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INTRODUZIONE

In epoche diverse e presso differenti civilt, per sedare


il paziente e renderlo insensibile al dolore prima di pratica-
re interventi chirurgici, si ricorreva a metodi empirici prati-
cati attraverso luso di piante medicinali con propriet ane-
stetiche, narcotiche ed analgesiche. Con esse si preparava-
no unguenti, pozioni, pillole, miscele da inalare e medica-
menti vari; una delle preparazioni pi utilizzate era la spon-
gia soporifera.
In questo contributo, gli autori riferiscono notizie sulle
piante anestetiche e narcotiche del passato e si soffermano
in particolar modo su quelle utilizzate per la preparazione
della ricordata spongia soporifera.
METODO DI STUDIO
Lo studio stato condotto attraverso una mirata indagi-
ne bibliografica attraverso cui stato possibile reperire
informazioni sulle piante note e adoperate, in passato, per le
loro propriet soporifere ed analgesiche. Le entit in ogget-
to sono state esaminate sotto il profilo storico, botanico,
chimico e farmaco-tossicologico. Per la nomenclatura e la
descrizione botanica, si fatto riferimento, alla Flora
dItalia di PIGNATTI (1982), tranne per qualche aggiorna-
mento; per la distribuzione geografica alla Nuova Flora
Analitica dItalia di FIORI (1969) e alla Flora Europaea
di TUTIN & al. (1964-1980). Per quanto riguarda tutte le
altre informazioni, si riportano, tra parentesi, nel testo, i
riferimenti bibliografici.
PIANTE ANESTETICHE ED ANALGESICHE DEL PASSATO
Tra i rimedi anestesiologici del passato, il pi conosciu-
to ed utilizzato la spongia soporifera, una spugna di mare
imbevuta di decotti concentrati di piante medicinali.
Limpiego di tale preparazione risale alla pi remota anti-
chit; gi nel 3 secolo a.C. Ippocrate per dare il sonno ai
malati indicava luso di una spugna impregnata di oppio e
mandragora; Plinio consigliava bibitur ante sectiones
punctionesque ne sentiantur e cio: per non sentire il dolo-
re bere, prima di un intervento operatorio, una bevanda a
base di mandragora, oppio, infuso di papavero o di gius-
quiamo, somministrati puri o mescolati tra loro o con altre
sostanze (PENSO, 1985). Preparazioni analoghe venivano
utilizzate dai chirurghi medioevali; un rimedio soporifero
ad uso di chi doveva essere sottoposto ad un intervento chi-
rurgico, si trova in un codice pergamenaceo di materia
medica Anonymi varia excerta. Si tratta dellYpnoticum
adiutorum, una singolare ricetta, trascritta, in lingua latina,
da un ignoto amanuense di Montecassino, la cui traduzione
cos dice: si prendano mezza oncia di oppio tebaico, 8 di
succo di mandragora (tratto dalle foglie spremute), mezza
oncia di succo della verde Matala e di succo verde di gius-
quiamo; raccogli cos, per mezzo di una spugna essiccata,
ununica pasta e diligentemente lascia asciugare; e quando
vorrai farne uso immergila, per unora, in acqua calda e
avvicinala alle narici del paziente che assorbendo quella
essenza dormir a lungo e, quando lo vorrai risvegliare,
applicherai alle sue narici unaltra spugna imbevuta di aceto
caldo e potrai, cos, scacciare il sonno (BELLUCCI &
TIENGO, 2005). Nella prima met del XII secolo, con lav-
vento della Scuola Medica Salernitana, prima espressione
della rinascita medica in Italia, si distingue la figura di
Nicol Salernitanus, erroneamente chiamato Praepositus
per equivoco con il pi tardo Nicol Prevost (1500 circa). Il
suo Antidotarium (1140 circa) da considerarsi il pi
importante trattato di farmacologia e terapia medica delle-
poca, un perfetto ricettario, per medici e farmacisti del
tempo, elevato da Federico II a Farmacopea Ufficiale in
Quad. Bot. Amb. Appl., 21 (2010): 253-260.
Anestetici del passato: spongia soporifera
FRANCA LENTINI & FRANCESCA VENZA
Dipartimento di Scienze Botaniche dellUniversit degli Studi di Palermo, via Archirafi 88 90123 Palermo
ABSTRACT. Analgesic of the past: spongia soporifera In order to improve the knowledge of plants used in the past as
analgesic and anaesthetic, the authors refer in the current contribute to results coming from a bibliographical research car-
ried out on plants which constituted the ingredients of spongia soporifera, a preparation made of a see sponge together
with concentrated decoctions of medical plants. The authors analyse the species used for the preparation of spongia
soporifera, investigating them in historical, botanic, chemical, pharmacological and toxicological aspects.
Key words: history, analgesia, anaesthesia, medical plants.
tutta Europa. In esso troviamo la formula di una spongia
soporifera analoga a quella che compare nei codici cassine-
si del IX secolo, ma con laggiunta di more acerbe, semi di
lattuga, cicuta, succo di papavero e di edera. Una prepara-
zione analoga, ma semplificata, per lanestesia inalatoria
quella di Michele Scoto (1175-1223) che suggerisce di uti-
lizzare oppio, mandragora e giusquiamo in parti uguali,
pestate nel mortaio e mescolate con acqua. Al momento
dell amputazione o dellincisione, inzupparne uno straccio
e mettetelo sotto le narici del paziente. Unaltra formula la
Confectio soporis di Gilberto Angelico (1180-1250) a
base di oppio, giusquiamo, papavero, mandragora, edera,
more di rovo, lattuga e cuscuta, di cui imbevere una spugna.
