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La libertà in rete: l’Open Source e il Copyleft

di Eleonora Guglielman

Dal software libero al software proprietario

Contrariamente a quanto si può ritenere il software libero e il software Open


Source non sono stati introdotti negli ultimi anni in risposta all’egemonia delle
major informatiche come la Microsoft. Fin dagli anni ‘50 i tecnici e i programmatori
che lavoravano sui primi sistemi informatici nelle Università e nei grandi laboratori
come quello del MIT (Massachusetts Institute of Technology) scambiavano tra di
loro il codice informatico per modificarlo a proprio piacimento, contribuendo così
allo sviluppo dei linguaggi di programmazione e dei software in un clima di piena
condivisione. La tecnologia informatica ha progredito grazie ai miglioramenti
proposti dalle comunità di tecnici che collaboravano e che avevano libero accesso
ai codici sorgenti dei programmi.
Questa filosofia di reciproca cooperazione, fondata sullo scambio e sulla libertà di
uso e di modifica, subisce un brusco arresto nel 1976, quando il giovane Bill Gates,
proprietario di una piccola casa di software americana, la Microsoft, pubblica sulla
rivista “Computer Notes” un articolo nel quale si scaglia contro l’abitudine di
copiare i programmi: Gates, infatti, è stato il primo a immettere sul mercato un
software a pagamento, il Basic, che nel giro di poche settimane si è diffuso tra gli
utilizzatori di computer grazie alle copie, mentre sono pochissimi quelli che l’hanno
regolarmente acquistato1.

Tratto da: e-Learning: teorie e metodologie. Lo stato dell’arte, a cura di M. Guspini, Roma, Tiellemedia, 2007, realizzato
e pubblicato nell’ambito del Progetto Equal COMUNET, IT-S2-MDL-374. Tutti i diritti riservati.
1 F. Latrive, Sul buon uso della pirateria. Proprietà intellettuale e libero accesso nell’ecosistema della conoscenza,

Roma, DervieApprodi, 2005, pp. 69-70.


1
L’invettiva di Gates rappresenta l’avvio della sua crociata contro gli “scambisti” del
software, e un cambiamento radicale in quella che diverrà l’industria dei
programmi a pagamento: il software, che si era finora copiato e scambiato come
bene comune, diverrà un prodotto protetto da copyright e da leggi che perseguono
chi ne diffonde illecitamente le copie.
Nel 1984 uno dei fautori della condivisione del software, Richard Stallman,
ricercatore del MIT (Massachusetts Institute of Technology) e pioniere
dell’intelligenza artificiale, decide che è tempo di rifiutare la logica commerciale del
brevetto in campo informatico e di creare delle norme che consentano
l’elaborazione di software che possono essere copiati e modificati liberamente.
Fonda così la Free Software Foundation (FSF) ed elabora un tipo di licenza che
garantisce in modo esplicito le libertà di diffusione e modifiche concesse agli utenti.
Il primo progetto al quale dà inizio è la realizzazione di un sistema operativo, GNU2,
in pratica una versione non proprietaria del già esistente sistema operativo Unix.
La licenza elaborata da Stallman, che è alla base dei sistemi di software libero, è
chiamata GPL (General Public License) e stabilisce che il software debba includere
il codice sorgente e debba essere modificabile e distribuibile senza limitazioni. La
licenza GPL è un dispositivo che garantisce l’esistenza stessa del software libero:
un licenza di pubblico dominio, infatti, consentirebbe a tutti di servirsi del software,
di copiarlo e distribuirlo, ma chiunque potrebbe a sua volta brevettarne le
modifiche e commercializzarlo a pagamento, appropriandosene per i propri
interessi e interrompendo di fatto il libero accesso al programma3. Grazie alla GPL
ciascuno dei software derivati deve essere modificato e distribuito con la stessa
licenza e quindi alle stesse condizioni, a garanzia di una libera accessibilità da parte
degli utenti. La licenza GPL prevede quattro libertà e una condizione:

2 GNU è l’acronimo ricorsivo di “Gnu’s Not Unix”, GNU non è Unix.


3Gruppo Laser, Il sapere liberato. Il movimento dell’open source e la ricerca scientifica, Milano, Feltrinelli, 2005, pp.
73-74.
2
• libertà d’uso
• libertà di copia
• libertà di modifica
• libertà di diffusione delle modifiche
• obbligo di distribuire il software derivato con la medesima licenza.

