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I RACCONTI DELL'ANNO MILLE a cura di Maddalena Lodesani e Alessandro Zignani Prima edizione: novembre 1995 Copyright 1995 by Guaraldi/Gu.

Fo Edizioni S.r.l. Via Covignano 302, 47900 Rimini ISBN 88-8049-075-3

Maghi Draghi e Folletti Traduzione e cura di Maddalena Lodesani Raffaella Vori Alessandro Zignani Claudia Ricci Elena Mancini Guaraldi

INDICE Introduzione di Elena Mancini L'altra dimensione Lanval Il lupo mannaro Guigemar Yonec Il bel cavaliere sconosciuto Lo sguardo obliquo Il re Herla Apparizioni fantastiche Altre apparizioni fantastiche Hennone dentato Nicola Pepe, uomo acquatico e le truppe dell'aria Mago Merlino La morte di Merlino Fata Morgana Funerale in mare del capostipite Grendel Grendel attacca il cervo Beowulf in aiuto a Hrothgar Beowulf annuncia il suo progetto La risposta di Hrothgar

Beowulf si prepara allo scontro con Grendel L'arrivo di Grendel. Lo scontro con Beowulf Beowulf strappa un braccio a Grendel che muore scappando Festeggiamenti per Beowulf Storia del drago, del suo tesoro e del furto Il drago devasta il paese Beowulf va ad attaccare il drago L'attacco al drago Wiglaf lotta contro il drago Beowulf uccide il drago Morte di Beowulf Rogo e panegirico di Beowulf Un mondo di specchi Il drago di Anferginan Il castello di Monsalvato La piaga e il Graal La maga di Kundry e la purificazione di Parsifal Storia di Gawan La foresta parlante Esempio V - Di ci che accadde a una volpe con un corvo che stringeva tra il becco un pezzo di formaggio Esempio VI - Di ci che accadde a una rondine con gli altri uccelli quando vide se minare il lino Esempio IX - Di ci che accadde a due cavalli con il leone Esempio XI - Di quanto accadde a un decano di Santiago con don Ylln, il gran maes tro di Toledo Esempio XII - Di ci che accadde a una volpe con un gallo Esempio XIII - Di ci che accadde a un uomo che prendeva pernici Esempio XIV - Del miracolo che fece San Domenico quando predico sull'usuraio Esempio XIX - Di ci che accadde ai corvi con i gufi Esempio XX - Di ci che accadde a un re con un uomo che disse che gli avrebbe fatt o dell'alchimia Esempio XXI - Di ci che accadde a un re giovane con un grandissimo filosofo a cui lo aveva affidato suo padre Esempio XXII - Di ci che accadde al leone e al toro Esempio XXIII - Di ci che fanno le formiche per mantenersi Esempio XXVI - Di ci che accadde all'albero della menzogna Esempio XXIX - Di ci che accadde a una volpe che si gett per strada e si finse mor ta Esempio XXXII - Di ci che accadde a un re con i beffatori che fecero il panno Esempio XXXIII - Di ci che accadde a un falcone sagro dell'infante don Manuel con un'aquila e un airone Esempio XXXIX - Di ci che accadde a una rondine con il passero Esempio XLIX - Di ci che accadde a quello che fu gettato su di un'isola nudo quan do gli fu presa la signoria che aveva Sentieri tra i rovi Come il re Sagramor arm cavaliere un fanciullo che era giunto a corte Come il cavaliere dalle armi cristalline fu informato del gigante Arganom Come il cavaliere dalle armi cristalline liber Celidonia dall'incantesimo L'avventura di Miraguarda Il giardino di Urganda

Introduzione di Elena Mancini

Lo straordinario successo, il fascino attualissimo che il fantastico ancora eser cita, trova una semplice spiegazione nei bisogni insopprimibili dell'inconscio c he in ognuno di noi e di cui non sappiamo nulla o quasi. Certamente, in particol are negli ultimi decenni, a non poco ha contribuito anche l'attivit promozionale cinematografica, offrendo esempi e modelli di grande coinvolgimento. Superati, quindi, i tradizionali regni della favola e dei personaggi che hanno d ato vita a miti e a leggende, il lettore, soprattutto quello dell'et contemporane a, dominata dalla tecnologia, dall'elettronica e dalla cibernetica, inventa nuov e terre, nuovi poteri e nuovi abitanti. Lo scopo finale rimane, tuttavia, sempre lo stesso: dare un senso alla vita, colmare tutti quei vuoti che la perdita del la fede e dei valori socialmente riconosciuti hanno provocato. La necessit di avventura, del resto, ha da sempre caratterizzato l'uomo e ad essa egli rispondeva con l'invenzione di mondi e di esseri per lui plausibili. Quest o spiega la nascita delle diverse varianti all'interno del genere fantastico, og nuna dotata di una peculiarit che la contraddistingue: dalla science fiction alla space opera, dal fantasy alla moderna narrativa horror, per citarne alcuni esem pi. Sono questi i campi in cui si sono cimentati, con straordinario successo, tutti quegli autori che, scrivendo nelle riviste specializzate degli anni Trenta, Quar anta e Cinquanta, hanno costituito un'infinit di mondi paralleli, e di paesi oltr e la collina. Ognuno di questi generi garantisce sicure risposte alle diverse es igenze espresse dai lettori: soddisfare il puro bisogno di avventura, esprimere l'ottimismo di una societ in crescente espansione o rispondere alle esigenze di c ritica e di riflessione. Il fantastico, in definitiva, interviene nel momento st esso in cui crollano le certezze ed entra in crisi la fede nel progresso e nell' umanit; esso indaga, inoltre, nei sentimenti, nelle paure pi concrete, personali o collettive, politiche o religiose, economiche o sociali. Quello del fantastico un piacere, che il lettore sente nascere via via dentro di s: il piacere del briv ido, della suspense, del mistero. Il gusto per la narrativa fantastica, in tutte le sue forme, nasce da un'esigenza di evasione, di liberazione da quegli istint i tenuti a freno dalle convenzioni sociali, dalla necessit di sconfiggere i nostr i incubi pi ricorrenti e di giustificare le nostre colpe. Da qui deriva la funzio ne fondamentalmente catartica, propria di tutta la letteratura fantastica. Senza il fantastico, del resto, la vita quotidiana si ridurrebbe ad una mera acc ettazione della piatta realt che ci soffoca costantemente nel nostro naturale des iderio di immaginazione. Attraverso una semplice operazione di sospensione dell' incredulit - per dirla alla maniera dello scrittore Coleridge - di incertezza fra realt e immaginazione, il fantastico si propone come la cura, il rimedio dell'uo mo contemporaneo per il riscatto definitivo dalla convenzionalit, dalla noia, per difendersi dai "mostri" reali o presunti, che nascono dalla mente e diventano s imboli degli orrori pi atroci, specchio del nostro io e rappresentazione della co ntemporaneit. La ragione della fortuna del fantastico si deve proprio al fatto che esso ci par la di noi stessi, di tutto ci che ci riguarda direttamente, che ci coinvolge nel nostro essere pi profondo e ci porta a riflettere sulla interiorit personale e dei nostri coetanei; riporta alla luce le nostre paure pi segrete, le angosce pi nasc oste, rimuove i complessi pi intimi. Il fantastico, quindi, animato da questa consapevolezza, rivive di et in et, di pe rsonaggio in personaggio, di luogo in luogo, attraverso i secoli. Ogni periodo storico e letterario, ogni nazione ricchissima di miti e di leggend e, di eroi, di divinit benigne o maligne, di avventure in cui si mescola il retag gio delle varie tradizioni. La mitologia greca e romana, i romanzi di cavalleria, le favole di Esopo e di Fe dro, le fiabe di Andersen e di Grimm, rivivono nei brani raccolti in questa anto logia, attraverso giganti e centauri, streghe e maghi, draghi e folletti, in un mondo in cui realt e fantasia non solo confinano, ma si sovrappongono e si fondon o in una iterazione continua, per cui assistiamo di volta in volta all'irruzione improvvisa dell'anomalo nel bel mezzo della situazione pi banale. L'intrusione dell'avvenimento fantastico, straordinario, diviene rottura della n orma, dell'ordine consueto, qualcosa che crea nel lettore e prima ancora nel per

sonaggio una sensazione sconcertante di stupore e di turbamento di fronte allo s catenarsi di forze irrazionali e inspiegabili. La maggior parte di queste storie, pur concentrandosi sulla vicenda di un eroe e di una eroina, sono ricche di elementi soprannaturali, di incantesimi, di impre vedibili manifestazioni del meraviglioso e del magico, dove si svolgono le numer ose vicende d'amore e di armi, di viaggi, di tornei in cui creature naturali e c reature fantastiche, animate da forze superiori, straordinarie, incontrollabili all'uomo, si mescolano agli esseri umani e accanto a loro vivono, amano e combat tono. L'elemento meraviglioso sia esso un animale dai poteri soprannaturali, un oggett o magico o un segno misterioso permette sempre, ai personaggi del racconto, di l asciare il mondo ordinario, banale, quotidiano e offre loro l'accesso a un mondo superiore, ideale, diverso da quello in cui vivevano in precedenza, in due paro le un Altro Mondo. Esso pu essere rappresentato dai vasti deserti del Palmerin di Inghilterra, dall' isola di Amadis di Gaula, dalle foreste incantate dei Lais di Maria di Francia; sempre un mondo parallelo, contrapposto a quello terrestre, che trascende le nor mali coordinate spaziali e temporali o che coincide col mondo stesso dei persona ggi. Sono i regni incontrastati di creature mostruose, simboli della natura anco ra incontaminata ai margini del villaggio e della civilt umana, densi spesso di p ericoli per coloro che osano sfidarli, usuale scenario di duelli e di inseguimen ti, di sparizioni e di apparizioni misteriose, dove le forze della luce combatto no l'eterna battaglia per la salvezza contro le forze nella notte. Con difficolt i cavalieri riescono a contrastare tali potenze, se non con l'aiuto di un animal e o di un oggetto, ad esempio una spada dai poteri straordinari come la Excalibu r di re Art o la Tizonda del Cid Campeador o la Caliborna del Cavaliere dalle Arm i Cristalline, che aumentano di conseguenza la tensione nell'avventura. In questi mondi gli eroi superano le barriere spazio-temporali; costituiscono il mezzo per la loro definitiva affermazione e soddisfazione e stabiliscono il con tatto fra i due amanti offrendo loro una prospettiva di amore e di felicit insiem e. Ritroviamo in questi racconti la mitologia germanica del Canto dei Nibelunghi con tutta la schiera di personaggi fantastici, di elfi e di folletti, di splend ide ondine dal dolce canto di sirena, che abitano i fiumi e danzano al chiaro di luna, attirando i viandanti e i marinai per poi farli morire contro le rupi. Ac canto a questi personaggi, le Valchirie, fanciulle guerriere che portano le anim e degli eroi morti in battaglia nel paradiso di Valhalla assieme alle grandi div init: a Votan, dio della guerra e della poesia, in groppa al suo cavallo dalle ot to zampe, a Frigg, moglie di Votan e dea della terra, e a Thor. Non mancano passi dal Conde Lucanor di Don Juan Manuel che riprendono e propongo no in nuova veste i personaggi animali per rappresentare in chiave didattica e m oralistica i vizi e le virt degli uomini, cos come si cantano le eroiche gesta del mitico re Art, le cui vicende sono tradizionalmente legate ad episodi fantastici come il ritrovamento della spada nella roccia, o le magie del mago Merlino e de lla fata Morgana. In conclusione, ognuna di queste storie rid vita all'esperienza del fantastico; s i inserisce in un dialogo con tutti i mondi di fantasia e allo stesso tempo inst aura un legame di complicit con il lettore per aumentare il suo coinvolgimento ch e, in questo modo, ne risulta arricchito di significato e di fascino.

L'altra dimensione traduzione dal francese di Maddalena Lodesani Lanval un Lai nel quale si accompagnano alla perfezione lo sfondo bretone e l'atmosfera

sovrannaturale. Fantastico l'incontro con la fanciulla misteriosa che vive in u n mondo incantato; realistico il giudizio a cui viene sottoposto Lanval in segui to alle false accuse mossegli dalla regina. Come in molti racconti di Marie de F rance, anche in questo caso il fantastico permette di soddisfare chi nel mondo r eale non riesce a realizzare i propri sogni. A Carduel soggiornava Art, il re prode e cortese, a causa degli Scozzesi e dei Pi tti che devastavano il paese: avanzavano nella terra di Logres, e molto spesso l a danneggiavano. Ai cavalieri della Tavola Rotonda - come loro non ve n'erano al mondo - distribu donne e terre, fuorch a Lanval: il re non se ne ricord e nessuno dei suoi gli pres t soccorso. Per il suo valore, per la sua generosit, la sua bellezza e la sua prodezza, Lanva l era invidiato da molti. Figlio di un re d'alto lignaggio, ora si trovava lonta no dalle sue terre! Lanval era molto infelice, addolorato e preoccupato. Signori , non vi stupite: uno straniero privo d'appoggio si sente assai triste in un'alt ra terra quando non sa a chi chiedere soccorso! Un giorno il giovane mont sul suo destriero e se ne and a divagarsi. Usc dalla citt e giunse ad un prato; sciolse il cavallo per lasciarlo vagare libero, e pieg il l embo del mantello sotto la testa, poi si sdrai. Era molto preoccupato per la sua miseria, e non c'era cosa che lo rallegrasse. Guard verso il fiume e vide arrivar e due fanciulle: mai ne aveva viste di pi belle! Erano riccamente vestite, strettamente fasciate in due tuniche di porpora grigio scura; il loro volto era raggiante di bellezza. La pi grande portava due bacili d 'oro puro, fini e ben lavorati; l'altra portava un panno. Si diressero l dove gia ceva il cavaliere e gli esposero il loro messaggio: - Sire Lanval, la nostra sig nora, che tanto buona, saggia e bella, ci manda a chiamarvi: seguiteci, e vi con durremo da lei sano e salvo. Il cavaliere and con loro, e non si preoccup del suo cavallo che pascolava libero nel prato. Arrivarono ad una tenda, che era molto bella e ben montata; n la regin a Seramide, al colmo della ricchezza, della potenza e della saggezza, n l'imperat ore Ottaviano, avrebbero potuto permettersene un solo lembo. In alto era affissa un'aquila d'oro; non saprei dirne il valore, e neppure delle corde e dei picche tti che reggevano i lembi del padiglione: non c'era al mondo re che avrebbe potu to acquistarlo per quanto denaro fosse stato in grado di offrire! In quel padiglione stava la damigella; superava in bellezza il giglio e la rosa novella, quando fiorisce a primavera. Era sdraiata su un letto bellissimo - le l enzuola valevano un castello - con addosso solo la camicia. Un prezioso mantello di bianco ermellino, coperto di porpora alessandrina, era posato su di lei per tenerle caldo; il fianco restava tutto scoperto, e cos il viso, il collo e il pet to: era pi bianca del biancospino! Il cavaliere avanz e si sedette davanti al lett o. - Lanval - lei disse - bell'amico, per voi sono uscita dalla mia terra: sono ven uta a cercarvi di lontano, perch vi amo pi di ogni cosa al mondo! Egli la guard, e rimase folgorato dalla sua bellezza. Amore lo colp con la sua fre ccia, ed una scintilla accese ed infiamm il suo cuore. Le rispose allora con dolc ezza: - Bella, se fossi cos fortunato da essere amato da voi, non potreste ordina rmi niente che io non farei con tutte le mie forze, qualsiasi cosa, saggia o fol le. Eseguir ogni vostro ordine, per voi abbandoner tutti. Non voglio mai separarmi da voi, questa la cosa che pi desidero! Quando la fanciulla ud le parole di colui che sentiva di amarla cos tanto, gli acc ord il suo amore ed il suo cuore e gli fece una promessa: qualsiasi cosa egli vol esse, avrebbe potuto averla a suo piacere; lei avrebbe provveduto ampiamente. La nval era veramente fortunato! Ma la felicit sarebbe svanita se avesse rivelato il loro accordo a qualcuno: avrebbe perso per sempre la fanciulla se si fosse sapu to del loro amore! Egli le promise che avrebbe eseguito i suoi ordini, e si cori c accanto a lei. Passarono insieme tutto il pomeriggio, fino alla sera e Lanval s arebbe rimasto ancora se la sua amica l'avesse consentito. - Amico - gli disse - alzatevi, ora dovete andarvene, ma ricordate: ogni volta c he sentirete il desiderio di parlare con me, non potrete immaginare luogo adatto

all'amore senza offesa n scandalo, in cui io subito non mi presenter pronta a sod disfare i vostri desideri; nessuno all'infuori di voi mi vedr e sentir la mia voce . Quando egli ud le sue parole, ne fu molto lieto, la baci e prese congedo e si avvi verso la citt. Si volt spesso a guardare indietro: and pensando alla sua avventura e in cuor suo ne dubit; era stordito, non sapeva cosa credere. Arrivato a casa, trov i suoi uomini in grande eleganza. Quella notte imband riccam ente la tavola, ma nessuno sapeva da dove provenissero i mezzi. Non vi era in ci tt cavaliere bisognoso di ospitalit che egli non accogliesse e facesse riccamente servire. Lanval elargiva bellissimi doni, Lanval riscattava i prigionieri, Lanva l vestiva i giullari, Lanval conduceva una vita fastosa! Non c'era forestiero o amico a cui egli non facesse regali. Era al colmo della gioia: sia di giorno che di notte, poteva vedere la sua amica che era sempre a disposizione. Per quel che so, lo stesso anno, dopo la festa di san Giovanni, circa trenta cav alieri andarono a divertirsi in un giardino, sotto la torre in cui abitava la re gina. Con loro c'era Galvano e suo cugino, il bell'Ivano. Disse allora il prode Galvano, che si faceva amare da tutti: - In nome di Dio, signori, abbiamo fatto male a non portare con noi il nostro compagno Lanval, che tanto generoso e corte se e che ha come pare un potente re. Allora tornarono indietro e portarono con loro Lanval. Ad una finestra decorata si era appoggiata la regina in compagnia di tre dame. La sovrana vide i cavalier i del re, e subito not la bellezza di Lanval. Poi fece venire le sue damigelle pi gentili e leggiadre e insieme andarono a divagarsi nel giardino in cui erano i c avalieri. Tutti manifestarono gran gioia per la loro presenza. Solo Lanval rest i n disparte: non vedeva l'ora di essere in compagnia della sua amica, di baciarla , abbracciarla e toccarla. Quando la regina vide che era solo, gli si sedette ac canto e gli apr completamente il suo cuore: - Lanval, vi dono tutto il mio amore; ditemi, vi prego, la vostra volont! A voi mi concedo, e voi dovete esserne molto fiero! - Signora - egli rispose - lasciatemi stare! Non desidero il vostro amore; ho se rvito a lungo il re ed ora non voglio mancargli di fede. N per voi, n per il vostr o amore, offender il mio signore. La regina and in collera, ed inve: - Lanval, lo credo bene, a voi non piace questo gioco. Ho sentito dire spesso che le donne non vi interessano! Siete circondato da graziosi valletti, e con loro prendete diletto. Villano, codardo, perfido in fame, ben disgraziato il mio signore ad avervi tollerato presso di s, sono sicura che si danner. Quando egli ud queste parole, ne fu molto addolorato, e non indugi a rispondere pr onunciando parole di cui ebbe spesso a pentirsi: - Signora, egli disse, di quell e cose non sono affatto esperto. Amo e sono amico di colei che la migliore di tu tte le donne che conosco. Vi dir una cosa, e tenetela bene a mente con chiarezza: fra quelle del suo seguito, anche la pi meschina, vale pi di voi, signora regina, nella figura, nel volto, in bellezza, cortesia e bont! Allora la regina se ne and e si rifugi piangendo in camera sua; era molto triste e corrucciata perch il cavaliere l'aveva profondamente umiliata. Si mise a letto a mmalata promettendo di non alzarsi finch il re non le avesse reso giustizia del t orto subito. Quando il re entr negli appartamenti della regina, lei subito chiese vendetta; gl i si gett ai piedi implorando grazia e disse che Lanval l'aveva offesa facendole profferte d'amore. Poich lei lo aveva respinto, l'aveva ingiuriata e avvilita gra ndemente; si era vantato di avere un'amica tanto bella, nobile e fiera che anche la sua pi umile ancella valeva pi di lei che era regina. Il re si arrabbi molto: se Lanval non si fosse difeso davanti alla corte, lo avre bbe mandato al rogo o lo avrebbe fatto impiccare. Il re mand tre dei suoi cavalieri a cercare Lanval che era in grandi pene e angos ce: si era accorto che rivelando il loro amore, aveva perduto la sua amica! Se n e stava tutto solo in una stanza; era pensieroso e si tormentava. Spesso chiamav a la sua amica, ma non serviva a niente. Si lamentava e sospirava, e ogni tanto sveniva; poi implorava cento volte piet, affinch lei parlasse al suo amico. Maled i l suo cuore e la sua bocca, e fu un miracolo se non si uccise! Ma non riusc a gri

dare, ad urlare, a dibattersi, a tormentarsi abbastanza da ottenere il suo perdo no. Intanto arrivarono da lui i cavalieri inviati dal re e gli ingiunsero di present arsi alla corte senza indugio: il re li aveva mandati a cercarlo perch la regina lo aveva accusato. Lanval li segu con grande dolore, e se lo avessero ucciso, gli avrebbero fatto solo un favore! Accecato dalla collera, il re gli disse: - Vassallo, voi mi avete recato una gra nde offesa svergognando me e umiliando la regina! Vi siete inoltre inventato una follia: quanto dev'essere nobile la vostra amica se la sua ancella pi bella e pi dotata della regina! Lanval neg di aver disonorato e infamato il suo signore, e di non aver chiesto l' amore della regina. Ma ammise di essersi vantato del suo amore, ed era disperato perch l'aveva perduto! Il re era molto adirato con lui; fece chiamare tutti i su oi vassalli perch lo consigliassero sul da farsi, s che poi non lo s'incolpasse di niente. Stabilirono che a Lanval fosse concesso un termine ma doveva garantire al re di attendere il giudizio e tornare al suo cospetto; nel frattempo la corte si sarebbe ampliata perch in quel momento c'erano solo gli uomini del re. Dopo la garanzia Lanval torn ai suoi alloggi, accompagnato dai cavalieri che lo r improverarono duramente e lo biasimarono per tutta la pena che si diede e maledi rono un cos folle amore. Ogni giorno andarono a trovarlo, per sapere se beveva e mangiava: temevano assai che si lasciasse morire! Il giorno fissato i cavalieri si riunirono. C'erano il re e la regina, e i caval ieri avevano condotto Lanval. Erano tutti molto afflitti per lui; credo che ce n e fossero un centinaio che avrebbero fatto il possibile per assolverlo senza giu dizio: sapevano che era accusato ingiustamente. Ma ora la decisione stava ai bar oni. Erano molto turbati per il gentiluomo straniero che si trovava in tale brut to frangente fra loro. Ma parecchi volevano condannarlo per compiacere il loro s ignore, tra i quali c'era il conte di Cornovaglia che per primo prese la parola: - Non mancheremo al nostro dovere, perch, pianga o canti chi voglia, la giustizi a deve trionfare. Il re ha accusato un suo vassallo, che ho sentito chiamare Lan val; lo ha accusato di fellonia e gli ha imputato una colpa, un amore di cui si vantato provocando la collera della regina. Per la fede che vi devo, non vi dovr ebbe essere materia d'accusa se non fosse che il vassallo deve sempre rispettare l'onore del suo signore. Lanval si impegner con un giuramento, e il re lo affide r a noi. E se si facesse avanti la sua amica, e se fosse vero quello che egli ha detto, che fu causa dell'ira della regina, allora gli sar fatta grazia, perch non aveva parlato cos per spregio. Se per non pu fornire prove, non sar pi al servizio de l re e dovr uscire dal suo regno. I baroni mandarono messi al cavaliere e gli dissero di far venire la sua amica a ffinch potesse proteggerlo e discolparlo, ma lui rispose che non era possibile: d a lei non avrebbe avuto soccorso. Quelli tornarono dai giudici dicendo di non attendere pi nessuna difesa. Il re in tanto li incalzava duramente perch la regina era impaziente. Mentre stavano per pronunciarsi, videro arrivare due splendide fanciulle su due bei palafreni; erano vestite di zendalo porporino, semplicemente, sulla pelle nu da. Tutti rimasero incantati dal loro aspetto. Galvano, con tre cavalieri, and da Lanval e gli raccont tutto, e lo supplic di dirgli se una delle due adorabili cre ature era la sua amica. Ma Lanval rispose che non sapeva chi fossero, n da dove v enissero n dove andassero. Intanto quelle avanzavano sempre a cavallo e scesero d i fronte alla tavola a cui sedeva re Art al quale si rivolsero cortesemente: - Si re, fate preparare delle camere e mettete tende di seta dove possa scendere la n ostra signora: vuole dimorare presso di voi. Egli acconsent con piacere, e fece accompagnare da due cavalieri le sue belle osp iti nelle camere. Il re era assai contrariato da questo ritardo, e chiese ai baroni il giudizio e la sentenza. - Sire - dissero - ci siamo separati perch la bellezza delle fanciul le ci ha distratti, e non abbiamo preso alcuna decisione. Ora riprenderemo il pr ocesso. Allora si riunirono tutti pensierosi; ma tutt'a un tratto videro venir g i per la strada due fanciulle di bell'aspetto, vestite di seta frigia, che cavalc avano due muli spagnoli. Fu grande la gioia dei cavalieri! Pensarono che ora fos

se salvo Lanval, il prode, l'ardito. Ivano corse subito da lui: - Signore, egli disse, rallegratevi! Per amor di Dio, diteci qualcosa! Stanno venendo qui due fa nciulle, molto eleganti e molto belle: una di loro senza dubbio la vostra amica! Ma Lanval si affrett a rispondere che non le conosceva, che non le aveva mai vist e n amate. Intanto le due fanciulle arrivarono davanti al re; quasi tutti ammirar ono la loro figura, il viso e l'incarnato: ciascuna di essa valeva sicuramente p i della regina. La maggiore, che era saggia e cortese, espose il suo messaggio: - Re, fateci pre parare delle camere per ricevere la mia signora: essa viene qui per parlarti. Egli allora le fece condurre assieme alle altre che erano venute prima. Intanto, i baroni, sollecitati dal re, stavano preparando il verdetto quando sop raggiunse una fanciulla a cavallo. Al mondo non ce n'era una pi bella! Cavalcava un bianco palafreno che la portava con soave eleganza. La fanciulla era vestita di una tunica bianca e di un camice che lasciava scoperti i fianchi. Aveva un be l corpo, l'anca bassa, il collo pi bianco della neve sul ramo; gli occhi luminosi ed il viso chiaro, la bocca bella, il naso ben fatto, le sopracciglia scure e l a fronte spaziosa, e un filo d'oro risplendeva meno dei suoi capelli al sole! Il mantello era di porpora scura. Teneva sul pugno uno sparviero ed un levriero la seguiva. Non c'era nessuno nel villaggio, giovane o vecchio, che non accorresse a guardar la appena la vedeva passare. La sua bellezza era straordinaria! I giudici rimase ro sbalorditi da tale visione. Quelli che amavano il cavaliere accorsero da lui e gli dissero della fanciulla che stava arrivando, e che, se Dio volesse, lo avr ebbe salvato. Lanval alz la testa, la riconobbe e sospir; il sangue gli afflu al viso. Allora par l, con la voce rotta dall'emozione: - lei la mia amica! Ora non m'importa se mi u ccidono, se lei non mi vuole discolpare, perch rinasco solo a vederla! La fanciulla arriv di fronte al re. Lasci cadere il mantello perch potessero meglio guardarla. Tutti le resero onori e le offrirono i loro servigi. Dopo averla ben rimirata e aver lodato la sua bellezza, lei parl al re: - Maest, ho amato un tuo vassallo; lui, Lanval. Egli stato incolpato nella tua corte. Non voglio che gli venga danno per quello che ha detto. Sappi che la regina ha mentito: egli non le ha mai chiesto il suo amore. Del vanto che egli ha fatto, se grazie a me pu esse re assolto, che sia liberato dai vostri baroni! Tutti considerarono Lanval innocente, ed egli fu liberato. Fuori dalla sala vi e ra un gran blocco di marmo scuro, dove montavano a cavallo i cavalieri con armat ure pesanti, che si congedavano dalla corte del re. Lanval ci sal sopra. Quando l a fanciulla usc fuori, Lanval balz con tutto il suo slancio sul palafreno, dietro di lei! Con l'amica se ne and ad Avalon, cos raccontano i Bretoni, in un'isola bel lissima. Nessuno sent pi parlare di lui n io saprei raccontarvi altro. Marie de France, Lais

Il lupo mannaro Molti sono i racconti medievali in cui si narra di lupi mannari, ma in Bisclavre t, a differenza delle altre versioni fiabesche della metamorfosi dell'uomo-lupo, l'autrice non svela il mistero che circonda il prodigio. Non si sa di nessun in cantesimo originario, quindi si presuppone che Bisclavret sia lupo mannaro di na scita e non per il volere di una strega. Anche il suo ritorno definitivo all'uma nit non contrassegnato da alcuna liberazione antitetica. Un tempo si sentiva dire e spesso accadeva, che molti uomini diventassero lupi m annari e dimorassero nei boschi. Il lupo mannaro una bestia selvaggia; quando in preda al furore, divora gli uomi ni, commette grandi mali, si aggira e vaga nelle immense foreste. Ora per voglio

parlarvi di Bisclavret. In Bretagna viveva un signore del quale ho sentito tessere le lodi: era bello e buon cavaliere e si comportava nobilmente. Era molto caro al suo signore e amato da tutti i suoi vicini. Sua moglie era molto valente ed affettuosa. I due si am avano, ma una cosa a lei dispiaceva molto: durante la settimana lo perdeva per t re interi giorni e non sapeva che ne fosse di lui n dove andasse. Un giorno la donna lo interrog: - Signore - disse - bello e dolce amico, vi doman derei una cosa molto volentieri, se ne avessi l'ardire, ma temo il vostro corruc cio pi di tutto. Quando egli l'ud, l'abbracci e la baci, poi disse: - Signora, chied ete pure! Qualsiasi cosa domanderete, se posso rispondervi, ve la dir. - In fede mia - riprese la moglie - mi sento sollevata! Signore, sono cos in pena i giorni in cui vi allontanate da me, provo in cuor mio un grande dolore perch t emo di perdervi, e se non vengo subito rassicurata, potrei morirne. Vi prego, di temi dove andate, dove vivete, dove abitate! Temo che voi amiate un'altra donna. - Signora - la interruppe lui - per la grazia di Dio! Me ne verr gran danno se ve lo dico, perch vi allontaner dal mio amore e perder me stesso. Quando la signora ud queste parole, pens che si trattasse di uno scherzo: lo inter rog molte volte, insistette tanto, che lui le raccont tutta la verit, senza nascond erle nulla. - Signora, io divento un lupo mannaro: mi inoltro nella foresta, nel folto della macchia, e vivo di rapina. Giro tutto nudo, e mai sveler a nessuno dove lascio i vestiti, perch se li perdessi e fossi sorpreso cos, rimarrei un lupo e non avrei scampo finch non mi fossero resi. - Signore - replic la dama - vi amo pi di ogni cosa al mondo! Non mi dovete nascon dere nulla, n dovete temere di me: non fidarsi non sarebbe un segno di affetto! C he peccato ho commesso che giustifichi la vostra paura? Vi prego, parlate! Tanto lo torment e tanto lo assill che egli le confid il suo nascondiglio: - Signora, ac canto a quel bosco, di fianco al sentiero che percorro, c' una vecchia cappella c he molte volte mi di conforto: l, sotto un cespuglio, nascondo i miei vestiti fin ch non torno a casa. La moglie divent rossa dalla paura: quel racconto l'aveva sconvolta, e gi meditava vari modi di andarsene: non voleva pi vivere con il marito. C'era nella contrada un cavaliere che da molto tempo l'amava e pi volte l'aveva c orteggiata, ma lei non l'aveva mai corrisposto n lo aveva illuso. Mand un messagge ro a chiamarlo, e gli parl cos: - Amico, siate lieto! Finalmente i vostri tormenti sono finiti, perch vi accorder il mio amore: fate di me la vostra amica! Lui la ringrazi di cuore, e le giur eterno amore. Poi ella gli raccont come suo mar ito scompariva e si trasformava, e convinse il cavaliere a prenderne i vestiti. Cos Bisclavret fu tradito e portato alla rovina dalla moglie. Poich spesso lo si p erdeva di vista, tutti credettero che se ne fosse andato definitivamente. Non c' era pi traccia di lui da nessuna parte, e si fin col dimenticarlo. Di l a poco la s ignora spos il cavaliere che a lungo l'aveva amata. Un giorno il re and a caccia proprio nella foresta dove abitava Bisclavret. Quand o i cani furono sguinzagliati, incontrarono il lupo; gli corsero dietro tutto il giorno, sia cani che cacciatori e poco manc che lo prendessero, lo dilaniassero e lo sbranassero. Ma appena vide il re, il lupo corse da lui a chiedere grazia. Lo prese per la staffa, gli lecc la gamba e il piede. Il re lo vide e rimase sbig ottito. Chiam tutti i compagni: - Signori - egli disse - venite avanti! Guardate questo prodigio, questa bestia ha un'intelligenza umana, e chiede piet. Cacciatemi indietro tutti questi cani, e badate che nessuno lo colpisca. Andiamocene. Risparmier la bestia perch per oggi smetter di cacciare. A questo punto il re prese la via del ritorno, e il lupo lo segu: gli stava ben v icino, non voleva andarsene, n intendeva abbandonarlo. Il re allora lo port al suo castello: lo considerava un prodigio e lo aveva molto caro. A tutti i suoi coma nd di trattarlo bene per amor suo e di non fargli alcun male, anzi, il lupo avreb be dovuto bere e mangiare a saziet come il pi importante dei suoi ospiti. La bestia stava sempre tra i cavalieri, e si accucciava accanto al re. Non c'era nessuno che non l'avesse caro, tanto era buono e mansueto. Dovunque il re andas

se, il lupo lo seguiva, e andava sempre con lui. State a sentire quello che poi successe! A una corte che tenne il re furono invi tati tutti i baroni e feudatari perch ravvivassero la festa e gli porgessero omag gio. Ci and, riccamente vestito, anche il cavaliere che aveva sposato la moglie d i Bisclavret. Certo non s'immaginava di trovarselo cos vicino! Appena entr nel pal azzo e il lupo lo vide, si slanci dritto su di lui: lo afferr con i denti e lo tra scin via. Lo avrebbe certamente sbranato se il re non lo avesse richiamato e mina cciato con un bastone. Due volte tent di morderlo quel giorno! Si stupirono tutti , perch non si era mai comportato cos con nessuno. A palazzo pensarono che se avev a agito cos, ci doveva essere un motivo: in qualche modo il cavaliere doveva aver gli fatto del male, perci il lupo voleva vendicarsi. Non pass molto tempo, da quel lo che ho sentito, che il re, tanto saggio e cortese and nella foresta in cui era stato trovato il lupo. La notte, sulla via del ritorno, si ferm in quella contra da. La moglie di Bisclavret venne a saperlo, e l'indomani and a parlare al re e g li fece portare ricchi doni. Quando Bisclavret la vide arrivare, nessuno riusc a trattenerlo e le si scagli contro come una furia. Sentite come si vendicato bene: le stacc il naso dalla faccia! Stavano per farlo a pezzi quando un saggio disse al re: - Signore, ascoltatemi! Questa bestia stat a a lungo con voi e non ha mai toccato nessuno n commesso malvagit se non contro q uesta signora. Per la fede che vi devo, credo proprio che il lupo abbia qualche rancore verso di lei e verso suo marito. Questa la moglie del cavaliere che sole vate avere molto caro e che da molto tempo abbiamo perduto senza sapere pi nulla di lui. Mettete dunque alle strette la dama affinch vi riveli il motivo per cui q uesta bestia la odia tanto. Non dovremmo stupirci di nulla, perch in Bretagna abb iamo gi visto che sono avvenuti molti prodigi. Il re accett il consiglio: prese in disparte la dama e la interrog con severit. Sia perch costretta, sia perch impaurita, lei raccont tutta la storia del marito: il r acconto di lui, la sua trasformazione, e come lo aveva tradito sottraendogli i v estiti. Ora pensava, anzi, era sicura che la bestia fosse Bisclavret. Il re chie se allora i vestiti: la signora glieli fece portare e li consegn al lupo. Questi non mostr alcun segno di interesse e un consigliere del re gli disse: - Sire, non dovete fare cos! Per niente al mondo costui si rimetterebbe i vestiti davanti a voi e muterebbe l'aspetto di bestia. Egli proverebbe grande vergogna! Fatelo con durre nelle sue stanze e fategli portare i vestiti. Se si trasformer in uomo, all ora lo vedremo bene. Il re in persona accompagn il lupo e chiuse tutte le porte dietro di lui. Dopo un bel po' ritorn, e sul letto trov il cavaliere addormentato. Il re corse ad abbrac ciarlo: lo baci e lo abbracci pi di cento volte. In seguito gli rese tutta la sua t erra e lo ricopr di doni. Cacci la moglie dal paese e dalla contrada, e con lei an che l'uomo per cui aveva tradito il marito. La donna ebbe molti figli: si poteva no riconoscere bene dall'aspetto e dal viso! Molte donne della famiglia, ve lo a ssicuro io, nacquero senza naso e vissero snasate. La storia che avete ascoltato accadde davvero, non abbiate dubbi. A Bisclavret f u dedicato un lai per serbarne memoria eterna. Marie de France, Lais

Guigemar Nella prima parte, il racconto mette in scena il rito dell'iniziazione evidenzia to dalla presenza della cerva con le bianche corna. Nella seconda parte, invece, l'autrice presenta la situazione della malmaritata e del geloso in cui Guigemar s'introduce. Il giovane rappresenta per la ragazza un miraggio di rinascita a n uova vita, mentre ella per lui l'unica speranza di guarigione: l'amore, qui come in altri Lais, sinonimo di salvezza. Vi racconter un'avventura che avvenne al tempo degli antichi nella Bretagna minor

e. In quegli anni regnava sul paese Oilas, a volte in pace, a volte in guerra. Il r e aveva un barone, Oridial, signore di Lon che era cavaliere prode e valente. Dal la moglie ebbe due figli, un maschio e una femmina. La ragazza venne chiamata No guente e il ragazzo Guigemar: nessuno era pi bello di lui in tutto il regno! Quan do ebbe l'et giusta, il giovane and al servizio del re. Era saggio e prode, e si f ece voler bene da tutti. Poi Guigemar si rec nelle Fiandre per ottenere prestigio poich l c'erano sempre guerre e battaglie. N in Lorena n in Borgogna, in Angi ed in Guascogna, si poteva trovare a quel tempo un s prode cavaliere che potesse essergli pari. Ma Natura aveva commesso l'errore di non dargli alcun pensiero d'amore: non vi era al mondo dama n fanciulla che, per quanto fosse nobile e bella, non avrebbe consentito ad amarlo, se egli solo lo avesse chiesto. Spesso pi di una gli aveva dichiarato il suo amore, ma egli no n se n'era curato. Nel fiore del suo prestigio, il giovane se ne torn al suo paese per rivedere il p adre e il suo signore, la madre e la sorella che da molto lo aspettavano. Si nar ra che rimase con loro un mese intero. Un giorno gli venne voglia di andare a ca ccia e, accompagnato dai suoi cavalieri, cacciatori e valletti, si mise sulle tr acce di un grosso cervo. I cacciatori corsero avanti mentre il giovane si attard ava; un valletto gli port l'arco, il pugnale e il cane. Nel folto di una grossa m acchia vide una cerva col suo cerbiatto; la bestia era tutta candida e sulla tes ta portava corna di cervo. All'abbaiare del bracco usc fuori: il cavaliere stese l'arco e scocc la freccia. La colp in fronte, ed essa cadde di colpo; la freccia p er torn indietro, e trafisse Guigemar nella coscia. Cadde a terra sull'erba folta accanto alla cerva che aveva colpito! L'animale, che era ferito, soffriva e si l amentava. Poi si mise a parlare cos: - Ahim infelice! Sto morendo! E tu, cavaliere , che mi hai ferita, ecco qui il tuo destino: non potrai guarirti con alcuna med icina! N medico n filtro ti potranno sanare la piaga che hai nella coscia; soltant o colei che per amor tuo soffrir pene e dolori cos grandi che mai donna abbia soff erto potr aiutarti. E ricorda, anche tu la amerai altrettanto! Di questo si merav iglieranno tutti gli amanti. Adesso vattene, lasciami trovar pace. Guigemar era gravemente ferito e le parole udite lo avevano sconvolto. Cominci a pensare fra s e s in quale terra avrebbe potuto andare per trovare un rimedio, perch non voleva lasciarsi morire. Sapeva bene che mai aveva incontrato una donna a cui avesse de dicato il suo amore e che ora potesse sanare il suo dolore. Allora chiam il valle tto: - Amico - gli disse - corri al galoppo! Fai tornare i miei compagni, perch v orrei parlare con loro. Poi Guigemar fasci la ferita strettamente con la camicia, mont a cavallo e se ne a nd: non vedeva l'ora di essere lontano perch non desiderava che alcuno dei suoi lo trattenesse. Attraverso il bosco segu un verde sentiero che lo port in una pianur a dove gli apparve la scogliera e la montagna. L'acqua che scorreva sotto era un braccio di mare e vi era un porto. Trov una sola nave, molto ben attrezzata. La vela era tutta di seta ed era proprio bella quando era tesa al vento! Il cavaliere se ne stette pensieroso: n in quella contrada, n in quella terra, ave va sentito dire che potessero approdare navi. Avanz e scese da cavallo, e con gra n sofferenza sal sulla nave. Pensava di trovare dentro gli uomini che stavano di guardia, ma non c'era nessuno. In mezzo alla nave trov un letto tutto d'oro sbalz ato al modo di Salomone e intarsiato di cipresso e bianco ebano. La coperta era di seta intessuta d'oro. C'era un'altra coperta di zibellino, foderata di porpor a alessandrina; due candelabri d'oro puro (il meno bello valeva una fortuna!) er ano stati messi verso prua; sopra c'erano accesi due ceri. Il cavaliere rimase stupito davanti a tanto splendore. Si adagi sul letto perch la ferita gli faceva male, e si ripos un po'. Al risveglio volle andarsene, ma orma i era troppo tardi: la nave era gi in alto mare! Correva velocemente, il tempo er a propizio e il vento tranquillo. Il cavaliere si lament, e non c' da stupirsi se fu preso da sgomento, poich la ferita gli procurava gran dolore. Preg Dio che lo p roteggesse, che lo guidasse in porto e lo salvasse dalla morte. Sfinito, si sdra i sul letto e sprofond in un lungo sonno. Prima del vespro approd l dove trov la guarigione, ai piedi di un'antica citt che er a la capitale di quel regno.

