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Fabio Massimo Nicosia

Il nuovo manifesto radicale

Indice

INTRODUZIONE liberale, radicale, anarchico

pag. 3

PARTE PRIMA
PROBLEMI DI STRUTTURA

pag. 9

1.

La storia come lotta di potere Inattualit di Marx

pag. 9

2.

Lidiocrazia

pag. 16

3.

Contabilizzazione dei beni demaniali e rendita di esistenza

pag. 28

4.

La realizzazione di mercato dei beni pubblici

pag. 36

PARTE SECONDA
DIRITTO E POLITICA

pag. 39

1.

Stato di diritto e Preambolo allo Statuto del Partito Radicale

pag. 39

2.

La partecipazione democratica (second best)

pag. 43

3.

I diritti civili

pag. 46

A) Manicomi, carceri, diritto penale, polizia

pag. 46

B) La Corte Penale Internazionale

pag. 49

C) Droga

pag. 53

D) Prostituzione

pag. 54

E) Matrimonio egualitario

pag. 55

F) Immigrazione

pag. 57

G) Eutanasia

pag. 58

CONCLUSIONE

pag. 59

Quale futuro per i radicali

pag. 59

INTRODUZIONE liberale, radicale, anarchico


Radicale termine polisemico e il suo signicato dipende dai diversi contesti politici;
tuttavia, almeno nel quadro storico europeo, si pu forse individuare un denominatore
comune, consistente nel costituire il radicalismo la sinistra, quando non lestrema
sinistra, borghese; e ci prima dellaermarsi delle correnti socialiste, ma anche
dopo, quando i liberali-radicali, soprattutto in Gran Bretagna, si posero il problema del
rapporto con il nuovo emergente movimento, talora collaborando o addirittura
conuendo in esso, come accaduto a molti fabiani, laburisti, o, da noi, al radicale
Filippo Turati, divenuto leader di un socialismo riformista con simpatie anarchiche,
come abbiamo documentato in altra sede.
Di fronte al consolidarsi di un movimento autonomo dei lavoratori, i radicali avevano
dunque tre opzioni, almeno astrattamente: o collocarsi alla loro destra, difendendo
sostanzialmente gli interessi della piccola borghesia; o allearsi con esso, come sovente
avvenuto (si pensi a un personaggio singolare come Charles Bradlaugh), con
battaglie per lestensione del suragio, per la libert di opinione e di associazione, per
la laicit delle istituzioni, per migliori condizioni di lavoro, e altro; ovvero, mano mano
che il movimento socialista si istituzionalizzava ed entrava nei gangli dello Stato,
mantenere la propria vocazione di estrema sinistra istituzionale, e scavalcarli. Il
che, a ben vedere, loperazione condotta da Marco Pannella con i giovani della
sinistra radicale agli inizi degli anni 60 dello scorso secolo, quando egli diceva, del
resto, che lalleanza dei radicali con le espressioni del movimento operaio non andava
intesa come alleanza tra intellettuali borghesi, da una parte, e proletariato dallaltra,
ma come alleanza tutta interna al mondo popolare.
Ma a parte tale possibile scelta pratica, si pu forse dire che, anche sul piano
strettamente ideale, il radicalismo si colloca pi a sinistra di qualsiasi socialismo
possibile. E non dicile individuarne le ragioni. Il socialismo, sia nelle sue versioni
utopiche e anti-stataliste, sia, a maggior ragione, nelle ragurazioni statalistiche, d
lidea di una societ chiusa e precostituita negli esiti, di un punto di arrivo in fondo
immobile, mentre il radicalismo, con la sua connaturata idea di perfettibilit delluomo
e delle sue istituzioni, pi vicino allidea di una societ aperta, dinamica, conittuale,
mai denita nei suoi contorni ultimi. Diciamo quindi che il radicalismo pi
progressista del socialismo, cos come per rimanere in ambito radicale- Gobetti
probabilmente pi progressista di Rosselli.
Pi esattamente, il radicalismo la linea che conduce dal liberalismo allanarchismo.
Ci si comprende meglio se si fa riferimento ai predecessori storici di tale corrente di
pensiero.
I due loni storici principali normalmente ricondotti alla tradizione e alla cultura
radicali sono quello francese e quello anglo-sassone. Per quanto riguarda la Francia,
occorre principalmente far riferimento ai club giacobini di sinistra, anti-statalisti, antimilitaristi e anti-polizieschi. Per quanto riguarda la Gran Bretagna, i primi nomi che

vengono in mente sono quelli dei padri dellutilitarismo, Jeremy Bentham e soprattutto
John Stuart Mill, universalmente deniti radicali dai manuali di storia delle dottrine
politiche, cos come lo erano i loro predecessori Levellers e Diggers, questi ultimi
orientati pi su posizioni di tipo comunistico (della terra).
Per Mill -che ci ha lasciato peraltro pagine denitive sulle libert individuali nel suo
noto saggio On liberty, dettando principi validi in ogni tipo di societ, come antidoto
anche di degenerazioni autoritarie possibili anche in una comunit pretesamente
anarchica (si vedano anche i rischi della democrazia partecipata individuati da
Tocqueville)- lobiettivo della losoa e della politica era di perseguire il massimo
benessere possibile del maggior numero di persone; ma, egli precisava, il maggior
numero di persone immaginabile sono tutti gli individui. Come dire che, a dispetto di
quelle che sono state successivamente individuate come degenerazioni autoritarie
dellutilitarismo, questo in realt, a rigore, persegue il benessere e la felicit di tutti e
di ognuno.
Si comprende subito dove vogliamo arrivare: a Thomas Jeerson. Egli in realt il
primo pensatore compiutamente radicale (che, basta vedere le date, ha preceduto
Mill), secondo il quale, come si ricava dalle sue opere notissime (Dichiarazione
dindipendenza, dichiarazione dei diritti della Virginia, corrispondenza, etc.), il punto
centrale il diritto innato alla ricerca della felicit, con la precisazione,
importantissima, che, per perseguire un tale obiettivo, non occorresse alcun potere
autoritario, paterno o dispotico, ma occorresse garantire a tutti la pi ampia azione in
ogni campo, limitando al massimo le attivit e le interferenze governative.
Sicch pur vero che gli uomini istituiscono governi, ma fan ci per garantirsi il
diritto alla vita, alla libert, e alla felicit, e, se i governi trasgrediscono il loro impegno,
gli uomini possono mutarli e addirittura abolirli.
In termini losoci, dunque, Jeerson coniuga il linguaggio giusnaturalistico dei diritti
di Locke con quello proto-utilitaristico, degli interessi, del benessere e delle passioni, di
uno Hume. Da qui si sviluppa un ulteriore percorso: dallidea che gli uomini possono
abolire il governo che non rispetta i loro diritti e interessi scaturisce lidea che il
governo migliore quello che governa meno (Thomas Paine); e da qui, passo ulteriore,
che il governo migliore quello che non governa aatto, come invocava Henry
Thoreau.
Thoreau a sua volta un radicale. Testatore e proclamatore della disobbedienza
civile, maestro di Gandhi, egli, radicalmente libertario, non deniva s stesso come un
anarchico, perch non chiedeva labolizione immediata del governo, ma si sarebbe
accontentato di un governo migliore, magari non militarista (egli disobbed a una
tassa perch era contro la guerra con il Messico, mentre sperimentava la sua utopia
individualista nei boschi di Walden), fermo restando sullo sfondo lideale nale
anarchista. E accanto a Thoreau vanno ricordati gli anarchici individualisti americani
autoctoni, i Tucker, gli Spooner, i Warren, il cui contributo fondamentale deve ancora
essere pienamente apprezzato, no ad arrivare agli odierni anarco-capitalisti, con tutte
le loro pur feconde contraddizioni.

E del resto si suol dire che anche il primo anarchico, William Godwin, a sua volta
successivo nel tempo a Jeerson, fosse un utilitarista, dato il suo chiaro riferimento al
benessere come obiettivo illuministico della ragione e delle istituzioni sociali.
Se queste sono, secondo noi, le migliori radici del pensiero radicale (ripetesi, linea di
congiunzione che conduce dal liberalismo allanarchia, quale ideale ultimo, forse
irraggiungibile, ma da tenere a mente quantomeno come mito in grado di muovere
allazione, pratica sociale autogestionaria e di separazione individuale e collettiva
nelloggi, sperimentazione di stili di vita alternativi, oltre che teoria anarchica come
fonte di analisi sovente ecace del presente) al quale occorre sempre far riferimento,
val la pena di venire a noi e di analizzare, trascurando i passati giacobini e garibaldini,
come il radicalismo si inverato da noi nei tempi pi recenti.
Non pu a questo punto non farsi riferimento alla gura di Marco Pannella. Uomo di
azione, pi che di dottrina, egli ha unito la tradizione francese con quella americana
del movement e della controcultura, almeno nei metodi oltre che in alcuni contenuti, e
ha proseguito la linea storica tipicamente anglo-francese dellempirismo e del
pragmatismo, teorizzando sempre in funzione delle singole battaglie.
Ma, districandoci tra i suoi innumerevoli discorsi, i suoi scritti di occasione, e i suoi rari
contributi, importanti, teorici (prefazione al libro di Andrea Valcarenghi Underground
a pugno chiuso del 1973 e Preambolo allo Statuto del Partito Radicale del 1980)
possiamo dire che Pannella nasce liberale, diventa strada facendo libertario e
anarchico per tornare nella maturit liberale, e parrebbe uninvoluzione, se non
fosse che Pannella troppo furbo, e forse ci ha buggerato ancora (si veda quanto
diremo a proposito del Preambolo).
Di Pannella, in questa introduzione, resta forse da dire del suo rapporto di odio-amore
con il suo stesso partito. Nella seconda met degli anni 70, sulla scorta delle grandi
battaglie per i diritti civili, il partito radicale era divenuto un piccolo partito di massa, e
alcuni, allinterno del movimento, proponevano una pi solida organizzazione, non gi
da sostituire allincontestabile leadership di Marco, ma per aancarlo, come voleva
Massimo Teodori con il gruppo di Argomenti Radicali, ferma restando la di lui
autonomia nellideare e proseguire le singole battaglie. Pannella non ne ha voluto
sapere e ha sostanzialmente distrutto il partito, sostituendolo con una raccolta di
fedelissimi al suo servizio e seguito, no a fondare, come ha ricordato Piero Ignazi, un
movimento concorrente, i Verdi, invitando i dissidenti a conuirvi. Tuttavia la storia si
ripetuta, non poteva essere altrimenti, e nuovamente si sono riprodotti allinterno del
movimento fermenti di opposizione. Insomma, Pannella non ha mai voluto accettare
lidea di un partito organizzato autonomo, e mentre prima ha risolto il problema con il
pi drastico dei provvedimenti (lelevazione del costo della tessera a livelli
insostenibili, oltre alla soppressione dei partiti regionali, fonte secondo lui di discordia,
mentre altri direbbero di formazione di nuove lites), riducendo radicalmente il numero
degli iscritti (ferma restando la crisi della militanza che ha colpito indistintamente il
mondo della politica dopo la sbornia di partecipazione degli anni 60 e 70), oggi
sostiene che il rimedio ai conitti interni sarebbe viceversa lestensione della presenza
della gente allinterno del partito; certo che con una tessera di centinaia di euro
allanno

Intanto emergevano gli anarco-radicali. A tale proposito, occorre far riferimento a un


numero di Re Nudo, la storica rivista di controcultura diretta da Andrea Valcarenghi,
del 1976 che conteneva, oltre alla pubblicazione della proposta di legge radicale sulla
droga, i risultati di un sondaggio sugli orientamenti politici dei lettori. Ebbene, in pieno
clima marxista o leninista, la maggioranza relativa dei lettori esprimeva un
orientamento politico nella direzione del Partito Radicale. Ma non si tratta solo di
questo. Vediamo i dati separatamente tra uomini e donne.
Tra gli uomini, il 19,7% esprimeva una preferenza per i radicali, solo il 9,8 per LC ad
esempio, mentre gli anarchici erano il 7,8% (comunque tanti). Interessanti anche le
indicazioni doppie o triple: l11,7% indicava la propria preferenza per il PR pi qualcosa
daltro (LC, PDUP e AO), mentre il 5,2% indicava una preferenza congiunta per radicali
e anarchici.
Insomma, sommando preferenze singole, doppie o triple, i radicali erano oltre il 35% di
preferenze, e gli anarchici attorno al 13%.
Ancora pi interessanti i dati per le donne, data lincidenza del movimento femminista.
I radicali da soli avevano anche qui la maggioranza relativa (20%), ma le anarchiche
erano ben il 18,2%.
Ma, si badi, chi indicava sia radicali che anarchici o cani sciolti) erano, tra le donne,
ben il 16,8%.
Come dire che le preferenze radicali, tra le femmine, raccoglievano quasi il 37% e
quelle anarchiche il 35%, naturalmente i dati vanno sovrapposti.
A questo punto chiediamoci: chi erano questi anarco-radicali?
A nostro avviso si trattava di due categorie:
a)
I radicali che non erano completamente appagati dalla politica delle singole
issues sui diritti civili, che pure erano riconducibili a un unico denominatore, la politica
della liberazione del corpo, ma che intendevano collocare questultima in un contesto
pi ampio, in uno sfondo ideale, anche utopico, ma pi complessivo.
b)
Gli anarchici che non condividevano la linea astensionista del movimento
anarchico uciale, e che vedevano nelle iniziative radicali degli inveramenti concreti,
anche se graduali, di una possibile politica libertaria, fermo restando lideale ultimo
anarchico.
Come si vede, queste due posizioni niscono con il sovrapporsi.
C da chiedersi che ne abbiano fatto tutti costoro, e se ad esempio abbiano
condiviso o no la svolta liberista e quasi anarco-capitalista dei radicali degli anni 90,
che ha avuto pregi e difetti
Ma parliamo pure senza reticenze di tale fase storica radicale. Come si diceva, essa ha
avuto luci e ombre che sono le luci e le ombre dellanarco-capitalismo, anche a
prescindere dalle pi recenti involuzioni conservatrici, quando non reazionarie, di
questa corrente di pensiero. Il pregio dellanarco-capitalismo storico sta, a seconda

delle scuole, nella sottolineatura dei diritti individuali o della teoria del mercato come
strumento consensuale di decisione collettiva. Il difetto sta nellindierenza nei
confronti dei pi deboli, che, a nostro avviso, trova soluzione nel considerare la terra,
secondo una prospettiva alla Locke o alla Henry George, come originariamente res
communis, e non come res nullius, con conseguente previsione di un rendita ricardiana
a favore di ciascuno per il fatto stesso dellesistenza, come meglio si illustrer. Infatti,
se i diritti di propriet non costituiscono un presupposto del mercato, ma sono essi
stessi calati nel mercato, ogni apprensione unilaterale comporta una compensazione
a vantaggio di chi resta diminuito nei propri diritti originari sulla Terra.
Del resto anche il fondatore radicale Ernesto Rossi era un liberista, ma voleva, al
contempo, abolire la miseria, come suona il titolo di un suo noto volume. E la grossa
sda di vericare se ci sia possibile in chiave autogestionaria e non statalistica.
Ma non si vuole eludere nemmeno il punto pi controverso e scottante della politica
radicale degli ultimi decenni: la questione del rapporto con Berlusconi e della pur
limitata alleanza di Pannella col Polo delle libert nel 1994. Non si vuole approvare o
giusticare questa scelta, ma comprenderla, e per far ci useremo le parole di uno
studioso non radicale, a sua volta controverso, ma certo non sospetto di essere
destrorso: Toni Negri.
Scriveva Negri subito dopo le elezioni del 94: la destra ha vinto perch ha
interpretato le modicazioni profonde del tessuto produttivo italiano e ha compreso il
ruolo della comunicazione nelle societ contemporanee. Tuttavia, Berlusconi non
la diabolica funzione di unorrida macchina di potere televisivo No, Berlusconi
semplicemente un neoliberale, non un fascista. E la sinistra? La sinistra, prosegue
Negri, non ha compreso la trasformazione italiana e ha continuato a considerare le
corporazioni come tramite di rappresentanza. E poi il colpo nale: Oggi in Italia vi
sono due societ parassitarie; luna la maa, laltra la sinistra, con il suo corredo di
sindacati e di cooperative Ma forse dire questo troppo: la sinistra infatti non ha
neppure la dignit criminale della maa, essa solamente un morto che cammina la
sinistra come un pugile suonato, cammina sonnambulo. Con tutta probabilit, lunica
cosa da fare sgambettare questo zombie. Fin qui Toni Negri.
Si tratta dello stesso genere di argomentazioni che port gli autonomi di Metropoli a
sostenere Reagan contro il democratico Mondale: il liberismo come sede del
comunismo possibile: un approccio si direbbe quasi gobettiano, come si vede, ed del
resto in nome di Gobetti che Franco Piperno, nel 1979, invit gli autonomi a votare
radicale.
Che cosa accomuna lanalisi feroce di Negri con la scelta di allora di Pannella? A nostro
modo di vedere, si tratta soprattutto di due elementi:
a)
Fatto fuori il PSI con Tangentopoli, la piccola ammucchiata della gioiosa
macchina da guerra di Occhetto era la diretta erede della grande ammucchiata
dellunit nazionale del periodo 76-79. E, come noto, allinterno di tale grande
coalizione, la forza che con maggiore fermezza si batteva contro i movimenti e contro
lopposizione parlamentare e referendaria radicale erano i comunisti, individuati dallo

stesso movimento del 77 come maggior nemico e maggiore responsabile della


repressione (vedi vicenda bolognese);
b)
Lindividuazione in Berlusconi di un possibile riformatore liberale, ma questo,
tanto in Negri che in Pannella, stato un errore di sopravvalutazione, dato che (ma
comunque Pannella se n detto tanta volte consapevole) Berlusconi non aveva n la
forza n la cultura per essere davvero un eroe della rivoluzione liberale.
Del resto, subito dopo essersi alleato con i radicali, egli ha cercato subito amici al
centro, il PPI di Buttiglione, mostrandosi immediatamente succube del mondo
cattolico. Vedremo in futuro se le recenti resipiscenze sulle coppie gay, oltre che negli
spot Findus, avranno un seguito anche nella destra italiana, stante la lentezza di Renzi
sul punto, oltre alla sua sordit su tutto il resto delle tematiche dei diritti civili: si pensi
alla questione carceraria, che Pannella vuole portare a livello ONU, alla questione
droga, a quella delleutanasia e tante altre, a tacere dellasttico approccio alle
questioni sociali e delleconomia. Il che dimostra che la necessit di una presenza
radicale e libertaria, anche sul piano culturale, ancora necessaria in questo paese, e
non solo, basti pensare al grande movimento, per quanto possibile nonviolento, degli
studenti di Honk Kong. E noi vogliamo cercare di dare il nostro modesto contributo in
questa
direzione.

PARTE PRIMA
PROBLEMI DI STRUTTURA
1. La storia come lotta di potere Inattualit di Marx
Mentre Tocqueville descriveva lopen society U.S.A., la sua democrazia partecipata,
il suo libero commercio e le sue solide istituzioni, Marx preconizzava limminente
crollo del capitalismo, generalizzando arbitrariamente alcune osservazioni parziali,
dedicando agli U.S.A. (che invece suscitavano lentusiasmo di Bakunin) solo
qualche sporadico cenno.
Com noto, il Manifesto comunista muoveva dallaermazione che la storia
sarebbe sempre lotta di classe. Ora, laermazione pu essere o no valida, a
seconda del concetto di classe che si accolga. Probabilmente, seguendo i principi
dellindividualismo metodologico, occorrerebbe arrivare alla conclusione che le
classi sono innite, essendo innite le pulsioni individuali e gli interessi, sicch
lotta di classe non signicherebbe altro che dinamica sociale, destinata a
risolversi in un sistema di mercato, nel quale ognuno facesse valere quelle pulsioni
e quegli interessi nei confronti degli altri.
Naturalmente, non questa laccezione di classe di Marx. Egli infatti, dopo aver
rapidamente passato in rassegna i rapporti di potere del passato, giunge alla
conclusione che con laermarsi della borghesia le cose sono cambiate, e il
conitto si polarizza, tra i borghesi stessi e il proletariato, nei termini stretti dei
cosiddetti rapporti di produzione. Scrivere la storia, a questo punto, diviene la
descrizione dellevolversi di questi rapporti di produzione, con la previsione che,
concentrandosi il capitale in poche mani e impoverendosi sempre di pi i proletari,
questi a un certo punto matureranno la propria coscienza rivoluzionaria, si
impadroniranno del potere e, abolendo le classi, determineranno lestinzione di
quella sovrastruttura dei rapporti di produzione che lo Stato. A questo punto,
nella fase superiore del comunismo, si uscir dalla preistoria e si entrer nalmente
nella storia, dove ognuno dar secondo le proprie capacit, e ricever secondo i
propri bisogni (questo in realt Marx lo scrive nella Critica al programma di
Gotha).
C qualcosa, anzi molto, che non funziona in questo arrivano i nostri. Anzitutto la
questione dei rapporti di produzione, che costituirebbero la struttura, laddove
tutto ci che giuridico, politico, ideale, culturale, artistico, etc., rientrerebbe nella
sovrastruttura.
Si noti, sia detto di passata, che ad esempio Gramsci include nella struttura molte
delle vicende che per Marx sarebbero sovrastruttura, nendo con il rendere
pleonastica la distinzione.