Lo stesso consiglia, ma solo per uso orale: papavero, lattu-
ga ed oppio (BELLUCCI,1983). SANTONI RUGIU & SYKES
(2007), nel capitolo 6 Some Notes on Anaesthesia della
loro opera A Hystory of Plastic Surgery, fanno riferimen-
to a una spongia soporifera preparata ed usata da Ugo dei
Borgognoni e riportata nella Cyrurgia (1270) del figlio
Teodorico, monaco domenicano, abile ed innovatore chirur-
go. La ricetta di Teodorico viene considerata da BELLUCCI
(1983), una riesumazione di quella di Montecassino o di
quella di Nicol Salernitanus ma con laggiunta di succo di
coconidio e di semi di lapazio.
La ricetta cos recita: prendi oppio, succo di more acer-
be, giusquiamo, succo di coconidio, succo di foglie di man-
dragora, succo di edera, succo di mora silvestre, semi di lat-
tuga, semi di lapazio che ha delle bacche dure e ritonde e
cicuta nella quantit di un oncia per ciascuno dei suddetti.
Porre a rinvenire per unora sui vapori dellacqua bollente e
quindi applicarla sulle vie respiratorie del paziente che ne
aspira gli effluvi [et ipso abdormentato faciunt operatio-
nem]. Al fine di ottenere il risveglio viene usata unaltra
spugna imbevuta di aceto o direttamente si applica sulle
narici aceto o succo di finocchio o di ruta.
Arnhaldo da Villanova, alchimista del XIII secolo, sug-
geriva di tritare e poi mescolare con acqua, oppio, radici di
mandragora e giusquiamo in parti uguali, imbibire un panno
di questo liquido e applicarlo su naso e fronte del paziente
da amputare. Henry de Mandelville (1260-1320), per seda-
re dolori intollerabili adoperava questo stesso miscuglio.
Nella seconda met del 500 Gian Battista della Porta ide
alcune varianti della spongia soporifera che trasforma in
pomum somnificum, miscela di vari medicamenti, aroma-
tizzati con muschio, e posti in bussolette, scatolette di
piombo cribrate, da aprire e far fiutare al paziente. Giovanni
Andrea della Croce nel suo trattato sulla chirurgia del 1573,
afferma che solo se il dolore sar insopportabi-
lebisogna usare i Narcotici, li quali o rendono il senno
stupido o del tutto lo levano. Egli attribuisce ad un prepa-
rato: lolio rosato al calomelano, la propriet di lenire
ogni dolore. Un metodo empirico, ma rischioso e praticato
nelle marinerie dellepoca, era quello di introdurre nel retto
un grosso sigaro da cui derivava uno shock nicotinico di
violenza tale da consentire di operare in stato di assoluta
insensibilit. Paracelso (1493-1541), prescriveva libera-
mente loppio; altri illustri medici a lui contemporanei sug-
gerivano di aggiungere mandragora e giusquiamo per
indurre un sonno profondo simile alla morte (BELLUCCI &
TIENGO, 2005).
Luso di queste piante come ingredienti di preparazioni
anestetiche-analgesiche continua anche nei secoli successi-
vi, alternato con unanalgesia da freddo ottenuta da applica-
zioni perineali di ghiaccio o di neve. Successivamente, la
scoperta del protossido dazoto (1828), del cloroformio
(1831), delletere (1864), apre la strada allanestesia inala-
toria e lintroduzione in terapia dell aspirina (1894), dei
barbiturici (1903) e di altri medicamenti, modificano radi-
calmente lapproccio al dolore sia chirurgico che medico.
INGREDIENTI DELLA SPONGIA SOPORIFERA.
Ingredienti della spongia soporifera sono loppio, il
giusquiamo, la mandragora e talvolta anche la cicuta e/o le-
dera, la lattuga, il lapazio, il coconidio, la cuscuta, lerba
verde di Matala e le more. Loppio il latice disseccato che
sgorga dal frutto ancora immaturo del Papaver somniferum
L.
Come noto, questa una specie la cui tassonomia
risulta alquanto complessa; MOWAT & WALTERS, in TUTIN.
& al. (1964), descrivono per P. somniferum L., tre sottospe-
cie: P. somniferum subsp. somniferum, P. somniferum
subsp. songaricum Basil. e P. somniferum subsp. setigerum
(DC) Corb. PIGNATTI (1982), non riporta alcuna sottospecie
per P.somniferum e descrive P. setigerum DC. come specie
a se stante. Si tratta di piante coltivate dalluomo, da tempo
immemorabile, per cui, si registrano numerose variet e cul-
tivar. Per P. somniferum, infatti, vengono indicate due o pi
variet: P. somniferum var. album, coltivata in India, con
fiori e semi bianchi e capsule prive di pori di deiscenza; P.
somniferum var. nigrum, coltivata in Europa, di dimensioni
minori della variet album (5-8 dm) ma con maggiore quan-
tit di rami, di frutti e di fiori, con semi grigi e capsula pi
globosa che nella variet album; infine P. somniferum var.
glabrum, coltivata in Asia minore, con fiori rossi, semi neri
e capsule molto grosse (MAUGINI & al., 2006).
PAPAVERO
Questo nome nella spongia soporifera va riferito sia a
Papaver somniferum L. sia a P. setigerum DC.
Papaver somniferum L. (Papaveraceae).
Nomi volgari italiani: Papavero domestico, Papavero bian-
co o Papavero da oppio
Pianta erbacea annuale a fusto eretto, di 3-12 dm, subgabro. Ha
foglie cauline ovate o lanceolate, lunghe 7-12 dm, alla base alter-
ne, oblunghe amplessicauli; le inferiori pennatosette, le superiori
dentate cordato-auricolate. I fiori, solitari, grandi, hanno calice con
due sepali caduchi, corolla a quattro petali bianchi o roseo-viola-
cei, a seconda della cultivar, stami numerosi, ovario supero sor-
montato dallo stimma appiattito, sessile; frutto, una capsula porici-
da. Fiorisce in primavera-estate.
Coltivata fin dallantichit nella maggior parte dEuropa, ad
eccezione dellestremo nord, la specie diffusa nella regione
mediterranea. dove si spesso naturalizzata.