Il signore che la governava era molto vecchio e aveva sposato una dama d'alto li gnaggio, nobile, cortese, bella e saggia. Egli era terribilmente geloso, perch na tura vuole che tutti i vecchi siano gelosi: temono di essere traditi. Tale il pa ssaggio obbligato dell'et! La sua vigilanza non era da poco: in un giardino, sott o la torre, c'era tutt'attorno un recinto; il muro era di marmo verde, molto alt o e spesso! C'era una sola entrata, sorvegliata giorno e notte. Dall'altra parte il giardino era circondato dal mare, e dal castello nessuno poteva uscire o ent rare se non con una barca. Per tenere la moglie al sicuro, il signore aveva fatt o costruire una camera nel recinto: al mondo non ce n'era una pi bella! Era tutta affrescata: Venere, la dea dell'amore, molto ben raffigurata, mostrava gli atte ggiamenti con cui si deve mantenere l'amore, e lealmente servirlo. La dea gettav a in un fuoco ardente e scomunicava tutti quelli che avevano letto il libro in c ui Ovidio insegna come reprimere il proprio amore e che seguivano i suoi insegna menti. In quella camera fu rinchiusa la signora. Con lei stava sua nipote che le faceva da dama di compagnia; era una fanciulla assai nobile e raffinata, e tra loro c'era un grande affetto. Un vecchio prete canuto e bianco custodiva la chia ve di quella porta; aveva perso le parti virili, altrimenti il signore non si sa rebbe fidato. Diceva la messa per la povera prigioniera e la serviva durante i p asti. Quel giorno, nel primo pomeriggio, la dama and in giardino a distrarsi un po' in compagnia della nipote. Guardarono verso il mare, e scorsero la nave sulle onde che veleggiava verso il porto. Non videro nessuno al timone, e la dama divent tut ta rossa in volto dalla paura. Ma la fanciulla, che era saggia e pi coraggiosa, l a riconfort e la rassicur. Andarono di corsa verso la nave, vi salirono e trovaron o il cavaliere addormentato. Era cos pallido che pareva morto: ebbero gran piet di lui e della sua bellezza. La dama gli mise la mano sul petto: lo sent caldo e il cuore batteva sotto le costole. Allora il cavaliere si svegli e con grande gioia salut la dama e le raccont la sua storia: - Signora, se volete che vi parli, vi d ir la verit, non vi nasconder nulla. Sono originario della Bretagna Minore. Proprio oggi sono andato a caccia nel bosco, ho colpito una cerva bianca, ma la freccia rimbalzata ferendomi gravemente alla coscia. La cerva si lament e mi maledisse; poi predisse che mai sarei guarito se non grazie a una fanciulla, ma non so prop rio dove trovarla. Una volta appreso il mio destino, uscii in fretta dal bosco. Vidi in un porto questa nave e vi entrai commettendo una pazzia! La nave salpata con me, ed io non so dove sono arrivato, n come si chiama questa citt. Bella sign ora, vi prego, in nome di Dio, consigliatemi, per favore, perch non so dove andar e n so condurre una nave. Lei allora rispose: - Mio caro bel signore, vi consiglier volentieri. Questa citt e la contrada tutt'intorno sono di mio marito; egli ricco e di alto lignaggio, m a anche molto vecchio. talmente geloso che mi ha rinchiusa in questo recinto, gi orno e notte, e non trover mai il coraggio di uscirne senza il suo permesso. Qui ho la mia stanza e la mia cappella, e con me vive questa fanciulla. Se desiderat e restare fin quando non potrete camminare meglio, vi daremo ospitalit volentieri , e vi assisteremo. All'udire tali parole, egli dolcemente la ringrazi e accett l'offerta. La signora lo condusse nella sua stanza; sopra il letto della ragazza, dietro un pannello c he era stato sistemato a guisa di cortina, venne adagiato il cavaliere. Portaron o dell'acqua in bacinelle d'oro e lavarono la ferita e la gamba; con una bella t ela di lino bianco gli detersero il sangue tutt'intorno, poi lo bendarono strett amente. Il cavaliere era proprio circondato di grandi attenzioni! Ma Amore l'aveva ferito nel vivo; il suo cuore ormai era in grande tumulto perch la signora l'aveva trafitto, e gli aveva fatto dimenticare completamente la sua terra. La ferita non gli doleva pi. Con grande angoscia sospir, e preg la fanciulla che lo assisteva di lasciarlo dormire; lei se ne and e si rec dalla signora che g i si sentiva tutta riscaldare dello stesso fuoco che bruciava e consumava Guigema r. Una volta solo, il cavaliere fu malinconico e angosciato ed intu che, se la si gnora non lo avesse guarito, la sua morte sarebbe stata certa e sicura. - Ahim - esclam - cosa far? Andr da lei e le dir di avere piet e misericordia di quest o povero derelitto; se lei sar tanto orgogliosa e crudele da non ascoltare la mia preghiera, allora non mi rester che morire di dolore o languire per sempre in pr

eda al mio male. Tutta la notte vegli cos e sospir e si torment. Davanti ai suoi occhi era sempre pre sente l'immagine di colei che gli aveva rubato il cuore, i suoi occhi luminosi e la bella bocca. Se avesse saputo ci che lei provava e quanto la torturava Amore, a parer mio ne sarebbe stato molto contento: un po' di conforto gli avrebbe all eviato il dolore che traspariva dal pallore del volto. Quel giorno la signora si svegli all'alba dolendosi di aver vegliato: anch'essa t utta la notte era stata tormentata da Amore. La ragazza che stava con lei cap che ella amava il cavaliere, ma soffriva perch non sapeva se era da lui riamata. Men tre la signora era in chiesa, la fanciulla si rec dal cavaliere. Si mise al suo c apezzale, e lui inizi a parlare cos: - Amica mia, dov' andata la mia signora? Perch si alzata cos presto? Poi tacque e sospir. La giovane allora gli disse: - Signore, voi amate! State attento a non nasconder e troppo il vostro amore! Chi volesse amare la mia signora, dovrebbe avere un'al ta stima di lei. Quest'amore sarebbe degno se ambedue foste costanti: voi siete bello, ed bella anche lei! Il cavaliere cos rispose: - Sono talmente innamorato che potrebbe succedermi il p eggio se non trovo soccorso n aiuto. Consigliatemi voi, mia dolce amica: come far con un amore come questo? La ragazza confort il cavaliere con grande dolcezza e gli assicur il suo aiuto e q ualsiasi altra cosa potesse fare. Dopo la messa, la signora torn indietro, memore dei suoi pensieri; voleva sapere cosa faceva, se vegliava o dormiva, colui per il quale il suo cuore non trovava pace. La ragazza la chiam e la condusse dal cavaliere; cos avrebbe potuto aprirgli e mostrargli il suo cuore, con danno o vantaggio. Ambedue erano molto agitati; egli non osava chiederle niente perch temeva che se si fosse dichiarato, lei lo a vrebbe odiato e mandato via. Ma chi non rivela la propria malattia, difficilment e riesce a guarire, perch Amore una ferita interiore e nulla traspare all'esterno ; un male che dura a lungo perch deriva da Natura. Molti lo considerano un gioco, come quei villani cortigiani che si danno alla bella vita dappertutto e poi se ne vantano. Quello non amore, ma follia, vizio e condotta depravata! Chi trova u n amante leale lo deve compiacere e amare molto e deve darsi a lui. Guigemar amava perdutamente: Amore gli diede coraggio, ed egli rivel alla dama i suoi sentimenti: - Signora - le disse - il mio cuore pieno d'angoscia: se voi no n volete guarirmi, non mi resta che morire. Vi chiedo di amarmi: bella, non rifi utate il mio amore! E lei rispose con dolcezza: - Amico mio, sarebbe troppo precipitosa la decisione di accordare ci che chiedete, lasciatemi un po' di tempo! - Signora - replic il cavaliere - in nome di Dio! Non vi dispiaccia che vi dica c os: la donna di natura leggera deve farsi pregare a lungo per rendersi preziosa, affinch non si creda che sia esperta in quel gioco; ma quando la donna di onesti sentimenti trova un amico che le piace, non sar troppo altezzosa con lui, ma lo a mer e ne avr gioia. Bella signora, diamo fine a questa contesa! La signora cap che stava dicendo il vero, e senza indugiare gli concesse il suo a more, ed egli la baci. Finalmente erano felici, e spesso si baciavano e si abbrac ciavano. Per quel che ne so, Guigemar rimase con lei un anno e mezzo, e per i due fu un p eriodo di grande gioia. Ma la fortuna, che sempre in azione, gira in breve tempo la sua ruota: sbalza a terra l'uno e solleva l'altro. A loro successe proprio c os, perch presto furono scoperti. Una mattina d'estate, la signora giaceva accanto al giovane. Gli baci la bocca e il viso, poi gli parl cos: - Mio dolce amico, il cuore mi dice che vi perder: sarem o sorpresi e scoperti. Se voi morite, voglio morire anch'io; e se potrete andarv ene vivo, vi troverete un altro amore ed io rester immersa nel dolore. - Signora - egli replic - non parlate cos! Che non abbia pace n gioia se rivolger il mio amore ad un'altra donna! Di questo non abbiate paura! - Amico mio, fate che io sia sicura di questo! Datemi la vostra camicia: far un n odo nel lembo inferiore. Vi lascio libero, dovunque sia, di amare colei che rius cir a districarlo. Egli le diede la camicia e la rassicur. Allora lei fece un tal nodo che nessuna donna sarebbe stata capace di sciogliere senza ricorrere alle f

orbici o al coltello. Ma anche il cavaliere volle un pegno dalla sua amata: la c inse sulla nuda carne con una cintura e poi la strinse forte attorno ai fianchi: a chi fosse riuscito ad aprire il fermaglio senza spezzarlo n romperlo, lei avre bbe potuto dare il suo amore. Poi la baci e non aggiunse altro. Quello stesso giorno furono scoperti, trovati e visti da un sospettoso ciambella no che era stato mandato l dal signore. Li vide dalla finestra e corse a dirlo al padrone. Quando il signore l'ebbe ascoltato, fu addolorato come mai prima di al lora! Fece accorrere tre uomini fidati e si rec subito alla camera della moglie. Fece abbattere la porta e dentro trov il cavaliere. Era talmente adirato che died e l'ordine di ucciderlo. Guigemar si alz in piedi, non era affatto spaventato. Af ferr una grossa pertica d'abete che serviva ad appendere gli abiti e si mise in g uardia, pronto a difendersi. Il signore lo squadr bene e gli chiese chi fosse e c om'era entrato l dentro. L'altro gli rifer tutta l'avventura della cerva ferita, d ella nave e della sua piaga. Il signore non gli credette, e disse che lo avrebbe gettato in alto mare. Il cavaliere venne condotto al porto: gli uomini del sign ore lo misero sulla navicella, e la nave torn con lui nella sua terra. La nave solc il mare, senza fermarsi ed il cavaliere sospirava e rimpiangeva la s ignora. Pregava Dio onnipotente di dargli una sollecita morte e di non farlo arr ivare in porto se non per riavere la sua amica, che egli desiderava pi della vita stessa. Si torment per tutto il viaggio finch la nave non giunse nel porto dov'eg li l'aveva trovata la prima volta, vicino al suo paese. I suoi amici furono ben contenti per averlo ritrovato. Gli fecero molte feste e molti onori, ma Guigemar era sempre triste e pensieroso. Tutti volevano che si s posasse, ma lui rifiutava con fermezza: mai avrebbe preso moglie, n per interesse n per amore, se lei non fosse riuscita a sciogliere il nodo della camicia senza strapparla. La notizia si diffuse in tutta la Bretagna: non c'era dama n fanciull a che non si recasse a tentare, ma nessuno riusc a disfare il nodo! Ora voglio parlarvi della dama che il signore amava tanto. Per consiglio di un s uo vassallo il marito la imprigion in una torre di marmo scuro. Il giorno stava m ale e la notte stava peggio: impossibile descrivere la sua grande pena, l'angosc ia e il dolore che la dama soffriva nella torre. Rest l per due anni e forse pi, e mai ebbe gioia n diletto. Spesso rimpiangeva il suo amico: - Guigemar - esclamava - che sventura avervi incontrato! Preferisco morire rapidamente che sopportare questo dolore a lungo. Amico mio, se riesco a fuggire, mi annegher l dove vi hanno messo in mare. Poi un giorno and alla porta, e non trov chiave n serratura, e cos usc fuori. Fu un c aso se nessuno la ostacol. Giunta al porto, trov la nave, e vi entr. Ma al pensiero che proprio l il suo amico era annegato, si sent venir meno. Soffr grandi pene, e senza che lei se ne accorgesse la nave salp e la port via veloce. Approd in Bretagn a, ai piedi di un castello ben fortificato. Vi abitava Meriaduc, un signore in g uerra con un vicino. Per questo si era alzato di buon mattino: voleva mandare le sue truppe a danneggiare il nemico. Dalla finestra vide arrivare la nave, e sub ito and al porto. Trov la dama, bella come una fata. Egli la prese tra le braccia e la port con s al castello. Fu molto lieto di averla trovata, perch era bellissima . Sent per lei un amore cos forte che mai aveva provato per un'altra donna. La ser v e la vest con sfarzo, ma lei era sempre pensierosa e triste. Meriaduc le dichiar il suo amore, e lei non se ne diede cura, e gli mostr la cintura: avrebbe amato s olo colui che fosse riuscito ad aprirla senza spezzarla. Allora il cavaliere le rispose adirato: - In questa terra c' anche un cavaliere di grande valore che rif iuta di prendere moglie col pretesto di una camicia che ha il nodo nel lembo des tro; non si pu scioglierlo se non con le forbici o col coltello. Immagino che sia te stata voi a fare quel nodo! Quando ud queste parole, ella sospir, e per poco non svenne. Egli la prese tra le braccia, e prov invano ad aprire la cintura. Le cose restarono a lungo immutate, fin quando Meriaduc indisse un torneo contro il suo vicino con cui era in guerra . Accorsero molti cavalieri, e so che venne anche Guigemar. Lo aveva pregato, in restituzione di servigi, come amico e come compagno d'armi, di accorrere in suo aiuto. Ed egli vi si rec in gran pompa, accompagnato da pi di cento cavalieri. Me riaduc lo ospit nella sua torre con grandi onori. Poi fece chiamare la dama. Acco mpagnata dalla sua ancella, ella entr nella sala. Era pensierosa e pallida, e all

'udire il nome di Guigemar, per poco non cadde a terra. Il cavaliere vide la sig nora, e fiss i suoi tratti ed il suo portamento. Turbato, esclam: - lei, la mia do lce amica, la mia speranza, il mio cuore, la mia vita, la mia bella signora che mi ha amato? Da dove viene? Chi l'ha portata qui? Ma questi sono folli pensieri: so bene che non pu essere lei; le donne si assomigliano molto fra loro, e sono talmente innam orato, che basta una leggera somiglianza a farmi tremare. Ma per colei a cui ass omiglia, che mi fa sospirare e che mi riempie il cuore, le parler volentieri. Cos il cavaliere si fece avanti, la baci e si sedette accanto a lei. Meriaduc li g uardava con una certa invidia, ma poi, sorridendo, si rivolse a Guigemar: - Sign ore - egli disse - se siete d'accordo, questa fanciulla potrebbe provare a sciog liere il nodo della vostra camicia. Chiss che non ci riesca. L'altro fu d'accordo , e subito ordin ad un ciambellano che teneva in custodia la camicia di portargli ela. La signora riconobbe subito il nodo: appena prese il lembo della camicia, l o sciolse con facilit. Il cavaliere si meravigli: l'aveva davvero riconosciuta, be nch dapprima non volesse illudersi! Incredulo dalla gioia, le parl cos: - Amica mia , dolce creatura, siete davvero voi? Ditemi la verit! Lasciate che io veda la vos tra persona e la cintura con cui vi cinsi. Le mise le mani ai fianchi, e sent subito la cintura. - Bella - esclam - che fortu na avervi ritrovata! Come siete arrivata fino a qui? La sua amata le raccont il dolore, le grandi pene e la tristezza della sua prigio nia, e come riusc a fuggirne. Voleva annegarsi, era salita sulla nave, era giunta in quel porto ed il cavaliere l'aveva ospitata. L'aveva trattata con grande ono re, ma ogni giorno le faceva profferte d'amore. Guigemar si alz in piedi e procla m ad alta voce: - Signori - egli disse - ascoltate! Ho ritrovato l'amica mia che credevo di aver perduto. Prego e supplico Meriaduc di volermela restituire! Dive nter suo vassallo, lo servir due o tre anni con cento cavalieri o pi. Ma Meriaduc non volle sentir ragione: - Guigemar - egli disse - mio bell'amico, non sono minacciato n afflitto da nessuna guerra che giustifichi questa offerta. Io l'ho trovata, quindi me la terr e la difender contro di voi! Guigemar se ne and e lo sfid: nella citt non ci fu cavaliere accorso per il torneo che l'innamorato non portasse con s, e ognuno gli giur fedelt. L'indomani si alzaro no di buon'ora, si armarono ed uscirono dalla citt con grande tumulto. Arrivarono al castello e l'assalirono, ma era ben fortificato e non riuscirono ad espugnar lo. Guigemar assedi la citt, e giur che non sarebbe tornato indietro finch non avess e potuto riabbracciare la sua amica. Amici e seguaci aumentarono tanto che gli a ssediati si arresero per fame. Il prode cavaliere conquist e distrusse il castell o e uccise anche il signore. Con grande gioia port via la sua amica: era finita l a pena! Dal racconto che avete ascoltato, fu composto il lai di Guigemar, che si suona con l'arpa e la viola, la cui melodia molto bella a udirsi. Marie de France, Lais

Yonec Yonec molto simile a Lanval per l'identit della premessa: in entrambi i casi il s ovrannaturale reca sollievo alle pene di un mortale, ma ponendo una condizione c he non viene rispettata. Il racconto si divide in due parti: nella prima si narr a dell'ospite misterioso, mentre nella seconda vi si trova il motivo dell'eroe e delle sue gesta. La prigionia della malmaritata rinchiusa nella torre un luogo comune, ma a differenza di altri racconti, qui la dama infrange le regole dell'a mor cortese con richieste troppo frequenti all'amante fino a destare sospetti ne l marito. C'era una volta in Bretagna un uomo ricco e molto vecchio; era governatore di Ca erwent e signore del paese. Poich possedeva molti beni, il signore di cui vi narr o si spos per avere poi degli eredi con una fanciulla di alto lignaggio.

Per il fatto che era bella e gentile, egli non faceva che sorvegliarla, e per pr oteggerla dagli sguardi altrui la rinchiuse dentro la sua torre. Il vecchio affi anc alla moglie sua sorella, anziana e vedova, perch la sorvegliasse. La tenne cos segregata pi di sette anni. Non ebbero figli, e lei non usc mai da quella torre pe r vedere parenti o amici. Quando il signore andava a dormire, non c'era ciambell ano o usciere che si azzardasse ad entrare o ad accendere un lume in sua presenz a. La dama era molto triste, sempre in lacrime, pianti e sospiri. Ella desiderava s oltanto che la morte la portasse via al pi presto. Un giorno di primavera, il signore si alz di buon ora per andare nel bosco. Prima di uscire ordin alla vecchia di chiudere la porta alle sue spalle. Allora la dam a scorse la luce del sole e, davanti a tale bellezza, il suo lamento si fece pi f orte: - Ahim - disse - sono nata disgraziata! Che destino crudele! Sono imprigion ata in questa torre e non ne uscir che dopo morta. Che cosa teme quel vecchio gel oso che mi tiene in cos stretta prigionia? proprio folle e stolto, teme sempre di essere tradito! Se io potessi parlare con altre persone e andare a divertirmi c on lui, sarei gentile nei suoi confronti, anche senza averne voglia. Siano maled etti i miei genitori e tutti gli altri che mi diedero in sposa a quest'uomo gelo so! Quando lo battezzarono, dovettero immergerlo nel fiume dell'inferno: duri ha i nervi, dure ha le vene, tutte colme di sangue vivo! Ho spesso sentito raccont are che un tempo accadevano in questo paese delle avventure che rincuoravano le anime afflitte. I cavalieri trovavano le fanciulle dei loro sogni, belle e genti li, e le dame trovavano amanti belli e cortesi, prodi e valenti. Esse non veniva no biasimate, perch nessuno le vedeva all'infuori del loro amico. Se questo mai a ccaduto a qualcuno, che Dio esaudisca il mio desiderio! Quand'ebbe terminato il suo lamento, vide l'ombra di un grande uccello attraverso una stretta finestra. L'uccello vol entrando nella stanza: sembrava un astore, di cinque o sei mute. Si pos di fronte alla signora: dopo che ella lo ebbe ben guardato, si trasform in un cavaliere bello e gentile. La dama pens ad un prodigio, si sent rimuovere il sang ue e fremere, ebbe molta paura e si copr il volto. Il cavaliere si mostr molto cor tese, e per primo inizi a parlare: - Dama - disse - non abbiate paura, l'astore u n uccello gentile! Se il mistero vi pare inesplicabile, rassicuratevi e fate di me il vostro amico! Sono venuto qui per questo. da molto che vi amo e che in cuo r mio vi desidero; non ho mai amato nessuno all'infuori di voi e non amer nessun' altra. Ma non sarei potuto venire qua se voi non mi aveste chiamato. Ora finalme nte potr essere il vostro amico! La dama si tranquillizz e si scopr il volto. Mai le era capitato di vedere un giov ane cos bello, e decise che sarebbe diventata la sua amante a patto che egli cred esse in Dio e che il loro amore non fosse colpevole. - Signora - disse lui - ci che dite giusto. Per niente al mondo vorrei che foste sottoposta ad accuse, dubbi o sospetti. Io credo fermamente nel Creatore, che ci sollev dal tormento in cui ci aveva gettato Adamo, nostro padre, per il morso de lla mela amara. E se non mi credete, fate venire il vostro cappellano: dite che vi preso un malore e che volete ricevere il sacramento che Dio ha stabilito per salvare i peccatori. Io assumer le vostre sembianze e ricever il corpo del Signore . Rassicurata da queste parole, la dama si sdrai sul letto accanto a lui, ma egli , per troppo rispetto, non volle toccarla n abbracciarla n baciarla. Poco dopo entr in camera la vecchia, e disse alla signora che era tempo di alzars i, ma la dama finse di essere malata: la preg di chiamare subito un cappellano, p erch temeva davvero di morire. La vecchia disse: - Aspetterete! Il mio signore an dato nel bosco, e finch'egli non torna, qui non entrer nessuno all'infuori di me. La dama fu presa da sgomento e fece finta di svenire. A vederla in quelle condiz ioni, la vecchia si spavent e fece chiamare il prete che accorse prima che pot. Il cavaliere, sotto le sembianze dell'amata, ricevette il Corpus Domini e bevve il calice di vino. Da quel momento i due amanti poterono incontrarsi a loro piacim ento. Quel giorno, dopo che ebbero riso e goduto e parlato di cose intime, il cavalier e prese congedo: voleva tornare nel suo paese. Ella lo preg dolcemente di ritorna re spesso a farle visita.

- Signora - rispose - a vostro piacimento, ma fate in modo che non ci sorprendan o. Quella vecchia ci spier giorno e notte: se scoprir il nostro amore lo dir al suo signore, e se le cose andranno cos, sar inevitabile che io muoia. L'indomani la d ama si alz completamente guarita, e fu molto allegra durante tutta la settimana. Ricominci ad aver cura della sua persona, e ritrov tutta la sua bellezza. Ora pref eriva stare l piuttosto che svagarsi altrove! Voleva vedere spesso il suo amico e divertirsi in sua compagnia. Cos, appena suo marito se ne andava, lo chiamava e giacevano insieme, di notte e di giorno, a suo piacimento. Per la gran gioia di vedere spesso il suo amico, il suo aspetto era completamente mutato. Ma il marit o era molto astuto, e si accorse dell'improvviso cambiamento della moglie. Un gi orno interrog la sorella e le chiese perch sua moglie si facesse cos bella. La vecc hia rispose che non ne sapeva nulla, perch nessuno poteva parlare con lei ma era certa non aveva n amante n amico. Allora il signore le ordin: - La mattina, quando sar alzato e avrete chiuso le porte, fate finta di uscire e lasciatela a letto da sola; vi nasconderete ed osserverete bene cosa la rende cos felice. Ahim, sfortunati amanti, li volevano spiare per poi tradirli e ingannarli! Si narra che, tre giorni dopo, il signore fece finta di partire: il re - cos racc ont alla moglie - lo aveva chiamato, ma non avrebbe tardato a ritornare. Usc dalla camera e chiuse la porta. Allora la vecchia si nascose dietro una tenda per sen tire e vedere ci che voleva sapere. La signora rest sdraiata, senza dormire, perch desiderava tanto il suo amico. Ed ecco che egli arriv senza indugiare n tardare un minuto. Grande gioia provarono insieme, con i fatti e con le parole, fino al mo mento di alzarsi perch per lui era l'ora di partire. La vecchia lo vide e osserv b ene com'era venuto e se n'era andato e s'impaur moltissimo a vederlo uomo e poi a store. Quando torn il signore, la vecchia gli raccont la verit sul cavaliere, e que llo ne rimase assai turbato. Si affrett ad escogitare una trappola per uccidere l 'amico di sua moglie, e fece forgiare grandi spiedi di ferro con acuminate punte d'acciaio: non esisteva rasoio pi tagliente! Poi li fiss alla finestra ben strett i e ben piantati, l dove passava il cavaliere quando veniva dalla signora. Dio mi o, se avesse saputo l'inganno che bramava quel malvagio! L'indomani mattina, il signore si alz prima dell'alba e disse che voleva andare a caccia. Appena l'uomo usc, la dama chiam il suo amico. Senza indugiare, egli giun se volando alla finestra, ma, ahim, fu trafitto dagli spiedi. Quanto sangue vermi glio usc dalla ferita! Quand'egli si sent ferito a morte, si strapp la lama ed entr dentro. Si sedette sul letto della dama, e le lenzuola rimasero tutte insanguina te. Il cavaliere le disse: - Mia dolce amica, per il vostro amore perdo la vita. Quand'ella ud queste parole , svenne, e rest a lungo come morta. Il suo compagno la confort dolcemente e le di sse che non doveva disperarsi: aspettava un bambino da lui. Avrebbe avuto un fig lio, prode e valoroso: sarebbe stato il loro conforto e la loro gioia. Yonec - c os si sarebbe chiamato il frutto del loro amore - li avrebbe vendicati entrambi u ccidendo il loro nemico. Il cavaliere non pot pi restare, perch la ferita continuava a sanguinare e se ne an d con grande dolore. Lei lo segu con lamenti strazianti: salt gi da una finestra, e fu un miracolo se non mor! Si mise sulle tracce del sangue che sgorgava dalla fer ita del cavaliere. Avanz per un sentiero finch giunse ad una collina dove vide un varco, tutto irrorato di sangue oltre il quale non riusciva a vedere nulla. Allo ra fu sicura che il suo amico era passato di l, e s'inoltr con slancio. Cammin tant o per la giusta via che usc dalla collina ed arriv in un bellissimo prato. Quando vide l'erba impregnata di sangue si disper, ma prosegu il cammino. L vicino c'era u na citt, tutta cinta da mura; non c'era casa, sala o torre che non sembrasse d'ar gento. Di fronte al borgo c'erano le paludi, le foreste e le riserve. Dalla part e opposta, verso la rocca, scorreva tutt'attorno un fiume. A valle la porta dell a citt era aperta, e la donna vi entr, seguendo sempre la traccia fresca del sangu e, e giunse al castello. L trov tutto il pavimento macchiato di sangue. Entr in una bella camera e vide un giovane addormentato: le era sconosciuto, e allora prose gu. In un'altra camera pi grande c'era solo un letto sul quale dormiva un cavalier e. Pass oltre, e nella terza stanza trov il letto del suo amico. Che meraviglia, che bellezza! Le spalliere erano d'oro puro, le coperte di un va lore inestimabile. I ceri ed i candelabri, accesi giorno e notte, valevano tutto

l'oro di una citt. Subito riconobbe il suo cavaliere. Si precipit sconvolta, e ca dde svenuta su di lui. Quando rinvenne, egli la confort dolcemente: - Mia bella a mica, in nome di Dio, andatevene, fuggite via di qui! Fra poco morir, e ci sarann o grandi scene di dolore. Se vi troveranno qui, vi aspetteranno molti tormenti. Tra la mia gente si sapr che mi hanno perduto a causa del vostro amore. Seguite i l mio consiglio, fuggite! - Amico - rispose la dama - preferisco morire con voi che tornare da mio marito e trovare la morte dalle sue mani. Il cavaliere la rassicur dandole un anellino: fin quando lo avesse tenuto, suo marito non si sarebbe ricordato nulla del passa to, e non le avrebbe serbato rancore. Poi le porse la spada, e la preg di tenerla per suo figlio: - Quand'egli sar cresciuto e sar un cavaliere prode e valoroso le disse - lo condurrai assieme a tuo marito ad una festa. Giungerete ad un'abba zia; vedendo una tomba, sentirete parlare della mia morte e di come fui ucciso a tradimento. L dovrai consegnare a nostro figlio la spada e raccontargli la stori a della sua nascita, e chi era suo padre. Allora tutti vedranno cosa sapr fare. Quando le ebbe spiegato tutto, le don una splendida tunica; lei la indoss e si all ontan. Non aveva percorso ancora mezza lega quando sent suonare le campane e ud i lamenti nel castello per il signore che moriva. Svenne quattro volte dal dolore. Quando ritrov le forze, si avvi verso la collina e torn nel suo paese. Suo marito non l'accus mai di nulla, e presto nacque il bambino che fu chiamato Y onec. Fu ben allevato, ben curato e amato. In tutto il regno non si poteva trova re un giovane cos bello, cos prode, cos valoroso, generoso ed intelligente. Quando ebbe l'et giusta, fu armato cavaliere. Lo stesso anno, state a sentire cos a avvenne: per la festa di Sant'Aronne, che si celebrava a Carlion ed in molte a ltre citt, il signore era stato invitato ad andare con i suoi amici secondo l'usa nza del paese. Doveva portare sua moglie e suo figlio con fastoso apparato. Si m isero quindi tutti in cammino e giunsero ad un castello: in tutto il mondo non c e n'era uno pi bello! Dentro vi era un'abbazia di frati molto devoti. L sostarono. Furono riccamente serviti e onorati. L'indomani andarono a messa e l'abate insi stette perch si trattenessero un altro giorno: voleva mostrare loro il dormitorio , il capitolo, il refettorio ed il proprio alloggio. Cos, dopo aver pranzato, and arono a visitare gli ambienti. Nel capitolo trovarono una grande tomba, coperta da un drappo di seta arabescata con un ricamo d'oro in diagonale. A capo, ai pie di ed ai lati c'erano venti ceri accesi; i candelieri erano d'oro puro, di ameti sta gli incensieri che incensavano tutto il giorno quella tomba in segno di gran de onore. Il signore chiese a quelli del luogo chi vi fosse seppellito. E quelli iniziarono a piangere, e piangendo raccontarono che vi era il miglior cavaliere , il pi forte e il pi coraggioso, il pi bello e il pi amato che fosse mai esistito. Era stato re di quella terra, il migliore. A Caerwent lo avevano ucciso per l'am ore di una donna. Uno di loro disse: - Da allora non avemmo pi signore, ma a lung o abbiamo aspettato il figlio suo e della dama, come egli stesso ci disse e ci r accomand. Quando la signora ud il racconto, chiam il figlio ad alta voce: - Figlio caro - gl i disse - avete sentito come Dio ci ha condotti fin qui? Colui che giace qui vos tro padre, e questo vecchio lo uccise a tradimento. Ora vi affido la sua spada, che ho custodito per tanto tempo. Di fronte a tutti rivel che quel nobil'uomo lo aveva generato; gli raccont dei lor o incontri e di come suo marito lo trad; non gli cel nulla. Poi cadde svenuta sull a tomba, e mor. Allora suo figlio tagli la testa al patrigno con la spada che era stata del padre. Cos Yonec vendic i suoi genitori. Quando in citt si seppe la notiz ia, seppellirono con tanti onori la dama nel sarcofago accanto a quello del suo compagno. E Yonec fu proclamato loro signore. Coloro che udirono questo racconto molto tempo dopo ne fecero un lai, commossi d al dolore che per amore quelli soffrirono. Marie de France, Lais