Ma per quel che a noi pi interessa, va detto che Marx entra in contraddizione con
s stesso in almeno due momenti fondamentali: nella fase della nascita del
capitalismo, e in quella della sua ne.
Nel momento della nascita (Marx si riferisce sostanzialmente allInghilterra, ma
parla, al capitolo XXIV del Libro I del Capitale, di accumulazione originaria,
sicch dobbiamo ritenere che il suo sia un approccio losoco generale), il losofo
di Treviri riconosce che il fenomeno dovuto sostanzialmente a vicende politicogiuridiche, rappresentate dal fenomeno delle enclosures, le arbitrarie chiusure e
privatizzazioni forzose di fondi comuni, nonch dalle feroci leggi sul
vagabondaggio e sulla mendicit, che, come ha ricordato anche Foucault nella
Storia della follia, creavano mano dopera a inmo prezzo, pronta a essere
sfruttata dal nascente capitalismo. In altri termini, persone che mai si sarebbero
sognate di andare a lavorare in fabbriche infami e indegne, a ritmi di lavoro da
schiavi, hanno accettato ci, non gi per una libera scelta di mercato, non gi
quindi per ragioni squisitamente economiche, ma perch costrette da una legge
dello Stato, che impediva loro scelte di vita alternative, a pena della morte, del
marchio, della mutilazione, etc.
Altrettanto incorre in contraddizione Marx (e altrettanto Lenin), a proposito della
ne del capitalismo, a sua volta non frutto della naturale evoluzione del medesimo,
ma come frutto di un formidabile atto collettivo politico e di forza, come appunto la
rivoluzione. Le cose non cambiano se al posto della rivoluzione si pongono, come fa
lultimo Engels, le riforme dallalto, che sono pur sempre un fatto politico e
giuridico, dunque di forza, e non gi un fatto prettamente economico, avente a
che fare con i rapporti di produzione in s medesimi considerati.
Daltra parte, ritenere la primazia delleconomico, alla luce delle pi recenti
acquisizioni della scienza economica stessa, vuol dire tutto ma non vuol dire nulla,
dato che, da Lionel Robbins in poi, per economia non si ritiene altro che
lallocazione di risorse scarse in vista del perseguimento dei propri obiettivi. Ma la
prima delle risorse scarse, a parte il tempo, lenergia umana, la sua forza; quindi
se questa oggetto di valutazione economica in tale accezione, la distinzione
perde di peso e di pregnante signicato. E Gary Becker ha mostrato che tale
metodo economico pu applicarsi a qualunque genere di attivit umana, non solo
a quelle della produzione di beni e servizi, nellaccezione tradizionalmente oggetto
delleconomia: alla pena, alla famiglia, alla tossicodipendenza, etc.
V poi la questione del denaro. Secondo Marx, mentre il commerciante medievale
produceva merce per venderla al mercato, ricavare denaro e comprare nuova
merce (M-D-M), il capitalista moderno investe denaro per vendere merce e
acquisire nuovo denaro (D-M-D). Ma allora, vien da chiedersi, che cosa se ne fa il
capitalista di questo denaro accumulato? Se compra altra merce, la distinzione con
il mercante medievale viene meno. Si dir che il capitalista moderno investe in
capitale sso (macchinari), o che pi in generale lo accumula. Ma, ancora, che cosa
gli serve a questo punto accumulare tanto denaro senza investirlo? Perch alcuni
accumulano migliaia di miliardi, che non potrebbero spendere mai, nemmeno

comprando decine di ville o di arei personali, solo per apparire nelle classiche di
Forbes?
Evidentemente perch il denaro d potere e prestigio, il denaro abbondantissimo
d carisma anche se non lo si spende, anzi, soprattutto se non lo si spende. Ecco
allora che, a questo punto, il denaro non ne come in D-M-D, ma comunque
mezzo, anche se non mezzo per acquisire ulteriori beni materiali, ma mezzo per
acquisire potere sociale. Il denaro, quando molto, a sua volta una species del
genus potere.
E ancora: mentre Jevons, Menger e Walras elaboravano le nuove teorie marginaliste
e soggettivistiche del valore, divenute la nuova e denitiva ortodossia, Marx ancora
si baloccava con la metasica del valore-lavoro, scrivendo migliaia di pagine, oggi
del tutto inutili, di derivazione ricardiana. La circostanza non a sua volta
irrilevante ai ni del nostro argomento. Infatti, Marx ricavava dalla teoria del valorelavoro la dottrina del plus-valore (gi esposta da Proudhon in altri e pi persuasivi
termini, nella congurazione del diritto di albinaggio, tributo che il proprietario
impone al non proprietario, impossessandosi del surplus proveniente dalla capacit
combinatoria dellorganizzazione operaia: si pensi al famoso esempio delloperaio
che in duecento ore non pu sollevare un obelisco, mentre duecento operai lo
fanno in un ora, argomento interessante che non tiene per conto dellautonoma
attivit di coordinamento dellimprenditore, che in qualche modo dovr pure essere
compensata), e quindi dello sfruttamento.
Ma lo sfruttamento non consegue al mero atto di un libero contratto di lavoro sul
mercato, che fosse stipulato sulla base di eettive preferenze del lavoratore in una
situazione nella quale egli fosse libero di scegliere (il che non avveniva certo in
situazione di accumulazione originaria, come si visto), ma consegue appunto al
fatto che il lavoratore stato autoritariamente deprivato dallo Stato e dal potere
dei suoi diritti originari sulla terra, che lo costringono ad accettare dal punto di
vista interno un sistema a lui estraneo.
Non solo. Marx preconizzava il crollo del capitalismo sulla base di una teoria delle
concentrazioni di capitale del tutto erronea alla luce dellesperienza storica e della
pi moderna analisi economica.
Come ricorda David Friedman, si distinguono normalmente tre tipi di monopolio: il
monopolio naturale, quello articiale e quello di Stato, che egli considera quello di
gran lunga pi importante.
Quanto al primo, rileviamo quanto segue:
a. Il monopolio naturale non un proprium del capitalismo, ma tale in ogni tipo
di societ: lautostrada del sole sarebbe monopolista del suo percorso in
anarchia, nel socialismo, nel comunismo, etc.;
b. A volte un monopolio naturale tale solo per arretratezza tecnologica o
giuridica: ad esempio, le ferrovie, un tempo considerate monopolio naturale,
sono oggi oggetto di una disciplina giuridica per la quale la linea ferroviaria

scorporata dal servizio, sicch questultimo pu essere reso da imprese in


concorrenza;
c. Un monopolio naturale pu essere dato in appalto con aste per aree omogenee,
sicch viene instaurata una pur imperfetta competizione anche in tale ambito;
d. Quandanche le ferrovie, per stare allesempio, costituissero un monopolio
naturale, esse non sarebbero un monopolio tout court, dato che patirebbero
comunque la concorrenza delle automobili, degli aerei, etc., nellambito della
cosiddetta concorrenza intersettoriale, che istituto sempre operante, quale
che sia il settore di riferimento.
Quanto al monopolio articiale, che quello al quale a ben vedere fa pi
riferimento Marx (concentrazione di capitale come frutto dellevoluzione spontanea
del capitalismo) Friedman invoca a proprio sostegno le parole di uno storiografo
socialista, Gabriel Kolko. Secondo Kolko, alla ne dellottocento gli uomini daari
erano convinti che il futuro fosse nelle mani della grande dimensione come nella
creazione di cartelli, ma si sbagliavano. Le grandi organizzazioni nate per
controllare i mercati e ridurre i costi si sono rivelate quasi sempre dei fallimenti,
mentre i concorrenti di piccole dimensioni si rivelavano pi ecienti e pi capaci di
produrre protti. E cos, mentre si ritiene comunemente che le commissioni di
controllo tipo antitrust siano nate per fermare i monopoli, esse hanno avuto la
funzione storicamente opposta, di essere invocate dai monopolisti per arginare la
concorrenza. Senza il supporto dello Stato, i grandi trust non si sarebbero quindi
venuti a formare, o almeno a consolidare. Quanto ai cartelli, occorre poi dire che
essi sono intrinsecamente instabili, perch ciascun partecipante ha interesse a
defezionare allaccordo e a stabilire condizioni concorrenziali rispetto ai partners.
Per quel che riguarda poi i monopoli di Stato, Friedman ricorda lesempio del
servizio postale negli U.S.A., fa una rassegna dei privilegi corporativi legati alla
necessaria iscrizione agli albi professionali, ma sembra sottovalutare quello che
invece per noi oggi il pi rilevante tipo di monopolio di derivazione statuale,
quello riconducibile, in chiave moderna, alle gi concessioni regie: brevetti,
copyright e marchi.
Di solito gli avversari del capitalismo si avventano contro tali istituti, non
avvedendosi che essi sono istituti squisitamente statalisti, dato che nel libero
mercato nessuno avrebbe la forza di imporre, con la forza appunto, monopoli su
idee, su invenzioni, su progetti o disegni (si vedano in proposito le preveggenti
osservazioni di Benjamin Tucker).
Ora, sullerronea base della natura di tendenziale concentrazione del capitale, Marx
prevedeva che i ceti proletari si sarebbero progressivamente immiseriti, ma ci si
rivelato errato alla luce dellesperienza dei fatti.
Il revisionismo, quello anarchico di Francesco Saverio Merlino prima, e quello di
derivazione marxista di Eduard Bernstein poi, ha dimostrato che questo polarizzarsi
di classi non corrispondeva alla realt storica, dato il raorzarsi rapido dei ceti
intermedi (piccoli proprietari agrari, piccoli commercianti, miglioramento delle
condizioni operaie, etc.). Il fatto che ci possa essere stato il frutto di determinate

politiche non fa venir meno la critica, dato che il profeta Marx avrebbe potuto
anche prevedere che, a fronte di un impoverimento generalizzato ci sarebbe
potuto essere una reazione di lenimento delle condizioni del proletariato, cos come
noi oggi prevediamo che, a fronte della disoccupazione crescente provocata
dallautomazione, assisteremo a nuove politiche di protezione, del tipo di quelle
che noi illustreremo parlando nei prossimi capitoli della rendita di esistenza.
Un'altra incomprensione di Marx sui meccanismi autonomi del capitalismo, altro
esempio della sua incapacit analitica di discernere ci che mercato da ci che
Stato, riguarda la dottrina delle crisi ricorrenti, che sarebbe intrinseca alle
modalit di funzionamento del sistema capitalistico. Anche a tale proposito sono
emerse teorie che hanno falsicato (per quanto, come sostiene Feyerabend, una
teoria non mai falsicata denitivamente) quella dottrina. Ci riferiamo alla teoria
austriaca del ciclo economico, elaborata da von Mises e dalla scuola austriaca,
secondo la quale le crisi cicliche sarebbero dovute a vicende relative allespansione
e alla successiva contrazione del credito, con il susseguirsi di alterazioni dei tassi di
interesse con conseguenti eetti distorsivi nella produzione.
Ora, non entriamo nel dettaglio di questa discussione tecnica, n condividiamo le
conclusioni della scuola austriaca in ordine alla necessit, che ha a sua volta
carattere monopolistico od oligopolistico, del gold standard (la famosa goldmania
degli austriaci). Che il credito si espanda, direbbe Montesquieu, nella natura
della cosa. Se io verso 1 euro in un conto corrente divento creditore di 1 euro dalla
banca. Se la banca presta quelleuro a Mario diviene a sua volta creditrice di 1 euro
da Mario, sicch dalleuro iniziale, ne abbiamo ora 3! Ma quel che ci interessa
rilevare, ai nostri ni, che la teoria austriaca del ciclo mette in luce come le crisi,
le depressioni, le recessioni, siano glie di una vicenda monetaria: ma la moneta
nel nostro sistema non un istituto di mercato, ma un monopolio statuale.
Tutte le vicende del credito sono frutto perci di unamministrazione discrezionale
della moneta, e non hanno nulla a che vedere con il mercato e la concorrenza. Ci
al di l di ogni giudizio di valore. Ossia, si potr anche sostenere che la moneta sia
inevitabilmente un istituto di Stato (il che non crediamo, basti pensare ai bitcoin),
ma limportante saperne trarre le
conseguenze. Mentre Marx confonde
sistematicamente lelemento Stato con quello mercato, come si detto; mentre
laddove il capitalismo fosse stato n dallorigine un anarco-capitalismo (come
sembra a volte dalla lettura di Marx), il che non mai stato, allo stesso si sarebbe
aancato sin dallorigine un anarco-sindacalismo, non godendo i capitalisti della
protezione dellapparato statale, e la storia sarebbe stata sin dallorigine diversa.
Alla comprensione di ci ostava la convinzione di Marx che lo Stato, sotto il
capitalismo, rappresentasse nulla di pi che il comitato daari della borghesia,
sfuggendogli totalmente il carattere autonomo della dimensione statuale, il che ha
contribuito anche a non fargli prevedere le degenerazioni burocratiche della
cosiddetta dittatura del proletariato, dallintegrale nazionalizzazione dei beni di
produzione, previste invece da Bakunin, il quale aveva ben compreso come la
concentrazione nelle stesse mani del potere politico e del potere economico
avrebbe dato vita alla pi feroce delle tirannie (80 milioni di morti in due tra

U.R.S.S. e Cina Popolare di Mao), poi ben analizzate da Bruno Rizzi, Cornelius
Castoriadis e Ignazio Silone.
Altre considerazioni sullinadeguatezza della formuletta struttura/sovrastruttura e
sulla presunta primazia logica dei rapporti di produzione su quelli giuridici e politici.
Si pensi allistituto contrattuale: il contratto istituto universale, di tutte le epoche,
si ritrova nei Veda come nellantico Testamento, come del resto la propriet privata,
e nessuno pu dire che si tratti di una mera sovrastruttura del capitalismo. Anche
nel comunismo pi libertario ci saranno contratti, dato che le persone, anche
vigendo il motto da ciascuno secondo le sue capacit, a ciascuno secondo i suoi
bisogni (che fu coniato ben prima di Marx), saranno sempre libere di concordare
prestazioni di qualunque tipo tra di loro.
Lo stesso vale per donazioni e atti di cortesia, previsti dal codice civile, e valide in
ogni epoca e in ogni struttura sociale. Si pensi poi alla questione del diritto
delleredit, che per Marx era questione marginale, mentre invece occupa tanto
spazio nellanalisi, pur da versanti opposti, in Tocqueville e in Bakunin.
Che poi i rapporti di produzione e il mero potere economico non costituiscano
sempre la molla dellazione umana dimostrata dallarte e dalla cultura. Nessuno
potrebbe sostenere, ad esempio, che Dante ha scritto la Divina Commedia per
diventare ricco, semmai per avere prestigio, reputazione, a loro volta suscettibili di
analisi economica secondo il modello Gary Becker, ma che non hanno nulla a che
fare con i rapporti di produzione.
Ma che cos oggi un mezzo di produzione? Una mente, un telefono, un computer,
che non si negano a nessuno (anche se le menti possono dierire per capacit),
mentre il grande capitale si giova del supporto statale, attraverso le concessioni di
monopoli, i brevetti, i copyright, le politiche di ricostruzione bellica, le grandi opere
pubbliche, tutti istituti statalistici, che non hanno nulla a che fare con il mercato
correttamente inteso, come vedremo trattando dellidiocrazia
E poi ancora il femminismo: i marxisti pi evoluti riconoscono che il femminismo ha
rappresentato una contraddizione nuova rispetto alla contraddizione economica
fondamentale, ma si tratta di un approccio insuciente; basti pensare che
ladulterio femminile stato penalizzato in pressoch tutte le culture no a tempi
recenti, indipendentemente dai rapporti di produzione concretamente inveratisi
nelle diverse fasi storiche. Quellistituto aveva dunque un fondamento ideale,
culturale, religioso, nel costume, nel sentimento, forse nella biologia, almeno come
intesa sino a poco tempo fa, ma evidentemente non, o non abbastanza, nei
rapporti di produzione.
Riassumendo, emergono i sette errori fondamentali, i sette peccati capitali della
teoria sociale marxiana, peraltro tutti riconducibili a una erronea valutazione e
sottovalutazione del ruolo dello Stato, del potere e del diritto nel consesso sociale.
Non ci soermiamo qui sullaspetto pi trivialmente messianico della sua dottrina,
quello deterministico e nalistico, che stato da pi parti evidenziato, ma ci
limitiamo agli aspetti che pretenderebbero maggiore statuto scientico, e che forse
popperianamente ne hanno, se vero che sono stati falsicati dallesperienza (ma

in realt non solo dallesperienza, ma anche dal mero confronto di teorie, secondo
un modello gi evidenziato da Feyerabend).
a. Erronea attribuzione di centralit allaspetto economico del possesso dei
mezzi di produzione, come fonte fondamentale delle contraddizioni sociali,
ignorando che tale possesso solo una species del genus dominio, e quindi
ignoranza della centralit del potere e della lotta di potere come fattore
strutturale fondamentale della storia e della societ;
b. Erronea analisi in ordine alla prospettiva di un accentramento in poche mani dei
fattori di produzione come eetto dello sviluppo monopolistico del capitalismo,
ignorando che, quando un tale eetto si d, ci frutto dellinterferenza
statuale e del diritto, e non mai della concorrenza in s considerata. Marx,
invero, non pare mai in grado di fornire una visione analitica del fenomeno
capitalismo che sia in grado di depurare questo dalla contestuale presenza
dello Stato come giocatore autonomo, in condizione di inquinare quello che
sarebbe landamento di un mercato che fosse eettivamente, come si denuncia
erratamente, lasciato a s stesso;
c. Erronea congurazione delle cosiddette crisi periodiche, a loro volta considerate
frutto dello sviluppo spontaneo del capitalismo, ignorandosi che esse sono
conseguenze di uttuazioni del credito in regime di monopolio discrezionale
della moneta, quindi esterno a quello che si vorrebbe fosse, secondo Marx e i
classici, il capitalismo;
d. Erronea previsione in ordine allimminente crollo del capitalismo, che sarebbe
frutto inevitabile dellimpoverimento del proletariato e conseguente sua
ribellione. Del resto Marx riteneva che laermarsi del macchinismo avrebbe
reso gli operai semplici bruti esecutori, laddove noi oggi intravvediamo che
lautomazione condurr puramente e semplicemente allabolizione del concetto
stesso di lavoro salariato;
e. Mancata previsione della circostanza che lauspicata dittatura del proletariato
non avrebbe condotto allestinzione dello Stato, ma al raorzamento dello
stesso, dando vita alla pi micidiale delle oppressioni di classe conosciute,
quella della societ burocratica (Castoriadis) dellU.R.S.S. e della Repubblica
Popolare Cinese di Mao. Anche qui si tratta della mancanza di capacit di analisi
su come funziona uno Stato; e non si dica che ci frutto dellepoca, perch
nello stesso tempo un Bakunin comprendeva esattamente prevedere che cosa
sarebbe avvenuto;
f.

Erroneit della teoria metasica del valore-lavoro, ampiamente superata,


vivente Marx, dal nuovo paradigma marginalista e soggettivista, con
conseguente erroneit della dottrina del plus-valore e dei fondamenti
dellistituto dello sfruttamento;

g. Inadeguatezza della teoria della moneta, ancorata alla visione scontata del suo
carattere di monopolio statale, quando Menger gi ne illustrava il carattere di
scaturigine spontanea e di mercato. Ed singolare che un critico del capitalismo
come Marx non si avvedesse che listituto cardine del capitalismo, la moneta

appunto, non fosse a sua volta nellattualit un frutto del capitalismo e del
mercato, ma si trattasse di unistituzione monopolistica della trascurata
istituzione Stato.