Papaver setigerum DC. (Papaveraceae)
Nome volgare italiano: Papavero setoloso
Pianta erbacea annuale, molto simile a Papaver somniferum
ma notevolmente pi gracile. Fiori, foglie e peduncoli con setole
allungate; foglie minori con la lamina pi stretta e lobi acuti, ter-
minanti con una setola; disco stimmatico con 5-8 raggi; capsula 4-
5 cm. Fiorisce in primavera-estate.
Lareale della specie comprende la regione mediterranea. In
Italia comune lungo le coste occidentali dalla Liguria alla
Calabria, in Sardegna e in Sicilia.
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Come risulta da antichi reperti di 4000 anni fa, luso del
papavero come antidolorifico e sonnifero risale alla preisto-
ria. Gli Assiri facevano ogni giorno uso del papavero e lo
chiamavano pianta della gioia; Egizi e Greci lo utilizzavano
sia a scopo curativo che voluttuario. Il fiore del papavero era
sacro a Demetra, ad Afrodite, al dio della morte Thanatos e
al dio del sonno Hypnos o Morpheus che viene raffigurato
sempre con lo stelo o le teste di papavero in mano; anche la
dea Cerere in molte raffigurazioni attorniata da teste di
papavero che pare abbia utilizzato per alleviare il dolore
provocatole dal rapimento della figlia Proserpina. Del papa-
vero si utilizzava soprattutto loppio. Dioscoride descrive,
in un testo del 1 secolo dopo Cristo, il modo con cui lop-
pio doveva esser preparato per essere poi consumato duran-
te riti magici e religiosi; loppio non veniva mai assunto
puro ma sempre mescolato con altre sostanze per attenuare
gli spiacevoli effetti secondari, soprattutto la costipazione.
Anche Omero fa riferimento a questo succo che entra nella
composizione del nepente una bevanda a base di polvere
di foglie e fiori di canapa, oppio, noce di areca, spezie e zuc-
chero, bevuto dagli eroi dellIliade prima della presa di
Troia, per rafforzare il coraggio. Tale miscela veniva usata
e prescritta anche per sconfiggere il cattivo umore e gli stati
ipocondriaci, oltre che per provocare estasi afrodisiache, per
tranquillizzare e per disinibire. Nella prima met del XIX
secolo venne introdotta in Europa una formulazione nota
come pillole della felicit o nepente, cos chiamata con rife-
rimento alla bevanda delloblio del periodo omerico
(LEWIN, 1993).
Il papavero sonnifero fu conosciuto in Cina a partire dal
VIII secolo ed utilizzato sotto forma di decotto contro i
dolori addominali e linsonnia; loppio veniva fumato a
scopo voluttuario prima di una avventura erotica allo scopo
di intensificare la sensualit e le percezioni sensoriali. In
Turchia vi era grande passione per loppio e se ne faceva
largo uso sia in tempo di pace, a scopo voluttuario, che in
tempo di guerra, per generare il coraggio e per affrontare
meglio il dolore delle ferite (LEWIN,1993).
In Europa, nei secoli XVIII e XIX, per curare listeria i
medici somministravano alle giovinette il laudano, una pre-
parazione farmaceutica consistente nella macerazione in
acqua ed alcool di una miscela di polvere di oppio, zaffera-
no, cannella e chiodi di garofano. Esso risulta contenere l1
% di morfina da cui derivano principalmente le propriet
antispastiche per le quali era considerato una vera panacea.
Loppio ebbe ed ha influenze enormi nella vita dei popo-
li. Un esempio importante la guerra scoppiata in Cina nel
1839 e conclusasi nel 1842 e che proprio dalloppio prende
il nome.
Loppio si presenta come un impasto gommoso di colo-
re grigiastro o nerastro scuro a seconda del metodo di rac-
colta e del processo di essiccazione. Contiene circa 40 alca-
loidi; inoltre flavonoidi (kaempferolo), antocianidine (pelar-
gonidina), acidi aromatici (caffeico, ferulico, ecc.), tannini,
sali minerali, resine, gomme, enzimi (catalasi, perossidasi,
ecc.). Gli alcaloidi variano nella quantit del 10-20%; a
seconda dellorigine delloppio; i pi importanti sono: mor-
fina, il suo principale ed abbondante costituente (4-21%,
generalmente il 12%), codeina, tebaina, papaverina, narcei-
na, narcotina. Loppio possiede propriet analgesiche nar-
cotiche come la morfina, Responsabile dellanalgesia la
morfina le cui dosi terapeutiche variano secondo le indica-
zioni, che vanno dalla medicazione preanestetica alla seda-
zione del dolore acuto (postoperatorio, anginoso, da trauma)
o cronico da affezioni incurabili. Segni tossici possono gi
comparire per dosi terapeutiche sotto forma di nausea, ano-
ressia, costipazione difficolt alla minzione, talora eccita-
mento, confusione e vomito. Dosi di poco superiori a quel-
le terapeutiche danno il quadro caratteristico di un atteggia-
mento psichico di indifferenza e distacco dalla realt
ambientale, con bradipnea e miosi puntiforme. Per dosi ele-
vate compare sonnolenza con possibile agitazione, che evol-
ve in coma profondo con depressione respiratoria e rallenta-
mento del ritmo cardiaco. Lintossicazione se non trattata
porta alla morte per paralisi del centro della respirazione
(MARRUBINI BOZZA & al., 1989). Del papavero da oppio si
utilizzano anche i semi sia per aromatizzare il pane sia in
pasticceria che per la produzione di olio commestibile.
MANDRAGORA.
Con questo nome vengono indicate due specie e precisa-
mente:
Mandragora autumnalis Bertol. (Solanaceae).
Nome volgare italiano: Mandragora autunnale.
Mandragora officinarum L. (Solanaceae).
Nome volgare italiano: Mandragora primaverile.
