E se bello non par, torna daccapo,

se gli spiace ancor daccapo torna,


Se costui, dico, dalla folla ignara

L' acre

magia

delle fischiate

impara?

Invece la zittella accivettata

Che ruba dal comune scartafaccio

Uno

scheletro informe di ballata,

rime

di

ttien

il

lo inzacchera a casaccio,
plauso della sala; e gli occhi

Ne piangono

invece

Che

s'

talor dei presi allocchi.

accarezza

il

parolaio

fa i:)asticci d' odi e di sestine,

E che tien gli estri nel salvadanaio


Per messe nuove, sposi e ballerine
E che i grilletti della sua signora
D' una tirata allusione onora.

AD ARNALDO FUSINATO.

141

Lo vogliono, lo rubano, lo chiamano


A sporcar album, a gonfiar orecchie
L'

aman

le sposo; le zittelle

I mariti lo

adorano

Con quattro rimo


Ei te

li

1'

amano;

e le vecchie:

in ore, in are e in etto

manda allegramente

a letto.

di seguente vien mutando casa


Col consueto bulicame in testa;
Ove del par lo mescola e travasa,
* E r egual gloria ottiene e 1' egual festa.
Fosse ad udirlo un popol di persone,

il

Ognuna

se gli

appende ad un bottone.

intanto noi, sotto la rea bisaccia

Di

tutti

mali, ce n' andiam carponi.

Ognun le bucce ci rivede e staccia


O i versi, o il senso o il fiato dei polmoni.
,

Ti vesti a casa la mattina, e a notte

Con Diogene dormi


3 taluni

sfregandosi

Van borbottando

le

in

una

botte.

palme

in qualche vii covacciolo

Che cosi appunto s' hanno a tener calme


Le teste che non soffrono turacciolo,
Ma ci odian forse perch a lor malgrado
Gioco

si fa

se noi

gettiamo

il

dado.

AD ARNALDO TUSINATO.

142

Cosi va il mondo, o Arnaldo!


I pochi, savi
Di fondo, per acume naturale,
O per 1' esempio pratici, o da ^?ravi
Studi addotti a partire il ben dal male,
Biasmano ver quei garruli sollazzi;
Ma pochi sono, ed han voce di pazzi.

I pi

(come

il

cultor del filugello

Suol in Cina del bozzolo al volume


Meglio badar che alla bont di quello),
Contentarsi del molto han per costume.
Voglion costoro un rivolo in cadenza
Che culli la lor crassa sonnolenza.

anch'io sempre potrei, come or son dietro,


Trenta versi filar in un minuto

dir le cose chiare

come

il

vetro

Pigliando rime a suono di .starnuto;


Ma son si frolle le ganasce umane
Che lor si debba masticare il pane?
no! Chi ancor non ha il cervello al limbo
Sgusci il pensiero e se lo cangi in polpa,
Onde, se il mondo questo eterno bimbo,
Vagisce ancor nostra non sia la colpa;
Per chi cerca gli Orfci coi mandolini
Crii organetti vi son dei burattini.

Oh

143

AD AUNALDO .FUSINATO.

per me, se non vogliono ascoltare,


Colla cicala all' ombra andr d' un pioppo.
Almeno l potr come mi pare
,

De' crudi affanni miei sciogliere il groppo,


L almen la solitudine m' avviso
Biaver del tei-restre paradiso
!

litudine dolce che m'invita


A sfogliar i miei verdi anni pei campi
Sul tappeto di qualche erta fiorita,

Ove mai non avvien che un'orma io stampi


Senzach Poesia semplice e bella
Tosto non venga a folleggiar su quella.
di splendidi tramonti
Alpi le nevose vette:
Per me olezzano i fior per me son pronti
Suir alba i canti delle allodolette,
Di cui talor fin sotto le lenzuola
Il pigro poetin si racconsola.

)l

per

me

-Orlano

1'

nco sovente una gentil figura


Novelli apre orizzonti al pensier mio.
Negli occhi leggo e nella fronte pura
L'intento eh' ebbe nel crearla Iddio.
La luce che m'inonda e 1' aer che spira
Nello sdegnoso cor

mi tempran

l'ira.

AD ARNALDO FUSINATO.

E armonico
Un

nel core si rattuffa


gli occhi ad ammirar mi scori
roseo peplo, una giocosa buffa

La

scintillante fantasia gli porge.

L'

amor che

mentre lieto ei ride e s' apparecchia,


Nel rivo umil de' versi miei si specchia.

Ma

se poi torno fra la gente e guardo


L' opere torte; se dal chiuso core

Traggo una vampa

di quel foco ond' ardo,


leggo in volto. altrui noia o stupore,
Allor si slena il mio pensier del tutto,
E disperato si riveste a lutto.

Stieno nel fango lor queste meschine


Anime fitte ad incarnar s stesse!
Io da sfere pi lucide e divine

Attendo

il

fine delle

mie promesse.

I posteri otterran quello ch'io canto,

Non

voi,

Torcono

minori troppo a ben cotanto!

il grugno e dicono: Deh, quale


Strana superbia per si scarso effetto,
Tanto scalpor per mezzo madrigale,
O per qualche nebbioso apologhetto!
Arnaldo, essi non san che pietra e fango
Ergono al ciel le torri. Io li compiango!

143

LA STREGA.

Adorando

s'

Sotto la

Che

dall'

incurva
di Dio la veccliierella,
alba al tramonto i secclii sterpi

man

Per le siepi affastella.


Poi mentre ogni famiglia
Siede raccolta a comx^agnevol desco,
E tra il tagliere e il fo colar fumante
Da madre a figlio, da fratello a suora,
Dall' amico all' amante

Volan

le dolci

occhiate,

Kssa traggo anelando


Per le nevose vie l' improba soma.
Non lei daccanto al foco
Attende il guardo del compagno antico,
Non dei figli il conforto o delle nuore,

No^

la scherzosa rissa
De' nipotini.
Morte

Le ha rapito ogni amore,


Ntevo.

10

LA STREGA.

146

Morte, pace dei lassi,


Degli infermi salute

Che intatta

ai vivi lascia,

Anzi rincalza la longenne ambascia.

del sonno

il

ristoro

Compensa almen

le affaticate ciglia

De' diurni dolori; e dopo molto


Dar volta a questi sull' ingrato letto,
Torna al duro lavoro,

Torna a vagar sulle recenti brine,


Torna a raccoglier quella
die sola le rest msse di spine.
Il gridio dei fanciulli,

femminil triocca,
il bieco sguardo
Accompagnan dell' umil vecchierella
Ahi dei sudat
Il passo grave e tardo.
Griorni all' estivo dardeggiar del sole,
Della senil sciagura
Che le tolse ogni bene,
Come a innocente lodoletta il nido
Froda volpe rapace,
Premio turpe e sinistro a lei rimase
Di fattucchiera il grido!
Il bisbigliar di

dei gravi compari

Soltanto un villanelle semplicetto


Dalla saggia o crudel gente deriso

LA STREGA,

147

Fa alla strega buon viso.


Egli al temuto focolai' deserto
Siede sull' ora che fa muto il giorno
Col dei morti genitor si duole,

Delle picchiate indarno


Avare porte, e dell' obliquo sole.
Ed ella, come accorta
Madre con dolce man toglie lo spino
Dal pie del fantolino
Nel cor dell' orfanello
Vi en rintuzzando ogni cngion di duolo.
Odi, ella dice a lui
,

Guardando:

odi, figliuolo!

Non soverchia le altrui


La tua sciagura; n j)i
Destin. Dio

t'

lieto

il

loro

ha voluto

Orfano in terra e solo


al suo santo lume,
Viatore perduto

Onde

Volga pi presto il desolato cuore.


Ch se ben poco prendi
Frutto di caritade a torto uguale
Da una fonte pretendi
Per tutto r anno il don di limpid' acque.
O semplicetto, il tuo Padre e Signore
Secondo il mese ai fiumi, alle sorgenti
Misura 1' alimento
Cosi secondo i suoi computi immensi
,

LA STURGA.

148

Il

Si

Con

cuore dei potenti


tempra a vari sensi.
tai

parole

il

Glie svegliasi

giovane addormenta,
mattino

il

Rifatto di speranza, e fuor col sole


Esce cantando una devota prece.
Partir col riso de' beati in volto

La vecchierella il vede;
E immemore del freddo, e dello stolto
Mondo e del lungo digiunar contenta,
Ringrazia Iddio che dielle oltre la fede

La compagnia

di

questo

SantarcUo modesto.

FILOMENA.

IPareva

un

di clie degli ardori estivi

Si ricordasse il sole a
Tanto tiepidi e molli

'

Volgeva
I

il

verno

ai nostri colli

raggi fuggitivi;

Quando

mezzo

sull'uscio dell'aperta stalla

Sedette Filomena:
Sedette all'arcolajo

Per guadagnar la vita al vecchio padre.


'1 filo
I suoi sguardi divisi eran tra
Che frettoloso s' avvolgeva, e il gajo
Fratellin giocolante a lei dappresso.
Chiamata agli alti lochi ahi troppo presto
Lasciato avea la madre
Quell'orfanello in terra!
Ahi troppo presto ancor sulla deserta

FILOMENA.

150

Famigliuola discesa

Era

magra inopia a

la

Ma la

farle offesa.

fanciulla gi tra s dicendo:

Io del padre cadente e del fratello

Sar la Provvidenza:
Di madre a questo, di consorte a quello

Vece terr

L'amor

1'

assidua mia presenza.

vive di speme: al resto Dio

Pensi, che a lui

s'

aspetta!...

