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Immaginare il cambiamento

- Gaetano Azzariti, 02.10.2015


C' vita a sinistra. Non se c vita ma quale vita per la sinistra. Senza la capacit di andare
oltre limmediato e di dare carne e potere alla politica c solo una lenta agonia
Ci di cui pi abbiamo bisogno produrre nuovi punti di vista, non arrenderci al presente, riuscire
ad incrinare lunica narrazione rimasta.
La sinistra morta se non riesce ad immaginare il cambiamento, ad interpretare non solo un generico e diffuso malessere, ma a prospettare un futuro diverso. Da troppo tempo, invece, il pensiero
critico ha perduto la sua radicalit, schiacciata dal peso del presente. I diritti arretrano, le nostre
forze scemano. Se siamo giunti sin qui inutile negare che sia anche per colpa nostra: non abbiamo
saputo interpretare il reale, ci siamo chiusi in difesa. Ma non servito a nulla, nulla abbiamo difeso.
Ora, che poco abbiamo da perdere, dovremmo cercare di uscire dalla palude, per misurarci con le
nostre idee e non pi solo con la razionalit del reale. Dovremmo riprendere seriamente in considerazione la distinzione tra strategia e tattica (la doppiezza togliattiana?). La prima per la ricostruzione
di una prospettiva di sinistra che sappia aggregare le forze politiche e i soggetti sociali necessari per
il cambiamento futuro; la seconda per resistere e per contrastare la politica dominante.
La mia impressione che una grande colpa della sinistra sia stata quella di non credere in se stessa,
nella sua capacit di cambiare. Gran parte di essa (la sinistra di governo) si da tempo arresa,
stanca di lottare, soddisfatta delle conquiste ottenute nel corso del Novecento, si limitata a governare il presente, cercando ben che fosse di ostacolare gli spiriti pi selvaggi, frenare gli arretramenti pi vistosi. Alla fine, per, ha perduto se stessa. Rinunciando a produrre una sua narrazione,
non poteva che venir attratta fatalmente dal potere costituito, dalla forze dominati.
Una giustificazione stata data per motivare questo chiudersi nei palazzi della sinistra di governo,
richiamando una autorevole e tuttaltro che banale tradizione politica e culturale italiana:
lautonomia della politica come strumento per imporre il cambiamento. Se non lo strappo rivoluzionario, almeno le ragione del progresso si sarebbero potute affermare dentro le istituzioni per poi
conquistare una societ che non sempre d prova di civilt o di essere in sintonia con i principi
delleguaglianza e della libert sociale. Lidea dunque che si potesse costruire il popolo attraverso
la politica dallalto, lintermediazione del leader. Lasciamo perdere la discussione teorica, che coinvolgerebbe figure che hanno fatto la storia della sinistra del nostro paese (da Antonio Gramsci
a Mario Tronti) e che oggi trovano peraltro nuove consonanze (Ernesto Laclau, Chantal Mouffe);
limitiamoci a rilevare quel che stato leffetto sul piano pi strettamente politico. La definitiva
cesura tra popolo e suoi rappresentanti.
Uno iato che si sempre pi esteso e che dimostra la miopia il fallimento della classe dirigente
della sinistra. Dimentichi di una vecchia lezione della storia: senza il popolo nel chiuso dei palazzi
vincono gli interessi costituiti. Se non si voleva ricordare Pericle, sarebbe stato sufficiente non
dimenticare Berlinguer.
Per chi si proponeva di trasformare il reale, stato questo lerrore pi grave. cos che le grandi
riforme promosse dalla sinistra hanno finito per peggiorare le condizioni del suo popolo, mentre la
crisi economica impone ora le sue leggi e lequilibrio dei bilanci prevale sulla tutela dei diritti fondamentali. In Italia, ma non solo.
Il popolo della sinistra nel frattempo s sperduto, guarda altrove o non guarda pi da nessuna parte.

