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Il Centro Nazionale del Cortometraggio

promosso da AIACE Nazionale e Museo Nazionale del Cinema

presenta

Corti d’autore/2
secondo appuntamento mensile con i più bei cortometraggi della storia del cinema,
firmati dai più importanti cineasti di ieri e di oggi

Torino, mercoledì 27 febbraio, Cinema Massimo Tre, ore 20.30

Le retour de Jean (1949)


un affascinante, piccolo capolavoro, riscoperto in questi anni, sulla banalità del male
e
Le mystère Picasso (1956)
la suspense della creazione in una celebre, memorabile sfida tra cinema e pittura
di Henri-Georges Clouzot

Le proiezioni saranno introdotte dal critico Gianni Volpi

Ingresso euro 2,50


Info: Centro Nazionale del Cortometraggio, c/o Aiace Nazionale
tel. 011 5361468, e- mail: info@cnc- italia.it

Gli appuntamenti successivi saranno il 18 marzo con Hanno preso il traghetto di Carl Theodor
Dreyer (1948), Due uomini e un armadio (1958) e I mammiferi (1962) di Roman Polanski.
Seguiranno, ad aprile, La pointe courte (1955) e Du côté de la côte (1958) di Agnes Varda e Peel
di Jane Campion (1982) e, a maggio, La meglio gioventù 1946-1959, i corti di Antonioni, Maselli,
Risi, Fellini.

Centro Nazionale del Cortometraggio


c/o AIACE Nazionale, via Maria Vittoria 10 – 10123 Torino
tel./fax 011 5361468; info@cnc-italia.it
SCHEDE DI PRESENTAZIONE

Le retour de Jean
II° episodio del film collettivo Retour à la vie; gli altri episodi sono diretti da Jean Dreville,
Georges Lampin e André Cayatte. Cluzot è anche il supervisore di tutto il film.
Regia: Henri-Georges Clouzot, sceneggiatura e dialoghi: Charles Spaak, H.G. Clouzot, Jean Ferry,
fotografia: Nicolas Hayer, Louis Page, R. Weiss, musica: Paul Misraki, scenografia: Emile Alex,
Max Douy, interpreti: Louis Jouvet (Jean), Leo Lapara (Bernard), Jodest (il tedesco), Brochard
(Verboutte), Monette Dinay (Juliette), Noël Roquevert (il Comandante), produzione: Jacques
Roitfeld e Films Marceau, origine: Francia, 1949, 35mm, b/n, 26 min.
1948-49. Clouzot è appena uscito dallo scandalo di Il corvo, che ha girato nella Francia occupata
del ’43. Quello che Clouzot dà è un ritratto al vetriolo di una provincia francese percorsa dai
demoni del sospetto e della delazione. Quasi un documento della cancrena morale della vecchia
Francia, in cui noi vediamo riflessa l’atmosfera di Vichy. Fu invece, dopo la Liberazione, accusato
di spirito di asservimento, e fu interdetto per sei mesi dal lavoro. Il clima è in fondo lo stesso in Il
ritorno di Jean, un mediometraggio di 26 minuti che sarà inserito nel film a episodi Retour à la vie.
Una pensione familiare, all’ora di cena. Piatti miseri, tessera annonaria, piccoli borghesi rancorosi,
un medico, infime tresche. C’è tutta la debolezza morale della Francia profonda. È un mondo che
infastidisce Jean, un reduce, tornato dal lager sciancato e, dice, impotente a vivere. La guerra è
appena finita. Per le strade si spara ancora, si dà la caccia ai tedeschi in fuga. Jean ne trova uno in
camera sua, ferito, terrorizzato. Scopre che è stato un torturatore. Lo sottrae ai gendarmi. Lo
interroga, vuole capire i meccanismi per cui si arriva a praticare giorno dopo giorno, la tortura come
un qualsiasi lavoro d’ufficio. Il tedesco parla di routine del dolore nelle cui spire si sprofonda. Jean
si rifiuta a un’idea di patria che organizza l’orrore, che annulla la persona. Poi fa al tedesco
un’iniezione di morfina e lo consegna, agonizzante, alla polizia. Tanti temi di Clouzot sono in
campo, senza idealismi. Jean è Louis Jouvet in uno dei suoi grandi ruoli, doloroso nei suoi pensieri
neri come nel suo incedere claudicante. Con Le retour de Jean, ancora una volta, Clouzot lavora a
scardinare l’aspetto ipocrita della realtà. Sino ad approdare a un’affascinante e allora insolita
riflessione sulla banalità del male. Un piccolo capolavoro, riscoperto in questi anni.

