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Indice
pag. 3
PARTE PRIMA
PROBLEMI DI STRUTTURA
pag. 9
1.
pag. 9
2.
Lidiocrazia
pag. 16
3.
pag. 28
4.
pag. 36
PARTE SECONDA
DIRITTO E POLITICA
pag. 39
1.
pag. 39
2.
pag. 43
3.
I diritti civili
pag. 46
pag. 46
pag. 49
C) Droga
pag. 53
D) Prostituzione
pag. 54
E) Matrimonio egualitario
pag. 55
F) Immigrazione
pag. 57
G) Eutanasia
pag. 58
CONCLUSIONE
pag. 59
pag. 59
vengono in mente sono quelli dei padri dellutilitarismo, Jeremy Bentham e soprattutto
John Stuart Mill, universalmente deniti radicali dai manuali di storia delle dottrine
politiche, cos come lo erano i loro predecessori Levellers e Diggers, questi ultimi
orientati pi su posizioni di tipo comunistico (della terra).
Per Mill -che ci ha lasciato peraltro pagine denitive sulle libert individuali nel suo
noto saggio On liberty, dettando principi validi in ogni tipo di societ, come antidoto
anche di degenerazioni autoritarie possibili anche in una comunit pretesamente
anarchica (si vedano anche i rischi della democrazia partecipata individuati da
Tocqueville)- lobiettivo della losoa e della politica era di perseguire il massimo
benessere possibile del maggior numero di persone; ma, egli precisava, il maggior
numero di persone immaginabile sono tutti gli individui. Come dire che, a dispetto di
quelle che sono state successivamente individuate come degenerazioni autoritarie
dellutilitarismo, questo in realt, a rigore, persegue il benessere e la felicit di tutti e
di ognuno.
Si comprende subito dove vogliamo arrivare: a Thomas Jeerson. Egli in realt il
primo pensatore compiutamente radicale (che, basta vedere le date, ha preceduto
Mill), secondo il quale, come si ricava dalle sue opere notissime (Dichiarazione
dindipendenza, dichiarazione dei diritti della Virginia, corrispondenza, etc.), il punto
centrale il diritto innato alla ricerca della felicit, con la precisazione,
importantissima, che, per perseguire un tale obiettivo, non occorresse alcun potere
autoritario, paterno o dispotico, ma occorresse garantire a tutti la pi ampia azione in
ogni campo, limitando al massimo le attivit e le interferenze governative.
Sicch pur vero che gli uomini istituiscono governi, ma fan ci per garantirsi il
diritto alla vita, alla libert, e alla felicit, e, se i governi trasgrediscono il loro impegno,
gli uomini possono mutarli e addirittura abolirli.
In termini losoci, dunque, Jeerson coniuga il linguaggio giusnaturalistico dei diritti
di Locke con quello proto-utilitaristico, degli interessi, del benessere e delle passioni, di
uno Hume. Da qui si sviluppa un ulteriore percorso: dallidea che gli uomini possono
abolire il governo che non rispetta i loro diritti e interessi scaturisce lidea che il
governo migliore quello che governa meno (Thomas Paine); e da qui, passo ulteriore,
che il governo migliore quello che non governa aatto, come invocava Henry
Thoreau.
Thoreau a sua volta un radicale. Testatore e proclamatore della disobbedienza
civile, maestro di Gandhi, egli, radicalmente libertario, non deniva s stesso come un
anarchico, perch non chiedeva labolizione immediata del governo, ma si sarebbe
accontentato di un governo migliore, magari non militarista (egli disobbed a una
tassa perch era contro la guerra con il Messico, mentre sperimentava la sua utopia
individualista nei boschi di Walden), fermo restando sullo sfondo lideale nale
anarchista. E accanto a Thoreau vanno ricordati gli anarchici individualisti americani
autoctoni, i Tucker, gli Spooner, i Warren, il cui contributo fondamentale deve ancora
essere pienamente apprezzato, no ad arrivare agli odierni anarco-capitalisti, con tutte
le loro pur feconde contraddizioni.
E del resto si suol dire che anche il primo anarchico, William Godwin, a sua volta
successivo nel tempo a Jeerson, fosse un utilitarista, dato il suo chiaro riferimento al
benessere come obiettivo illuministico della ragione e delle istituzioni sociali.
Se queste sono, secondo noi, le migliori radici del pensiero radicale (ripetesi, linea di
congiunzione che conduce dal liberalismo allanarchia, quale ideale ultimo, forse
irraggiungibile, ma da tenere a mente quantomeno come mito in grado di muovere
allazione, pratica sociale autogestionaria e di separazione individuale e collettiva
nelloggi, sperimentazione di stili di vita alternativi, oltre che teoria anarchica come
fonte di analisi sovente ecace del presente) al quale occorre sempre far riferimento,
val la pena di venire a noi e di analizzare, trascurando i passati giacobini e garibaldini,
come il radicalismo si inverato da noi nei tempi pi recenti.
Non pu a questo punto non farsi riferimento alla gura di Marco Pannella. Uomo di
azione, pi che di dottrina, egli ha unito la tradizione francese con quella americana
del movement e della controcultura, almeno nei metodi oltre che in alcuni contenuti, e
ha proseguito la linea storica tipicamente anglo-francese dellempirismo e del
pragmatismo, teorizzando sempre in funzione delle singole battaglie.
Ma, districandoci tra i suoi innumerevoli discorsi, i suoi scritti di occasione, e i suoi rari
contributi, importanti, teorici (prefazione al libro di Andrea Valcarenghi Underground
a pugno chiuso del 1973 e Preambolo allo Statuto del Partito Radicale del 1980)
possiamo dire che Pannella nasce liberale, diventa strada facendo libertario e
anarchico per tornare nella maturit liberale, e parrebbe uninvoluzione, se non
fosse che Pannella troppo furbo, e forse ci ha buggerato ancora (si veda quanto
diremo a proposito del Preambolo).
Di Pannella, in questa introduzione, resta forse da dire del suo rapporto di odio-amore
con il suo stesso partito. Nella seconda met degli anni 70, sulla scorta delle grandi
battaglie per i diritti civili, il partito radicale era divenuto un piccolo partito di massa, e
alcuni, allinterno del movimento, proponevano una pi solida organizzazione, non gi
da sostituire allincontestabile leadership di Marco, ma per aancarlo, come voleva
Massimo Teodori con il gruppo di Argomenti Radicali, ferma restando la di lui
autonomia nellideare e proseguire le singole battaglie. Pannella non ne ha voluto
sapere e ha sostanzialmente distrutto il partito, sostituendolo con una raccolta di
fedelissimi al suo servizio e seguito, no a fondare, come ha ricordato Piero Ignazi, un
movimento concorrente, i Verdi, invitando i dissidenti a conuirvi. Tuttavia la storia si
ripetuta, non poteva essere altrimenti, e nuovamente si sono riprodotti allinterno del
movimento fermenti di opposizione. Insomma, Pannella non ha mai voluto accettare
lidea di un partito organizzato autonomo, e mentre prima ha risolto il problema con il
pi drastico dei provvedimenti (lelevazione del costo della tessera a livelli
insostenibili, oltre alla soppressione dei partiti regionali, fonte secondo lui di discordia,
mentre altri direbbero di formazione di nuove lites), riducendo radicalmente il numero
degli iscritti (ferma restando la crisi della militanza che ha colpito indistintamente il
mondo della politica dopo la sbornia di partecipazione degli anni 60 e 70), oggi
sostiene che il rimedio ai conitti interni sarebbe viceversa lestensione della presenza
della gente allinterno del partito; certo che con una tessera di centinaia di euro
allanno
delle scuole, nella sottolineatura dei diritti individuali o della teoria del mercato come
strumento consensuale di decisione collettiva. Il difetto sta nellindierenza nei
confronti dei pi deboli, che, a nostro avviso, trova soluzione nel considerare la terra,
secondo una prospettiva alla Locke o alla Henry George, come originariamente res
communis, e non come res nullius, con conseguente previsione di un rendita ricardiana
a favore di ciascuno per il fatto stesso dellesistenza, come meglio si illustrer. Infatti,
se i diritti di propriet non costituiscono un presupposto del mercato, ma sono essi
stessi calati nel mercato, ogni apprensione unilaterale comporta una compensazione
a vantaggio di chi resta diminuito nei propri diritti originari sulla Terra.
Del resto anche il fondatore radicale Ernesto Rossi era un liberista, ma voleva, al
contempo, abolire la miseria, come suona il titolo di un suo noto volume. E la grossa
sda di vericare se ci sia possibile in chiave autogestionaria e non statalistica.