Il bel cavaliere sconosciuto Il racconto risale al 1200, e l'autore combina a perfezione l'elemento meravigli oso con un'ambigua nozione di realismo. L'amore di un mortale per un essere sopr annaturale, il soggiorno della donna-fata nel mondo degli umani e il soggiorno d ell'eroe nell'altro mondo ricordano vari Lais di Marie de France. L'eroe, a lung o identificato come il Bello Sconosciuto, supera una serie di prove tramite le q uali convince tutti del suo valore, scopre il suo vero nome, Guinglain, e conqui sta la futura sposa, Blanche Esmre. Alle avventure di Guinglain s'intreccia la storia d'amore dell'autore per una do nna che non si vuole concedere, alla quale egli dedica il romanzo e da cui dipen der la fine dello stesso. Guinglain, infatti, torner dalla sua amata fata e sar fel ice solo se anche l'autore sar amato dalla sua donna. A Carlion il re si era fatto incoronare in presenza della corte riunita. Se fost e stati l avreste assistito ad una gran festa: i giullari suonavano le viole, l'a rpa e le musette, i cantori intonavano canzoni e narravano belle avventure. La corte era gremita di bella gente, ed erano talmente tanti che non posso enume rarli, n tantomeno nominare le dame. All'improvviso giunse un messaggero sul suo destriero; si diresse dritto davanti al re, e subito lo river e cos fece con tutti i baroni presenti. Il re a sua volta lo salut, e lo invit a scendere da cavallo. Ma quegli rispose: Art, sono venuto alla tua corte perch non mi venga negato il primo dono che ti ch ieder. Ti prego di concedermelo senza esitare: sei tanto gentiluomo che non devi rifiutarlo. - Io te lo concedo - rispose il re, ed egli cortesemente lo ringrazi. Era vestito di una cotta d'armi ed era proprio un bel giovane. - Che cavaliere! - esclam il re. - Si direbbe dall'aspetto che sa proprio farsi v alere. Bedoier, andate subito dal nuovo venuto e chiedetegli il suo nome. Bedoier fu lesto ad eseguire gli ordini del re, si avvicin al cavaliere e gli dis se: - Sire, il re vi chiede, ve ne prega e vi comanda di dirmi come vi chiamate: ne otterrete solo giovamento. - In verit non conosco il mio nome - quegli rispose - ma mia madre mi chiamava Fi glio Caro, e non so se ho mai avuto un padre. Bedoier and subito a riferire il messaggio a sua maest che decise di dargli lui un nome: - Dato che natura in lui ha riversato in abbondanza ogni bellezza possibi le, e dato che lui non conosce il suo nome, d'ora in poi lo chiamer Bello Sconosc iuto, e cos dovranno chiamarlo tutti i miei baroni. Era cos accaduto, quando a corte giunse una fanciulla. Helie era il suo nome: era vestita di seta preziosa, e al mondo non si era mai vista pi bella creatura. Il viso era candido come il fiore d'estate, colorito di rosa; gli occhi chiari, la bocca ridente, candide mani, bei capelli biondi senza eguali. Al capo portava un diadema d'oro, e le pietre valevano una fortuna. Cavalcava un palafreno pomella to, cos bello che n conte n re ne avevano di eguale. Con lei avanzava un nano, che non era n sciocco n volgare, ma cortese e di buone maniere, aggraziato nel corpo e bello nel viso. Quando la fanciulla giunse davanti al re, parl cos: - Art, ascoltami: la figlia del re Gringras ti manda a salutare, e ti prega e ti chiede aiuto: le serve un cava liere che vada in suo soccorso. Per Dio, nobile re, non negarle il tuo aiuto! In viale un cavaliere che sia in grado di renderle un buon servigio, il migliore ch e tu abbia in assoluto. In nome di Dio ti prego di non indugiare. Ahim, come soff re la mia dama! Ne verrebbe di certo molto onore a chi riuscisse a strapparla al le sue pene e a superare la prova del Terribile Bacio. Ma non ancora nato un cav aliere s prode. Non si faccia avanti un cavaliere di poco valore: si troverebbe b en tosto riverso nella bara. Il re si guardava intorno in attesa che qualcuno si offrisse volontario, ma non ce n'era uno che si mostrasse disponibile, tranne il Bello Sconosciuto. Quando s e ne rese conto, and al cospetto del re. - Sire - gli disse - voglio andare in soccorso di questa dama. - Vorrei che mi a

vessi chiesto altro - replic il re - sei troppo giovane, pene troppo grandi dovre sti patire: meglio che resti qui tranquillo. - In nome dell'impegno che hai preso con me - quegli rispose - ti chiedo il dono che mi hai promesso: un re deve mantenere la parola data! - Andate allora - rispose il re - ed io aggiungo un altro dono: vi accolgo come compagno nella Tavola Rotonda. Udite queste parole, la bella fanciulla non pot tr attenersi ed esclam: - Per la mia testa, giammai partir con me! Ti avevo chiesto i l migliore, e tu mi hai assegnato il peggiore: questa offerta non m'interessa. u n cavaliere troppo giovane, ed io voglio il migliore e il pi prode. Di questo non so che farmene. - Sorella, bella amica - replic il re - ho preso con lui un impegno che rispetter: sono un re, non devo mentire. - Sia maledetta la Tavola Rotonda e chi le siede intorno - grid la fanciulla - se non disponibile a prestar soccorso! Nano, inutile indugiare oltre: andiamocene! E la damigella speditamente si allontan dalla corte insieme al nano, che si chiam ava Tidogolain. Allora il Bello Sconosciuto comand che gli portassero subito le a rmi, e senza perder tempo si fece armare, e Galvano gli assegn Robert, uno scudie ro che gli portasse scudo e lancia. Preso congedo dal re e da tutti gli altri, s i allontan speditamente, ben felice del dono ricevuto. Poi si lanciarono a spron battuto per la valle per raggiungere la fanciulla. Lo Sconosciuto tanto incalz ch e la raggiunse. Quella, quando lo vide esclam: - Dove andate? sappiate che in nom e di Colui che ha creato il mondo, giammai acconsentir che veniate con me. Siete un cavaliere troppo giovane, ed questo il motivo per cui non vi voglio: non potr este sostenere l'impegno n reggere gli scontri tanto duri che dovrete affrontare. Ve ne prego, seguite il mio consiglio e tornate indietro. - Damigella - replic il cavaliere - per niente al mondo torner sui miei passi fino a che non avr portato a termine questa missione di soccorso. E cos fece. [...] Ora racconter, cos come la conosco, la storia del Bello Sconosciuto che aveva cava lcato tutto il giorno. Era sopraggiunta la sera, quando scorse un castello: mai nessuno ne vide di pi bello. Si trovava in un'eccellente posizione, ricco ed opul ento. Un braccio di mare scorreva intorno e circondava tutta la citt. In quella c itt sorgevano cento torri incredibilmente belle di marmo rosso, che brillavano co ntro il sole; vi si trovava anche uno splendido palazzo. Chi lo aveva costruito doveva essere esperto di magia: sembrava fatto di cristallo, era coperto da una volta d'argento, e un rubino brillava alla sommit, splendente pi del sole: di nott e irradiava tale chiarore come se fosse tempo d'estate. Questo di cui vi narro e ra chiamato il castello dell'Isola d'Oro. La signora del castello era la fanciulla dalle Bianche Mani. Era incredibilmente bella e possedeva doti straordinarie: conosceva gli incantesimi e il corso dell e stelle, e sapeva prevedere il bene e il male. Il bel cavaliere sconosciuto si ferm e indic il castello e la luminosit del palazzo alla damigella Helie. Scorsero anche una tenda di grandi dimensioni: era protet ta da una palizzata molto ben costruita con pali aguzzi alle due estremit. All'in terno si trovava un cavaliere, il pretendente della fanciulla del castello, che si armava e si allacciava le calzamaglie di ferro: estate e inverno stava l in at tesa di avventura ardua e gravosa. Il cavaliere e la fanciulla si diressero verso la tenda per passare oltre, ma co lui che era all'interno, glielo imped e con durezza gli grid: - Se volete passare di qui, prima dovete combattere contro di me, oppure rimarrete fuori. una consue tudine, e chi vinto destinato a morte certa: la testa gli subito tagliata armata com'. Da cinque anni il cavaliere spasimava per la fanciulla del castello, senza che l ei esaudisse i suoi desideri, ma se avesse resistito ancora due anni, ella avreb be dovuto accettarlo e sposarlo. Infatti, la fanciulla aveva giurato che se egli avesse difeso il passaggio per sette anni interi, l'avrebbe posseduta, in caso contrario, no. Questa era la tradizione: quando uno dei suoi pretendenti moriva

ucciso in combattimento, ella era tenuta a trattenere chi avesse ucciso il suo s pasimante il quale veniva eletto suo nuovo pretendente ed aveva la possibilit di provare per sette anni a mantenere la consuetudine. Se avesse resistito per tutt o quel tempo, l'avrebbe sposata e sarebbe divenuto signore suo e del castello. L a damigella era certa che chi avesse superato la prova, sarebbe stato tanto prod e da esser degno di diventare suo marito. Aveva pi volte dichiarato che avrebbe preferito morire piuttosto che sposare quel cavaliere, ch non provava n desiderio n interesse per lui: era crudele, perfido e bieco, brutale e infido. Era odiato da tutti, e in citt non c'era chi non desider asse che il Bello Sconosciuto lo sconfiggesse. Al cavaliere fu condotto il cavallo, e vi mont appoggiandosi alla staffa. Un giov ane gli porse lo scudo, un altro gli pass la lancia. Quando lo sconosciuto lo vid e armato ad attenderlo, cap che lo scontro sarebbe stato inevitabile. Preso lo sc udo, si arm della lancia e veloce si diresse verso la carreggiata, ma il cavalier e crudele si par davanti. - Signore - disse il Bello Sconosciuto - vi prego e vi chiedo di lasciarci passare: non vogliate ostacolare il mio cammino. il re Art ch e mi invia qui. - Che follia! - esclam l'altro. - Da qui non passerete: questo possesso mi viene dalla donna che amo. Allora lo sconosciuto fu costretto a scontrarsi. I due contendenti spronarono co n forza i cavalli, e si scagliarono l'uno contro l'altro. Avevano lance ben robu ste e solide, e si colpirono con tale impeto che cavalieri e cavalli s'abbattero no a terra. Quando si ripresero dallo stordimento, trassero dai foderi le spade e ricominciarono a battersi. Lo sconosciuto assest al suo avversario un colpo vio lento, e con un affondo gli tagli i lacci dell'elmo che cadde a terra lasciando s coperto il capo. Allora lo colp al cervello, s che quello barcoll; lacer la calotta dell'usbergo, e il ferro penetr nel cranio. La gente del castello grid dalla gioia: dalla creazione di Adamo mai si era manif estata tanta felicit sulla terra. Il cavaliere ucciso si chiamava Maugiers il Gri gio. Il suo cadavere venne rimosso, e tutti si portarono innanzi al cavaliere vi ncitore. - Signore - dissero - hai conquistato terra, uomini e un paese; ti apparteniamo tutti e ti saremo fedeli; nessun regno vale quello che oggi tu hai conquistato. Hai ucciso il miglior cavaliere che mai sia montato a cavallo, e ci hai reso fel ici. Signore, vieni a ricevere il tuo regno e a vedere la migliore dama del mond o che tu potrai amare e, a Dio piacendo, sposare. Lo condussero al castello dove venne accolto con grandi onori. Allora si present la dama. Quando entr nel palazz o, la sua bellezza emanava una tale luce da apparire come luna quando sbuca dall e nuvole. Vedendola, lo Sconosciuto prov tanto stupore, e a momenti cadde a terra . La dama entr sorridendo, gett le braccia al collo del cavaliere e gli disse: - C aro amico mio, mi avete conquistato, sar vostra e mai mi separer da voi. Vi voglio subito accordare un dono: voglio che venga abolita la consuetudine di custodire la carreggiata l fuori. Far di voi il mio signore, e vi concedo la mia terra e il mio amore. Di buon grado la ringrazi, e la dama dichiar che lo avrebbe sposato e che prima di notte avrebbe comunicato il suo proposito a tutti i signori del suo feudo. Allo ra Helie parl al Bello Sconosciuto: - Caro dolcissimo signore, poich la dama ha de ciso di sposarvi, sono certa che se voi vi opporrete ad accettarla, sarete tratt enuto con la forza. Signore, vi prego di non dimenticare la mia signora che avet e promesso di soccorrere! - Amica - rispose il cavaliere - questo non avverr, a costo della vita! Pensate v oi al da farsi. Helie organizz la fuga per l'indomani all'alba. Quindi si ritirarono tutti nelle proprie camere, e non restarono n cuochi n servi. Il Bello Sconosciuto stava pensi eroso nel suo letto, quando volse lo sguardo verso la porta della camera e vide entrare la dama; allora fu convinto che i suoi desideri sarebbero stati soddisfa tti. Senza velo, a capo scoperto, era vestita d'un mantello di seta verde riccamente foderato d'ermellino. La dama volse lo sguardo verso il letto, e vedendo che il suo amato non stava dormendo, gli si avvicin, tese le braccia fuori dal mantello,

e si chin ed appoggi al suo petto il suo seno, che era bianco come il fiore di bi ancospino. - Caro amico - gli disse con dolcezza - desidero intensamente stare con voi, per ch vi amo oltre ogni limite. Non potevo pi fare a meno di vedervi. Egli la guard teneramente e cerc di baciarla, ma la dama si ritrasse: - Questo no - disse - sarebbe solo lussuria. sappiate che solo quando mi avrete sposata sar t utta vostra. Poi si chiuse nelle sue camere. Il Bello Sconosciuto rimase stupito , convinto d'esser stato beffato e maledisse la sua cattiva sorte che gli aveva girato le spalle. Amore lo opprimeva e lo tormentava, ma era talmente stanco che si addorment. Nel sonno vide colei per la quale il suo cuore palpitava. Per tutt a la notte e fin quando spuntarono le prime luci dell'alba, sogn di tenerla tra l e braccia. Si alz subito velocemente e and alla cappella dove trov Helie, Robert e il nano pronti a partire. Si misero quindi in viaggio cavalcando felici verso la Citt Devastata. [...] Scesa la sera, attraversata la foresta, scorsero la Citt Devastata. Si fermarono subito e smontarono da cavallo. A quel punto il Bello Sconosciuto dovette proseg uire solo, senza nessun seguito. Infatti, Lampart, un cavaliere incontrato lungo il viaggio, lo aveva avvertito che chiunque lo avesse accompagnato, sarebbe sta to ucciso senza remissione. Helie, Robert e il nano iniziarono a piangere quando videro il loro prode cavaliere allontanarsi, e pensarono che non lo avrebbero m ai pi rivisto. Lampart gli aveva detto che, una volta giunto alla citt, avrebbe trovato tutto di strutto, tranne un antico grande palazzo di marmo. All'interno, il cavaliere avr ebbe visto una grande sala, e sulla facciata mille finestre. In ciascuna di esse avrebbe scorto un giullare riccamente vestito, che suonava uno strumento musica le. Al cortese saluto dei giullari, lui avrebbe dovuto rispondere: "Dio vi maled ica!", e poi sarebbe dovuto entrare in una grande sala dove avrebbe atteso la su a avventura. Lo Sconosciuto procedette finch raggiunse la citt. Era deserta, e in stato di tota le abbandono. A questa vista, si fece il segno della croce ed entr per la porta. Non si ferm finch non raggiunse la sala, dove vide i giullari seduti sui vani dell e finestre, con un cero acceso davanti. Quando scorsero il cavaliere che sopragg iungeva sul suo cavallo armato, gridarono ad alta voce: - Dio salvi il cavaliere venuto in soccorso della dama, e appartenente alla corte di re Art! Il nostro eroe ne fu profondamente turbato, e tuttavia rispose: - Dio creatore d el mondo vi riservi ogni sventura! Poi procedette galoppando, senza indugiare. Nella sala c'era una luce intensa pr odotta dalle candele accese che tutti i giullari reggevano. A questo punto il Be llo Sconosciuto vide uscire da una camera buia un cavaliere armato su un cavallo parato di tutto punto e pomellato. Quando vide lo Sconosciuto, gli si lanci cont ro con grande impeto, ma questi si volse verso di lui per colpirlo. Spronarono i cavalli, e si scagliarono l'uno contro l'altro con forza. Visti gli assalti del lo Sconosciuto, l'altro si rese conto che questi era un abile cavaliere, ed era meglio non misurarsi oltre con lui. Allora si diresse rapido verso la porta e si ritir nella sua camera, mentre quegli lo inseguiva. Avrebbe voluto entrare attra verso quella porta, quando vide abbattersi grandi asce pronte a colpirlo. Allora si tir subito indietro, e se non l'avesse fatto, sarebbe stato ucciso. Si ferm al centro della sala, e vi rest a lungo senza poter vedere nulla: era talmente buio che non riusc a trovare il cavallo. Mentre implorava Dio che lo facesse uscire d i l senza dover subire danni e disonore, uno dei giullari si lev e accese tutte le candele: egli non ebbe pi paura e recuper il cavallo. All'improvviso, dalla camera usc un gigantesco cavaliere, armato di tutto punto. I suoi occhi scintillavano come cristalli, un corno gli sporgeva dalla testa, e dalla gola sprigionava lingue di fuoco. Galopp con tale furia che il pavimento de lla sala si frantum ed uscirono fuochi e fiamme. Quando lo Sconosciuto lo vide ri mase sbalordito dal suo aspetto e implor Dio di concedergli la vittoria contro qu el cavaliere. Poi inizi lo scontro: mai sotto il cielo se ne vide uno pi aspro. Co mbatterono a lungo, scambiandosi duri colpi, e presto furono spossati. Si fermar

ono un momento, poi ripresero pi agguerriti di prima, e il Bello Sconosciuto colp l'avversario con tale forza che la calotta non pot impedire alla testa di spaccar si. Lo abbatt morto, con la bocca aperta, mentre il corpo esalava un fumo fetido e ripugnante. Quando il Bello Sconosciuto gli mise la mano sul petto per sapere se era ancora in vita, questi si trasform in una sostanza viscida ributtante e ac ida. Cos mut il suo corpo, perch la sua natura era perversa. A quel punto, i giulla ri si allontanarono: ciascuno spinse con tale vigore la sua finestra, ritirandos i, da scuotere tutta la sala. Le candele furono portate via, e la sala piomb in u na s grande oscurit che non si vedeva niente tanto fitto era il buio. - Dio - supplicava il cavaliere - non so che dire, sono destinato a grande marti rio, e credo che non rivedr pi il giorno. Mi rendo conto che non posso resistere o ltre, perch non so da che parte andare, n so dove si trova il mio cavallo. Non dev o aver paura: non si addice ad un cavaliere smarrirsi qualunque sia l'avventura in cui s'imbatte, poich armato. Soprattutto chi ama non deve temere nulla. Dovrei rivolgere ogni mio pensiero a colei che tanto devo amare, la damigella dalle Bianche Mani, da cui mi sono allo ntanato come un villano. Se riesco a fuggire di qui, andr a chiederle perdono: se Dio vuole, la rivedr, e non mi staccher pi da lei. Il suo amore m'infonde gi vigore , s che di ci che vedo non ho pi paura. Vide allora aprirsi un armadio e sbucarne fuori un serpente, che emanava luce co me una candela accesa, s che illumin tutta la sala. Sputava lingue di fuoco, era o rribile ed enorme e gli occhi erano grandi e luccicanti come due grossi rubini. Era lungo quattro tese, la coda si avvolgeva in tre spire, e non c'era colore cr eato da Dio che non vi si mescolasse. Avanzava verso il cavaliere, e questi, ved endolo, si fece il segno della croce e impugn la spada. Non l'aveva ancora sguain ata, che quell'enorme serpente si inchin. - Non devo colpirlo - disse fra s e s - visto che fa gesto di umilt. Il serpente continuava ad avanzare verso di lui, sempre pi vicino. A questo punto pens di estrarre la spada, ma il serpente si chin nuovamente in atteggiamento ami chevole. All'improvviso il serpente si lanci verso di lui e gli baci la bocca, poi si allontan e rientr nell'armadio che si richiuse. Il frastuono cess e non si veri ficarono altre disavventure, se non che la sala rimase al buio. - Signore Iddio - esclam turbato il cavaliere - che ne sar di me dopo aver ricevut o quel Terribile Bacio? Mi ha stregato il diavolo, che mio malgrado mi ha baciat o. La mia vita ormai vale molto poco. A questo punto sent una voce rivelargli chiaramente la sua origine e il suo ligna ggio: - Figlio di messer Galvano, ben sapevo con certezza che nessun cavaliere s arebbe stato in grado di liberare questa dama, n sostenere il bacio e l'avventura , tanto era piena di difficolt e pericoli. Ma tu, grazie al tuo coraggio, hai sal vato questa fanciulla di grandi virt. Re Art ti ha dato un nome sbagliato: ti ha c hiamato Bello Sconosciuto, ma il tuo nome di battesimo invece Guinglain. Conosco tutta la tua vita: messer Galvano tuo padre, e tua madre la fata Blanchemal. Fu lei a fornirti l'armatura e la spada e ad inviarti presso Art. Hai portato a ter mine l'impresa nel migliore dei modi. Concluso il discorso, la voce tacque. D'ora in avanti vi narrer la storia di Guin glain, il prode cavaliere, una storia che si tramander per sempre fino alla fine del mondo. Guinglain era talmente spossato che si sdrai sul tavolo e si addorment. Era pieno giorno quando si svegli, e la sala era inondata di luce. Al suo capezzale trov una dama di straordinaria bellezza: era di un colorito cos fresco che mi impossibile descriverla, e basti sapere che natura l'aveva creata e formata con grande cura . Quando Guinglain la vide, sollev la testa e la salut. - Signore - rispose la bella creatura - vi appartengo per diritto: mi avete libe rata dalla prigionia in cui mi trovavo. Sono la figlia del generoso Gringras, e sono colei per la quale la damigella Helie si recata a chiedere aiuto a re Art: p er me vi trovate in questo paese. Mi avete liberata da un grande tormento, che d a pi settimane mi affliggeva, e vi dir in che modo ebbi ad incorrervi. Non erano a ncora trascorsi due mesi dalla morte del re mio padre, che arriv qui un mago, acc ompagnato dal fratello. Si presentarono come giullari e quel giorno stregarono t utti gli abitanti della citt, demolirono torri e abbatterono campanili. Avreste p

otuto assistere ad avvenimenti incredibili: la terra si apr in un terribile frast uono, volarono pietre e cozzarono fra loro. Signore, sembrava che tutto crollass e e che cielo e terra sprofondassero. Fecero tali incantesimi che tutti fuggiron o, poich nessuno fu in grado di contrastarli. Vennero quindi a sottopormi a sorti legio qua dentro: mi toccarono con un libro e subito presi l'aspetto di un serpe nte, e a lungo mi lasciarono in questo stato. Sarei per sempre rimasta un serpen te se il miglior cavaliere della corte di re Art non fosse venuto a liberarmi. No n conosco nessuno migliore di te, tranne tuo padre, il signor Galvano, dotato di ogni virt. I giullari che avete visto erano parte dell'incantesimo, e fra essi s i trovavano individui senza scrupoli. Il cavaliere che vi attacc per primo si chi amava Evrain il Feroce, il secondo era Mabon, artefice di tutti i sortilegi. Ucc idendolo, avete messo fine alle loro malefatte e ai loro incantesimi, allora tut to svanito. Sappiate che il serpente che venuto a baciarvi ero io: solo cos potei ritrovare le sembianze umane. Signore, quella che vi ho riferito la pura verit, nessuna menzogna, nessun inganno. Voi ora sarete il signore del mio regno: quest o paese il Galles ed io ne sono la regina, mentre il nome autentico di questa ci tt Senaudon; da quando Mabon l'ha distrutta, si chiama la Citt Devastata, ed la ca pitale del mio regno. Ma vi prego, in segno di gratitudine per avermi liberata, di prendermi come moglie: sarete incoronato re, ricco e potente. Sentite queste dolci parole, Guinglain le rispose: - Mia dolce dama, vi sposer mo lto volentieri, se Art me lo consente. Andr a chiederglielo, perch senza il suo con senso non accetter, e se egli approva, vi sposer. Con queste parole convinse la fanciulla ad attendere, e la rese felice, poich orm ai era convinta di essere la sua donna. A questo punto il cavaliere scorse Helie , lo scudiero Robert e il nano; quando furono nuovamente riuniti, se ne rallegra rono, poi si affrettarono a liberare Guinglain dall'armatura, e allora videro tu tte le ferite che riportava dal combattimento. Lo condussero in una camera ricca di gran quantit d'oro d'Alessandria, di vesti di seta orientale, di mantelli fod erati di vaio e di numerosi altri ornamenti di grande valore. I baroni del Galles, i vescovi e gli abati, tutti i principi e i vassalli accors ero non appena seppero che la damigella era stata salvata. Mai al mondo si manif est gioia pi intensa come quella che essi dimostrarono appena videro la loro signo ra che credevano di aver perso. Ella allora si rivolse all'assemblea: - Signori - disse - ascoltatemi: che cosa mi consigliate di fare con questo cavaliere che per me ha sofferto tante pene? Il suo nome Guinglain, ed un nobile d'alto rango. Suo padre Galvano il leale, nipote del re che regna sulla Bretagna e su un terr itorio che si estende fino alla Spagna. Tutta l'assemblea esclam: - Nobile signora, non mancate di sposarvelo, perch vi ha liberato da un grande tormento e vi ha salvato dalla morte. Lo vogliamo come no stro signore, perch sulla terra non ne conosciamo di migliore. E subito accorsero dal cavaliere a proporglielo. Entrati nella camera, lo saluta rono con grande affabilit, poi un ricco duca da loro scelto prese la parola per c omunicare il messaggio che era stato loro affidato: - Signore - disse - ascoltat emi: la mia signora e tutto il suo seguito mi han fatto messaggero di una propos ta che sicuramente far accrescere il vostro prestigio. Ella vi chiede di sposarla senza indugio. Sarete re di un vasto dominio: vi apparterr tutto quanto vi si tr ova, e nulla vi verr sottratto. Ditemi che ne pensate, s che io possa riferirne a tutti i baroni e alla regina mia signora, che vi ama di tutto cuore. - Signore - rispose Guinglain, pallido e senza forze - vi sono molto grato, e no n intendo nascondere la mia intenzione di sposarla volentieri. Ma prima mi reche r in Bretagna a chiederne il permesso al re, perch in caso contrario non la sposer. Se la vostra signora desidera avermi come marito, le do un buon consiglio: che si prepari in fretta per andare a corte con grande sfarzo. Blonde Esmre - questo era il nome della regina - s'impegn a recarsi di buon grado a corte e ad esaudire tutti i desideri del suo amato Guinglain, che desiderava ar dentemente sposare. Prima che ella partisse, in citt fecero ritorno tutti gli abi tanti che vi erano vissuti: portarono con s oro e argento e in breve tempo la cit t fu ricostruita e popolata da brava gente. Mentre la regina si preparava, Guingl ain si riposava in citt. Guar completamente nel giro di quindici giorni, ma un alt ro tormento cominci ad infliggerlo: Amore gli aveva fatto perdere la testa, e sof

friva oltre ogni limite per la Fanciulla dalle Bianche Mani. Da quando si era al lontanato dall'Isola d'Oro, non l'aveva mai dimenticata, e lo ossessionava il pe nsiero di essersi staccato da lei senza neppure salutarla. Pi volte gli sembr, imm erso nel sonno profondo, di vedere il suo viso e di essere coricato nel letto de lla sala dove era stato ospitato, con la fata accanto a lui, in atteggiamento e in abbigliamento uguali a quelli di quando l'aveva vista allorch si era accostata al letto. Il pensiero di lei non lo abbandonava mai, e un giorno, in preda allo sconforto, chiam il suo scudiero per consigliarsi con lui. - Signore - disse Robert - non vi turbate, se Amore vi ha in suo potere, perch si ete un cavaliere valoroso e senza dubbio riuscirete a valicare il suo arduo pass aggio. Se volete, datemi ascolto: quando sar tutto pronto per il viaggio della re gina alla corte di re Art, lasciateli pure partire tutti e voi andate ad armarvi a vostro piacere senza che nessuno vi veda, poi mettetevi in cammino. Quando avr ete raggiunto la regina, parlatele con grande cortesia e chiedetele di poter par tire. Ditele che non potrete unirvi a lei, e che vostra volont dirigervi altrove dove vi attendono altri impegni, ma che nel pi breve tempo possibile la raggiunge rete a corte. Allora riprenderemo la strada del ritorno alla fata, procederemo s speditamente, dal mattino alla sera che raggiungeremo l'Isola d'Oro dove trovere mo la vostra amica. - Caro amico, dovrei dunque avere il coraggio d'osare di far ritorno da lei dopo averla lasciata in modo cos scortese? - S, caro signore - rispose Robert - cos potrete riferirle le vostre pene. Sopportando i tormenti d'Amore, Guinglain attese quattro giorni. Al quinto giorn o, alle prime luci dell'alba, Blonde Esmre si prepar per partire e, scortata da tut ti i suoi baroni, lasci Senaudon. Una volta fuori dalla citt, la regina si allarm s ubito di non vedere Guinglain. Quando finalmente lo vide sopraggiungere armato c on il suo scudiero, il cavaliere le disse da lontano: - Cara amica mia, non poss o venire con voi; devo dirigermi altrove a sbrigare un'importante questione. Dop o che l'avr risolta, vi assicuro che verr alla corte di re Art. La regina era molto addolorata, afflitta e turbata; tuttavia non esit a continuar e il suo viaggio verso la corte. Intanto Guinglain proseguiva veloce: ad attirar lo era la Bella dalle Bianche Mani che desiderava ardentemente rivedere. Cavalcarono dal mattino fino al calare della sera per oltre trenta leghe gallesi , quando infine giunsero davanti al bel castello dell'Isola d'Oro. Videro dame, cavalieri e fanciulle, e si diressero alla loro volta. Guinglain fu molto felice quando riconobbe la Fanciulla dalle Bianche Mani che guidava il gruppo in sella a un palafreno bianco con una criniera che sembrava dorata. La sua amata era in credibilmente bella, e basti dire che non potrebbe trovare creatura cos bella e s aggia e di cuore cos nobile chi andasse a cercarla in giro per tutto il mondo. Il cavaliere la raggiunse e la salut: - Dama, sono felice di vedervi, perch, non p osso celarlo, muoio per voi e voglio chiedervi perdono. - Chi siete? - replic la dama. - Dove ho potuto mai vedervi? - Dama, all'interno del vostro palazzo mi avete ospitato giorni fa. Mia dolce am ica, non vi mento: mi prometteste allora il vostro regno, ma io me ne partii da folle per portare a compimento la mia missione; da allora mi ha tormentato l'amo re per voi che racchiuso nel mio cuore. - Come? - disse la dama. - Voi siete colui che tanto mi ha disprezzato e che ha portato gravissimo oltraggio a me e a tutto il mio lignaggio andandosene senza p rendere congedo? Voi vi siete reso responsabile di un'azione riprovevole, da per sona volgare e insolente. Vi ho molto amato, ben ricordo, e ci mi trattiene dal d isonorarvi. Se cos non fosse, mi vendicherei. Vi avviso per che mai pi senza difese mi abbandoner totalmente a voi s da amarvi troppo. Quando Guinglain ud quelle parole, il suo bel viso impallid, e sent venirgli meno l e forze. - Dama - disse - non avete nessuna piet di me? Ne morir certamente, so bene che no n potr vivere oltre. Parlarono a lungo, finch giunsero al castello, ma Giunglain r est fuori dalla citt, sconfortato, senza forze e disfatto. Non sapeva che dire e c he fare. Il cavaliere si torment tutta la notte, perch Amore tanto lo stringeva ne i suoi lacci che il suo cuore ne era afflitto e triste, e sopport le sue pene nel l'attesa di poter parlare alla sua amata. Era davvero in pessime condizioni, ind

ebolito e afflitto, quando nella dimora presso la quale alloggiava entr una dolce fanciulla. - Signore - gli disse la bella creatura - vi porto il saluto di colei che tanto desiderate; la signora di questa citt, e non se ne trova di pi bella fra altre cen tomila. Vi manda questa veste e vi comanda di andare a trovarla una volta che sa rete guarito. Udite queste parole, subito il cavaliere si sent completamente rinvigorito, e seg u la bella fanciulla fino da colei che gli faceva tanto battere il cuore. Giunsero ad un palazzo, entrarono e videro un giardino stupendo: vi risuonavano sempre canti di uccelli di varie specie presenti in gran quantit, e vi si diffond evano profumi cos soavi di spezie e di fiori che pareva di essere in paradiso. Al l'ombra di un ulivo stava la signora, circondata da dame e damigelle. Appena le si trov davanti, Guinglain la salut; ella gli porse la mano nuda e sedettero quind i su un cuscino di seta grigia, di fronte al gruppo di fanciulle. - Dama - disse il cavaliere - per quanto vi piaciuto mi avete fatto pagare a car o prezzo il non aver preso congedo da voi quando sono partito per la mia mission e di soccorso. Abbiate piet di me: il mio cuore vi appartiene e, se volete creder mi, Amore sar per me garante che morir per voi se non mi concederete il perdono. I due si guardavano, e con gli occhi si rubavano i cuori, ch anche la dama lo ama va, e disse: - Amore mio, inutili sono il vostro senno, il vostro valore e la vo stra generosit, ch l'unica pecca che avete che non sapete amare, e questa la cagio ne dei vostri guai. Ora vi prego di stare con me in questo palazzo, e forse ne t rarrete piacere. [...] Quando la dama entr nella sua camera, Guinglain non stacc lo sguardo da lei finch n on riusc a vederla, poi and a coricarsi. Guardava spesso verso la porta, nella spe ranza di vederla uscire dalla sua camera e raggiungerlo nel suo letto cos come av eva fatto l'altra volta. Non vedendola, si disperava, e ripetutamente si alzava per recarsi da lei e poi si fermava. Non pot pi trattenersi dall'andare: si alz e s enza far rumore si diresse verso la camera. Gli sembr di trovarsi su una passerel la; sotto scorreva un grande fiume, vorticoso e rumoroso pi di una tempesta. Guin glain guardava in basso l'acqua che faceva oscillare la passerella e credette di cadere gi. Si aggrapp con le mani mentre il corpo rest sospeso in basso: le bracci a perdevano forza, e pensava di essere ormai prossimo alla morte. Si mise allora a gridare a perdifiato: - Signori, aiuto! Dio mio, morir annegato se qualcuno no n verr subito a salvarmi! Accorsero i servitori svegliati dalle grida, e trovarono il cavaliere appeso ad un posatoio di sparviero, con il terrore di annegare. Appena vide i servitori, l 'incantesimo svan. Guinglain si allontan di l, umiliato e confuso, e invano cerc di dormire. Amore lo incalzava e lo tormentava, e cos si lamentava fra s e s: - Ah, me , misero! Che crudelt! vedo bene che la camera aperta, e tuttavia non posso entra rvi. Penso proprio che qui sia stato fatto un incantesimo. Volse allora lo sguardo verso la camera e vide venire una fanciulla di nobile po rtamento e di bel viso. Si avvicin al letto del cavaliere, e gli disse che la sua signora lo invitava nella sua camera. Guinglain non se lo fece ripetere due vol te, e accorse subito dall'amata. La stanza era impregnata di deliziosi aromi, illuminata da candele e sembrava ve ramente di essere in paradiso. La dama era sdraiata sul letto, prezioso quanto m ai se ne vide, e il cavaliere le si sdrai accanto: nessuno fu mai pi felice di lui . Gli amanti si abbracciarono con dolcezza: le loro labbra si unirono e quei bac i lenirono le loro sofferenze e le inondarono di gioia. Non so se ne fece la sua amica, perch non ero l e non ho visto niente, ma accanto al suo uomo la dama pers e il suo stato di fanciulla. Restarono a lungo l'uno nelle braccia dell'altra, e quella notte la bella creatura svel al suo amico la causa di tutte le sue pene e degli incantesimi. - Mio caro - disse - vi dir la verit: sono stata io ad infliggervi queste pene a c ausa dell'offesa che mi avete recato quando mi lasciaste. Conosco a perfezione l 'arte della magia: mio padre era un re ricco e potente, e tanto mi amava che mi fece apprendere le sette arti liberali. Studiai con tanto impegno che sono stata

in grado di consultarmi con il sole e con la luna; so fare tutti gli incantesim i, prevedere e conoscere il futuro. Grazie ai miei poteri, sapevo tutto di voi, e molto tempo fa ho iniziato ad amarvi. Sono stata io a dire a Helie di recarsi a chiedere aiuto per la sua signora al re Art. Sappiate che vi ho aiutato con tut ti i miei poteri al fine di farvi mio e di essere la vostra donna. Adesso mi app artenete, e d'ora in avanti saremo sempre sereni. L'indomani la dama chiam a corte duchi, conti e marchesi a divertirsi per il rito rno del suo amato che tanto ella aveva desiderato, e tutti gli resero onore e lo riconobbero come loro signore. Ora vi dir di Blonde Esmeree, che aveva lasciato il Galles e si dirigeva alla cor te di re Art. Proseguirono lungo il giusto cammino finch trovarono il re a Londra, dove era stato loro indicato. La regina si fece abbigliare con una preziosa ves te d'oltremare, tanto elegante e riccamente adorna che non c'era bestia al mondo che non vi fosse ricamata in oro puro. Quando fu pronta, lei e tutti i suoi bar oni si presentarono da re Art. - Signore - diss'ella al re - ascoltatemi: sono la figlia del re Gringras, colei alla quale hai inviato il cavaliere che i Bretoni chiamavano a torto il Bello S conosciuto, e per questo vi sar eternamente grata. Il suo vero nome Guinglain, fi glio di Galvano e della fata Blancemal. Signore, vi prego adesso di concedermelo come marito, e poi sar incoronato re. In Galles si separato da me, deve tornare, e sono angosciata del suo ritardo. Il re ne fu molto felice ed abbracci la regina. Anche i baroni accolsero con gioi a la buona nuova, ma si rammaricarono per l'assenza di Guinglain. Temevano che n on facesse pi ritorno, e decisero di trovare un espediente per farlo tornare: il re avrebbe fatto indire un torneo, poich sapevano che il bel cavaliere amava trop po le armi per rinunciarvi. Si decise di bandirlo da l a un mese dove si stendeva no le belle pianure fra il Castello delle Fanciulle e Valedon. Nell'attesa, il r e invit la regina del Galles a fermarsi a corte. Nel frattempo Guinglain viveva con la sua amica sull'Isola d'Oro, dove poteva es audire ogni suo desiderio. Un giorno si trovava nel palazzo, quando giunse un gi ullare ad annunciare che si sarebbe tenuto un grande torneo al Castello delle Fa nciulle. Il cavaliere ne fu molto lieto e and subito a chiedere alla sua amica di lasciarlo andare. Ma ella se ne rammaric: - Mio caro - gli disse - non partecipe rete a questo torneo con il mio permesso. Io so gi in virt delle mie facolt magiche e dalle stelle che se ci andrete, mi perderete per sempre, perch l vi attende una dama che Art vi vuol dare in moglie. - Signora - rispose Guinglain - vi giuro che non sposer altra donna che voi, non vi inganner. Signora, permettetemi di andare. - Amico mio caro - ella replic - ben so che avete deciso di partecipare a questo torneo contro i miei desideri, perch non mi amate abbastanza da rinunciarvi in no me delle mie preghiere. Adesso sar messa alla prova la vostra lealt. Ma niente poteva trattenere Guinglain, che seguiva solo le sue inclinazioni: mai nessuno fece simile follia! Quella notte giacque al fianco della fanciulla godendo con lei dei piaceri dell' amore. Al mattino, quando si svegli rest stupito di quel che vide, perch si ritrov i n un bosco; accanto a lui il suo equipaggiamento, e il suo cavallo. Robert, ai s uoi piedi, teneva per il morso un cavallo da soma, e sotto la testa aveva un tro nco. Avevano proprio bisogno d'aiuto: tale la colpa tale la punizione. Si guarda rono e rimasero spaesati. - Robert - disse Guinglain - questa notte abbiamo dorm ito qui? Ieri sera mi sono coricato accanto alla mia donna, con tutti gli onori. Ora sono qui in mezzo al bosco, sbigottito e smarrito. Che crudele destino! La mia amica mi aveva avvisato che l'avrei persa se fossi andata al torneo. Ah, me, misero, che disastro! Sar infelice per il resto della mia vita. Robert cerc di co nsolarlo, e dopo poco montarono a cavallo e si misero in viaggio. Il cavaliere e ra in preda ad un grande tormento, e cavalcava afflitto dall'amarezza e dalla ra bbia d'aver perso la sua donna. Cavalcarono per pianure e boschi, attraversarono lande, valli e fiumi, finch giunsero al Castello delle Fanciulle. I cavalieri erano gi tutti usciti per partecipare al torneo. [...]