2. Lidiocrazia

Va a questo punto precisato che non coglie nel segno la diusa polemica ostile
al mercato, svolta da certi anticapitalisti , che agitano in proposito lusurata
formula del neo-liberismo o del liberismo selvaggio. E infatti banale, ma
non superuo, ribadire che il capitalismo che conosciamo e non certo da oggi
- ha ben poco a che fare con il modello del mercato imperturbato, e che oggi, il
selvaggio tuttaltro che un liberismo sano. Si tratta infatti di un fenomeno in
gran parte orito allombra dello Stato o degli organismi internazionali
superstatuali -sicch, se i no-global attaccano tali organismi, essi fanno
inconsapevolmente una battaglia liberista-. alla cui incessante azione, di
regolazione o di intervento diretto, si devono gran parte degli arricchimenti e
deglimpoverimenti conosciuti nella modernit, cos come si deve alla decisione
pubblica dello Stato lassegnazione preliminare dei diritti di propriet e in
genere dei titoli legali. Non solo. Come vedremo di qui a poco, il fenomeno ha
assunto in tempi recenti la consistenza di una nuova forma idiocratica
dellarticolazione stessa del pubblico potere in un forse inedito intreccio col
grande capitale, monstrum privatistico e appunto capitalistico, che ricorda
per taluni aspetti il modello feudale, e in parte quello canonico, peggiorati dalla
sporcatura aziendalistica e dai laminati plastici, metafora di unarchitettura
scadente quale quella dei palazzi in cui operano le relative attivit.
Uneclatante conferma si ricava dal testo di un insider del sistema di
edicazione del cosiddetto capitalismo globale che alla luce della descrizione si
rivela piuttosto un nuovo genus di capitalismo assistito- ad opera
dellimpero . Lautore descrive un impressionante intreccio -che egli denisce
corporatocrazia, dalla radice dellinglese corporation, societ per azioni, per
quanto sia ravvisabile unanit con le letture pi stataliste del corporativismo
fascista -, tra poteri dello Stato, istituzioni internazionali come la Banca
Mondiale , imprese petrolifere, dellenergia elettrica, delle infrastrutture e
delledilizia, societ di consulenza e revisione, collegate tanto al governo quanto
alle corporations, e governi locali corrotti e dittatoriali, soprattutto quando
fornitori di petrolio, ma non solo. Il tutto volto ad arricchire, attraverso le
commesse e gli appalti pubblici, le imprese stesse e i governanti, a scapito delle
popolazioni locali. Queste vengono infatti indotte artatamente allindebitamento
per realizzare grandi opere pubbliche, inutili e spesso dannose, e comunque
sovradimensionate da stime di fabbisogno di comodo, con il pretesto della
promessa di un rapido sviluppo tecnologico dei loro paesi, s da vincolarli altres
a politiche internazionali subordinate rispetto a quella del governo U.S.A.. Con
laggiunta che gli esponenti di tale governo sono stati spesso personalmente

coinvolti, come nel caso dei Bush, in quelle operazioni speculative, in un


conitto di interessi di proporzioni colossali.
Se ne ricava che, contrariamente a quanto si ritiene comunemente, la dottrina
economica che presiede a tale fenomeno non quella cosiddetta liberista, ma
allopposto quella keynesiana , fondata sullattiva e decisiva iniziativa statale, in
una sorta di neo-mercantilismo di guerra, che non ha nulla a che vedere col
mercato correttamente inteso, considerando che le devastazioni sono
altrettante occasioni di ricostruzioni, e quindi di appalti di opere pubbliche di
immani dimensioni e di dimensione transnazionale, secondo la consueta logica
keynesiana, ispirata al modello del Monello di Charlot: prima devasto e poi
ricostruisco.
Sulla base di tali elementi, il caso di riettere ancora sulle forme che lo Stato
viene
assumendo
nella
contemporaneit,
del
suo
procedere
per
privatizzazioni del tutto ttizie, o meglio, che tali sono, ma al di fuori di un
sistema di mercato; privatizzazioni, il cui scopo solo quello di distribuire il
potere per lotti integrati, e sottrarre le relative operazioni al controllo (parlando
ancora degli U.S.A.) del Congresso e in genere alle veriche di legittimit; sicch
persino le multinazionali appaiono oggi, certo non espressione di liberismo,
come credono i critici di sinistra pi ingenui, ma articolazioni transnazionali e
formalmente privatistiche, e quindi (ecco il trucco) libere, della nuova formaStato e della sua azione di rapina e spoliazione.
Il punto cruciale che la depredazione viene favorita dalla forma privatistica,
per misticatorie ragioni di diritto positivo, articiosamente ispirate a una
sistematica tradizionale, del tutto inadeguata alla nuova situazione. Sicch
viene consentito allo pseudo-privato ci che a unistituzione pubblica, almeno
in parte imbrigliata dal principio di legalit proprio dello Stato di diritto, oltre che
soggetta al giudizio dellopinione pubblica, non verrebbe consentito. Anche se
occorre riconoscere che talora dottrina e giurisprudenza, almeno in Europa,
hanno cercato di porre un freno a tale funesta deriva, sia pure tra
contraddizioni, conseguenti allidiosincrasia anglo-sassone per la scienza del
diritto amministrativo, della quale Albert Dicey costituisce la pi nota
espressione.
Se, in un contesto di monopolio nella produzione giuridica, latto del potere
pubblico viene ricostruito, come sempre pi spesso si tende a prospettare, nei
termini dellatto di diritto privato, ci troviamo innanzi a una grave misticazione,
data lassenza totale di concorrenza nel quadro in cui viene adottato. Lungi dal
rappresentare un passaggio dal monopolio, proprio del diritto pubblico, al
sistema del mercato, saremmo di fronte a una regressione verso lo Stato
patrimoniale, con perdita secca delle garanzie che il diritto pubblico classico
impone allattivit del pubblico potere.
Il problema dei fautori delle garanzie del costituzionalismo liberale non allora,
come sembra si sia destinati a fare, introdurre il diritto privato nellattivit dello
Stato (altra cosa sarebbe assoggettare lo Stato ai principi civilistici), ma,
semmai, esattamente allopposto, introdurre il diritto pubblico nellattivit dei

monopoli e oligopoli privati che quello Stato stanno progressivamente


sostituendo, in nome di un anarco-capitalismo del tutto malinteso.
Solo supercialmente, quindi, un libertario, o anche un marxista, dovrebbero
gioire per quelli che, inquadrati storicamente, potrebbero rivelarsi come solo
apparenti passi nella direzione dellestinzione dello Stato, come labbiamo
conosciuto nella modernit, inteso come apparato separato dal resto della
societ. Dato che occorre sempre guardarsi da quelli che paiono progressi della
storia che, alla prova dei fatti, si rivelano sonori passi indietro. Ad esempio, si
consideri che un atto di diritto privato, contrariamente a un atto di diritto
pubblico, pu essere annullato solo per errore, dolo e violenza, e non pu essere
sindacato nei motivi e nei ni.
Il deciso dislocamento dellattivit statuale, o gi statuale, nellarea del diritto
privato determina poi unaltra conseguenza paradossale: lattrazione dellatto
del potere nellambito dellattivit puramente politica e non giuridicata. Latto
politico condivide con latto di diritto privato lesser libero nel ne: lintera
attivit politica, pre-costituzionale e pre-amministrativa, si svolge del resto con
strumenti privatistici, e forse addirittura pre-privatistici, ossia non
giuridicamente rilevanti.
Daltra parte, di tutte le teorie classiche e moderne dello Stato attribuire allo
stesso una fondazione privatistica, quale il contratto sociale, sia esso quello di
di Hobbes o di Rawls, ovvero una convenzione spontanea e consuetudinaria alla
Hume, o, per certi versi, alla Nozick.
Nella politica della modernit, si procede a sua volta privatisticamente,
attraverso patti e convenzioni tra politici e partiti (patto del Nazareno), prima
ancora che tra istituzioni, salvo che, a dierenza di quanto avviene nel mercato,
i relativi atti sono opachi, in quanto appartenenti agli arcana imperii, ove la
trasparenza auspicata dal diritto pubblico non perviene.
Si detto che tale processo storico, secondo cui il diritto pubblico trova
sostituzione tendenziale nel diritto privato, ha una formula politica non uciale
in alcune correnti di pensiero che, a nostro modo di vedere, hanno usurpato
letichetta anarco-capitalista; ma si tratta appunto di una misticazione, perch
dellanarco-capitalismo manca lelemento fondante, che la concorrenza e il
mercato. Non ci stupiremmo un giorno di trovarci di fronte a un Parlamento
s.p.a. e a un Governo s.r.l., senza che il monopolio del potere ne risulti
minimamente intaccato; esso risulterebbe anzi addirittura consolidato, per il
recedere dei momenti di partecipazione dei cittadini alle decisioni collettive.
Qualcuno preda di facili entusiasmi asserirebbe che si tratterebbe comunque di
una situazione senza Stato, ma il passaggio dai marmi e dai graniti, ai
laminati plastici e al vetro-resina, non muta la sostanza, ma solo la parvenza.
Ma, forse la cosa sorprender di pi, tale tendenza trova un precedente anche in
alcune teorizzazioni leniniane, come quando il leader della rivoluzione russa
immaginava di ridurre tutta lattivit statale a semplici operazioni di
registrazione, discrizione, di controllo, da poter essere compiute da tutti i
cittadini con un minimo di istruzione e per un normale salario da operai . E

ancora: Riduciamo i funzionari dello Stato alla funzione di semplici esecutori


dei nostri incarichi, alla funzione di sorveglianti e di contabili, modestamente
retribuiti, responsabili e revocabili .
Senonch, tanto lattivit statuale viene resa semplice, vincolata ed esecutiva,
quanto le scelte di fondo politiche, quelle che riguardano la risoluzione dei
conitti tra interessi, venivano privatizzate, in quanto adate allinsindacabile
decisionismo del Partito dei lavoratori, cos come avviene ed avvenuto da noi
con la partitocrazia. Il massimo tentativo di attuazione pratica di simili principi
si ebbe, come noto, con la Costituzione cinese del 1975, con la quale, in nome
di una travisata e strumentale lettura della teoria marxiana dellestinzione dello
Stato, si facevano tendenzialmente deperire i residui di Stato di diritto, per porre
le istituzioni pubbliche totalmente al servizio del dominio del privato Partito
Comunista. Sicch, in base a tale ordine di idee, dovremmo forse ritenere che lo
Stato comunista, leninista, maoista e post-maoista, sia non autoritativo, in
quanto i suoi atti siano o vincolati, o frutto di soggetti formalmente privati, posti
a monte di quello Stato?
E vero invece che, se le parole hanno un senso non orwelliano, pu essere
considerato non autoritativo solo latto che, in circostanze simili, potrebbe
essere adottato da qualunque altro soggetto del mercato, in regime di
reciprocit.
Chiediamoci invece che cosa accadrebbe se il monopolio di diritto, di diritto
pubblico, fosse sostituito da un monopolio di diritto, ma di diritto privato. I suoi
momenti coercitivi sarebbero liberi da impacci, ma verrebbe meno ogni
legittimazione a quel monopolio, se vero che, come riconosce lo stesso
Nozick, solo la superiore qualit delle sue procedure, rispetto agli ipotetici
concorrenti, potrebbe in ipotesi giusticare il monopolio stesso.
Un monopolio di diritto di diritto privato sarebbe piuttosto lequivalente di una
propriet di dimensione nazionale, sicch, per stabilire se un proprietario
nazionale sia o no preferibile rispetto a uno Stato costituzionale, dovremmo
confrontare i rispettivi poteri sulla base dei principi. Ad esempio, il proprietario
privato potrebbe anzitutto discriminare nelle proprie scelte, sicch non varrebbe
il precetto ex art. 3 della Costituzione repubblicana. N varrebbe lart. 97,
perch, per i privati, il principio di buona amministrazione trova sanzione solo
attraverso listituto del fallimento, ma non prevede di norma la
funzionalizzazione dellimpresa, il suo assoggettamento a criteri giuridicamente
vincolanti di buona amministrazione momento dopo momento.
Eppure gli atti del proprietario sarebbero comunque autoritativi, in quanto atti
non soggetti alla concorrenza, ma di un monopolista di diritto, e tuttavia
insindacabili come non lo fossero. Il proprietario, vero, potrebbe dotarsi delle
stesse regole di uno Stato costituzionale, ma ci farebbe a suo esclusivo
piacimento, non tenuto a ci da alcuna regola di partecipazione alle decisioni da
parte degli individui non proprietari che stazionano nella sua propriet. I quali
sarebbero quindi totalmente in balia delle decisioni, qualicate dai plaudatores
libere e autonome, del proprietario.

In denitiva, privatizzare lo Stato, ma contro e senza la libera concorrenza,


semplicemente non conviene dal punto di vista della libert individuale, oltre a
consentire sonori passi indietro rispetto allordinamento costituzionale liberaldemocratico.
Alla luce di quanto sopra, come denire pi tecnicamente quella
corporatocrazia? E il caso di riprendere, anche con intento satirico, lo spunto
di Hanna Arendt, che ci ricorda come, per gli antichi greci, una vita spesa
nellesperienza privata di ci che proprio (idion), fuori dal mondo comune,
idiota per denizione . Sicch possiamo noi ora parlare, per contrassegnare
questo sistema di privati, che ambiscono a farsi potere pubblico o a
ereditarne lo scettro con la menzogna, di idiocrazia . A dire il vero, se idiota
chi si fa i fatti propri, ancora pi idiota chi molesta: lidiocrate si caratterizza
per il fatto tanto di farsi i fatti propri, quanto per molestare gli altri, attraverso il
controllo del monopolio della forza. Unidiocrazia aziendalistica, se vero che
lambizione di siatto sistema di parcellizzare, destrutturare apparentemente,
per ristrutturare il potere, organandolo per aziende che hanno introiettato il
principio burocratico in nome del celebrato management , diondendo tra
detti soggetti quella sovranit, che levaporazione dellelemento territoriale
classico vuole rendere adespota. Sicch disponiamo oggi di privati, che
concentrano, sia pure ripartendoselo, il monopolio della forza del resto, non
solo il governo, ma anche la produzione richiede forza sica - e pretendono
appartenenza necessaria (si pensi alle varie casse di previdenza), che
pretendono di riscuotere importi unilateralmente, quasi si ritenessero investite
di chiss quale irrinunciabile funzione; societ che rilasciano certicazioni
indispensabili per legge o che dispensano sanzioni amministrative, e si
impongono transterritorialmente, secondo un malinteso concetto di
decentramento ; ma anche di privati che esercitano una supremazia di fatto
sul territorio, esercitando diritti di supercie o servit, concessi loro da
amministrazioni, ormai autospoliatesi di quasi ogni potere, che gestiscono
secondo modelli di controllo sociale improntati alluso delle tecnologie
(videocamere, etc.), sovente ispirati allignobile ideale delle gabbie
giustapposte. Fondi-pensione e aziende capitalistiche che lucrano sul silenzioassenso per incamerare i soldi dei lavoratori; per non parlare della Banca
dItalia, oggetto di un tecnicamente penoso, misticatorio e abietto tentativo di
contrabbandarla per privata eppure certo non fallisce, n va in liquidazione
coatta amministrativa-, ente, organismo di diritto pubblico in quanto esercita
poteri autoritativi e sovrani sulle banche e su quanto residua del mercato, e che
tuttavia, in un grottesco conitto dinteressi, dominato dalle banche stesse,
essendo Bankitalia di propriet dei pi forti tra glistituti di credito! Oligopolisti
protetti, e padroni del proprio controllore! Il tutto gabellato per
partecipazione, o magari democrazia economica, come si diceva una volta:
prodotti malati della fantasia al potere, con uno scopo ben preciso: sottrarsi
allimpaccio della legittimit.
Se lo Stato nazionale, in un siatto contesto, non ancora assorbito dalla forma
esteriore privatistica, ci si deve fondamentalmente a due fattori: a) le imprese
in forma societaria multinazionale capitalistico-idiocratiche non risultano ancora

dotate di un loro proprio fondamento di legittimazione adeguato e persuasivo


per la massa dei cittadini, dato che non sarebbe attualmente proponibile uno
Stato-Coca-cola, o uno Stato Microsoft; b) Lo Stato appare a costoro tuttora
estremamente utile per dar vita incessantemente a una normativa di favore nei
loro confronti, rinforzando le loro posizioni monopolistiche od oligopolistiche
invertendo il trend della tradizione social-democratica-, verosimilmente no al
momento in cui tale opera sia ritenuta completata.
Diversamente da quanto auspicava Marx, pertanto, non stiamo assistendo a uno
sviluppo a pieno ritmo di un capitalismo che, in preda delle proprie
contraddizioni, si auto-estingue e con s estingue lo Stato, ma a un imprevisto
fenomeno di organica osmosi tra quel capitalismo -forte di istituti di tradizione
statalistica quali il brevetto, il copyright, il marchio e in genere il monopolio
protetto dal cosiddetto diritto industriale (intellectual property), che in realt
diritto pubblico coercitivo, risalente almeno allepoca della concessione dei
feudi, dei munera e delle cariche nobiliari pi parassitarie- e lo Stato stesso. Di
tal che lestinzione di questultimo non condurrebbe a una fase pi alta e
spiritualmente elevata dello sviluppo umano, ma a un deciso passo indietro
nella direzione del dominio di classe e delluomo sulluomo da parte di un ceto
avido, incolto e spregiudicato (i cosiddetti top managers economico-nanziari,
appunto, e i loro sodali politici, cointeressenti, se non, spesso, coincidenti),
avallato dal fondamento di legittimazione dello Stato e dello stato precedenti e,
quindi, dalla stessa inerzia della popolazione nei confronti del consolidarsi di
questi fenomeni: dato che il sistema di credenze popolari a munire i fenomeni
stessi dei processi, loro indispensabili, di ristrutturazione della legittimazione.
Tipico di siatta idiocrazia laver mutuato, come in un processo di osmosi, il
peggio della burocrazia storica come la conosciamo, nonch tutte le sue
inecienze. Basta fare la coda da un MCDonald o in un supermercato per
rendercene conto; costantemente ci vengono opposti regolamenti
inderogabili, come nemmeno capita ormai pi con la burocrazia pubblica. Ad
esempio, una volta in un MCDonald ci hanno riutato un bicchiere dacqua, in
quanto non previsto dal regolamento; a volte sembra che, nel ricambio
generazionale, tra public sector e idiocrazia vi sia stata addirittura unosmosi,
oltre che di mentalit -talora addirittura in peggio, dato il precipitare delle
condizioni della nostra scuola pubblica e privata-, anche di management, o di
precari e di personale avventizio. In alcuni supermercati, dopo essere stati
costretti a prestazioni lavorative gratuite del tutto estranee alla fattispecie
contrattuale, e terminato la coda alla cassa, ti chiedono di fare unaltra coda,
quella per vidimare il biglietto del parking! Di tal che vien quasi lidea di
sviluppare il discorso di Widar Cesarini Sforza sul diritto pubblico dei privati,
per congurare una nuova categoria, quella dellatto amministrativo privato,
che, in teoria, non sarebbe altro da una proposta contrattuale ex art. 1341 o
1342 c.c., oltretutto soggetta al canone interpretatio contra stipulatorem; ma
che viene vissuto dagli operatori, ma purtroppo anche dallutenza e dalla
clientela, come fonte di imperativi di fatto, giuridicamente del tutto insussistenti
e privi di alcuna vincolativit, la cui implementazione adata a personale
improvvisato e impreparato.

Val la pena di sottolineare un altro aspetto particolare, rilevante dal punto di


vista tecnico-giuridico: tutti gli agenti dellidiocrazia, con i quali noi entriamo
quotidianamente in contatto, al di l delle pompose qualiche funzionali delle
quali si rivestono nel linguaggio cosiddetto manageriale (businnes manager,
market manager, commercial marketing, preferred clients, principal, e altre
dizioni pretenziose ed enfatiche), sono solo commessi dellimprenditore ai
sensi dellart. 2210 c.c. Essi sono infatti privi di alcun potere di trattativa, non
essendo titolari, ai sensi dellart. 2211 c.c., di alcun potere di derogare alle
condizioni generali di contratto, ssate dallimprenditore, ove esistente: di
imprenditore non per davvero il caso di parlare, trattandosi di struttura
interamente organizzata in forma burocratica. Quello con il quale entriamo
giorno dopo giorno in relazione, quindi appunto solo un apparato burocratico,
meramente esecutivo di ordini di un alto, altrettanto burocratico e
impersonale, che noi non conosciamo e non vedremo mai, se non forse in
televisione, con il quale non abbiamo diritto di parola e di trattativa
contrattuale, giacch nemmeno il capo-reparto di un supermercato o di un
McDonald dispone del potere di derogare alle condizioni pressate della
proposta di prezzo e delle altre condizioni del rapporto, sempre ai sensi dellart.
2211 c.c.
Tale privata idiocrazia, nei rapporti con il pubblico, ha dunque introiettato il
peggio della mentalit burocratica (il dottore fuori stanza tanto nel
pubblico, quanto nel privato), forse addirittura oltre quanto lo stesso Stato, nel
caso italiano, impregnato talora dellanticorpo della cultura meridionale, che
ha in uggia il legalismo esasperato e formalistico ne a s stesso, abbia fatto in
passato. Il che non esclude certo che sempre vi siano state brutalit e pestaggi,
tuttora diusi, da parte delle polizie. Ma si coglie, in quellatteggiamento
meridionale, una certa inuenza dellipocrisia farisaica, volta a non prendere
del tutto sul serio il diritto scritto, ammiccando alla contestuale vigenza di
consuetudini contra o praeter legem che vorrebbero apparire talora pi
bonarie, laddove nellidiocrazia si coglie una componente pi marcatamente
sadducea, ammantata da malinteso ecientismo un che di ben diverso dalla
nozione economica di ecienza- alla ragiunatt milanese, e non detto che nel
cambio ci si guadagni, dato che, allapparente ammorbidimento consuetudinario
della rigidit normativa del cosiddetto Stato di diritto, lidiocrazia ha fatto
propria unidolatria della legge, accompagnata da consuetudini interpretative
addirittura pi restrittive del testo normativo stesso, conformato proprio in
modo da poterle consentire senza prevedere rimedi adeguati allinterno del
sistema stesso.
Diciamo che, rispetto alla fase ammantata di formalismo statuale, lidiocrazia
un potere che ha gettato quasi del tutto la maschera, sicch dove non arriva la
norma scritta, giunge la mano armata della prassi. Lidiocrazia rappresenta
perci una sorta di fase suprema della burocrazia, tutta incentrata com sulla
valorizzazione di elementi organizzatorii ni a s stessi tutti interni allazienda,
mutuando le tipiche modalit indierenti al risultato garantito dalle
provvidenze pubbliche- della mentalit burocratica, negando il carattere proprio,
comunemente attribuito al settore privato, che dovrebbe essere quello di