Ma non si vuole eludere nemmeno il punto pi controverso e scottante della politica
radicale degli ultimi decenni: la questione del rapporto con Berlusconi e della pur
limitata alleanza di Pannella col Polo delle libert nel 1994. Non si vuole approvare o
giusticare questa scelta, ma comprenderla, e per far ci useremo le parole di uno
studioso non radicale, a sua volta controverso, ma certo non sospetto di essere
destrorso: Toni Negri.
Scriveva Negri subito dopo le elezioni del 94: la destra ha vinto perch ha
interpretato le modicazioni profonde del tessuto produttivo italiano e ha compreso il
ruolo della comunicazione nelle societ contemporanee. Tuttavia, Berlusconi non
la diabolica funzione di unorrida macchina di potere televisivo No, Berlusconi
semplicemente un neoliberale, non un fascista. E la sinistra? La sinistra, prosegue
Negri, non ha compreso la trasformazione italiana e ha continuato a considerare le
corporazioni come tramite di rappresentanza. E poi il colpo nale: Oggi in Italia vi
sono due societ parassitarie; luna la maa, laltra la sinistra, con il suo corredo di
sindacati e di cooperative Ma forse dire questo troppo: la sinistra infatti non ha
neppure la dignit criminale della maa, essa solamente un morto che cammina la
sinistra come un pugile suonato, cammina sonnambulo. Con tutta probabilit, lunica
cosa da fare sgambettare questo zombie. Fin qui Toni Negri.
Si tratta dello stesso genere di argomentazioni che port gli autonomi di Metropoli a
sostenere Reagan contro il democratico Mondale: il liberismo come sede del
comunismo possibile: un approccio si direbbe quasi gobettiano, come si vede, ed del
resto in nome di Gobetti che Franco Piperno, nel 1979, invit gli autonomi a votare
radicale.
Che cosa accomuna lanalisi feroce di Negri con la scelta di allora di Pannella? A nostro
modo di vedere, si tratta soprattutto di due elementi:
a)
Fatto fuori il PSI con Tangentopoli, la piccola ammucchiata della gioiosa
macchina da guerra di Occhetto era la diretta erede della grande ammucchiata
dellunit nazionale del periodo 76-79. E, come noto, allinterno di tale grande
coalizione, la forza che con maggiore fermezza si batteva contro i movimenti e contro
lopposizione parlamentare e referendaria radicale erano i comunisti, individuati dallo
PARTE PRIMA
PROBLEMI DI STRUTTURA
1. La storia come lotta di potere Inattualit di Marx
Mentre Tocqueville descriveva lopen society U.S.A., la sua democrazia partecipata,
il suo libero commercio e le sue solide istituzioni, Marx preconizzava limminente
crollo del capitalismo, generalizzando arbitrariamente alcune osservazioni parziali,
dedicando agli U.S.A. (che invece suscitavano lentusiasmo di Bakunin) solo
qualche sporadico cenno.
Com noto, il Manifesto comunista muoveva dallaermazione che la storia
sarebbe sempre lotta di classe. Ora, laermazione pu essere o no valida, a
seconda del concetto di classe che si accolga. Probabilmente, seguendo i principi
dellindividualismo metodologico, occorrerebbe arrivare alla conclusione che le
classi sono innite, essendo innite le pulsioni individuali e gli interessi, sicch
lotta di classe non signicherebbe altro che dinamica sociale, destinata a
risolversi in un sistema di mercato, nel quale ognuno facesse valere quelle pulsioni
e quegli interessi nei confronti degli altri.
Naturalmente, non questa laccezione di classe di Marx. Egli infatti, dopo aver
rapidamente passato in rassegna i rapporti di potere del passato, giunge alla
conclusione che con laermarsi della borghesia le cose sono cambiate, e il
conitto si polarizza, tra i borghesi stessi e il proletariato, nei termini stretti dei
cosiddetti rapporti di produzione. Scrivere la storia, a questo punto, diviene la
descrizione dellevolversi di questi rapporti di produzione, con la previsione che,
concentrandosi il capitale in poche mani e impoverendosi sempre di pi i proletari,
questi a un certo punto matureranno la propria coscienza rivoluzionaria, si
impadroniranno del potere e, abolendo le classi, determineranno lestinzione di
quella sovrastruttura dei rapporti di produzione che lo Stato. A questo punto,
nella fase superiore del comunismo, si uscir dalla preistoria e si entrer nalmente
nella storia, dove ognuno dar secondo le proprie capacit, e ricever secondo i
propri bisogni (questo in realt Marx lo scrive nella Critica al programma di
Gotha).
C qualcosa, anzi molto, che non funziona in questo arrivano i nostri. Anzitutto la
questione dei rapporti di produzione, che costituirebbero la struttura, laddove
tutto ci che giuridico, politico, ideale, culturale, artistico, etc., rientrerebbe nella
sovrastruttura.
Si noti, sia detto di passata, che ad esempio Gramsci include nella struttura molte
delle vicende che per Marx sarebbero sovrastruttura, nendo con il rendere
pleonastica la distinzione.
Ma per quel che a noi pi interessa, va detto che Marx entra in contraddizione con
s stesso in almeno due momenti fondamentali: nella fase della nascita del
capitalismo, e in quella della sua ne.
Nel momento della nascita (Marx si riferisce sostanzialmente allInghilterra, ma
parla, al capitolo XXIV del Libro I del Capitale, di accumulazione originaria,
sicch dobbiamo ritenere che il suo sia un approccio losoco generale), il losofo
di Treviri riconosce che il fenomeno dovuto sostanzialmente a vicende politicogiuridiche, rappresentate dal fenomeno delle enclosures, le arbitrarie chiusure e
privatizzazioni forzose di fondi comuni, nonch dalle feroci leggi sul
vagabondaggio e sulla mendicit, che, come ha ricordato anche Foucault nella
Storia della follia, creavano mano dopera a inmo prezzo, pronta a essere
sfruttata dal nascente capitalismo. In altri termini, persone che mai si sarebbero
sognate di andare a lavorare in fabbriche infami e indegne, a ritmi di lavoro da
schiavi, hanno accettato ci, non gi per una libera scelta di mercato, non gi
quindi per ragioni squisitamente economiche, ma perch costrette da una legge
dello Stato, che impediva loro scelte di vita alternative, a pena della morte, del
marchio, della mutilazione, etc.
Altrettanto incorre in contraddizione Marx (e altrettanto Lenin), a proposito della
ne del capitalismo, a sua volta non frutto della naturale evoluzione del medesimo,
ma come frutto di un formidabile atto collettivo politico e di forza, come appunto la
rivoluzione. Le cose non cambiano se al posto della rivoluzione si pongono, come fa
lultimo Engels, le riforme dallalto, che sono pur sempre un fatto politico e
giuridico, dunque di forza, e non gi un fatto prettamente economico, avente a
che fare con i rapporti di produzione in s medesimi considerati.
Daltra parte, ritenere la primazia delleconomico, alla luce delle pi recenti
acquisizioni della scienza economica stessa, vuol dire tutto ma non vuol dire nulla,
dato che, da Lionel Robbins in poi, per economia non si ritiene altro che
lallocazione di risorse scarse in vista del perseguimento dei propri obiettivi. Ma la
prima delle risorse scarse, a parte il tempo, lenergia umana, la sua forza; quindi
se questa oggetto di valutazione economica in tale accezione, la distinzione
perde di peso e di pregnante signicato. E Gary Becker ha mostrato che tale
metodo economico pu applicarsi a qualunque genere di attivit umana, non solo
a quelle della produzione di beni e servizi, nellaccezione tradizionalmente oggetto
delleconomia: alla pena, alla famiglia, alla tossicodipendenza, etc.
V poi la questione del denaro. Secondo Marx, mentre il commerciante medievale
produceva merce per venderla al mercato, ricavare denaro e comprare nuova
merce (M-D-M), il capitalista moderno investe denaro per vendere merce e
acquisire nuovo denaro (D-M-D). Ma allora, vien da chiedersi, che cosa se ne fa il
capitalista di questo denaro accumulato? Se compra altra merce, la distinzione con
il mercante medievale viene meno. Si dir che il capitalista moderno investe in
capitale sso (macchinari), o che pi in generale lo accumula. Ma, ancora, che cosa
gli serve a questo punto accumulare tanto denaro senza investirlo? Perch alcuni
accumulano migliaia di miliardi, che non potrebbero spendere mai, nemmeno
comprando decine di ville o di arei personali, solo per apparire nelle classiche di
Forbes?