Ecco sopraggiungere Guinglain, rimasto indietro per armarsi. Quando vide quelle schiere scontrarsi, lanci al galoppo il cavallo e colp Keu il siniscalco, che si e ra fatto avanti per affrontarlo. Inizi a menar gran colpi con quel troncone che i mpugnava, assestandoli sugli elmi con tale violenza da far vacillare tutte le fi le. Il torneo era veramente d'alto livello, per la presenza di duchi, conti e re. Qu anti scudi vennero fracassati e quanti cavalieri abbattuti, e che scambi di colp i, e quante lance spezzate, e quanti cavalieri disarcionati! [...] Guinglain sguain la spada d'acciaio e si difese come un leopardo; lo circondarono da tutti i lati, cercando in ogni modo di disarcionarlo, ma avreste dovuto vede re come si difendeva menando tremendi colpi di spada. Il prode cavaliere si lanc iava ripetutamente per la spianata montando un cavallo di Spagna. Lo spronava di continuo con gli speroni indirizzandosi verso i Bretoni. Gli altri cavalieri lo temevano pi che gli stornelli lo sparviero, e nessuno era in grado di confrontar si con lui che abbatteva chiunque colpisse. Tutti immaginavano che sarebbe stato lui il vincitore del torneo e che a lui spettava l'onore, perch mai nessuno avev a assistito a s mirabili imprese di un cavaliere, e cos fu. Con tanti onori fu condotto a Valedon, dove trovarono re Art presso la sua dimora . Il re riconobbe Guinglain e l'abbracci, e la gioia fu grande. Alloggiarono l que lla notte, e il giorno seguente cavalcarono a lungo, finch giunsero a Londra dove si trovava Blonde Esmeree. Quand'ella vide il suo amato, lo accolse con grande gioia, lo salut e lo abbracci. Allora il re si rivolse a Guinglain: - Caro amico m io - gli disse - sono molto felice di vedervi tanto prode e saggio; adesso vogli o riservarvi un futuro di grandi onori. Vi invito a prendere in moglie questa re gina, cos voi sarete incoronato re e grande sar il vostro potere. a voi che spetta , poich l'avete conquistata con le armi e salvata da un grave pericolo. Non potre ste avere donna pi bella n di pi alto lignaggio. Il re e tutti i presenti lo pregar ono con tanto calore che Guinglain acconsent. [...] Che dirvi e raccontarvi di pi? Guinglain, di cui gi avete udito le vicende, fu inc oronato e spos la dama che tanto lo aveva amato. Si narra che fu un re di cui si conserv lunga memoria. Qui si conclude il racconto. Bella, verso cui il mio cuore rivolto, Renaut de Be aujeu vi prega intensamente di non dimenticarlo. Vuole amarvi per sempre con tut to il cuore, e non potete impedirglielo. Se vi piacer, proseguir il racconto, oppu re tacer. Ma affinch voi siate ben disposta nei suoi confronti, farebbe s che Guing lain ritrovi la sua amata che ha perduto, e che la tenga nuda tra le braccia. Se invece esiterete, Guinglain perder per sempre la fanciulla. Non c' altra possibil it di vendetta, e per sua grande sventura questa vendetta cadr su Guinglain, di cu i non parler pi fino al giorno in cui vorrete amarmi. Renaut de Beaujeu, Il bel cavaliere sconosciuto

Lo sguardo obliquo traduzione dall'inglese di Raffaella Vori Il re Herla Vita di Corte uno zibaldone di storielle reali e immaginarie secondo il gusto de l pubblico inglese medievale scritta da Walter Map, un ecclesiastico intellettua le alla corte di Enrico II Plantageneto, nella seconda met del 1100. L'elemento f antastico, tratto dalla cultura popolare e da leggende celtiche e gallesi, si tr aduce nel gusto per il meraviglioso, nella curiosit per l'inusuale, nell'accettaz

ione del soprannaturale, nello stupore per eventi portentosi, nella credibilit di visioni profetiche. Una leggenda racconta che ci fu, unica e sola, una corte simile alla nostra, e c he Herla, re dei pi antichi Bretoni, fu contattato da un altro re che sembrava un pigmeo, a causa della sua bassa statura corrispondente a quella di una scimmia. Secondo la leggenda, l'omicciatolo stava in groppa ad una enorme capra, ed avev a sembianze umane simili a Pan: viso fiammeggiante, testa grandissima, barba ros sa e lunga da toccare il petto che si distingueva per la pelle di daino, pancia ispida e gambe con piedi caprini. Herla parl a quattr'occhi con il re e il pigmeo disse: - Io, capo di molti re e principi, di innumerevoli genti, inviato da lor o, vengo da te di buon grado; tu non mi conosci, ma io so la tua fama che ti pon e al di sopra degli altri re, dal momento che sei il migliore e sei vicino a me per posizione e sangue, e sei degno di nobilitare le tue nozze avendomi come con vitato: il re di Francia infatti ti ha concesso la mano di sua figlia, anche se a tua insaputa, ed i suoi messaggeri arriveranno oggi. Ci sia un patto eterno tr a noi: che io assista alle tue nozze, e tu alle mie, nello stesso giorno, un ann o dopo. Finito di parlare, pi fulmineo di una tigre, si gir e scomparve alla vista del re. Questi, rientrato a corte meravigliato, trov gli inviati annunciati e ne accett l e profferte. Quando, il giorno delle nozze, Herla s'assise solennemente sul tron o, riapparve, prima dell'inizio del pranzo, il pigmeo, con una folta di suoi sim ili che, esauriti i posti a tavola, si sistemarono fuori, in tende montate all'i stante. Dalle tende uscirono servi che recavano vasi di pietre preziose e puriss ime, disposte insieme ad opera d'arte, e riempirono la reggia e le tende di supp ellettili d'oro o di gemme, guardandosi dal mangiare o bere in oggetti d'argento o di legno. Ovunque ci fosse bisogno, erano presenti, e quello che servivano no n proveniva dalla dispensa del re o di altri, ma distribuivano con generosit ci ch e era loro, in quantit eccedente le richieste e i desideri di ognuno. Le pietanze che re Herla aveva fatto preparare non furono toccate e i suoi domestici sedeva no a braccia conserte. I pigmei si aggiravano tra i commensali, ammirati da tutt i per i preziosi abiti e le gemme, senza dare fastidio ad alcuno per parole, azi oni, presenza o assenza. Ad un tratto il re pigmeo si rivolse ad Herla dicendo: - Nobilissimo re, Dio mi testimone che sono presente alle vostre nozze secondo i l nostro patto. Se voleste chiedermi qualcosa in pi di quello che vedete, provved er ad accontentarvi presto e volentieri; altrimenti non mancate di ricambiare l'o nore ricevuto quando lo chieder. Ci detto, si ritir nel suo padiglione e all'alba se ne and con i suoi. Passato un anno, il pigmeo si present improvvisamente ad Herla e lo invit a rispet tare il patto. Questi acconsent, e dopo essersi procurato tutto il necessario, si incammin dietro a lui. I due entrarono nella cavit di un'altissima rupe e, dopo e sser passati da una fitta oscurit ad una luce che sembrava prodotta da una miriad e di lumi, arrivarono agli appartamenti del pigmeo, un palazzo bellissimo e simi le alla reggia del Sole descritta da Nasone. Celebrate l le nozze e soddisfacente mente ricambiati i servizi del pigmeo, Herla prese congedo e se ne and carico di gratifiche e doni: cavalli, cani, falchi e tutti i migliori strumenti per la cac cia e la falconeria. Il pigmeo li accompagn fino al punto in cui iniziavano le te nebre e fece dono al re di un piccolo cane di razza da portare in braccio, racco mandandosi ripetutamente che nessun membro del corteo smontasse a terra finch que l cane non fosse balzato via dalle braccia di chi lo portava; e, salutati tutti, torn a casa. Dopo un breve cammino, Herla torn alla luce del sole e al proprio regno, e chiese ad un vecchio pastore notizie della regina. Il pastore, guardandolo con stupore , rispose: - Signore, capisco appena la tua lingua, perch io sono Sassone e tu Br etone; non conosco quella regina, ma ho sentito dire che esisteva una regina con quel nome molto tempo fa, sposa di Herla, re dei pi antichi Bretoni, scomparso, secondo la leggenda, con un pigmeo dalle parti di questa rupe, e mai pi ricompars o sulla terra. I Sassoni, poi, hanno conquistato questa terra ormai da duecento anni, dopo aver scacciato gli abitanti. Il re, stupefatto perch pensava di essersi trattenuto solo tre giorni, riusc a mal

apena a rimanere in groppa. Alcuni della sua scorta, per, dimenticandosi le dispo sizioni ricevute, scesero da cavallo prima che lo avesse fatto il cane e subito si tramutarono in polvere. Ma il re cap subito il motivo della trasmutazione e pr oib a chiunque, sotto la minaccia di una morte simile, di toccare terra prima che vi fosse disceso il cane, il quale, tuttavia, non si muoveva. La leggenda racco nta che il re Herla continua ancora la sua folle corsa con il suo esercito, in u n vagare senza fine, senza riposo n arresto. Molti spesso dicono di aver visto qu ell'esercito: recentemente, in coincidenza del primo anniversario dell'incoronaz ione del nostro re Enrico, ha cessato, dicono, di visitare frequentemente questo regno come prima. Proprio allora stato visto da molti Gallesi tuffarsi nei pres si di Wye, fiume della contea di Hereford. Da allora, la corsa fantastica si arr estata, ma come se gli uomini di Herla avessero trasmesso a noi il loro vagare e fosse giunto per loro il riposo. Ma se non vi va di pensare a quanto sia da compiangere questa instabilit, vi piac erebbe ascoltare il racconto di certi fatti recenti? Walter Map, Vita di Corte

Apparizioni fantastiche Le storie fantastiche sono desunte dalla cultura popolare, specialmente gallese, che predilige il soprannaturale satanico. Elemento comune la visione di donne b ellissime che si rivelano, poi, esseri malvagi e mostruosi: la bellezza femminil e vista come strumento di inganno e di falsit, e di essa l'autore vuole dare avve rtimento all'uomo perch se ne guardi. I Gallesi narrano di portenti, ma non di miracoli. Dicono che Gwestin Gwestiniog viveva presso il lago di Brycheiniog, largo due miglia, e vide per tre notti di luna delle donne danzare nel suo campo d'avena: le segu finch sparirono nelle acq ue del lago ed alla quarta notte ne cattur una. Il rapitore stesso dice che, dopo l'immersione, le udiva mormorare sott'acqua e dire: - Se avesse fatto questo e quest'altro, avrebbe catturato una di noi - cos che apprese da loro stesse il mod o in cui pot catturare quella. La donna consent a sposarlo, e le sue prime parole al marito furono: - Ti servir volentieri e ti obbedir con devozione fino al giorno in cui, volendo lanciarti verso le voci al di l del Llyfni, mi colpirai con una briglia. Il Llyfni un fiume vicino al lago. Quello che disse accadde puntualmente: dopo l a nascita di molti bambini la donna fu da lui colpita con la briglia e quando eg li torn, la vide che fuggiva con i bambini e la insegu, riuscendo appena a sottrar re uno dei suoi figli, chiamato Triunein Vagelauc. Questi, essendo ambizioso, us c dai ristretti confini della sua terra, si scelse come signore il re di Deheubar th, cio del Galles del Nord, e l dimor a lungo, ma non sopport la tracotanza del suo signore che, sedendo per cenare e facendo scorrere lo sguardo sui propri uomini , numerosi e ben forniti di forza ed armi, proclamava con vanto: - Non esiste provincia o regno sotto il cielo da cui non possa facilmente trarre bottino e ritornarmene senza colpo ferire: chi infatti pu resistere alla mia gra ndezza ed a quella del mio seguito? E chi pu sfuggirmi senza difficolt? Udendo queste parole e pensando alla prodezza e all'ardimento dei suoi compatrio ti, Triunein disse: - Signore, con rispetto per la regia maest, il nostro sovrano Brychan eccelle per il proprio valore e quello dei suoi, che n tu n qualsiasi alt ro re potreste depredarlo nei giorni in cui al mattino le cime dei monti sono li bere da nubi ed i fiumi delle valli coperti di nebbia. Il re, a queste parole, si adir e ordin di legarlo e condurlo in carcere. Ma un ni pote del re, Madoc, che voleva bene a Triunein, intervenne: - Signore, costui non pu essere legato e maltrattato senza un minimo di giustizia e con salvaguardia del vostro buon nome, finch non si dimostrer che mente. Per ci che riguarda la nebbia che grava sui fiumi e le cime dei monti sgombre, sono seg

ni di tempo sereno: vuol dire quindi che con il tempo buono nessuno pu estrarre b ottino da loro. Proviamo a vedere se questa vanteria risponde a verit, e, col bel tempo, facciamo di Triunein la nostra guida, dato che egli conosce la disposizi one di quei luoghi, le vie di accesso e di uscita. Il re fu d'accordo e cos essi penetrarono nel regno di Brychan di Brycheiniog ed ammassarono un ingente bottino. Il re Brychan nel frattempo si trovava seduto a fare il bagno, e nessuno and a dirgli niente, poich era temuto per una sua riprove vole abitudine: ogni volta che gli si annunciava una brutta notizia, gi alla prim a percezione della disgrazia, come fosse in preda al demonio, dava all'istante a ddosso al messaggero con quello che aveva in mano, pietra, bastone o spada che f osse, ma dopo il primo lancio, o colpo, o impeto, si pentiva e chiamava indietro l'uomo, leso o illeso, per ascoltarlo fino in fondo. Sentiva ora alte grida ed aveva a portata di mano una lancia, per cui, bench il suo esercito fosse gi schier ato contro i nemici, nessuno osava informarlo di quello che stava accadendo, fin ch un giovane nobilissimo balz nel mezzo della mischia e disse: - So che per paura nessuno vuol farsi ambasciatore di questa nuova presso il re, ma se voi tutti m i benedirete, sar io ad annunciargli il pericolo - e, chinato il capo e ricevuta dalle mani e dalle bocche di tutti la benedizione, raggiunse il re nelle terme e gli disse: - Le vostre milizie della terra di Rheinurg, cio di Brycheiniog, d'or a in poi non combattono pi, dal momento che mancano gli animali. Il re allora balz fuori dal bagno e nell'impeto dell'ira gli scagli la prima pietr a che trov, fallendo per la mira; poi, come al solito, lo richiam e, informato dell e novit, prese vesti ed armi e salt sul cavallo, ancora legato da funi, lanciandol o al galoppo da Montgomery, dove si trovava, fino alla sua terra di Rheinurg. L f u apostrofato da una donna perch sciogliesse il cavallo dai vicoli; si arrest all' istante, si accorse delle pastoie e liber il cavallo, e solo allora riprese la su a corsa, maledicendo la donna, finch non raggiunse i suoi uomini. Questi, quando lo videro, si rianimarono e con veemenza si scagliarono contro il nemico, lo sba ragliarono e lo massacrarono, e l'indomani, quando praticamente tutto l'esercito fu annientato, il re ordin di riunire in un sol luogo le mani destre, e in un al tro tutti i piedi destri, e costru sopra ciascun mucchio di membra una collina, a ricordo della sua vittoria su tanta vanagloria. Dicono che Triunein sia stato salvato da sua madre e che egli viva con lei in qu el lago di cui si parlava, ma io penso che sia una bugia, poich facile inventare una simile storia a proposito di una persona di cui si sono perse le tracce. Simile a quella appena narrata la storia di Edrico Wilde, cio selvaggio, cos detto per l'agilit della persona e per l'arguzia delle parole e dei gesti, uomo integr o e signore di Lydbury North. Un giorno tornava dalla caccia, di sera, per strad e solitarie, incerto sul sentiero da prendere, verso la mezzanotte, accompagnato solo da un fanciullo. Arriv infine ad una grande costruzione ai margini della fo resta, simile a quei luoghi di ritrovo che gli inglesi avevano in ogni parrocchi a e che essi chiamano ghildhus, e quando vi fu vicino e si accorse che c'era den tro una luce, sbirci all'interno e vide un gruppo numeroso di donne che danzavano : erano bellissime, vestite elegantemente in splendidi abiti di puro lino, di co rporatura maggiore e pi alte delle nostre. Il nostro cavaliere ne not una in parti colare, che si distingueva tra le altre per le forme ed il viso, desiderabile pi di ogni favorita del re. Le donne formavano un cerchio, con movimenti aggraziati e gesti soavi, e dalle l oro voci senza difetti, accordate in ammirevole armonia, gli giunse un suono fle bile, senza che riuscisse per ad afferrare le parole. A questa visione, il cavali ere ricevette una ferita al cuore e non riusciva a sopportare le vampe suscitate dalle frecce di Cupido; tutto si accese, tutto s'infiamm, e per l'ardore causato da quell'aureo pericolo, si fece ardito. Aveva sentito parlare del vagare delle divinit pagane, di demoni notturni e delle loro mortifere apparizioni, di Dictinna e delle bande di Driadi e Lari; sapeva della vendetta dei numi offesi e del modo in cui infliggano inaspettati castighi agli inaspettati spettatori; come si mantengano puri e vivano in incognito in l uoghi segreti e isolati, come odino quelli che cercano di sorprendere e svelare i loro convegni, che danno loro la caccia per farli uscire allo scoperto; con qu ale rapidit si sottraggano a sguardi indiscreti. Aveva udito di vendette e di ese

mpi di persone punite; ma poich a ragione Cupido rappresentato cieco, egli, dimen tico di tutto, non pens ad apparizioni spettrali, non vide vendicatori, ed inciam p, malaccorto, poich non ebbe luce. Gir attorno alla costruzione, trov l'ingresso, i rruppe dentro, rap quella che gli aveva preso il cuore, e subito fu afferrato dal le altre. Dopo una strenua lotta, si liber alla fine grazie ai tenaci sforzi suoi e del fanciullo, bench non del tutto illeso, ma ferito ai piedi e alle gambe, co me solo possono fare unghie e denti delle donne. La port con s e per tre notti e t re giorni fece di lei quello che volle, senza per riuscire a strapparle una parol a: ella subiva in silenzio i suoi voluttuosi istinti. Il quarto giorno finalment e la fanciulla parl cos: - Salve, mio dolcissimo! Che tu sia salvo e possa godere della prosperit nel fisico e nei beni finch non mi muoverai rimproveri per le mie sorelle dalle quali mi hai strappato, o per il luogo o bosco da cui provengo; qu el giorno si concluder la tua felicit, e dopo che io sar sparita subirai frequenti avversit ed anticiperai per la tua impazienza il tuo giorno fatale. Egli promise con ogni garanzia di essere sempre fermo e fedele nel suo amore. Po i mand a chiamare i suoi nobili vassalli vicini e lontani, e davanti alla moltitu dine riunita si un solennemente in matrimonio. In quel periodo regnava Guglielmo il Bastardo, allora nuovo re d'Inghilterra, ch e udendo questo prodigio e desiderando verificarlo con sicurezza, li invit entram bi a Londra. Con loro vennero molti testimoni e molte dichiarazioni giurate di c oloro che non potevano presentarsi di persona; un argomento a favore dell'essenz a soprannaturale era la bellezza della donna, mai vista n udita prima di allora; e tra lo stupore suscitato in tutti, furono rimandati a casa. Dopo parecchi anni, accadde che Enrico, tornato dalla caccia verso la terza ora della notte, cercasse e non trovasse la moglie: la chiam e la fece chiamare, e, g uardandola arrivare senza sollecitudine, esclam in preda all'ira: - Sei stata for se trattenuta cos a lungo dalle tue sorelle? - ed altre invettive che andarono a finire nell'aria perch ella, appena nominate le sorelle, spar. Il giovane si pent d i un eccesso d'ira cos grande e ritorn al luogo in cui l'aveva rapita: ma n lacrime n implorazioni valsero a restituirgliela. Egli la invocava giorno e notte, sempr e pi a scapito della propria salute mentale: e proprio l, in un incessante dolore, la vita gli venne meno. Lasci comunque come erede il figlio che la donna per la quale mor gli aveva dato, Alnoth, uomo di grande integrit e saggezza, che, quando fu abbastanza anziano, fu preso dalla paralisi e dal tremore del capo e delle me mbra; poich tutti i medici lo giudicarono incurabile, fu consigliato da uomini eg regi che doveva con ogni sforzo adoperarsi per andare in pellegrinaggio dagli ap ostoli Pietro e Paolo, dove sono sepolti i loro corpi, cio a Roma, e cos avrebbe s icuramente riconquistato la salute. Egli rispose loro che mai avrebbe mancato di riverenza a sant'Etelberto, re e martire, di cui era parrocchiano, non presenta ndosi prima a lui, e si fece condurre a Hereford. L, al tramonto, davanti la tomb a del martire, gli fu restituita la salute, e come segno di ringraziamento don in perpetua elemosina a Dio e alla Beata Vergine e al santo re Etelberto il suo po ssedimento di Lydbury, nel Galles, con tutti gli altri possedimenti che ancor og gi fanno parte della signoria del vescovo di Hereford, e si dice che renda ai su oi padroni trenta libre annue. Abbiamo sentito di demoni che si congiungono con donne, come gli incubi, o con u omini, detti succubi, e dei loro pericolosi accoppiamenti; ma raramente o mai ab biamo letto nelle antiche storie di loro eredi e discendenti che abbiano avuto u na fine felice come Alnoth, che don tutti i propri beni a Cristo come ringraziame nto per aver recuperato la salute e trascorse il resto della sua vita come pelle grino al suo servizio. Da fantasia, che vuol dire apparizione fugace, deriva fan tasma; infatti le apparizioni che i demoni con i loro poteri, ma non senza il be neplacito di Dio, a volte fanno a qualcuno, passano o senza nuocere o con danno, a seconda che Dio, il quale ne stabilisce il compimento, decida di tutelarci o abbandonarci, e permetta che noi ne siamo tentati. E cosa bisogna dire di quei casi fantastici che permangono e si prolungano nel t empo, come quello di Alnoth o quello dei Bretoni, in cui si racconta che un cava liere seppell la moglie indubbiamente morta, e poi se la riprese rapendola da una danza corale, e che in seguito ebbe da lei figli e nipoti, e che la loro razza perdurata fino ai giorni nostri, e che coloro che trassero da l origine sono dive

nuti una moltitudine e sono chiamati "Figli della morta"? Le opere e le grazie del Signore vanno considerate con cura ed Egli va lodato pe r ciascuna di esse, ed Egli infatti imperscrutabile cos come le Sue opere, che tr ascendono le nostre indagini e sfuggono alle nostre spiegazioni. Walter Map, Vita di Corte

Altre apparizioni fantastiche Raccontano ancora di un cavaliere che ebbe il primo figlio dalla sua carissima, buona e nobile moglie, ma il mattino seguente alla sua nascita lo trov nella cull a con la gola tagliata. Trascorso un anno, la stessa sorte tocc al secondogenito, e il terzo anno al terzo figlio, malgrado la sorveglianza sua e dei suoi famili ari, miserevolmente vana. L'uomo e sua moglie allora trascorsero il periodo prec edente il quarto evento tra molti digiuni, elemosine, preghiere e lacrime: nacqu e cos il loro quarto figlio, un maschietto che tutti i vicini circondarono di fia ccole e lumi, mai togliendogli gli occhi di dosso. Giunse allora un pellegrino: il suo aspetto rivelava stanchezza, forse per il viaggio, e siccome chiedeva asi lo in nome di Dio, fu accolto con grande rispetto. Questi sedette osservandoli t utti: ed ecco, dopo la mezzanotte, mentre gli altri erano assopiti e lui solo er a rimasto ben sveglio, vide all'improvviso una veneranda matrona protendersi sul la culla e fare il gesto di sgozzare il bambino. Subito egli, sollecito, balz in avanti, la afferr e la tenne stretta finch tutti si svegliarono e la circondarono: molti la riconobbero e dissero apertamente che era la pi nobile delle dame di qu ella citt, per stirpe, ricchezza, costumi ed onest. La donna per, alla richiesta de l proprio nome, come ad altre domande, non volle rispondere. Il padre ed altri p resenti attribuirono questo silenzio alla vergogna per il vedersi catturata e vo levano lasciarla andare; il pellegrino per continuava ad affermare che si trattav a di un demone, e la stringeva con forza; poi con una chiave della chiesa vicina le impresse un marchio sul volto, a prova della sua essenza diabolica, ed ordin che gli fosse al pi presto condotta la donna che essi avevano creduto che fosse q uesta. La donna gli fu portata mentre egli ancora teneva ferma l'altra, e si vid e che erano uguali sotto ogni aspetto, anche nel marchio. Disse quindi il pelleg rino ai presenti, attoniti e stupiti: - La donna che arrivata adesso degna e gradita a Dio, ed ha, con le sue buone az ioni, attirato l'invidia dei demoni: ecco il motivo per cui questa loro trista i nviata ed esecutrice del loro furore stata resa invisibile, per quanto possibile , e simile a questa brava donna, in modo da far ricadere su di lei l'infamia dei suoi misfatti. Perch crediate a quel che dico, guardate cosa far appena la lascer libera. Ella infatti vol via dalla finestra con alte strida e lamenti. Cosa dire poi di q uesti e simili episodi? Paolo ed Antonio, giustamente definiti eremiti, poich abi tatori vaganti di un vasto territorio deserto, nella loro solitudine cercavano s olo Dio, non si conoscevano l'un l'altro, e furono nell'intimo avvertiti l'uno d i rendersi ospite arrivando, l'altro accogliendo; il primo doveva essere atteso, il secondo doveva attendere. A colui che arrivava, incerto sulla via da prender e, tagli la strada di corsa un centauro, animale dimorfo, uomo dal petto in su, c avallo sotto; quest'essere rispose alle domande di quello con muggiti invece che con parole e con la mano gli addit la strada da percorrere. Subito dopo si prese nt spontaneamente un altro essere, con i piedi di capra, il ventre ispido, sul pe tto una veste fulgida e scintillante, viso rubicondo, mento barbuto, corna erett e, somigliante quindi a quello che gli antichi chiamano Pan; ma pan significa tu tto, per cui si dice che egli abbia in s la forma di ogni essere. Quegli indic la strada parlando con estrema chiarezza e, quando gli fu chiesta la sua identit, ri spose di essere uno degli angeli che, scacciati insieme a Lucifero, si sparsero per il mondo, ciascuno secondo quanto meritava per la propria superbia.

Parliamo ora di un cavaliere della piccola Bretagna che era rimasto vedovo e ave va pianto a lungo la moglie. Una notte la trov in mezzo ad un folto gruppo di don ne, nella valle di uno sterminato luogo disabitato. Ne rimase meravigliato ed in timorito, e vedendo di nuovo in vita colei che aveva sepolto, non credette ai pr opri occhi e gli venne il dubbio che la visione fosse opera delle fate. Si propo se fermamente di rapirla, per trarre concretamente gioia dalla rapita, se vedeva giusto, o, nel caso in cui fosse tratto in inganno da un fantasma, per non esse re tacciato di codardia a causa della rinuncia all'impresa. Perci la rap e godette della sua compagnia per molti anni, cos allegramente e intensamente come con la prima, ed ebbe da lei dei figli, dei quali oggi sono numerosi i discendenti, det ti "figli della morta". Sarebbe questo un incredibile e strabiliante insulto alle leggi della natura, se non esistessero chiare vestigia del vero. Walter Map, Vita di Corte

Hennone dentato Ancora un esempio di inganni orditi da donne ai danni di ingenui personaggi che si lasciano facilmente sedurre e convincere dalla forza persuasiva della bellezz a femminile. Hennone dentato, barone normanno, cos chiamato per la sua enorme dentatura, trov u na fanciulla di straordinaria bellezza in un boschetto, a mezzogiorno, vicino al la costa del litorale normanno. Sedeva sola, adorna di abiti regali in seta, e v ersava lacrime silenziose con aspetto affranto, ma era cos bella che neppure le l acrime riuscivano ad imbruttire. Il giovane si infiamm per il fuoco che gli si er a acceso dentro. Si meravigli che un simile tesoro fosse privo di custode e che p iangesse come una stella caduta dal cielo avvicinandosi alla terra. Si guard into rno nel timore di celate insidie; non ne trov, quindi si inginocchi umilmente dava nti a lei e riverentemente le disse: - Dolcissimo e luminosissimo splendore del mondo, sia che questo desiderabile sf olgorio che si irradia dal tuo volto appartenga ad un essere umano, sia che la d ivinit abbia voluto mostrarsi ai suoi devoti sulla terra ornata dei suoi migliori ornamenti in maniera cos splendida, io ne gioisco, e anche tu degnati di gioirne , dal momento che ti capitato di sedere sulla terra che mi appartiene. Povero me , che sono stato scelto per essere al tuo servizio! Ella rispose in un modo cos innocente e candido, simile ad una colomba, che si sa rebbe detto avesse parlato una donna angelo, in grado di ingannare qualsiasi ang elo: - Amabile fior di giovent e desiderabile lume degli uomini, non stata una mia cos ciente previsione a condurmi qui, ma il caso. Una violenta tempesta ha spinto l' imbarcazione di mio padre su queste coste contro la mia volont. Dopo essere sbarc ata insieme alla giovane che vedete (e in quel momento apparve una ragazza), un vento favorevole segu la bufera, e i marinai, con mio padre, se ne andarono a vel e spiegate. Appena si accorgeranno della mia assenza, torneranno qui in lacrime; nel frattempo, affinch non mi divorino o mi assalgano lupi o uomini malintenzion ati, se mi garantirai la tua buona fede, rimarr con te per un po': sicuramente pi salutare che mi affidi a te finch non torner mio padre. Hennone, buon intenditore, vide esaudito il suo desiderio e fu lesto ad acconsentire a tutte le condizioni che gli venivano avanzate, e port con s, trionfante, il tesoro trovato, manifesta ndo alle due donne la pi grande gioia possibile. Le introdusse in casa e leg a s in matrimonio quella illustre pestilenza, l'affid alla custodia della madre ed ebbe da lei una bellissima prole. La madre era un'assidua frequentatrice della chiesa, e la moglie ancora di pi, pr odigandosi nel soccorrere orfani, vedove e tutti gli indigenti. Per condurre la sua malvagit al fine desiderato, ella compiva ogni buona azione davanti a tutti,

ma evitava l'aspersione dell'acqua benedetta e, con la scusa della troppa folla o di qualche faccenda da sbrigare, si allontanava astutamente prima del momento del sacrificio del corpo e del sangue del Signore. La madre di Hennone se ne acc orse e, insospettita, si dispose ad investigare col massimo zelo cosa succedesse . Sapeva che tutte le domeniche la nuora entrava in chiesa dopo l'aspersione e n e fuggiva prima della consacrazione e, per conoscerne la ragione, pratic di nasco sto un piccolo foro nella sua camera, da cui spiare senza essere vista. Una dome nica, di prima mattina, quando Hennone era gi uscito per recarsi in chiesa, vide lei entrare in bagno e da deliziosa ragazza che era trasformarsi in drago; poco dopo, la spi uscire dal bagno e dirigersi verso un mantello nuovo dispiegatole da lla cameriera e ridurlo con i denti in piccolissimi pezzi, poi tornare al propri o aspetto, e quindi servire in tutto allo stesso modo la serva. La madre rivel l' accaduto al figlio; questi mand a chiamare un prete e insieme piombarono inaspett atamente sulle due e le cosparsero di acqua benedetta: esse, con un balzo improv viso, uscirono forando il tetto e con uno stridente ululato lasciarono quella ch e era stata la loro casa per lungo tempo. Non c' da meravigliarsi se il Signore a scese al cielo corporalmente, dato che lo ha permesso a queste abbiette creature , che dovranno ciononostante essere trascinate verso il basso contro la loro vol ont. Di questa donna vive ancora una numerosa discendenza. Walter Map, Vita di Corte

Nicola Pepe, uomo acquatico e le truppe dell'aria I due brani che seguono assimilano fantasticamente l'uomo a quegli animali che f anno del loro elemento naturale l'unica ragione di esistere: Nicola come un pesc e che non vive senza l'acqua; i cavalieri e le mandrie, come gli uccelli, eleggo no l'aria a loro dimora. Il motivo dell'uomo-pesce desunto da un aneddoto orale di cui persiste traccia nelle tradizioni popolari del mezzogiorno d'Italia. Map, in generale, riconosce ai "fantasmi" una loro funzione che quella di agire sugl i uomini, secondo il disegno divino, provocando o meno loro dei danni. Sono molti coloro che raccontano di aver visto in mare quel meraviglioso prodigi o che Nicola Pepe, uomo acquatico, capace di vivere a lungo, per un mese o un an no, nel mare insieme ai pesci, pur senza prendere aria. Quando avvertiva l'arriv o di una tempesta, sconsigliava alle navi di uscire dal porto o, se erano gi al l argo, di tornare indietro. Era un uomo in tutto e per tutto, nulla era inumano n elle membra, nessun difetto nei cinque sensi, ma oltre alle caratteristiche uman e, possedeva le facolt dei pesci. Quando si immergeva in acqua per rimanervi un p o', portava con s pezzi di ferro vecchio staccati da biche o da zoccoli di cavall o, ma non ho mai saputo il perch. Per una sola cosa era diverso dagli uomini e simile ai pesci: non poteva vivere senza l'odore o l'acqua del mare. Quando ne stava lontano, vi tornava poi di cor sa, come se gli mancasse il respiro. Il re della Sicilia, Guglielmo, ud tutto que sto e volle conoscerlo, per cui gli ordin di presentarsi; poich egli non voleva, l o condussero con la forza, ma tra le loro braccia, per l'assenza del mare, Nicol a spir. Bench abbia letto o udito cose non meno stupefacenti, non conosco nulla di simile a questo portento. *** Sopra Le Mans, nell'aria, comparve a molte centinaia di uomini un enorme gregge di capre. In Bretagna sono state viste passare di notte mandrie predate e cavali eri che le conducevano in silenzio; da loro i Bretoni hanno preso cavalli e anim ali, e se ne sono serviti, a volte rimettendoci la vita, a volte impunemente. Le bande e gli squadroni vaganti di notte, chiamati di Erletingo, erano abbastanza famosi in Inghilterra e si videro fino al tempo di Enrico II, il nostro signore . Erano truppe condannate ad un infinito vagare, ad un girare vizioso e ad un at

tonito silenzio, e vi apparivano vive molte persone che si sapevano morte. Quest a turma di Erletingo fu avvistata per l'ultima volta nella marca del Galles e di Hereford nel primo anno del regno di Enrico II, verso mezzogiorno; viaggiavano come facciamo noi, con carri e bestie da soma, con basti e panierini, uccelli e cani, uomini e donne. Quelli che li videro per primi sollevarono con corni e str ida l'intera regione contro di loro e, come costume di quella vigilantissima gen te, arriv subito un folto manipolo equipaggiato di tutte le armi; poich rivolgendo loro la parola non riuscirono ad estorcere verbo, si apprestarono ad ottenere u na risposta con le frecce, quando essi si sollevarono in aria ed improvvisamente svanirono. Walter Map, Vita di corte Mago Merlino I seguenti brani sono tratti dall'opera di Thomas Malory Storia di Re Art e dei s uoi cavalieri. La scelta operata, seppure limitata, vuole offrire un esempio del tipo di tematica fantastica presente nel ciclo arturiano inglese, in cui il "me raviglioso" meno magico di quanto lo sia nei romanzi francesi. La figura pi diret tamente associata alla magia , naturalmente, Mago Merlino, nato dall'unione di un diavolo con una fanciulla, che si fa grande della sua immensa conoscenza, sapie nza e abilit di preveggente, tanto da essere l'artefice della grandezza di Re Art. Personaggio allo stesso tempo allegro e tragico, non pu evitare la sua morte che avviene, per ironia della sorte, ad opera di una fanciulla la quale si serve pr oprio di quegli insegnamenti e giochi magici che lui stesso le aveva trasmesso, perch innamorato di lei. In questo brano, Re Art combatte contro un cavaliere, sco nfiggendolo proprio grazie all'intervento di Mago Merlino. Un giorno, Re Art, cavalcando nei pressi della fonte, si imbatt nel cavaliere che aveva ferito in duello uno dei suoi uomini, Griflet, e, deciso a vendicarlo, lo sfid a duello. Si colpirono con violenza e le lance volarono in mille pezzi; allo ra Art sguain la spada, ma l'altro gli disse: - No, meglio che ci battiamo ancora di lancia. E Art: - Lo farei, se ne avessi un'altra. - Ne ho io per entrambi - replic il cavaliere, il pi alto di tutto il regno. Uno s cudiero si avvicin con due lance che re e cavaliere impugnarono prima di spronare i cavalli e corrersi incontro; l'impatto fu cos violento che le lance si spezzar ono e Art mise di nuovo mano alla spada. - Aspettate - lo ferm lo sconosciuto - siete il giostratore migliore che abbia ma i incontrato; vi chiedo di giostrare con me ancora una volta in nome del nobile ordine della cavalleria. - Ve lo concedo - rispose il re. Furono di nuovo portate due lance, ma questa volta quella del re and in pezzi, me ntre quella del cavaliere della fonte lo colpiva con violenza nel centro dello s cudo, abbattendolo al suolo insieme al cavallo. Art allora estrasse la spada e, a lzatala verso di lui furioso, grid: - Mi batter a piedi perch a cavallo ho perso l' onore. L'altro giudic a quel punto disonorevole godere del vantaggio che gli avrebbe con ferito battersi a cavallo, quindi smont e alz lo scudo verso Art. Ebbe inizio cos un a rude battaglia fatta di colpi e fendenti cos forti che le armature volarono in pezzi per il campo, che si macchi del sangue sparso dei contendenti. Si batterono a lungo, poi si presero un breve riposo e si scontrarono ancora con furia. Entr ambi caddero a terra, si rialzarono e di nuovo brandirono con impeto le loro spa de che, incontrandosi, sprizzarono scintille mentre quella di Art si spezz in due con grande dolore del re. - Ora siete in mio potere, e posso decidere se uccidervi o rendervi salva la vit a. Ma se non vi dichiarerete sconfitto, sar costretto a mettervi a morte. A queste parole dello sconosciuto, Art gli balz addosso esclamando: - Quando vorr v enire, la morte sar la benvenuta! Preferisco morire che disonorarmi arrendendovi a voi. Lo afferr dunque per la vita, lo gett a terra e gli strapp l'elmo, ma l'altr

o riusc a portarsi sopra di lui e a togliergli a sua volta l'elmo, pronto a mozza rgli il capo. Fu a questo punto che apparve Merlino intimando: - Trattenete la m ano, cavaliere; se lo ucciderete, getterete il regno nella pi grande sventura per ch quest'uomo pi nobile di quanto pensiate. - Chi ? - Re Art. Allora il cavaliere ebbe timore dell'ira del sovrano e, pi risoluto che mai ad uc ciderlo, sollev la spada e l'avrebbe ucciso se Merlino non fosse intervenuto con un incantesimo che gett il cavaliere in un sonno profondo, facendolo cadere a ter ra addormentato. Art si rattrist: - Ahim, Merlino, avete ucciso uno dei cavalieri pi nobili e valoros i che avessi mai incontrato. - Non ve ne date pensiero, sire, pi sano di voi. solo addormentato, ma si risvegl ier fra tre ore e d'ora in poi vi render grandi servigi: il suo nome Pellinore e u n giorno avr due figli di impareggiabile valore che si chiameranno Percival e Lam orack il Gallese. E sar ancora Pellinore a rivelarvi il nome del figlio che avete concepito in vostra sorella e che sar la rovina del regno. Merlino condusse dunque Art da un eremita, sant'uomo e grande medico, che lo cur c on unguenti prodigiosi per tre giorni, quando il re, perfettamente ristabilito, se ne ripart, ringraziandolo, in compagnia di Merlino. Re Art viene in possesso di Excalibur, la spada magica Cavalcando si accorse di non avere la spada, ma Merlino lo preg di essere pazient e che presto gliene avrebbe data una che gli apparteneva. Giunti sulle rive di u n lago, videro emergere nel centro un braccio rivestito di sciamito bianco con u na mano che stringeva una magnifica spada. - Ecco la spada di cui ti parlavo. Art, volgendo lo sguardo in quella direzione, vide una donna passare sul lago e c hiese chi fosse. - la Dama del Lago e vi sta venendo incontro. Se le chiederete cortesemente la s pada, ve la dar. La Dama infatti gli si avvicin, Art la salut e le chiese di dirgli di chi era la sp ada che vedeva impugnata da una mano in mezzo al lago. - mia, Re Art - rispose la Dama - e ve la dar se voi in cambio mi concederete un d ono allorquando ve lo chieder. - Sulla mia parola, ve lo accorder, qualunque cosa mi chiederete. - Bene allora - riprese la Dama - prendete quella barca, remate fino alla spada e prendetela con il suo fodero. Quando riterr opportuno, vi chieder il dono. Merlino e Art smontarono di sella, legarono i cavalli e si diressero verso la bar ca sulla quale salirono e cominciarono a remare. Raggiunta la spada, Art l'afferr per l'impugnatura e la trattenne, mentre il braccio scompariva. Tornati a riva, ripresero i cavalli e cavalcarono a lungo prima di giungere presso un ricco padi glione. Allora Art chiese di chi fosse la spada. - Appartiene a Pellinore, il cavaliere con il quale vi siete battuto, ma ora egl i si scontrato con un vostro cavaliere, Egglame, che si dato alla fuga inseguito da Pellinore fino a Carleon. Presto lo incontreremo. - Bene, ora che ho la spada, potr prendermi la rivincita. Ma Merlino lo ammon: - N on fatelo, sire, Pellinore stanco per il combattimento e l'inseguimento, e a voi non verrebbe alcun onore a sfidarlo ora. Vi consiglio di lasciarlo andare, perc h presto vi render buoni servigi e dopo di lui i suoi figli. Inoltre non passer mol to tempo che gli concederete con gioia vostra sorella in sposa. - Allora far come dite - disse Art ammirando la spada avuta dalla Dama del Lago. - Vi piace pi la spada o il fodero? - domand Merlino. - Preferisco la spada. - Non siete saggio dunque, poich il fodero vale dieci volte tanto la spada, e fin ch lo avrete al fianco, esso impedir alle vostre ferite di sanguinare per quanto p rofonde possano essere. Badate quindi a non abbandonarlo mai. Cavalcando verso Carleon, incontrarono Pellinore, ma Mago Merlino aveva fatto un incantesimo per cui il cavaliere non vide il re e pass senza pronunciare parola. Arrivati a corte, i cavalieri di Art fecero loro una grande accoglienza e venuti

a conoscenza delle avventure del re, furono stupiti che avesse messo in pericol o la propria vita, ma tutti gli uomini d'onore dichiararono di essere orgogliosi di avere come re un condottiero cos valoroso, che non esitava a rischiare la vit a come un qualunque semplice cavaliere. Thomas Malory, Storia di Re Art e dei suoi cavalieri