Si tratta di due piante erbacee perenni, la prima alta 1-3 dm con
radici ramificate antropomorfe, scure, fusto snello brevissimo,
foglie glabre o quasi, oblanceolate- spatolate, fiori a corolla viola-
cea inseriti al centro della rosetta su peduncoli pubescenti e frutto
a bacca ellissoidale gialla o aranciata; la seconda 1-2 dm di altez-
za con radice chiara molto simile alla precedente, foglie ispide
generalmente sinuate, calice non accrescente, corolla bianco-ver-
dognola, con lobi strettamente triangolari; bacca sferica gialla assai
pi lunga del calice. La fioritura avviene in autunno per M. autum-
nalis e in primavera per M.officinarum. Questultima presente
nella ex Jugoslavia e in Italia; la sua distribuzione limitata per
al Nord della Penisola dove piuttosto rara. M. autumnalis,
molto diffusa tra le coste del Mediterraneo ed presente anche nel
Portogallo centro meridionale; in Italia, rara e si trova nel
Meridione e in Sardegna; comune, invece, in Sicilia.
Entrambe le specie di mandragora sono state vittime
della fantasia popolare che su di esse si sbizzarrita attri-
buendo loro magiche e segrete virt ammaliatrici nonch
poteri sovrannaturali.
Gli Egizi, come pure gli abitanti della Mesopotamia e gli
ebrei le usavano come voluttuario ed afrodisiaco; tracce che
testimoniano il loro uso sono presenti anche nella Bibbia.
Gli arabi ne impiegavano il succo per sfruttarne le attivit
sedative e soporifere e per indurre un certo grado di aneste-
sia prima degli interventi chirurgici. Era usanza dei carnefi-
ci meno crudeli somministrare decotti di radice di mandra-
gora dallazione sedativo-analgesica ai condannati a morte
per crocifissione (PENSO,1986). Platearius riferisce che le
virt della mandragora erba sono presenti soprattutto nella
scorza della sua radice, nei piccoli frutti e nelle foglie. La
scorza della radice si conserva per 4 anni dal momento in
cui la si raccoglie. Essa possiede la virt di raffreddare,
astringere e di conciliare il sonno. Per favorire il sonno di un
febbricitante si consiglia di mescolare la scorza della radice
con il latte di donna e bianco delluovo ed applicare sulla
fronte e sulle tempie; contro il mal di testa provocato dal
calore triturare le foglie ed appoggiarle sulle tempie; per
togliere ogni dolore e conciliare il sonno ungere la testa con
olio di mandragora (AA.VV., 1990).
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Per la forma antropomorfa delle sue radici stata da
sempre considerata adatta a fortificare luomo ed a favorire
la riproduzione oltre che ad essere afrodisiaca. Secondo la
leggenda esistono due tipi di mandragora che possiedono
attivit differenti: la mandragora maschio e la mandragora
femmina. La prima veniva utilizzata per la sua azione seda-
tiva, narcotica e medicinale, la seconda, invece, essendo
femmina era indicata per stimolare la lussuria, potenziare le
virt amatorie delluomo e della donna e garantire la fecon-
dit. La monaca erborista santa Ildegarda la considerava
erba malefica dai poteri demoniaci, fonte di vizio e di cor-
ruzione. Tetri racconti popolari raccontavano che il luogo
dove la pianta nasceva era stato teatro di un omicidio o di
una esecuzione (PENSO, 1986).
La mandragora era conosciuta nel Magreb oltre che
come spongia soporifera anche come tintura ottima contro
convulsioni, stati spasmodici, nevralgie, dolori generali,
muscolatura contratta, come anti-ansia, antiepilettico e forte
ipnotico (LE FLOCH, 1982).
Le radici contengono gli alcaloidi josciamina, joscina e
atropina fortemente tossici capaci di provocare euforia, stor-
dimento, allucinazioni e narcosi (SCHULTES & HOFFMANN,
1983). La joscina si usa per la pre-medicazione, prima degli
interventi chirurgici per sedare il paziente, ridurre le secre-
zioni bronchiali ed anche la nausea post operatoria
(ROVERSI, 1977). La sua tossicit si manifesta con ipersen-
sibilit sensoriale, depressione del SNC, prostrazione gene-
rale, coma e morte (WOODWARD,1985).
GIUSQUIAMO
Hyoscyamus niger L. (Solanaceae)
Nome volgare italiano: Giusquiamo nero
Pianta erbacea annuale o bienne di 3-8 dm, densamente villo-
sa per peli brevi e peli patenti di 3 mm. Ha odore fortemente feti-
do molto penetrante; fusto robusto e foglie tutte con picciolo di 2-
5(-10) cm; lamina ovata (6-8)cm nelle foglie inferiori, 1,5 x 2 cm
nelle superiori, lobata. Fiori in spighe fogliose unilaterali; calice
campanulato, corolla internamente con fondo bianco giallastro
venato di violetto; calice fruttifero con denti mucronati e pi o
meno pungenti. Fiorisce in primavera-estate.
E presente dappertutto in Europa, eccezionalmente allestre-
mo nord.
Il giusquiamo stato da sempre utilizzato come narcoti-
co. Gi nella Roma del 1 secolo dopo Cristo, la pianta era
nota perch capace di produrre delirio, alienazione, visioni
fantastiche ed ebbrezza, seguiti da profonda narcosi ed
insensibilit al dolore (LEWIN,1993). Celso, Plinio e Galeno
indicavano il succo di questa pianta come un rimedio ottimo
per combattere il dolore, le nevriti ed il mal di denti (LO
MAGNO,1994). Gli antichi Galli, conoscevano il giusquiamo
come pianta altamente tossica nei cui estratti intingere le
punte delle frecce: si narra addirittura che, a scopo di ven-
detta durante una disputa tra Cesare e Pompeo, fosse stata
avvelenata lacqua delle milizie di Cesare con alte quantit
di succo di giusquiamo. Anche per santa Ildegarda la pianta
era un potente veleno e secondo Alberto Magno del XII
secolo molte delle azioni magiche indotte da maghi e negro-
manti erano da attribuire non tanto alla evocazione del dia-
volo, ma allazione tossica della pianta che capace di
generare confusione, alienazione, narcosi. Si ritiene infatti
che associata alla datura (Datura stramonium L.) sia stata
usata come uno degli ingredienti attivi nelle pozioni delle
streghe e di altri preparati tossici. (LEWIN,1993).