Il progetto GNU di Stallman giunge a una svolta cruciale quando nel 1991 lo
studente finlandese Linus Torvald compila il Kernel 4 del sistema operativo,
inserendo il tassello mancante del programma. Nasce così Linux, il sistema
operativo che nel giro di pochi anni si affermerà come principale concorrente di
Windows prodotto dalla Microsoft. Diversamente dai software proprietari, che non
rendono disponibile il codice sorgente5 , Linux dà libero accesso al proprio,
consentendo a chiunque di modificarlo e di migliorarlo. Lo stesso lavoro di Torvald
sarebbe stato impossibile senza la collaborazione di tutte le persone che si sono
applicate con passione e in modo disinteressato allo sviluppo del progetto,
scambiando idee e osservazioni in seno alla comunità hacker6 di cui faceva parte; il
Kernel, testato e potenziato costantemente, è risultato perciò più affidabile.
In base alla licenza GPL il codice sorgente del Kernel di Linux viene messo a
disposizione di chiunque lo voglia studiare o modificare, dandogli di fatto la
possibilità di modificare i programma stesso. Stallman ribalta così il concetto di

4 Il Kernel è il cuore del sistema operativo, la parte che regola il traffico di dati all’interno del computer assegnando i
diversi compiti ad hardware e a software; esso consente, in sostanza, di far funzionare correttamente l’intero sistema
operativo senza dover ricorrere ad altri software.
5Il codice sorgente, scritto dai programmatori, può essere modificato, a differenza del codice binario, leggibile solo dalla
macchina. Nei software proprietari è accessibile solo quest’ultimo, rendendo l’intero programma non alterabile.
6 Il termine hacker è comunemente usato per indicare il pirata informatico che viola sistemi di sicurezza, sprotegge le
copie dei programmi e si dedica ad altre attività illegali. Tale uso, oltre a non essere esatto, è fuorviante: l’hacker, infatti,
è l’appassionato di informatica che studia il funzionamento di software e hardware “aprendoli” ed esplorandoli per
conoscerli a fondo e modificarli. Per estensione è un hacker chiunque si applica allo studio di una certa cosa in ambito
scientifico o umanistico unicamente per accrescere la propria conoscenza, senza incentivi di tipo economico. Per il
significato originario del termine, cfr. P. Imanen, L’etica hacker e lo spirito della società dell’informazione, Milano,
Feltrinelli, 2003, e S. Williams, Codice libero. Richard Stallman e la crociata per il software libero, Milano, Apogeo, 2002,
pp. 94-96.
3
copyright (il diritto d’autore, che impedisce la modifica e la ridistribuzione del
software) mediante quello che egli stesso definisce “copyleft”, un’espressione
difficilmente traducibile che però rende in modo efficace il concetto di
capovolgimento delle tradizionali limitazioni applicate al software proprietario7.
Come si è passati a parlare di Open Source dal concetto originario di free
software? Le ragioni sono principalmente di ordine economico: il termine free in
inglese ha il doppio significato di libero e gratuito, e questa ultima connotazione
poteva costituire un ostacolo alla commercializzazione e la vendita di prodotti
informatici da parte delle imprese. Furono proprio queste a condurre il
cambiamento di direzione verso un tipo di licenza più flessibile, la LGPL (Limited
GPL), un compromesso che consentiva la realizzazione di software proprietari
come derivati dal software libero originario. In questo caso, non potendosi più
parlare di free software, si è coniata l’espressione Open Source, che indica la
disponibilità del codice sorgente con il quale è stato scritto il programma, e che è
passata per estensione a indicare (in modo non corretto) tutto il software a codice
aperto, anche quello che abbiamo definito come software libero8.
Le altre prinicipali tipologie di licenza sono le seguenti:
MLP, una licenza specifica per il browser Mozilla Firefox9, consente la modifica del
codice sorgente, la distribuzione del nuovo prodotto è soggetta alla stessa licenza;
BSD, che consente di fare qualsiasi cosa con un software, tranne attribuirne la
proprietà a un autore;