La morte di Merlino Merlino paga con la morte la propria totale sottomissione all'impulso dell'amore Dopo molte imprese, Sir Tor si dimostr degno di sedere in uno dei due seggi vuoti della Tavola Rotonda. Dopo una delle ricerche di cui erano stati incaricati da Art, Galvano, Tor e Pellinore condussero a corte una delle damigelle della Dama d el Lago di nome Nimue di cui Merlino si innamor appena la vide, tanto che egli de siderava stare sempre con lei e sempre la seguiva senza darle tregua. Ella ne fu molto lieta finch ebbe appreso da lui tutto quello che voleva sapere e Merlino n on riusciva a negarle niente bench sapesse cosa ne sarebbe risultato. Un giorno i l mago disse ad Art che non sarebbe vissuto ancora a lungo e che, nonostante la s ua magia, sarebbe finito sotto terra. Gli rivel inoltre molti avvenimenti che sar ebbero accaduti raccomandandosi continuamente di conservare con cura la spada e il fodero. Gli predisse infatti che entrambi gli sarebbero stati rubati da una d onna in cui il re riponeva la massima fiducia e che avrebbe sentito fortissimo l a sua mancanza, tanto da essere disposto a cedere tutte le sue terre pur di aver lo con s. - Ma se conoscete il Destino, potreste usare le vostre arti contro la sventura. - No, non posso - rispose Merlino congedandosi. Presto la Damigella del Lago par t e Merlino la segu tentando pi volte di farla sua con le proprie arti, ma Nimue gl i fece giurare di non fare pi uso con lei dei suoi incantesimi altrimenti non l'a vrebbe mai avuta. Si recarono cos insieme nella terra di Benwick, dove Re Ban era sempre in lotta con Re Claudas, e qui Merlino incontr la moglie del re, una dama bella e buona di nome Elaine, e conobbe Lancillotto. La regina espresse a Merli no il suo dolore per la guerra sanguinosa che Claudas portava al marito, per cui il mago le rispose: - Non vi preoccupate, signora, prima che siano passati vent 'anni questo fanciullo diventer l'uomo pi onorato del mondo e vi vendicher su Re Cl audas. So che il suo primo nome Galahad e che solo in seguito l'avete chiamato L ancillotto. - vero - conferm la regina. - E ditemi, Merlino, vivr fino a vedere mio figlio div entare valoroso? - S, mia signora e per molti inverni ancora. Poi Merlino e la Damigella ripartiro no per la Cornovaglia e durante il viaggio egli le insegn molti prodigi. Ma poich le stava sempre intorno per cogliere la sua verginit, Nimue lo prese a noia e pen s di liberarsene; non sapeva per come fare e ne aveva timore dato che sapeva che M erlino era figlio del diavolo. Un giorno, mentre Merlino le mostrava una roccia che nascondeva una caverna meravigliosa, Nimue lo convinse ad esaudire il suo fo rte desiderio di vedere i prodigi che vi erano nascosti. Cos il mago, ascoltandol a, strisci sotto la roccia, ma, appena fu entrato nella caverna, Nimue, mettendo in opera le arti che aveva appreso, fece rotolare il masso in modo che egli non ne uscisse pi per quante arti magiche usasse, e lo seppell vivo, come egli stesso aveva predetto a re Art. Poi la damigella si allontan lasciandolo prigioniero e li eta di conoscere tutta la magia che il mago le aveva insegnato. Thomas Malory, Storia di Re Art e dei suoi cavalieri

Fata Morgana Altra figura magica Fata Morgana, sorella di Art, che per, a differenza di Merlino , utilizza il proprio potere soprannaturale per scopi maliziosi e maligni e semp re a vantaggio personale, quasi a voler sottolineare un atteggiamento diverso tr a uomo e donna. Nell'episodio che segue, la Fata Morgana cerca pi volte di uccide re Art per strappargli Excalibur e per vendicarsi di Ginevra. Re Art aveva una sorella di nome Morgana. Ella era molto gaia e allegra e sapeva cantare piacevolmente; era bruna in viso, bene in carne, le mani belle, le spall e perfette, la pelle pi dolce della sete, avvenente nei modi, lunga e diritta nel corpo e quindi molto seducente. Con ci era la femmina pi calda e lussuriosa di tu tta la Gran Bretagna. Merlino le aveva insegnato l'astronomia e le arti magiche ed era diventata molto brava e sapiente tanto che fu chiamata Fata per le meravi glie che sapeva compiere. Si esprimeva con una dolcezza e una soavit deliziose ed era pi graziosa ed attraente di qualsiasi altra donna. Ma quando ne voleva a qua lcuno, era difficile calmarla e lo si vide quando caus tanto dolore e onta a cole i che avrebbe dovuto amare di pi: la regina Ginevra. Infatti un tempo Morgana si dilettava con un cavaliere di nome Guiomar, grazioso e ben fatto, biondo di capelli e gradevole in ogni fattezza. Essi si piacquero subito il giorno in cui egli la incontr nella sala mentre ella dipanava il filo d 'oro s che la preg d'amore e visto ch'ella rispondeva di buon cuore, cominci a pren derla tra le braccia e a darle baci dolcissimi; poi che s'erano scaldati nella g uisa che voleva la natura, si stesero su un grande letto e fecero il gioco di se mpre e quella sera s'intrattennero a lungo con grande amore. Essi s'amarono per lungo tempo senza che nessuno lo sapesse, finch un giorno la regina Ginevra lo ap prese e li separ: da quel giorno Morgana la odi e le caus le peggiori molestie. Ella odiava anche Art perch aveva ucciso in battaglia un cavaliere che amava, ma p er raggiungere i suoi scopi e poter un giorno vendicarsi, manteneva sempre un be l sorriso davanti al re, cos che nessuno poteva immaginare da quali sentimenti er a animato il suo cuore. Un giorno Morgana chiese alla regina Ginevra di permetterle di andare in campagn a perch aveva ricevuto delle brutte notizie e non poteva aspettare il ritorno di Art. All'alba del giorno seguente, mont sul suo cavallo e cavalc per due giorni fin ch raggiunse il convento dove Re Art era andato a riposarsi dopo una durissima bat taglia. Preg le monache di non svegliarlo perch in realt il suo intento era di ruba rgli Excalibur, la sua spada. Si diresse quindi nella stanza in cui il re dormiv a tenendo stretta la spada con la mano destra. A questa vista, Morgana si spaven t e non os toccare la spada sapendo che, se Art l'avesse vista svegliandosi, l'avre bbe uccisa. Prese allora il fodero e fugg al galoppo. Quando il re si svegli e si accorse di non aver pi il fodero, si arrabbi e chiese alle suore chi fosse venuto a cercarlo. Seppe cos che Fata Morgana era stata l e che se ne era andata con un f odero sotto il mantello. Rimproverando le suore di non aver prestato la giusta s orveglianza al re, ordin loro di preparare il migliore cavallo e di pregare Sir O ntzlake che si armasse in tutta fretta perch inseguisse con lui Morgana. Giunti q uindi a un crocevia, incontrarono un vaccaro al quale chiesero se avesse visto p assare una dama a cavallo. - S, signore - rispose questi - e aveva un seguito di quaranta cavalieri. Si inol trata nella foresta. Essi continuarono l'inseguimento a spron battuto finch l'avvistarono; Morgana cer c di fuggire in ogni dove ma giunse sulle rive di un lago e, vistasi senza via di scampo, gett il fodero in acqua urlando: - Qualunque cosa avvenga di me, mio fratello non lo avr mai. E il fodero affond e spar fra le acque perch era appesantito dagli ornamenti d'oro e di pietre preziose. Poi Morgana fugg in una valle cosparsa di enormi massi e tr asform se stessa e i suoi uomini in blocchi di marmo. Subito dopo arriv Art e disti nse la sorella e il suo seguito nei grossi massi: - Ecco, la vendetta di Dio l'ha punita per i suoi misfatti, ma mi rammarico per questa loro brutta avventura - e se ne and alla ricerca del fodero, senza trovarl

o, cos ritorn al convento. Appena se ne fu andato, Morgana, con un altro incantesi mo, riprese le proprie sembianze e liber i suoi uomini: - Ora signori, possiamo a ndare dove vogliamo. E si diressero verso la contea di Gore, dove fece fortificare citt e castelli per timore di Art. Questi, nel frattempo, si ripos nel convento per tornare poi a Cam elot dove fu accolto con onore dalla regina e da tutti i cavalieri. Raccont le su e avventure e di come Morgana aveva cercato di ucciderlo per cui tutto il suo se guito desider di arderla viva al rogo per il suo tradimento. Il mattino seguente, una Damigella del Lago si present a corte chiedendo di esser e ricevuta dal re. Dichiar di essere inviata dalla Fata Morgana e portava il mant ello pi prezioso che si fosse mai visto, cosparso delle pi splendide gemme, che fe ce pervenire al re pregandolo di accettarlo in dono quale richiesta di perdono p er qualsiasi torto Morgana gli avesse arrecato. Art non disse nulla, ma fu compia ciuto del mantello ed era sul punto di indossarlo quando la damigella si fece av anti chiedendogli di poter parlargli in privato. - Dite pure quello che dovete senza alcun timore. - Sire - fece la damigella - non toccate il mantello finch non ne saprete di pi, e non permettete a nessuno dei vostri cavalieri di indossarlo prima di colei che lo ha portato qui. - Seguir il vostro consiglio - rispose il re. - Desidero vedere su di voi, damige lla, il regalo che mi avete portato. - Sire, non sarebbe opportuno per me vestirmi con un indumento regale. - In fede mia lo indosserete prima di me e di chiunque altro - si infuri il re e ordin che fosse posto sulle sue spalle. Appena ella ne fu toccata, cadde a terra morta senza pronunciare una parola, ridotta in cenere dal mantello. Allora il re si accese pi che mai di sdegno e di rabbia per i tradimenti che Morgana continua va a ordire contro di lui. Thomas Malory, Storia di Re Art e dei suoi cavalieri

Funerale in mare del capostipite I seguenti brani sono tratti dall'opera anonima Beowulf, che la pi importante e l a pi antica del periodo antecedente l'anno Mille. Questo poema risale infatti all 'VIII secolo circa e fu tramandato oralmente nel dialetto occidentale dell'Old E nglish da menestrelli chiamati "scop", che rielaboravano storie reali in modo da intrattenere il pubblico accompagnandosi con una specie di arpa e trasmettendo, allo stesso tempo, la verit storica sul loro popolo. Il poema unisce la "saga", cio il racconto della storia di una famiglia di particolare importanza per la tri b, e l' "epica", la narrazione in versi delle grandi gesta di un individuo. La ma gia l'elemento pagano che ricorre spesso nella storia sotto la parvenza di mostr i, streghe, eventi prodigiosi e gesta sovrumane. La sua funzione all'interno del testo, oltre a quella di carpire l'attenzione degli ascoltatori, quella di ampl ificare i dettagli sfociando cos nell'eccesso. La morte finale dell'eroe introduc e una nota pessimistica, basata sulla vanit degli sforzi umani e sull'impossibili t per l'uomo di controllare l'imprevedibile. Ecco, sappiamo della gloria dei re dei Danesi con l'Asta dei tempi passati, dell e grandi azioni compiute dai re della nazione. Spesso Scyld Scefing strapp, a mol ti popoli e a bande pirate, i seggi dell'idromele; fu il terrore degli eruli. Fu trovato, bambino, in povert (per questo fu accolto), crebbe protetto dal cielo, visse all'insegna degli onori, finch ciascuno dei suoi confinanti oltre la via de lle balene gli dovette obbedienza e tributi. Fu un buon re! In seguito ebbe un figlio, che Dio invi alla corte in soccorso alla gente, che av eva patito la miseria dei tempi passati, quando soffr per la mancanza di un re. O ra il Signore della vita, il Padrone della gloria rendeva onore al mondo. La fama di Beowulf, figlio di Scyld, si diffuse ovunque in terra scandinava. Un giovane deve usare valore e valori come splendidi regali finch in seno alla famig

lia, per garantirsi anche in vecchiaia dei seguaci leali che lo sostengano in ca so di guerra. In ogni popolo, un re trova prosperit con gesti generosi. Al momento stabilito, Scyld, nel pieno del vigore, fu affidato al Signore, e i s uoi uomini lo portarono sulla riva del mare, come egli stesso aveva loro chiesto , finch dominava la lingua, in quanto amico degli Scyldingas e beneamato signore della terra. Nel porto lo aspettava una barca curva ad anello, radiosa, la nave del principe. Poi quelli deposero il loro re, il sacrificatore, sul fondo della barca, contro l'albero maestro. L c'erano molti gioielli e ornamenti, portati da ogni dove. Mai avevo sentito di pi fulgide chiglie decorate di arnesi di guerra, indumenti da battaglia, spade e corazze. Molti tesori, che giacevano sul fondo, sarebbero partiti con lui, in balia delle onde. Non gli fecero certo doni meno p reziosi di quanti gliene fece chi, quando ancora bambino, lo spinse solo fuori d ei flutti. E inoltre gli avevano posto sopra la testa un alto stendardo dorato: lasciarono che l'oceano lo cullasse, che le acque lo circondassero. Le loro ment i erano tristi, il loro umore luttuoso. Nessuno, consigliere a corte o eroe in c ampo, pu sapere chi raccolse quel carico. anonimo, Beowulf

Grendel Beowulf degli Scyldingas regn beneamato per molto tempo, famoso tra i guerrieri, da quando suo padre se ne era andato dal mondo, finch gli nacque un figlio, il no bile Healfdene. Govern gli Scyldingas finch visse, feroce in guerra. Da lui disces ero quattro figli: Heorogar, principe guerriero, Hrothgar, e Halga; ho sentito c he Sigeneow fu regina di Onela, consorte del battagliero Scylfing. La fortuna arrise a Hrothgar, in battaglia, tanto che i suoi uomini gli obbediva no lietamente, mentre i giovani formavano un grande seguito. Gli venne in mente di far costruire una grande reggia, un'immensa casa per l'idromele, la pi grande che si sia mai vista; e l dentro dividere ogni cosa che Dio gli aveva dato con gi ovani e vecchi, esclusi il demanio pubblico e la vita degli uomini. Ovunque si diffuse il bando del lavoro tra molti popoli di questa terra, per la decorazione di questo spazio pubblico. Ben presto, tutti ne riconobbero la perfe zione, la pi vasta reggia di corte, ed egli la chiam "il Cervo", tanto potere avev a la sua parola. Non trad le sue promesse, distribu bracciali e tesori ai banchett i. La costruzione svettava, alta e imponente, in attesa di fiammate di guerra, d i astio di fuoco. Ma non era ancora giunta l'ora che avrebbe destato un odio di spade tra suocero e genero a causa di una morte violenta. A lungo pazient l'Orco audace, appostato nel buio, ascoltando ogni giorno, dalla corte, i rumori della festa: la musica, le canzoni e le storie del menestrello, che raccontava (sapeva ritrovare il remoto) l'origine degli uomini, di come l'On nipotente plasm la terra, la distesa dalla chiara bellezza, recinta d'acqua; fiss la lucentezza del sole e della luna per illuminare il volto del mondo, e orn di r ami e foglie la veste della terra. E fabbric l'esistenza di ogni specie che vive e si muove. Cos, felicemente vivevano i nobili guerrieri, nel piacere e nell'abbo ndanza, finch un demonio cominci a commettere crimini. Lo spirito infernale aveva nome Grendel, infame vagabondo che infestava acquitrini, terraferma e paludi. Di mor per un po' nella regione della razza dei mostri, dopo che il Creatore lo avev a condannato con la razza di Caino, rivendicando vendetta, il Signore eterno, pe r aver ucciso Abele. Non trionf della faida, e il Signore lo band, allontanandolo dalla specie umana, per l'assassinio. Da lui proliferarono tutti i deformi, i gi ganti, i morti-viventi, gli elfi e i Titani, che mossero guerra secolare a Dio: ma Lui gliela fece pagare. anonimo, Beowulf

Grendel attacca il cervo Quando scese la notte, venne a visitare l'alta costruzione per vedere come si er ano sistemati i Danesi degli Anelli, a convito chiuso. Trov nella sala il seguito dei principi nel sonno, dopo la festa; non conoscevano il lutto, la miseria e l a malasorte degli uomini. La creatura sacrilega, feroce e rapace, si mosse veloc e, e strapp trenta vassalli dai loro letti. Poi se ne and via, esultante con il su o carico di cadaveri, e si rifugi nella tana. Verso l'aurora, prima del giorno, l a forza di guerra di Grendel non fu pi segreta; dopo la festa, i lamenti si alzar ono alti, un mattino di grida. Il celebre principe, da sempre grande, sedeva, or mai vuoto di gioia; nel pieno del potere, soffriva per i suoi uomini. Videro poi le impronte del nemico, del demone infuriato. Troppo forte l'oltraggio, troppo odioso e durevole: non pass pi di un'altra notte, che ritorn a fare scempio peggior e, senza rimpiangere violenza e crimini, perch c'era troppo legato. Chi cercava u n rifugio pi in l, chi un letto dietro casa, appena gli fu chiaro, proclamato e an nunciato, da segni evidenti, l'odio del mostro. Chiunque si teneva poi alla larg a da lui, e al sicuro, per evitarlo. Cos questo spadroneggiava su tutti, calpestando il diritto di tutti, finch il pala zzo pi bello rimase deserto. E pass molto tempo: per dodici inverni l'amico degli Scyldingas pat amare pene, l'estremo delle angosce, poich ovunque corse la voce tr a i figli degli uomini, in canzoni luttuose, che Grendel minacciava da tempo Hro thgar, portando da anni violenze, crimini e faide; non ci sarebbe stata pi pace p er i Danesi, nessuna possibilit di venire a patti con lui per porre fine a quello scempio, compensare quelle perdite. Nessun consigliere avrebbe mai sperato l'in dennizzo pi splendido dalle mani assassine. Ma l'Orco seguitava la persecuzione, tendendo agguati e trappole nel buio a giovani ed esperti. Per molte notti infes tava gli acquitrini, e nessuno sapeva dove volgevano i passi degli esseri infern ali nel loro vagare. Cos il nemico degli uomini, il terribile visitatore solitario, commise molti altr i crimini e ingiurie. Nelle notti nere, si insediava nel Cervo, nella sala lucen te di Heorot, ma non poteva avvicinarsi al ricco seggio dei doni, per timore del Signore, n conosceva i Suoi piani. Per il re degli Scyldingas fu una prova terribile, il crollo del coraggio. Pi vol te sedettero in consiglio i notabili, studiarono cosa fosse meglio fare per i pi forti contro un simile terrore. A volte offrivano sacrifici nei loro templi, sup plicando in preghiera l'aiuto dell'Assassino di anime contro il flagello pubblic o. Queste erano le usanze, le chimere pagane: evocare nella mente l'Inferno. Non conoscevano il Giudice dei fatti, ignoravano Dio, n imploravano il Protettore de l Cielo, il Padrone della Vittoria. Disgraziati coloro che, per violenza estrema , gettano l'anima nelle braccia del fuoco della paura e del peccato, senza spera nza in alcun conforto o cambiamento! Beati coloro che il giorno della morte sali ranno al Signore e troveranno rifugio nelle braccia del Padre! anonimo, Beowulf

Beowulf in aiuto a Hrothgar Cos il figlio di Healfdene bolliva di angoscia antica, n riusciva ad arginare la p ena. Troppo forte il conflitto per il suo popolo, troppo odioso e durevole, grav e piaga notturna. Un vassallo di Hygelac, grande fra i Geati, apprese delle gesta di Grendel. Era il pi forte nel fisico di tutto il genere umano, nobile e potente. Si fece costru ire una buona barca, per andare a cercare, disse, il re bellicoso, il famoso pri ncipe di l della strada dei cigni; gli servivano uomini. Gli uomini pi saggi non c ercarono neppure di dissuaderlo da questo viaggio, pur volendogli bene, ma lo in

coraggiarono nei suoi progetti di gloria, e studiarono gli auspici. L'eroe si er a scelto fra i Geati i guerrieri pi valorosi e, con quattordici di loro, si dires se verso la nave. Un marinaio esperto li guid ai bordi della terra. Il tempo pass in fretta e la nave prese il mare, si avvicin agli scogli. Soldati in armatura sa lirono a bordo. Fluttuavano le correnti, mentre i guerrieri portavano nel ventre della barca armi, corazze lucenti, splendidi arnesi di guerra. Presero poi il l argo sul legno, rinforzato per quel viaggio, che vol sulle onde, spinto dal vento , con la schiuma al collo, identica ad un uccello. Corse tanto che gi il secondo giorno i naviganti scorsero la terra, scintillanti rupi marine, ripide scogliere , promontori vasti. Attraversato il mare, il viaggio era finito. In fretta, il g ruppo dei Wederas sal sulla sponda, ancor la barca, sferragliando le corazze, le v esti di guerra, e ringraziando Dio per quel tratto di mare facilmente percorso. Ma, dall'alto di un vallo, la sentinella Scylding, tenuta a sorvegliare le scogl iere marine, vide passare sulla passerella lucidi scudi e attrezzature da battag lia. La curiosit lo pressava a sapere chi fossero quegli uomini tanto che scese a lla spiaggia sul suo cavallo e, squassando con violenza la lancia in mano, li in terrog con frasi formali: - Chi siete voi, con queste corazze, che arrivate qui sulla chiglia scoscesa tra versando il mare? Io faccio da tempo la guardia costiera e sorveglio senza sosta che nessun nemico sbarchi con una flotta armata per attaccarci in terra danese. Nessuno ha mai cercato, con l'armatura addosso, di entrare in maniera cos scoper ta. Eppure non so di nessun lasciapassare dai re guerrieri. Non ho mai visto sul la terra un uomo pi grandioso di uno fra di voi, quel guerriero armato. Non certo un cortigiano, tanto sta bene in armi; n lo smentisce quel suo volto, e l'aspett o unico. Ora per devo sapere da dove venite, altrimenti non potrete procedere olt re sulla terra dei Danesi e sarete trattati da spie. Ascoltatemi, voi viaggiator i che vivete lontano: meglio che mi diciate presto da dove siete venuti! Beowulf prese dunque la parola, spiegando chi sono e il motivo del loro lungo vi aggio. Chiese poi di essere portato alla presenza di re Hrothgar, al quale fu pr esto annunciato l'arrivo dell'autorevole straniero anonimo, Beowulf

Beowulf annuncia il suo progetto Parl Hrothgar, il protettore degli Scyldingas: - Io l'ho conosciuto quando era un ragazzo. Suo padre si chiamava Ecgtheow. Hrethel dei geati gli diede sua figlia in sposa e ora suo figlio venuto qui a trovarmi, da amico fedele. I marinai, ch e portavano regali preziosi ai Geati, mi avevano detto che aveva la forza di tre nta uomini nella stretta del pugno. Iddio ce l'ha mandato, nella sua misericordi a, contro l'orrore di Grendel e io voglio offrirgli tesori per il suo coraggio. Affrettati a chiamarli, invitali ad entrare e ad incontrare il mio seguito. Digl i anche che sono i benvenuti tra il popolo danese. Allora Wulfgar si diresse all a porta e rifer queste parole: - Ho l'ordine di dirvi che il mio sovrano, re dei Danesi dell'Est, conosce la vostra stirpe, e vi d il benvenuto a voi che venite d al mare con queste idee coraggiose. Ora entrate pure ad incontrare Hrothgar nei vostri arnesi di guerra e sotto i vostri elmetti bellici. Lasciate attendere qui , invece, le lance e gli scudi della battaglia, fino all'esito del colloquio. Il principe allora si lev, e cos i molti intorno a lui, una forte congrega di vass alli. Alcuni aspettarono l, vegliando sui loro arnesi di guerra, come era stato l oro ordinato. Si affrettarono, in gruppo, dietro al guerriero che li guid sotto l e volte del Cervo. L'intrepido in battaglia, ardito sotto l'elmetto, si ferm fina lmente in una sala. Beowulf parl, la cotta lucida addosso, la rete ammagliata ad arte dal fabbro: - S alute, Hrothgar! Io sono il nipote e il vassallo di Hygelac. Ho intrapreso molte azioni eroiche quando ero giovane. Sono giunte fino a me, nella mia terra, voci

sul problema di Grendel. I marinai raccontano che questa nobile reggia, cos sple ndida, rimane vuota ed inutile appena la luce serale si nasconde coperta dal cie lo. Cos, su consiglio della mia gente, dei migliori e dei pi esperti, sono venuto a trovarti, principe Hrothgar; essi conoscono la mia forza, l'hanno vista coi lo ro occhi, quando tornavo, sporco di sangue, da battaglie in cui avevo legato cin que giganti, e ne ho distrutta un'intera famiglia, o avevo abbattuto, di notte, mostri marini in acqua, o dopo essermi sobbarcato pericoli schiaccianti, o aver allontanato la minaccia dei Wederas, e polverizzato demoni. E adesso tocca a me sistemare da solo la faccenda con Grendel, con il Mostro, il Gigante. Per questa ragione vorrei chiederti adesso un favore, signore dei Chiari Danesi: che tu, r iparo dei guerrieri, nobile amico delle genti, non mi rifiuti, ora che ho fatto tanta strada, che io, con la mia coraggiosa congrega, disinfesti il Cervo. Ho anche sentito dire che il mostro, irriflessivo, non si cura di alcuna arma. P erci tralascer di portarmi allo scontro spada e scudo, la mia targa gialla; possa io trovare grazia nella mente di Hygelac, il mio feudatario. Affronter il Nemico a mani nude, combatter per la vita. Poi si affidi il giudizio a Dio, su chi dei d ue meriter la morte. Suppongo che abbia intenzione di mangiarsi senza scrupoli, a ppena potr, la gente dei Geati, il fiore dei guerrieri, come ha fatto altre volte . Non avrai affatto bisogno di coprirmi la faccia colorata di sangue, se mi cogl ie la morte. Il Solitario si prender il mio corpo sanguinante, penser lui a seppel lirlo, sbranandolo senza ritegno. E tu non darti pena per queste mie membra mang iate. Invece manda a Hygelac, se la battaglia mi coglie, la bella veste di guerr a che mi protegge il petto, il migliore degli abiti, lascito di Hrethel e lavoro di Weland. Il destino va sempre come deve andare. anonimo, Beowulf

La risposta di Hrothgar Rispose Hrothgar, il protettore degli Scyldingas: - In nome del passato, Beowulf , amico mio, sei venuto a trovarci. Tuo padre accese una faida immensa, uccidend o Heatholaf dei Wylfingas. Quindi la sua nazione non pot tenerlo con s, per timore di guerre. Venne perci a trovare il popolo dei Danesi del Sud, di l dalle onde ra pide, gli Scyldingas d'onore, quando io gi governavo i Danesi e reggevo, da giova ne, un regno di gemme, la rocca del tesoro degli eroi. Heregar era morto, mio fr atello maggiore, figlio di Healfdene, migliore di me. Io poi posi fine alla faid a con un pagamento in denaro: inviai ai Wylfingas, di l dalla schiena dell'acqua, antichi patrimoni; e lui mi giur il suo impegno. penoso per me dire a chiunque quali umiliazioni, quali disastrose violenze mi ab bia causato Grendel coi suoi ostili progetti nel Cervo. La guardia della reggia decimata, la schiera dei miei soldati spazzati dal destino nell'orrore di Grende l. Dio pu facilmente mettere fine alle gesta di questo folle nemico. Spesso i mie i uomini, ubriachi di birra, hanno brindato coi loro boccali al momento in cui a vrebbero affrontato la guerra di Grendel con la furia delle spade. Poi il mattin o dopo, questa sala regale rosseggiava di sangue alla luce del giorno. Le assi d elle panche fumavano di sangue, la corte bagnata del rosso della battaglia. Mi r imanevano sempre meno uomini fedeli, se li coglieva la morte. Ora siediti a tavo la, e, quando verr il momento, ascolta le vittorie di gloriosi guerrieri, se ne a vrai voglia. Fu fatto posto quindi sulle panche per tutti gli uomini dei Geati. Questi spiriti valorosi si sedettero, nell'orgoglio della loro fama. Un vassallo reggeva in mano la ricca brocca di birra, e serviva versando il limpido liquido . A intervalli il poeta del Cervo cantava, chiaro. Musica e piacere regnavano fr a i guerrieri: una numerosa scorta di eroi, Danesi e Geati. I festeggiamenti continuarono, e Unferd raccont una bravata di Beowulf, quando er a un ragazzo: una gara di nuoto nell'oceano. L'eroe risponde motivando la sua re ale superiorit e prestanza fisica, che gli valse gli auguri del re e della regina

dei Danesi anonimo, Beowulf

Beowulf si prepara allo scontro con Grendel Poi Hrothgar se ne and con il suo seguito di eroi; il re degli Scyldingas usc dall a sala e and a raggiungere Wealtheow, a letto con la regina. Contro Grendel fu po sto un guardiano a difesa della sala: un compito speciale, al servizio del sovra no danese. Il principe dei Geati contava, fiducioso, sulla sua forza ardita, e s ulla grazia del Signore. Allora slacci la cotta di ferro e l'elmo dalla testa. Co nsegn la spada al suo servitore e gli ordin di guardargli gli arnesi di guerra. Al lora il valoroso, il grande Beowulf dei Geati, pronunci qualche parola di augurio , prima di mettersi a letto: - Io non mi credo certo inferiore a Grendel nella forza bellica, nelle azioni in battaglia, perci non ho intenzione di togliergli la vita con la spada, bench mi s ia facilissimo. Egli non conosce l'uso delle armi, di come assestarmi fendenti, frantumarmi lo scudo, malgrado sia rinomato per queste violente faccende. Noi du e combatteremo stanotte senza spade, se oser affrontare lo scontro senz'armi. E D io, nella sua saggezza, assegner il trionfo a quella delle due parti che meglio g li parr. Poi si stese, l'audace combattente, la coltre del cuscino abbracciata alla facci a del conte. Attorno a lui si addormentarono i moltissimi guerrieri, eroi del ma re. Nessuno di loro pensava che sarebbe pi tornato alla terra che amava, alla gen te e al borgo in cui era cresciuto. Avevano saputo che molti Danesi, in quella s ala del vino, erano stati colti da una morte violenta. Ma il Signore aveva dato loro successo in guerra, sostegno e aiuto alla gente dei Geati, cos che grazie al la forza di uno potessero sconfiggere il loro avversario. Si sa con sicurezza ch e il Dio potente governa da sempre il genere umano. Il visitatore delle tenebre venne di soppiatto, nella notte nera. I guerrieri ch e dovevano montare la guardia al palazzo dormivano tutti, tranne uno. Fu chiaro agli uomini che, se l'Arbitro supremo non vuole, non permesso al Flagello spettr ale di trascinarli nell'ombra. Lui, il Valoroso, tenuto sveglio dall'animosit con tro il Nemico, attendeva con la mente piena di rabbia, l'esito dello scontro. anonimo, Beowulf

L'arrivo di Grendel. Lo scontro con Beowulf Dall'acquitrino venne Grendel, percorrendo pendici nebbiose: portava la furia di Dio. Il perfido Flagello contava di sorprendere qualche esemplare umano nella s ala superba. Cammin sotto le nuvole finch arriv in vista della villa del vino, la s ala d'oro degli uomini, luccicante di lamine. Non era la prima volta che si diri geva nella casa di Hrothgar, ma mai prima di allora, n dopo nella sua vita, vi av eva trovato gente pi valorosa a governare il palazzo. Arriv alla sala il guerriero escluso dai piaceri; il portone cedette subito appen a toccato con il palmo, poi, con malvage intenzioni, spalanc la bocca schiumosa d ella fabbrica e, di corsa sul pavimento lucido, venne avanti il Nemico con furia nella mente. Una luce cupa infiammava i suoi occhi. Vide, dentro la sala, numer osi guerrieri, la scorta fraterna addormentata, una schiera di giovani eroi. La sua mente esult. Progett il Mostro terrificante di amputare, prima che facesse gio rno, la vita da ogni corpo, nella speranza di un pranzo a saziet. Ma trascorsa qu ella notte, non sarebbe pi stato suo destino nutrirsi della razza degli uomini. Il nipote di Hygelac, forte dei suoi trionfi, studiava le prossime mosse del Nem

ico. Non che il Mostro prendesse tempo: afferr subito un uomo addormentato, lo sb ran senza sforzo, gli morsic la cassa delle ossa, gli bevve il sangue dalle vene, l'ingoi a grossi morsi. In poco tempo aveva mangiato tutto il morto, mani e piedi compresi. Poi si avvicin, afferr con la mano il guerriero, lucido e attento, sul letto. Ma l ui si accorse subito dell'intenzione malvagia e insorse contro quel braccio. Imm ediatamente cap il pastore dei crimini che non aveva mai visto nelle regioni terr estri un uomo con mani pi forti e pi dure. Nella sua mente e nel suo cuore gli nac que la paura per la sua vita, e non riusc pi a muoversi. Voleva fuggire nel suo co vo, raggiungere il convegno dei diavoli. Non si era mai trovato prima di allora in una situazione simile. Allora venne in mente al bravo nipote di Hygelac il discorso della serata: salt s u, lo afferr, lo strinse fino quasi a spezzarsi le dita. Il Mostro aveva intenzio ne di scappare, se avesse potuto, e di rifugiarsi nelle paludi; ma il guerriero sentiva il controllo delle sue dita dentro gli artigli del nemico. Quel Flagello nefasto era arrivato nel Cervo in un triste momento. La reggia rintronava: tutt i i Danesi, i conti, gli abitanti della fortezza furono presi dal terrore, mentr e infuriavano in due, i guardiani rabbiosi del luogo. Tutta la casa echeggiava. Sorprendeva il fatto che la villa del vino reggesse i combattenti, che non croll asse al suolo, ma la bella struttura era rinforzata dentro e fuori da spranghe d i ferro, forgiate da arti sagaci. Mi raccontano che molte panche tempestate d'or o per l'idromele saltarono dalla soglia, durante la lotta furiosa. Gli esperti t ra gli Scyldingas non avrebbero mai creduto, prima di allora, che un uomo potess e farla a pezzi, bellissima, luccicante d'avorio. Solo l'abbraccio delle fiamme l'avrebbe potuta inghiottire. Si alz un fracasso inaudito: un terrore orribile si impadron dei Danesi del Nord c he udirono quel grido dalle mura: intonare un pauroso lamento, il Nemico di Dio, il canto della sconfitta, lamentare la propria pena, l'Ostaggio dell'Inferno. L o tenne stretto in quei giorni il pi forte dei figli degli uomini. anonimo, Beowulf