Evidentemente perch il denaro d potere e prestigio, il denaro abbondantissimo
d carisma anche se non lo si spende, anzi, soprattutto se non lo si spende. Ecco
allora che, a questo punto, il denaro non ne come in D-M-D, ma comunque
mezzo, anche se non mezzo per acquisire ulteriori beni materiali, ma mezzo per
acquisire potere sociale. Il denaro, quando molto, a sua volta una species del
genus potere.
E ancora: mentre Jevons, Menger e Walras elaboravano le nuove teorie marginaliste
e soggettivistiche del valore, divenute la nuova e denitiva ortodossia, Marx ancora
si baloccava con la metasica del valore-lavoro, scrivendo migliaia di pagine, oggi
del tutto inutili, di derivazione ricardiana. La circostanza non a sua volta
irrilevante ai ni del nostro argomento. Infatti, Marx ricavava dalla teoria del valorelavoro la dottrina del plus-valore (gi esposta da Proudhon in altri e pi persuasivi
termini, nella congurazione del diritto di albinaggio, tributo che il proprietario
impone al non proprietario, impossessandosi del surplus proveniente dalla capacit
combinatoria dellorganizzazione operaia: si pensi al famoso esempio delloperaio
che in duecento ore non pu sollevare un obelisco, mentre duecento operai lo
fanno in un ora, argomento interessante che non tiene per conto dellautonoma
attivit di coordinamento dellimprenditore, che in qualche modo dovr pure essere
compensata), e quindi dello sfruttamento.
Ma lo sfruttamento non consegue al mero atto di un libero contratto di lavoro sul
mercato, che fosse stipulato sulla base di eettive preferenze del lavoratore in una
situazione nella quale egli fosse libero di scegliere (il che non avveniva certo in
situazione di accumulazione originaria, come si visto), ma consegue appunto al
fatto che il lavoratore stato autoritariamente deprivato dallo Stato e dal potere
dei suoi diritti originari sulla terra, che lo costringono ad accettare dal punto di
vista interno un sistema a lui estraneo.
Non solo. Marx preconizzava il crollo del capitalismo sulla base di una teoria delle
concentrazioni di capitale del tutto erronea alla luce dellesperienza storica e della
pi moderna analisi economica.
Come ricorda David Friedman, si distinguono normalmente tre tipi di monopolio: il
monopolio naturale, quello articiale e quello di Stato, che egli considera quello di
gran lunga pi importante.
Quanto al primo, rileviamo quanto segue:
a. Il monopolio naturale non un proprium del capitalismo, ma tale in ogni tipo
di societ: lautostrada del sole sarebbe monopolista del suo percorso in
anarchia, nel socialismo, nel comunismo, etc.;
b. A volte un monopolio naturale tale solo per arretratezza tecnologica o
giuridica: ad esempio, le ferrovie, un tempo considerate monopolio naturale,
sono oggi oggetto di una disciplina giuridica per la quale la linea ferroviaria
politiche non fa venir meno la critica, dato che il profeta Marx avrebbe potuto
anche prevedere che, a fronte di un impoverimento generalizzato ci sarebbe
potuto essere una reazione di lenimento delle condizioni del proletariato, cos come
noi oggi prevediamo che, a fronte della disoccupazione crescente provocata
dallautomazione, assisteremo a nuove politiche di protezione, del tipo di quelle
che noi illustreremo parlando nei prossimi capitoli della rendita di esistenza.
Un'altra incomprensione di Marx sui meccanismi autonomi del capitalismo, altro
esempio della sua incapacit analitica di discernere ci che mercato da ci che
Stato, riguarda la dottrina delle crisi ricorrenti, che sarebbe intrinseca alle
modalit di funzionamento del sistema capitalistico. Anche a tale proposito sono
emerse teorie che hanno falsicato (per quanto, come sostiene Feyerabend, una
teoria non mai falsicata denitivamente) quella dottrina. Ci riferiamo alla teoria
austriaca del ciclo economico, elaborata da von Mises e dalla scuola austriaca,
secondo la quale le crisi cicliche sarebbero dovute a vicende relative allespansione
e alla successiva contrazione del credito, con il susseguirsi di alterazioni dei tassi di
interesse con conseguenti eetti distorsivi nella produzione.
Ora, non entriamo nel dettaglio di questa discussione tecnica, n condividiamo le
conclusioni della scuola austriaca in ordine alla necessit, che ha a sua volta
carattere monopolistico od oligopolistico, del gold standard (la famosa goldmania
degli austriaci). Che il credito si espanda, direbbe Montesquieu, nella natura
della cosa. Se io verso 1 euro in un conto corrente divento creditore di 1 euro dalla
banca. Se la banca presta quelleuro a Mario diviene a sua volta creditrice di 1 euro
da Mario, sicch dalleuro iniziale, ne abbiamo ora 3! Ma quel che ci interessa
rilevare, ai nostri ni, che la teoria austriaca del ciclo mette in luce come le crisi,
le depressioni, le recessioni, siano glie di una vicenda monetaria: ma la moneta
nel nostro sistema non un istituto di mercato, ma un monopolio statuale.
Tutte le vicende del credito sono frutto perci di unamministrazione discrezionale
della moneta, e non hanno nulla a che vedere con il mercato e la concorrenza. Ci
al di l di ogni giudizio di valore. Ossia, si potr anche sostenere che la moneta sia
inevitabilmente un istituto di Stato (il che non crediamo, basti pensare ai bitcoin),
ma limportante saperne trarre le
conseguenze. Mentre Marx confonde
sistematicamente lelemento Stato con quello mercato, come si detto; mentre
laddove il capitalismo fosse stato n dallorigine un anarco-capitalismo (come
sembra a volte dalla lettura di Marx), il che non mai stato, allo stesso si sarebbe
aancato sin dallorigine un anarco-sindacalismo, non godendo i capitalisti della
protezione dellapparato statale, e la storia sarebbe stata sin dallorigine diversa.
Alla comprensione di ci ostava la convinzione di Marx che lo Stato, sotto il
capitalismo, rappresentasse nulla di pi che il comitato daari della borghesia,
sfuggendogli totalmente il carattere autonomo della dimensione statuale, il che ha
contribuito anche a non fargli prevedere le degenerazioni burocratiche della
cosiddetta dittatura del proletariato, dallintegrale nazionalizzazione dei beni di
produzione, previste invece da Bakunin, il quale aveva ben compreso come la
concentrazione nelle stesse mani del potere politico e del potere economico
avrebbe dato vita alla pi feroce delle tirannie (80 milioni di morti in due tra
U.R.S.S. e Cina Popolare di Mao), poi ben analizzate da Bruno Rizzi, Cornelius
Castoriadis e Ignazio Silone.
Altre considerazioni sullinadeguatezza della formuletta struttura/sovrastruttura e
sulla presunta primazia logica dei rapporti di produzione su quelli giuridici e politici.
Si pensi allistituto contrattuale: il contratto istituto universale, di tutte le epoche,
si ritrova nei Veda come nellantico Testamento, come del resto la propriet privata,
e nessuno pu dire che si tratti di una mera sovrastruttura del capitalismo. Anche
nel comunismo pi libertario ci saranno contratti, dato che le persone, anche
vigendo il motto da ciascuno secondo le sue capacit, a ciascuno secondo i suoi
bisogni (che fu coniato ben prima di Marx), saranno sempre libere di concordare
prestazioni di qualunque tipo tra di loro.
Lo stesso vale per donazioni e atti di cortesia, previsti dal codice civile, e valide in
ogni epoca e in ogni struttura sociale. Si pensi poi alla questione del diritto
delleredit, che per Marx era questione marginale, mentre invece occupa tanto
spazio nellanalisi, pur da versanti opposti, in Tocqueville e in Bakunin.
Che poi i rapporti di produzione e il mero potere economico non costituiscano
sempre la molla dellazione umana dimostrata dallarte e dalla cultura. Nessuno
potrebbe sostenere, ad esempio, che Dante ha scritto la Divina Commedia per
diventare ricco, semmai per avere prestigio, reputazione, a loro volta suscettibili di
analisi economica secondo il modello Gary Becker, ma che non hanno nulla a che
fare con i rapporti di produzione.
Ma che cos oggi un mezzo di produzione? Una mente, un telefono, un computer,
che non si negano a nessuno (anche se le menti possono dierire per capacit),
mentre il grande capitale si giova del supporto statale, attraverso le concessioni di
monopoli, i brevetti, i copyright, le politiche di ricostruzione bellica, le grandi opere
pubbliche, tutti istituti statalistici, che non hanno nulla a che fare con il mercato
correttamente inteso, come vedremo trattando dellidiocrazia
E poi ancora il femminismo: i marxisti pi evoluti riconoscono che il femminismo ha
rappresentato una contraddizione nuova rispetto alla contraddizione economica
fondamentale, ma si tratta di un approccio insuciente; basti pensare che
ladulterio femminile stato penalizzato in pressoch tutte le culture no a tempi
recenti, indipendentemente dai rapporti di produzione concretamente inveratisi
nelle diverse fasi storiche. Quellistituto aveva dunque un fondamento ideale,
culturale, religioso, nel costume, nel sentimento, forse nella biologia, almeno come
intesa sino a poco tempo fa, ma evidentemente non, o non abbastanza, nei
rapporti di produzione.