Leggiadra oltre ogni dir la giovinetta


Con due grandi cilestri occhi, del queto

Animo

specchio, colle trecce nere,


Colla bocchina fresca come rosa
(N di l uscia parola
Senza farsi vezzosa)
Vide venirsi intorno
Vaghi garzoni, e dire cogli sguardi:
Perch il pi ricco o il pi gentil fra
A consolar tu tardi?...
Di' un sol motto, e qual vuoi
Fare contento di si bella sposa.
Ma si ardita parola
L'ingenuo labbro proferir non osa.

Poich nessuno

di quei vaghi avea


Pel fratollin deserto,
Pel vecchio genitore
Un' occhiata d'amore.

FILOMENA.

151

dunque ella sedeva a femminile


Opera intenta, e la modesta posa
Wella persona le crescea vaghezza.
Quando un bel damo venne a dirle Addio,
Filomena ritrosa!
Da lunga pezza attendo
A dirti col guardar soavi cose;
Ora che apersi a' miei di casa il core,
Vengo col labbro a dimandarti amore.
:

Vi ringrazio rispose
donzelletta
in petto
Chiudo altra cura, d' accasarmi schiva.
Cosi non dir soggiunse l' altro e i^cnsa

La

Quanto ricco d'armento,


Quanto di solchi io sia.

di suocera infesta o di

Doppio poter

t'

cognata

attende

Nella famiglia mia.


Solo col padre io vivo,
Opre di due famiglie

e le

pi dure

S' affidano alle cure.

Ben sia di voi! rispose


~ N da superbia mossa
Parr, se tal di
Rifiuto.

me maggior

allor

l'

onesta;

ventura

stolta e cruda

Femmiiietta!
soggiunse
L'irato amante
Oh perch mai mi punse
Desio di te, se mille

152

FILOMENA.

Tendonmi agguati femmine

vistose

Per casali e per ville!


Sappi che appena io mova
Intorno un cenno, a torme avr

le spose.

Non vi turbi la mente ira o dispregio


Di me innocente! disse
La Filomena se la degna offerta
Mi vieta accrre una disgrazia mia
Gradir non la farc la gelosia!...

mondo

Il

Prima

di

caschi, e ancora

Pasqua metter

A fanciulla

di te pi

l'

anello

ornata

Cosi le disse nel partire


Eia buona donzella,

e bella!

damo;

il

Recandosi il bambino infra le braccia,


Pi dell'amore io t'amo,
Disse, e del niolto aver di chi vuol farm
Alla

memoria

di

mia madre

ingrata!

Poi quando

il padre sulla prima notte


Si fece al focolare, ove di poche

Rape

bollia la poveretta cena,

Karr la Filomena
Del giovane l'inchiesta

Oh

scioccherella!

il

suo

qual mai
Bella sorte hai perduto!
GridoHe

rifiuto.

il vecchio

allor;

Essa rivolse arrossatella

rai

15J

FILOAIENA.

Al bambin

Un pane,

clie

intingea nel bianco latte

frutto della sua fatica;

Indi al curvato collo


s' appese.

"Del genitor

Ed

ei

che la comprese,

Sulle guancie soavi

Posando un bacio,
Troppo,

le rispose

peccato, o figlia!
Ma alle parole gravi
Contraddicean per gioja
Lo lagrimosG ciglia.

Amaro

ROSA.

Romans una beli' acqua

azzurra
circuendo 1' ombreggiata sponda,
Dove solo susurra
Laura tra fronda e fj^onda,
O canta il capiner, se da lontano
Fischiando non lo turbi il mandriano.
S'allarga verdeggiando

Sotto

Va

Dall'

una banda

il

prato,

pieno di muggiti entra e


Tra pioi)pi e argentei salci;

E vengono
D'

olmo

in

s'

asconde

le viti all' altro lato

olmo danzando

dondolar suU' onde;


Sicch r alghe coi tralci
Intessono ghirlando, o sembra

Andarne via

giulivo.

il

rivo

'

ROSA.

155

E convengon talor le boschereccie


Melodie, quando lascia il pi^^ro armento
e i sommi getti
D'un castagno guadagna, e di lor fatto

L' ardito pastorello

Ai giuochi suoi strumento,


Sfida a tenzon colle semplici nenie
L' aligera progenie.

quando fuggiva
delle brume,
Posar nei di festivi all' erma riva
Di Rosa forosetta era costume.

l,

La stagion

Non

il

Branco

gregge quel giorno, o l'indiscreto


dell' oche le tenea la mente;

Ma pensile

fra

verdi

Rami, o seduta sui muscosi tronchi,


Dal forato virgulto
Traea confusi e monchi
Gli appresi dalle amiche ingenui canti.
Al bel molle recesso

Venne le cento volte;


Sempre col riso istesso
St*ava a lungo e partia.
Ristorar dell' armonica fatica
Le rosee labbra ignare
Sempre solca del fiume
Nelle cilestri acquette;

Sempre

col riso in cor, tra foglia e foglia

156

UOSA.

Vide

le

passerotto

Sporger il capo incerte


Se da una lor sorella
Movesse a pregar Dio
Quel di piffero indotto favellio.

Ma un

pace in quella piaggia

di turb la

11 frusciare d'

un uom dentro

le fratte

Torse il caiio la vergine selvaggia,


E riconobbe il suo fratel di latte
Gildo! le disse; ed egli
;

Si stette

il

giovinetto

tremante

Intento in

lei,

Come una

foglia die in passar fu smossa.

Gildo!

ridisse la fanciulla:

e'

pare

Che d'una donna l'improvviso aspetto

V abbia fatto tremare

Sapea

di voi clic qui eravate;

Giovin risposo; ed ella:


Oli perch ci veniste?
Sol per dirvi una cosa.

Ieri vi vidi, e

nulla dir

I'

v'

il

venni, Rosa,

occorse; --

Soggiunse la donzella:
Vi vidi alla fontana,
Quando bevea la mandra
L'acqua indorata dall'occiduo sole,
E poi sul i^raticello ove convenne
Delle fanciulle

il

fiore

vago

157

ROSA.

cantaTtimo d'amore.
voi?

D'amor cantaste
-

chiese

il

garzone.

sponda sospirando venne,


Ove r onda gemeva, e tra le piante

(Poi sulla

Arrossava

il

tramonto,

e la fresca

ora

Movea piene di musica le penne).


D'amor cantaste; e ancora
Cosa

sia

non sapete;

L'occhio vostro innamora,

voi non lo vedete;


Io vi seguo col cuore e cogli sguardi,
N v' accorgeste mai perch vi guardi.

Gildo, ecco le stelle

Che pascolan pel

cielo;

L'ora per voi di raunar le agnello.


O Rosa, ecco che il rio
Rinfresca 1' ali all' aura:
L'ora mi mena a dir il mio desio.

Il
Le

desir vostro, se alla

fa

mamma piace,

scoverto, ed io

D'ogni ventura mi sapr dar pace.


O cattivella, eppur con questa e quella
Parlate solitaria,
i vostri arcani non

Gildo,

li

dite all' aria.

gli altrui segreti all' aria io celo,

Ma

rossor non mi tiene


Dallo svelare a mamma e a babbo
-Dunque vostre son queste

miei.

158

Cose

ROSA.
elle dir

Non

so....

vorrei!?

non mi sovviene

Di quanto pria diceste.

Contendevan cosi gli amorosetti,


Mentre squittian nel folto,
Come in snono di riso, gli angeli etti.
E il cajiner diceva: Ecco a noi tolto
Nei puri amori il vanto!

Non pass

un' ora intanto

Che Rosa addusse


Il

al focolar

paterno

garzoncel protervo.

Furono

santi

vod

Benedetti dai vecchi, e lo saranno.


Anco dal prete pria che passi il verno.

Oh puro Amore, oh

della vita nostra

Idillio vero eterno!

Talvolta nei palazzi ancor tu guidi


spensierata giostra;
Ma pi facil t' assidi
Sulla bell'acqua azzurra
Ove sol l'aura o il capiner susurra.

La

159

ANNA.

Semplice storia e mille volto vera,


Donne, narrare imprendo. Una vaga era
Giovinettina qui, donde vi scrivo,

Su questi ermi

ospitali

Poggi ripieni d' ombra e di frescura.


Mai pssera ciarliera
Tanto non fu, n che battesse l'ali
Con remeggio pi lieve
Da questa macchia a quella.
Pascean le agnelle bianche come neve,
Pascea la mandra; ed ella
Cantava a tutta lena,
Il rozzo filo colla

E
E

manca

alzando,

colla destra attortigliando il fuso.


all'ora che gli assenti a casa mena

Veniano

pigri buoi

160

ANNA.

Veniali solleticando

Coir ispidetta lingua

N per cader
Dal fresco

diti suoi.

di brine

viso le

cadean

le rose,

Sicch dai pascili usati

Sempre in traccia di
Delle amiche gelose

lei

correano

rai

dei vaghi pastori innamorati.

Venne

alfn

Primavera

cantarle nel core


Il dolce inno d'amore
Con bel corteo di dami,
Che le sqnittiano intorno,

Come fringuelli all'usciolar


Ed ella uno sol vide,

E
E

del giorno

a quello col pensier si pose ancella;


per lui solo al piccioletto specchio
Corse per farsi bella,
Ove consiglio prose
Sul nastro rosso e sul corsetto giallo;
Bello era molto, e ornato,
E ffajo; e a lui s' apprese
Come a compagno di giocondo ballo.
Ahi, delle aperte veglie

dei balli sull'aja

Gi varca la stagione,
E il volubil garzone

IGl

ANNA.