Beowulf strappa un braccio a Grendel che muore scappando Il protettore dei conti non voleva assolutamente lasciar andare vivo il Visitato re di morte, n vedeva alcun vantaggio per nessuno nella sua vita. Molti estrassero le loro spade, pronti a difendere la vita del nobile signore, d el famoso principe. Essi non sapevano, quando iniziarono a battersi, quegli uomi ni dalle dure intenzioni, che il perfido Flagello non poteva essere raggiunto da alcuna lama di guerra, neppure la perla dei ferri sulla terra; sulle armi vince nti aveva gettato il malocchio, su qualsiasi spada. La sua mutilazione dalla vit a sarebbe stata sofferta e lo Spirito alieno, bench in balia dei nemici, sarebbe arrivato lontano. Poi colui che aveva causato molti massacri al genere umano, molti delitti in fai da con Dio, scopr che il suo corpo non l'avrebbe seguito, che il bravo nipote di Hygelac lo teneva in pugno. Ciascuno odiava la vita dell'altro. Il Mostro odioso soffriva nel corpo: una grossa ferita si apr nella spalla. I tendini saltarono, le casse delle ossa scoppiarono. In quel duello fu concesso il trionfo a Beowulf . Grendel dovette fuggire, ferito a morte, per paludi e pendici, alla ricerca de l covo senza gioia. Sapeva molto bene che era giunta la sua fine, il computo dei suoi giorni. La speranza di tutti i Danesi era accolta dopo quello scontro tumu ltuoso. Colui che era venuto da lontano, saggio e saldo nello spirito, aveva disinfestat o la reggia di Hrothgar, l'aveva salvata dalla violenza. Esultava del suo lavoro notturno, dell'impresa valorosa. Il principe dei guerrieri Geati aveva mantenut o il vanto nei confronti dei Danesi: aveva alleviato le loro sofferenze, curato le loro afflizioni, che avevano dovuto subire e patire nei giorni passati. Ne fu

segno evidente quando, stremato dalla battaglia, affisse alla volta del tetto, il braccio e la spalla, l'intera grinfia di Grendel. anonimo, Beowulf

Festeggiamenti per Beowulf Il mattino dopo, mi stato detto, per la corte dei doni, si aggiravano molti guer rieri. Capi di popoli vennero da vicino e da lontano, attraverso grandi distanze , per vedere il prodigio, i resti del Nemico. La sua vita amputata non fu di sco nforto per nessuno degli uomini l a scrutare le tracce dell'Infame, n come fosse s cappato via, spossato nello spirito, dentro lo stagno dei mostri, o come, dannat o e fuggiasco, trascinasse il suo avanzo di vita. Le acque ribollivano di sangue , un vortice orribile di ondate mischiate di sangue caldo. Dannato a morte, nasc osto, lontano dai piaceri, finalmente rese l'anima pagana. L'inferno la raccolse . Dallo stagno tornarono vecchi cortigiani e giovani compagni, animosi, a cavallo, in gita di piacere. Fu conclamata la fama di Beowulf; si continu a ripetere che a nord e a sud, fra un mare e l'altro, sopra tutta la terra, sotto la volta del cielo, non c'era nessun altro guerriero che valesse di pi, che fosse pi degno di u n regno. N rivolsero critiche al loro amico e signore, al gentile Hrothgar, che e ra un grande re. A volte, i validi in guerra lanciavano a correre, a galoppare a gara, i fulvi cavalli dove le vie dei campi sembravano pi belle. A volte, un vas sallo del re, un uomo carico di frasi superbe, di canzoni a memoria su lontane l eggende, inventava parole nuove per raccontare un nuovo fatto. Poi l'uomo prese a dire tutto quello che aveva sentito dell'avventura di Beowulf con perizia, e a comporre rapidamente una storia sapiente, a variare le frasi. Fece poi versi su tutto quello che aveva sentito raccontare di Sigemund: fatti v alorosi, cose ignote, scontri del Wlsing, avventure remote di cui i figli degli u omini non sapevano a fondo, faide e violenze. Fuorch Fitela, che era con lui quan do lo zio usava raccontare queste storie al nipote, dato che, in qualunque attac co, si ritrovavano sempre camerati. Avevano debellato un'intera famiglia di giga nti insieme, con le loro spade. Ne consegu, per Sigemund, dopo la sua morte, non poca gloria per aver ucciso, temerario, il drago custode del tesoro. Sotto la gr igia pietra si era avventurato da solo, il figlio del principe; Fitela non era c on lui. Eppure gli fu concesso di trafiggere con la spada il mostruoso drago, in chiodandolo al muro con la nobile lama. Il drago mor di quel colpo. L'eroe lo ave va aggredito valorosamente perch voleva godersi il tesoro di anelli a suo piacime nto. Il figlio di Wls ne caric la nave, port tutti gli ori lucenti nel ventre della nave. Il drago si fuse nel fuoco. Dopo aver ucciso anche la madre di Grendel, che voleva vendicare la morte del fi glio, Beowulf e i suoi uomini fecero ritorno in patria. L'eroe venne proclamato Re dei Geati, ma, dopo un lungo regno prosperoso, il suo popolo dovette affronta re gli attacchi di un drago, che difendeva i tesori razziati agli uomini anonimo, Beowulf

Storia del drago, del suo tesoro e del furto Colui che aveva oltraggiato il drago, non viol il suo tesoro intenzionalmente, n p er propria scelta, ma un qualche schiavo dei figli degli eroi stava fuggendo per cosse rabbiose e, spinto da un disperato bisogno, alla ricerca di un rifugio, si

nascose l dentro, schiacciato dalla colpa. Subito sbirci dentro... la paura del m ostro si impadron di lui, nella sua miseria... poi l'attacco improvviso lo colse. .. In quella cava c'erano molti tesori antichi, l'immenso lascito di una nobile sti rpe, una coppa preziosa, nascosti l, in giorni lontani, da qualcuno, per riflessi one e scrupolo. La morte li aveva colti tutti, in quel passato lontano, e l'unic o sopravvissuto pi a lungo degli altri, rimasto a far la guardia e a piangere gli amici, aveva sperato in un destino pi fortunato: di potersi godere, anche per br eve tempo, quelle ricchezze da lungo accumulate. Sorgeva un tumulo vicino alla r isacca del mare, su un promontorio, recente e reso sicuro e impenetrabile ad ope ra d'arte. L il custode degli anelli trasport le ricchezze dei conti, lamine d'oro , e disse poche parole: - Terra, conserva tu, ora che gli eroi non possono pi farlo, i tesori dei conti! Uomini valorosi li estrassero un tempo da te. La morte in guerra, malanno devast ante, ha colto ognuno degli uomini della mia gente, che hanno dato la vita: avev ano visto le gioie della corte. Adesso non c' nessuno che cinge la spada, che lus tri il boccale lucente, la ricca coppa da bere; la mia gente fuggita altrove. L' elmo duro, rifinito d'oro, perder le sue lamine. Dorme chi lo lustrava, chi dovre bbe lucidare la maschera di guerra. La veste bellica, che aveva assaggiato in ba ttaglia il morso dei ferri, al di sopra del cozzo degli scudi, si sfascia, come il guerriero. La cotta di anelli non pu pi vagare, accompagnando in guerra l'eroe. Non c' pi la gioia dell'arpa, il piacere del legno sonoro; per la sala non vola p i il bravo falco, n il cavallo veloce scalpita pi dentro la rocca. Una morte violen ta ha scacciato di qui molte generazioni di uomini. Cos, con mente lugubre, l'ult imo rimasto fra tutti lamentava la sua pena; giorno e notte piangeva la sua infe licit, finch gli giunse al cuore l'impeto della morte. L'antico Flagello dell'alba , il nudo drago ostile che infestava i tumuli con le proprie fiamme, nel suo vag abondare notturno, trov la gioia del tesoro. Era temutissimo dagli abitanti dei c ampi. Cercava cibo sottoterra, dove, ormai da lungo tempo, guardava quell'oro pa gano e non se ne faceva nulla. Da trecento anni, quel pubblico Nemico occupava una stanza del tesoro nella cava , finch un uomo gli sconvolse la mente. Egli portava al suo feudatario una coppa laminata, come pegno per la sua protezione. Allora il tesoro fu scoperto, il tes oro degli anelli razziato; ascoltata la preghiera dello sfortunato. Per la prima volta il principe scrutava l'antico lavoro degli uomini. Ma il drago si dest, il conflitto si accese. Guizz lungo la roccia, implacabile nel cuore, e scopr l'impr onta del nemico: era passato, con estrema perizia, accanto alla testa del drago. Chiunque, non condannato a fallire, e che confida nella protezione divina, pu fa cilmente superare infelicit ed esilio. Il guardiano del tesoro, furioso e selvagg io, studi con cura tutto il terreno, deciso a trovare l'uomo che, mentre dormiva, l'aveva umiliato. Pi volte fece il giro del tumulo, all'esterno. Non c'era nessu no, in quel deserto. Eppure lui agognava il conflitto, il lavoro di guerra. Ogni tanto, poi, se ne tornava al tumulo, e cercava la sua preziosa coppa. Subito si accorse che qualcuno aveva profanato il suo oro, il prezioso deposito. Aspett co n impazienza fino a sera, il custode del tesoro, e intanto si gonfiava di rabbia : progettava, la Folle creatura, di ripagare con il fuoco il suo raro boccale. I l giorno fin, come il drago desiderava, e non aspett oltre, sopra il vallo, ma s'i nvol nel fuoco, circondato da fiamme. L'inizio fu tremendo per la gente del posto , come lo sarebbe stata la fine per il donatore di gioie, il principe Beowulf. anonimo, Beowulf

Il drago devasta il paese Cos il Mostro prese a sputare fiamme, a bruciare le chiare case. Il bagliore del fuoco terrorizzava gli uomini; non voleva lasciare nulla di vivo, l'Avversario v olante. La guerra del drago era largamente visibile, la sua spietata violenza vi

cino e lontano, il modo in cui il Nemico distribuiva oltraggio e devastazione fr a la gente dei Geati. Si precipit al suo tesoro, nella sala nascosta, prima che f osse giorno. Aveva accerchiato gli occupanti delle terre con il fuoco, le fiamme e i roghi. Contava sul suo tumulo, sul vallo, sulla guerra: le sue speranze lo tradirono. Ben presto il terrore venne narrato a Beowulf, fedelmente, e che anche la sua st essa casa, il pi splendido dei palazzi, il trono dei doni dei Geati, si era disso lta fra le fiamme. Fu un grande dolore per il suo animo gentile, un grandissimo lutto per il suo cuore. Pens, il Sapiente, di aver provocato le ire di Dio, il Si gnore eterno, rompendo le regole. Pensieri tenebrosi gli agitavano il petto, com e mai prima di allora. Il drago di fuoco aveva distrutto con l'incendio la forte zza della nazione, la difesa del paese dal mare e dalla campagna. Il principe gu erriero, sovrano dei Wederas, progett come vendicarsi. Fece forgiare uno scudo di ferro, uno splendido arnese da battaglia, il protettore dei guerrieri. Sapeva b enissimo che nulla poteva il tiglio contro il fuoco. Il famoso capitano avrebbe affrontato la fine dei suoi fragili giorni, della sua vita nel mondo, e con lui il drago, bench da tanto tempo governasse il deposito del suo tesoro. Il principe degli anelli si rifiut, poi, di affrontare il Volatile con una truppa di uomini, con un vasto esercito. Non temeva lo scontro, n dava peso alla potenz a del drago, alla sua forza e al suo valore, perch aveva gi superato molti rischi e pericoli, dopo che aveva disinfestato la reggia di Hrothgar e ucciso in battag lia Grendel e la sua odiosa razza. anonimo, Beowulf

Beowulf va ad attaccare il drago Era cos scampato, il figlio di Ecgtheow, a tutte le violenze, le battaglie mortal i, le imprese pericolose, ma solo fino a quel giorno in cui dovette confrontarsi con il drago. Il signore dei Geati part con altri undici, pieno di rabbia, in ce rca del drago. Aveva capito da dove fosse nata la faida, l'ostilit nei confronti dei suoi uomini: gli era arrivato in suo possesso il famoso boccale, ingemmato, per mano di uno che non sapeva. L'uomo che aveva provocato l'inizio del conflitt o veniva per tredicesimo nella schiera, abbietto, in lugubri idee, per guidarli tra i campi. Arriv, controvoglia, alla cava, alla stanza sotterranea vicina ai fr angenti del mare, al tumulto delle onde. Dentro, era piena di gioielli e ornamen ti. L'orribile guardiano, pronto alla lotta, teneva da tempo il tesoro a custodi a: non era facile per nessuno entrare. Il re, potente nei combattimenti, si mise a sedere sul promontorio, mentre l'ami co d'oro dei Geati augurava buona fortuna ai propri compagni. I suoi erano trist i pensieri di morte: che il suo destino, ormai vicino, stava per sopraffare l'uo mo vecchio, per cui doveva conquistarsi un tesoro per l'anima, affrontare il dis tacco della vita dal corpo. Lo spirito del capitano non sarebbe stato rivestito di carne ancora per molto. anonimo, Beowulf

L'attacco al drago Beowulf parl, pronunciando per l'ultima volta parole di vanto: - Mi sono avventurato in molte battaglie quando ero giovane; e accetterei ancora , io, l'esperto protettore del popolo, di cercarmi faide, gesta valorose, se il perfido Nemico uscisse dalla sua cava per affrontarmi. Poi, per l'ultima volta, salut i suoi uomini uno a uno, i cari compagni: - Non po

rterei la spada, o un'arma contro il drago, se sapessi in che altro modo affront arlo e potermene vantare, come ho gi fatto con Grendel; ma qui mi aspetta una bat taglia di fiamme, fiato e veleno. Per questo indosso lo scudo e la cotta. Non in dietregger di un piede dal custode del tumulo, ma combatteremo sul vallo, come il destino, l'Arbitro di ogni uomo, avr deciso per noi. La mia mente decisa, cos che mi tratterr dal vantarmi di questa guerra con il Combattente alato. Voi, guerrie ri in armatura, aspettate sul tumulo per vedere chi di noi due sapr meglio scampa re alle ferite, dopo lo scontro mortale. Confrontarsi con la forza del mostro, m anifestare il proprio valore eroico non impresa per voi, non a misura d'uomo, ma solo alla mia. Con la mia nobilt potr arrivare all'oro, o una morte violenta vi p river del vostro principe. Appoggiato allo scudo, il prode guerriero si alz, ardit o sotto l'elmo. Port la maglia di guerra sotto la rupe rocciosa, confidando nella forza dell'uomo solo, perch questa non avventura per i codardi. Allora vide, lui che era scampato a innumerovoli lotte e attacchi selvaggi, eccelso nelle virt, u na roccia accanto al vallo, e l sgorgava un torrente dal tumulo. I fiotti della s orgente erano arroventati dal fuoco della battaglia; non sarebbe potuto restare a lungo vicino al tesoro, senza bruciarsi, a causa delle fiamme del drago. Un urlo usc dal petto del principe dei Wederas-Geati, infuriato com'era; il suo f orte cuore grid, e la sua voce possente echeggi, battagliera, sotto la grigia rocc ia. L'odio era stato sollevato, il guardiano del tesoro ud il richiamo dell'uomo, non c'era pi tempo per la pace. Subito usc dalla pietra il fiato del mostro, bruc iante sudore di battaglia, e la terra rintron. L'eroe, Signore dei Geati, agit lo scudo contro l'orribile creatura sotto il tumulo. Il cuore del drago smaniava pe r lo scontro, mentre il valoroso combattente brandiva la spada, l'antica lama da l filo non smussato. Il terrore colse ciascuno dei due. Il principe si posizion risoluto, con l'alto s cudo accanto, mentre il drago si raccoglieva rapido nelle sue spire. Aspett, nell 'armatura. Venne strisciando, avvolto in fiamme, precipitandosi incontro al suo destino. Lo scudo protesse bene la vita e il corpo del famoso principe per un te mpo pi breve di quanto sperasse. Per la prima volta, dovette dimostrare il suo va lore senza che il destino avesse previsto un trionfo per lui. Il signore dei Geati alz la mano, colp l'Orrore lucente con la sua preziosa spada, cos che il filo lucido scivol sull'osso; morse meno forte di quanto sarebbe servi to al re, pressato dalla difficolt. Dopo quello scontro, la mente del guardiano d el tesoro era sconvolta. Erutt un fuoco di morte; le fiamme di guerra corsero ovu nque. Non poteva vantarsi di famose vittorie, l'amico d'oro dei Geati; la nuda l ama di battaglia aveva fallito al momento del bisogno, e non avrebbe dovuto farl o, quel lungo ferro famoso. Non sarebbe stato facile, per il grande figlio di Ecgtheow, abbandonare quella t erra; avrebbe dovuto sistemarsi altrove, controvoglia, come tocca a chiunque deb ba lasciare i suoi fuggevoli giorni. Non pass molto tempo che i duellanti si riav vicinarono di nuovo. Il guardiano del tumulo aveva ritrovato coraggio, il suo pe tto agitato dal respiro. Colui che prima aveva governato un popolo spasimava, ac cerchiato dal fuoco. Non gli si stringeva intorno la schiera dei suoi compagni, i figli dei principi, con le loro virt di guerra: si erano rifugiati nel bosco, a nascondere le proprie vite. Solo uno di loro affrontava il rimorso nei propri p ensieri: niente pu mai soffocare la parentela, in chi ragiona bene. Questi era Wiglaf, parente di Beowulf, che in nome del sangue che lo legava al s ovrano, decise di affrontare la lotta con il mostro per aiutare il valoroso in d ifficolt. Con intrepido coraggio, si schier a fianco di Beowulf, dopo aver pronunc iato un discorso di esaltazione dei valori di lealt, forza e fedelt. anonimo, Beowulf

Wiglaf lotta contro il drago

Il drago usc di nuovo, infuriato, il fiato fiammante, la diabolica creatura, a ce rcare il proprio nemico, gli odiati esseri umani. Lo scudo fu bruciato fino alla borchia dall'onda di fuoco. La cotta non offriva alcun riparo al giovane guerri ero. Pure il ragazzo combatt audacemente sotto lo scudo dello zio, quando il suo fu consumato dalle fiamme. Il re guerriero ripens alle proprie gesta e, la sua fo rza rinnovata nell'odio, lo colp sulla testa con la sua spada. L'antica e grigia arma, Naegling, vol in frantumi. Non gli fu concesso che il filo della sua lama p otesse sostenerlo nella lotta, quando in guerra portava un'arma temprata nel san gue. La mano di lui era troppo forte, tanto da mettere ogni spada a dura prova, a quanto mi raccontano. Non gli serviva a niente. Per la terza volta, il Nemico del popolo, il temerario drago di fuoco, ripensand o al combattimento, si avvent sul grand'uomo, appena gli fu offerta l'occasione. Feroce e caldo, gli strinse tutto il collo con le sue grinfie. Beowulf ne fu ins anguinato; sgorgava a ondate, il sangue della vita. anonimo, Beowulf

Beowulf uccide il drago Ho saputo che allora, nel pericolo del principe del popolo, il prode conte mostr coraggio, forza e valore secondo la sua natura. Non pens alla sua testa, ma si br uci la mano quando cerc di aiutare lo zio, cos che l'uomo in armatura colp poco pi in basso la Creatura ostile, e la spada affond, lucida e laminata, tanto che il fuo co prese a diminuire. Il re stesso, ancora nel dominio della coscienza, sollev il pugnale, amaro e affilato per la battaglia, che teneva nella cotta e squarci, il protettore dei Wederas, il ventre del drago. Avevano abbattuto il Nemico, l'aud acia gli aveva strappato via la vita, l'avevano fatto a pezzi insieme, i due nob ili parenti. Cos dovrebbe comportarsi un vassallo, nel momento del bisogno. Per i l re, questa fu l'ultima delle sue gesta vittoriose, la fine del suo lavoro nel mondo. Poi, la ferita che il drago gli aveva causato, prese a bruciare, a gonfia rsi. Sent subito che il veleno, pestilenziale, gli bolliva nel petto. Il principe allora and a sedersi, pensando cose sagge, sul sedile che gira intorno alla pare te. Guard la costruzione gigantesca, l'eterna cripta di terra sostenuta da archi di pietra, fissati su pilastri. Con le proprie mani, il vassallo estremamente ge ntile vers dell'acqua addosso al famoso principe, il suo signore e amico, sanguin ante e spossato dalla lotta, e gli slacci l'elmo. Beowulf parl, contro la sua ferita, il dolore che lo fiaccava a morte; sapeva ben issimo che i suoi giorni erano finiti, cos la sua gioia sulla terra. Tutto il con teggio dei giorni era passato e la morte era estremamente vicina: - Vorrei regal are a mio figlio la veste di guerra, se mi fosse concesso che un mio successore restasse a guardia di questa eredit. Ho governato questa gente per cinquant'anni. Non c'era un solo re fra le nazioni circostanti che abbia osato attaccarmi con le spade, o spaventarmi con le minacce. Ho atteso i disegni del tempo nella mia terra, ho governato bene le mie cose, ho sfuggito astuzie ostili, non ho giurato troppi spergiuri ingiustamente. Malato di questa ferita mortale, traggo felicit da tutte queste cose, perch il Padrone degli uomini non ha motivo di rinfacciarmi stragi nefaste in famiglia, quando la vita sfugge dal mio corpo. Adesso tu, car o Wiglaf, va' subito a cercare il tesoro sotto la grigia roccia, ora che il drag o steso e dorme di un'amara ferita, spogliato del suo patrimonio. Corri in frett a, perch io possa vedere le antiche ricchezze, il tesoro prezioso, e contempli a mio agio le sfolgoranti gemme, cos che mi sia pi dolce lasciare questa vita e ques ta terra che ho retto a lungo. anonimo, Beowulf

Morte di Beowulf Ho sentito dire che allora il figlio di Weohstan ubbid prontamente alle parole de l suo signore, ferito, malato della battaglia, con la sua rete di anelli, la sua cotta ammagliata, sotto la volta del tumulo. Poi, trionfante per la vittoria, i l giovane vassallo animoso, passando lungo il sedile, vide molti ornamenti prezi osi, ori che luccicavano sparsi sul pavimento, lavori prodigiosi alle pareti e, nella tana del drago, dell'antico volatile dell'alba, orci drizzati, coppe del p assato, mai pi lustrate, coi fregi staccati. C'erano tanti elmi, antichi e ruggin osi, molti bracciali artisticamente legati. Gli ori, i tesori della terra, prend ono facilmente il sopravvento su chiunque, fra gli uomini, per quanto si cerchi di nasconderli! Vide anche un'insegna tutta d'oro, alta sopra il tesoro, la pi grande meraviglia tessuta a mano con ingegno. Ne veniva un luccicchio tale che riusc a vedere il pi ano del pavimento e tutti i gioielli sparsi. Non c'era alcuna traccia del drago: la spada lo aveva colto. Ho anche sentito dire che, dentro al tumulo, il ragazz o, da solo, saccheggi il tesoro, gli antichi lavori dei giganti, che si caric in p etto, a suo piacimento, boccali e piatti. Prese anche lo stendardo, l'insegna pi splendente. La spada del vecchio principe (il filo era di ferro) aveva colpito c olui che aveva custodito a lungo questo tesoro, che aveva portato un rovente ter rore di fuoco, uno sferragliare di spade in mezzo alle notti, per proteggere i g ioielli, finch mor massacrato. Il messo si affrett, desideroso di ritornare, pressa to dagli ori. Era forte l'angoscia per il fatto se avesse ritrovato ancora vivo il principe dei Wederas, ferito a morte, lasciato al suo posto sul prato ad aspe ttarlo. Poi, con tutti i gioielli, trov il famoso principe, il suo signore sangui nante, in fin di vita. Riprese a gettargli addosso dell'acqua, finch la parola gl i sgorg dal petto. Allora l'eroe parl, il vecchio nel suo dolore, contemplando i p reziosi: - Rendo grazie con le mie parole al Principe, al Re della gloria, il Signore ete rno, per tutti i gioielli che contemplo qui, che ho potuto vincere per il mio po polo prima del giorno della mia morte. Ora che mi sono venduto, per questo tesor o, la mia vecchia vita, continua tu a far fronte ai bisogni della mia gente. Non posso restare qui pi a lungo. Ordina agli uomini famosi in guerra che mi costrui scano, dopo il mio rogo, un chiaro tumulo sul promontorio a mare. Dovr svettare i n alto sul Capo della Balena, per ricordarmi al mio popolo, cos che i marinai pos sano chiamarlo poi il Tumulo di Beowulf, quando da lontano sospingeranno le navi di l del mare scuro. Il principe si slacci dal collo un cerchio d'oro, lo diede al suo vassallo, il gi ovane armato di lancia, insieme al suo elmo splendente d'oro, il suo anello e la cotta, dicendogli di goderseli: - Tu sei l'ultimo della nostra casata, dei Wgmun digas. Il destino ha spazzato via tutti i miei familiari, i conti valorosi; ora tocca a me seguirli. Fu l'ultima parola scaturita dai pensieri del vecchio, prima di abbandonarsi al rogo, alla guerra rovente delle fiamme. La sua anima part dalle viscere, verso lo splendore dei santi. anonimo, Beowulf

Rogo e panegirico di Beowulf Poi al principe dei Geati fu costruito, su quella terra, un rogo, e i suoi uomin i vi appesero gli elmi, i corsetti, le cotte e le tavole della battaglia, come e gli aveva loro chiesto. E nel mezzo, i soldati, piangendo, ci deposero il loro r e famoso, l'amato signore. I guerrieri cominciarono a destare, sul monte, un gra n fuoco dalla pira. Il fumo di legna, circondato da gemiti, si alz cupo sopra le fiamme, scherz rumoroso, mentre il tumulto dei venti cessava, finch ebbe consumato

tutto il corpo, nella calura delle viscere. Lamentarono l'angoscia delle loro anime, la perdita del loro signore. E una donn a geata, coi capelli legati, inton un canto di lutto, addolorata. Ripet pi volte ch e aveva paura di un attacco militare, del terrore delle truppe, di oltraggi, di stragi, dell'oppressione delle catene. Il cielo ingoi il fumo. Poi la gente dei Wederas costru un riparo, alto e spazioso, in cima al promontori o perch fosse visibile da lontano a tutti i navigatori. Fabbricarono quel monumen to in dieci giorni, al re valoroso in battaglia. Intorno al rogo costruirono un muro, in una tale foggia prestigiosa come solo uomini ingegnosi potevano fare. P ortarono all'interno del tumulo anelli e ornamenti, e tutti i gioielli preziosi che gli uomini, lottando, avevano tolto al tesoro. I gioielli dei conti furono a ffidati alla terra, l'oro ai sassi, dove rimasto fino ad oggi, inservibile come lo era stato allora per gli uomini. Poi dodici uomini, valorosi in guerra, figli di principi, cavalcarono intorno al tumulo, per lamentare il loro lutto, la loro perdita, per pronunciare un canto di compianto, per parlare di lui. Lodarono il suo valore e le sue nobili gesta, elogiarono le sue virt e la sua forza, come giusto che faccia chi voglia celebrar e a gran voce un sovrano e un amico, al momento di accompagnarlo a lasciare la d imora del corpo. Cos i principi geati lamentarono la morte del loro sovrano. Dissero che, tra tutt i i re della terra, era stato il pi generoso con i suoi uomini, il pi cortese con la sua gente, il pi gentile con chi amava e il pi smanioso di gloria. anonimo, Beowulf

Un mondo di specchi traduzione dal tedesco di Alessandro Zignani Il drago di Anferginan La lotta contro il drago un archetipo dell'immaginario medioevale. Allegoria di un Cosmo misterioso ed ostile, scherzo di una Creazione da cui l'uomo si sente per i suoi peccati e per la sua natura di angelo caduto - lontano, il drago il simbolo del riscatto con cui il cavaliere sublima la sua natura umana, giungendo alla ricompensa dell'amore ideale. L'uccisione del drago, quindi, il tramite al la riscoperta da parte dell'uomo della sua origine divina, ch altro non , per il c avaliere, l'amore idealizzato della Donna. Cos il drago diventa, dopo la sua mort e, la scala di Giacobbe che permette l'ascesa ai cieli. Gottfried von Strassburg rivisita il tema con quello scetticismo da epigono che ormai gli conosciamo. La tradizione parla di un'angue, un terribile rettile dimorante in quella terra. Tal gravoso mostro aveva cos riempito di paura l'intero paese, aduggiando la gen te che vi dimorava, che il re decise di far giuramento: avrebbe dato sua figlia a chi, purch nobile e cavaliere, recidesse il capo a quell'incubo. Molti cavalier i alla ventura, attirati da quella nuova, s'eran risolti all'arduo passo, ed ave vano per loro protervia incontrato la morte. Anche Tristano vi s'era deciso, ch a ltro scopo non aveva quel viaggio verso la terra lontana in cui stava la sua est rema speranza di recidere il filo del malo destino. l'alba, dunque, quando Trist ano indossa l'arme convenienti alla cruda bisogna. Dalla nave sbarcato il suo ca vallo, ed una picca gli viene data, la pi lunga e robusta che si sia potuto trova re. Per sentieri interrotti, nel bosco, poi s'inoltra; n segue le vie convenute, ma cangia pi volte d'improvviso orizzonte. Quando s'appressa il mezzogiorno, lanc ia il cavallo al galoppo verso la valle di Anferginan, dove il drago ha deciso i l suo antro. Quando da lunge scorge la piana, ecco che quattro cavalieri, al rit mo d'un trotto veloce, lo sfiorano perdendosi in lontananza. Di questi uno era l o scabino della regina, ed avrebbe voluto impalmare la sua pur nolente figlia.

Anzi: tutte le volte che un cavaliere si cimentava, ecco apparire anche lo scabi no, anch'egli presente allo scontro, per poter poi addizionare tutte le volte ch e aveva preso apparente partito per la fanciulla. Quando per s'affacciava il drag o, nessuno lo vedeva pi. Dalla velocit con cui si danno alla fuga quei cavalieri, Tristano capisce che il mostro non deve essere lontano. Non fa in tempo, infatti , a volgere il muso al destriero, che quell'allucinazione del diavolo, col muso sbuffante fumo e sgorgante fiamma, gli taglia la strada, ergendosi davanti a lui . Tristano abbassa la cavezza dell'animale, perch non veda l'allucinante visione, lo punge con la picca e lo lancia contro il drago; questi impettito riceve la l ancia da parte a parte, fino alla mascella, a sfiorare il cuore. Tale per lo schi anto, che il cavallo crolla a terra stecchito, e certo Tristano ne resta ben rin tronato. Quando il drago lo vede a terra, si scaglia col suo fiato infuocato con tro il cavaliere; le fiamme lo lambiscono s che il cavallo ne rimane combusto fin o alla sella. Ma la lancia che ha in petto confitta gli d fiera angoscia; cos il d rago, pi non curandosi di Tristano, cerca riparo in un ripido calanco. Tristano l o persegue dappresso, e stuzzica con la spada la serpe strisciante; dei suoi ran toli d'ira e di dolore risuona l'intera foresta. Molti alberi prendono fuoco, al contatto con quella bruciante agonia. Poi il drago scompare in un burrone vicin o; Tristano pensa che la sua ora sia giunta, ed afferra la spada. Ma la lotta ha ancora da esser dura, e pi perigliosa di quanto creda l'eroe. Si presenta al mos tro, lo assale, ma quello s'erge imprevisto e lo rinchiude contro la parete di r occia; a questo punto Tristano si crede giunto all'estremo cimento. una pioggia di fuoco, un mulinare d'artigli acuminati come rostri, un colpire e parare che n on d tregua al cavaliere. Tristano per proteggersi costretto a farsi scudo degli alberi, che il serpente bruciando uno per uno gli sottrae con studiata lentezza. A furia di parare le fiamme il cavaliere si ritrova lo scudo ridotto a cenere, ed uno spoglio deserto attorno a s. N pu Tristano contrattaccare: non ne ha n lo spa zio n il tempo. Ma la lotta ormai destinata a finire, ch la lancia conficcata fino al cuore ha infine stremato il drago; rallenta, ondeggia, poi crolla al suolo; eppure morente continua a contorcersi nell'ira. Tristano d'un balzo sopra di lui ; gli immerge la spada nel cuore, fino all'elsa, a far compagnia alla lancia. Al lora un gemito roco e profondo, come cielo e terra fossero giunti all'Apocalisse ; perfino Tristano se ne sgomenta, ed arretra. Il grido di morte squassa l'inter a piana, fino ai lontani orizzonti. Ora il drago morto; Tristano gli afferra le zanne, le apre con greve fatica, gli spicca di gola un pezzo di lingua, e rapido la nasconde sotto la veste; poi gli sigilla le fauci. Cerca nella foresta un lu ogo per riposare, e recuperare le forze, prima di ritornare, a notte fatta, sull a nave. Ma il caldo feroce, e la lotta stata sovrumana. Tristano si sente svenir e; allora vede una piccola polla, ed un limpido laghetto che da quella si crea; l s'immerge tutto, tal che ne rimane fuori sol la bocca, e cos rinfrescato s'addor menta d'un sonno letargico, ch la lingua che si tiene in seno manda effluvi malig ni, nocivi alla coscienza. Fino a che non lo trover la giovane regina, nessuno lo sposter di l. Lo scabino che tanto teneva alla stima della figlia della sua padro na, al risuonare del terribile grido, s' angosciato non poco. Di certo il mostro morto; oppure sconciato in tal guisa che sar per me uno scherzo averne ragione, c onsidera tra s. Si accomiata con un pretesto dai suoi compagni, furtivo sgattaiol a fino al luogo donde s' levato quel grido. Il suo cavallo incrocia la carcassa f umante di quello di Tristano; allora si ferma, il pavido, e riflette a lungo se sia il caso di proseguire; bastata quella breve escursione fuori del tracciato a bituale a riempirgli il cuore di paura. Infine riesce a rinfrancarsi un poco, e, pi guidato dal cavallo che in coscienza, arriva in quella plaga che la lotta di poc'anzi ha fatto desolata. Cos, senza neanche rendersene conto, trova il cadaver e del drago. Come lo scorge, per poco non casca gi dal cavallo, tanto trasale. Qu ando gli torna la ragione, si riscuote e tira per il morso il cavallo con tale f oga, che lo precipita a terra, e lui con quello, nel tentativo di voltarlo per d arsi alla fuga. Quando si risolleva cos terrorizzato che non cerca neppure di rim ettere in piedi il cavallo; scappa a piedi, senza volgersi indietro. Ma l'orecch io sente ci che l'occhio non vede. Sentendo che nessuno l'insegue, s'arresta; si butta a terra, e rif il cammino all'indietro verso la serpe, strisciando come lui . Riprende la lancia, salta sul cavallo e, facendo meno rumore possibile, s'allo

ntana un poco, per poi buttarsi al galoppo. Quando ha messo tra s ed il mostro un a conveniente distanza, lo scruta, per vedere se sia vivo o morto. Siccome quell o non si muove, lancia in resta, abbassa la celata e finalmente si lancia all'as salto. - Per te, Isolde, mia dolce damigella, questo eroe trover la morte bella - declam ando. Coglie nel fianco la fiera bestia con siffatta foga, che l'asta di frassin o gli si rigira tra le mani, ed ormai colpisce se stesso. Ma si ferma subito, pe rch - riflette - l'autore di quell'impresa potrebbe trovarsi non lunge. Invece di fuggire, lo cerca; spera di trovarlo cos piagato da poterlo sfidare a battaglia. Cos potrebbe senza rischi toglierlo di mezzo e seppellirlo. Ma il cavaliere semb ra scomparso. Cos lascia perdere; pur giunto l per primo; se qualcuno dichiarasse il contrario, non potrebbe certo la sua testimonianza valer di pi di quella dei s uoi molti parenti e vassalli. Riprende dunque l'agone strenuo con la sua preda, ripigliando i colpi laddove s'era prima arrestato. La sua spada sforacchia la ca rcassa del drago in pi punti; poi s'accanisce sul collo; lo vuol tagliare di nett o, ma quello s grosso e robusto che vana fatica tagliarlo. Allora si contenta di lanciare la picca contro un tronco, per poi ficcarne la parte anteriore in bocca al drago, a testimonianza della lotta. Allora soddisfatto; ritorna a Wiesefort e racconta a tutti le angosce e le fatiche subite, con sovrana pena; d anche ordi ne che un carro trainato da quattro cavalli vada a riprendere il cadavere. - Accorrete, dame e cavalieri - dice lo scabino - a sentir di un eroe le novelle . Ascoltino le vostre orecchie di quali audacie capace l'uom, cui l'amore accend a in cuore una sempiterna fiamma. Non finir mai di stupirmi se considero a quali eccessi di periglio mi sottoposi, e come vivo ne son sortito, come certo non sar ebbe avvenuto, se m'avesse preso dell'uom comune l'infingardaggine. Un cercaperi gli, il cui nome m' ignoto, ha pria di me tentato in quella valle la sorte, e n'h o rinvenuto la carcassa sconciata. Met del suo cavallo giace ancora l, tutto abbru ciato. Ma a che pro' narrar altro della vicenda? Qui ravvisate un uomo che tutto ha osato, per impetrar da sua donna mercede! Raduna tutti gli amici, e li conduce sul posto a veder coi loro occhi il prodigi o. Tutti vuole che si faccian testi di ci che han veduto, e ne rendan fede a chi visto non ha. Poi ordina che si spicchi la testa dal corpo e la si porti via. Co nvoca parenti e vassalli, e col corteo formato si reca dal re, perch tenga fede a lla promessa. A Wiesefort si fissa la data del gran consiglio, a cui tutti i bar oni sono invitati, com' costume, per dare il loro parere. Ma mentre i nobiluomini ordiscono il destino di Isotta, le damigelle della bella figlia del re languono al dolore e maledicono la sorte, perch vedono sul bel viso della loro fanciulla diffondersi un pallore di morte. Tanto infelice Isotta, che la regina interviene, e le dice: - Non si mai visto u na regina affliggersi in simil modo per s meschina causa. Qualunque sia la natura dell'accaduto, sapr ben io proteggerti dalla sorte che s'apprecchia per te. Abbi fiducia in me, dunque, e cessa di piangere fino a consumarti gli occhi! - Ah madre! Ah, regina! - dice allora Isotta, vieppi piangendo - Non degno della vostra casata e della vostra condizione abbassarsi alle trame contro una persona cos meschina. Io stessa rimedier alla mia disgrazia; mi conficcher di mia mano un coltello nel cuore. Se proprio mi deve avere per sposa, non mi avr che morta! Mai altrimenti sar sua. - Non aver paura, figlia. Mai lo scabino ti avr. Anche se il mondo intero riunito a consulto dar parer contrario, non per questo io tentenner n ella mia decisione. Aveva la regina fama di maga, ed infatti ben a fondo ella co nosceva l'arte del vaticinio: cos quando si leva la luna ella consulta gli spirit i amici, e vede le cose come sono accadute, e si accorge con simil metodo dell'i mpostura dello scabino. Appena si fa giorno, va nella camera di Isotta, la chiama: - Sei sveglia, figlia mia? - Lo sono, madre. - Allora cessa di angosciarti. Ti devo dare una lieta notizia. Non fu lo scabino ad uccidere il drago, ma uno straniero che s'avventava da queste parti - ne ign oro il motivo. Ora preparati ad uscire, ch dobbiamo trovare il nostro uomo, dovun que la sorte l'abbia condotto, e svelare a tutto il popolo, ed il re, la vera na tura dei fatti. E tu, Brangania, damigella di mia figlia, levati in fretta, e se