7 L’espressione copyleft è infatti l’evidente capovolgimento di copyright: il gioco di parole, intraducibile in italiano, si basa
sul doppio significato del termine “right” che può significare “diritto” ma anche “destra”. Essa richiama, d’altra parte, la
tutela nel tempo della libertà di accesso a un contenuto, che come si è detto sopra non sarebbe garantita da una licenza
di pubblico dominio.
8 Le due espressioni vengono spesso confuse, mentre in realtà rispecchiano prospettive differenti in modo radicale,
come fanno notare gli autori del collettivo Ippolita nel libro Open non è free. Comunità digitali tra etica hacker e mercato
globale, Milano, Elèuthera Editrice, 2005, pp. 41 sgg. Open Source può essere tradotto con “codice sorgente aperto”; il
termine è nato alla fine degli anni ’90 su iniziativa di Brice Perens ed Eric S. Raymond, fondatori della Open Source
Iniziative (www.opensource.org) e non è mai stato accettato dalla Free Software Foundation, che considera la propria
filosofia e i propri obiettivi completamente diversi.
9 Un browser è un software che consente di navigare in Internet; il più noto browser proprietario è Internet Explorer,
distribuito assieme al sistema operativo Microsoft Windows.
4
GFDL – GNU Free Documentation License, simila alla GPL ma applicata a
documenti.
I sostenitori del software Open Source elencano una serie di vantaggi che ne
giustificherebbero la scelta:
• gratuità o comunque basso costo rispetto al software proprietario;
• possibilità di modificare liberamente il software, adattandolo alle proprie
esigenze;
• continuo miglioramento del codice sorgente grazie al lavoro di revisione di
numerose persone;
• correzione rapida degli errori e delle falle di sicurezza;
• impossibilità di inserire parti di codice maligno intenzionalmente, quali virus o

altri programmi nocivi, dal momento che il codice è liberamente consultabile


e tali parti sarebbero immediatamente eliminate;
• maggiori possibilità di costruire software interoperabili;
• possibilità per le piccole e medie organizzazioni di sviluppare e

commercializzare software di alta qualità, grazie alla collaborazione con


sviluppatori volontari10.

Categorie di software

La Free Software Foundation elenca diverse categorie di software, che vengono


raffigurate nello schema seguente:
• software libero;
• software Open Source;
• software di pubblico dominio;

10Cfr. l’articolo Open Source su Wikipedia, http://72.14.209.104/search?q=cache:7rIYLRjQ-ewJ:it.wikipedia.org/


wiki/Open_source+open+source&hl=it&gl=it&ct=clnk&cd=1
5
• software con permesso d’autore (copyleft);
• software libero senza permesso d’autore;
• software libero con licenza GPL;
• software GNU;
• software semilibero;
• software proprietario;
• freeware;
• shareware.

Classificazione delle tipologie di software11

Software libero: viene distribuito in modo che chiunque possa usarlo, copiarlo e
distribuirlo, in modo gratuito o a pagamento, purché il codice sorgente sia
comunque disponibile. Questo tipo di software può essere incluso in un sistema
operativo libero di tipo GNU/Linux. Per verificare se un software è veramente

11 http://www.gnu.org/philosophy/categories.it.html
6
libero (e non semplicemente gratuito, come a volte l’ambiguità della parola free può
indurre a credere) bisogna controllare il tipo di licenza.

Software Open Source: ha un significato analogo a quello di software libero, ma la


Free Software Foundation preferisce servirsi di quest’ultimo termine. L’Open
Source, infatti, è associato a una diversa filosofia e a un diverso criterio di
classificazione delle licenze: oggi esistono due diversi movimenti, il movimento del
Software Libero e il movimento dell'Open Source, che hanno diversi punti di vista e
obiettivi. L’Open Source è più legato a una metodologia di sviluppo, mentre il
Software Libero è un movimento in cui il software assume il valore di un problema
sociale.