Altra llainma si sceglie.


la semplicetta, eppiir discrede,

Ode

vede e non dispera:


Poi qualche veccliierella
Segretamente chiede
Dell'acerba novella,

E cosi ad una ad una


Vanno le rondinelle
Abbandonando le autunnali

stanze,

Come dal fianco o<^gi una le si svelle,


Domani un'altra delle sue speranze.
fna

il

riso le

narra

quando di chiesa uscia


nuova amorosa;

Dell' infedel

-Colla

Loda un'altra il trapunto


Drappo della vezzosa;
Descrive questa i aj-nili e torniti
Zoccoletti di fiocchi in varie tinte

Dal gentil vago ornati;


Questa le ardenti occhiate,
E il bisbigliar sommesso,
,

E
E

le dolci

canzoni,

splendor promesso
Delle nozze, e la mensa,
La poverina intanto
Arrossa, e si fa scialba,
lo

Come

la stella eh'

NiEVO.

canti e

compagna

suoni.

all'alba.
11

ANNA.

162

Dall'anima trabocca sulle frali


Meoibra il dolor, e i germi
Pi riposti e vitali
Dissecca a poco a poco.
Nei polsi nelle vene
Trapassa il febbril foco
Si spegne nei begli occhi,
E spaventosamente
,

La

E
E

pupilla s'allarga,

i ginocchi,
corpo macilente
Invade il gel di morte.

sciolgonsi

il

Non

morir, figlia mia!


grida la madre;
mia, non morire!
Oh la salvi, Dottor! singhiozza il padi
Per amor del Signore!

Figlia

bambino al letto stassi


Quasi guardando in atto bieco e mesto
La nemica mortai che s'avvicina:
il

fratello

dinanzi a Maria
Prega la sorellina

dice: Cosi sia!

Ahi, cosi sia, se il troppo duolo ha foce


Neil' eterno conforto Ecco il rintocco
Dell'agonia che suona.
!

ANNA.

Vinta dal mal

La

d'

amore

pastorella muore,

con

flebile

voce

Pria di morir perdona,

Come

gi Cristo in croce.

LA MAMMA NUTRICE.

La giovin donna intende


Gli ocelli nella bambina,

Che

al sen la

colla

man

bocca apprende

piccina

Corca r amato viso

A pingerlo

d'

Non ancor due

un

riso.

del tutto

Quell'anime son fatte,


Finch d' amore il frutto
Succhiando il dolce latte,
Pende con grazia tanta
Dalla materna xnanta.

LA MAMMA NUTRICE.

Ma

la stretta

s'

allenta

Dei labbruzzi vermigli,


La bimba s' addormenta,

nel lasciar

^gli

Del casto sen, sospira

a s la

man

ritira.

Chi non ha, o madre, inteso


Da quale arcan timore
Quel tuo bel volto ha preso
Il subito pallore?
~ Il tuo core innocente
Diviso in due si sente
!

166

LE DUE BLMBE.

L'ana, settenne appena


Biondinella pensosa,
I lenti passi

mena

Fra i cespi, ove ogni rosa


A gara invan dimanda
D'esserle al crin ghirlanda.

L'altra, che nelle nere

Pupille il riso serba


Di sue tre primavere,
Folleggia via sull' erba,
E il grembialin piegato
Emx>ie co' fior del prato.

r.t?

DtJK BIMHF.

Forse j>i il cielo impresse


Quei volti col diverso
Tener di sue promesse;

Come

taloi-a in terso

Picciol

Varia

cammeo

d' eroi

figura

ventura.

Tu, fanciuUetta grave,


Cresci agli ardenti amori;

Tu, bambola soave,


Al riso, al canto, ai fiori!
Io vi guardo pensoso

scegliere

non

oso.

107

LE RONDINELLE.

Di rondinelle gaje

Prim averli brigata


Tornava: e le grondaje

il

cornicion natio

Sonavan lietamente
Incontro al sol nascente

Del vispo cinguettio.


lor vaghezza
Tutta in feste, in concenti,

Era la

Come di chi rammenti


La cara giovinezza.

E r ilare tenzone
D'amor che le trastulla
MenoUe sul balcone

IGO

LE RONDINK.LLi:.

Di ben nota fanciulla,


Ove, riprese in coro
Le melodie scherzose,
S' intrattenean fra loro
Di mille dolci cose.

La

bella

Da quel
E disse:

addormentata
garrir fu desta.

Ahi

sciag:urata!

Quell'ultimo che resta


Conforto, ecco mi vieta
L' altrui gioja inquieta.
L' allegro pissi pissi

Tacque del volgo alato,


Che al veron rifuggissi

D'un

tronfio titolato;

Ma

pi crudi rimbrotti
Ebbe da quel dolente
Che nelle cieche notti

Vivea

di glorie spente,

la d'iarna vita

Aveva
D'una

triste assai

serie infinita

Di sequestri e di guai.

Fu

la lor sorte eguale

D'un mercator

fallito

Sull'alto davanzale;

LK

al

RONDINl^LLtil.

balconcel fiorito

D'una giovin maestra


Ridotta a viver

d'

aria

alla cieca finestra

D'insonne ottuaj^enaria;
all'abbain d'un lercio
Sartor, che appena scosso,
Ru^^gir si sente addosso
La tassa Arti e Commercio.

'isser le

disgraziate:

Finora

dappertutto

Siam male capitate


Per dar la sveglia al

Ma andiamo

lutto.

alla vetriera

Di quel poeta imberbe


Che l'altra primavera
Risa tanto superbe

lai

cosi sonori

Mesceva

ai nostri cori.

Certo il comune gioco,


Certo r antico amore
Ci apprestan nel suo core
Un grazioso loco.
Volsero adunque il volo
Fuor di quest' aer profano,
E in breve a un quarto piano
Fe' sosta il gajo stuolo.

LE RONDINKLLE.

Stava quel miserando


Colla penna fra i denti
Provando e riprovando
Le rime a' suoi lamenti,
Come r ebbro che tenta
Ne pu imbroccar la toppo.
Curvo, con faccia spenta,
Su una tavola zoppa

Una

fotografia

Di Lazzaro appari a.
Puro non vide appena
L' aligero drappello,

Che riebbe il succhiello


Onde spillar la vena;

E squadrando

in cagnesco
Quelle augellette grame,
Tir gi fresco fresco
Un apologo infame,

Che in memoria di quelle


Chiam: le Rondinelle.

La penna smozzicata
Cosi stridea sul foglio,
la coorte alata
N' ebbe tema e cordoglio.
Ahi! gemean di soppiatto

Che

Quale costui s' fatto!


E qual inferno questo

LK RONDINELLE.

172

Dove

il

dolor e

l'

ira

Prendono l'uom di mira


Non appena ridesto?
Fa naen triste la sorte
L' orientai caldura,

Che

il

tanfo senza morte

Di questa

sepoltura!...

Ci detto verso Egitto


Ripresero il trapfitto.

SUI COLLI.

11

santuario umiie
Nell'ultimo riposo
Come greggia all' ovile

Rauna
I

al colle

ombroso

morti poveretti

De' sparti paesetti.

Talor la campanella
Scioglie la voce e pare
Che dica: anco una stella

Su in ciel and a brillare;


Fuor di quel suono tace
Lass perpetua pace.

174

SUI COLLI.

Se air erta solitaria


Sonagliano fjli armenti,
Se naviga per 1' aria

Un romor

di viventi,

L sembra

indefinito

Concento in sogno udito.


Dall'una parte l'ima
Valle e il giogo montano
Che oltr'essa si sublima:
Dall'altra il verde piano.
In fondo in fondo appare
Il luccichio del mare.

candide strisele
Dei torrenti frammezzo,
Quasi assopite biscie

le

D'opaca siepe al rezzo.


Guai se Borea ridesta
L' ira dormente infesta!
1' onde
Mugghianti incalza il vento
Stormiscono le fronde
Come in suon di spavento.

Precipitano

S'arretran fuggitive

Le genti

dalle rive.

SUI COLLI.

Di quattro pellegrini
Diversa compagnia
Per que' sentieri alpini
Cercavan poesia;
Questa in donnesca foggia
Con lor cantando poggia.

Con lor gioconda l'orma


Stampa sui molli cespi
Sciolta di nebbia in forma
,

I capei neri e crespi;

La Poesia

in gonnella

Certo saria

Ma

men

bella.

perch dalla grande

Valle che

a'

Vaghissima

piedi tuoi
si

spando

Torci gli sguardi, e poi


Sbigottita li porti

Sopra

il

letto de'

morti?

Perch, o Ninfa del riso,


Piangi su ignota croce,
E un tremito improvviso
Ti toglie forza e voce;
E le tue guance smorte
Occupa un gel di morte?

SUI COLLI.

Credi che la matrigna


Comune adeschi il sole
A coprir di gramf^na
La divorata prole,
E clr olla al verde manto
Doni un iicrfdo pianto?
Sappilo! come ai baci
Del sole j^li adianti
Sorgon dagli antri opaci,

Cosi
Si

gli

sx)ii-ti

amanti

mescon fuor dell'urna

Alla danza diurna!

BELLEZZA ISPIRATRICE.

I.

un di por quali
Virt, per quali pregi
Fosse da dotti egregi

CcM"cava

Levato a

Amor

cielo

che

il

amor.

mondo

tristo

Fa di spergiuri e d' onte,


Che alla virginea fronte
Primo insegn

il

rossor.

all'iterata inchiesta
S'

apriva

il

grande arcano

Onde un sospetto insano


il mio pensier.
Or questi lacci infransi
E in quell'amore ho fede,
Che alla bellezza chiede
Sospiri e non piacer.

Stringeva

NiF.vo.