mostrare attitudine a soddisfare le aspettative del mercato e i bisogni dei


consumatori. Ci si chieder allora come aziende siatte riescano a sopravvivere,
visto che disprezzano clienti e potenziali clienti (banche che riutano lapertura
di conti correnti, nanziarie che riutano nanziamenti di poche migliaia di euro
a clienti con centinaia di migliaia di euro nel conto corrente), le cui esigenze
sono loro indierenti, ma la risposta la si gi fornita, e cio che non di mercato
si tratta, ma di tanti monopoli e oligopoli coercitivi, giustapposti e integrati, di
fatto mantenuti dalla redistribuzione del denaro pubblico da parte del potere
politico, che opera alle loro dipendenze, quando non si tratta addirittura delle
stesse persone, come avviene platealmente in Italia, negli U.S.A., con le grandi
famiglie presidenziali, e in Russia, con lamico Putin, accolita di aaristi,
annidati allo snodo dei vertici pubblico-privati del sistema.
Sulla mentalit burocratica e idiocratica andrebbe sviluppato uno studio, del
tipo di quello diretto da Adorno sulla personalit autoritaria, per denunciare la
propensione di alcuni, attaccati -evidentemente eredi degli antichi sadducei-,
nemmeno tanto alla lettera della norma, quanto a una sua accezione asttica,
come si visto. E ancor pi dattualit sarebbe oggi uno studio sulla mentalit
idiocratica, nella quale conuiscono il peggio di quella pubblica e il peggio di
quella privata: si pensi allapproccio di alcune telefoniste aziendali, che, quando
chiami, ti chiedono sempre: Lei di che societ ?, quasi che un privato, per
esser tale, debba per forza appartenere a una qualche s.p.a.; no al punto che
qualcuno ha sostenuto che un essere individuale non sarebbe mai un privato
in quanto tale (ad esempio non lo sarebbe un dipendente pubblico), ma che per
assurgere a privato occorrerebbe appunto costituirsi in s.p.a., ossia in un
ordinamento burocratico, almeno per come concepito oggi nella pratica!
E il sistema idiocratico prosegue nella sua velleit di tutto pervasivamente
controllare, attraverso la schiavit di una mediocre tecnologia: carte di credito
che registrano ogni nostro personalissimo acquisto, telecomandi con decine di
tasti, di cui solo tre o quattro utili; telefoni cellulari pieni di comandi superui,
che informano di ogni nostro movimento e segnalano il nostro espatrio, Fidaty
Card che registrano il contenuto della nostra spesa e vendono, non si sa a chi,
il nostro prolo di consumatore, in barba a ogni ridicola normativa sulla
privacy (mi mette una rmtta per la praivasi?). E DVD che, dopo essere stati
inseriti, ti chiedono ancora se vuoi vedere il lm.
Lo stesso principio della polizia privata, una volta aziendalizzata secondo il
modello idiocratico, quindi in assenza di reale concorrenza tra glinteressi
contrapposti, ha perduto gran parte della propria attrattiva, giacch lesperienza
che se ne avuta n qui che il poliziotto privato nisce con il risultare
esecutore di ordini, appunto aziendali, senza nemmeno quella sensibilit
latamente politica che lo forze dellordine dello Stato liberale talora hanno
saputo dimostrare in qualche momento del lontano passato nel dirimere
controversie e nel prevenire, con buon senso, sia pure con un eccesso di
paternalismo, i conitti pi irragionevoli, come almeno suggerisce il personaggio
interpretato da Vittorio De Sica, maresciallo dei carabinieri in Pane, amore e
fantasia.

E molto anarco-capitalismo e i suoi cascami hanno imboccato la mesta parabola


di munire di giusticazione teorica siatte impressionanti innovazioni,
involuzioni dintelligenza (non a caso letimologia ci ha suggerito uno sferzante
idiocrazia), come si visto, oligopolistiche e collusive, pessime oltretutto sotto
il prolo della dottrina.
Quanto ne siamo lontani! E dire che, se anarchici classici e no global sbagliano
oggi diagnosi sulla descritta natura dellimperialismo delle multinazionali, che
vanno ormai appunto qualicate nei termini del depositario e adatario di
quote coercitive di sovranit, gli anarco-capitalisti sembravano poter indicare
orizzonti ben pi appetibili, pur non vedendo tutta la verit, allorch non
comprendevano che un sistema di mercato svincolato dalla protezione e
promozione statale, quale essi hanno sempre dichiarato di auspicare, avrebbe
portato a conseguenze rivoluzionarie che essi stessi non mostravano di
immaginare, e che forse non avrebbero nemmeno gradito: quellanarcocapitalismo plus dixit quam voluit , e tuttavia diceva.
In denitiva, lidiocrazia di cui sopra abbiamo parlato rappresenta solo una
fase suprema e pi sosticata, nellincontro statalismo-capitalismo
monopolistico-socialdemocrazia, di un modello antico, riconducibile almeno in
parte alla compravendita delle cariche e dei munera, vicende che peraltro non
prevedevano il completo assorbimento delle istituzioni pubbliche nel concetto di
azienda privata come oggi goamente ci viene propinato dal gergo massmediale, malamente attinto da frettolose letture di teoria dellorganizzazione .
Lart. 2210 c.c. si attaglia perfettamente allidiocrazia e al suo punto di
implosione, consistente nellevaporazione della gura imprenditoriale, sostituita
da una gerarchia funzionariale intra-aziendale che non risponde a nessuno,
stante la non necessit, per attivit sostanzialmente assistite dalla nanza
pubblica e dalla legislazione di privilegio, di fornire servizi ecienti, dato il
recedere dellinteresse del consumatore in attivit dal carattere spesso
emulativo e vessatorio nei suoi confronti.
Il venir meno della gura imprenditoriale nellidiocrazia determina la sua
inecienza, con conseguente schiavit del consumatore, che lavora gratis per il
supermercato da quando raccoglie la merce dagli scaali a quando la introduce
nei sacchetti o che deve andare a ritirarsi il decoder perch lazienda ha altro
da fare e si vede che non ama acquisire clientela, dato che si paga per visionare
ogni singolo lm, e senza decoder non si pu guardare il lm e quindi pagare.
Un sistema pianicato a tavolino da strateghi e managers sulla base di
mediocri nozioni di psicologia aziendale e del consumatore, elaborate in
brieng, in brainstorming, la cui intelligenza e vivacit fa il paio con quella
degli organi collegiali delle scuole e delle asl, di impianto quindi e ispirazione
burocratica e legalista molto pi di quanto si ritenga comunemente (i pareri
dei legali sono molto richiesti, per essere e sentirsi a posto), da parte di
soggetti nei quali lo stimolo dellutile fondato sulla soddisfazione del
consumatore del tutto assente.

I prezzi dei beni e dei servizi, in questo quadro, non hanno valore di
corrispettivo, ma di mera riscossione nalizzata al controllo individuale e
sociale, dato che il potere e la ricchezza degli azionisti, di facciata od occulti,
deriva sempre dalla virtualit nanziaria, mai dallutile dimpresa, del resto
invericabile, data linaccessibilit dei bilanci reali, sempre che anche questi
siano redatti in modo intelligente, e il carattere ttizio, anche per lassoluta
opinabilit di molte poste e cespiti, come nel caso della valutazione dei beni
immobili, di quelli uciali e resi pubblici, o i cui presupposti siano elaborati
attraverso due-diligence del tutto approssimative.
Lidiocrazia ribalta il luogo comune della teoria economica della sovranit delle
preferenze del consumatore, dato che il di lei atteggiamento nei confronti del
cliente non dissimile da quello del vecchio apparato burocratico stataleministeriale nei confronti del suddito e poi dellutente: di disinteresse, in
nome di una supremazia, che non ha nulla a che vedere con la capacit di
acquisire consenso in un sistema concorrenziale.
La forma-burocrazia, di cui espressione lidiocrazia della decadenza
capitalistica, ha attinto quindi dai modi comportamentali del pubblico
impiego, dalle inecienze della relativa sindacatocrazia (bench le inecienze
nel pubblico impiego non sono un mala quia mala, dato che possono
rappresentare, in qualche caso, dei boicottaggi dallinterno), e da certe modalit
organizzatrici proprie delle organizzazioni collaterali del PCI degli anni 70, il
tutto condito dalla scadente teorica e retorica del managerismo, avviata da
noi dal fenomeno, negli anni 80, del rampantismo, storicamente associato al
PSI di Craxi e Martelli, al di l delle eettive responsabilit individuali -che port
per a un compenetrarsi pubblico-privato culturalmente pi intenso di quanto
non lasciasse prevedere il sistema IRI-partecipazioni statali-enti pubblici
autarchici, prima fascista e poi democristiano-, per poi sfociare nel plebeo mito
pseudo-ecientista del berlusconiano venditore porta a porta di polizze
assicurative e nanziarie, dallimbonitore televisivo dei vari Aiazzone e
Grappeggia, del mobile moderno o antico in legno massello ed
estremamente valido, e nella pianicazione urbanistica convenzionata e
contrattata di dislocazione nel territorio dei relativi capannoni (PIP, quasi
interi comuni destinati a zone industriali D, etc.), che trovano una prima vivace
caratterizzazione e ricostruzione anche teorica nel personaggio del brianzolo
venditore di divani Lillo del simpatico attore comico lombardo di Luino (quindi
quasi svizzero) Massimo Boldi (vien zue a trovarmi).
In quel punto di implosione si viene a determinare lintersezione con laltro
elemento portante del sistema idiocratico, ossia la sua compenetrazione
strutturale, quindi anche sica, di quelle attivit con beni demaniali e pubblici,
con devoluzioni di quote di potere sovrano attraverso il monopolio della moneta,
resa articialmente risorsa scarsa e limitata attorno alla quale competere
laddove si tratta, in quanto virtuale, di risorsa intrinsecamente inesauribile- con
il meccanismo delle cosiddette concessioni di servizio pubblico che sono in
primo luogo concessioni di poteri autoritativi-, con la conseguenza che la
proposta di contabilizzazione nei bilanci degli enti pubblici territoriali del valore
di stima di mercato (metodo Lange) di quei beni e di quei servizi, taglierebbe

lerba sotto i piedi di quel sistema idiocratico, che si nutre esattamente


dellappropriazione esclusiva di quel valore, che non risulta n dai bilanci
pubblici, n da quelli privati aziendali.
Questi privati, infatti, si giovano dellimponente valore economico di quei
beni, di quel suolo, di quelle concessioni in esclusiva della titolarit di servizi e
di poteri, che quindi vengono sottratti alla generalit degli individui, con una
perdita secca, dato che il trasferimento di ricchezza e di risorse dalla collettivit
al soggetto privilegiato non viene evidenziato n politicamente, n
giuridicamente, o almeno non contabilmente, non consentendo al cittadino
comune di acquisire la consapevolezza che il suo impoverimento non frutto di
spontanei e naturali meccanismi di mercato, ma di scelte politicoamministrative che tengono celato quel trasferimento forzoso di potere e di
ricchezza, spacciato per scelta pubblica ed eettuata a tutela di interessi
pubblici del tutto indeterminati e imprecisati, come nel caso delle
cartolarizzazioni immobiliari.
Sicch il protto dell'idiocrate si fonda sistematicamente sulla legislazione
coercitiva, sull'obbligo di stipulare contratti di assicurazione, sull'obbligo di
versare importi a titolo "previdenziale", sull'obbligo di adesione a questa o
quella corporazione, sull'obbligo di acquistare caschi di protezione, cinture di
sicurezza, giubbotti catarifrangenti, sedie a cinque piedi invece che a quattro,
su obblighi di manutenzione periodica, sull'obbligo di ristrutturazione di impianti
elettrici, in assenza di che -data la mancata previsione del reddito di esistenza,
conseguente all'occultamento delle ricchezze comuni- intere categorie non
saprebbero come guadagnarsi da vivere, stante l'assenza di una domanda di
mercato in tutti quei settori.
A tale fenomeno si accompagna una devastazione culturale e delle idee, dato
che i soggetti che si locupletano attraverso luso forzoso della mano pubblica,
fanno ci ammantati dellideologia e della formula politica liberista e delle
privatizzazioni, sicch chi ne denuncia il carattere trualdino si espone alla
facile contraccusa di statalismo, laddove al contrario palese che gli
statalisti sono esattamente coloro i quali, costituiti in cartello idiocratico
attorno alla sovranit, utilizzano gli strumenti formali e di coercizione materiale
per acquisire e, in questo senso s, privatizzare, risorse che sono
originariamente comuni, sovrapponendo abusivamente lidea che una risorsa
comune sia statale, e che quindi sia statalista chi rivendica il carattere
comune della risorsa sottratta ed impossessata unilateralmente dai soggetti in
grado di accedere agli strumenti propri della coercizione statale.
Si direbbe perci che siamo innanzi a un gioco delle tre carte, a un cambiare le
carte in tavola di portata storica, che ha indotto in errore anche i critici di
sinistra, convinti davvero di essere in lotta contro un sistema capitalistico e
di mercato, nel quale per lelemento capitalistico totalmente assente, dato
che lidiocrate non rischia mai capitale proprio in vista della produzione di un
protto sulla base del consenso dei consumatori; in realt non rischia nulla, se
non di soccombere nella competizione in senso lato politica, ivi compresa
leventualit che il popolo dei consumatori smascheri limbroglio,

determinando, con il venir meno alla radice del consenso al sistema, il suo crollo
e appunto la sua implosione.
Tale prospettiva risulta del resto agevolata dallattuale assetto dei poteri, una
volta individuato il bandolo della matassa dellintreccio pubblico-privato
nellistituto concessorio beni-servizi, e guadagnata consapevolezza collettiva e il
conseguente favorevole rapporto di forza.
Il carattere formalmente privatistico dei soggetti egemoni nellidiocrazia rende
agevole, sul piano tecnico e teorico, lobiezione che costoro non possono
sensatamente e legittimamente rivendicare esclusive e appartenenza
necessaria, pena lincorrenza nellistituto dellabuso di posizione dominante, a
dir poco, data lirrazionalit della pretesa che ne determina ipso facto la nullit
(voidness), conseguenza del resto implicita nello stesso istituto, che ha
consacrato lilliceit continentale dello ius abutendi. E il fatto che i beni
demaniali siano rimasti pubblici e non siano stati mai privatizzati, se non
nelluso ma in vari casi vale listituto dellaccessione con riferimento alle
costruzioni accessorie e pertinenziali-, rappresenta un vantaggio, dato che ci
consente di procedere alla mera contabilizzazione loro e dei servizi dagli stessi
consentiti (strade e autostrade, anzitutto, ma anche coste, lidi, spiagge,
demanio idrico, il cielo, sulla base del principio per il quale la propriet si
estende usque ad sidera et inferos, e quindi il sottosuolo, cave, torbiere,
miniere, e ancor pi in profondit, etc.), senza la necessit di ricorrere a
complesse e politicamente delicate procedure e operazioni espropriative -se non
con riferimento ai beni degli enti ecclesiastici, salvo approfondimento della
natura giuridica del loro possesso da parte di quegli enti alla luce del concordato
e del trattato con la Santa sede-, dato che si tratta di beni gi ab origine
nazionali, che non richiedono alcuna ulteriore nazionalizzazione, ma solo
latto formale del loro riconoscimento, della loro individuazione e della loro
contabilizzazione.
Una volta private del supporto nanziario virtuale in esclusiva, delluso del bene
demaniale e dei privilegi normativi costitutivi di monopoli e riserve, le aziende
capisaldo del sistema idiocratico (istituti di credito, societ di assicurazione, enti
di assistenza e previdenza pubblici e privati, sistema dei mass-media radiotelevisivi, sistema integrato della sanit pubblico-privata, caso tipico in cui
lintervento pubblico massimizza i protti privati, produzioni assistite dalla
legislazione vincolistica e di obbligo di rifornimento, etc.), semplicemente si
aoscerebbero, dissolvendosi nel mercato aperto, avviando quel processo di
transizione dalla fuoriuscita dellistituto burocratico-aziendale, del quale
abbiamo parlato in passato, soprattutto alla luce del primo elemento, il
superamento dellesclusiva nella monetarit virtuale e la diusione universale di
questa.
Con la generalizzazione della virtualit monetaria (rendita di esistenza, libero
conio) verrebbero inoltre meno tutti i parassitari passaggi della liera
commerciale imposti solo dalla necessit di giusticare redditi e rendite
monopolistiche, dato che i soggetti coinvolti sarebbero liberati dal legame a
situazioni lavorative prive di signicato imprenditoriale, che, per giusticare

articiose distribuzioni di denaro, incrementano dolosamente i costi di


transazione e vivi -invece che ridurre quelli naturali o inevitabili, date sicit e
dimensione spazio-temporale, come sarebbe tipico dellessenza di una funzione
imprenditoriale vera e propria-, con la conseguenza che oggi, ad esempio, bibite
che sono poco pi di una spruzzata dacqua, zucchero e colorante costano
lequivalente di migliaia di lire, invece che pochi centesimi, o di essere distribuiti
gratuitamente al consumatore!
Una volta ravvisata la superuit e il carattere meramente emulativo delle
aziende protette dalla legislazione e dalla nanza amministrata e riassorbite
queste nel mercato, o comunque venutone meno il carattere privilegiato in caso
di servizi eettivamente utili, i loro beni, ove non siano immediatamente
riutilizzabili sulla base dei principi civilistici, potrebbero costituire oggetto di una
procedura espropriativa trilaterale ai sensi della legge del 1865, che consente il
trasferimento della titolarit di un bene, non allo Stato questo il contributo
innovativo della nostra proposta di transizione rispetto a quella marxiana, ma
a terzi, e quindi in favore di societ o di cooperative, non in mano pubblicastatale, ma delle quali ogni cittadino sia titolare di unazione, o di una quota
negoziabile, di pari valore, determinando, con la socializzazione di quei beni, il
loro adamento a un eettivo mercato paritario e in equilibrio ogni singolo
individuo sarebbe, come detto, titolare di una pari quota-, e non a un mercato
ttizio, come avvenuto nel caso di dismissioni e cartolarizzazioni nel
quindicennio che abbiamo alle spalle, dai provvedimenti Amato del 1992 a
quelli Tremonti della legislatura 2001-2006, approccio che per non appare
ancora tramontato.
In denitiva, una nota di ottimismo va per accennata. Lidiocrazia, insistendo
sul proprio carattere privato, scava sotto i propri piedi, perch nessuno tenuto
a rapporti con privati, che possono essere solo volontari. Alla luce di tale
considerazione, siamo pronti a una rivalutazione del fenomeno, se scopriremo
che in realt sia il frutto di una strategia particolarmente acuta di estinzione
dello Stato, che richiede solo una fase di passaggio di sacricio -cos come il
fascismo, sulla spinta della propria sinistra (anche di matrice anarcosindacalista) tendeva alla devoluzione delle funzioni statuali a una quantit di
soggetti, i corpi e gli enti autarchici, che, nella prospettiva, avrebbe potuto
essere a sua volta considerata una strategia di estinzione dello Stato-. In tal
caso, ma solo in tal caso, chapeaux!

3. Contabilizzazione dei beni demaniali e rendita di esistenza

Occorre muovere da un apparente assioma: la Terra originariamente di tutti e


non di nessuno, res communis e non res nullius. Perch si tratta di un assioma
solo apparente? Perch in realt si tratta del corollario di un ragionamento
articolato.