Durante il Medioevo per conciliare il sonno di un mala-
to affetto da febbre acuta, si consigliava di scaldargli i piedi
con un decotto di questa erba applicando contemporanea-
mente, sulla fronte e sulle tempie, un impiastro preparato
riducendo in polvere fine il seme, mescolarlo a bianco di
uovo, latte di donna e aceto. In caso, invece, di mal di denti,
triturare lerba e porla in bocca, oppure cuocere la radice
con aceto riducendo il volume del decotto a 2/3; fare con
questo preparato un gargarismo. Per calmare ogni dolore su
qualunque parte del corpo applicare sulla zona malata una
pasta ottenuta macinando la pianta (AA.VV., 1990).
Il giusquiamo conosciuto da tempi remotissimi anche in
Tunisia e nei territori arabi dove ancora considerato ottimo
come calmante; si utilizzano a tal scopo il succo mescolato
con il burro o le sommit ed i fiori macerati in olio bollente
oppure linfuso dei semi di H. albus L., bizr el binj o anco-
ra le foglie, waraq el binj e i fiori zahr el binj sotto forma
di unguento o ancora di cataplasma. H.niger, invece, consi-
derato troppo tossico e per questo utilizzato soltanto per
fumigazioni anestetiche, sedative ed antispasmodiche. Il
giusquiamo entra nella composizione di una preparazione
analgesica nota come olio di giusquiamocostituita da tre
foglie di giusquiamo o 2 foglie di mandragora, lasciate
macerare in olio (LE FLOCH, 1982). Nel Beluchisthan e nel
Punjab lo chiamavano kohl-bang e lo fumavano come
lhaschish (Cannabis sativa L.) (LEWIN,1993).
Il giusquiamo venne usato per tutto l800 come compo-
nente del Balsamo tranquillo dallazione antalgica, antispa-
stica e sedativa (LO MAGNO, 1994). Viene anche segnalato
luso del giusquiamo per eliminare i dolori al basso ventre. A
tale scopo si utilizzavano supposte a base di semi di questa
pianta, mentre con linfuso degli stessi si preparava un pedi-
luvio dalle spiccate propriet narcotiche (DUKE, 1985).
La pianta contiene gli alcaloidi, iosciamina, atropina e
scopolamina; questa ultima rappresenta circa la met degli
alcaloidi totali. Ha un uso analogo alla belladonna ma la
presenza di una notevole quantit di scopolamina accentua
le propriet sedative della droga. Si usa in preparazioni
omeopatiche come antinevralgico (MAUGINI & al., 2006).
La tossicit del giusquiamo nero si manifesta con salivazio-
ne eccessiva, delirio, visione doppia, battito rapido, convul-
sioni, coma. La sintomatologia molto simile a quella della
belladonna e quindi rossore al volto ed al collo, secchezza
della fauci, midriasi, tachicardia, allucinazioni, delirio, con-
vulsioni, coma; possibile la morte (WOODWARD, 1985).
CICUTA
Conium maculatum L. ( Apiaceae)
Nome volgare italiano: Cicuta maggiore
E unerba bienne, diffusa in terreni abbandonati e marginali di
tutta lEuropa, lAfrica e lAmerica settentrionale. Ha un fusto di
1-2 metri di altezza, leggermente scannellato, con macchie rosso-
violacee alla base, foglie tripennatosette, a lembo triangolare, fiori
in ombrelle composte, frutti, diacheni ovoidali, grigiastri e amari.
Fiorisce da giugno a settembre.
Tutta la pianta, sfregata, emana odore sgradevole e ripu-
gnante che ricorda quello dei topi. Per la sua elevata tossici-
t, pi che come medicamento, veniva spesso utilizzata
come veleno per i condannati a morte; la sintomatologia
conseguente alla sua ingestione perfettamente descritta da
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Platone nella Morte di Socrate. Contiene alcaloidi a strut-
tura piperidinica tra cui il pi importante la coniina, ad
azione nicotino- simile. Agisce sul parasimpatico che viene
inizialmente eccitato e poi depresso; ha anche unazione
curarina intensa in quanto al pari del curaro ha unazione
paralizzante delle giunzioni neuro-muscolari. Agisce princi-
palmente sui centri nervosi simpatici, parasimpatici e in par-
ticolare sul vago procurando una paralisi ascendente e quin-
di un blocco respiratorio e cardiaco.
I sintomi di intossicazione pi evidenti sono nausea,
vomito, diarrea, dolori addominali e malessere generale,
sensazione di freddo, spasmi muscolari convulsioni, midria-
si, alterazione del ritmo cardiaco, ed infine morte per arre-
sto della respirazione (MARRUBINI BOZZA & al.,1989).
EDERA
Hedera helix L. (Araliaceae)
Nome volgare italiano: Edera
E una pianta legnosa sempreverde il cui nome, dal greco hel-
lissein= arrampicarsi, risalta il suo portamento rampicante. Ha
unaltezza variabile; le foglie, a lamina ovale, lanceolata o palma-
to lobata con base ottusa, tronca o cuoriforme e margine intero o
diviso in 5 lobi ottusi, sono provviste di un lungo picciolo, soprat-
tutto nei fusti striscianti al suolo. Fiori, piccoli, verdi riuniti in
infiorescenze ad ombrella e frutto del tipo bacca ovoide di 4-6 mm
di diametro, a maturit di colore violaceo o nerastro. Fiorisce in
autunno e i suoi frutti completano la maturazione nella primavera
successiva. Il suo areale comprende lEuropa, lAsia media, il
Giappone, lAfrica boreale e le Isole Canarie. In Italia presente
in tutto il territorio; cresce comunemente sugli alberi, sui muri,
sulle rocce, nelle zone ombrose dal mare alla zona montana.