12

BELLEZZA ISPIRATRICE.

II.

Un

pascolo

Margine

nn

poi^ileo

verdeggia,
Della belante greggia
Meridiano ovil,
Fra le curvate fronde
L' azzurro ciel profondo
Ecco qual vede il mondo
clie

La

iDastorella umil.

Al pensieretto vago,
All' animetfca pia
S'

apre una sola via,

Un

orizzonte sol.

Ma

quella via s'inoltra

Fra r alte vie divine,


Queir orizzonte ha fino

dov' un'

ombra

il sol.

BELLEZZA ISPIRATRICE.

IIJ.

Di lusinghiera accorta

Poco davver mi fido;


vo^lie un folto nido
Le brulica nel sen.
E dei furtivi amori
Tanto il lanciar dei dardi
Che spesso de' suoi sguardi
Di

Ottenebra

Splende

il

seren.

al teatro al ballo
Bellezza altera brilla;
In mille eroi, favilla
D' insidioso ardor.
;

La venust pudica
D' un' ancelletta santa
La mente innalza e canta

Melodiosa

in cor.

BELLEZZA ISPIRATRICE.

IV.

bello vero e Ccasto,

Martire

craccio eterno,

Dal desio, dallo scherno


Perseguitato invan,
Dove sei tu?... Nel mondo
Giungerti invan tentai;
Sfuggi ai cupidi rai
Sfuggi all'ingorda man.

chi

ti

cerca in viso

Di frivola sirena,
Splende il tuo lume appena

Che gi mancando vien;


E sol s' insalda un raggio
Della tua santa aurora

Dove

la pia s' adora


Divinit del ben.

BELLEZZA ISPIRATRICE.

V,

Tesor di f^reche forme,


Alta persona e snella,
Ricche fluenti anella,
Bel collo, e bianco sen;
Fronte superba, breve
Mano, bocca vermiglia,
Folgore ggianti ciglia,
VocG che chiede e ottien;

Tale n rara io veggo

La femminil

bellezza;

Ma

incauto chi l' apprezza


Fa servo e inetto il cor.

Quel solo viso, dove

Calma a bont si tempra,


Ha la magia che stempra,
Ogni virt

in

amor!

LE MONTAGNE.

D' antica quercia

all'

ombra

Meridiana, un breve

Sonno

la

mente ingombra

con lui lieve lieve


Di fantasmi uno stormo
Si sveglia, mentr' io dormo.

E prima un ampio
Spazio

d'

s' apre
erbose chine

Pendonle

snelle cajire

Sulle cascate alpine


E muggon ne la valle

Lo pastoreccie

stalle.

LE MONTAGNIi:.

Addio, piaggie frondose


D' ombriferi castajrni!

Addio, selvette ascose,

piccioletti sta^^ni,

Dove storme^gia il volo


D'un aligero stuolo!
Addio

d' Alpi fuggente


Schiera, ove in salde forme
,

L' azzurro trasparente

Del

ciel

posa

s'

addorme;

Sensibil vi rimane

La

Ed

celeste

aura inane.

io quando per 1' erme


Vette ansando mi levo,
Scordo le carni inferme;
D' un lontano mi imbevo
Riverbero di Dio
E appuro l'amor mio.

L'

L!

disse;

ABISSO.

e la protesa

Mano scorgea

lo

smalto

Fiorito d'una scesa,

Donde

il

monte

dall' alto

Precipitoso piomba
Sul torrente che romba.

di l si rialza

La

ripa e

Su via

si

contorce

di balza in balza:

11 vento umido torce


Suir orrida parete
L' aggrappatosi abete.

L,'

ABISSO.

L'occhio rifugge; il fiero


Atteggiar delle roccie;
L' aer senza notte nero
Per cui r argentee goccio
Stillan sonoro eterno
Pianto d' un nuovo inferno;

Lo

strepitar dell'

onde

monte che
Mugolando risponde
Contro

il

d'

ira

Tutto ribrezzo spira;


Bolle e s' agghiaccia il core
Tra delirio ed orrore.
Alla mia mano appresa
Ella sporgea sul vuoto
Della gola scoscesa.

Smorto, tacito, immoto


Com' uno di quei greppi
Nulla pi vidi o seppi.

Ed

ella pure al fondo


Il

grande occhio fggea:

Cosi, fuori del

mondo,

Di me che la reggea,
Di s immemore, forse

Ad

altra estasi corse.

1/

ABISSO.

vide una lontana

Speme, fidata maga


D'amor, pinger la frana
Di sua iride vaga:
Onde ritrasse il viso
Inondato da un riso.
Oh! qui posiam,

lo dissi,

Su queste verdi zolle:


Al margin degli abissi
Cresce erbetta pi molle.
Ella a cotali cose
D' un sospiro rispose,

sedette velando

Le sognanti pupillo

A poco a poco; o quando


A poco a poco aprille,
Vidi ogni speme mia
Clio a morir se ne gi.

LA MAESTRA.

Legger la veggo il mio


Povero libro, e dire
Qui parlava il desio,
Qui vamparono l'ire,
E da me prendon modo
I subietti

Ecco or

eli'

io lodo.

tinse il pennello
Nella mia rimembranza,
E qui specchio del bello
Gli fu la mia sembianza,
Nel pensier di me sola
Qui smarr la parola.

LA MAESTRA.

qui r

In
Il

anima

me

tutta

converse: invano

giudizio rilutta.

Sacrificar la

Mal pu

all'

Ci che da

mano
idol dell'arte

me

si xaarte.

Ma ohim

che sol ne' suoi


leggo,
E al roseo labbro poi
Malleveria ne chieggo,
Che torcesi maligno
A un arcano sogghigno.

Occhi

tai cose io

Io sto sospeso intanto;


Ma il cor vieppi s' invaga
Di quel che lei di tanto

Nobil diletto appaga;


D' ogni altro ben mi privo

scrivo, e scrivo, e scrivo.

L'

ADDIO.

tu, si bella in vista,

Quanto dirsi non lice,


D'ogni opra mia men trista
Inconscia animatrice,
Perch de' doni tuoi
Parte alcuna non vuoi?

Se invan per te sospira

Questo mio cor, non volge


Per questo a furor d' ira;
Ma dottamente svolge
Quella che tu gli dai

Cagion forte

di lai.

l'

Un mar

addio.

gonfio la vita,

Pien di paura oscuro


Di tenebra infinita
Sul quale, a mo' di puro
,

Cielo, stesa dell'

alma

L' imperturbata calma.

Oh, colle verdi piume


L' alcion della speme
Alle torbide spume

Almen
Si la

sorvoli! --

speranza

Ma geme una
E

Geme

aneli' essa,

promessa.

pel ciel dei pensieri

Se mai nei vaghi

giri

Non fan sempre stranieri


I memori sospiri,
Partiscano fra loro
Dell' amist

il

tesoro.

LE NUVOLE.

Acceso

il

sol

tramonta,

coir ultima luce

Mentre V Al-pi sormonta


Tra le nubi traluce;
Queste per fargli festa
d' oro la vesta.

Metton

Ed

eccole vagare

Pel cielo agili e molli,

Come vele sul mare


Come gregge per colli
Figurando sembianze
Di

conflitti e di

danze.

LE NUVOLK.

Creature d'un' ora,


Belle nuvolo, addio!
Come voi, si scolora
Il soj^nnto amor mio;
Ma un caro dono acerbo
In fondo al cor ne serbo.

r
103

LE QUATTRO STAGIONI.

I.

non anco sorto


Vince la notte bruna,
Il viso si fa smorto
Della cornuta luna,

li di

riconsiglia ai ghiri

Gli squallidi

ritiri.

Pari alla nova aurora

Che r

aria

Speme
Il

d'una bionda

di sol colora,

primo amor circonda


vita tutta quanta

La

D'un' iride che incanta.


NiKvo.

13

LiE (liUATTliO

STAGIONI.

apron d' ogu' intorno


Orizzonti infiniti
Pi chiari assai del giorno
Corron gli sguardi arditi
A pojiolar quei mondi
Di fantasmi giocondi.

Ma

in

La

vano ardor si strugge


giovanii baldanza

Che

dalle gioje suggo

Solo la rimembranza
E il sol disf la breve
Vision come neve.

L' aerea verginella

Che

risx)londea

d'

amoro

Nella luce novella


Perde ogni suo splendore.
S' avviva la natura,
11 cor tiHma, e s' oscura.

L.

t^UATTKO STAGIO^'I.

IT.

Non pi

la rosea sprezzo

Felicit briaca

Sediamo insieme al rezzo


Di questa vigna opaca;
Di vendemmiar si piace
vispo

Il

amor procace.

Di vendemmiar i negri
Grappi da ombrose fronde
Di crre baci allegri
Su labbra^rubiconde,
E di cinger puranco

Qualche tornito fianco.

Spesso in burlesca guisa


Il serto allor gli pende:
Onde scroscian le risa;

La mano

irata ei tende,

traballando arriva

La

bella fuggitiva.

LE QUATTRO STAGIONI.

Torcono

le

compagno

Da quel recesso il i)iede,


E l'usignuol che piagne
Non appena li vede,
Che pronubo gentile
Canta in allegro stile.

Ahi che non dura eterno


Si bel tempo di festa!
Vien il gelido verno
E sol neir alma resta
Un sospiro o un rimorso
Del tripudio trascorso.

III.

Storil sar la pianta

De' vergini i)iaceri?

Non

corre un rivo a tanta


Sete di desideri?
Neppur sar beato

D'un bene immaginato?

LE QUATTRO STA Ci IO Nf.

Dove n'and

la

va^a

Pastorella discinta,

Che d' un'ombra s'appaga


Per concedersi vinta?