Riassumendo, emergono i sette errori fondamentali, i sette peccati capitali della
teoria sociale marxiana, peraltro tutti riconducibili a una erronea valutazione e
sottovalutazione del ruolo dello Stato, del potere e del diritto nel consesso sociale.
Non ci soermiamo qui sullaspetto pi trivialmente messianico della sua dottrina,
quello deterministico e nalistico, che stato da pi parti evidenziato, ma ci
limitiamo agli aspetti che pretenderebbero maggiore statuto scientico, e che forse
popperianamente ne hanno, se vero che sono stati falsicati dallesperienza (ma
in realt non solo dallesperienza, ma anche dal mero confronto di teorie, secondo
un modello gi evidenziato da Feyerabend).
a. Erronea attribuzione di centralit allaspetto economico del possesso dei
mezzi di produzione, come fonte fondamentale delle contraddizioni sociali,
ignorando che tale possesso solo una species del genus dominio, e quindi
ignoranza della centralit del potere e della lotta di potere come fattore
strutturale fondamentale della storia e della societ;
b. Erronea analisi in ordine alla prospettiva di un accentramento in poche mani dei
fattori di produzione come eetto dello sviluppo monopolistico del capitalismo,
ignorando che, quando un tale eetto si d, ci frutto dellinterferenza
statuale e del diritto, e non mai della concorrenza in s considerata. Marx,
invero, non pare mai in grado di fornire una visione analitica del fenomeno
capitalismo che sia in grado di depurare questo dalla contestuale presenza
dello Stato come giocatore autonomo, in condizione di inquinare quello che
sarebbe landamento di un mercato che fosse eettivamente, come si denuncia
erratamente, lasciato a s stesso;
c. Erronea congurazione delle cosiddette crisi periodiche, a loro volta considerate
frutto dello sviluppo spontaneo del capitalismo, ignorandosi che esse sono
conseguenze di uttuazioni del credito in regime di monopolio discrezionale
della moneta, quindi esterno a quello che si vorrebbe fosse, secondo Marx e i
classici, il capitalismo;
d. Erronea previsione in ordine allimminente crollo del capitalismo, che sarebbe
frutto inevitabile dellimpoverimento del proletariato e conseguente sua
ribellione. Del resto Marx riteneva che laermarsi del macchinismo avrebbe
reso gli operai semplici bruti esecutori, laddove noi oggi intravvediamo che
lautomazione condurr puramente e semplicemente allabolizione del concetto
stesso di lavoro salariato;
e. Mancata previsione della circostanza che lauspicata dittatura del proletariato
non avrebbe condotto allestinzione dello Stato, ma al raorzamento dello
stesso, dando vita alla pi micidiale delle oppressioni di classe conosciute,
quella della societ burocratica (Castoriadis) dellU.R.S.S. e della Repubblica
Popolare Cinese di Mao. Anche qui si tratta della mancanza di capacit di analisi
su come funziona uno Stato; e non si dica che ci frutto dellepoca, perch
nello stesso tempo un Bakunin comprendeva esattamente prevedere che cosa
sarebbe avvenuto;
f.
g. Inadeguatezza della teoria della moneta, ancorata alla visione scontata del suo
carattere di monopolio statale, quando Menger gi ne illustrava il carattere di
scaturigine spontanea e di mercato. Ed singolare che un critico del capitalismo
come Marx non si avvedesse che listituto cardine del capitalismo, la moneta
appunto, non fosse a sua volta nellattualit un frutto del capitalismo e del
mercato, ma si trattasse di unistituzione monopolistica della trascurata
istituzione Stato.
2. Lidiocrazia
Va a questo punto precisato che non coglie nel segno la diusa polemica ostile
al mercato, svolta da certi anticapitalisti , che agitano in proposito lusurata
formula del neo-liberismo o del liberismo selvaggio. E infatti banale, ma
non superuo, ribadire che il capitalismo che conosciamo e non certo da oggi
- ha ben poco a che fare con il modello del mercato imperturbato, e che oggi, il
selvaggio tuttaltro che un liberismo sano. Si tratta infatti di un fenomeno in
gran parte orito allombra dello Stato o degli organismi internazionali
superstatuali -sicch, se i no-global attaccano tali organismi, essi fanno
inconsapevolmente una battaglia liberista-. alla cui incessante azione, di
regolazione o di intervento diretto, si devono gran parte degli arricchimenti e
deglimpoverimenti conosciuti nella modernit, cos come si deve alla decisione
pubblica dello Stato lassegnazione preliminare dei diritti di propriet e in
genere dei titoli legali. Non solo. Come vedremo di qui a poco, il fenomeno ha
assunto in tempi recenti la consistenza di una nuova forma idiocratica
dellarticolazione stessa del pubblico potere in un forse inedito intreccio col
grande capitale, monstrum privatistico e appunto capitalistico, che ricorda
per taluni aspetti il modello feudale, e in parte quello canonico, peggiorati dalla
sporcatura aziendalistica e dai laminati plastici, metafora di unarchitettura
scadente quale quella dei palazzi in cui operano le relative attivit.
Uneclatante conferma si ricava dal testo di un insider del sistema di
edicazione del cosiddetto capitalismo globale che alla luce della descrizione si
rivela piuttosto un nuovo genus di capitalismo assistito- ad opera
dellimpero . Lautore descrive un impressionante intreccio -che egli denisce
corporatocrazia, dalla radice dellinglese corporation, societ per azioni, per
quanto sia ravvisabile unanit con le letture pi stataliste del corporativismo
fascista -, tra poteri dello Stato, istituzioni internazionali come la Banca
Mondiale , imprese petrolifere, dellenergia elettrica, delle infrastrutture e
delledilizia, societ di consulenza e revisione, collegate tanto al governo quanto
alle corporations, e governi locali corrotti e dittatoriali, soprattutto quando
fornitori di petrolio, ma non solo. Il tutto volto ad arricchire, attraverso le
commesse e gli appalti pubblici, le imprese stesse e i governanti, a scapito delle
popolazioni locali. Queste vengono infatti indotte artatamente allindebitamento
per realizzare grandi opere pubbliche, inutili e spesso dannose, e comunque
sovradimensionate da stime di fabbisogno di comodo, con il pretesto della
promessa di un rapido sviluppo tecnologico dei loro paesi, s da vincolarli altres
a politiche internazionali subordinate rispetto a quella del governo U.S.A.. Con
laggiunta che gli esponenti di tale governo sono stati spesso personalmente
I prezzi dei beni e dei servizi, in questo quadro, non hanno valore di
corrispettivo, ma di mera riscossione nalizzata al controllo individuale e
sociale, dato che il potere e la ricchezza degli azionisti, di facciata od occulti,
deriva sempre dalla virtualit nanziaria, mai dallutile dimpresa, del resto
invericabile, data linaccessibilit dei bilanci reali, sempre che anche questi
siano redatti in modo intelligente, e il carattere ttizio, anche per lassoluta
opinabilit di molte poste e cespiti, come nel caso della valutazione dei beni
immobili, di quelli uciali e resi pubblici, o i cui presupposti siano elaborati
attraverso due-diligence del tutto approssimative.
Lidiocrazia ribalta il luogo comune della teoria economica della sovranit delle
preferenze del consumatore, dato che il di lei atteggiamento nei confronti del
cliente non dissimile da quello del vecchio apparato burocratico stataleministeriale nei confronti del suddito e poi dellutente: di disinteresse, in
nome di una supremazia, che non ha nulla a che vedere con la capacit di
acquisire consenso in un sistema concorrenziale.