Ledera, in Grecia, era considerata simbolo di fedelt ma
anche di passione sfrenata e sensuale essendo stata consa-
crata al dio Dionisio. Di questa pianta si cingevano la testa
i seguaci del dio, le Menadi, durante le feste orgiastiche a lui
dedicate. Dioscoride usava i fiori macerati nel vino contro la
dissenteria e le foglie contro le malattie della milza. Durante
il Medio Evo si consigliavano le foglie contro lidropsia, il
mal di testa e litterizia; la radice contro i disturbi della
vista, i frutti nelle ulcere del naso, il mal di testa e lepiles-
sia. Notizie sul suo uso, in passato, come narcotico ma pre-
valentemente come antalgico, sono riportate in DUKE
(1985). Nella medicina tradizionale sarda, era conosciuta
come sedativo-nervino e come antalgico (ATZEI, 2003).
Leclerc la considerava moderatrice della sensibilit dei
nervi periferici, efficace nella cura delle nevriti
(NEGRI,1971). Tutte le parti della pianta contengono sapo-
nosidi triterpenici come lalfa e beta ederina; altri principi
attivi sono: sesquiterpeni (germacrene, beta elemene, elise-
ne); flavonoidi (rutina e derivati del kaemferolo), polifenoli
(acido clorogenico, acido caffeico); poliacetileni e lalcaloi-
de emetina (BRUNI,1999). Ledera gode di propriet antalgi-
che ed antispasmodiche, vasoprotettrice ed antiedemigena.
Tutta la pianta tossica ma soprattutto i frutti. La sua tossi-
cit si manifesta con nausea, vomito, pallore, eccitamento e
poi depressione del sistema nervoso centrale, coma e
depressione respiratoria (MARRUBINI BOZZA & al., 1989).
LATTUGA
Lactuca virosa L. (Asteraceae)
Nome volgare italiano: Lattuga velenosa
E una pianta erbacea annuale e/o biennale con odore di papa-
vero. Ha un fusto eretto, bianco osseo, glabro ma con isolate seto-
le subspinose, ramoso in alto. Foglie verde glauco fittamente den-
tellate-spinulose sui bordi; foglie superiori ridotte a squame; ache-
ni con corpo liscio privo di setole. Lareale della specie compren-
de lEuropa media e meridionale; in Italia rara spesso solo come
relitto di antiche colture e in via di scomparsa. Fiorisce da giugno
a settembre.
La lattuga virosa era conosciuta ed apprezzata dagli anti-
chi che la distinguevano gi dalle specie vicine perch rite-
nuta di attivit narcotica pi spiccata. E la Tridax Agria di
Dioscoride. Nel Medio Evo se ne faceva largo uso soprattut-
to dei suoi frutti, indicati contro linsonnia, la febbre e lin-
continenza. Santa Ildegarda la considerava un potente vele-
no. Nel 1700 fu quasi dimenticata ma ritorn come farmaco
alla fine di questo secolo con il lactucarium, preparato con
il latice estratto dalle foglie e dalla radice. Chiamato oppio
di lattuga era usato come anestetico e sedativo della tosse
ma anche per le sue propriet narcotico e analgesiche, in
sostituzione delloppio. Contiene acidi organici, zuccheri, e
sostanze che deprimono il sistema nervoso centrale, lattuci-
na e tracce di iosciamina (SENATORE, 2004).
LAPAZIO
Rumex crispus L.(Polygonaceae)
Nome volgare italiano: Romice crespo
Questo nome potrebbe essere riferito a Rumex crispus
(Polygonaceae) volgarmente noto anche come Lapazio. Si tratta di
una pianta erbacea perenne con fusto cilindrico ascendente-striato.
Foglie con picciolo amplessicaule di 2-4 cm ed ocrea cilindrica,
membranacea, avvolgente strettamente il fusto lunga fino a 3 cm;
Lamina lanceolata, ondulata sul margine. Valve triangolari, cuori-
formi, intere e acute. Fiorisce da maggio a luglio. E presente nella
maggior parte dell Europa; comune negli incolti, ruderi e colti-
vi dellItalia continentale ed insulare, dalla costa fino al piano
montano.
La radice contiene ferro in combinazione organica, ossi-
metilantrachinone, emodina, etere emodinmonometilico,
acido crisofanico, acido lapatinico, resine, sostanze tanni-
che, olio etereo, ossalato di calcio. Se ne conosce luso,
nelle clorosi e cloroanemie tubercolari. La sua somministra-
zione ha dato risultati soddisfacenti, nellaumentare le ema-
zie e il tasso di emoglobina, il tutto constatato anche clini-
camente. Leffetto costipante del ferro corretto dallazio-
ne leggermente purgativa esercitata dalle piccole quantit di
emodina e di acido crisofanico contenute nella droga
(NEGRI,1971). Nella spongia soporifera, per, non si fa rife-
rimento alla radice bens ai semi di Lapazio. Non da esclu-
dere che anchessi contengano gli stessi principi attivi la cui
presenza ne giustificherebbe luso negli interventi chirurgi-
ci durante i quali inevitabile una perdita di sangue.
COCONIDIO
Daphne gnidium L. (Thymelaeaceae)
Nome volgare italiano: Dafne gnidio
Daphne gnidium L. nota anche con il nome di cocco conidio
e quindi coconidio. Si tratta di un arbusto sempreverde con fusto
eretto ramoso e foglie coriacee lineari, lanceolate acute. Fiori in
cime contratte allapice dei rami, frutto drupa subsferica rossa.
Fiorisce dal luglio a settembre.