Dove

il

Disse:

labbro

Il mio

eli

a lei

ben tu

seiV -

S'accoglie delle vigne

Al pallido fogliamo
Di lanciuUe maligne

Un lusinghiero sciame,
Ma r anima con loro
Non cerca pi ristoro.
E

desio sospirando
mi si ripone,
Come chi stranio bando
Muta in patria prigione,

il

In cor

E quell'ombra sparuta
Di libert rifiuta!
Prigionier fortunato!
Tu vivi almen nel caro
Paese ove sei nato.

Ma

il vago si^irto ignaro


Questa, che a te pur giova

Tregua

ai so.spir,

non

trova.

I.E

QUATTPwO STAGIONI.

IV.

Eppur io l'indovino
L'amor che in noi propag
Lo spirito divino!
Quando la luce allaga
purpurei orizzonti
Degli itali tramonti.

Calmo

lo veggo e santo
In semplici dimore
Fecondarsi col pianto

Tornar col

fin sull'

riso in fiore,
ore estreme

Coronarsi di speme.

Schermo

alla

vacua morte

Gli vigoreggia appresso

Prole assennata e forte;

S'avvicendan con esso


L'opre,
I

guerreschi ludi,

cittadini studi.

I.E

QUATTRO STAGIONI.

Ahi gi vieta

la nebbia
veder come prima;
Il pensier mi si annebbi
Mi scappa via la rima,
E Monna Luna torna
TI

squadrar^'i le corna.

200

DAGLI

AMORI IN SERVIT,

I.

Leggiera come

1'

aria,

Dell'aria assai pi dura,


Mi di tal or figura

Di cosa nata in ciel.


Di L confortatrice
Iddio ti manda, e a schermo
Del nostro ciglio infermo
Ti rabbell d'un vel.

Qualvolta in tanta luce


Movo sperando gli occhi,
I tremuli ginocchi
Sacro timor assai.
Negli atti, negli sguardi
II folgorato ingegno
Palese adora un segno
Del luogo tuo natal.

DAGLI

AMOl.'I IX .SKKVIT.

n.

Lo ve^go! un

pazzerello

Io son che in visil)ilio

Vo per un bruno ciglio.


Per ima nivea man.
Di questa mano un gesto.

O di quel cigolio un lampo


Fanno che ?elo, avvampo,

tremo,

e tutto

invan.

Di pi robusto imprese
Vile, rifiuto il peso.
Stolto a fantasmi inteso

Non

curo

Mentre

il
i

buono,

il

ver.

censori miei,

Al vero e al buono intenti


Contendonsi co' denti
Del prossimo 1' aver.

202

DAGLI

AMORI

IN SERVIT.

Rivolgesi repente
Quello cui passi accanto
Come sentisse un canto
Venirgli in mezzo al cor.
Chi d'un tuo sguardo lieto
Imioallidisce, trema,
E torce i rai, x^er tema
Forse del troppo ardor.

Colui

clic il suono ascolta


Del labbro desiato
Sol in quel suon beato
Dimentica il pensier.
Ma chi un tuo sguardo accendo
Chi d( sta un tuo sorriso,
Novelli in Paradiso

Non

otterr piacer.

DAGLI

AMORI

IN SiCllViTL-.

IV.

Amazzone superba
Veggo venir da lungo
Che collo spron ripunge
L'alato corridor.
Sventola il velo, ondeggi

Lo

strascico cadente,

De' rai del volto ardente


Abbaglia lo splendor.

Ma

gi r altera preme
L'intrepido ginoccliio;

Gi fra la polve, all'occhio


Discomparendo va.
Cosi r et mia bella
Per l'aer si dissolve:
lampo, un po' di polve...

Un

Sogno

memoria

gi.

DAGLI

204

AMORI

IN SKIiVIT.

V.

L'anima mia, l'interna


Virt de' versi miei,
Il mio sol ben tu sei
Poicli patria

non

lio.

superba ij^nara
Tutto lio donato; acerbo
Solo un dolore io serbo
Che rinnegar non so.

te

divo Amor! d'antichi


Vati ideal conforto,
Del nostro se col morto
Inutile tenzoni

Cbe vai se nel tuo petto


Potesse il verso mio
Trasfondere il desio?

Sempre

infelice io son!

DAGLI

AMORI

IN SKItVITLJ.

VI.

Sempre

infelice!

colpa

Sarebbe e vii meiizog-na


Dir che la mente sogna
D' esser beata in te.
Tu pur lo sai: tu bella,
Tu forte, tu regina
Sai che un'eterna spina
Porto confitta in me.

Or volgi dunque il ciglio


Sdegnosamente altrove:
Perdoner le nuove
Ferite, il novo duol.
Perdoner se credi
Che degno assai d' amore
Chi perii^liar il core
molle oblio non vuol.

DAGLI

AMOKI IN SERVIT-

VII.

Nella profonda speme


A^edi un fantasma arcano
Che accenna colla mano

D'armarsi

e di salir?

Degna del greco


Un'anima ti senti?
Destar vuoi tu
Cori a

romano

Andiam! Camilla,

Tu

Io

volto

gli spenti

ardir?

Clelia

Bruto o Gracco
Giuro nel volgo fiacco
Far impeto o siDirar!
Ecco gi il popol rugge....
Ohim!... son battimani....
Stenterelli romani,
Ksciamo a ringraziar!
sei.

JJAGLl

AMOKl

IN

SlOUVm;.

Vili.

D' un pcitinaco sx)irto

ulLimo ascolta,
Cui colla luce tolta

Il ibrido

La speme non sar.


No, non fia cielo il cielo
Per 1' alma passe gj^ieia,
Finch quel ch'ella spera
Vita quaggi non ha.

Dio non sarebbe Dio,


Se, delle sue promesse

Immemore, tenesse
Un puro spirto in duol!

Ma se di un tanto fato
nodo in me riposa.
La Morte fo mia sposa.
Il

Fuggo contento

il sol.

DAGLI

AxMORI IN SERVIT

IX.

Gi un vasto mar di nebbie


E d'ombre il pian sommerge
Donde il pennon s'adergo
Di qualche fumaiol.
L' ombra per colli e monti
Inerpicando sale.
Par clie l'estremo vale

Mandi

alla terra

il

sol;

r ultimo suo raggio


Perdendosi sublime
Sulle nevose cime

Cerca il natio candor.


Tal nel morire a un'alta
Spende sorgendo io puro,
llacquister le pure
Soavit d' amor!

DAGLI

AMORI

IN SEflVlT.

X.

Ella d' un' acqua in riva


Stava sul far dell' alba

Da pendula

vitalba

Spiccando un primo

fior.

L' eretto pi, le curve

Braccia,

turgente seno,
e pieno
Di spensierato amor.

Il ciglio

il

umido

Le davano figura
D' un angelo venuto

cogliere

il

tributo

Del novo aprii quaggi.


Oli qual sentii profumo
D' aura celeste anch' io!

Ma

il

clto fior nel rio

Cadde,

NlEVX).

e d'

alcun non

fu.

14

210

DA LUNGE.

I.

Quando ripenso a

te che lieta vai


Dov'io sol col desio sej^nir ti posso,
Resto com'nomo da nn dolor percosso
Non pria sofferto, n temuto mai.

conforto a me che tu lo sai


Se dal saperlo il tuo non fa commosso
Gelido petto, e se dagli occhi scosso
Sul cor le poche lagrime non hai.

Poco
.

Rider ti vidi a me dappresso; ed era


Il tuo sorriso ali or 1' alba amorosa
Che mi destava in cor la Primavera.

me lungi al par sorridi, e cosa


A pensarsi non pi tristo e fiera

Or da

D'un

tal riso in quo' tuoi labbri di rosa.

211

DA LUNGE.

IL

conformi sensi i cor son tocclii


Por questa notte cosi azzurra e calma;
A un veron solitario ora si calma
In te lo sdegno dei fuggiti crocchi:

56 (la

Dola come costumi in sui ginocchi


Ponti le ignude braccia, e della palma
Fai riposo alle guancic, e i tremuli occhi

Via colla luna

Non

ti

rapiscon

1'

alma.

so s'io provo ancora o se rammento


de' tuoi sguardi la dolcezza amara;

Qui

Certo gli

un sogno,

e via se

'1

porta

il

vento.

La giovinetta luna che rischiara


Mesta il mio pianto, dirti in core io sento
Dal variar delle mie fasi impara.

212

DA LUNaR.

ITT.

Talor la compagnia de' miei sospiri


Viene a te sulla tremula marina,
E dopo molti tenebrosi giri
Per l'aer si perde mesta e pellegrinji.

Indi la gioja che dal volto spiri

Fuggendo, e i lieti canti e la divina


Atmosfera d' amori in cui t' aggiri
Torna al nido dell' anima meschina.
Qui

al guizzante

morir delle candele

Ronza nel cor lo stormo poveretto,


Com' dell' api cui fu tolto il mole.
Turbano il capo, mi fan gonfio il petto;
Finch al nascer del sol penna crudele
Li inchioda per castigo in un sonetto.

DIAMANTE.

Felice esser dovr.ei


Ma neir esser felice

Trovo

agli affanni

Sempre nova

miei

radice.

fatto anclie a chi

m'

ama

Increscioso, ingrato,

Tiranneggio la brama
Di chi il suo cor m'ha dato.

Una

leggiera punta
Di duol r anima inferma
Fa d'ogni ben disgiunta,
E nel mal la conferma:

DlAiMANTE.