Software di pubblico dominio: è il software privo di copyright, quindi senza


permesso d’autore; ne consegue che da esso possono derivare copie modificate
che poi vengono vendute con licenze chiuse.

Software con permesso d'autore (copyleft)12: è software libero soggetto a una


licenza che non consente restrizioni nell'atto di ridistribuire o modificare il software;
ogni copia del software, anche se modificata, deve essere software libero.

Software libero senza permesso d'autore: consente la modifica e la


ridistribuzione del programma e anche l’aggiunta di ulteriori restrizioni, compresa
la chiusura del codice sorgente.

12Si tratta di un gioco di parole, che qui viene reso con "permesso di autore": copyright (diritto di autore) è formato dalle
parole “copy” (copia) e “right” (diritto, ma anche destra), opposto di “left” (sinistra, ma anche lasciato).
7
Software con licenza GPL: la GNU GPL (General Public License) è un insieme di
termini di distribuzione relativi al permesso d’autore di un programma. Il Progetto
GNU lo utilizza come licenza per la maggior parte del software GNU.

Software GNU: è realizzato all’interno del Progetto GNU. La maggior parte del
software GNU è coperta da permesso d'autore; la condizione è che tutto il
software GNU sia software libero.

Software semilibero: si tratta di software non libero, che viene distribuito ai privati
con un permesso di uso, copia, distribuzione e modifica senza scopo di lucro.

Software proprietario: è il software il cui utilizzo, la ridistribuzione o modifica sono


proibiti o richiedono un permesso o sono sottoposti a tali vincoli che in pratica non
si possono fare liberamente.

Freeware: termine usato comunemente per i pacchetti software gratuiti che


possono essere ridistributi ma non modificati, e il cui codice sorgente non è
disponibile.

Shareware; software che può essere usato gratuitamente per un periodo di prova
e dà la possibilità di ridistribuire copie, ma impone a chiunque continui ad usarne
una copia di pagarne la licenza d'uso. In genere il codice sorgente non è
disponibile13.

13 Per le informazioni contenute in questa parte cfr. http://www.gnu.org/philosophy/categories.it.html


8
Condividere l’informazione nelle reti peer-to-peer

Il peer to peer, spesso abbreviato in P2P, è una modalità di scambio tra pari che
può riferirsi alla dimensione relazionale o alla tecnologia grazie alla quale si realizza
lo scambio.
Lo scambio tra pari, infatti, presuppone una condizione di reciprocità che permette
la condivisione di idee, conoscenze, esperienze e contenuti; tale reciprocità è data
dalla reticolarità che viene a instaurarsi tra gli utenti, tra i quali non sussistono
rapporti gerarchici.
Le reti P2P sono architetture di sistema basate sullo stesso principio: i diversi host
sono tutti nodi della stessa importanza. A differenza del modello client/server,
dove il server è un computer di maggiore importanza rispetto ai client che si
collegano ad esso e ha l’accesso a funzioni di amministratore, nella rete P2P
ciascun computer può funzionare sia da client sia da server. Diviene così possibile
lo scambio, tra utenti remoti, di file e programmi in maniera diretta e indipendente
da un computer centrale.