Il punto di partenza, elementare, che le parole di A, i suoi comportamenti, non


sono in grado da soli di costituire obblighi giuridici in capo a B. Ne deriva che le
apprensioni unilaterali di porzioni di territorio non sono in grado di costituire, in
assenza di consenso, idonea propriet. Ne deriva ancora che, in assenza di
consenso, dette appropriazioni comportino un compenso in favore dei non
proprietari. Ovvero, che un consenso debba comportare una qualche
compensazione, in assenza di che il non proprietario non pu ritenersi vincolato
a rispettare la propriet altrui.
In conclusione di tale ragionamento si ricava appunto che la Terra comunione
di tutti, almeno originariamente. E, come si vede, il fondamento di tale
conclusione , a dispetto di quello che si potrebbe pensare, libertario e
individualista.
Questa la base logica-teorica della rendita di esistenza. La rendita di esistenza
quellistituto per il quale un cittadino, per il solo fatto di esistere, essendo
comunque comunista in senso civilistico dei beni della Terra, ha diritto a una
rendita ricardiana sulla propria quota di mondo.
Per Ricardo, infatti, Rendita la parte del prodotto della terra corrisposta al
proprietario quale compenso delluso dei poteri originari e indistruttibili del
suolo ; e poich, nel geo-comunismo originario, tutti sono comproprietari pro
quota del suolo, quella rendita spetta a tutti in egual misura, quale compenso
per le attivit di chi su quel suolo le pratica. In sostanza, si tratterebbe di
individuare il valore di mercato del complesso degli usi attuali del mondo e, su
tale base, calcolare quotidianamente (attraverso una vera e propria borsa) il
valore della nuda propriet, dividendo il valore complessivo per il numero degli
abitanti della Terra. Ognuno sarebbe proprietario di una quota di mondo, e tale
quota, uguale per tutti, avrebbe un valore costantemente aggiornato. I
possessori di terra sarebbero tenuti a versare la propria quota in proporzione al
valore di mercato del bene particolare posseduto, che del resto provvista
monetaria sottratta alla comunit.
A nostro avviso, come avr modo di argomentare oltre, non si tratta di un
istituto statalistico (come lo il reddito di cittadinanza previsto in molti Paesi
dEuropa), tuttavia non v dubbio che, in una fase di transizione, dello stesso
debba farsi carico lo Stato. Si oppone di solito a tale genere di proposte che lo
Stato non avrebbe fondi sucienti per far fronte a un simile dispendio di costi.
Ma si tratta di una misticazione, come illustrer.
Ma vediamo prima la ragione storico-politico dellistituto che si viene
proponendo. Si dice che, in conseguenza dei processi di automazione in corso,
ad esempio negli Stati Uniti, nei prossimi anni, il 47% dei posti di lavoro verr
sostituito dalle macchine; si pensi che sono gi in fase avanzata di studi gli aerei
senza pilota. Infatti ci non vale solo per i lavori manuali o di basso livello, ma
anche per le professioni intellettuali, che trovano in Internet un grande
strumento di concorrenza. Possiamo cio immaginare un futuro senza giudici e
senza avvocati, senza commercialisti e senza consulenti del lavoro, e ben pochi

ne sentirebbero la mancanza. E magari la guerra la farebbero i robot tra di loro,


se ai droni di attacco si aancheranno i droni di difesa.
Sicch tutte le invocazioni a difesa del posto del lavoro, alla lotta contro la
disoccupazione, appaiono ormai fuori tempo e reazionarie, come reazionarie da
moltissimo tempo appaiono le politiche sindacali, tutte tese a difendere unetica
del lavoro, perniciosa e oramai senza ragion dessere, come argomentarono, in
tempi assai lontani Paul Lafargue e Bertrand Russel, con le loro apologie
dellozio. Del tutto illusorie appaiono perci le aermazioni di alcuni, secondo le
quali il mercato, una volta persi i posti di lavoro, ne creerebbe di nuovi. A parte
il fatto che non necessariamente ne creerebbe per chi il lavoro lha perso, ci
poteva forse valere una volta, ma non oggi, dato che oggi, e sempre di pi in
futuro, assistiamo a una rivoluzione strutturale nella direzione del sempre meno
lavoro, e questo francamente non mi sembra un male, se entriamo nellordine di
idee di scindere concettualmente reddito da lavoro. Quello che conta che
le persone abbiano di che vivere, non che abbiano di che lavorare, magari in
aziende decotte, intasando strade, facendo i pendolari, inquinando,
intristendosi, e chi pi ne ha pi ne metta. Ovvero realizzando opere pubbliche
keynesiane dannose, come le inutilissime ma costosissime rotonde che, negli
anni scorsi, hanno invaso le nostre citt.
Ma, si diceva, non ci sarebbero le risorse per raggiungere un simile risultato. A
parte il fatto che lo Stato sociale burocratico che oggi conosciamo
estremamente costoso, ma ha anche il difetto di essere selettivo e autoritario,
ed tutto da vedere che sia meno costoso dellipotesi di una rendita di
esistenza universale ed eguale per tutti, come dicevo, lidea che lo Stato sia
povero costituisce un inganno storico. Si tratta di un esempio di quelli che, gi
nel XIX secolo, Amilcare Puviani chiamava occultamenti di ricchezza.
Gi nel 1896, infatti, Antonio Labriola scriveva che, con levoluzione storica, lo
Stato dovuto divenire una potenza economica, in particolare nella diretta
propriet del demanio, oltre che nella razzia, nella preda, nellimposizione
bellica . Si trattava delleredit dello Stato patrimoniale, di quelli che gi per A.
Smith erano i beni di sua propriet per il sostentamento del principe, oltre che
per gli spostamenti delle truppe.
Oggi questo demanio sterminato, ma, questo il punto, non viene
contabilizzato, oltretutto in ispregio al principio di veridicit del bilancio:
strade e autostrade, porti e aeroporti, impianti energetici, beni storici e artistici,
coste, acque territoriali, umi, laghi, risorse naturali degli enti locali, miniere,
cave, armamenti, strade ferrate, letere, che viene dato in concessione alle
emittenti televisive per scarso corrispettivo, cos come le coste vengono
privatizzate con concessioni novantanovennali per pochi denari. E poi
nemmeno le corpose riserve auree (da noi 2.500 tonnellate) vengono
contabilizzate.
Eppure tutti dicono che lo Stato povero, che ha un immane decit di
bilancio, una voragine di debiti, che non ha di che spendere: eppure
stranamente, quando la politica vuole, lo fa.

Questi beni incarnano il potere sovrano, sono gli strumenti della supremazia,
quelli che fanno di uno Stato uno Stato: per lo Stato sarebbe anche povero.
Come ci sia possibile merita una spiegazione, perch avr anche una
spiegazione il fatto che lo Stato rivendica il monopolio monetario, ma anche
unimposizione scale elevatissima, pur senza averne bisogno, alla quale
corrispondono servizi a volte modesti, a volte faraonici.
Vige in proposito una prassi, che se vi fosse consapevolezza verrebbe ridotta a
trucchetto contabile: il valore di quei cespiti non iscritto nel bilancio dello
Stato! Lo Stato ricchissimo e non lo sa, o nge di non saperlo e non vuole che
si sappia. Si comporta come un miliardario che possiede otto ville, il quale
vantasse la propria povert, perch delle ville vedesse solo i costi di
manutenzione.
Lart. 2424 c.c. impone che i cespiti immobiliari siano iscritti in bilancio
allattivo, ma lo Stato non applica a s il codice civile, il diritto reale
attraverso il quale istituzionalmente si pratica lo ius abutendi, e quindi non
iscrive quei beni, perch non li tratta da ricchezze quali sono, ma da oneri, da
un lato, e da immateriale scettro mistico, dallaltro. Ma la tendenza evolutiva
dellordinamento giuridico va nel senso di applicare anche allo Stato i principi
civilistici, sicch quei pretesti non convincono pi.
In base a quale ordine di idee razionale, una societ privata iscrive in bilancio il
valore di un terreno, e quel valore dovrebbe volatilizzarsi, una volta che il
terreno fosse espropriato da una pubblica amministrazione? Il valore destimo
resta evidentemente lo stesso.
Se tutti i beni suddetti fossero iscritti a valore di mercato nel bilancio dello
Stato, questo andrebbe immediatamente allattivo, e cesserebbe la litania della
voragine dei conti pubblici, che giusticherebbe lalta tassazione, oltre al
chiacchiericcio televisivo e alle stucchevoli controversie con lUnione europea.
Portando il bilancio allattivo, quei valori diverrebbero innanzitutto provvista
monetaria (vale pi il contenuto del caveau di una qualunque banca centrale, o
quello del Louvre? I monumenti di Roma o le riserve della Banca dItalia?)
Nemmeno le corpose riserve auree, come detto, vengono iscritte in bilancio,
dato che viene attribuito loro solo un valore psicologico a sostegno del
prestigio della sovranit statale.
A questo punto si delinea un bivio tra due scenari: uno statalista, laltro
libertario. Se da un lato valorizzare le ricchezze pubbliche pu far pensare a uno
Stato-monstrum, dallaltro, il valore della rendita di esistenza sarebbe talmente
elevato che, in prospettiva, lo Stato cadrebbe da s, dato che ognuno non
avrebbe bisogno che di agenzie di intermediazione monetario e lo Stato non
avrebbe pi nulla da fare.
Saremmo di fronte a una contraddizione dialettica tra lesercizio di un potere,
distribuire denaro, e il carattere suicida di tale esercizio, che consentirebbe a
ognuno di ignorare lo Stato per tutti gli altri servizi che lo Stato pretendesse di
fornire a cittadini resi ricchi e ampiamente autosucienti. Il tutto, si badi, senza

necessit di marxianamente nazionalizzare alcun bene, dato che quei beni sono
gi dello Stato, anche se dissimulati.
Lo Stato verrebbe ridotto a un documento, il suo bilancio, che sarebbe un
simulacro, un semplice rendiconto dellavvenuto trasferimento di valore, e
quindi di potere, alla societ.
Pagare per andare in spiaggia come pagare per vedere le gambe della moglie:
si paga per usufruire di beni demaniali, quando dovremmo essere noi a essere
pagati, trattandosi di beni gi nostri.
Eppure si tratta di beni, di cespiti, che oggi come oggi non vengono nemmeno
contabilizzati nei bilanci pubblici. Si parla infatti di un principio di invalutabilit
dei beni demaniali, che si spieg(herebbe), come dice la manualistica di
Contabilit dello Stato, considerando l'essenza dei beni demaniali e la loro
rilevata strumentalit rispetto ai ni dell'ente al quale sono adati . In altre
parole, i beni demaniali vengono fatti aerire alla sovranit e vengono perci
sottratti al mercato e al suo giudizio. E infatti, prosegue questa manualistica, I
beni demaniali non vengono valutati, in conformit al principio che essi sono
extra commercium e che lo Stato ne pu disporre soltanto ricavandone le utilit
di cui sono suscettibili ma non pu considerarli come elementi attivi del suo
patrimonio . Dal che si ricava che la sovranit statuale, in tali casi, esprime il
proprio dominio anche, e forse soprattutto, attraverso un substrato materiale
oltremodo consistente -basti por mente allart. 822 c.c.- e non solo, come
solitamente si ritiene, sullopinione e lastrazione: il suo carisma nutrito di
carne, non solo di credenze.
Del resto, se una societ privata per azioni iscrive in bilancio allattivo i propri
beni immobili (art. 2424 c.c., c. 1, 1 cpv., n. 2), e lo stesso fanno le societ in
mano pubblica, non si vede perch solo lo Stato e gli altri enti territoriali
debbano ignorare di possedere beni immobili e fondiari oltretutto immensi e
immani. Se ne ricava che il bilancio dello Stato sia un bilancio senza cespiti,
lunico noto con tale bizzarra caratteristica.
Potrebbe solo sorgere il dubbio che, in quanto beni demaniali astrattamente
incommerciabili, essi siano privi di valore di mercato, e che quindi sia arduo
contabilizzarli con un valore assegnato, sia pure alla Lange , come del resto
gi avviene con la liquidazione bonaria dei sinistri da parte dei periti delle
societ di assicurazione, o nelle perizie contabili; il dubbio per privo di
fondamento, dato che i beni hanno necessariamente un valore: se un terreno ha
valore nel momento in cui in mani private, non pu cessare di possederlo a
seguito di un esproprio, o della sua conseguente apprensione alla mano
pubblica attraverso altra forma. Come che sia, per fugare ogni ombra,
basterebbe assegnare detti beni a una public company cooperativistica nelle
mani di tutti i cittadini, formalmente operante sul mercato, e quindi soggetta al
citato art. 2424 c.c., di tal che i beni acquisterebbero, anche formalmente,
commerciabilit, anche se ben dicilmente potrebbero darsi privati in grado di
acquistarli in toto, in grande, o in buona parte. Sicch la loro destinazione pi

adeguata pare quella delluso civico condominiale, formalmente privato, ma a


destinazione pubblica.
In ogni caso, la circostanza che quei beni, iscritti direttamente nel bilancio
statuale o nel bilancio di una societ pubblica allegata al bilancio dello Stato, e
quindi parte della nanza pubblica allargata e del bilancio consolidato, non
siano in concreto destinati alla vendita, non comporta la loro sottrazione teorica
al mercato, e quindi linvalutabilit, allo stesso modo in cui il bene immobile di
una societ privata, il cui valore sia iscritto in bilancio, non cessa di esprimere
questo valore, pur quando non vi sia alcuna intenzione di cederlo, e quindi esso
sia, in concreto, sottratto al mercato solo da questo punto di vista. In altri
termini, lessere dotato di un valore di mercato costituisce, per un bene, una
nozione distinta dalla sua destinazione alleettiva circolazione nel mercato
stesso in senso materiale. Con lulteriore vantaggio che, iscrivendo il bene,
senza cederlo, in bilancio, pubblico o privato, esso esplica la propria capacit di
esprimere il proprio valore esercizio dopo esercizio, e non ununica volta, allatto
della vendita.
Prendiamo il caso dellAutostrada del Sole: non si tratterebbe solo di
contabilizzare il colossale valore economico del bene stradale, ma anche e
soprattutto della sua capacit di produrre e fornire un servizio economico
autonomamente valutabile, che quello di consentire il trasporto privato, un
intensissimo via vai che ha un valore di proporzioni incommensurabili; si tratta
in concreto di dotarsi di strumenti aggiornati di stima (vi sono vari istituti che
fungono da precedenti ispiratori, di utilizzo di quello che chiamiamo "metodo
Lange" di valutazione del bene, alla luce degli andamenti di mercato: dalle
perizie automobilistiche sui danni, a quelle per le indennit di espropriazione,
alle due-diligence nelle M&A tra societ), che ne consentano una
contabilizzazione, che forse da sola (si pensi poi al resto: anche solo spiagge,
ma montagne, umi, laghi, acque costiere, usi civici e altro) basterebbe a
portare in pareggio, e oltre, il bilancio dello Stato e a consentire di tagliar corto
con la falsa polemica della bufala della voragine del decit, normalmente
agitata in danno delle classi deboli, e non certo dei grandi appaltatori e
concessionari di opere pubbliche, solo per fare un esempio.
In ogni caso, inserire o no i beni demaniali e pubblici nelle poste attive del
bilancio dello Stato in realt, in regime di statualit, una scelta di diritto
positivo, sicch, una volta constatati i beneci dellopzione positiva, sarebbe
demenziale rinunciarvi. Ad esempio, Jacques Attali ha scritto che non esistono
regole rigide e tassative per redigere un bilancio pubblico, e che lItalia, con il
suo gigantesco patrimonio monumentale e artistico, potrebbe permettersi un
decit ben superiore a quello, per fare un caso, dellUcraina. Ma si tratta di
approccio approssimativo; perch allora, per essere pi precisi, non
contabilizzare direttamente quel patrimonio monumentale e artistico, invece
che andare a spanne?
Del resto, un radicale e liberista, Antonio De Viti De Marco, gi molti decenni fa
rilevava che Il patrimonio dello Stato consta dei beni che lo Stato possiede,
amministra e fa valere come un qualunque privato proprietario o industriale,

sottostando alla comune legge giuridica, che regola per tutti i cittadini il diritto
di propriet, e alla comune legge economica, che regola la formazione del
prezzo dei beni privati : sicch, a identit di legge giuridica tra bene di
propriet privata e bene di propriet pubblica non pu che corrispondere
identico criterio di formazione del relativo bilancio, con conseguente iscrizione
in esso di tutti i cespiti posseduti.
Tutto quanto precede ci consente ora di essere pi precisi, passando a delineare
i contorni di una prima prospettiva concreta, per quanto ripetutamente
accennata. Se il mondo originariamente di tutti, e non di nessuno, escluso,
come si visto, che atti unilaterali di apprensione possano sottrarre beni alla
comunione, se non nei limiti delluso e della disponibilit di ciascuno ad
acconsentire a che tale uso avvenga: la comunione sempre vigente, in
assenza di atti espliciti di alienazione delle quote. Ne deriva che ognuno ha
diritto a vedersi riconosciuto da parte dei singoli proprietari (che sarebbero
solo degli usufruttuari-concessionari) un canone, per dir cos, di locazione con
riferimento alla propria quota di mondo, o meglio, di atto , trattandosi di
concessione di unattivit imprenditoriale, in senso lato di usufrutto di impresa.
Ovvero ancora, per esprimerci in termini tecnico-economici, di una rendita per la
propriet comune della terra data appunto in uso al singolo titolare di diritto
reale parziario.
La necessit di una rendita di esistenza in forma monetaria si propone solo in un
contesto produttivistico, nel quale vi siano beni di consumo da acquistare,
sicch la produzione di ricchezze ulteriori rispetto a quelle naturali nisca con
lattribuire un senso a quella dotazione originaria, che pu cos essere spesa nel
mercato particolare di quei beni di consumo. In caso contrario, data la vastit
delle risorse naturali a disposizione, non v nemmeno bisogno di moneta per
acquisire ci che la natura ore direttamente, e che pu costituire oggetto di
apprensione individuale senza alcuna mediazione altrui, o per trasformare la
natura, da soli, o in unione con altri.
Ora, prendendo comunque le mosse dallintuizione della rendita di esistenza
correlato al valore della quota di nuda propriet della Terra spettante a ciascun
singolo individuo diviene indispensabile comprendere a quanto eettivamente
ammonti questa quota, per capire se essa rappresenti davvero per ognuno una
fonte di reddito suciente per sopravvivere e per vivere almeno
dignitosamente; e per far ci occorre, evidentemente, comprendere a quanto
ammonti il valore complessivo della produzione mondiale, momento dopo
momento, della cui impresa ognuno sarebbe usufruttuario in comunione.
Orbene, secondo una stima del WWF Internazionale pubblicata a pagina 2 del
Manifesto del 25 ottobre 2006, , competerebbero a ciascun singolo individuo
la bellezza di 2,2 ettari globali per individuo abitante del pianeta, il che
davvero non sembra giusticare lattuale stato di miseria, nel quale versano
oggi molti esseri umani nel mondo, dato che lo slogan del giorno potrebbe
essere ormai, nemmeno pi tutti proprietari, ma addirittura tutti latifondisti.
Stabilite le premesse teoriche, il problema che si pone al movimento libertario
di saper dare, almeno in una logica di second best -nella prospettiva del free-

coinage integrale fondato sulla provvista monetaria delle risorse naturali a


comuni-, una praticabilit non statalista, non da Stato mondiale, a
procedimento (guardando cio gi oltre la fase della transizione), per
incorrere nelle note secche della tassazione e dello Stato sociale e dei
istituti discrezionali, o meglio arbitrari, di distribuzione del reddito.

tutti
tale
non
suoi

Si potrebbero allora immaginare agenzie in concorrenza, anche con banche dati


comuni (misura antitrust, a dispetto delle apparenze) continuamente
aggiornate, le quali procedano ai conteggi, confrontabili in modo da vericarne
lattendibilit; e garantiscano la riscossione e la distribuzione degli importi,
sicch il non contribuire andrebbe in danno quantomeno della reputazione
(Nozick parlava di un distintivo da portare allocchiello a riprova del versamento
eettuato); per quanto non sia da escludere lipotesi della riscossione coattiva
su azione diretta degli interessati, una volta che quella corresponsione sia
concepita come vero e proprio diritto di tutti.
Al di l delle soluzioni pratiche, quel che conta che un proprietario che non
versi la propria quota di rendita ai non proprietari sia considerato un
possessore non convalidato, non avendo acquistato dal prossimo lastensione
di questi dalluso della forza: ma solo di fatto, fondato cio solo sulla sua
capacit di difendere con la forza il proprio possesso, e quindi esposto alla
reciprocit e alla ritorsione, oltre che al danno alla reputazione e alla
considerazione, e quindi passibile per ci solo di ostracismo e boicottaggio da
parte di altri individui.
In altri termini, ciascun aspirante possessore pu anche operare una valutazione
di convenienza, se pagare la quota o rinserrarsi nel bene posseduto, assoldando
magari armigeri a tutela di questo; ma, in tale ipotesi, si esporrebbe al giudizio
degli altri, assumendosene la responsabilit. Si noti, per altro verso, che
listituto da noi proposto, nonostante le apparenze, non solo non costituisce
imposta, ma semmai il suo esatto contrario; dato che una imposizione, un
diritto di albinaggio, proviene da chi eserciti il controllo individuale del
territorio ed esprime il suo dominio su chi non lo controlla; mentre nel nostro
caso si tratta di un compenso dovuto proprio da chi pretenda un controllo sul
territorio, a favore di chi non lo controlli, come compensazione per lastensione
da un impedimento da parte di costui. Listituto quindi civilistico e non
tributaristico, cio non pubblicistico: c una corrispettivit volontaria che
manca nellimposizione.
Nellimmediato, ripetiamo, la nostra proposta si fonda sulla disponibilit di
immense riserve di beni cosiddetti demaniali, o comunque delle risorse naturali
di propriet pubblica, che fungono da corposa provvista monetaria, tanto da
subito pubblica, quanto in prospettiva privata e sociale.
Ma perch, anche nellimmediato, e non solo nei discorsi un po utopici di
prospettiva, la nostra proposta non statalista, come qualcuno ci ha
rimproverato? Per i seguenti motivi, in parte gi accennati.
a)
Innanzitutto, corrispondere a ciascuno direttamente una corposa rendita
periodica, comporterebbe ipso facto lo smantellamento dellattuale stato

sociale, autoritario, selettivo, discriminatorio, e verrebbero spazzati via tutti i


cosiddetti diritti sociali, che sono settoriali e non sono universalizzabili (diritto
al lavoro, diritto alla salute, diritto allo studio, diritto alla casa, etc.), e che, come
ha mostrato da ultimo Guido Corso, entrano in patente contraddizione con i
diritti fondamentali di libert;
b)
In secondo luogo, non solo la nostra proposta non comporta imposizione
scale, ma anzi la ridurrebbe e, in prospettiva, la estinguerebbe, in quanto non
pi necessaria;
c)
Inne, dai punti che precedono, deriverebbe la devoluzione al mercato e
alla comunit di tutte le funzioni di servizio pubblico, ma in un mercato
costruito, si badi, su basi egualitarie, dato che la rendita di esistenza sarebbe
eguale per tutti, ferma restando la possibilit di incrementi consensuali ulteriori.
Si tratta, in denitiva, di una proposta democratica e libertaria, nella direzione
tanto della certezza del diritto, quanto del deperimento del potere, quanto della
democrazia, se vero che il mercato egualitario decentrato , per quanto se ne
sa, il sistema pi democratico tra quelli conosciuti.