214

Sicch a lenir i lutti


Dal cor che aombra e pena
Le carezze di tutti
Basterebbero appena,

Allora il ben di jeri


Scordo e il doman non scerno
Che cinto dalle nere
Ombre del nulla eterno
:

non penso
Quel ben che nel goderlo
Senza confine immenso
Mi parca di vederlo

ingrato.... pi

Oh

perch?... perch tanto


Al duol bambino o vecchio,
Nel mio pensier soltanto
Come un pazzo mi specchio?

Perch? Del pazzo stesso


Medico saggio indaga
L' egro cervello, e spesso

Ne indovina

la piaga.

DIAMANTE.
Aneli' io, povero figlio

Della fragil natura


La i^atria ho per esiglio
La vita per sciagura.

Anch'io sovente il vago


Albor del viver mio
Col precoce lo pago
Della morte desio.

mi cibo
Vacui pensier del nulla,

dei tetri

E il nappo
Dell'

avido libo
Eterna Fanciulla.

L'

aura greve del mondo


Sovente al suol m'adegua,
In cieli senza fondo
L'occhio mio si dilegua,

sol traverso a quelli

Qualche fantasma bieco


M' arronciglia i oapelli
Per trascinarmi seco.

215

DIAMANTE.

Se di quel che mi rugge


Nel cor potente aifetto
Sprigiono un grido, fugg
Sghignazzando 1' effetto
;

Ed

in quel primo e altero


Degli amor miei deluso
Per vile e menzognero
Ogni altro amore accuso

Allora ho a spregio 1' arte,


Tergo l' inutil pianto
Contento d' ogni parte
Quasi d'essere affranto,

M'

affiggo allor

Morte

con ciglia
che lento

al foco

Sugli alari assottiglia

Qualche umido sarmento

gemere di questa
Lntissima agonia
Pi disperata e mesta
Fa la melanconia.

il

DIAMANTE.

Chiedo poi dalla penna

A quei pensier ristoro,


Ma un pensiero m' accenna
Gli' ella

Ed anche

minor

or sotto

di Ipro.

vuoti

Versi che a sfogo io scrissi,


Si sprofondano ignoti
D' altri pensier gli abissi.

Dalore, disperanza
Desio baldo e senz' ale
E morte alfn sua stanza
Porr sul mio guanciale.

Ma un diamante ho
Che per

nel core

stretta di guai

O peso di dolore
Non sar infranto

Un diamante ho

mai.

qui dentro
Nella cui luce biantia
Come corpo a suo centro
Posa r anima stanca.

DIAMANTE.

Sol

clie le

Ho

braccia al collo
ultima amante;

dell'

Ma non mai
Ad

altri il

lascierollo

mio diamante,

Con me verranne. Ignoro


quando,

come.
adoro
D' un amor senza nome.

Il

dove,

So

eli'

io

il

1'

amo

1'

il

AMOIU OAEIBALDINI.

PROEMIO.

Questo librattolo

Da

chi sia fatto

L' ig:noro affatto,

Lettor gentil.

D' un volontario
Sotto il vestito

So eh' partito
Bianco in aprii.

Di tronchi e sdruccioli
Arabescato
So eh' tornato
Col suo padron.

AMORI GARIBALDINI.

Ora

de' meriti

De'

falli sui

Chieggo

Lode

io per lui
per don.

AD UNO CHE PARTE.


Per quel sentier solingo
Garzon timido e biondo
Ove ne vai raminolo?
Sedici anni non liai
Ed esulo pel mondo
A perigliar gi vai?

La tua madre infelice


Di' non ti strinse al core?
E il cor tutto non dice?
Sedici anni non hai

il

tuo,

1'

altrui dolore

Tanto calpesti ornai?

La toner

sorella

Al canto della porta


Non ti trattenne anch'olla?
Sodici anni non hai
E pria che di s accorta
Farla triste vorrai?

AMORI GARIIJALDINI.

occhio appena
paterni lari
Rinnovi al pi le lena?
Sedici anni non hai

Porcli, se

Torna

1'

ai

insalutati

cari

Nidi abbandonerni?

Perch in un solo giorno


Compi lungo viaggio
Di non certo ritorno?
Sedici anni non hai
E del viril coraggio

Emulator

Ed

ti

fai ?

il moschetto
bianche mani
saio sopra il petto?

or perch

Hai fra

E il

le

non hai
insieme ai veterani

Sedici anni

E
In

Non

campo

balzerai?

ti noto che morto


Di mietere si vanta
Sul primo fiore il/orte?
Sedici anni non hai
E alla tua patria tanta
Speranza froderai?

AMORI GARIBALDINI.

Tu non m'

odi:

Mandi,

e a

un ruggito
pugnar t' appresti.

Va' pur fanciullo ardito.


Sedici anni non hai,
Ma se qui eroe non resti,
Martire in ciel andrai!
,

Va! Parenti, sorella,


Madre, tutto abbandona!
Sprezza la vita aneli' ella!
Sedici anni non hai,
E una immortai corona

Dato

all'Italia avrai.

SOPRA OGNI COSA.


Deli' itale vedette

Andiamo in cima al colle,


Andiamo in riva al mar,
Dove coir aura mollo
Vion r onda a

sosj)irar.

Pi deljbel cielo splendida

de' pensieri miei.

Pi astrusa d'un miracolo


O tutta mia, tu sei.

AMORI GARIBALDINI.

D' aura o di

225

mar lamento

Si armonico non
Che superi il concento
,

D' un tuo sospir per me.

l'

epigramma

un monello

d'

sui soldati austriaci.

Son pur candidi

e bellini

Cosi in ordin di battaglia!


Paion tanti gelsomini
Infilati in

Hanno

una

baffi di

Di bucato
Ripulita

il

paglia.

capecchio,

collaretto,

come specchio

Ogni borchia del moschetto.

dal cielo

il

buon Radeski

Capovolti e duplicati
Pu vedere i suoi Tedeschi
Sui stivali inverniciati.

Per

fai:

si

ottima figura
prode e bella armata

Manca sol la finitura


nna buona i^ettinata.

D'
NiEvo.

15

2213

AMOUI GARIBALDINI.

UNA NUVOLA NERA.

Deggio parLarle pria?... Non mi comprende.


Perch soffro non sa; n perch, forte
Solo al dolor, 1' anima mia discende
Volontaria a cercar l'ultima sorte.

Peggio narrarle eh' ella sola accende


Il mio rogo feral? eh' ella le porte
Mi spalanca del nulla, e 1' aure orrende
Mi fa del mondo e cara sol la morte?

Ah

no!... pria che lasciar tale al suo orgoglio


Trionfo o alla piet terribil peso,
Condur nell' ombre il mio segreto io voglia

Mi creda morto

d'

asma

o d' etisia,

un suceessor meno incompre


Scordi r amore e la partenza mia.
in braccio a

AMORI GARIBALDINI.

227

A UN BUON SIGARO.

ti deposi all' ora dei sospiri,


All'ora dei sospiri or ti riprendo.
Ieri il tuo fumo in indolenti giri
Air aer mosto si venia mescendo

ler

N m' accorgea di loro,


N di te clie dicevi: Io moro

io

moro.

le labbra han sete di conforto,


N mi consente il cor che ingrato

Oggi

ti

io sia.

favello, e sento eh' ebbi torto

Di Sprezzar la tua muta compagnia,


Povera foglia ardente.
Che il sen m' incalorisci arcanamente.
Ella m' tolta, e tu per poco resti.
Povera foglia, e bruci e ti consumi.
Cosi passano i di sereni o mesti.
Come passan per 1' aria i tuoi profumi;
E ne riman soltanto
Cenere amara, la memoria e il pianto.

AMORI GARIBALDINI.

228

PIACERI d' una volta.

Quando insieme correan le nostre vite


Come due fonti in un ruscello unite,
Io mi lagnava de' pensieri miei
Che non sognavan d' altro che di lei;
Del malandrino Amore io mi lagnava,
Che il cervello a suo iDro mi saccheggiavi
Quando fondeansi in uno i nostri baci
Come una fiamma di gemelle faci,
Io mi lagnava della mente mia
Memore sempre del penar di pria:
Del suo bizzarro umore io mi lagnava.
Che r ebbrezza d' amor m' avvelenava.
Quando parlando

Come due

core a cor s'apria,

cetre in consona armonia,

Io mi lagnava che la sua promessa


Non attenea d' essere ognor la stessa.
Dell'ingiusto destino io mi lagnava
Perch contento appien non mi lasciava.

AMORI GARIBALDINI.

229

Or che ogni cara pena ogni segreta


Felicit r assenza sua mi vieta,
Mi vo lagnando della lunga noja
Del viver senza pianto e senza gioja;
E alfin chiarii che un tempo io mi lagnava
Perch il troppo piacer cosi temprava.

IL

TESTAMENTO.

Di due labbruzzi il bacio


Era per me un tesoro;
Ma r umile retaggio
A chi cadr s'io moro?

Oh con un solo augurio


Dal mondo mi dispicco
Ch' altri non sia mai povero
Con quello ond'io fai ricco.

LA FIORAIA CIECA.
La povera cieca
Non baci od allori,

Ma

solo vi reca

Un

canto

e dei fiori.

AMORI GARIBALDINI.

Se

il

giallo ed

il

nero

Li odi nel suo core,


Am col pensiero
Il vel tricolore.

E, morta alla luce,


Il core che crede

voi la conduce

Fratelli di fede.

Volete la rosa,

La mammola, il giglio
Son tutti una cosa

Pel morto suo ciglio.

Dal sol che risplende,


Che i l ori profuma
Soltanto ella prende
L' ardor che consuma.

IL

GENERALE GARIBALDI.