Architettura delle reti gerarchiche e delle reti peer-to-peer 14

14 OECD, Peer to peer networks in OECD countries, october 2004, http://www.oecd.org/LongAbstract/


0,2546,en_2649_34223_32927687_1_1_1_1,00.html
9
Gli utenti collegati tra loro in questa modalità rendono disponibile i contenuti
memorizzati sul proprio computer, aggirando il controllo che verrebbe esercitato
da un server. Proprio questa peculiarità ha causato la grande diffusione di
programmi P2P per lo scambio più o meno illecito di materiali coperti da copyright,
come software e file musicali; il più famoso di questi programmi, Napster, è stato al
centro di vivaci dibattiti e cause giudiziarie, fino alla sua chiusura. Questo non ha
evitato che il P2P e la filosofia di libero scambio ad esso sottesa generassero un
numero di programmi sempre maggiore, rendendo il fenomeno uno dei più
significativi in Internet.
Oggi sono molte le istituzioni scientifiche che si servono del file sharing. Nel
mercato dei contenuti il settore scientifico, tecnico e medico ha un ruolo rilevante
(7 miliardi di dollari nel 2002, gran parte dei quali investiti in pubblicazioni
scientifiche). Gran parte del materiale è disponibile in forma elettronica, sotto la
quale viene classificato, archiviato e condiviso per consentire il continuo
miglioramento della ricerca scientifica15.
Le reti P2P impiegate per la ricerca sono sempre più numerose: una delle prime
applicazioni in questo senso è stato il programma SETI@home, sviluppato
dall’Università di Berkeley16 per sfruttare la capacità dei processori dei computer
quando sono inutilizzati dai loro utenti: milioni di utenti collegato in rete “prestano”
la loro capacità di elaborazione per la ricerca di segnali di intelligenze extraterrestri
nello spazio.
Il problema dell’archiviazione e condivisione dei dati, il cui incremento esponenziale
renderebbe necessario l’uso di server sempre più potenti, è stato risolto con la
creazione di una rete P2P di contenuti digitali di tipo pedagogico, didattico,

15Commissione Interministeriale sui contenuti digitali nell’era di Internet, I contenuti digitali nell’era di Internet, marzo
2005, http://www.mininnovazione.it/ita/normativa/pubblicazioni/cdei.shtml
16 http://setiathome.berkeley.edu/
10
culturale e accademico, l’Internet Archive17 , al quale possono accedere
liberamente tutti gli utenti; l’archivio memorizza permanentemente i contenuti
digitali affinché non vadano perduti e si possa continuare ad accedere ad essi.
Tra i progetti più rilevanti nati negli ultimi anni c’è la rete Netsukuku, un sistema
sperimentale di peer-to-peer, nato per costruire una rete distribuita, anonima, non
controllabile e non gerarchica, non necessariamente separata da Internet, nella
quale non esiste un server centrale. La sua finalità è fare sì che qualunque utente
possa agganciarsi immediatamente alla rete senza dover sottostare ad
adempimenti burocratici o contrattuali; l'indirizzo IP che identifica un computer non
è associabile ad una località fisica precisa, e le rotte di instradamento dei dati sono
talmente complesse che è quasi impossibile rintracciare i nodi. La velocità del
trasferimento dei dati è elevatissima, limitata unicamente dalla tecnologia attuale
delle schede o dispositivi di rete. La rete gira sotto il sistema operativo GNU/Linux
ed è rilasciata sotto licenza GNU GPL.

Per una cultura aperta: il copyleft

Il copyleft, che come abbiamo visto nasce e si sviluppa all’interno delle comunità
informatiche nel clima di condivisione che le ha caratterizzate fin dalle loro origini,
con il tempo è stato trasferito anche ad altri ambiti, come quello scientifico e
letterario, grazie al vasto movimento che si è creato per salvaguardare la libertà di
accesso all’informazione e alla cultura. Sono così nate diverse tipologie di licenza di
tipo aperto e molte iniziative per la diffusione libera di testi e opere18.

17 http://www.archive.org/index.php
18Per una panoramica sul fenomeno del copyleft cfr. S. Aliprandi, Copyleft e opencontent. L’altra faccia del copyright,
Lodi, PrimaOra, 2005.
11
La prima licenza copyleft ad essere applicata a opere dell’ingegno che non fossero
prodotti informatici è stata la GNU Free Documentation License (FDL), creata nel
2000 per la distribuzione di manualistica riguardante il software libero: ogni nuova
copia prodotto modificando quella originaria deve essere rilasciata sotto la stessa
licenza. Contemporaneamente è stato varato il Linux Documentation Project,
progetto internazionale di raccolta e diffusione di documentazione in diverse lingue
su Linux, pubblicate sul sito www.tldp.org; tutti i documenti sono in formato non
proprietario19.
Il Progetto Gnutemberg20, avviato in Italia, si prefigge tre finalità: raccogliere opere
realizzate in formato non proprietario, creare un database di tutta la
documentazione mondiale rilasciata con licenza copyleft, pubblicare un elenco
aggiornato delle case editrici e delle stamperie che distribuiscono queste opere,
anche in fotocopia.
Il Progetto PLOS – Public Library of Science è nato nel 2000 per la creazione di un
archivio pubblico della scienza; è stato promosso e sostenuto, tra gli altri, dal
premio Nobel per la medicina Harold Varmus, con lo scopo di rendere disponibile al
pubblico la letteratura medica e scientifica.
Il MIT – Massachusetts Institute of Technology – ultimamente ha varato l’iniziativa
degli Open Course Ware, aprendo al pubblico contenuti e materiali dei propri corsi
gratuitamente e senza necessità di iscrizione21. Finora sono stati pubblicati 1.400
corsi le cui tematiche spaziano in tutte le aree: antropologia, architettura, chimica,
fisica, matematica, storia, letteratura, ecc.