4. La realizzazione di mercato dei beni pubblici

Una delle giusticazioni dello Stato contemporaneo che lo stesso sarebbe


indispensabile per la realizzazione dei beni pubblici, dato il presunto fallimento
del mercato in questo campo: the public good argument for the state. Il
concetto di bene pubblico cos dilatato, ormai, che tutto diviene argomento di
legittimazione dello Stato e del suo inarrestabile intervento. Per Nozick, ad
esempio, che pure fautore di uno Stato minimo, sarebbero beni pubblici
indivisibili la giustizia e la protezione dei diritti di propriet, ma largomento era
gi stato pre-confutato da Murray Rothbard in Man, Economy and State ove si
dimostrava il carattere divisibile del servizio di difesa e protezione.
Anche tra gli anarchici classici ci sono state divisioni sul punto. Errico Malatesta
e Merlino, ad esempio, discussero su come fosse possibile, in anarchia,
realizzare una strada, bene indivisibile e di monopolio naturale riuscendo a
rimanere in assenza di istituzioni coercitive. Secondo Merlino ci si sarebbe
dovuti attenere al principio maggioritario e le minoranze avrebbero dovuto
essere costrette in qualche modo ad accettare le decisioni della maggioranza,
pena il caos. Secondo Malatesta, invece, pur vero che le maggioranze
avrebbero avuto la meglio, ma a ci si sarebbe dovuto addivenire con la
persuasione e con il consenso, con labitudine spontanea ad accettare, in
societ, le statuizioni dei pi.
A noi pare che entrambe tali posizioni sottovalutino il ruolo della possibile
iniziativa imprenditoriale. Immaginiamo infatti che un soggetto eserciti la
propria alertness (Kirzner) e individui una domanda latente di beni collettivi
(Olson). Egli potrebbe predisporre un progetto e farsi elicitatore, superando il

dilemma del prigioniero, di una gara dasta tra favorevoli e contrari a una data
opera pubblica. Si tratterebbe di una sorta di project nancing democratico e di
mercato: immaginiamo infatti che qualcuno si faccia promotore tra i favorevoli
di una raccolta di fondi per nanziare lopera, mentre altri si faccia promotore
tra i contrari di altrettanto, per compensare limprenditore, inducendolo a non
realizzare lopera.
Se i contributi dei favorevoli saranno superiori, e sucienti a garantirgli un
margine di utile, limprenditore restituir ai contrari i proventi della loro colletta
e realizzare lintervento. Se saranno superiori i contributi dei contrari, verranno
restituiti i fondi a entrambi, tranne il surplus dierenziale quale compenso
delliniziativa, e lopera non verr realizzata.
Si dir: perch ricorrere al voto monetario e non a quello ordinariamente
referendario? Perch il voto monetario misura non solo la scala ordinale delle
preferenze, ma anche quella cardinale, misura, come ricorda leconomista
coreano Ng, anche lintensit delle preferenze.
Ognuno potr perci contribuire non solo in funzione di una generica
predisposizione favorevole o contraria allopera, ma anche delleettivo
coinvolgimento personale sulla sua realizzazione o non realizzazione.
In tal modo, il mercato si fa compiutamente democratico, oltre a consentire
uneettiva valutazione costi/beneci dellintervento. Si dir ancora che in tal
modo i ricchi saranno avvantaggiati rispetto ai poveri, dato che potranno
contribuire di pi nella direzione da loro auspicata. Ma, a parte che, come rileva
David Friedman, nei quartieri popolari ci sono pi grosse macchine che buone
scuole, non bisogna pensare che i ricchi (a parte ogni nostra considerazione
sulla rendita di esistenza) saranno tutti da una parte e i poveri tutti dallaltra. Ci
saranno ricchi contrari e ricchi favorevoli, poveri contrari e poveri favorevoli.
Daltra parte, non si tratter solo di pagare direttamente di tasca propria, ma
anche di far valere la propria capacit imprenditoriale nellacquisire
nanziamenti in una direzione o nellaltra.
Un ulteriore vantaggio che, mentre nel voto referendario, sarebbero
verosimilmente coinvolte solo le popolazioni direttamente interessate, soggette
alla sindrome non nel mio giardino, con il voto nanziario potrebbero
partecipare alla decisione tutti gli coloro i quali si auto-selezionassero come in
qualche modo interessati o che si sentissero coinvolti nelliniziativa, in senso
vuoi favorevole, vuoi contrario.
Quale sar, del resto, la concreta conseguenza di un simile modo di procedere?
Come si detto, lopera sar assoggettata a una verica costi/beneci quale
nessunopera pubblica richiede oggi allintervento coattivo dello Stato, che
realizza interventi improntati a ragion politica e non a ecienza, tanto pi
occultando i costi nella scalit generale, e quindi dando molte volte la falsa
impressione della gratuit per opere spesso inutili (si veda la Bre.Be.Mi.) e
altamente costose.

Ne deriva che, in un siatto meccanismo di mercato democratico, impensabile


che si realizzino, ad esempio, centrali nucleari (limprenditore dovrebbe farsi
carico di costi di assicurazione incommensurabili, internalizzare per intero i costi
di smaltimento delle scorie, etc., tutti costi che oggi vengono minimamente
considerati nel computo del costo sociale delliniziativa); come la T.A.V. TorinoLione, palesemente fuori tempo in un quadro internazionale di comunicazioni
aeree, per la quale dovrebbero considerarsi i costi immani della perforazione
delle montagne, oggi gravanti sul contribuente ignaro, dello smaltimento
dellamianto rinvenuto, etc.
La nostra proposta, inne, ci pare meno macchinosa di quella avanzata da
David Friedman, per la quale limprenditore, per realizzare opere pubbliche nel
mercato e superare leventuale frustrazione da free-riding, dovrebbe acquistare
tutte le terre interessate e poi rivenderle a prezzo maggiorato, dati i superiori
costi
di
transazione
insiti
in
questultimo
tipo
di
proposta.

PARTE SECONDA
DIRITTO E POLITICA

1. Stato di diritto e Preambolo allo Statuto del Partito Radicale

Come si diceva nellintroduzione, Marco Pannella nasce liberale: il partito


radicale, nel quale egli costitu, con altri giovani, allinizio degli anni 60, la
sinistra interna, nacque come Partito Radicale dei Liberali e dei Democratici
Italiani nel 1955. La sinistra eredit poi un partito in fase di scioglimento, e
lo condusse nellattraversata nel deserto degli anni 60, conducendo varie
battaglie, la pi nota delle quali fu quella per lintroduzione dellistituto
divorzile.
Pannella ebbe per, lo si ricordava, anche una fase pi libertaria, anzi
anarchica negli anni 70, almeno al livello delle dichiarazioni di principio.
Nella sua nota prefazione al citato libro di Andra Valcarenghi, che fu
festosamente salutata da Pasolini come il manifesto del radicalismo italiano,
Pannella scriveva: Non credo al potere, e ripudio perno la fantasia se
minaccia doccuparlo (detto tra parantesi, Pannella faceva benissimo a
didare della fantasia al potere, dato che Hitler e Pol Pot erano
fantasiosissimi).
E poi, in vari interventi congressuali, ai quali abbiamo assistito
personalmente (in assenza di scritti, a questi che occorre spesso far
riferimento per comprendere il pensiero pannelliano), Pannella si dichiarava
a favore del deperimento del potere, e individuava nel diritto lo
strumento di tale processo di deperimento, da condurre un millimetro al
giorno, nella giusta direzione.
Oggi, invece, Pannella fa pi volentieri riferimento al concetto di Stato di
diritto, e dice che i radicali conducono battaglie in suo nome e per la sua
difesa, magari, opportuna precisazione, contro la ragion di Stato; e si noti
che i documenti del Partito Radicale Transnazionale traducono la locuzione
Stato di diritto con quella di Rule of Law, bench le due espressioni non
siano totalmente coincidenti e sovrapponibili, perch la prima sembra pi
riconducibile allo Staatsrecht tedesco, che altra cosa, ossia il diritto
promanato dallo Stato, mentre la seconda, di stampo anglosassone, implica
(come not per primo Tocqueville) lapplicazione diretta della Costituzione da
parte dei giudici ordinari, nonch dei principi generali del diritto, e la judicial

review, ossia lo sottoposizione


giurisdizionale di legittimit.

rigorosa

di

quel

diritto

al

controllo

Senonch, tra la fase deperimento del potere e quella Stato di diritto si


colloca, nel 1980, il Preambolo allo Statuto del Partito Radicale, lopera
teorica, succinta, ma pi ambiziosa, sin qui, del Marco Nazionale, che
sembra dire cose ancora diverse, anche se in parte contraddittorie, o
suscettibili di interpretazioni contrastanti.
Diciamo subito che il concetto di Stato di diritto ci fa venire in mente
quellecace espressione emiliana, che suona cos: Legare il cane con le
salsicce. Lo Stato che pone quel diritto che dovrebbe legare lo Stato, ma lo
Stato, preteso monopolista della produzione giuridica, pu ad libitum porre
nuovo diritto in sostituzione di quello che dovrebbe vincolarlo! Altri ha
descritto tale situazione con la metafora della cintura di castit, di cui i
politici hanno la chiave, ma quella emiliana pare pi simpatica, in eetti.
Come dice Pannella, la grande utopia dello Stato di diritto: la legge (le
salsicce) che dovrebbe governare gli uomini (il cane), ma sono gli uomini a
governare la legge, sicch il cane si mangia agevolmente le salsicce: grande
utopia, ma pi utopistica dello stesso anarchismo, a meno di non avvelenare
le salsicce, ma in tal caso non avremmo pi neanche il cane
Ma, si diceva, i radicali fondano la politica del rispetto dello Stato di diritto
sul Preambolo del loro statuto. In realt tale testo appare pi complesso, e
non risulta sia stato mai studiato no ad ora dal punto di vista della dottrina
giuridica, sicch ci compiacciamo di apprestarci a farlo noi.
Pu leggersi dunque in questo testo che il partito proclama il diritto e la
legge, diritto e legge anche politici del Partito Radicale, proclama nel loro
rispetto la fonte insuperabile di legittimit delle istituzioni, proclama il
dovere alla disobbedienza, alla non-collaborazione, alla obiezione di
coscienza, alle supreme forme di lotta nonviolenta per la difesa, con la vita,
della vita, del diritto, della legge.
Il partito, poi, Richiama se stesso, ed ogni persona che voglia sperare nella
vita e nella pace, nella giustizia e nella libert, allo stretto rispetto, all'attiva
difesa di due leggi fondamentali quali: La Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo
(auspicando che l'intitolazione venga mutata in "Diritti della Persona") e la
Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo nonch delle Costituzioni degli
Stati che rispettino i principi contenuti nelle due carte; al riuto
dell'obbedienza e del riconoscimento di legittimit, invece, per chiunque le
violi, chiunque non le applichi, chiunque le riduca a verbose dichiarazioni
meramente ordinatorie, cio a non-leggi.
Notiamo, anzitutto, che Pannella intelligentemente non ha parlato di Stato,
ma di istituzioni. Lo Stato solo una delle istituzioni che deve rispettare il
proprio diritto per essere legittima.
Emerge qui una concezione non necessariamente statalistica, ma
istituzionalistica, nel senso di Santi Romano, del diritto. Ma se si vuole essere

coerentemente non statalisti e non formalisti nella concezione del diritto,


bisogna occorre far riferimento anche al diritto consuetudinario, alle
convenzioni tacite percepite come pi o meno vincolanti, al diritto delle
istituzioni spontanee, al diritto delle pretese di Bruno Leoni, al diritto dei
contraenti, al diritto evoluzionistico, al diritto di formazione individuale e
comunitaria, etc.
Ora, quid iuris di tale diritto per il Preambolo pannelliano? A rigore, un
radicale dovrebbe disobbedire, non collaborare, ricorrere alle supreme forme
di lotta nonviolenta per il rispetto di qualunque norma giuridica, da chiunque
posta in essere? E a che scopo?
Abbiamo assistito a radicali locali prendere un po troppo alla lettera la
lezione pannelliana, e digiunare per il rispetto, da parte del comune, di
regolamenti
locali
insignicanti,
magari
giustamente
disapplicati
dallistituzione locale, quando sappiamo che la sociologia del diritto ci
insegna che esiste una quantit di norme inutili e dannose che per fortuna
non sono applicate (si pensi a certi demenziali limiti di velocit, magari
residuo di lavori antichi sulle carreggiate). E allora dovremmo scomodare le
supreme forme di lotta nonviolenta per fare applicare tutta questa inutilit?
Dovremmo digiunare perch la maa (istituzione nel senso di Santi Romano,
come ha dimostrato uno studio di Giovanni Fiandaca) rispetti il suo codice
donore? Se chi scrive stilasse una G.U. di Fabio Massimo Nicosia,
contenente i nostri criteri di azione, probabilmente quel simpatico radicale
locale, che conosciamo personalmente nel suo impeto battagliero,
digiunerebbe perch noi li rispettassimo, ma a lui che gliene cale? Noi in
passato avevamo arontato il problema nel saggio Lanarco-capitalismo
come ordinamento giuridico, nel quale ci eravamo chiesti quale fosse il
rapporto tra compagnia di protezione e cittadino che non ne facesse parte,
concludendo che questi fosse legittimato a invocare il rispetto delle
procedure di essa una volta che questi venisse in contatto con la stessa,
subendone la sanzione, diversamente vi sarebbe estraneit tra i due
soggetti. E in eetti lo stesso vale anche nel rapporto con lo Stato, secondo
la dottrina liberale, se vero che, come ha riconosciuto persino Costantino
Mortati (quindi originariamente un non liberale), una cosa il cittadino, una
cosa lo Stato. E allora dovremmo forse digiunare perch gli Stati che
prevedono la pena di morte la applichino indefessamente, pena la loro
illegittimit? In eetti, sembra talora che in tal modo i radicali non abbiano
un contenuto di proposte autonomo da avanzare, ma si rimettano al diritto
vigente di cui chiedono lapplicazione. Naturalmente non cos, essi
chiedono labolizione internazionale della pena di morte, labolizione
dellergastolo, linstaurazione di un regime anti-proibizionistico sulle droghe,
da ultimo linserzione del principio del diritto di conoscenza nella Carta
O.N.U.: ma sulla base di che? Non certo sulla base del diritto vigente, che
non prevede nulla di tutto ci, ad esempio nessuna norma di diritto vigente
impone il ricorso allamnistia, che scelta opportuna alla luce delle
statuizioni della C.E.D.U. ma non necessitata (qualcuno, ad esempio
limmarcescibile Marco Travaglio, chiede la costruzione di nuove carceri).

Evidentemente, essi hanno principi ulteriori rispetto a quelli della mera


invocazione del diritto vigente, ma quali sono?
Una risposta, per incompleta, viene dalla seconda parte del Preambolo.
Con la seconda parte i radicali fanno proprio un contenuto positivo, quello
dei diritti fondamentali delle Carte O.N.U. e della Convenzione Europea,
nonch delle diverse costituzioni, tutte espressioni, direbbe Bobbio, di diritto
naturale positivizzato, ovvero, come dice Pannella, di diritto naturale
storicamente acquisito come diritto positivo. E certo moltissimo, ma non
abbastanza a supportare le diverse iniziative radicali. Ad esempio, la carta
O.N.U. non esclude la pena di morte e men che meno lergastolo, n parla di
anti-proibizionismo o di altro.
Pi pregnante, a questo punto, si rivela
invece la terza parte del
Preambolo. Essa suona cos: Il partito Dichiara di conferire all'imperativo
del "non uccidere" valore di legge storicamente assoluta, senza eccezioni,
nemmeno quella della legittima difesa.
Di primo acchito, la prescrizione appare imbarazzante, anche per le
contraddizioni nelle quali i radicali sono incorsi in occasione delle due guerre
del Golfo. Tuttavia Pannella ha spiegato abbastanza persuasivamente che il
non uccidere non implica il non difendersi. Ad esempio, diciamo noi, si
pu sparare alle gambe di un aggressore, cercando di non ucciderlo per
quanto possibile, e sin qui sta bene.
Quel che appare pi interessante per la concezione generale del diritto
che si pu ricavare da tale radicale asserzione. Com noto, in tutte le
dottrine classiche del diritto (Thon, Austin, no a Kelsen e anche a Ross e ai
realisti), la sanzione supportata dalla forza della coazione, sicch fondare il
diritto sulla nonviolenza certamente un tentativo forte, che andrebbe
approfondito
Si tratta certo di imperativo cristiano, ma anche buddhista, e in genere
riconducibile alle religioni orientali, ma anche ebraico, a dispetto delle
apparenze pi superciali, basti pensare al classico del grande rabbino
dellottocento Elia Benamozegh, Morale ebraica e morale cristiana.
Ma si tratta anche di unetica giuridica libertaria: il libertarismo, come noi lo
intendiamo, si fonda sulliniziativa di un soggetto, il legislatore originario,
che imponendo rinuncia, che costringe laltro alla cooperazione, dando vita
al bene pubblico indivisibile libert, nel quale ognuno sia in grado di
perseguire le proprie preferenze in un quadro giuridico comune costituito da
una meta-norma che consenta il dispiegarsi dei diversi ordinamenti
particolari co-possibili. In questo senso, la nonviolenza laica, perch non fa
proprio alcun contenuto morale prestabilito, ma compatibile con tutti gli
orientamenti morali congurabili, purch ognuno di essi non pretenda di
imporre agli altri il proprio quadro di riferimento. E quanto avvenne
nellAmerica delle origini, quando, come ricord Runi, le diverse sette
teocratiche compresero che non era possibile imporre alle altre la propria

teocrazia, e ognuna si ritenne libera di costituire la propria (si veda in


proposito il commovente lm Nel nome del Signore, ove si vedono
quaccheri e battisti ridere gli uni degli altri, ma rispettando la reciproca
autonomia), e quanto forse si arriver a ottenere attraverso i pur tumultuosi
processi migratori in corso in nome di un talora malinteso
multiculturalismo. Ma su questo necessariamente torneremo.
Resta il punctum dolens dellinvocazione della nonviolenza a sostegno di un
diritto, quello dello Stato, fondato, come si visto, sulla forza, anzi, sulla
rivendicazione del relativo monopolio, il che anche peggio. Sicch, per
uscire dallempasse, occorre coniugare e far fare la pace ai due Pannella:
chiedere s, se del caso, che lo Stato rispetti il suo proprio diritto, ma solo a
condizione che ci sia funzionale al suo deperimento e al deperimento di
ogni potere. Diversamente si tratterebbe di uninutile fatica di Sisifo.