E comune in tutto il bacino del Mediterraneo. In Italia comu-
ne dalla Liguria alla Calabria, Sicilia, Sardegna, e isole minori.
I suoi frutti erano usati dagli ippocratici come rimedio
evacuante. La corteccia fresca pestata con alcool e macera-
257
ta in olio, era ritenuta un forte vescicatorio. Tutta la pianta
contiene una sostanza glucosidica acre, la dafnina, una cura-
rina e una resina tossica: la mezereina. Le propriet medici-
nali attribuite a Dafne gnidio sono diaforetiche ed emoca-
tartiche (NEGRI,1971). Nella tradizione popolare sarda il
suo uso noto anche come diuretico, purgativo ma soprat-
tutto come antalgico (ATZEI, 2003). Probabilmente per la
presenza di curarina, svolgeva anche unazione curaro-simi-
le e quindi agiva anche provocando una paralisi dei musco-
li e quindi una pi facile immobilizzazione del paziente.
MORE
Nella composizione di alcune spongie soporifere rien-
trano anche le more indicate come mora silvestre e more
acerbe. La prima va identificata come la mora del rovo sel-
vatico; laltra, invece, da attribuire alla mora di gelso. In
un manoscritto medioevale (AA.VV., 1990), viene indicato
infatti come mora selvatica il frutto di Rubus fruticosus e
come mora celsi il frutto di Morus nigra.
Rubus fruticosus L. (Rosaceae)
Nome volgare italiano: Rovo
Si tratta di una pianta erbacea perenne cespugliosa con fusti
generalmente spinosi. Foglie con 3-5 segmenti palmati ; sui rami
fioriferi foglie con soli tre segmenti pagina superiore verde scuro,
coriacea, subglabra, e pagina inferiore bianco-tomentosa.
Infiorescenza generalmente a pannocchia piramidata con tre sepa-
li angolari bianco-tomentosi, alla fruttificazione ripiegati verso il
basso, e petali ovati, rosei; stami e stili bianchi o rosei, circa egua-
li in lunghezza. Frutto nero, lucido (1cm).
Secondo quanto riferisce GASTALDO (1987), un entit
smembrata in numerose specie (HESLOP-HARRISON in TUTIN
et al.,1968), tra le quali R. ulmifolius Schott, la pi comu-
ne in Italia.
I frutti sono ricchi di acidi organici quali ossalico, citri-
co, malico e tartarico; sono provvisti, inoltre, di tannini,
essenze e sostanze coloranti e godono di propriet rinfre-
scanti e leggermente lassative (GASTALDO,1987).
Morus nigra L. (Moraceae)
Nome volgare italiano: Gelso nero
Comunemente chiamato Moro nero o gelso nero, una pianta
arborea di 4-8 (20) m. con rami giovani glabri con corteccia verde-
bruna e lenticelle longitudinali allungate (1mm).
Per i suoi frutti commestibili. La sua patria di origine pare sia
la parte meridionale del Caucaso o addirittura i monti del Nepal.
Introdotto nella regione mediterranea coltivato come
pianta ornamentale per la sua chioma molto ombrosa e, per la
sua rusticit, come albero da frutta. Le more del gelso nero
contengono zuccheri, acidi organici, pectine, antociani e pure
una cianidina: la morina. Il termine more acerbe va proba-
bilmente riferito a Plinio secondo il quale portando addosso le
more, non ancora mature, si arrestavano le emorragie. In pas-
sato, inoltre, era opinione diffusa che le more combattessero
linsonnia e la cefalea oltre a contrastare le malattie respirato-
rie, espellere i vermi e depurare lorganismo.
CUSCUTA
Cuscuta L. sp. (Convolvulaceae)
Nome volgare italiano: Cuscuta, Erba ragna
Il nome erba ragna, perch cresce attorcigliandosi su altre
piante, si indicano alcune piante parassite annuali del genere
Cuscuta L., che si presentano con fusti filamentosi giallastri o ros-
sastri formanti un denso intrico sulle piante ospiti. Hanno foglie
ridotte a squame poco evidenti e fiori molto piccoli. Fioriscono in
primavera-estate.
Secondo quanto riportato in un manoscritto medioevale
(AA.VV., 1990), la cuscuta, raccolta in fiore, pu essere
conservata per due anni. Ha la propriet di purgare prima
tutto lumore melanconico, quindi la flemma. Tutte le parti
della pianta contengono un glucoside (cuscutina). Leclerc
(1870-1955), attribuiva alla cuscuta unazione colagoga e
lassativa leggera, un effetto carminativo ed un migliora-
mento generale del tono dellintestino (NEGRI,1971). Un
nome popolare della pianta anche capelli di strega per-
ch si riteneva che i suoi fusti lunghi fossero i capelli cadu-
ti alle streghe.
La presenza della cuscuta in preparati analgesico-narco-
tici forse da correlare alla sua propriet blandamente las-
sativa che potrebbe contrastare lazione costipante dellop-
pio e contribuire quindi a migliorare il tono muscolare del-
lintestino.
ERBA VERDE DI MATALA
Il nome va riferito a piante erbacee presenti a Matala una
citt della Grecia. Impossibile quindi risalire ad una specie
precisa.
ALTRE PIANTE PRESENTI IN PREPARATI ANESTETICI-ANALGESICI.
Narcotici e analgesici venivano preparati sotto le forme
pi svariate, dalle pozioni da bere, alle miscele da inalare,
agli unguenti da massaggiare. Tra questi lunguento seda-
tivo, suggerito dai quattro maestri della Scuola Salernitana,
a base di sugna e di solano (Solanum nigrum L.), una sola-
nacea che contiene in tutte le sue parti la solanina, un alca-
loide che agisce come narcotico sul cervello e sul midollo
spinale paralizzando le terminazioni delle fibre sensitive e
motorie. Famoso era anche lunguento populeo a base di
pioppo, (Populus L. sp.), belladonna (Atropa belladonna
L.), oppio, stramonio (Datura stramonium L.), mandragora,
giusquiamo e solano, usato anche come analgesico e sonni-
fero fino al XVI secolo (RAITANO, 1995-96). Secondo una
ricetta del 1376 per modificare lo stato di coscienza ed
indurre il torpore nel paziente da operare, si somministrava
una preparazione a base di polvere di giusquiamo, papavero
nero (Papaver rhoeas L.), radice di peonia (Paeonia offici-
nalis L.) e zizzania (Lolium temulentum L.).