19 Un formato proprietario può essere letto soltanto con il programma con cui è stato creato, mentre un formato aperto fa
sì che il file possa essere letto con qualsiasi programma creato a tale scopo. I file in estensione .pdf, ad esempio, sono
in formato proprietario e come tali sono leggibili solo con i programmi realizzati da Adobe.
20 Come precisato dai suoi promotori in www.gnutemberg.org, la “m” di Gnutemberg non è un errore ma sottolinea le
origini italiane del progetto.
21 http://ocw.mit.edu/OcwWeb/index.htm
12
Wikipedia è un progetto internazionale per la creazione di un enciclopedia
multilingue scritta collettivamente e disponibile in Internet22 ; tutti i testi sono
rilasciati sotto la licenza GNU FDL.
Il progetto Creative Commons nasce con l’intento di applicare il copyleft al campo
della letteratura e della saggistica, con una serie di licenze personalizzabili secondo
le esigenze degli utenti. Nata nel 2001, l’iniziativa è stata promossa da Lawrence
Lessig, professore di diritto all’Università di Stanford in California, responsabile
dello Stanford Center for Internet and Society. Le licenze Creative Commons si
basano su quattro caratteristiche di base:
1. attribution: obbligo di citare l’autore originario del contributo in ogni
successiva utilizzazione dell’opera;
2. no derivs: divieto di modificare l’opera e crearne opere derivate;
3. non commercial: divieto di utilizzare l’opera a scopi commerciali;
4. share alike: obbligo di condividere le opere derivate applicando lo stesso tipo
di licenza dell’originaria.
L’autore può quindi scegliere a proprio piacimento le tre condizioni che ritiene più
adeguate (la 2 e la 4, com’è ovvio, si escludono a vicenda), fermo restando che in
ogni caso viene tutelata la libertà di copia, distribuzione, esibizione ed esecuzione
pubblica dell’opera.

22 La scrittura collettiva viene attuata grazie allo strumento del wiki, un sito web o una collezione di documenti
ipertestuali in cui ciascun utente può aggiungere il proprio contributo; il termine wiki può anche indicare il software
collaborativo non gerarchico usato per la realizzazione del sito. Cfr. www.wikipedia.org
13
Licenze per opere software
GNU GPL software in generale
GNU LGPL librerie di funzioni
BSD License software in generale
Mozilla PL software in generale
MIT License software in generale

Licenze per opere non software


GNU FDL documentazione
OpenMusic Green License opere musicali
OpenMusic Yellow License opere musicali
License Art Libre opere creative in generale
Free Music Public License opere musicali
Copyzero X opere creative in generale

Licenze Creative Commons


CCPL Attribuzione 2.0 Italia
CCPL Attribuzione-NonCommerciale 2.0 Italia
CCPL Attribuzione-StessaLicenza 2.0 Italia
CCPL Attribuzione-NoOpereDerivate 2.0 Italia
CCPL Attribuzione-NonCommerciale-StessaLicenza 2.0 Italia
CCPL Attribuzione-NonCommerciale-NoOpereDerivate 2.0 Italia
CCPL Sampling 1.0
CCPL Sampling Plus 1.0
CCPL Sampling Plus NonCommercial 1.0