La forma-burocrazia, di cui espressione lidiocrazia della decadenza
capitalistica, ha attinto quindi dai modi comportamentali del pubblico
impiego, dalle inecienze della relativa sindacatocrazia (bench le inecienze
nel pubblico impiego non sono un mala quia mala, dato che possono
rappresentare, in qualche caso, dei boicottaggi dallinterno), e da certe modalit
organizzatrici proprie delle organizzazioni collaterali del PCI degli anni 70, il
tutto condito dalla scadente teorica e retorica del managerismo, avviata da
noi dal fenomeno, negli anni 80, del rampantismo, storicamente associato al
PSI di Craxi e Martelli, al di l delle eettive responsabilit individuali -che port
per a un compenetrarsi pubblico-privato culturalmente pi intenso di quanto
non lasciasse prevedere il sistema IRI-partecipazioni statali-enti pubblici
autarchici, prima fascista e poi democristiano-, per poi sfociare nel plebeo mito
pseudo-ecientista del berlusconiano venditore porta a porta di polizze
assicurative e nanziarie, dallimbonitore televisivo dei vari Aiazzone e
Grappeggia, del mobile moderno o antico in legno massello ed
estremamente valido, e nella pianicazione urbanistica convenzionata e
contrattata di dislocazione nel territorio dei relativi capannoni (PIP, quasi
interi comuni destinati a zone industriali D, etc.), che trovano una prima vivace
caratterizzazione e ricostruzione anche teorica nel personaggio del brianzolo
venditore di divani Lillo del simpatico attore comico lombardo di Luino (quindi
quasi svizzero) Massimo Boldi (vien zue a trovarmi).
In quel punto di implosione si viene a determinare lintersezione con laltro
elemento portante del sistema idiocratico, ossia la sua compenetrazione
strutturale, quindi anche sica, di quelle attivit con beni demaniali e pubblici,
con devoluzioni di quote di potere sovrano attraverso il monopolio della moneta,
resa articialmente risorsa scarsa e limitata attorno alla quale competere
laddove si tratta, in quanto virtuale, di risorsa intrinsecamente inesauribile- con
il meccanismo delle cosiddette concessioni di servizio pubblico che sono in
primo luogo concessioni di poteri autoritativi-, con la conseguenza che la
proposta di contabilizzazione nei bilanci degli enti pubblici territoriali del valore
di stima di mercato (metodo Lange) di quei beni e di quei servizi, taglierebbe
determinando, con il venir meno alla radice del consenso al sistema, il suo crollo
e appunto la sua implosione.
Tale prospettiva risulta del resto agevolata dallattuale assetto dei poteri, una
volta individuato il bandolo della matassa dellintreccio pubblico-privato
nellistituto concessorio beni-servizi, e guadagnata consapevolezza collettiva e il
conseguente favorevole rapporto di forza.
Il carattere formalmente privatistico dei soggetti egemoni nellidiocrazia rende
agevole, sul piano tecnico e teorico, lobiezione che costoro non possono
sensatamente e legittimamente rivendicare esclusive e appartenenza
necessaria, pena lincorrenza nellistituto dellabuso di posizione dominante, a
dir poco, data lirrazionalit della pretesa che ne determina ipso facto la nullit
(voidness), conseguenza del resto implicita nello stesso istituto, che ha
consacrato lilliceit continentale dello ius abutendi. E il fatto che i beni
demaniali siano rimasti pubblici e non siano stati mai privatizzati, se non
nelluso ma in vari casi vale listituto dellaccessione con riferimento alle
costruzioni accessorie e pertinenziali-, rappresenta un vantaggio, dato che ci
consente di procedere alla mera contabilizzazione loro e dei servizi dagli stessi
consentiti (strade e autostrade, anzitutto, ma anche coste, lidi, spiagge,
demanio idrico, il cielo, sulla base del principio per il quale la propriet si
estende usque ad sidera et inferos, e quindi il sottosuolo, cave, torbiere,
miniere, e ancor pi in profondit, etc.), senza la necessit di ricorrere a
complesse e politicamente delicate procedure e operazioni espropriative -se non
con riferimento ai beni degli enti ecclesiastici, salvo approfondimento della
natura giuridica del loro possesso da parte di quegli enti alla luce del concordato
e del trattato con la Santa sede-, dato che si tratta di beni gi ab origine
nazionali, che non richiedono alcuna ulteriore nazionalizzazione, ma solo
latto formale del loro riconoscimento, della loro individuazione e della loro
contabilizzazione.
Una volta private del supporto nanziario virtuale in esclusiva, delluso del bene
demaniale e dei privilegi normativi costitutivi di monopoli e riserve, le aziende
capisaldo del sistema idiocratico (istituti di credito, societ di assicurazione, enti
di assistenza e previdenza pubblici e privati, sistema dei mass-media radiotelevisivi, sistema integrato della sanit pubblico-privata, caso tipico in cui
lintervento pubblico massimizza i protti privati, produzioni assistite dalla
legislazione vincolistica e di obbligo di rifornimento, etc.), semplicemente si
aoscerebbero, dissolvendosi nel mercato aperto, avviando quel processo di
transizione dalla fuoriuscita dellistituto burocratico-aziendale, del quale
abbiamo parlato in passato, soprattutto alla luce del primo elemento, il
superamento dellesclusiva nella monetarit virtuale e la diusione universale di
questa.
Con la generalizzazione della virtualit monetaria (rendita di esistenza, libero
conio) verrebbero inoltre meno tutti i parassitari passaggi della liera
commerciale imposti solo dalla necessit di giusticare redditi e rendite
monopolistiche, dato che i soggetti coinvolti sarebbero liberati dal legame a
situazioni lavorative prive di signicato imprenditoriale, che, per giusticare
Questi beni incarnano il potere sovrano, sono gli strumenti della supremazia,
quelli che fanno di uno Stato uno Stato: per lo Stato sarebbe anche povero.
Come ci sia possibile merita una spiegazione, perch avr anche una
spiegazione il fatto che lo Stato rivendica il monopolio monetario, ma anche
unimposizione scale elevatissima, pur senza averne bisogno, alla quale
corrispondono servizi a volte modesti, a volte faraonici.
Vige in proposito una prassi, che se vi fosse consapevolezza verrebbe ridotta a
trucchetto contabile: il valore di quei cespiti non iscritto nel bilancio dello
Stato! Lo Stato ricchissimo e non lo sa, o nge di non saperlo e non vuole che
si sappia. Si comporta come un miliardario che possiede otto ville, il quale
vantasse la propria povert, perch delle ville vedesse solo i costi di
manutenzione.
Lart. 2424 c.c. impone che i cespiti immobiliari siano iscritti in bilancio
allattivo, ma lo Stato non applica a s il codice civile, il diritto reale
attraverso il quale istituzionalmente si pratica lo ius abutendi, e quindi non
iscrive quei beni, perch non li tratta da ricchezze quali sono, ma da oneri, da
un lato, e da immateriale scettro mistico, dallaltro. Ma la tendenza evolutiva
dellordinamento giuridico va nel senso di applicare anche allo Stato i principi
civilistici, sicch quei pretesti non convincono pi.
In base a quale ordine di idee razionale, una societ privata iscrive in bilancio il
valore di un terreno, e quel valore dovrebbe volatilizzarsi, una volta che il
terreno fosse espropriato da una pubblica amministrazione? Il valore destimo
resta evidentemente lo stesso.
Se tutti i beni suddetti fossero iscritti a valore di mercato nel bilancio dello
Stato, questo andrebbe immediatamente allattivo, e cesserebbe la litania della
voragine dei conti pubblici, che giusticherebbe lalta tassazione, oltre al
chiacchiericcio televisivo e alle stucchevoli controversie con lUnione europea.
Portando il bilancio allattivo, quei valori diverrebbero innanzitutto provvista
monetaria (vale pi il contenuto del caveau di una qualunque banca centrale, o
quello del Louvre? I monumenti di Roma o le riserve della Banca dItalia?)
Nemmeno le corpose riserve auree, come detto, vengono iscritte in bilancio,
dato che viene attribuito loro solo un valore psicologico a sostegno del
prestigio della sovranit statale.
A questo punto si delinea un bivio tra due scenari: uno statalista, laltro
libertario. Se da un lato valorizzare le ricchezze pubbliche pu far pensare a uno
Stato-monstrum, dallaltro, il valore della rendita di esistenza sarebbe talmente
elevato che, in prospettiva, lo Stato cadrebbe da s, dato che ognuno non
avrebbe bisogno che di agenzie di intermediazione monetario e lo Stato non
avrebbe pi nulla da fare.
Saremmo di fronte a una contraddizione dialettica tra lesercizio di un potere,
distribuire denaro, e il carattere suicida di tale esercizio, che consentirebbe a
ognuno di ignorare lo Stato per tutti gli altri servizi che lo Stato pretendesse di
fornire a cittadini resi ricchi e ampiamente autosucienti. Il tutto, si badi, senza
necessit di marxianamente nazionalizzare alcun bene, dato che quei beni sono
gi dello Stato, anche se dissimulati.
Lo Stato verrebbe ridotto a un documento, il suo bilancio, che sarebbe un
simulacro, un semplice rendiconto dellavvenuto trasferimento di valore, e
quindi di potere, alla societ.