Oltre alla presenza di solanacee e di oppio, dalle spicca-
te propriet analgesiche e narcotiche, figurano in questi pre-
parati anche il papavero nero, anchesso soporifero, anche se
blando, la radice di peonia, pianta considerata magica e dalle
propriet narcotiche, e la zizzania, nota infestante le colture
dei cereali. In Corsica, la pianta veniva somministrata in cibo
ai cavalli per tenerli tranquilli (ATZEI, 2003).
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
Da un confronto effettuato tra le piante che costituiscono
gli ingredienti della spongia soporifera emerge che il loro
effetto correlato alla presenza di specifiche sostanze chimi-
che che esplicano spiccate attivit biologiche a livello del
258
sistema nervoso centrale e autonomo determinando anche
azione analgesica ed anestetica. Il papavero sonnifero, anzi il
suo latice, loppio, infatti, deve la sua attivit biologica alla
morfina, il principale alcaloide in esso contenuto; il gius-
quiamo e la mandragora, invece, agli alcaloidi tropanici; la
cicuta alla coniina, la lattuga alla lattucina e cos via.
Attraverso lapplicazione sulle narici della spongia
soporifera, il paziente inalava, quindi, diverse sostanze che
svolgevano un ruolo fondamentale nel favorire lanestesia e
combattere il dolore. Leffetto anestetico-analgesico che si
manifestava con linalazione di tali droghe, non era tuttavia
identico a quello prodotto dai principi attivi in esse conte-
nuti; oppio e morfina infatti non hanno lo stesso comporta-
mento, sia perch in esso sono presenti altri composti con
azioni che si sovrappongono ed interferiscono con quelle
della morfina, sia perch, nelloppio, gli alcaloidi si trovano
sotto forma di sali poco solubili in quanto generalmente
salificati dallacido meconico. Altrettanto si pu dire per la
mandragora, il giusquiamo e per altre solanacee presenti
nella spongia; i loro principi attivi, interferendo con altre
sostanze contenute nelle diverse droghe, modificavano sicu-
ramente la loro azione terapeutica potenziandone leffetto
sedativo ed analgesico riducendo anche le secrezioni bron-
chiali e la nausea. Per quanto riguarda la presenza di altri
ingredienti pi o meno ricorrenti nella spongia, sicuramente
ad ognuno di essi venivano attribuite propriet medicinali
responsabili degli effetti anestesici ed analgesici. La cicuta,
ad esempio, per la sua azione curaro-simile, contribuiva all
immobilizzazione del paziente, ledera e il cocconidio a
combattere il dolore, la lattuga a sedarlo ulteriormente, la
cuscuta a migliorare il tono dellintestino e il lapazio, forse,
ad evitare uno stato di anemia. Nulla si pu invece dire sulla
verde erba di Matala, visto che non si capisce bene di quale
pianta si tratti. Per quanto riguarda invece le more, si pu
supporre che esse, per il loro contenuto in zuccheri, entras-
sero nella composizione della spongia per correggere il
sapore sgradevole della pozione e per limitare, grazie alla
presenza di pectine e sali minerali ad azione lassativa, la-
zione costipante delle altre droghe in essa presenti. Le more
acerbe di gelso, inoltre, secondo quanto tramandato dalla
medicina popolare medievale (AA.VV., 1990), pare contri-
buissero ad evitare il rilassamento dellugola. Nei pazienti
in posizione supina, infatti, subito dopo la perdita di
coscienza, la mandibola si rilascia e cede mentre la lingua
pu creare un ostacolo al respiro (ROVERSI, 1977). E pro-
babile quindi che la loro presenza, nella spongia, fosse
dovuta a tale propriet.
Dallo studio effettuato emerge che i medici del passato,
basandosi soltanto su osservazioni empiriche si avvalevano
di droghe vegetali in grado di inibire i riflessi vagali, dimi-
nuire lansia e permettere una pi facile e sicura anestesia
che rendeva il paziente sedato e sonnolento evitando alcuni
spiacevoli effetti collaterali. Solo successivamente, la ricer-
ca scientifica ha dimostrato che giusquiamo e mandragora
ed altre solanacee contengono principi attivi ad azione seda-
tiva ed anche anticolinergica capaci di inibire le secrezioni
salivare e bronchiale, ridurre gli effetti collaterali degli ane-
stetici e stimolare il centro respiratorio. Ancora oggi, per
creare uno stato di narcosi si ricorre come anche in passato,
a sostanze anticolinergiche, come i principi attivi delle sola-
nacee, ad un potente analgesico come la morfina e a sostan-
ze capaci di diminuire lattivit motoria della muscolatura
scheletrica per determinare, nel paziente da sottoporre ad
intervento chirurgico, un rilassamento muscolare. Visto che
molti usi medicinali di un tempo hanno trovato conferma
nel presente si deduce che lesperienza del passato oggi
fondamentale per approfondire la ricerca fitochimica e far-
macologica e che non esiste medicina del presente che non
abbia le radici nel passato.
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tributo i risultati di una indagine bibliografica con-
dotta sulle piante che costituivano gli ingredienti
della spongia soporifera, una preparazione costitui-
ta da una spugna di mare e da decotti concentrati di
piante medicinali. Vengono analizzate le specie uti-
lizzate per la sua realizzazione esaminandole sotto
il profilo storico, botanico, chimico, farmacologico
e tossicologico.
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