14
Il movimento Open Access

Open Access è un movimento, nato in ambito accademico, a favore della libera


diffusione di contenuti attraverso Internet e per svincolarli dalla pubblicazione su
riviste scientifiche a pagamento. Nell’ottobre 2003 una serie di organizzazioni
culturali e di ricerca internazionali ha redatto la Dichiarazione di Berlino
sull’accesso aperto alla letteratura scientifica e, in generale, l’accesso universale al
sapere. I firmatari si impegnano a promuovere Internet quale strumento per la
diffusione della conoscenza e l’accesso aperto al patrimonio culturale e la sapere
umano.
Contenuti e materiali di diverso tipo (testuali, grafici, multimediali, archivi, ecc.)
devono essere accessibili a tutti: chiunque può utilizzarli, riprodurli, ridistribuirli
liberamente, e una copia integrale di ciascun contributo viene archiviata in linea in
formato elettronico. La promozione dell’accesso aperto viene perseguita
attraverso le seguenti modalità:
• incoraggiando i ricercatori delle organizzazioni aderenti e i beneficiari di

finanziamenti per la ricerca a pubblicare i risultati del loro lavoro secondo i


principi dell’accesso aperto;
• incoraggiando i detentori del patrimonio culturale a supportare l’accesso
aperto mettendo a disposizione le proprie risorse su Internet;
• sviluppando i mezzi e i modi per valutare i contributi ad accesso aperto e le
pubblicazioni in linea, in modo da preservare gli standard qualitativi della
validazione e della buona pratica scientifica;
• difendendo il riconoscimento delle pubblicazioni ad accesso aperto ai fini

delle valutazioni per le promozioni e l’avanzamento delle carriere;

15
• difendendo il merito intrinseco dei contributi ad un’infrastruttura ad accesso

aperto attraverso lo sviluppo di strumenti di fruizione, la fornitura di


contenuti, la creazione di metadati o la pubblicazione di articoli individuali23.

Open Access combatte contro la proprietà intellettuale nella comunicazione


scientifica promuovendo forme alternative di comunicazione che si avvalgono delle
tecnologie di rete: l’accesso all’informazione scientifica deve essere gratuito,
almeno nella sua forma elettronica. È attraverso le riviste e le pubblicazioni
specializzate che l’informazione scientifica può circolare e consentire il confronto e
la collaborazione tra i ricercatori; la comunità scientifica si rende garante che le
informazioni contenute negli articoli siano attendibili e verificabili, secondo un
sistema standardizzato di pubblicazione regolamentato a livello internazionale.
Date queste premesse, sarebbe logico che l’informazione scientifica debba
circolare liberamente senza vincoli di alcun tipo; eppure non è così, perché l’editoria
scientifica, controllata da un piccolo numero di gruppi editoriali, viene distribuita a
costi talmente elevati che spesso le stesse istituzioni accademica non sono in
grado di sostenerne i costi.
Gli stessi editori che detengono questo quasi-monopolio si oppongono alla
diffusione dell’informazione scientifica attraverso Internet per mantenere alti i
propri profitti; questa logica di mercato di fatto limita la comunicazione scientifica e
taglia fuori i ricercatori che non possono sostenere le spese, ormai altissime, per
un aggiornamento sempre più necessario24 .

23 http://www.zim.mpg.de/openaccess-berlin/berlindeclaration.html La Dichiarazione di Berlino è stata redatta su


iniziativa della Max Planck Society il 22 ottobre 2003. Alla Dichiarazione di Berlino hanno aderito numerosi atenei italiani:
Bologna, Brescia, Calabria, Firenze, Foggia, Genova, Insubria, Lecce, Messina, Milano, Milano Bicocca, Milano
Politecnico, Milano Vita-Salute San Raffaele, Modena, Molise, Napoli Federico II, Napoli L'Orientale, Napoli Partenope,
Padova, Palermo, Parma, Piemonte Orientale, Roma LUMSA, Roma Tor Vergata, Roma III, Siena, Torino, Trieste,
Trieste SISSA, Tuscia, Venezia IUAV, oltre all'Istituto Italiano di Medicina Sociale di Roma. La sottoscrizione è avvenuta
il 4 novembre 2004 a Messina, in occasione di un convegno sull’accesso aperto promosso dalla Conferenza dei Rettori
delle Università Italiane.
24 Gruppo Laser, Il sapere liberato. Il movimento dell’Open Source e la ricerca scientifica, cit.
16
Nell’ambito delle iniziative Open Acces è stato realizzato il Progetto Romeo - Rights
MEtadata for Open archiving, per studiare la questione dei diritti che concernono
l’auto-archiviazione dei lavori di ricerca depositati negli open archives della
comunità accademica del Regno Unito25.
Il Progetto Science Commons 26, varato dall’organizzazione non profit Creative
Commons, è stato iniziato nel 2005 con l’obiettivo di promuovere l’innovazione
nella scienza abbattendo i costi legali e tecnici per la diffusione e il riutilizzo dei
lavori scientifici; il progetto si propone di perseguire queste finalità rimuovendo gli
ostacoli alla collaborazione scientifica incoraggiando i ricercatori, le università e le
imprese a condividere letteratura scientifica, dati e materiali.