2. La partecipazione democratica (second best)

Com noto, il movimento radicale, in tutti i suoi ormai lunghi anni di storia,
ha sovente incentrato la propria iniziativa politica sulla partecipazione
popolare, mostrando una singolare ducia nel coinvolgimento dei cittadini
nella decisione politica. In particolare, attraverso lattivazione dellistituto del
referendum.
Diciamo singolare, con riferimento alle prevalenti, da noi, culture politiche. E
conosciuta la resistenza di Togliatti allistituto referendario in sede di
costituente, come nota lincredibilmente restrittiva giurisprudenza della
Corte Costituzionale in questa materia, che ha dilatato enormemente i
requisiti di ammissibilit del referendum abrogativo, rispetto a quanto
letteralmente previsto dallart. 75 della Costituzione.
Il principio che inconsapevolmente mosso i radicali, che parrebbe ovvio, ma
che tanti ostacoli trova da noi, che il popolo non pu possedere un potere
legislativo inferiore rispetto a quello dei suoi rappresentanti.
Ma, se cos , logica imporrebbe che ci si battesse anche per lintroduzione
del referendum propositivo, accanto a quello abrogativo, anche
considerando che una legge nuova sempre anche abrogativa del quadro
giuridico precedente, cos come una norma abrogativa anche sempre
innovativa rispetto a detto quadro giuridico.
In casa radicale si sono invece talora levate voci contrarie al referendum
propositivo, in nome, si immagina, di una funzione meramente di controllo
del voto popolare, ma, come detto, tale posizione non ci pare congruente
con laureo principio enunciato.
Se dunque da noi siamo cantottantanni indietro rispetto alla situazione
descritta da Tocqueville nella Democrazia in America, la lotta per la

democrazia diretta (soggetta spesso a ironie sciocche del tipo non siamo in
Svizzera magari!) deve piuttosto proseguire ed estendersi.
Ad esempio proponendo lelezione diretta, con previsione di recall, dei
magistrati, o almeno dei capi-ucio, dei procuratori della repubblica, i quali
si presentino alle elezioni con un proprio programma vincolante, in grado di
superare lipocrisia della fasulla obbligatoriet dellazione penale;
estendendo, seguendo linsegnamento del municipalismo di Camillo
Berneri, la democrazia a livello locale, concentrando le funzioni
amministrative nei comuni (giustizia compresa, tranne quella civile, da
devolversi sempre di pi ad arbitrati privati, data linutile macchinosit
dellodierna costosa procedura civile).
Emerge a questo punto la questione del federalismo e della secessione.
Pannella si di recente riconfermato contrario alle secessioni territoriali,
intervenendo a proposito dei referenda scozzese e catalano, invocando il
superamento dellistituzione Stato nazionale in nome del federalismo
europeo di stampo ventoteniano.
Che le secessioni territoriali (altro discorso andrebbe condotto con
riferimento alle secessioni individuali) non siano eo ipso libertarie lo
sosteniamo da tempo, anche in polemica con anarco-capitalisti tardorothbardiani fautori di siatte secessioni. Tuttavia, occorre considerare che,
se auspicabile un federalismo verso lalto di stampo neo-kantiano,
altrettanto auspicabile, si direbbe, il federalismo verso il basso, con
riferimento quantomeno alle funzioni amministrative che possano essere
esercitate direttamente dai cittadini o da loro magistrati revocabili, per
utilizzare la dizione dei classici.
Va da s, peraltro, che ogni secessione di questo tipo deve comportare
linserzione in un pi ampio ordinamento internazionale, in una comune
corte di giustizia, che garantisca i diritti umani fondamentali, la libert di
concorrenza, di libera circolazione, etc. Certo, vanno invece osteggiate
secessioni che non intendano rispettare tali diritti, o che siano rivolte
allintroduzione di dazi o simili ostacoli illiberali, barriere che il mercato non
pu e non vuole riconoscere.
Ci si pu chiedere, a questo punto, quale strategia politica debbano seguire,
in regime democratico-liberale, i radicali, per perseguire i propri obiettivi.
Mentre gli anarchici classici, in nome del riuto della delega e invocando i
sacri principi di Saint Imier, reclinano di essere coinvolti in alcun modo nelle
competizioni elettorali o altrimenti democratiche (pur essendo coinvolti
giornalmente, in una quantit di atti quotidiani compromettenti, in un mondo
che detestano), i radicali sono sempre stati laici rispetto al voto e al non
voto.

Cos cio come non riutano per principio le elezioni, nemmeno si sentono
obbligati a parteciparvi, se non sulla base di valutazioni caso per caso, e
questo un criterio sano.
Si tratta tuttavia di approfondire quale debba essere latteggiamento
politico-elettorale dei radicali, tanto ove si presentino, quanto ove non si
presentino.
A nostro avviso, i radicali devono mantenere la propria collocazione storica,
come descritta in introduzione, ossia allestrema sinistra dello schieramento
istituzionale. Del resto, lo stesso miglior Rothbard diceva che storicamente,
a partire dalla rivoluzione francese, la destra rappresentata dagli statalisti
nostalgici dellancien rgime, mentre la sinistra rappresentata dai liberali,
dai radicali, dai libertari, costituendo invece il socialismo, con il suo miscuglio
di statalismo e di antistatalismo, un confuso movimento centrista.
Ci non signica abbandonare il principio della trans-partiticit, che consente
di colloquiare con esponenti di ogni estrazione politica sulla base
delladesione alle concrete singole battaglie, ma essere perfettamente
consapevoli della propria identit.
Ci comporta che, ove si aermi un sistema politico latamente
allamericana, i radicali devono costituire lala libertaria dello schieramento
progressista, in mancanza di che, allora, tanto vale, battersi per
laermazione di un sistema perfettamente proporzionale, dato che, del
resto, proprio sotto il sistema proporzionale che i radicali hanno dato il
meglio di s nelle lotte parlamentari.
In un sistema o nellaltro, comunque, la presenza parlamentare pu essere
molto utile, non tanto come generico diritto di tribuna, quanto per
esercitare sindacato ispettivo, per consentire una frequente attivit di visita
dei penitenziari, per controllare gli intinera legislativi nelle commissioni, per
battagliare per la discussione dei progetti di legge di iniziativa popolare,
spesso insabbiati nelle stesse, etc.
In mancanza di una presenza parlamentare, i radicali hanno, in tempi
recenti, incentrato la propria iniziativa nella proposizione di azioni
giurisdizionali, le pi interessanti delle quali sono quelle adite a livello
internazionale. Anche questo prolo dellazione radicale va salutato
positivamente. Pannella sembra nalmente essersi convinto, almeno in
parte, dellinanit delliniziativa di tipo penalistico, a favore di un approccio
pi di common law, invocando, a livello di giudici ordinari, statuizioni in
grado di costituire precedenti vincolanti per lo stesso legislatore.
Ad esempio, negli Stati Uniti, la legalizzazione dellaborto stata disposta in
conseguenza di una pronuncia della Corte Suprema, nel noto caso del 1973
Roe vs. Wade, caso pilota per tutto il mondo, non in conseguenza di un atto
del legislatore.
Come diceva Bruno Leoni, del resto, proprio la
legislazione, con il suo carattere alluvionale, confusionario e pasticcione, a
costituire fonte di incertezza del diritto, mentre il diritto giurisprudenziale

consuetudinario, fondato sulla vincolativit del precedente, la cui ratio va


ravvisata nel rispetto della parit di trattamento nel tempo, pi in grado di
consentire al cittadino stabilit nellelaborazione delle proprie aspettative.
3. I diritti civili

A. Manicomi, carceri, diritto penale, polizia

I radicali si sono a suo tempo resi protagonisti di una fondamentale


battaglia contro i vecchi manicomi, legati a una visione di segregazione
della malattia mentale o presunta tale (non ignoriamo glinsegnamenti
dellanti-psichiatria di un Thomas Szsz), sostituiti da una rete di
comunit di riabilitazione, di case-famiglia, etc., e si trattato
sicuramente di un grande passo in avanti.
Noi possiamo parlare a ragion veduta di tale fenomeno, avendo trascorso,
oltre a quindici giorni a San Vittore, svariati periodi nei reparti psichiatrici
degli ospedali, quasi due anni in un Ospedale Psichiatrico Giudiziario
(purtroppo gli O.P.G. non sono stati toccati dalla riforma, anche se oggi si
parla di unabolizione sempre rinviata), e poi, nalmente, quattro anni in
comunit psichiatrica.
Dalla nostra esperienza, susseguente a T.S.O. sicuramente illegittimi nella
forma (mentre nella sostanza non spetta a noi in questa sede giudicare
della nostra follia) ricaviamo che i reparti psichiatrici sono ancora degli
ambienti angusti, in cui il fumo contingentato e dove vengono stilate
cartelle cliniche senza alcun contraddittorio e controllo, che non vengono
negati nemmeno a un appaltatore di opere pubbliche, pur trattandosi di
relazione certo meno delicata. Quanto agli O.P.G., non possiamo che
rilevarne il carattere esclusivamente aittivo, privi come sono di
qualunque valenza riabilitativa e di cura. Si tratta in pratica di vere e
proprie carceri, e delle peggiori (salvo forse, a quanto dicono, quello di
Castiglion delle Stiviere), oltretutto soggette al principio sai quando
entri, ma non sai quando si esce. Si tratta del cosiddetto ergastolo
bianco, per cui, come abbiamo constatato direttamente, anche soggetti
autori di reati di lieve entit, subivano proroghe annuali continue di
internamento, sulla base di giudizi di pericolosit sociale persistente,
del tutto approssimativi.
Quanto inne alla comunit, la nostra esperienza tutto sommato
positiva. Il degente eettivamente seguito, curato, pernotta in
dignitosissime camere singole o doppie, pu tenere computer con
internet e telefono cellulare, pu uscire anche da solo per andare al bar,
in biblioteca, etc. Certo, la tua permanenza sempre assoggettata al
giudizio discrezionale degli psichiatri, i quali possono anche trovare
pretesti discutibili per prolungarla, nondimeno il trattamento pare

rispettoso dei diritti umani fondamentali e gli operatori, almeno nel nostro
caso, si sono rivelati motivati e cordiali.
Siatte comunit appaiono un possibile modello per il carcere del
futuro. I radicali, come notissimo, stanno conducendo da anni una forte
battaglia per il ripristino della legalit carceraria, contro le inumane
condizioni dei detenuti e contro il sovraollamento, ottenendo importanti
risultati, come la sentenza Torreggiani della Corte Europea dei Diritti
dellUomo. A questultimo proposito non possiamo che confermare. Nella
nostra permanenza a San Vittore eravamo in quattro in pochi metri
quadrati e le celle erano praticamente sempre chiuse.
Tuttavia, preferiremmo che i radicali estendessero sistematicamente al
carcere lapproccio abolizionista che hanno sempre mantenuto per i
manicomi, trattandosi in entrambi i casi di istituzioni totali irriformabili,
essendo ormai storicamente sorpassato e agli sgoccioli il modello
panopticon due secoli e mezzo fa concepito da Jeremy Bentham.
In verit, dal mondo radicale non mancano e non sono mancate voci
abolizioniste. Ci fa piacere ricordare lallora consigliere regionale
lombardo anti-proibizionista Giorgio Inzani, che ormai venti anni fa
organizz, replicandolo, un convegno appunto abolizionista, al quale noi
stessi abbiamo partecipato con una nostra relazione.
Ma lo stesso Pannella non ha mancato a suo tempo di prendere posizione
su tale argomento. Abbiamo di recente riascoltato un lo diretto di quasi
quarantanni fa (con Pannella, vista la carenza di scritti, agli interventi
congressuali, ai li diretti, ai dialoghi domenicali che bisogna sovente fare
riferimento), nel quale prendeva chiaramente posizione contro
listituzione carceraria. Tuttavia il tema stato sostituito da un approccio
riformistico che suona a volte troppo asttico e inadeguato.
Invero, il carcere inadeguato innanzitutto perch il diritto penale a
essere inadeguato, sia sul piano oggettivo, sia sul piano soggettivo.
a. Sul piano oggettivo, non adeguatamente giusticato che cosa debba
costituire reato. In base allart. 40 del codice penale, dovrebbe
sempre essere ragurarsi un evento dannoso o pericoloso, ma noi
siamo in presenza di una grande quantit di fattispecie di reato nelle
quali non si comprende in che cosa consista il danno o il pericolo
(ammesso che un atto di pericolo, che non cagioni alcun danno
eettivo, possa essere sanzionato): si tratta in molti casi di victimless
crymes, e una volta che si considerino omicidio, lesioni e reati di
violenza, che ne resta?
b. Sul piano soggettivo, quel che non funziona la pretesa del diritto
penale di sindacare, attraverso il giudizio sul dolo, sulla colpa, etc., il
foro interno delle persone.

Si noti che, storicamente, tale requisito di responsabilit e


colpevolezza intendeva rappresentare un progresso, nel senso che, in
mancanza di mens rea, limputato non avrebbe potuto essere
considerato colpevole e condannato. In realt c da chiedersi oggi chi
sia quelluomo in grado di sindacare la mente altrui, la mens rea altrui,
se non un dio!
A ben vedere, dovremmo invece, in presenza di eettivo danno,
ricondurre listituto del reato a quello di mero illecito civile, a
prescindere da ogni valutazione di foro interno, sulla base del
semplice nesso tra condotta come causa e danno come eetto, con
conseguente semplice risarcimento del danno. Il che appunto suppone
che danno davvero vi sia. Come abbiamo pi volte notato, inoltre, non
pu non sottolinearsi il carattere intrinsecamente discriminatorio del
diritto penale, fondato sullazione ociale, mentre nel caso dellillecito
civile sarebbe il danneggiato ad auto-selezionarsi e a pretendere
indennizzo o risarcimento.
Del resto, nel diritto penale si pretende, come rilev Alf Ross, che il
cittadino introietti il signicato di riprovazione morale della pena. In
altri termini, si tratta di un settore del diritto non laico, come dimostr
nel medioevo il passaggio dal modello Rotari al modello
Liutprando.
Sia consentito unulteriore ordine di considerazioni.
a) Recenti pronunce (caso Cucchi, caso Commissione grandi rischi
dellAquila, caso Saviano, caso eternit) dimostrano come il riporre
ducia nel giudizio penale come strumento di soluzione di gravi
problemi sociali non ha fondamento, dato il vincolo subito dallo stesso
al principio di verit processuale, che non ha nulla a che vedere con
la verit reale, anche per lincidenza, oltre che degli elementi
probatori, di quelli attinenti allelemento soggettivo del reato;
b) Per contro, da parte di molti si insiste nellutilizzare il processo
penale, incentivando il protagonismo politico di molti giudici, proprio
per acquisire informazioni reali su importanti vicende, altrimenti
inaccessibili in quanto appartenenti agli arcana imperii. Si pensi alla
denuncia rivolta contro i contraenti del Patto del Nazareno,
presentata da esponenti del Movimento 5 Stelle, al dichiarato scopo
di conoscere il contenuto di quel patto. Ovvero si pensi al processo
sulla questione della compravendita di voti parlamentari per far
cadere lallora governo Prodi. Tutte vicende di dicile congurazione
penalistica, ma che approttano dellinadeguatezza o totale assenza
di altri strumenti di controllo forniti dallordinamento, caricando il
processo penale di elementi politico-sociologici del tutto impropri.
Un cenno, inne, alla questione della brutalit della polizia. Anche a
tale proposito possiamo vantare esperienza personale, ma non

vogliamo farcene condizionare. Preferiamo restare su considerazioni di


carattere generale.
La funzione istituzionale delle forze di polizia dovrebbe essere, salvo
errore, il portare la legge a esecuzione. Ma che cos la legge in uno
Stato di diritto moderno? Per rispondere, occorre riferirsi alla
cosiddetta gerarchia delle fonti.
Nella gerarchia delle fonti, al primo posto vengono le dichiarazioni dei
diritti delluomo e del cittadino, i trattati internazionali, le costituzioni,
e poi le leggi, e via via le sentenze, i provvedimenti amministrativi,
etc. Dovremmo allora arguire che, quando vediamo plotoni di poliziotti
per le strade muniti di manganelli, manette, caschi integrali,
mitragliette e scudi di protezione, essi stiano in tal modo facendo
rispettare dichiarazioni dei diritti delluomo e del cittadino, i trattati
internazionali, le costituzioni, e poi le leggi, e via via le sentenze, i
provvedimenti amministrativi, etc!
Sembra un paradosso, ma dovrebbe essere cos. Le forze di polizia
appaiono oggi strumenti consustanzialmente inidonei alle esigenze
dello Stato di diritto correttamente intese. Esse tutelano un ordine
pubblico cocnepito del tutto astticamente, con sentenze passate in
giudicato di loro conio, come quella volta che, come abbiamo
riscontrato in una trasmissione televisiva, vigili urbani si aggiravano
tra le prostitute di strada per misurare a spanne il rispetto da parte
loro del comune senso del pudore, valutando i centimetri delle loro
gonne e gli eventuali reggicalze. Come se una non prostituta che stia
semplicemente aspettando lautobus non potesse indossare siatte
vestimenta, e come se prostituta fosse nozione con un senso
purchessia (sul che torneremo tra non molto).

B. La Corte Penale Internazionale

I radicali, in particolare Emma Bonino, hanno ricoperto un ruolo


importante nellideazione e nel compimento della Corte Penale
Internazionale, volta a perseguire i crimini di guerra, i crimini contro
lumanit e il genocidio. Diciamo subito che a tale proposito non
intendiamo fare valere le nostre radicali riserve nei confronti del diritto
penale.
Esse valgono per il comune cittadino, non per gli uomini di potere
coinvolti in crimini mostruosi, con riferimento ai quali non necessario
alcun giudizio sul foro interno per accertare la colpevolezza. Sappiamo

che Hitler, Stalin, Mao e Pol Pot erano dei massacratori di popoli, pur in
assenza di alcun giusto processo.
E tutto si pu contestare a Gaetano Bresci, si pu ben essere contro la
propaganda del fatto in nome della nonviolenza, ma non imputargli di
non aver debitamente accertato la responsabilit di Umberto I negli eccidi
di Bava Beccaris, che si presume iuris et de iure.
In altri termini, consideriamo le corti internazionali di giustizia come
strumenti volti a procedimentalizzare e mitigare il tirannicidio, ferma
restando la legittimit, in linea di astratta teoria, di questultimo.
Per entrare pi
nel dettaglio di
questa delicata
materia,
contrappunteremo un testo francamente irritante, La giustizia dei
vincitori Da Norimberga a Baghdad, di Danilo Zolo, losofo del diritto,
gi demoproletario approdato alne a posizioni oggettivamente
reazionarie.
Zolo muove dichiarandosi un osservatore realistico delle relazioni
internazionali e, su tale base, si fa promotore di una denuncia della
giustizia dei vincitori, che sarebbe iniziata con Norimberga e sarebbe
proseguita no ai Tribunali ad hoc jugoslavi, del Ruanda, etc.
In particolare, Zolo critica lestensione agli individui della soggettivit
internazionale, e conduce una polemica contro lideologia occidentale dei
diritti delluomo, che minerebbe le sovranit statuali e che verrebbe
imposta con la forza a Paesi di cultura diversa, pi attenti ai diritti
collettivi e a relazioni di altro genere che quelle fondate sui diritti
soggettivi e sulla libert negativa.
Per contro, Zolo lamenta che i tribunali ad hoc, espressione della giustizia
dei vincitori, non avrebbero rispettato i principi dellhabeas corpus e del
rule of law, sorando appena per la questione della Corte Penale, che,
non avendo ottenuto la ratica degli U.S.A., non si presta evidentemente
a una tale censura.
Zolo ha buon gioco solo quando denuncia gli orrori della guerra, ma, da
buon realista politico, dovrebbe anche dirci quale sia lalternativa in certi
casi, dato che egli semplicemente irride al pacismo kantiano e
kelseniano, ritenuto di scarso interesse politico e teorico (!), e dato che
egli giustica il terrorismo, ritenendo importante comprenderne le
ragioni, per eliminare il quale non ci sarebbe altra strada che proporre il
suicidio delloccidente cattivo.
Opponiamo quanto segue:
a. E vero che il processo di Norimberga costituisce un esempio di
giustizia dei vincitori, come tale stigmatizzato dallo stesso Kelsen,
ma il suo fondamento di giusticazione consisteva nel fatto che i
processati fossero gli aggressori. E questo un importante

precedente, recepito dallo Statuto della Corte Penale, anche se


subordinato a successivi adempimenti;
b. Quanto allestensione della soggettivit internazionale agli individui,
essa, che trova un precedente antico nelle teorizzazioni del Mancini,
va salutata come un fatto positivo, rispettoso dellindividualismo
metodologico, essendo gli Stati nulla pi che aggregati di individui,
sicch le aggressioni imputate agli Stati vanno pi esattamente
congurate come aggressioni perpetrate da singoli individui (Hitler,
Stalin, etc., erano singoli individui, sia pure organizzativamente
supportati); e la responsabilit penale non forse per denizione
personale?
c. Quanto ai diritti umani, Zolo sorprendente. Noi non siamo fautori
della superiorit delloccidente tout court. Non ignoriamo che la
cultura della tolleranza, come ricorda sempre Amartya Sen, aonda le
proprie radici nelle antiche religioni orientali, e che nello stesso
Corano (Sura 2, versetto 62) si dice che anche ebrei e cristiani
potranno trovare salvezza, se credono in Dio e/o se compiono buone
opere (e si deve ritenere che i sedicenti fondamentalisti islamici non
sappiano leggere). Tuttavia non crediamo ci si debba vergognare se,
nella modernit, in Locke, in Hume, in Jeerson, in Mill che possiamo
trovare i nostri progenitori. Il problema semmai che loccidente non
sempre ha rispettato e fatto valere, come nellimperialismo, i propri
sacrosanti principi.
Ci che sorprendente, in particolare, che Zolo continui a parlare di
imperialismo occidentale per quanto riguarda i diritti umani, della loro
pretesa di universalizzazione, ignorando o ngendo di ignorare (vi allude
in un momento, per verit) che essi sono previsti dalla Carta dellO.N.U.,
e quindi sottoscritti da tutte le nazioni. Che poi tali diritti intacchino il
mito della sovranit nazionale fatto solo positivissimo, almeno alla luce
dei nostri principi libertari.
Come detto, limpagabile Zolo contrappone ai diritti umani altri valori di
altre aeree geograche, che sarebbero nientedimeno che lordine,
larmonia sociale, il rispetto dellautorit, la famiglia! E stiamo parlando
di un estremista di sinistra! Bella ne hanno fatto costoro, pur di
difendere la Cina odierna. E infatti Zolo si compiace di sottolinear e che
molti paesi dellAmerica Latina (anche loro bella roba!) e dellAsia, con in
testa la Cina, hanno rivendicato la priorit dello sviluppo economicosociale, della lotta contro la povert, etc. E c chi ci crede! Comunque,
quandanche vi fosse sincerit in tali parole, non pare abbia senso
contrapporre i diritti umani allo sviluppo economico e alla lotta contro la
povert, potendo le varie cose andare di pari passo.
Zolo, poi, indefesso, contrappone ai diritti individuali, che secondo i
liberali sarebbero gli unici universalizzabili, i diritti collettivi. Quali
sarebbero questi diritti collettivi? Il diritto di praticare la propria religione,

il diritto di disporre di risorse naturali, il diritto di parlare la propria lingua,


i diritti delle donne, i diritti dei fanciulli.
La rozzezza di Zolo senza pari. E a tutti evidente, infatti, che siatti
diritti collettivi sono perfettamente riconducibili a diritti individuali:
ognuno ha diritto di praticare la propria religione, di parlare la propria
lingua, ogni donna e ogni fanciullo non sono altro che individui, anche
disporre di risorse naturali attivit riconducibile alliniziativa individuale.
Se cos non fosse, anche i pretesamente contrapposti diritti individuali
sarebbero collettivi, sarebbe del collettivo il diritto di esprimere il
proprio pensiero, tanto pi il diritto di associarsi, e cos via. Insomma,
Zolo totalmente ignorante del dibattito attorno alle teorie
dellindividualismo metodologico, in altri termini semplicemente un
illiberale.
d. Zolo addirittura comico, nel senso che non conosce vergogna e
senso del ridicolo, quando imputa ai tribunali ad hoc di non essere
stati rispettosi dellhabeas corpus e del rule of law, del principio
nullum crimen, nulla pena sine lege, come se non si trattasse di
principi elaborati dal crudele occidente, che egli, mantenuto dai
contribuenti dello stesso, aborrisce. Naturalmente non pu dire
altrettanto della Corte Penale, e infatti Zolo quasi non ne parla.
Ripetiamo che a questultima non pu imputarsi di essere espressione
di giustizia dei forti, tant vero che gli U.S.A. non lhanno raticata.
e. Zolo, professandosi realista, aerma che bisogna comprendere la
ragioni del terrorismo, e forse pu darsi che su questo non abbia tutti
i torti: se il terrorismo c, un qualche motivo vi sar. Ma egli lo
ravvisa solo nella questione delloppressione del popolo palestinese,
non menzionando per mai il fatto che Israele uno scoglio
(democratico o quasi) in un oceano di Stati autoritari che ne auspicano
la distruzione, sicch, sempre da buon realista, egli dovrebbe anche
fornire a Israele indicazioni di condotta che abbiano un senso,
appunto, realistico, data la situazione.
f.