Ha un non

so che nell'occhio

Che splende dalla mente

a mettersi in ginocchio
la gente,

Sembra inchinar

AMORI GARIBALDINI.

Pur nelle

folte piazze
Girar cortese, umano,
E porgere la mano

Lo

vidi alle ragazze.

Sia per fiorito callo


In mezzo a canti a suoni
Che tra fischi anti palle

scoppio de' cannoni


Ei nacque sorridendo

sa

mutar

di stile.

Solo al nemico e al vile


E 1' occhio suo tremendo.

Stanchi, disordinati
Lo attorniano talora
Lo stringono i soldati:
D' un motto ei ]i ristora.
Divide i molti guai,
Grli

scarsi lor riposi,

N si fu accorto mai
Che fossero cenciosi.
Conscio forse il cavallo
Di chi li siede in groppa
Per ogni via galoppa
N mette piede in fallo.

AMORI GARIBALDINI.

Talor bianco di spume


S' arresta, e ad ambi i lati
Fan plauso al loro nume
La folla dei soldati.

Chi noi vide

tal fiata

Sulle inchinate teste

Passar con un' occhiata

Che

infinita direste?

allor che nelle intense

Luci avvampa
Delle

del

il

desio

Pampas immense
bel mar natio?

Fors' anco altre

Ingombran

memorie

orizzonte
Di queir altera fronte
1'

E il sogno d' altre glorie!


Ma nel sospeso ciglio
La

vision s' oscura,


quasi ei la spaura
Con sbito cipiglio.

Oh numi
Idoli

d' altri

tempi,

d' altri altari,

Tolti di braccio agli

Salvi di l dei mari,

empi

AMORI GARIBALDINI.

233

Ditemi che chiedete


Al vostro vecchio amico?

Ombre, e non altro siete,


Ombre d'un sogno antico!

UN PENSIERO PER

ME.

il cannone da vicin rimbomba


Penso alla patria, e le pistole appronto.
Quando all' assalto odo sonar la tromba
Penso alla patria, ed ogni rischio affronto.

Quando

Quando nel fumo

fischiano le palle

Penso alla patria, e i passi e i colpi affretto.


Quando i nemici volgono le spalle
Penso alla loatria, e dietro lor mi getto.

Solamente se i lividi sembianti


Veggo de' morti, penso ai casi miei.
S' io pur moriva per quanti anni e quanti
Sospirato un suo bacio in cielo avrei!

AMORI GARIBALDINI.

234

LE TRE EROINE.
Talora

il

suo ritratto

D'un bacio

risaluto;

E poi nel sen lo appiatto


Da quella parte dove il cuore
Ma il cor che in s lo pin^e
Per r amarezza del desio
Qual pura alma si svela

Da

volto

si

si

muto.

stringe.

innocente!

Peccato che la tela


Di Beatrice Cenci ancora ho in mente.
Si dolci,

si

leggiadre

Ebbe sembianze, ed ammazz suo padr


Talor

le letterine

Che rade

ella

mi manda,

Ma

per amor divine,


Vo rileggendo, e un dubbio mi dimand
Forse con tal canzone
La Filistea non adesc Sansone?

Poi traggo

suoi capelli

Dal vetro ove

li

ho

chiusi.

Ma men

neri di quelli
Li ebbe forse Giuditta, e

men

profasi

Dall' alto collo al piede?

Sventurato Oloferne

e la

sua fede!

AMORI GARIBALDINI.

235

UNA MEMORIA.
Or che notturna scolta entro le brune
Nebbie m' avvolgo, e sui schierati campi

Vedo guizzar

fortune
primi lampi,

dell' itale

Risorge, o troppo cara, al pensier mio


Una scena d' amor, su cui si bella
Piovve la luce, come quando Iddio

Rise con

ella.

Nell'onda or bianca, or cernia, or vermiglia


Moriva il sol d' autunno ad occidente,
Come pupilla in semichiuse ciglia

D'amor

la brezza del vespro

Di sue carezze
[

ciascuna di

languente.

innamorava

onde tremolanti
queste armonizzava
1'

Gremiti e canti.
si facean tacitamente cupe
Sotto gli scogli. Quinci orrida, in alto
Sorgeva, e quinci ricadea la rupe

Ila
f
-

Co mortai

salto.

AMORI GARIBALDINI.

236

marina riva
Porgea la prora, come un cigno stanco
In esso o cara, la tua man m' offriva

Picciol barclietto alla

D' andarti al fianco.

E navigammo a lungo, e a lungo ancora


Da core a core un bacio trascorrea,
Sicch pi n del luogo n dell' ora,
Io m'accorgea.

Tu sedevi da poppa

e gli occhi e il viso,

All'ombra della bruna ala cadente


Del tuo cappello mi tenean diviso

Da me

E sovente

pur anco ad

sovente.

altri

volta

parola, a me facea richiamo


conscio accento, e parea dirmi: As

La tua
D'

un

Guarda

s'

io

t'

amo!

Oh quante

cose allor sublimi, ardenti,


ansia, di speme, e d' amorosi
Sospiri e di poetici concenti
Io ti risposi!

Piene

d'

Quale negli occhi miei, quale nel core

nei sensi e nell'

Di fantasie,

anima sorpresa
d'amore

di volutt,

Fiamjpcia fa accesa.

AMORI GARIBALDINI.

237

)h quella fiamma in cor la serbo


Mio foco sacro! e gran parte di un
Agitarsi nel suo grembo superbo
Il cor presume.

nume

Perch antica alla guerra aspra dei venti


Con essa un' altra fiamma arde e si mesce
Un' altra fiamma che da venti a venti

Secoli cresce.

Oh come mai

l'

Dall'altra?

una vivr divisa


Come, or che una sola speme

Nell'eterno seren le imparadisa

Confuse insieme?

Ben mio,

te

ne ricordi?

Il primo

giorno

Felicit ebbe nome. Il primo accento


Fu sempre e sar l'ultimo: qiii, intorno

Al cor

lo sento.

A CAVALLO.
Su a cavallo, a galoppo, a carriera!
Dove ancora s' asconde un nemico
Dov' ritta 1' austriaca bandiera
A galoppo, a carriera voliam.
Su compagni! di secoli antico
E queir odio che in cuore portiam.

AMORI GARIBALDINI.

238

Eran

scesi dai boschi, dai monti,

Come

lupi notturni

all' ovile.

Lo splendore

dei nostri tramonti

Un

sangue sembr.

riflesso di

La sventura ebbe
Finch prode

il

taccia di vile

furor

si

chiam.

Su, a cavallo, a galoppo, a carriera


Sulla bionda progenie d' Arminio:

Contro

La
Il

1' orde dei Teutoni intera


grand' asta di Mario rest.

E dei Cimbri a supremo sterminio


fantasma di Roma s' alz.

Bast loro 1' orgoglio briaco


Dalle sbite fughe smentito:

Dal Ticino all'azzurro Benaco


Noi le barbare terga premiam.
Su, compagni! Sul gregge atterrito
A galoppo, a carriera piombiam!
Ci dicevano pochi e tremanti,
Ci imbandivan per pasto ai Croati.
Schernitori! Siam tanti, siam tanti
Che nessuno di voi ci cont.
Mal sapeste con quali soldati

Un

tiranno a cozzar vi mand.

AMORI GARIBALDINI.

239

grembo materno
Lo straniero ad odiare imparammo
Che bambini con nomi di scherno

Tali slam che nel

Balbettando

Che

femmo tremar,

li

patiboli adaiti

sfidammo

Per poterli assassini chiamar.


Chi abitava le cupe prigioni,
Chi batteva le vie dell' esigilo,
Chi 1' obblio dei feroci padroni

Lusingava nei finti piacer.


Qui un marito l un padre od un
Di vendetta covava un pensier.
,

figlio

Ma dall' Alpi alle Puglie un ruggito


Un sol urlo di guerra si leva;
Sorge, cresce,

s'

allarga infinito

Tutti gli echi del

mondo

Gli rispondon la

a destar.

Senna

Gli risi3ondon la terra ed

Non

mariti,

Tutti

d'

non

figli,

armi son

Guardan mesti

Ma

non

e la

il

Neva

mar.

padri,

campioni
figliuoli le madri,
fatti

valore pi forte del duol.


Dalle fosse escon fuori i leoni,
il

Fremon

1'

ossa dei morti nel suol.

AMORI GARIBALDINI.

240

Su, a cavallo, a cavallo, o fratelli,


Solo amore di patria vi scaldi

Se slam pochi saranno pi

belli

I trionfi, pi intrisi gli acciar;

Quando pugna con noi Graribaldi


Una spada per cento pu far.
Ve

lo dican San Fermo e Varese,


Vel ripetan le sponde del Grarda,
Ei fu il primo del nostro paese,
Che la Jena tedesca atterr,
Che il furor della belva codarda
Col terror del suo nome svent.

galoppo, o compagni, a carriera


Sulle torme disperse correte!

Dov'

ritta

recate

una gialla bandiera

mortifero stuol.
Cacciatori dell'Alpi, sian liete
Per voi r Alpi d' un libero sol.
il

GUARDATI.
Verginella

Tanto bella

Che non hai chi ti somigli


Fra la gente di quaggi,

241

AMORI GARIBALDINI.
quei cari

Si;i

Volontari
Spandi pur

le rose e

Metta un premio la

Ma

gigli;

virt.

la rosa

Rugiadosa
Glie

Ma

ti
i

ride nel sembiante

bei gigli del tuo sen,

li ascondi
Putibondi

Dell,

Alla schiera petulante


Glie cantando innanzi vien.