Pagare per andare in spiaggia come pagare per vedere le gambe della moglie:
si paga per usufruire di beni demaniali, quando dovremmo essere noi a essere
pagati, trattandosi di beni gi nostri.
Eppure si tratta di beni, di cespiti, che oggi come oggi non vengono nemmeno
contabilizzati nei bilanci pubblici. Si parla infatti di un principio di invalutabilit
dei beni demaniali, che si spieg(herebbe), come dice la manualistica di
Contabilit dello Stato, considerando l'essenza dei beni demaniali e la loro
rilevata strumentalit rispetto ai ni dell'ente al quale sono adati . In altre
parole, i beni demaniali vengono fatti aerire alla sovranit e vengono perci
sottratti al mercato e al suo giudizio. E infatti, prosegue questa manualistica, I
beni demaniali non vengono valutati, in conformit al principio che essi sono
extra commercium e che lo Stato ne pu disporre soltanto ricavandone le utilit
di cui sono suscettibili ma non pu considerarli come elementi attivi del suo
patrimonio . Dal che si ricava che la sovranit statuale, in tali casi, esprime il
proprio dominio anche, e forse soprattutto, attraverso un substrato materiale
oltremodo consistente -basti por mente allart. 822 c.c.- e non solo, come
solitamente si ritiene, sullopinione e lastrazione: il suo carisma nutrito di
carne, non solo di credenze.
Del resto, se una societ privata per azioni iscrive in bilancio allattivo i propri
beni immobili (art. 2424 c.c., c. 1, 1 cpv., n. 2), e lo stesso fanno le societ in
mano pubblica, non si vede perch solo lo Stato e gli altri enti territoriali
debbano ignorare di possedere beni immobili e fondiari oltretutto immensi e
immani. Se ne ricava che il bilancio dello Stato sia un bilancio senza cespiti,
lunico noto con tale bizzarra caratteristica.
Potrebbe solo sorgere il dubbio che, in quanto beni demaniali astrattamente
incommerciabili, essi siano privi di valore di mercato, e che quindi sia arduo
contabilizzarli con un valore assegnato, sia pure alla Lange , come del resto
gi avviene con la liquidazione bonaria dei sinistri da parte dei periti delle
societ di assicurazione, o nelle perizie contabili; il dubbio per privo di
fondamento, dato che i beni hanno necessariamente un valore: se un terreno ha
valore nel momento in cui in mani private, non pu cessare di possederlo a
seguito di un esproprio, o della sua conseguente apprensione alla mano
pubblica attraverso altra forma. Come che sia, per fugare ogni ombra,
basterebbe assegnare detti beni a una public company cooperativistica nelle
mani di tutti i cittadini, formalmente operante sul mercato, e quindi soggetta al
citato art. 2424 c.c., di tal che i beni acquisterebbero, anche formalmente,
commerciabilit, anche se ben dicilmente potrebbero darsi privati in grado di
acquistarli in toto, in grande, o in buona parte. Sicch la loro destinazione pi
sottostando alla comune legge giuridica, che regola per tutti i cittadini il diritto
di propriet, e alla comune legge economica, che regola la formazione del
prezzo dei beni privati : sicch, a identit di legge giuridica tra bene di
propriet privata e bene di propriet pubblica non pu che corrispondere
identico criterio di formazione del relativo bilancio, con conseguente iscrizione
in esso di tutti i cespiti posseduti.
Tutto quanto precede ci consente ora di essere pi precisi, passando a delineare
i contorni di una prima prospettiva concreta, per quanto ripetutamente
accennata. Se il mondo originariamente di tutti, e non di nessuno, escluso,
come si visto, che atti unilaterali di apprensione possano sottrarre beni alla
comunione, se non nei limiti delluso e della disponibilit di ciascuno ad
acconsentire a che tale uso avvenga: la comunione sempre vigente, in
assenza di atti espliciti di alienazione delle quote. Ne deriva che ognuno ha
diritto a vedersi riconosciuto da parte dei singoli proprietari (che sarebbero
solo degli usufruttuari-concessionari) un canone, per dir cos, di locazione con
riferimento alla propria quota di mondo, o meglio, di atto , trattandosi di
concessione di unattivit imprenditoriale, in senso lato di usufrutto di impresa.
Ovvero ancora, per esprimerci in termini tecnico-economici, di una rendita per la
propriet comune della terra data appunto in uso al singolo titolare di diritto
reale parziario.
La necessit di una rendita di esistenza in forma monetaria si propone solo in un
contesto produttivistico, nel quale vi siano beni di consumo da acquistare,
sicch la produzione di ricchezze ulteriori rispetto a quelle naturali nisca con
lattribuire un senso a quella dotazione originaria, che pu cos essere spesa nel
mercato particolare di quei beni di consumo. In caso contrario, data la vastit
delle risorse naturali a disposizione, non v nemmeno bisogno di moneta per
acquisire ci che la natura ore direttamente, e che pu costituire oggetto di
apprensione individuale senza alcuna mediazione altrui, o per trasformare la
natura, da soli, o in unione con altri.
Ora, prendendo comunque le mosse dallintuizione della rendita di esistenza
correlato al valore della quota di nuda propriet della Terra spettante a ciascun
singolo individuo diviene indispensabile comprendere a quanto eettivamente
ammonti questa quota, per capire se essa rappresenti davvero per ognuno una
fonte di reddito suciente per sopravvivere e per vivere almeno
dignitosamente; e per far ci occorre, evidentemente, comprendere a quanto
ammonti il valore complessivo della produzione mondiale, momento dopo
momento, della cui impresa ognuno sarebbe usufruttuario in comunione.
Orbene, secondo una stima del WWF Internazionale pubblicata a pagina 2 del
Manifesto del 25 ottobre 2006, , competerebbero a ciascun singolo individuo
la bellezza di 2,2 ettari globali per individuo abitante del pianeta, il che
davvero non sembra giusticare lattuale stato di miseria, nel quale versano
oggi molti esseri umani nel mondo, dato che lo slogan del giorno potrebbe
essere ormai, nemmeno pi tutti proprietari, ma addirittura tutti latifondisti.
Stabilite le premesse teoriche, il problema che si pone al movimento libertario
di saper dare, almeno in una logica di second best -nella prospettiva del free-
tutti
tale
non
suoi
dilemma del prigioniero, di una gara dasta tra favorevoli e contrari a una data
opera pubblica. Si tratterebbe di una sorta di project nancing democratico e di
mercato: immaginiamo infatti che qualcuno si faccia promotore tra i favorevoli
di una raccolta di fondi per nanziare lopera, mentre altri si faccia promotore
tra i contrari di altrettanto, per compensare limprenditore, inducendolo a non
realizzare lopera.
Se i contributi dei favorevoli saranno superiori, e sucienti a garantirgli un
margine di utile, limprenditore restituir ai contrari i proventi della loro colletta
e realizzare lintervento. Se saranno superiori i contributi dei contrari, verranno
restituiti i fondi a entrambi, tranne il surplus dierenziale quale compenso
delliniziativa, e lopera non verr realizzata.
Si dir: perch ricorrere al voto monetario e non a quello ordinariamente
referendario? Perch il voto monetario misura non solo la scala ordinale delle
preferenze, ma anche quella cardinale, misura, come ricorda leconomista
coreano Ng, anche lintensit delle preferenze.
Ognuno potr perci contribuire non solo in funzione di una generica
predisposizione favorevole o contraria allopera, ma anche delleettivo
coinvolgimento personale sulla sua realizzazione o non realizzazione.
In tal modo, il mercato si fa compiutamente democratico, oltre a consentire
uneettiva valutazione costi/beneci dellintervento. Si dir ancora che in tal
modo i ricchi saranno avvantaggiati rispetto ai poveri, dato che potranno
contribuire di pi nella direzione da loro auspicata. Ma, a parte che, come rileva
David Friedman, nei quartieri popolari ci sono pi grosse macchine che buone
scuole, non bisogna pensare che i ricchi (a parte ogni nostra considerazione
sulla rendita di esistenza) saranno tutti da una parte e i poveri tutti dallaltra. Ci
saranno ricchi contrari e ricchi favorevoli, poveri contrari e poveri favorevoli.
Daltra parte, non si tratter solo di pagare direttamente di tasca propria, ma
anche di far valere la propria capacit imprenditoriale nellacquisire
nanziamenti in una direzione o nellaltra.
Un ulteriore vantaggio che, mentre nel voto referendario, sarebbero
verosimilmente coinvolte solo le popolazioni direttamente interessate, soggette
alla sindrome non nel mio giardino, con il voto nanziario potrebbero
partecipare alla decisione tutti gli coloro i quali si auto-selezionassero come in
qualche modo interessati o che si sentissero coinvolti nelliniziativa, in senso
vuoi favorevole, vuoi contrario.