Software a supporto dell’Open Access

I progetti sinora citati possono essere realizzati grazie al supporto di appositi


software di gestione e condivisione delle informazioni.

ePrints è un software GNU libero e gratuito creato nel 2000 dalla School of
Electronics and Computer Science dell’University of Southampton del Regno Unito.
Esso permette l’archiviazione di documenti, elementi multimediali e dati; è
compatibile con l’Open Archive Iniziative (http://www.openarchives.org/), ha un
supporto multilingue e consente l’implementazione di repository dinamici con
funzioni di ricerca avanzata. Sul sito web del progetto, nella sezione relativa all’Open
Access ( http://www.eprints.org/openaccess/) troviamo una serie di articoli

25 http://www.lboro.ac.uk/departments/ls/disresearch/romeo/
26 http://sciencecommons.org/
17
firmati da Stevan Harnad, direttore di ricerca del dipartimento di Scienze Cognitive
dell’Università del Quebec, sull’accessibilità degli articoli scientifici.
Harnad individua due strade per realizzare l’accessibilità:
1. la “strada dorata”: pubblicazione di riviste Open Access, liberamente fruibili e
scaricabili online;
2. la “strada verde”: auto-archiviazione da parte degli stessi autori, un sistema più
veloce e immediato del primo.
Va precisato, come sottolinea l’Autore, che l’auto-archiviazione non è la stessa
cosa dell’auto-pubblicazione, in quanto si tratta di pubblicare articoli già editi in
riviste internazionali e sottoposti al vaglio della comunità scientifica.
La demo del programma è visionabile sulla pagina web http://
demoprints.eprints.org/ . Esiste anche una comunità mondiale dedicata al
progetto.

DSpace27 , sviluppato dal MIT (Massachusetts Institute of Technology), è un


repository per l’archiviazione e l’organizzazione di contenuti digitali: tesi, articoli,
documenti, immagini, audio e video, Learning Objects. È gratuito e rilasciato su
licenza Open Source; anche in questo caso esiste una nutrita comunità di utenti e
di sviluppatori. All’indirizzo http://wiki.dspace.org/DspaceInstances è consultabile
la lista delle istituzioni e organizzazioni internazionali che hanno adottato DSpace;
tra di esse troviamo l’Università degli Studi della Tuscia e l’Università di Parma28.

Open Journal System29 è un sistema di pubblicazione e gestione sviluppato


nell’ambito del Public Knowledge Project dell’University of British Columbia e la
Simon Fraser University (sito web http://www.pkp.ubc.ca/). Il progetto, varato nel

27 http://www.dspace.org
28 Per un repertorio degli archivi italiani che aderiscono all’iniziativa Open Access, vedi http://www.openarchives.it.
29 http://pkp.sfu.ca/?q=ojs
18
2001, ha prodotto un software gratuito Open Source adottato da diverse istituzioni
internazionali; il software è configurabile e adattabile alle diverse esigenze.
Nell’ambito del progetto è stato sviluppato anche l’Open Conference System, un
software libero per la creazione di siti web dedicati a conferenze, con funzioni
avanzate di accesso, registrazione dei partecipanti, upload e download dei
materiali; la demo è visionabile all’indirizzo http://pkp.sfu.ca/ocs/demo/.

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