nza dar nell'occhio di' a Paranis di sellare i cavalli, perch ora noi tre uscirem o insieme a lui alla cerca del nostro uomo. Usciremo dalla porticina segreta, qu ella occultata dal rinterzarsi della mura, laddove comincia la campagna aperta. Cos s'approssimano con la fretta che d l'ansia al luogo dove giace la carcassa del cavallo. Le insegne del palafreno, le sue imprese di guerra - notano - recano i mpressi stemmi di casate ignote all'Irlanda, per cui quel cavallo deve essere ap partenuto a quel cavaliere che uccise il drago. Pi avanti incappano nell'enorme c arogna dell'angue fatale, e cos mostruosa la sua mole, cos orrido il suo aspetto, che le damine quasi svengono. Ma subito la regina si riprende, e dice alla figli a: - Ora che ho visto il drago, ho avuto la prova che lo scabino mai avrebbe pot uto ucciderlo. Siamo dunque a buon punto, figlia mia. Posso perfino predirti che lo straniero si trova qui, da qualche parte, ben occulto alla vista - se vivo o morto, non so. Se lo scoviamo, quest'inedia mortale avr pur fine. Si separano dunque, e si realizza la predestinazione della bella principessa: ch e sia lei a scovare colui che d'ora innanzi le star vicino, e sar per lei gioia e tormento, vita e morte. I raggi del sole rifrangendosi sull'elmo di Tristano man dano un barbaglio che ferisce gli occhi di Isotta; subito ella si volge alla mad re, e le segnala lo strano barbaglio; anche la regina crede di scorgere, in quel la direzione, un elmo; vengono avvertiti gli altri due cavalieri, poi tutti si a vviano da quella parte, e quando scorgono Tristano abbandonato cos nell'acqua, tu tti si convincono che sia morto. Incolpano lo scabino del vile attentato, e si d isperano, tanto la regina che la principessa. Lo traggono a riva; gli tolgono l' elmo, gli sfilano il cappuccio di maglie di ferro; allora la regina si rende con to che vivo, anche se il filo del suo respiro sottile come un capello. - Gli sia tolta l'armatura! - dice la maga. - Se non stato ferito mortalmente, n on esiste agonia che io non possa tramutare in rinascita. Tutti lo spogliano con mani premurose; allora trovano la fetida lingua del drago , e si rendono conto che a causa delle sue malefiche esalazioni che lo straniero ridotto in quello stato. Il corpo spogliato dell'armatura non presenta ferite n escoriazioni; dunque la maga prende una sua mistura, e gliela propina in tal dos e che Tristano prende a sudare copiosamente, e col sudore espelle le cattive ema nazioni del drago. - Tra breve sar in grado di parlarci e di ascoltare quello che diciamo - conclude la maga regina. In breve tempo Tristano apre gli occhi, e vedendosi circonfuso da quello splendore muliebre, benedice in cuor suo la Grazia divina, che non l'h a abbandonato; certo infatti di trovarsi in Paradiso, tra i tre soli della divin a ricompensa: il sole aurorale di Isotta la principessa, il sole vespertino dell a regina, ed infine lo splendente sole meridiano di Brangania. - Dove sono, e chi siete? - domanda il cavaliere, dopo essersi ripreso dallo stu pore gioioso. - Oh, tu sei in grado di parlare? - dice Isotta. - Dunque facci noto ci che t'occ orre, ch noi ai tuoi bisogni provvederemo. - Non mi noto per qual motivo le forze mi svanirono d'un tratto, io che fui pria s vigoroso. Se il mio corpo mi soccorresse, ben volentieri, principessa, narrere i del fato che mi occorse. Se intanto mi vorrete dar ricovero per questa notte, io potrei cos riprender le forze. Allora tutti lo sollevano, e lo portano a cavallo fino al castello; poi entrano nel passaggio segreto, e cos lo trasportano fino alle loro camere senza che nessu no ne prenda nota. N dell'accaduto alcuno pu accorgersi, ch dalla palude gli ardime ntosi han riportato tutto, armi e cavaliere, n laggi di lui restato un capello. Do po averlo ricoverato nel castello, costoro si dedicano a restituirgli le forze. Un giorno solo basta al forte per riprendersi, ed appena pu parlare il suo primo pensiero di rivolgersi ad Isotta la bella, che gli domanda di raccontare in che modo abbia ucciso il drago. - Non pi di tre giorni or sono, bella damigella, io sbarcai in questo porto con a ltri mercanti, per farvi commercio di mie merci; ma appena approdati in questa r iva una banda di predoni assalendoci ci ha privati di ogni bene, lasciandoci man chevoli di risorse e di aiuto. Siccome evento raro l'essere accolti con benevole nza da genti straniere, e noi, in quel punto, in null'altro potevamo sperare, so li e poveri e lontani dalla patria, che nella benevolenza vostra, considerai che

un'impresa ben accetta al popolo che dimora in queste terre potesse perorare la nostra causa meglio di tante parole. Da tempo la storia del serpente veniva nar rata pei mari, tanto che era diventata quasi proverbiale. Decisi cos che uccidere il serpente fosse proprio l'impresa che ci voleva, per conquistare la vostra be nevolenza. - Non solo benevolenza, ma protezione e serenit perpetua hai tu meritato presso d i noi. Chiedimi ci che ti pi caro al mondo, ed io sapr ben impetrarlo per te di fro nte al mio sire. - Vi ringrazio, signora, e confido a voi la mia persona e le mie merci, certo ch e non avr mai a pentirmi di quanto ho test deliberato. Sappiate dunque che il mio nome Tanotris. E del perch tenesse nascosto il suo nome, il seguito del mio narra re dar poi ragione. - Di ci puoi avere certezza; ma ora, Tanotris, che l'Irlanda d ivenuta per te un porto di quiete, non t'incresca di porre attenzione ad un prob lema che m'angustia, e che tu solo puoi, col tuo consiglio, risolvere. E raccont a Tristano gli eventi che conosciamo: come lo scabino sostenesse il fal so, menasse vanto di imprese non sue, e fosse risoluto a sbugiardare chiunque in pubblico intendesse narrare la veridica versione dei fatti. - La vita che mi avete donato, e che ormai da me sfuggiva, signora - rispose Tri stano - tutta vi appartiene. Sapr io venire a capo di una minaccia che, se dovess e tradursi in realt, certo ruberebbe onore e fortuna a voi ed alla vostra dolce m adre. Ma ditemi, intanto: la lingua che io strappai al drago, e poi mi nascosi i n seno, l'avete forse portata con voi? - Tutto ci che ti apparteneva, e che trovammo laggi, l'abbiamo portato via con noi - disse la regina. Allora Tristano rispose loro di non rattristarsi; se lo avessero aiutato a recup erare le forze, quella situazione si sarebbe subito risolta. Cos la regina e la p rincipessa si dedicano anima e corpo alla salute del cavaliere, e loro maggior c ura scoprire quali siano i rimedii pi salutari alla sua condizione. Sulla nave in tanto i mercanti si struggono dall'incertezza; son gi due giorni che Tristano via , ed il grido del drago, con la sua colossale eco, giunto fino ai loro orecchi. Inoltre qualcuno ha loro narrato la storia di come un meschino sfidasse il drago , e ne restasse fulminato al punto che ancora sul luogo dello scontro giaceva la carcassa dilaniata del suo cavallo. Nella loro mente si fa dunque strada la con vinzione che si tratti di Tristano. Inviano dunque Governale ad ispezionare il l uogo dello scontro. Questi va, scopre i resti del cavallo, si accorge che quello di Tristano, ma del bel cavaliere non ravvisa traccia; n il corpo n le armi si tr ovano sul terreno circostante la carcassa del drago. Allora Governale piange l'amico, e dice: - Ohim, malefica Isotta, la fama della c ui bellezza varc i confini dei mari, e giunse in Cornovaglia, s da esser letale al la pi bella natura che mai varc il mare, affascinata da te e dai tuoi pravi artifi ci! Governale torna piangente alla nave, e narra ci che ha visto. La notizia a mo lti rincresce, ad altri meno; ma i pi son quelli che ne restan sconvolti. Comunqu e, tra il lamento degli amici ed i sospiri di sollievo degli invidiosi nasce sub ito il dissidio, e sulla nave s'appresta a nascere una gran buriana. I venti bar oni che guidano la spedizione insistono per approfittare del vento favorevole, e volger dunque ratti la prora al ritorno. Ma molti voglion restare, per scoprire che mai sia accaduto al loro buon prence. Alla fine si decide di trattenersi an cora due giorni, nonostante il parere contrario dei baroni. Nel frattempo, a Wie sefort, il re Gurmun prepara l'incontro di Isotta e lo scabino. Son convenuti a far da giuria alla questione tutti i parenti e i vassalli; dalla loro parola il re intende far dipendere la sua. Anche la regina chiama egli a consiglio; e ben ne aveva donde, ch in costei rifulgevano le virt pi rare che un uomo possa trovare nella sua sposa: belt e saggezza; per questo l'aveva egli s cara. Dunque, quella m attina, il re, dopo i parenti ed i vassalli, s'apparta con la regina e le chiede : - La contesa fiera ed incerta, stavolta. Sai tu come ne potremo avere ragione? - Non sconcertatevi - dice la bella regina - ci che ho scoperto ci far buon gioco. - Che dici, mia sposa? Svelami i tuoi segreti, cos che anch'io possa partecipare alla tua felicit. - Il disleale scabino nulla ha a che fare con siffatta impresa. Io conosco l'aut

ore di questo mirabile gesto, ed al momento opportuno ogni mia arte impiegher per darne prova. Voi fino ad allora radunate tutti i vassalli ed i parenti, e poi d ichiarate di fronte al popolo riunito in assemblea che, quando lo scabino sar sta to riconosciuto per uccisore del drago, voi terrete fede alla vostra promessa. N on temete: quando lo scabino si far avanti per reclamare ci che ritiene un suo dir itto, io sar l, insieme ad Isotta, e prender la parola a nome vostro e suo. Ora vi lascio; vado a raggiungere mia figlia; ma torneremo presto. La regina parte, ed il re va a presiedere quella solenne assemblea, l riunita non tanto per contribuire a dirimere la questione, ma per la curiosit di seguire que lla vicenda di cui ormai si parla in tutto il paese. Quando quei signori l conven uti vedono passare Isotta e la regina, tutti si profondono in complimenti per la bellezza e la gentilezza di ambedue le dame, e quella giovane e quella nella ma turit degli anni, e scrutando di sottecchi il virginale pallore di Isotta, la com patiscono, e fremono al pensiero di quale miserabile, che mai ebbe diritto ad al cuna ricchezza della vita, abbia sortito in sposa quel languido fiore. Poi le du e dame assise a fianco del re odono con lui le richieste dello scabino, che cos p rincipia a parlare: - Nobile sire, mio desiderio, nonch intima convinzione, che v oi non vogliate toglier fede al vostro onore, non rispettando quegli impegni che or non molto vi assumeste di fronte al popolo riunito. Allora - voi certo ve ne rammentate - giuraste che avreste dato in moglie la bella Isotta a chi si fosse dimostrato tanto prode da uccidere il drago. Per queste vostre parole molti per dettero la vita; ma io del periglio non mi curai, ch troppo in conto avevo l'amor e della bella, e per lei mi gettai nella mischia, sostenendo pi affanni di quanti mai occorsero ad anima viva. Infine stroncai la vita del mostro; e se non vi ba sta la mia parola, eccovi la testa, che io stesso ho spiccato dal corpo, per far ne mio orpello e blasone. Attendo ora che il re si dimostri all'altezza della fi ducia che viene da tutti - come si conviene ad un re - in lui riposta! - Io dico, scabino - intervenne la regina - che ben ardito e villano colui che, pur non avendo fatto nulla per meritarla, osa chiedere qui, al cospetto di tutti , la mano preziosa di mia figlia. - Ah, signora! per vostro ottenebramento che vi esprimete cos. Ma il re giusto e buono, e ben in grado di decidere per suo conto. Dunque, io voglio che sia lui a rispondere alla mia richiesta. - Regina - disse allora il re - io stabilisco che voi parliate a nome mio e di m ia figlia Isotta. - Ben volentieri, sire. Dunque voi, scabino, cos coraggioso e valente, vi reputat e degno della mano di mia figlia. E per trascurate di dire che l'impresa di cui t anto menate vanto non fu compiuta dal vostro braccio. - Se non credete a me, dovete pur credere a questa testimonianza del mio coraggi o! - e accennava alla testa. - Ma ci che tu ostenti per prova, scabino, non che una testa, quale chiunque aspi rasse senza motivo a mia figlia avrebbe potuto portare. - Non certo con cos misera offerta che si pu portarsi via il mio cuore - esclam Iso tta. - Mia cara principessa - replic lo scabino - errate a tenere in non cale le angos ce che sopportai per amor vostro. - Ben ve ne incoglier dal vostro amore! N confidenza n amicizia chiesi mai a voi, n aspiro per il futuro ad ottenerne. - Ben scorgo in voi l'animo che guida ogni donna su questa terra. vostro femmine o costume di reputar bene il male, e male il bene. Questo vostro pregiudizio ren de imbecille il vostro senno, s che considerate sciocco il savio e savio lo scioc co. Il torto si fa per voi ragione, e la ragione torto marcio. Per tacer del dis sidio interiore, che vi fa amare chi vi odia, ed odiare chi vi ama. Perch mai ten ete in cos gran conto le aporie, che vi ci voltolate dentro come i porci nel brag o? Non vi basta infatti non sopportare chi vi vuole, ma pure volete chi non vi t ollera. Di tutte le mosse che la scacchiera permette, voi prediligete le pi conto rte. Ben stolto dunque l'uomo che per giocare con voi pone per posta la stessa s ua vita. Eppure vi assicuro che se non vi avr, il giuramento sar infranto, e nessu no avr pi fiducia nella parola di re Gurmun! - Sei salace ed acuto, scabino - disse allora la regina. - A tutti parr la tua sa

ggezza essersi formata nel segreto dei giochi d'amore, e delle donne tu sai per certo penetrare gli inespugnabili misteri. Forse per questo il tuo animo di femm ina ha espunto da te il cuore virile. Questo tuo palesar le contraddizioni tropp o ti piace, ed in esse certo la tua lingua si trova a suo agio. Tu stesso ti com porti come le donne: vuoi chi non ti vuole, ed ami chi ti odia. Ma se a noi donn e rimproveri un simil dilemma, perch ad esso tu pure soggiaci? Se Dio t'assiste, tu sei un uomo: vuoi dunque portarti all'uso delle donne? Ecco un'altra, e supre ma, aporia! Se tu fossi un uomo, andresti a caccia di chi ti desidera. Invece vu oi Isotta, che - l'hai sentita - invece non ti sopporta. Chi mai potrebbe cangia re la sua natura? Non la prima volta ch'ella rifiuta ci che gi teneva in pugno. Mo lti l'amano, ch'ella non ama, e tu per primo. Dev'essere, questa, una mia eredit, perch io per certo non t'amo. Dunque tanto amore in te sprecato. Se Isotta accet tasse l'amore di tutti quelli che dicon d'amarla, non sarebbe di certo pi degna d ell'amore di tanti. Ma siccome c' un giuramento di mezzo, dunque esponi i fatti, e bada di non trascurare nulla che possa volgerli a tuo vantaggio. Se io dunque dico che fu un altro l'uccisore del drago, tu che puoi replicare? - Che la novella mi giunge nuova, e non so chi mai costui possa essere. - Quanto a questo, a suo tempo e luogo io te lo far conoscere. - Ed io allora mi batter con lui in singolar tenzone, perch non posso accettare ch e mi venga con la menzogna tolto ci che gi mio. - Questo tuo proposito mi piace. Io stessa mi far garante del tuo ardimento, e tr a tre giorni ti porter l'uomo di cui parlo. Oggi per mi impossibile condurlo al du ello. Allora il re concluse dicendo: - Ben vedi, scabino, che ti si chiede solo una breve dilazione. Dunque va', e predisponiti al duello, e cos faccia anche la regina. Cos fu sciolta l'assemblea, con la soddisfazione di tutti. Cos le dame s'ingegnano a risanare Tristano nel migliore dei modi; Isotta sopratt utto lo prende in cura, e nel mentre lo medica osserva il volto, e l'incarnato c he via via riprende vita, e le belle membra, proporzionate, e lo sguardo vivido e intenso, ed accade in breve che dovunque posi lo sguardo, veda un corpo che la soddisfa e le piace. Dunque Isotta prende in sospetto la condizione di quel mer cante, e nel segreto del suo cuore cos prega: "Signore Iddio, che mai lasci imper fette le opere tue, e sempre fai che in esse l'aspetto s'adegui alla qualit, ben sarebbe adulterata la tua Creazione se in un corpo cos mirabile e in un viso cos d elicato avessi inoculato l'animo di un mercante. Per certo un uomo cos bello dovr ebbe essere nobile, e governare un paese. Ed invece costui deve guadagnarsi di c he vivere errando di terra in terra, mentre sul trono delle genti tu hai posti m olti ignavi. Perch dunque, Signore Iddio, tu desti un destino cos miserando ad un uomo siffatto?" Intanto la regina ha rivelato al re l'avventura del mercante, e come questi abbi a a lui confidato i suoi beni e la propria persona. Nulla gli viene nascosto. Al suo scudiero Paranis Isotta comanda che abbia in somma cura le armi del mercant e; cos tutto quanto appartiene allo straniero viene predisposto al duello. Poi la fanciulla passa in rassegna l'equipaggiamento del suo campione, e mentre esamin a ogni cosa, perch sia in ordine, un impulso fanciullesco, una voglia o un capric cio improvviso la spingono a prendere in mano l'armatura, ed estrarre la spada d al fodero, per poterla meglio osservare. Allora scorge che essa ha un piccolo sc almo; lo fissa a lungo, con attenzione, e poi pensa: "Dio mio; ho l'impressione che il frammento che manca a questa spada sia in mio possesso. Anzi, lo voglio v erificare." Prende dunque la scheggia e la colloca nella piccola insenatura: combacia perfet tamente, perch da quella spada che due anni prima si distacc, quando Tristano ucci se suo zio Moroldo. Allora nuovamente la prende la mai sopita angoscia, e dice: - Ahim! Come s'en venne fin qui di Cornovaglia questa spada scellerata? Da essa f u ucciso mio zio. Eppure Tristano aveva nome il suo assassino. Chi mai diede que st'arma funesta a questo mercante, che ha nome Tanotris? E nell'ansia del dubbio, e l'amarezza del lutto, il viso le diventa or di brace or del pallore della neve, tanto opposte passioni la dilaniano. Si ingegna ad ac costare i due nomi, e ripetendoli velocemente ne permuta le sillabe, finch l'arti

ficio della loro commistione non la colpisce violentemente; allora ha per certo che Tanotris e Tristano sono lo stesso nome; le sufficiente leggere il nome ora in un senso, ora nell'altro, per comprendere ci. - Dunque il mio sospetto era fondato. Un cos nobile portamento, un'impresa tanto mirabile non potevano che venire da un nobile cavaliere. E costui ha avuto l'imp udenza di partire dalla Cornovaglia fino a mettersi nelle mani dei suoi mortali nemici! E fui io a salvarlo! Ma a nulla il suo inganno gli giover. Ors, dunque, Is otta: immergigli nel petto la spada con cui trafisse tuo zio, e tosto la tua pen a avr fine. Stava Tristano immerso nel bagno, quando Isotta, la spada in mano, s' appressa a lui e gli chiede: - Dunque tu sei Tristano? - No, mia signora - risponde quello - io sono Tanotris. - Eppure per Tristano io ti ravviso, anche se sei Tanotris, ed certo che di ci ch e mi ha fatto Tristano, su Tanotris io prender vendetta! - No, fanciulla! Considerate la vostra condizione di regina! Quando si sapr che l e belle, bianchissime mani di Isotta si sono macchiate di un simile delitto, sub ito sar spento quel sole che sorgendo d'Irlanda ha scaldato molti cuori. Gettate dunque quella spada, che cos mal vi s'addice. S'affaccia sulla soglia la regina, e nel vedere la spada tra le mani di Isotta, subito grida: - Che mai questo gioco o questa follia, principessa? Voi, con una spada in mano! - Ah, madre mia! Rammentate il nostro dolore. Questi l'assassino di vostro frate llo! Mai pi ci verr data l'occasione di far cos pronta e giusta vendetta! - Come puoi dire che questo mercante Tristano? - La scheggia che perfettamente si conform alla sua spada: questa fu la prova. Gu arda tu stessa; osserva come ben s'adatta il frammento. - Ah, Isotta. Non fossi mai nata! Quale dolore mi fai risorgere in cuore! Intanto Isotta brandiva la spada, avvicinandosi al cavaliere. - Ferma, figlia mia. Ferma. Non rammenti il mio giuramento? - Non m'importa. Io giuro sulla sua morte. Allora Tristano svela implorando la sua lingua materna, e dice: - Merzi, bele Is ot! - Implori merzi, malvagio? Qui non questione di piet. Qui dovrai la tua vita lasc iare. - No, figlia mia. Non ti far prendere dall'ira. La sua vita a me confidata sotto giuramento. Io lo presi nella mia protezione. - Non m'abbandonate, regina. Ricordate che in voi io rimisi la mia vita e i miei averi. - Bugiardo! - disse Isotta. - Io ricordo bene ci che fu detto. Non a te fu promes sa protezione, ma a Tanotris. Per sua fortuna la regina veglia su di lui; ma anche s'ella non fosse stata l, Tr istano non avrebbe per questo corso pericoli. Come pu la bella e innocente fanciu lla, cui mai la vita insegn malizia e violenza, uccidere un uomo? Solo il dolore e l'ira la spingono a ci; ma l'animo non le basta, e l'atto sostituisce nel suo c uore l'azione. L'odio e l'angoscia la pervadono insieme, alla vista del suo nemi co: l'odio per quello ch'egli ha fatto, l'angoscia per quanto ella sta per fare. La tenerezza di donna mal s'accorda con l'astio vendicatore, e questi due senti menti si danno dentro di lei cupa battaglia, riducendola allo stremo delle forze . La spada che vien levata subito s'abbassa. Isotta vuole e disvuole; avanza ed indietreggia. Alla fine la dolcezza sua di fanciulla la vince sull'ira, e Morold o resta invendicato. - Ahim disgraziata! Non avessi mai visto questo giorno - dice Isotta, e getta la spada. Salvo il mortale nemico. Allora la saggia regina le parla cos: - Ben compr endo la tua pena, Isotta, che anche la mia. Eppure duplice la mia angoscia, non solo per la sciagura che fu, ma anche per quella che ci potr tra poco colpire. Se infatti il duello vedr vincitore lo scabino, l'onta ci sommerger tutti, e n io, n t uo padre, potremo, avendo sotto gli occhi giorno per giorno la tua sventura, pi e ssere felici. Allora cos soggiunge il cavaliere immerso nel bagno: - Ben comprendo, nobili dame , che io fui causa del vostro soffrire. Ma non per mio piacere avvenne, ma solo per il desiderio che proprio ad ogni uomo di sopravvivere, quando si attenti all

a sua vita. Per quanto riguarda la vostra condizione, io vi assicuro che lo scab ino sar sopraffatto, se mi lascerete la vita. Madonna Isotta, e voi, regina; io c onosco il vostro grande cuore, e vi prometto che, se cesserete di odiare Tristan o, potr raccontarvi una lieta nuova. A quelle parole la regina lo fissa; il viso le arde d'ira e vergogna: - Dunque s iete proprio voi Tristano! - infine dice - ed io che finora ne dubitavo! Ma prop rio voi avete, senza che ve lo si chiedesse, profferito quel nome. Ed io non dov rei ora sfogare su voi il mio risentimento, come sarebbe giusto? Molti sono i vo lti di un giuramento, ed io non credo che non si possa infrangere la promessa co ntratta con un malvagio. Signore Iddio, sapr farlo? Credo che ne sar capace. Agghi ndata e ben disposta, giunge con passo tranquillo la saggia Brangania, e si cont rista, quando vede a terra la spada, e le due donne sconvolte. - Che accade qui? - chiede la fanciulla. - Che state facendo? Perch la mia dolce signora ha gli occhi intrisi di lacrime? E quella spada in terra, che significa? - Brangania, mia nobile nipote - fa la regina - qui si consumato un bieco ingann o. Colui che allevammo per usignolo, era invece una serpe; il grano che macinamm o per darlo alla colomba andato al corvo. Dio onnipotente! Abbiamo salvato il no stro nemico, e l'abbiamo nutrito come fosse amico nostro. Quel cavaliere che ved i l, quegli Tristano, ed io ora non so pi se debba o no su lui vendicarmi! - No, regina; abbandonate questo convincimento. Siete troppo ragionevole e mite per portarlo a termine, e non potete certo uccidere un uomo cui avete promesso p oc'anzi la vostra protezione. Sono convinta che neanche per un momento avete con siderato seriamente il proposito di venir meno, per far vendetta di un qualsiasi nemico, alla parola data. Lasciate dunque perdere quest'uomo, e che se ne vada illeso. Poi si ritirano tutt'e tre nei loro appartamenti, per discutere del caso . - Lo straniero - dice la regina - sostiene che, se desistiamo dall'odiarlo, ci d ar una buona nuova. Che mai avr voluto dire? - Io credo - risponde Brangania - che il mantello deve seguire il vento per dove soffia. Lo straniero ci pu salvare dalle mistificazioni dello scabino; Dio che c e l'ha mandato; infatti, se per un destino avverso non l'avessimo soccorso in te mpo, sarebbe morto, e nulla avrebbe allora fermato la protervia del tuo pretende nte, Isotta. Dimostrategli dunque benevolenza, ch non abbia a fuggire, con gran d anno di tutti. Tristano un cavaliere nobile, cortese ed adorno di tutte le virt; mettete a tacere, principessa, il malanimo che vi arma contro di lui! Si arrisch iato in un'impresa non da poco; se lo ha fatto, certo i suoi motivi erano alti. Ritornano laddove han lasciato Tristano, che, cresciuto com' nell'etichetta corte se, chiede venia alle donne del suo misfatto chinando la fronte dinnanzi a loro fino a toccare terra. Le tre dame si fissano negli occhi; nessuna osa por fine a lla prostrazione del cavaliere. Alla fine Brangania che dice: - Mia regina; da t roppo tempo il nobile cavaliere sta rannicchiato ai nostri piedi. - Non ci ho niente a che fare - risponde la regina - non posso obbligare il mio animo ad essergli amico! - Lo so, mia regina, n tanto pretendo. Io voglio solo che gli facciate grazia del la vita. Allora potremo volgerlo ai nostri scopi. - E sia - rispondono le altre due dame. A Tristano vien detto di levarsi, e gli vien fatta promessa di aver salva la vita. Cos egli riprende il suo racconto: - S e volete compiacere il mio intendimento, regina, io entro due giorni far s che Iso tta vada in sposa ad un nobile re: di stirpe di principi, esperto d'arme e torne i, valente ed illustre; inoltre pi ricco di suo padre. - Se non temessi un altro inganno, ben vi darei ascolto. - Facciamo cos: voi ascoltate ci che ha da dirvi; se poi il mio proposito vi sembr a mendace, mi togliete la vostra protezione, e vendicate infine la morte di Moro ldo. - Brangania - dice la regina - tu che sei la pi saggia di noi, che cosa consigli? - Io non son nobile, son di umili origini, eppure Moroldo era anche a me parente . Le parole di costui mi paiono assennate. Non solo vi chiedo di risparmiarlo, m a voglio io per prima imprimere sul suo labbro il bacio della pace.

Cos fa; e le due nobili dame con lei, anche se Isotta, nell'imprimere il sacro su ggello d'amicizia, non pu reprimere un brivido di repugnanza. Consacrata la pace, Tristano ricomincia a narrare: - Il cielo sa quanto le stanze della mia vita no n sian mai state visitate dalla gioia. Gi sapevo della vostra ostilit, ma speravo di non dovermene difendere. Ma - sia pure - ora ogni ombra s' dileguata, ed io po sso francamente dirvi che, se son giunto dalla Cornovaglia fino a qui, per rende rvi onore, e per vostro profitto. Dovete infatti sapere, gentili dame, che tempo fu io fui in questa terra, poco dopo la morte del vostro parente, e per non ess er riconosciuto da voi mi misi nei panni di un menestrello. Volevo contemplare i l volto di Isotta, di cui si narravan meraviglie per tutti i mari percorsi dai m iei sudditi. Re Marco, il mio sire, meditava di finir la sua vita senza prender moglie, per lasciare a me il trono. Fin a tal punto egli mi ama. Tanto mi adoper ai per dissuaderlo, che alla fine egli accett di prendere in sposa la principessa che io ritenessi, per gloria e bellezza, a lui pi acconcia. Quando feci il vostr o nome, madamigella Isotta, il mio re si contrist, perch temeva il vostro odio, pe r quella sventurata guerra che noi combattemmo, pur a malincuore, contro il vost ro zio, Moroldo. Allora venni a conoscere questo strano flagello - dico del drag o - e pensai che, se avessi liberato il vostro paese da un'angue s orribile, cert o la gratitudine avrebbe riequilibrato le mie sorti presso di voi. Ed in ci - ma in ci soltanto - mi ero un poco sbagliato. E sorrise. - Voi dunque, signore - disse Isotta - credete sia il caso che noi vi riconcilia mo col re di questa terra, un d vostro nemico? - Solo se mi giurate salva la vita. - Non abbiate paura. Non c' questo pericolo. Cos la regina, che tiene nel cuore le chiavi del regno, si reca dal re, nelle cui mani sono confidate, e gli chiede d i accordare la sua grazia a Tristano, l'uccisore di Moroldo. - Mia cara - rispon de il re, sollevato - Moroldo era tuo fratello, e parente prossimo pi a te che a me. Se le tue intenzioni son queste, ben volentieri io mi ci sottometto. Poi la consorte racconta al re l'intera vicenda, come gliel'ha narrata Tristano. Il re lieto di questa sorpresa; solo domanda che si resti guardinghi, acciocch T ristano non escogiti una nuova malizia. Quando il cavaliere viene ammesso alla p resenza del re, subito si prostra ai suoi piedi, invocando clemenza; allora Gurm un lo solleva per le braccia, lo bacia e lo fa sedere accanto a s. Cos suggella la pace con lui, il suo re ed il suo regno. Quindi Tristano narra di come uccise i l drago, e del perch lo fece; affinch alla sua storia sia dato credito, fa chiamar e Paranis, che vada gi al porto, e conduca al castello il fido Governale. A bassa voce, perch i baroni ostili non sentano, Paranis spiega a Governale tutta la vic enda, e poi lo scorta fino al castello, dove entra nell'indifferenza generale, c h non cavaliere, e non merita quindi cortesia. Appena Governale vede Tristano sed uto in mezzo a quelle belle dame. - A, bea duz sir! - dice - Voi state in Paradiso, e lasciate noi nei tormenti! T utti alla nave sostengono che siete morto. A fatica li ho finora trattenuti da f are rotta al largo! Vogliono partire questa notte. Allora Tristano, in bretone, sua lingua materna, gli ordina di tornare alla nave , a dire agli altri che sta bene, ed impegnato a portare a buon fine la sua miss ione. - Va' dunque - conclude il cavaliere, parlando la lingua dei suoi ospiti - e di' ai miei cavalieri che lustrino l'arme, ed apparecchino l'armatura, ch domani li voglio disposti a mia scorta, splendenti come non mai. Un mio messaggero li chia mer a raccolta; allora senza indugio, in ordine, dovranno giungere al castello. Q uanto a te, darai al mio messo lo scrigno dei gioielli, e gli abiti pi finemente lavorati che posseggo. Vestiti anche tu secondo le regole della cortesia, e poi presentati, coi miei cavalieri, al castello. Governale si inchina e se ne va. - servo o cavaliere colui che avete test ricevuto, e che vi tratta con siffatta f amigliarit? - chiede allora la regina a Tristano. - Ben si pu dir cavaliere - risponde il nobile - chi ostenta un cuore virtuoso e saldo nell'amicizia, ed i cui bei modi illustrino chi gli amico. Il racconto di Governale fa la felicit di molti, e riempie di corruccio il cuore

dei soli baroni, i quali tra loro confabulano, dicendo: - Ben costui dev'essere un demone dell'altro mondo, quel Tristano che, come un mago potente, ogni pazzes co disegno nutra un cuor suo manda a buon fine! il giorno della tenzone: la sala del trono colma di vassalli. Tutti si domandano chi sia colui che ha accettato di disputarsi con lo scabino la mano di Isotta l a bella, ma nessuno sa dare una risposta. Ecco il messo di ritorno con lo scrign o e le vesti. Tristano dona alle tre dame una cintura per ciascuna: la pi bella c he mai abbia indossato la pi esigente delle imperatrici. Lo scrigno ricolmo di an elli, perle, bracciali, e tutte le gioie pi splendenti che mai donna abbia deside rato. Tristano ne trae solo una piccola cintura confezionata per lui, una fibbia e un diadema; poi dona tutto il rimanente alle donne cui deve la vita. Le sue v estimenta lo fan ancora pi nobile; perfettamente modellate sulle sue membra, lo f asciano di un seducente splendore. Le tre dame lo guardano, e poi, ognuna per co nto suo, considerano tra s: "In verit questi la quintessenza di ogni umana virt. Ed animo, e spirito, e contegno, e corpo cospirano a far di lui una meraviglia del la natura, quale mai si vide viva tra i viventi." Ecco i sodali del cavaliere si sono disposti l'uno accanto all'altro, nella sala del trono. Allora una gran folla di gente s'appressa alla porta, a rimirar la m agnificenza degli abiti di quella gente. I baroni li guardano cortesemente, ma n on conoscendo la lingua non possono parlare. Intanto negli appartamenti della da me giunto il messo del re; tempo per Isotta di andare a prender posto nella sala del duello. La regina prende per mano la figlia, ed insieme, solenni, s'avviano . Tristano attende che un messo ordini a Brangania di accompagnarlo per mano all a sfida. Ecco quindi la regina, il sole meridiano d'Irlanda, entrar nella stanza , per man recando l'aurora d'Irlanda, Isotta la bella, che incede con passo liev e e sicuro, a testa alta, le curve del corpo ben rilevate dalla veste aderente, che la disegna leggiadra quasi Amore l'avesse di s fatta vaso, ed uccel di richia mo alle proprie prede. Ella il fine di ogni terren desiderio. La sua veste ed il mantello son brune, di stoffa pettinata, alla moda di Francia; una cintura rapp rende in vita le pieghe raccolte sui fianchi in frange trapunte. L'abito segue a pelle lo svolgersi del corpo, e ne lascia trasparire l'incanto. Il mantello, lu ngo tanto che non tocchi terra, ma neanche se n'allontani, tutto foderato di bia nco ermellino, coi bordi lavorati. L'orlo di zibellino, di taglio meraviglioso, e non troppo spesso; le macchie di nero e grigio si mescono in armonia, n l'uno p revale sull'altro. Lo zibellino fa da corona, strettamente, al bianco ermellino, in perfetto accordo di fogge e tinte. Isotta non porta fibbia, ma un piccolo na stro legato con candide perle; la bella fanciulla vi tiene il pollice della mano sinistra; con la destra raccoglie le pieghe del mantello, serrandolo tra due di ta nel punto in cui le sue pieghe decenza vuole non si debbano aprire. Isotta po ne in questo semplice atto tanta sapienza di seduzione, che la stoffa appena app ena rilasciata lascia intravedere al di sotto della pelliccia il sottile tessuto di seta, che le inguaina il corpo come una seconda pelle. Corpo ed anima alleat i celebrano in perfetta armonia il trionfo d'artefice Amore, s che non sapresti s e l'interno trae luce dall'esterno, o viceversa il corpo sia bello per lo splend ore dell'anima. Gli sguardi predoni fioccano intorno ad Isotta come alate farfal le di neve. Sul suo capo brilla un cerchietto d'oro, esile fino all'invisibile, come si conviene ad una principessa. Con fitto lavoro di trama vi sono incastona ti smeraldi, giacinti, zaffiri e calcedoni: le pi splendide piccole pietre che il paese conosca, cos ben ordinate da far meravigliar per la sapienza di tale artig iano. Sono i capei d'Isotta raccolti in tal guisa, che nessuno distinguerebbe qu ell'oro di natura dall'oro artificiale che ne culmina la crocchia. Con fare gioc ondo avanza Isotta con la madre, ed il suo incedere solenne e misurato, senza in dugio n fretta, come si conviene ad una regina. Il portamento superbo di sparvier o; la luminosit dei decori la rassomiglia ad un esotico uccello. Lascia vagare gl i occhi come il falco alla preda, n troppo si sofferma su ognuno, ma trapassa di viso in viso, donando intanto ardore e gioia, in quanto ognuno nello scintillio dei suoi occhi vede il proprio entusiasmo riflesso. Nell'arte di salutare le due donne si dividono i ruoli: la regina porge il saluto, la principessa accenna co n la testa un inchino. Cos se ne van tra la turba le costumate donne. Quando le d ame si sono sistemate accanto al re, lo scabino, con ardito cipiglio, si present

a allo scranno regale chiedendo dove sia il suo concorrente, e da qual parte deb ba temere minaccia. Siccome non si presenta nessuno, raccoglie la turba dei suoi sostentori e cos si rivolge al re: - Sire, richiedo, com' mio diritto, di disputa re il mio onore col campione che s' posto in mente di togliermelo. Altrimenti, se ancora la legge del re sacra in questo paese, io reclamo quanto mi spetta di di ritto, prima di ritirarmi in buon ordine coi miei nobili cavalieri. - Scabino - gli risponde la regina - se ritieni che non si possa evitare il duel lo, molto mi contristi, perch io non ho preparato alcuna contesa. Se invece accet tassi di rinunciare al tuo puntiglio, alquanto vantaggio verrebbe sia a te che a d Isotta. - Vantaggio! Sicuramente per voi, regina, che cos avreste gi vinto la nostra disfi da. Ma non per nulla avr io disputato il mio sangue con quel drago. Mi son riprom esso di avere vostra figlia, e non me ne andr di qui senza di lei. Presentatemi d unque, regina, se pure lo conoscete, colui che mi contesta l'onor della testa ch e spiccai dal drago. - Vedo, scabino, che hai le idee chiare. Dunque devo per forza difendermi da te. Paranis! Conduci qui quel cavaliere! Siccome tutti i cavalieri ed i baroni del paese son l presenti, tra loro un gran parlottare, con gli occhi e le mani, per s tabilire chi sia quell'inopinato campione. Ma ogni domanda vana. Intanto compare Brangania, la luna allo splendor del suo zenit, e conduce con s per mano il cava liere di Cornovaglia. La fanciulla lo affianca con fiero e nobile contegno, sinc era e schietta qual . Accanto a lui procede il fiore di ogni cavalleria, colui la cui perfezione si esprime nell'aspetto superbo e spavaldo. L'accordo di corpo e vesti ne fanno un incanto d'armonia. Gli abiti son di broccato d'oro, d'insolit o taglio. Son vesti molto pi ricche di quanto sian soliti concedersi i cavalieri d'Irlanda; a fatica si scorge la seta, tanto fitto vi il lavorio di fili d'oro, e la trapunta lavorata nasconde quasi la stoffa. Un filare di piccole perle si d istende sulla sopraveste, le cui maglie discoste d'un palmo fan trasparire il fu lgor del sottostante broccato. All'interno la veste foderata di velluto pi scuro del fior di viola, bruno come la foglia del giaggiolo. La veste avvolge in piegh e e panneggi l'intera persona fino ai piedi, conformandolo secondo le sue esatte proporzioni. Il suo capo risplende per un diadema di singolare grandezza: un ca polavoro che spande fiamme e riflessi di stupenda bellezza, e son crisoliti e ru bini, topazi e sardoniche. Questo gioiello evoca sulla sua testa un'aura incande scente, come di un'epifania divina. Suggestionati da tanta ricchezza di vesti e bellezza della persona, tutti fan largo a Tristano, come entra dentro la sala de l trono. Quei di Cornovaglia, come vedono il corteo, vi si uniscono, e prendendo i due per mano li conducono fino al cospetto del re. I sovrani si alzano ed in segno di omaggio si inchinano a loro. Allora anche la gente del luogo si affolla intorno agli uomini di Cornovaglia, pur non sapendo chi siano. Coloro che dalla natia Cornovaglia erano stati mandati per tributo di prigionieri dopo la guerra in Irlanda riconoscono nei visitatori i propri parenti e padri, e piangono e ri dono, di gioia ed insieme di dolore. Tristano s'asside proprio a fianco di re Gu rmun, mentre dall'altra parte Brangania va a sedersi di fianco alle due sovrane. Ai loro piedi si accovacciano i compagni di Tristano, pronti a giudicare se la tenzone si svolga nel rispetto delle regole. Allora accadde che molti dei suoi a ntichi nemici - tutta gente del luogo - cominciarono ad ammirare Tristano, ed a magnificarlo per tutta la sala con grandi elogi. - Certo in costui - dicevano - Dio s' compiaciuto, volendo creare il modello del perfetto cavaliere. Guardate il suo corpo, come pare ideale per le gare d'arme! E la grazia e il fulgore dei suoi vestiti! Mai in Irlanda si videro stoffe degne di un imperatore al pari di queste. Ed anche i suoi compagni son splendidi e co rtesi. Chiunque sia questa gente, certo in suo potere di fare ci che vuole! Per lo scabino udire questi discorsi come patire un sorso d'aceto negli occhi. M a ora risuona l'ordine di fare silenzio, e per tutta la sala cessa ogni brusio, sicch la voce del re risuona come tromba: - Scabino; enuncia quali sono le impres e la cui paternit rivendichi! - Sire, ho ucciso il drago. Subito si alza il cavaliere straniero, e dice: - Gentiluomo, non foste voi. - Invece s, e posso darne prova.