Quale sar, del resto, la concreta conseguenza di un simile modo di procedere?
Come si detto, lopera sar assoggettata a una verica costi/beneci quale
nessunopera pubblica richiede oggi allintervento coattivo dello Stato, che
realizza interventi improntati a ragion politica e non a ecienza, tanto pi
occultando i costi nella scalit generale, e quindi dando molte volte la falsa
impressione della gratuit per opere spesso inutili (si veda la Bre.Be.Mi.) e
altamente costose.
PARTE SECONDA
DIRITTO E POLITICA
rigorosa
di
quel
diritto
al
controllo
Com noto, il movimento radicale, in tutti i suoi ormai lunghi anni di storia,
ha sovente incentrato la propria iniziativa politica sulla partecipazione
popolare, mostrando una singolare ducia nel coinvolgimento dei cittadini
nella decisione politica. In particolare, attraverso lattivazione dellistituto del
referendum.
Diciamo singolare, con riferimento alle prevalenti, da noi, culture politiche. E
conosciuta la resistenza di Togliatti allistituto referendario in sede di
costituente, come nota lincredibilmente restrittiva giurisprudenza della
Corte Costituzionale in questa materia, che ha dilatato enormemente i
requisiti di ammissibilit del referendum abrogativo, rispetto a quanto
letteralmente previsto dallart. 75 della Costituzione.
Il principio che inconsapevolmente mosso i radicali, che parrebbe ovvio, ma
che tanti ostacoli trova da noi, che il popolo non pu possedere un potere
legislativo inferiore rispetto a quello dei suoi rappresentanti.
Ma, se cos , logica imporrebbe che ci si battesse anche per lintroduzione
del referendum propositivo, accanto a quello abrogativo, anche
considerando che una legge nuova sempre anche abrogativa del quadro
giuridico precedente, cos come una norma abrogativa anche sempre
innovativa rispetto a detto quadro giuridico.
In casa radicale si sono invece talora levate voci contrarie al referendum
propositivo, in nome, si immagina, di una funzione meramente di controllo
del voto popolare, ma, come detto, tale posizione non ci pare congruente
con laureo principio enunciato.
Se dunque da noi siamo cantottantanni indietro rispetto alla situazione
descritta da Tocqueville nella Democrazia in America, la lotta per la
democrazia diretta (soggetta spesso a ironie sciocche del tipo non siamo in
Svizzera magari!) deve piuttosto proseguire ed estendersi.
Ad esempio proponendo lelezione diretta, con previsione di recall, dei
magistrati, o almeno dei capi-ucio, dei procuratori della repubblica, i quali
si presentino alle elezioni con un proprio programma vincolante, in grado di
superare lipocrisia della fasulla obbligatoriet dellazione penale;
estendendo, seguendo linsegnamento del municipalismo di Camillo
Berneri, la democrazia a livello locale, concentrando le funzioni
amministrative nei comuni (giustizia compresa, tranne quella civile, da
devolversi sempre di pi ad arbitrati privati, data linutile macchinosit
dellodierna costosa procedura civile).
Emerge a questo punto la questione del federalismo e della secessione.
Pannella si di recente riconfermato contrario alle secessioni territoriali,
intervenendo a proposito dei referenda scozzese e catalano, invocando il
superamento dellistituzione Stato nazionale in nome del federalismo
europeo di stampo ventoteniano.
Che le secessioni territoriali (altro discorso andrebbe condotto con
riferimento alle secessioni individuali) non siano eo ipso libertarie lo
sosteniamo da tempo, anche in polemica con anarco-capitalisti tardorothbardiani fautori di siatte secessioni. Tuttavia, occorre considerare che,
se auspicabile un federalismo verso lalto di stampo neo-kantiano,
altrettanto auspicabile, si direbbe, il federalismo verso il basso, con
riferimento quantomeno alle funzioni amministrative che possano essere
esercitate direttamente dai cittadini o da loro magistrati revocabili, per
utilizzare la dizione dei classici.
Va da s, peraltro, che ogni secessione di questo tipo deve comportare
linserzione in un pi ampio ordinamento internazionale, in una comune
corte di giustizia, che garantisca i diritti umani fondamentali, la libert di
concorrenza, di libera circolazione, etc. Certo, vanno invece osteggiate
secessioni che non intendano rispettare tali diritti, o che siano rivolte
allintroduzione di dazi o simili ostacoli illiberali, barriere che il mercato non
pu e non vuole riconoscere.
Ci si pu chiedere, a questo punto, quale strategia politica debbano seguire,
in regime democratico-liberale, i radicali, per perseguire i propri obiettivi.
Mentre gli anarchici classici, in nome del riuto della delega e invocando i
sacri principi di Saint Imier, reclinano di essere coinvolti in alcun modo nelle
competizioni elettorali o altrimenti democratiche (pur essendo coinvolti
giornalmente, in una quantit di atti quotidiani compromettenti, in un mondo
che detestano), i radicali sono sempre stati laici rispetto al voto e al non
voto.
Cos cio come non riutano per principio le elezioni, nemmeno si sentono
obbligati a parteciparvi, se non sulla base di valutazioni caso per caso, e
questo un criterio sano.
Si tratta tuttavia di approfondire quale debba essere latteggiamento
politico-elettorale dei radicali, tanto ove si presentino, quanto ove non si
presentino.
A nostro avviso, i radicali devono mantenere la propria collocazione storica,
come descritta in introduzione, ossia allestrema sinistra dello schieramento
istituzionale. Del resto, lo stesso miglior Rothbard diceva che storicamente,
a partire dalla rivoluzione francese, la destra rappresentata dagli statalisti
nostalgici dellancien rgime, mentre la sinistra rappresentata dai liberali,
dai radicali, dai libertari, costituendo invece il socialismo, con il suo miscuglio
di statalismo e di antistatalismo, un confuso movimento centrista.
Ci non signica abbandonare il principio della trans-partiticit, che consente
di colloquiare con esponenti di ogni estrazione politica sulla base
delladesione alle concrete singole battaglie, ma essere perfettamente
consapevoli della propria identit.
Ci comporta che, ove si aermi un sistema politico latamente
allamericana, i radicali devono costituire lala libertaria dello schieramento
progressista, in mancanza di che, allora, tanto vale, battersi per
laermazione di un sistema perfettamente proporzionale, dato che, del
resto, proprio sotto il sistema proporzionale che i radicali hanno dato il
meglio di s nelle lotte parlamentari.
In un sistema o nellaltro, comunque, la presenza parlamentare pu essere
molto utile, non tanto come generico diritto di tribuna, quanto per
esercitare sindacato ispettivo, per consentire una frequente attivit di visita
dei penitenziari, per controllare gli intinera legislativi nelle commissioni, per
battagliare per la discussione dei progetti di legge di iniziativa popolare,
spesso insabbiati nelle stesse, etc.
In mancanza di una presenza parlamentare, i radicali hanno, in tempi
recenti, incentrato la propria iniziativa nella proposizione di azioni
giurisdizionali, le pi interessanti delle quali sono quelle adite a livello
internazionale. Anche questo prolo dellazione radicale va salutato
positivamente. Pannella sembra nalmente essersi convinto, almeno in
parte, dellinanit delliniziativa di tipo penalistico, a favore di un approccio
pi di common law, invocando, a livello di giudici ordinari, statuizioni in
grado di costituire precedenti vincolanti per lo stesso legislatore.
Ad esempio, negli Stati Uniti, la legalizzazione dellaborto stata disposta in
conseguenza di una pronuncia della Corte Suprema, nel noto caso del 1973
Roe vs. Wade, caso pilota per tutto il mondo, non in conseguenza di un atto
del legislatore.
Come diceva Bruno Leoni, del resto, proprio la
legislazione, con il suo carattere alluvionale, confusionario e pasticcione, a
costituire fonte di incertezza del diritto, mentre il diritto giurisprudenziale
rispettoso dei diritti umani fondamentali e gli operatori, almeno nel nostro
caso, si sono rivelati motivati e cordiali.
Siatte comunit appaiono un possibile modello per il carcere del
futuro. I radicali, come notissimo, stanno conducendo da anni una forte
battaglia per il ripristino della legalit carceraria, contro le inumane
condizioni dei detenuti e contro il sovraollamento, ottenendo importanti
risultati, come la sentenza Torreggiani della Corte Europea dei Diritti
dellUomo. A questultimo proposito non possiamo che confermare. Nella
nostra permanenza a San Vittore eravamo in quattro in pochi metri
quadrati e le celle erano praticamente sempre chiuse.