Invece che cosa propone Zolo, come soluzione a tutti i problemi di


disagio internazionale? Che loccidente si suicidi, questo cattivo
occidente che pretende di imporre a tutti luniversalizzazione dei diritti
umani fondamentali: Occorrerebbe liberare il mondo dal dominio
economico, politico e militare degli Stati Uniti e dei loro pi stretti
alleati europei. La fonte prima, anche se non esclusiva (sia grazia.
N.D.R.) del terrorismo internazionale infatti lo strapotere dei nuovi
civilissimi cannibali bianchi, cristiani, occidentali. E tutto ci
realistico, oltre che sensato? Mah!

g. Si diceva che Zolo ha buon gioco solo quando denuncia lorrore della
guerra e la facilit con cui gli U.S.A. vi ricorrono, anche sulla base di
legittimazioni teoriche come quella di Ignatie, che dopo aver fornito
una teorizzazione esemplare dei diritti umani e delluniversalizzabilit

della sola libert negativa (anche se noi tendiamo a superare la


dicotomia libert negativa/libert positiva, con la teorizzazione che
forniamo della rendita di esistenza), giustica su tale base la guerra
cosiddetta umanitaria. E in eetti su questo che si gioca la sda, per
venire alle cose piccole, anche per i radicali: elaborare una dottrina e
una pratica della nonviolenza, che sia alternativa alle dottrine
guerrafondaie, da porre a fondamento dei diritti umani pace Zolouniversali. Si tratta di sda non da poco, messa duramente alla prova
da vicende del tipo Isis, ma che la pi grande che ci troviamo oggi
davanti.

C. Droga

Come si sa e come si detto, in materia di droghe i radicali sono da


sempre su posizioni antiproibizioniste (anzi, essi considerano
lantiproibizionismo
un
approccio
universale,
e
parlano
di
antiproibizionismo su tutto). Anche in tale settore essi hanno ottenuto
alcuni importanti successi, in particolare (gi dopo la fumata pubblica di
Pannella del 1975) sul terreno della depenalizzazione del consumo
personale, poi rinnegata dalla famigerata legge Iervolino-Vassalli, e poi
ripristinata da un brillante referendum popolare radicale, brillante nel
senso che lesito non era dato per nulla per scontato. Poi intervenuta la
Fini-Giovanardi, che ha complicato ulteriormente le cose, salva
susseguente sentenza della Corte Costituzionale, che ne ha consacrato
linvalidit per motivi formali.
Insomma, come diceva Popper, passare la vita a risolvere problemi! Ma
proprio per questo bisogna cercare di risolverli su basi teoriche il pi
possibile solide.
Pannella, com noto, sostiene la legalizzazione delle droghe, non la
loro liberalizzazione. Anzi, sostiene che le due proposte sarebbero luna
lopposto dellaltro, in quanto la droga sarebbe oggi di gi libera, in
quanto rinvenibile a qualunque ora del giorno e della notte. Si vorrebbe
dire a Pannella di circondarsi meno di avvocati penalisti e pi di
economisti, magari ripristinando lantico rapporto con Antonio Martino!
Finch si tratta di un espediente retorico, volto ad acquisire consenso
presso lopinione pubblica moderata, stia bene linvocare la
legalizzazione, ma il rischio che a forza di ricorrere a quellespediente
si nisca con il crederci veramente; e non si dica per favore che la droga
sarebbe oggi di gi libera! A parte il fatto che liberalizzazione non
una parolaccia (persino lon. Bersani ha liberalizzato, quandera
ministro, alcune licenze commerciali); e a parte il fatto che, nel nostro

sistema, liberalizzare comporterebbe sicuramente lintroduzione di alcune


regole, occorre considerare che, sempre nel nostro sistema, a invocare
regole non si sa dove si nisce, data la tendenza minuziosa del legislatore
al riguardo; e a parte ancora il fatto che, se si antiproibizionisti su
tutto in quanto convinti che una proibizione crea pi danni di quanti ne
elimini, bisogna anche comprendere che regolamentare comporta una
certa dose di proibizione, quindi una certa quota di male; a parte tutto
ci, oggi la droga tuttaltro che libera.
Ne sar libera loerta da parte dei cartelli maosi, ma non libera la
domanda. Il consumatore sopporta costi di monopolio, costi da
clandestinit, il rischio di sanzioni (oggi il ritiro della patente e del
passaporto), e cos via.
Del resto, se sussistesse un trasparente e non opaco mercato
concorrenziale delle droghe, si aprirebbe lo spazio per lintervento di
associazioni di consumatori, che vigilerebbero sulla qualit del prodotto, il
che oggi non avviene, per cui della situazione attuale tutto si pu dire,
meno che le droghe siano immerse in un mercato davvero libero:
sostenere il contrario sollecita dubbi sul fatto che Pannella e i suoi pi
stretti seguaci siano veramente consapevoli di che cosa sia e di come
funzioni uneconomia di mercato, sicch auspichiamo una revisione in
senso radicalmente libertario e non statalistico delle premesse
dellazione, in s sempre meritoria, al riguardo.

D. Prostituzione

Sulla prostituzione i radicali non hanno n qui condotto battaglie


speciche particolarmente intense; si dionde per nellambiente, e non
da oggi, la tendenza a chiederne a sua volta la legalizzazione. In realt
qui c poco da legalizzare, a parte labolizione del reato di
adescamento.
Valgono qui, a maggior ragione, le considerazioni svolte a proposito della
droga. A maggior ragione, si diceva. Infatti, come abbiamo gi sostenuto
in vari precedenti scritti, la prostituzione in realt uno pseudoconcetto che unisce arbitrariamente il fatto dellatto sessuale (ma che
cos un atto sessuale? Lo il ricoprirsi di cioccolata, come faceva per i
clienti Angela Finocchiaro in un lm di Maurizio Nichetti?) con il fatto
della corresponsione di utilit, insomma lo stigma deriverebbe dallo
scambio. Ma, come ha gi notato Walter Block, tutte le attivit umane
consistono normalmente in scambi, sicch inventarsi il fatto
istituzionale prostituzione proprio con riferimento al sesso, si deve in
realt a una mentalit sessuofobica, dura a morire, perch a rigore

dovremmo
denire
prostituzione
comportamento e una data utilit.

qualsiasi

scambio

tra

un

Si dir che la prostituzione in senso stretto riguarda un comportamento


molto intimo, ossia luso diretto del corpo e la confusione di questo con
un corpo altrui. Ma proprio tale considerazione suggerisce che si deve
osteggiare qualsiasi regolamentazione della prostituzione, men che
meno la relativa tassazione, proprio perch si tratta di un libero uso del
corpo! Nessuno di noi accetterebbe una legge (altra cosa la morale
religiosa), che ci dicesse che cosa possiamo o non possiamo fare con il
nostro corpo in unione con adulti consenzienti, men che meno che tale
comportamento sia tassato!
Si dir ancora che una prostituta o un prostituto vanno con molte
persone, e che quindi ci deve trovare risposta sul piano della
prevenzione sanitaria. Rispondiamo che quello quantitativo non pu
essere un valido criterio di dierenziazione, dato che conosciamo persone
che hanno molti rapporti sessuali indipendentemente dalla professione
che svolgono. Sicch la legge dovrebbe disciplinare i rapporti di tutti
coloro i quali ne hanno molti! Immaginiamo lintrusivit di una simile
normazione, e certamente la consideriamo indesiderabile.
Daltra parte, se si vuole ravvisare il proprium della prostituzione nella
natura economica dello scambio, agevole opporre che anche nel
matrimonio ci avviene sovente. Gary Becker ha elaborato in proposito
una vera e propria economia del matrimonio, fornendone una
rappresentazione in termini analoghi a quelli che ha unimpresa secondo
Ronald Coase: in altre parole, unorganizzazione volta a limitare i costi di
transazione.
Sostiene Becker che molti dei servizi e beneci che si hanno nel
matrimonio possono essere reperiti nel libero mercato: appagamento
sessuale, pulizia della casa, nutrimento necessario: il matrimonio te li
mette a disposizione senza bisogno di cercarli altrove, ma tutto ci ha
evidentemente un costo iniziale e di mantenimento. Becker fa eccezione
per i gli, che non si potrebbero trovare sul mercato, e per il sentimento
dellamore. Si resta stupefatti, dato che uno pu ben avere gli fuori del
matrimonio, e innamorarsi, perch no, di una prostituta (dobbiamo
ricordare Pretty Woman?).
Problema diverso sarebbe quello delleventuale legalizzazione del
cosiddetto sfruttamento della prostituzione. In tal caso si tratterebbe
probabilmente di unattivit imprenditoriale, essa s, forse, da
assoggettarsi a tassazione, a meno che tra il ruano e la prostituta
cosiddetta non vi sia rapporto aettivo. Comunque sul punto
sospendiamo il giudizio.

E. Matrimonio egualitario

Ha suscitato qualche malumore la recente presa di posizione di Pannella,


che si detto favorevole alle unioni civili tra persone dello stesso sesso,
ma contrario al matrimonio omosessuale, che ora si preferisce denire
matrimonio egualitario.
Sbaglierebbe per chi ritenesse, maliziosamente, che tale presa di
posizione sia frutto del recente e controverso irt, che talora appare
unilaterale, tra Pannella e Papa Bergoglio. In realt Pannella sempre
stato contrario al matrimonio omosessuale.
Ricordiamo in proposito un antico dibattito tra Pannella stesso e il
compianto Paolo Pietrosanti. Questultimo sosteneva animatamente che il
matrimonio era ed lunico negozio giuridico in cui sia rilevante il sesso
dei contraenti (ad esempio, non rilevante, a Federico Fellini piacendo, il
sesso della tabaccaia). Pannella ribatteva che il matrimonio concetto
e istituto storicamente connotato, e che per i gay si sarebbe dovuto
inventare qualcosa di diverso. Pannella sottolineava che matrimonio
viene da mater, e che quindi listituto mal si attagliava a una coppia
omosessuale.
Largomento prova troppo. A parte il fatto che Pannella ci ha insegnato
che la natura storia e cultura, e quindi anche le parole possono
evolversi nel signicato, se matrimonio viene da mater, patrimonio
viene da pater, e quindi, a rigore pannelliano, non dovrebbero darsi
patrimoni in mani femminili o sterili, cos come gli sterili non potrebbero
sposarsi.
Aggiungasi che, ribaltando paradossalmente laermazione costante dei
cattolici contrari, secondo i quali lart. 29 della Costituzione sarebbe
preclusivo di qualsiasi riconoscimento della coppia omosessuale,
proprio lart. 29 a imporre viceversa il matrimonio tra omosessuali, pena
la disparit di trattamento e la violazione del principio di uguaglianza,
almeno una volta che si ammetta che anche quella tra omosessuali pu
essere una famiglia. Sicch, se non ci penser il legislatore, si arriver
probabilmente al matrimonio egualitario per via di giurisprudenza
costituzionale.
Tuttavia, qualche volta capita che Pannella rischi di avere ragione anche
quando sbaglia.
Quando egli rileva che il matrimonio storicamente connotato, non erra
di sicuro, ma questo non solo per gli omosessuali, ma per tutti. Si vedano
le considerazioni svolte a proposito di quellorganizzazione monogamica

che il matrimonio per Gary Becker. Il vero problema, a questo punto, il


carattere statalistico, e di diritto pubblico, del matrimonio.
Bisogna de-nazionalizzare il matrimonio, riportandolo nel diritto privato,
e riducendolo, per omosessuali e non, a mero contratto tra individui.
A questo punto si risolverebbe anche il problema della poligamia e della
poliandria, posto, almeno il primo, dalle ondate immigratorie. Se tutto
ricondotto a libero contratto, e non a convenzione pubblicistica, nulla
osta a che stipulino un uomo e quattro donne, tre donne e sette uomini,
cinque uomini tra loro, e cos via.

F. Immigrazione
In materia di immigrazione, i radicali hanno raccolto rme per due
referendum di carattere ampliativo, ma in numero insuciente.
Si tratta certo di materia delicata, nella quale le pulsioni conservatrici e
reazionarie sono non solo vellicate dai vari Matteo Salvini, ma purtroppo
spontanee, e diuse in tutto il mondo. Gli U.S.A. sono da sempre nazione
di immigrati, ma anche da loro si sono aermate politiche restrittive,
almeno no ai recenti provvedimenti di Obama, anche se, come ricorda
David Friedman, ai piedi della Statua della Libert sono da sempre incise
parole immortali di accoglienza al riguardo.
Certo, il buonismo alla Boldrini non aiuta, anzi spesso
controproducente, data anche il tono spesso di supponenza della cattedra
di provenienza. Quel che occorrerebbe fare sarebbe invece piuttosto di
convincerci e convincere che limmigrazione conviene.
Non siamo specialisti
considerazioni:

della

materia,

quindi

ci

limitiamo

due

a. Limmigrazione aumenta la concorrenza economica. Si pensi ai


commercianti cosiddetti abusivi, alla capacit dei cinesi di introdursi in
tutti
i
gangli
delleconomia
a
prezzi
stracciati,
dalla
prostituzione (ottimo rapporto qualit/prezzo, a quanto si dice), ai
negozi di parrucchiere, ai nails shops, al tessile, nella ristorazione, etc.
Si pensi ai servizi alla persona, agli anziani (rumene, sudamericane) al
lavoro domestico dei lippini, e cos via.
b. Limmigrazione aumenta la concorrenza giuridica. Ogni gruppo etnico
si fa infatti portatore di un proprio sistema di vita, di un proprio
sistema di valori, in una rete di solidariet interna al gruppo, in
denitiva, di un proprio ordinamento giuridico in concorrenza con gli
altri, e ci molto procuo in vista della messa in discussione della
vecchia idea di monopolio territoriale del potere e del diritto. Si pensi
in particolare ai Rom, presenti con il proprio ordinamento personale in
tutti i paesi dEuropa. La sda che, come si anticipato, siatto

multiculturalismo trovi conciliazione in un meta-quadro giuridico


liberale che consenta la co-possibilit e coesistenza di tutti gli
ordinamenti particolari.
Naturalmente, per convincersi che tutto ci sia utile, bisogna gi
essere convinti che sia utile la concorrenza. Sicch la battaglia delle
idee si viene a collocare a un livello pi elevato e forse pi tecnico di
discussione.
G. Eutanasia

Lasciamo per ultima leutanasia, non perch sia poco importante, ma in


quanto tema poco controverso in casa radicale. Al contrario, si tratta di
tema centrale, al punto di poter divenire nei prossimi anni lequivalente di
quello che fu laborto negli anni 70: in entrambi i casi si tratta di
questione di antiproibizionismo, dato che siamo convinti che leutanasia
clandestina dilaghi, anche per cognizione diretta, al tempo della dipartita
della madre di chi scrive.
Si tratta, sempre in entrambi i casi, di questione aerente la libert
fondamentale del corpo, che pone linterrogativo su chi sia il proprietario
del nostro corpo.
In eetti, le argomentazioni dei contrari ci sfuggono, nella loro pochezza.
Quando un malato terminale, in preda al dolore e/o allo sconforto, o
quando qualcuno in vista di diventarlo lascia il proprio testamento
biologico (living will), chiedendo che la propria infelice vita sia interrotta,
non si comprende proprio chi possa essere abilitato a opporre la propria
volont alla sua.
I cattolici contrari non possono che opporre la rassegnazione al dolore,
come Maria Teresa di Calcutta che riutava la morna ai malati (e come
oggi si riuta irragionevolmente la cannabis terapeutica), ma questo sar
un problema loro, che non si vede come imporre ai refrattari.
Tra i radicali, in tale campo particolarmente impegnata lAssociazione
Luca Coscioni. Sicch non ci resta che chiudere augurandole di vincere,
nei prossimi, speriamo pochi, anni, questa fondamentale battaglia.

CONCLUSIONE

Quale futuro per i radicali

Giunti alla ne di questa rassegna, solo poco parole sul futuro dei radicali,
dopo che, dal nostro punto di vista, si gi detto tutto quello che
avevamo da dire, sia in termini di analisi economica, sia in termini di
analisi giuridica (sempre che abbia senso una tale distinzione).
Si gi alluso al recentissimo feeling tra Marco Pannella e Papa
Francesco, o almeno del primo verso il secondo, dato che resta ancora da
vedere quanto questo amore egualitario sia ricambiato.
Alcuni ultimi accenni (proprio su aborto e eutanasia) non lasciano ben
sperare, daltra parte sarebbe folle aspettarsi radicali revirement da parte
di unOrganizzazione millenaria, che normalmente ci mette secoli a
mutare opinione sui temi fondamentali. Basta pensare al ruolo della
donna allinterno della Chiesa, che ancora quello di mille anni fa.
Con ci non si vuole negare che qualche innovazione Francesco la stia
introducendo, trovando anche critici che sono arrivati a dire che se
Pannella si avvicinato al Papa non perch il primo si sia convertito, ma
perch sarebbe il secondo ad essersi secolarizzato (pensiamo ad
Antonio Socci).
Tuttavia, al posto di Pannella, lasceremmo che il Papa segua in libert il
proprio tentativo (che n qui ha dato i suoi frutti pi appariscenti in
materia di giustizia penale), e cercheremmo sbocchi altrove.
A nostro avviso, i radicali dovrebbero ulteriormente laicizzarsi, non il
contrario. In questa societ secolare, se ci si vuole rivolgere alle nuove
generazioni metropolitane (quelle degli happy hour, per intenderci) e
fare concorrenza alla declinante demagogia del Movimento 5 Stelle,
occorre dare di s limmagine, corrispondente a uneettiva identit, di
partito della modernit e della libert individuale, quindi dellantistatalismo a tutto campo.
Per quanto ci riguarda, proporremmo di partire chiedendo labbassamento
della maggiore et a 16 anni: in fondo, il diritto di voto ai diciottenni
risale ormai a quarantanni fa, e quindi, se si considerano i cambiamenti
sociali intervenuti, i tempi appaiono maturi per una simile riforma.

Insomma, in denitiva, meno misticismo e pi pragmatismo, ma


accompagnando
questultimo
con
un
costante
aggiornamento
dellelaborazione teorica; il che mancato, in questi anni, tra i radicali,
delegandosi a Pannella unincessante ed aannosa ricerca, sempre
connessa alle singole battaglie, che di rado ha trovato occasioni di ampio
respiro (ne abbiamo ravvisata una nel famoso Preambolo, redatto ai
tempi della lotta contro lo sterminio per fame nel mondo, e di cui
abbiamo pur posto quelli che sono, dal nostro punto di vista, i suoi limiti
in termini di dottrina del diritto).
Quindi coniugare teoria e prassi, avendo sempre a riferimento i settori pi
dinamici della realt sociale, i loro bisogni, i loro desideri, la loro spinta
innovativa, che il renzismo a parole dichiara di voler rappresentare.
Riteniamo, in conclusione, che lo spazio da coprire sia enorme. Certo,
per (ripetiamo), con una tessera del costo di centinaia di euro

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