Garibaldi

Sempre

saldi

Gontro il fuoco e la mitraglia


Pu avventare i suoi guerrier,

Ma

all'aspetto

un visetto
Ghe innamora, clie abbarbaglia
Non li pu pi trattener!
D'

NiEVO.

16

AMORI GARIBALDINI.

242

VILLAFRANCA.
fremente
Cieco gli ocelli di pianto, il cor
come al labbr
Di bestemmie e d'insulti, or
Sovvien la. nenia dell' inutil verso?
arcan
cosi fratelli; e dalle

Pure

dell'

Profondit

Tempesta

anima,

1'

orrenda

del dolor esce ai mortali

sublime
Echi piangendo un'armonia
Como nel pi remoto acre s'accorda
A sublime armonia 1' ira dei venti,
del cielo.
L'onda che mugge e il fulminar

Ma non

eran questi

miei pensieri^

Quando 1' aure spirai Valtollinesi


pieno
La prima volta, e da quel di non
il corso d'una luna e mi divide
di pianto.
Lalla speme d'allora un mar
Meditando venia sul mio cavallo

La fortuna
Vittoria e

dei popoli, la pronta


cielo finalmente giusto.

il

intorno
aura serena azzurreggiava
scorgeva lo sguardo alle nevose
Cime dove menar fidammo intera

L'

L' itala libertc.

Venia modesto

AMORI GARIBALDINI.

Soldato a queste

Con nome

mura

ospiti e accolto

presagio
cor n' avea.

di fratello arra e

D'itala fratellanza

il

Ma

perch un'altra volta all., a^fanda


Balia dei grandi ci concsse il cielo?
Quali colj)e ci crebbero, qual soma
Di vilt, quali infamie Qlide il supplizio
Alla virt s'addica, e rasi a terra
Sian come stoppia l^^o-vinetti allori?
Meglio era assai clieal sott( rraneo foco
Scorrente sotto il mar dall'Alpi a Scilla
Preservando con subita- rn ina
Dai salvatori suoi IMtftlia nostra
Sventasse i fili della^re^Ccongiura!

Cosi non fu, X)rcb presagio e cura


Dell'avvenir non lia questa parente
Infanticida che nomiam natura.
E dal tiepido verno e dai fiorenti

Campi primaverili

al biondeggiante
addusse come accorta madre
Che dai vergini sogni al roseo rito
Dell'imeneo le figlie sue preclara.

Luglio

Oh

ci

spergiura immortai! Che valgon auro


Salubri, e laghi e

ciel

mar

sereno sempre,

cinti d'ulivi

e le

incantate

2U
Valli, e

AMORI GAUIBALDINI.

r insito

nume onde son vivi

I portenti dell'arte, e

il

senno antico

Della gente latina? 11 j?elo e l'alta


Notte islandese e il torrido deserto
D'Arabia, freno a tirannie straniere,
Non son doni migliori? E perch ancora
E-ide all' Italia il sol come diurna
Lamica di gioia? In questo orto d'Armida,
In questo festeggiato rebo, tutto
Scherno dunque e bugia, perfn la luce.

Degno, verace

il pianto.

E lunghe ancora

lagrime, d'Italia
Espiatrici, o Martire dell' Adria.
Oh quante madri sulle tue marine

T'aspettano

le

Aspettarono i figli e ancor frodate


Della cara speranza torneranno,
A pianger nell'ascosa cameretta
Ove dinanzi alla Madonna spenta
La lampada votiva, e tace il canto
Delle devote Ave Marie! La fede
Eorso anch' ella mori? No, ti consola

Che l'eterno non muor! Vela,

o regina,

Col lutto i giorni dell'obbrobrio, e vivi


In te sicura. Se in altrui sperammo
Deh, ce'l perdona! Il troppo amor ci vinse.
Or torneremo a te. Figli alla madre
Stretti saremo eternamente: ancora

AMOKI GAKIBALDINL

Vi saranno patiboli per noi

storici assassini alla straniera

Tirannide venduti ondo xirovarti


Che sola brama del tuo ben c'illuse;
Si lever il baston sul popol tuo
Gli si apriranno i Fioiabi. E monta? In vita,
In morte tuoi, per sempre tuoi. Ma vile
Chi un'altra volta fider nell'alto,
Chi in alk'o che in virt porr sua forza
;

nel sicuro

memorar

di Dio.

Se conforto al dolor cerchi d'intorno


No '1 trovi nel dolor? Questo ti basti
N lusinghe accattar da chi ti uccide.

Per tutta Italia dalle piazze ai templi


Dal trono alle capanne . un solo pianto.
Miserando spettacolo Pur ora
Ai balcon mi traea di rozze voci.
Di passi, di canzon, contuso un suono.
!

Eran della montagna i volontari,


Era cui un loro prete, un giovinetto
Dalla candida fronte, innamorato.
Eorse pi che di Dio, della sua patria.
Povera gente che intravide il lampo
D'un pensier generoso e alle bandiere
Convenne, perch il cor diceva: andate!
Non ancora vestian le militari
Mostre, ma chi d'un saio e d'un guerresco

AMORI GARIBALDINI.

246

Berretto il dono ave a, lieto tantosto


Cone a pegno d'amor se ne fregiava.
Oli sventurati! E non ancora accolto
Ai santi segni suoi tanto concorde
Impeto di virt, d' amor, di fede
Kra die un vento lo disperde e stride
Beffardo! Andrete profughi vagando,
Pei pascoli dell' Alpi, come gregge
Senza pastore, e chiederete: or quale
Tratto per noi di libert? Qual campo

Ce

lo x^roduHse e

Lo fecond?

dove

Miseri!

sangue nostro
non a tutti

il

Dato

versar liberamente il sangue


martiri morir. Oggi a salvezza
Dello straniero altro stranier ve '1 vieta.

FINE.

INDICE.

LE LUCCIOLE.
Alle mie

figlie

Sopra Domiziano

e le

mosche

L' ultimo esilio

micino
In viuo veritas
La nebulosa

26

22

Il

gran madre
L' allegra morte

I^a

Ad

alcuni giovani flodranmiatici

L'

del pianto
sinfonia della

La

iri

Le scimmie

Norma.

milanesi.

30
33
38
40
43
65
70

248

INDICE.

Bozzetti veneziani

Pag.

78
79
80

IV.
V. Ai cavalli di bronzo sulla basi-

81

I.

II.

III.

Prologo

La Siitira
La promessa
La piazza di San Marco
lica di

VI. Ai

San Marco

colombi

della

82

piazza

San

Marco

83

VII. Dopo mezzogiorno


Vili. Agli uomini di bronzo che. bat-

tono

le

ore sulla Torre

84

del-

orologio.

85

IX. Sulla scala dei giganti


X. Jjtx calle
XI. Quadrupedi e bipedi.
XII. Sui caff

86

l'

XIIL

Allo scirocco

XrV. Il to ariste
XV. La Elva degli schiavoni
XVI. Il traghettante
XVII. Il burchio denominato /^i^if rioo.
XVIII. 'ihwvcho La Divina i)rovvidenza,

XIX. Le birrerie
XX. Il fresco
XXI. Sul lido
XXII. La sagra del Redentore
XXIII. L'alba

XXIV.

Il

Adriatico
Manicomio dLSan Servolo
dell'

XXV. A Goldoni
XXVL La Patrizia
XXVII

87

88
80

90
91

92
93

91
95
96
97

98
99

100
101
102
103
104:

2id

INDICE.

XXVIll

XXIX
XXX.

rag.

Ai bagni

107

XXXI. Pi alto
XXXII. La popolana
XXXIII. La pescatricc

XXXIV.

II

108
109
110
Ili

ponte dei sospiri

XXXV. I giardini
XXXVI. La chiozzotta

XXXVIL

II

105
106

112
113
Ili

nobiluomo

XXXVIII. Sior Tonin Bonagrazia (Can115

tastorie)

XXXIX.

116

I forestieri

XL. Il gondoliere
XLI. La bautta

117

118
110
120
121
122
123

XLII. Il veglione
XLIII. Rialto
XLIV. La gondola
XLV. Intorno al pozzo

XLVL

II

XLVII.

Il

greco

ponto ferroviario sulla

guna
XLVIII. Nella chiesa dei i^'rar/
XLIX. La mostra di Belle Arti
L.

La

visita

LI. Ca' Foscari


LII. Alla ca' d' oro

la-

124
125
120
127
128
121)

LUI. La regata

130

LIV. Alla foraja


LV. Il palazzo Ducale
LVI. L' Arsenale
LVII. Il teatro La Fenice

131
132
133
13-1

250

INDICE,

LVIII. Sul partire

LIX. Ammenda.
LX. Epilogo

Ad Arnaldo
La

Pag-.

A Venezia

Fiisinato

138
145

strega

Filomena
Rosa

Anna
La mamma

135

136
137

149
154
150

164
IGG

nutrice

Le due bimbe
Le rondinelle

1G8
173

Sui colli
Bellezza ispiratrice

177

Le montagne

182

L' abisso

184

La maestra

187
189

L'addio

Le nuvole
Le quattro stagioni
Dagli amori in servit.
Da lungo

191

193

200
-'10

Diamante

-13

AMORI GARIBALDINI.
Proemio

221
222
224

Ad nno

che parte
Sopra ogni cosa

L'epigramma d'un monello


Austriaci

sui

soldati

225

INDICE.

Una nuvola nera

A un
I

buon sigaro
piaceri d'una volta

II

testamento

La

fioraia cieca

generale Garibaldi
pensiero per me
Le tre eroine
Il

Un

Una memoria

cavallo

251

Pag. 226
227
228
229
ivi

230
233
234
235
237

Guardati

240

Villafranca

242

Il

II III

Olii! 57621331

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