Tuttavia, preferiremmo che i radicali estendessero sistematicamente al
carcere lapproccio abolizionista che hanno sempre mantenuto per i
manicomi, trattandosi in entrambi i casi di istituzioni totali irriformabili,
essendo ormai storicamente sorpassato e agli sgoccioli il modello
panopticon due secoli e mezzo fa concepito da Jeremy Bentham.
In verit, dal mondo radicale non mancano e non sono mancate voci
abolizioniste. Ci fa piacere ricordare lallora consigliere regionale
lombardo anti-proibizionista Giorgio Inzani, che ormai venti anni fa
organizz, replicandolo, un convegno appunto abolizionista, al quale noi
stessi abbiamo partecipato con una nostra relazione.
Ma lo stesso Pannella non ha mancato a suo tempo di prendere posizione
su tale argomento. Abbiamo di recente riascoltato un lo diretto di quasi
quarantanni fa (con Pannella, vista la carenza di scritti, agli interventi
congressuali, ai li diretti, ai dialoghi domenicali che bisogna sovente fare
riferimento), nel quale prendeva chiaramente posizione contro
listituzione carceraria. Tuttavia il tema stato sostituito da un approccio
riformistico che suona a volte troppo asttico e inadeguato.
Invero, il carcere inadeguato innanzitutto perch il diritto penale a
essere inadeguato, sia sul piano oggettivo, sia sul piano soggettivo.
a. Sul piano oggettivo, non adeguatamente giusticato che cosa debba
costituire reato. In base allart. 40 del codice penale, dovrebbe
sempre essere ragurarsi un evento dannoso o pericoloso, ma noi
siamo in presenza di una grande quantit di fattispecie di reato nelle
quali non si comprende in che cosa consista il danno o il pericolo
(ammesso che un atto di pericolo, che non cagioni alcun danno
eettivo, possa essere sanzionato): si tratta in molti casi di victimless
crymes, e una volta che si considerino omicidio, lesioni e reati di
violenza, che ne resta?
b. Sul piano soggettivo, quel che non funziona la pretesa del diritto
penale di sindacare, attraverso il giudizio sul dolo, sulla colpa, etc., il
foro interno delle persone.
che Hitler, Stalin, Mao e Pol Pot erano dei massacratori di popoli, pur in
assenza di alcun giusto processo.
E tutto si pu contestare a Gaetano Bresci, si pu ben essere contro la
propaganda del fatto in nome della nonviolenza, ma non imputargli di
non aver debitamente accertato la responsabilit di Umberto I negli eccidi
di Bava Beccaris, che si presume iuris et de iure.
In altri termini, consideriamo le corti internazionali di giustizia come
strumenti volti a procedimentalizzare e mitigare il tirannicidio, ferma
restando la legittimit, in linea di astratta teoria, di questultimo.
Per entrare pi
nel dettaglio di
questa delicata
materia,
contrappunteremo un testo francamente irritante, La giustizia dei
vincitori Da Norimberga a Baghdad, di Danilo Zolo, losofo del diritto,
gi demoproletario approdato alne a posizioni oggettivamente
reazionarie.
Zolo muove dichiarandosi un osservatore realistico delle relazioni
internazionali e, su tale base, si fa promotore di una denuncia della
giustizia dei vincitori, che sarebbe iniziata con Norimberga e sarebbe
proseguita no ai Tribunali ad hoc jugoslavi, del Ruanda, etc.
In particolare, Zolo critica lestensione agli individui della soggettivit
internazionale, e conduce una polemica contro lideologia occidentale dei
diritti delluomo, che minerebbe le sovranit statuali e che verrebbe
imposta con la forza a Paesi di cultura diversa, pi attenti ai diritti
collettivi e a relazioni di altro genere che quelle fondate sui diritti
soggettivi e sulla libert negativa.
Per contro, Zolo lamenta che i tribunali ad hoc, espressione della giustizia
dei vincitori, non avrebbero rispettato i principi dellhabeas corpus e del
rule of law, sorando appena per la questione della Corte Penale, che,
non avendo ottenuto la ratica degli U.S.A., non si presta evidentemente
a una tale censura.
Zolo ha buon gioco solo quando denuncia gli orrori della guerra, ma, da
buon realista politico, dovrebbe anche dirci quale sia lalternativa in certi
casi, dato che egli semplicemente irride al pacismo kantiano e
kelseniano, ritenuto di scarso interesse politico e teorico (!), e dato che
egli giustica il terrorismo, ritenendo importante comprenderne le
ragioni, per eliminare il quale non ci sarebbe altra strada che proporre il
suicidio delloccidente cattivo.
Opponiamo quanto segue:
a. E vero che il processo di Norimberga costituisce un esempio di
giustizia dei vincitori, come tale stigmatizzato dallo stesso Kelsen,
ma il suo fondamento di giusticazione consisteva nel fatto che i
processati fossero gli aggressori. E questo un importante
g. Si diceva che Zolo ha buon gioco solo quando denuncia lorrore della
guerra e la facilit con cui gli U.S.A. vi ricorrono, anche sulla base di
legittimazioni teoriche come quella di Ignatie, che dopo aver fornito
una teorizzazione esemplare dei diritti umani e delluniversalizzabilit
C. Droga
D. Prostituzione
dovremmo
denire
prostituzione
comportamento e una data utilit.
qualsiasi
scambio
tra
un
E. Matrimonio egualitario
F. Immigrazione
In materia di immigrazione, i radicali hanno raccolto rme per due
referendum di carattere ampliativo, ma in numero insuciente.
Si tratta certo di materia delicata, nella quale le pulsioni conservatrici e
reazionarie sono non solo vellicate dai vari Matteo Salvini, ma purtroppo
spontanee, e diuse in tutto il mondo. Gli U.S.A. sono da sempre nazione
di immigrati, ma anche da loro si sono aermate politiche restrittive,
almeno no ai recenti provvedimenti di Obama, anche se, come ricorda
David Friedman, ai piedi della Statua della Libert sono da sempre incise
parole immortali di accoglienza al riguardo.
Certo, il buonismo alla Boldrini non aiuta, anzi spesso
controproducente, data anche il tono spesso di supponenza della cattedra
di provenienza. Quel che occorrerebbe fare sarebbe invece piuttosto di
convincerci e convincere che limmigrazione conviene.
Non siamo specialisti
considerazioni:
della
materia,
quindi
ci
limitiamo
due
CONCLUSIONE
Giunti alla ne di questa rassegna, solo poco parole sul futuro dei radicali,
dopo che, dal nostro punto di vista, si gi detto tutto quello che
avevamo da dire, sia in termini di analisi economica, sia in termini di
analisi giuridica (sempre che abbia senso una tale distinzione).
Si gi alluso al recentissimo feeling tra Marco Pannella e Papa
Francesco, o almeno del primo verso il secondo, dato che resta ancora da
vedere quanto questo amore egualitario sia ricambiato.
Alcuni ultimi accenni (proprio su aborto e eutanasia) non lasciano ben
sperare, daltra parte sarebbe folle aspettarsi radicali revirement da parte
di unOrganizzazione millenaria, che normalmente ci mette secoli a
mutare opinione sui temi fondamentali. Basta pensare al ruolo della
donna allinterno della Chiesa, che ancora quello di mille anni fa.
Con ci non si vuole negare che qualche innovazione Francesco la stia
introducendo, trovando anche critici che sono arrivati a dire che se
Pannella si avvicinato al Papa non perch il primo si sia convertito, ma
perch sarebbe il secondo ad essersi secolarizzato (pensiamo ad
Antonio Socci).
Tuttavia, al posto di Pannella, lasceremmo che il Papa segua in libert il
proprio tentativo (che n qui ha dato i suoi frutti pi appariscenti in
materia di giustizia penale), e cercheremmo sbocchi altrove.
A nostro avviso, i radicali dovrebbero ulteriormente laicizzarsi, non il
contrario. In questa societ secolare, se ci si vuole rivolgere alle nuove
generazioni metropolitane (quelle degli happy hour, per intenderci) e
fare concorrenza alla declinante demagogia del Movimento 5 Stelle,
occorre dare di s limmagine, corrispondente a uneettiva identit, di
partito della modernit e della libert individuale, quindi dellantistatalismo a tutto campo.
Per quanto ci riguarda, proporremmo di partire chiedendo labbassamento
della maggiore et a 16 anni: in fondo, il diritto di voto ai diciottenni
risale ormai a quarantanni fa, e quindi, se si considerano i cambiamenti
sociali intervenuti, i tempi appaiono maturi per una simile riforma.