rimasto solo il leader che pensa alla nazione, riflettendo su se stesso, sulla propria immagine,
come allo specchio.
Chi, nonostante tutto, ha conservato uno spirito critico ha provato a reagire. Ha ottenuto importanti
successi (il referendum sullacqua, quello sulle riforme costituzionali), ha combattuto con intransigenza (no Tav), ha maturato esperienze culturali di rottura (i beni comuni). Tutte esperienze che
hanno incontrato per un limite: tutte hanno sottovalutato la questione della necessit di una rappresentanza politica. Rimanendo per scelta o per obbligo fuori dai palazzi, lontane dalla politica
istituzionale, le lotte pi innovative e di rottura non sono riuscite a rendersi egemoni, anzi alla lunga
hanno mostrato le proprie debolezze. Le vittorie referendarie sono state presto dimenticate e non
hanno trovato un necessario seguito istituzionale, le esperienze locali sono rimaste tali e alla fine si
condannano allesaurimento.
Credo sia giunto il tempo per porre anche ai movimenti la questione del rapporto con il potere e la
necessit della mediazione istituzionale delle lotte sociali. Terreno scivoloso, non gradito a chi nella
lotta esaurisce il proprio orizzonte polemico. Anche in questo caso si attinto a piene mani ad una
tradizione politica e culturale che ha attraversato lintera storia della sinistra, quella pi radicale
e combattiva. Non sempre quella vincente. Cos, lautogoverno, la democrazia partecipativa,
lesaltazione del comune sono state unilateralmente assunte, senza nulla apprendere dalle criticit
che la storia ha evidenziato, sin dalla comune di Parigi.
Ora siamo ad un bivio. Si potrebbe ripartire ponendo al centro della nostra riflessione proprio la
questione dei limiti dellautonomia della politica e quella della rappresentanza politica. Lautonomia
della politica potrebbe essere intesa come capacit di progettare il futuro, distaccandosi
dallimmediatamente rilevante, mentre la rappresentanza politica dovrebbe essere assunta come la
necessaria misura di questa capacit di progettazione entro un contesto istituzionale.
Vediamo di sintetizzare con una sola esemplificazione un discorso che meriterebbe di essere altrimenti sviluppato.
Pensiamo ad esempio alla riforma della costituzione. Se vero, come su questo giornale
abbiamo ripetuto tante volte, che la revisione in corso espressione di un complessivo disegno
regressivo, che, se approvata, ci poter indietro nel tempo, verticalizzer le dinamiche politiche,
aprir a scenari non rassicuranti, se queste sono le nostre convinzioni, come possiamo pensare che
la soluzione di ogni male sia far eleggere i senatori anzich farli votare dai Consigli regionali?
E se poi va a finire che il principe concede la grazia e accetta lelezione diretta dei senatori
avremmo per caso un buon Senato e una accettabile riforma del testo della costituzione? Ma non
scherziamo. Avremmo soltanto allungato la nostra agonia e data nuova linfa al leader indiscusso del
pensiero unico e di governo.
Alziamo allora lo sguardo e lottiamo per la nostra riforma, accettiamo e rilanciamo la sfida,
mostrando ai finti innovatori il nostro volto rivoluzionario. vero, il bicameralismo perfetto da
superare, ma per ragioni opposte a quelle che la retorica politica dominante afferma. Va superato sia
per affermare la centralit del parlamento contro il dominio dellesecutivo sia per ridare un senso
alla rappresentanza politica offesa da un sistema elettorale che ne nega il valore sublimandolo nel
feticcio della governabilit. Che ci si batta allora per una soluzione che meglio ha espresso nel corso
della storia questa doppia esigenza: un sistema monocamerale affiancato da una legge elettorale
proporzionale per ritessere le fila della rappresentanza politica strappata.
Sono proposte fuori dallagenda politica del momento. E dunque qualcuno si potrebbe chiedere: chi
ci ascolterebbe? Ma perch, adesso chi ci ascolta? E poi, in fondo, dipender da noi.

Se sapremo raccontare una storia per la quale valga la pena vivere, lattenzione potremmo conquistarla. Potremmo, ad esempio, andare al referendum costituzionale del prossimo anno non per
difendere un parlamento in agonia, ma per provare a cambiare lo stato di cose presenti.
Nella Grecia antica si distingueva tra la nuda vita (zo) e la vita degna di essere vissuta (bios). Pi
che chiederci se c vita a sinistra dovremmo interrogarci su quale vita ci sia a sinistra.
2015 IL NUOVO MANIFESTO SOCIET COOP. EDITRICE

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