Le retour de Jean è un mediometraggio in cui Clouzot si abbandona a un’affascinante riflessione sul


male. Jouvet, in uno dei suoi più grandi ruoli, vi incarna un prigioniero di guerra di ritorno dai lager,
che vive in una pensione familiare. Egli è spinto a nascondere un militare tedesco colpevole di torture.
Non per evitargli il castigo, ma per meglio conoscere, interrogandolo, il meccanismo psichico che fa
sì che un buon padre di famiglia, un uomo come noi, abbia potuto “per quattro anni torturare tutti i
giorni come se andasse in ufficio”. È questo problema straordinariamente moderno, quasi ignorato dal
cinema dell’epoca, che esplora a caldo questo capolavoro di Clouzot. (Michel Ciment)

Le mystère Picasso
regia: Henri-Georges Clouzot, scritto da Henri-Georges Clouzot, Pablo Picasso, fotografia: Claude
Renoir, assistenti alla fotografia: Daniel Diot, Maurice Kaminsky, Jacques Ripouroux, montaggio:
Henri Colpi, suono: Joseph de Bretagne, musica originale: Georges Auric, interpreti: Pablo
Picasso, Henri-Georges Clouzot, Claude Renoir, produttore: Henri- Georges Clouzot, produzione:
Filmsonor, origine: Francia, 1956. durata: 78 min.
Premio speciale della Giuria a Cannes nel 1956.
Nel suo studio della Victorine, a Nizza, il pittore Pablo Picasso si offre alla macchina da presa
nell'atto di dipingere. La tecnica è quella di lavorare un inchiostro particolare che si imprime così a
fondo sulla tela da permettere di riprendere il dipinto a rovescio durante la sua esecuzione. Dal
disegno all'acquarello, fino alla pittura ad olio: il primo film sulla creazione pittorica. Non un
documentario, né una biografia, e neppure un'illustrazione, ma un esperimento unico, una sorta di
"disegno animato".

1955. Clouzot è da tempo amico di Picasso e gli propone di fare un film con lui. Le mystère Picasso
fu girato in quell’estate ’55 negli studi della Victorine di Nizza. A Clouzot interessa mostrare Pablo
Picasso al lavoro, non spiegare l’artista. Il mistero che il film indaga quasi in chiave di suspense è
quello della creazione, non della biografia. Picasso appare in poche immagini, sempre a torso nudo,
forte nonostante i 72 anni, il volto scavato come il bianco e nero che lo ritrae. Ciò che ci viene
perlopiù mostrato, a schermo pieno, in trasparenza (grazie a particolari colori, inventati da un
grafico americano, ugualmente definiti sul retro e sul verso di un foglio), è la nascita di un quadro, a
strati e distruzioni successive. L’arte nel suo farsi, nel suo mutare. Presentato al Festival di Cannes
1956, fa sensazione, ottiene il premio speciale della Giuria. André Bazin gli dedica un saggio
memorabile (lo si può leggere nella raccolta di Che cos’è il cinema?, Garzanti). Lo definisce un
film bergsoniano, per le sue intuizioni sulla durata come parte integrante dell’opera del pittore e per
l’uso del tempo nel montaggio cinematografico. Tra cinema e pittura, il film instaura una dialettica
che è spesso sfida. Come nella grande sequenza del quadro “a tempo”. Nello chassis della cinepresa
di Claude Renoir non è rimasta molta pellicola, Picasso fa un quadro prima che la pellicola finisca.
Picasso contro la cinepresa, cioè contro il cinema e l’amico Clouzot. (Gianni Volpi)

Henri-Georges Clouzot (Niort 1907- Parigi 1997) è uno dei maestri del cinema francese anni 40-
50, autore di capolavori come Il corvo (1943) e Legittima difesa (1947), ma anche di tanti altri film
notevoli, da Manon (1949) a Vite vendute (1952), da I diabolici (1953) a Le mystère Picasso (1956).

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