- Di qual natura? - La testa che ho portato con me, perch tutti la possan vedere. - Sire; poich la prova che costui adduce a suo favore una testa, mi si permetta d i aprirne le fauci, e guardarvi dentro alla ricerca della lingua. Se la trover, r inuncer alla questione. Si guarda dentro, ma la lingua non c'. Allora Tristano manda a prendere quella lingua che gli era quasi costata la vita . - Signori - dice - verificate se questa la lingua del drago. Tutti confermano ch e di quella si tratta, tranne lo scabino, che, impietrito com', non vuole asserir e ma non pu negare, e tutto confuso vuol parlare e tacere nello stesso tempo, e n on sa che dire, o che tacere. - Ecco, signori - conclude Tristano - svelato il mistero: io uccisi il drago e g li tagliai la lingua. Poi giunse costui, e con le parole fece secco un'altra vol ta il morto. - A poco gli servir la sua millanteria. Noi tutti siam testimoni che chi giunse p er primo, e tagli la lingua del drago, anche il suo uccisore - dicono tutti i cav alieri presenti. - Sire - dichiara Tristano - data la natura del giudizio, io chiedo dunque di po ter disporre di Isotta, siccome fu vostra promessa. - Ve lo concedo, cavaliere, fatte salve le condizioni a cui con me v'impegnaste. - No, sire - insiste lo scabino - chiunque sia questo cavaliere, io lo credo dis leale, e ritengo che con me si sia portato in modo disonesto, sottraendomi ci che era mio di diritto. Richiedo dunque l'onore di poterlo affrontare con le armi. - Scabino - interviene la regina - in nome di che cosa desideri combattere? Cost ui ha ottenuto Isotta, ed altro non chiede. Non credo che si cimenter per l'onore , che un pugno di vento. - Che dite mai, regina - interviene Tristano - preferisco combattere, piuttosto che mi dica impunemente che io lo sconfissi con la frode. Sire, comandategli di apprestarsi al duello. Anch'io vado ad armarmi. Quando lo scabino vede che il cavaliere fa sul serio, raduna i suoi parenti ed i vassalli, e quel che dicono non lo rincuora affatto. - Scabino - gli dicono - il tuo puntiglio ha avuto un brutto inizio, ed ora mina ccia peggior fine. Se non detieni il diritto del giuramento su quella fanciulla, certo in duello verrai ucciso. Che ti giover scendere in campo, quando probabile che tu, oltre alla donna, dovrai perdere anche la vita? Non meglio, allora, per dere l'onore? Il tuo avversario - bada - sembra un campione nell'uso delle armi. A furia di seguire i consigli del diavolo, rischi di non uscirne vivo. - E dunque, che posso fare ormai? - Rientra in quella sala, e dichiara che, su suggerimento dei tuoi amici, abband oni la contesa e ti congedi in pace. Cos fa lo svergognato, dando la colpa della sua codardia agli amici che l'han dis suaso. - Scabino - dice la regina - non avrei mai creduto di vedere il giorno in cui tu rinunciassi alla causa che gi dicevi di aver vinto! Lo scabino fa per uscire dal castello, ma dappertutto lo si segna a dito; lo si fa rotolare come in un giro di rotta o una giga veloce; lo si fa rimbalzare come una palla, tra mille scherni. Cos l'onta coram populo pone fine all'inganno. Gottfried von Strassburg, Niebelungslied

Il castello di Monsalvato Nella terra fantastica di Monsalvato una congrega di cavalieri custodisce il San to Graal, la coppa in cui Giuseppe d'Arimatea raccolse il sangue sgorgante dal c ostato di Cristo. Principe di Monsalvato Anfortas, il re pescatore, afflitto da un'incurabile piaga che gli inferse il mago Klingsor, profittando della sua inco

stanza nella castit. L'unico modo per cui il re pu riavere la salute suscitare la piet di un "puro folle"; un ParsiFal, dunque. Nell'evocare il sacro mistero del G raal, Wolfram von Eschenbach scrive un'apologia ermetica dell'allora discusso or dine dei Templari, rivelando le loro occulte liturgie. La pagina , per elevatezza metafisica e densit di metafore, uno dei capolavori del Medioevo tedesco. Cos se ne and Parsifal, attraverso la pianura ed il passo del monte giungendo alla vallata. Il ponte levatoio alzato, la roccaforte munita gli si parava innanzi e retta e magnifica come un mastro sapiente l'avesse tornita d'asbesto e roccia co n le mani esperte dal molto lavoro. Neanche il pi prodigioso degli eroi avrebbe a rdito irrompervi al galoppo, a meno che un vento maligno non ve lo spingesse den tro. Molti palazzi ed infinite torri si levavano al cielo, ben chiuse nelle loro difese; se tutti gli eserciti avessero cospirato ad assediarla per trent'anni, non sarebbero perci riusciti a sottrarvi un solo pezzo di pane. Giunse un paggio, e gli domando donde venisse, e che desiderasse. - Un pescatore - disse Parsifal - mi indic questa rocca, quando gli domandai dove potessi trovare alloggio. Chiedo quindi che si voglia abbassare il ponte, accio cch io possa passare. - Poich il pescatore che vi manda, voi troverete qui degna accoglienza, ed il mig liore alloggio. E tutto ci in segno di omaggio a colui che vi ha qui mandato. Ed abbass il ponte. All'interno Parsifal si trov in un prato ampio e luminoso, d'e rba fresca, e intatta da giostre e tornei; qui mai cavalieri con vessilli avevan o scempiato a gara la natura. Quando si avvide che la costumanza dello scontro n on era quivi tenuta in onore, Parsifal ebbe a dolersene, ch d'avventure andava a caccia, ma il suo animo fu tosto rinfrancato da una torma di cavalieri, esperti e campioni di primo pelo, che gli si fecero incontro col proposito evidente di o norarlo. Come germinati dal nulla, molti bambini test fatti paggi sbucarono fuori a tenergli le briglie e manovrargli la staffa. Come fu sceso, i pi illustri tra quei gentiluomini lo condussero alla sua stanza, e con perfetta maniera di corte sia lo svestirono di armi e corazza. Bello era Parsifal, cos discinto, tanto che tutti ritennero il suo arrivo un dono del cielo. Chiese dell'acqua, e con essa s i deterse il viso dal color perso delle armi ferrose. Ora era luminoso come l'al ba, e nessuno, tra giovani e vecchi, poteva in quel luogo essere a lui comparato . Gli fu portato un mantello di seta dell'Arabia, che egli con sovrana negligenz a si butt sulle spalle, senza allacciarlo. Disse il camerlengo: - Questo mantello appartiene alla regina Repanse de Schoye; ella ve lo concede perch non disponiam o di vestimenta a voi adatte; data l'illustre prosapia del vostro anfitrione, ch e qui vi mena, non fu arduo a ci convincerla. - Vi premi Iddio delle vostre alte attenzioni. Questo giorno mi propizio, se la mia sola parvenza vi fa noti i miei alti natali. Gli fu offerto da bere, e dal c ontegno dei presenti pareva quel luogo abitato da una perenne letizia. Parsifal, che aveva fino ad allora patito il morso della penuria, si cib e bevve a profusi one. Ma poco tempo pass, ed egli si dovette dolere di non cingere pi al fianco una spada, ch un villano cavaliere di basso lignaggio gli ingiunse di presentarsi al sovrano di quella corte con s inopportuno linguaggio che, fosse stato armato, ce rto gliela avrebbe fatta pagare. L'eroe per la stizza si cacci le unghie nel palm o delle mani con tanta incontrollata violenza che il sangue sgorg gi per le manich e. Allora i cavalieri dissero: - Non vi dia noia, signore, la maniera di costui. A lui solo dato esser giocoso, e come un giullare tra noi, costretti dal destin o al duolo, si porta. Vogliate prestare attenzione solo al significato di ci che disse, e non al tono. Il messo del pescatore ha tra noi fatto ritorno: questo so lo importa. A lui solo voi, illustre suo ospite, dovete prestar fede. La sala de l trono era uno sfolgorio di luce: cento lampade e mille doppieri la illustravan o inondando di luce la folla che quivi era raccolta. Le pareti erano nascoste da innumerevoli divani, addobbati da molti cuscini. Di fronte ad ogni divano posav ano tappeti sottili e pregiati, dalla soffice lanugine. Riscaldavano la sala tre caminetti quadrati di marmo, dentro cui ardeva il legno prezioso che non d fulig gine. Queste erano di quella sala le meraviglie. Il sovrano di quel castello, re cato su di una piccola lettiga, adagiato e senza forze languiva presso uno di qu ei caminetti. L'agonia in cui si dibatteva la sua anima aveva da essa scacciato

la pi tenue fiammella di felicit. Era esso quel pescatore che aveva pria incontrat o Parsifal, e poscia l'aveva col invitato. Quando vide lo splendido ragazzo entra re nella sala, il sofferente lo accolse con cortese saluto, invitandolo a sederg lisi accanto. - Se non vi accogliessi presso di me, vi userei l'accoglienza che si riserva ad uno straniero - gli disse il malato. La stanza era molto calda, perch di calore abbisognava la sua grave infermit. E co me se non bastasse il fuoco del camino, il ferito giaceva avvolto in un mantello di zibellino ed un abito foderato di pelliccia, che gli erano stati rincalzati addosso fino a coprirlo quasi del tutto. In testa portava un berretto di pelo pr egiato, alla cui sommit s'attorcigliava un fregio d'oro sormontato da un enorme r ubino. Molti cavalieri gli stavano accanto, come a fargli da scorta; costoro non repressero un gemito quando un paggio entrando ostent la cagione di tanto duolo: una lancia, che egli recava cerimoniosamente alta sopra di s. Tutta l'asta dell' arma era marezzata di sangue, che con lento flusso sboccava nella manica del pag gio. Allora per tutta la sala si lev un unico singulto, come di trenta popoli giu nti allo stesso tempo alla fine della propria storia. Il paggio percorse lentame nte le quattro pareti della stanza, fino a mostrare a tutti l'oggetto di tanto s gomento, poi, senza voltarsi, usc. Solo allora i cavalieri si rianimarono, come s e qualcosa avesse medicato la loro ferita. Ci che sto per descrivere ora s insolit o e complesso - io dico la cerimonia di corte cui Parsifal assistette - che sper o di poter per ci contare sulla vostra attenzione. In fondo alla sala si dischius e un portone di ferro, da cui incedettero due fanciulle, avvenenti quanto basta per appagare del tutto il desiderio di ogni uomo. Ciascuna portava nei capelli b iondi una ghirlanda di fiori, ed in mano un doppiere d'oro, in cui le candele ar devano con vivace fuoco. D'ambedue cingeva le spalle una veste di limpido scarla tto. La loro veste era bipartita da un cintura, che la faceva morbida di sbuffi sul seno, e nel basso attillata alla persona. Dietro queste vennero altre due da me, una contessa e la sua damigella, che recavano, vestite in ugual modo, due tr espoli d'avorio. La loro bocca ardeva di un rosso fiamma. Con ritmico passo mise ro i trespoli ai piedi dei signori, quindi tutt'e quattro, con studiata riverenz a, da lui si discostarono. E vennero avanti altre otto belle fanciulle: quattro portavano candele, e quattro una pietra preziosa che aveva al suo centro un ragg io di sole. Era un granato s lavorato a mola da somigliar una lastra uniforme e t rasparente. Le otto fanciulle si fermarono dinnanzi al signore, poi quattro di l oro posero la pietra sul trespolo d'avorio; poscia tutt'e otto si scostarono, an dando ad unirsi alle altre. Erano queste fanciulle addobbate in un velluto verde , lungo e a panneggi; una piccola cintura lo fissava al corpo. Fiori odorosi e m ulticolori stavano tra i loro capelli. Poi vennero due damigelle, che portavano su cuscini ricamati due coltelli affilati. Erano questi d'argento, lavorati ad a rabeschi, e con facilit la loro lama avrebbe traversato il ferro. Quattro fanciul le venendo davanti a loro facevano col lume delle torce lor chiara la via. Tutt' e sei si fermarono davanti al signore. Udite ora ci che fecero. Dopo un inchino r everente si fecero presso al trespolo e sulla lastra di giacinto posero i coltel li d'argento. Poi si unirono alle dodici precedenti. Ora erano in diciotto, l rac colte, a schiera, a fianco del loro signore. E dopo di loro ancora giunsero altr e sei, vestite le spalle di un broccato d'oro, i fianchi cinti da una seta di Ni nive, preziosissima. Le seguiva la regina, il cui volto era luminoso come un'alb a di primavera. Nel fulgore del suo abito di seta, alla foggia arabesca, recava ella sulle candide mani, ricoverato sopra un cuscino di seta verde, ci che signif ica la perfezione somma del genere umano: il Graal, al cui rispetto ogni ricchez za terrena nulla. La regina Repanse de Schoye portava quella cosa, la cui contem plazione solo concessa a chi sia mondo da ogni falsit e menzogna. Illustravano il Graal sei grandi candelabri, dentro cui spandeva i suoi effluvi un prezioso inc enso. Non appena le cerimoniere furono giunte nella stanza, ognuna, a turno, fec e una graziosa riverenza. Ma fu la sola regina, cui ogni menzogna era aliena, a porre il Graal dinnanzi al signore di quel castello. Parsifal si sgoment un poco, al pensiero che in quel momento indossava la veste di quell'angelica creatura. Infine le sette fanciulle andarono ad unirsi alle diciotto precedenti. In mezzo a loro spiccava la splendida regina, e per altezza, e per fulgore del viso incan

tato. Nella sala stavano molti camerlenghi, che servivano i molti cavalieri a co nvito l riuniti. Ogni quattro convitati un ciambellano sosteneva un grande catino d'oro, ed un paggio lo affiancava portando l'asciugamano. Ed ecco che i servi t rascinarono all'interno cento mense: su ognuna potevano stare quattro cavalieri. Con accurate maniere vi stesero le tovaglie candor della neve. Per primo versar ono l'acqua sulle mani del signore; poi del suo ospite. Il figlio di un conte pi egando per devozione il ginocchio porse ad entrambi un panno di fine seta. Quatt ro paggi servivano ogni tavola: due in ginocchio scalcavano e gli altri servivan o le carni e mescevano il vino. Ma sentite che ammirevole opulenza! Furono porta ti quattro carrelli, su cui si ammassava vasellame d'oro di gran pregio; quattro cavalieri presero a sistemarlo in fretta sulle mense. Dietro ogni carrello un a ltro cavaliere sorvegliava i loro gesti. A cento paggi fu dato l'ordine di andar e a prendere il pane, ed adagiarlo su morbide stoffe; dopo di che si disposero n ella sala, pronti ai comandi dei cavalieri. Dopodich - io ve lo ripeto con le par ole con cui mi fu narrato - bastava chiedere al Graal ogni vivanda che si fosse desiderato, e quello abbondantemente di ci provvedeva: selvaggina, carne suina e bovina, vivande calde e fredde. Cos il Graal adeguava la torbida vita di quaggi al la beatitudine che si gode in Paradiso, dove il fiume senza limite della divina Grazia scorre libero tra le mani dei Beati. In tazze d'oro veniva recato il gius to condimento per ogni cibo: pepe, aromi, marmellate. Ce n'era per gli ingordi e per i sobri. E chi porgeva al Graal la coppa per bere la ritraeva colma di most o, vin di more o sciroppo. Il Graal aveva quel giorno raccolto a convivio il fio re di ogni cavalleria. Contemplava Parsifal quel profluvio di beni, quel miracolo di opulenza; ma doman de non ne faceva, ch Gurnemanz, il suo maestro nelle arti cavalleresche, l'aveva ammonito a non porre questioni su tutto, e, se ospite, non richiesto non dimanda re. Ohim, ch proprio perch ponesse la fatal questione l'aveva il re pescatore, piag ato e sofferente, attirato in quel festino di apparente letizia! Solo dalla comp assionevole attenzione di un uomo nobile e ingenuo poteva infatti la ferita che tormentava Anfortas trar giovamento: in Parsifal stava dunque l'estrema speme de l vecchio castellano. Nel frattempo s'avanz un paggio, che portava in mano una sp ada: il fodero era di incomparabile valore, l'impugnatura tempestata di rubini a bbagliava la vista; la tempra della lama era docile e forte insieme. Il re pesca tore la porse al cavaliere dicendo: - Ospite, questa l'arma che io innumeri volt e estrassi in battaglia. Essa serv fedelmente me e le mie ambizioni. Se l'accogli enza che qui vi vien riservata non soddisfa le vostra aspettative, vogliate acce ttare questa lama in segno della mia sempiterna stima. E possa essa farvi campar e i perigli come voi meritate. Ma neppure questa volta Parsifal ard chiedere. Ahi, perch anche in quel caso scord i doveri della cortesia? Ben doveva rivolgere la parola a colui che l'aveva cos b eneficato! Un solo suo motto l'avrebbe potuto salvare. D'un tratto, dopo la cons egna di questo dono, termin il banchetto. I servi trascinarono via le mense, i pa ggi asportarono il prezioso vasellame, le dame uscirono dalla sala del trono in ordine inverso a quello con cui avevano fatto la loro entrata. La regina reca in mano il Graal, e prima di dipartirsi di col s'inchina fino a terra, in onore all a mirabile reliquia. Poi, scomparendo, ella chiude la porta. Prima che si serrin o i battenti, Parsifal scorge nella stanza attigua, sdraiato su di un giaciglio, un vecchio diafano per soverchia magrezza, sul cui volto estenuato spiccava una capigliatura pi grigia della nebbia. Capisce che si tratta di Titurel, un leggen dario vegliardo di cui aveva sentito novelle da Gurnemanz, quando gli aveva narr ato la storia del santo Graal. Ma neppure questa epifania toglie il velo che gli ottunde i sensi; per cui, quando Anfortas gli annuncia che pronto il suo giacig lio per la notte, Parsifal non dice niente, e cos, per una sola sventatezza, comp romette il destino del suo ospite, ed insieme il suo, ch il regno del Graal era d estinato in compenso a chi, straniero, avesse con la sua parola guarito Anfortas . Molti cavalieri, l rimasti ad assistere il malato, si levarono dagli scranni e cortesemente accompagnarono Parsifal nella sua stanza, che, come tutto il resto del castello, non era una stanza qualunque. La coperta era di seta rossa fiamman te. Davanti al letto stava un baldacchino con un cuscino indamascato; non appena

Parsifal vi si sedette, ecco che i cavalieri si congedarono, perch in quel luogo non v'era l'usanza di far accomodare l'ospite nella propria stanza, ma si largh eggiava in munifica accoglienza al punto che ci sarebbe stato spazio per un gran numero di ospiti, ed ognuno avrebbe avuto la propria stanza. La stanza di Parsi fal era rischiarata dalle candele come vi fosse la luce del giorno. Di l a poco, al posto dei cavalieri, ecco sopraggiungere cinque paggi ancora bambini, che con mosse svelte ed esperte spogliano il cavaliere. Poi vennero quattro affascinant i fanciulle, il cui compito era quello di giudicare se l'ospite fosse stato allo ggiato conformemente alla sua condizione, e se tutto gli andasse a genio. Dinnan zi ad ognuna di loro procedeva un paggio con in mano un candeliere rifinito. App ena Parsifal le vide, siccome era nudo, balz nel letto e si copr fino alla testa c on la coperta. Allora le fanciulle dissero ad una sola voce: - Se ci volete bene , non prendete ancora sonno! L'aver appena intravisto il bel corpo del giovane, la perfetta proporzione delle sue membra, aveva destato in loro sincero affetto per lui, e pi ancora l'aveva r invigorito il vederlo pudico, ingenuo, e fanciullo s che appena fioriva sulle ros se guance una lieve peluria. Le fanciulle lo servirono di delizie: tre gli versa rono vino d'uva, vin di more e chiaretto; la quarta gli porse deliziosa frutta. Parsifal le invit a sedersi, ma quelle dissero: - Nient'affatto, signore! Come po tremmo, sedendo, servirvi, come nostro intendimento e cura? Parsifal mostr di gra dire quel trattamento: mangi, bevve, scherz in abbondanza con quelle belle ragazze ; poi, quasi senza accorgersene, s'addorment che ancora parlava. Allora i paggi p resero i candelabri e li posarono sul tappeto, di fronte al suo giaciglio. Poi, senza far rumore, sgattaiolarono via. Eppure Parsifal, nonostante le attenzioni di tutti perch proprio questo accadesse, non dorm solo, ch un'indicibile angoscia g iacque fino all'alba accanto a lui. Davanti alla sua faccia si stendeva come un drappo, e nel fragore della lotta mille cavalieri lo trafiggevano con la loro la ncia, come fosse un torneo. Poi, su quel drappo, si disegnava il profilo di sua madre, la regina Cuordolente. Quell'affannoso galoppo gli segnava il cuore. Si s vegli tutto affannato, le ossa dolenti dell'impressione del vero. Si guard intorno e non vide i suoi paggi. Se n'erano andati con i suoi vestiti. Li aspett cos a lu ngo che gli venne sonno; si riaddorment, ma a met mattina gli tocc di risvegliarsi, ed allora si accorse che nel castello non si sentiva n una voce n un suono. Sembr avano tutti scomparsi. Parsifal si lev in piedi e vide sul tappeto la sua corazza e due spade: una era il dono del castellano, l'altra l'aveva sottratta al caval iere Ither di Kahaviez, quando l'aveva ucciso. Allora si lament, e disse a se ste sso: "In che cosa li ho offesi, perch venissero meno ad ogni forma di cortesia? F orse in questo modo vogliono significarmi che si prepara per me un giorno d'armi ? A questo alludevano forse i sogni. Se il signore che qui mi ha accolto si diba tte negli impicci, io mi batter per lui, e per colei che mi don il suo grazioso ma ntello; non per trarne amore, ma solo onore, perch la regina cui ho promesso il m io cuore bella quanto lei, e splendida di forme anche pi di lei - questo certo." Si apprest dunque alla bisogna: si arm dalla testa ai piedi per essere pronto al c ombattimento, allacci in vita le due spade, ed infine usc dalla porta del castello . L trov legato il suo cavallo, ed accanto lo scudo e la lancia. Prima di andarsen e, Parsifal fece il giro del castello, chiamando a squarciagola tutta quella fol la che l'aveva fino alla sera prima popolato. Ma non c'era nessuno. Tutte le sal e sembravano vuote. Allora and in collera. Si precipit fuori delle mura, presso il ponte levatoio da cui era, la sera prima, entrato. L molte impronte di zoccoli s egnalavano il passaggio di numerosi cavalieri. Le tracce erano fresche; l'erba s mossa da poco. Imprecando Parsifal sal a cavallo ed usc di gran carriera dal caste llo. Allora vide che le impronte continuavano al di l del ponte levatoio. Non ave va ancora percorso del tutto il ponte, che un paggio di nascosto tir la fune ed a lz la ribalta del ponte, tanto che per poco non rovesciava Parsifal con tanto di cavallo. Il cavaliere alz lo sguardo risentito, ma non fece in tempo a protestare , ch il paggio gli tronc le parole in bocca, dicendo: - Vi maledica la luce del so le! Potevate ben aprire la bocca, e domandare al mio signore che mai fosse quel soprannaturale rito cui stavate assistendo! In verit siete furbo come il maschio dell'oca! Avete con noncuranza sprecato l'occasione di diventare ricco e famoso.

Ora s che Parsifal si mise a chiedere spiegazioni! Ma non gli venne data risposta . Il paggio si comport con lui che gridava come chi, pur stando in piedi, dorma. Infine sbatt il portone e spar. Cos Parsifal cap che, venendo meno al suo dovere ver so il suo ospite, di esser curioso ed interessarsi a lui, si era portato come ch i sappia giocare una buona mano a dadi, eppure si contenti di guardare giocare g li altri, senza mai intervenire. Ma non dur a lungo in questi pensieri: ora gli p remeva seguire le tracce dei cavalieri; e mentre scrutava il terreno, cos pensava tra s: "Se questi campioni si recano oggi a dare battaglia, certo non sar per lor o un danno che io m'aggreghi a loro; infatti non mio costume volgere indietro il muso del mio cavallo, e tirare le briglie alla disperata per scappare. Cos potre i anche guadagnarmi questa superba spada che mi stata donata. Ma perch non mi han no svegliato? Mi ritengono forse un vile?" Intanto l'ingenuo eroe non perdeva di vista le orme degli zoccoli. Ma presto la pista si fece pi indistinta, come se i cavalieri si fossero divisi. Ci lo rattrist, ma questo sentimento fu soppiantato nel suo cuore da uno pi forte: il doloroso r ichiamo di un pianto femminile. Poco lungi da quel luogo, una donna infatti geme va, stringendo tra le braccia il corpo imbalsamato del suo morto amante. Parsifa l la vide, seduta sotto un tiglio, sull'erba madida di rugiada: monumento all'am ore infelice, s tenera e dolente che solo chi mai avesse conosciuto il tormento a moroso poteva da lei non essere ferito. Parsifal raggiunse quella donna, che gli pareva di tutte la pi fedele all'insania d'amore, e le disse: - La vostra condiz ione, madonna, mi di pena assai. Comandate dunque, se per qualche mia virt io vi possa esser d'aiuto. La donna lo ringrazi per quanto glielo poteva concedere la sua grande angoscia, p oi gli chiese donde venisse, con queste parole: - Cavaliere, non possibile che i l caso vi abbia menato in questo luogo deserto, per cui non passa neppure il pi p enitente dei pellegrini. Se non conoscete questa zona, sappiate che nei paraggi di questi luoghi vi un castello protetto dai forti Templari, combattendo contro i quali numerosi cavalieri han trovato la morte. Se volete salvarvi, tornate ind ietro! Ma prima, ditemi: dove avete trascorso la notte passata? - In un castello situato in questi paraggi, ed in cui regna la pi grande ricchezz a, la pi incredibile abbondanza che io abbia mai visto. Di col mi dipartii poc'anz i. - Non torna a vostro onore, messere, mentire a chi vi presta fede. Il vostro scu do vi rivela straniero. Qui intorno non v' nessun paese; il pi vicino dista trenta miglia, e tra lui e questo luogo vi la foresta, vergine ed inaccessibile, mai a lterata dalla mano dell'uomo. Siccome l'ora ancora antimeridiana, dovete aver do rmito nella foresta. pur vero che qui intorno sorge un castello fatto prezioso d a ogni bene terreno; di sicuro voi siete giunto qui alla ricerca di quello, come gli altri cavalieri che vi han perso la vita. Allora sappiate che soltanto chi non lo vuole trovare, chi nemmeno vi pensa, chi nulla di esso sa, pu rinvenire qu el castello fatato. Esso si chiama Monsalvato. Titurel il vecchio lo lasci a suo figlio Frimutel, che combatt molte battaglie per acquistare onore, e molte ne vin se, ma alla fine un certame d'amore ebbe ragione di lui. Frimutel lasci quattro f igli. Di loro, tre vivono nell'abbondanza, ma sono orribilmente infelici; il qua rto, che ha nome Trevrizent, ha scelto la povert, in onore di Dio. Il pi sventurat o di tutti suo fratello Anfortas, che non pu n camminare n cavalcare, n stare in pie di n giacere sdraiato. Monsalvato in suo potere, ma lo tormenta un male innominabile, che non lo lascia mai. Oh, fosse vero che voi siete stato in quel luogo santo! da tanto che tutti , l, aspettano che uno straniero come voi liberi dal dolore il loro re. - Allora Parsifal disse alla fanciulla: - Io col assistetti a grandi prodigi, e c onobbi donne bellissime. Allora la fanciulla riconobbe la voce - n in altro modo poteva ravvisarlo, ch il v olto aveva nascosto dalla celata, e gli disse: - Il dolore deve ben avermi strav olta, se non mi riconoscete. Io sono Sigune, vostra cugina, e nipote di Anfortas . Voi eravate presente il giorno in cui il mio amante, che qui vedete a me per s empre avvinto, ricevette la sua mortale ferita. Voi siete Parsifal, che aveste a nche allora di me piet. Ed ora, ditemi: avete davvero conosciuto il Graal ed il s uo sventurato sovrano? Datemi la buona notizia: se avete portato a termine quell

'impresa, nulla di ci che la terra cinge potr starvi di paro, e tutto ci che esiste sar vostro. I popoli civili ed i selvaggi vi serviranno in egual misura. - Come avete fatto a riconoscermi? - disse Parsifal. - Guardami: io sono la ragazza che voi incontraste al principio del vostro viagg io di cavaliere. Anche allora io tenevo tra le mie braccia il cadavere di costui , che mai sar da me diviso. Egli era il mio cavaliere, e per per un duello combatt uto in nome mio. Ora considera di quanto dolore Iddio volle farmi carico: da all ora, la mia pena non ha fatto che crescere sempre pi. - Ahim, dove sono finite le vostre labbra da amare? Le dolci rosse labbra? Davver o voi siete Sigune, colei che mi svel il mio nome e la mia identit, che mia madre per amore non volle rivelarmi? Avevate lunghi capelli bruni, che vi ricadevano a ricci sul viso; ed ora siete calva! La dura compagnia cui vi siete costretta vi ha privato dell'aura amorosa di cui avevate il capo circonfuso. Troppo gravosa vi questa follia. Venite: aiutatemi a seppellire quel morto. - No. Di nessun giovamento mi sarebbe la risoluzione cui voi mi volete costringe re. Un solo evento potrebbe recarmi un tal conforto, da far rifiorire in me la l etizia: che Anfortas sia sgravato, una volta per tutte, dalle sue pene. Pi non so pporto la sua lenta agonia. Vedo che portate la sua spada: se conoscete il suo p otere, sapete che d'ora innanzi potrete gettarvi in combattimento senza nessuna paura. Un fabbro che eccelleva nella sua arte la lavor di mola a filo doppio, ed ogni suo lato ugualmente micidiale. Nella regione di Karnant c' la fonte di Lac. Presso di quella c' una roccia. Se vi recate col, e poi picchiate la spada contro quel sasso, al primo colpo non accadr nulla, ma al secondo la lama andr in pezzi. Voi allora dovrete gettare quei pezzi nel corso del fiume, e per prodigio le cor renti la rifaranno integra, con tanto di fregi e d'intarsi, secondo il primitivo splendore. Per per questo ci vuole la formula magica, che solo Anfortas conosce, ed io temo che voi abbiate trascurato di chiedergliela. Ma se avete fatto al re pescatore le giuste domande, se gli avete rivolto, come cortesia comanda, la pa rola, allora quella spada vi far avere tutti i beni pi preziosi che vi sono sulla terra. Allora prevarrete su tutte le genti, Parsifal! Avete recato salvezza al t riste re? Avete fatto la giusta domanda? - Nulla ho io domandato, Sigune! - Ahim; ho sotto i miei occhi proprio colui che ebbe l'occasione di guarire il re , eppure non ebbe il coraggio di domandare! Ecco dunque l'ardito cavaliere Parsi fal! E tutti quei prodigi? I coltelli d'argento, la lancia insanguinata, e le da me solenni e dolenti? Non vi hanno detto nulla? Non sono bastati a stupirvi? Las ciami, dunque, maledetto! Uomo senza onore! Da quale stirpe di lupo discesa la t ua ferocia? Il fiele che ti alligna nelle fauci? Come pu non averti ispirato piet quel povero ospite, in cui Dio ha impresso cos profondamente il segno della sua t erribile potenza? E, invece, non gli hai chiesto la natura del suo male! Sei viv o, ma la felicit morta per te. - Cugina - implor Parsifal - mostrate pi benevolenza verso di me. Se ho fallato, v ivr per espiare. - Non occorre alcuna espiazione. Sarebbe inutile, perch dopo quel che hai fatto a Monsalvato, l'onore e la qualit di cavaliere sono scomparse da te. D'ora innanzi io non ti rivolger pi la parola. Cos Parsifal comprese la mostruosa natura del suo errore, e per l'angoscia il sud ore prese a corrergli gi per la schiena. Wolfram von Eschenbach, Parsifal

La piaga e il Graal Come in un cristallo perfetto, nel Parsifal Wolfram distribuisce la sua materia in un cerchio di rimandi e riflessi, le cui "persone" sono irretite nel gioco di specchi delle opposizioni. Trevrizent, fratello di Anfortas, ha convertito, col suo eremitaggio, il peccato carnale in salvezza dello spirito, mentre Anfortas,

che ha voluto restare nel tempo, nella storia, ha ricevuto la piaga che nel cuo re umano apre l'agire. Siamo agli albori di quel riavvicinamento tra Oriente ed Occidente che trover la sua affermazione, nello spirito tedesco, con Schopenauer, e porter l'Anfortas di Wagner a dire "nel Graal il tempo diventa spazio". Il tem po dannazione, lo spazio salvezza. La rinuncia all'azione santit, e la santit idil lio uomo-natura, mondospazio contro mondo-tempo. quindi logico che sia Trevrizen t a narrare a Parsifal la mistica storia del Graal, in un trionfo del complesso simbolismo templare di cui si nutre il Parsifal di Wolfram. Il brano che present iamo rappresenta il trionfo della letteratura come arte di alludere ad una cosa attraverso un'altra. - Tua madre, quando le giacevi in grembo, sogn di allattare un drago, che infine da lei fuggendo le squarciava il cuore. Tu fosti quel drago. Quando l'abbandonas ti, Cuordolente per il dolore mor. Cos mor, pel troppo amore, anche mia sorella Sig une, che tu ben conosci. L'altra mia sorella anche ti nota: essa Repans de Schoy e, la regina che, vergine ancora, custodisce la sacra virt del Graal. La sua cast it la fa capace di sollevarlo, mentre un peccatore resterebbe vinto dal suo estre mo peso. Pur ti noto mio fratello Anfortas, che ebbe in eredit il Graal, di cui t uttora signore. La sua sorte quella di vivere non vivo, e di vivere per implorar e la morte. Ora ti narrer, nipote mio, il suo strano caso. Se ancora hai un cuore umano, non potrai non compatirlo, quando avrai udito la sua tremenda vicenda. Q uando Frimutel, mio padre, mor, ebbe la corona il suo figlio maggiore, Anfortas, che era ancor giovane, ed inesperto della vita, s che gli occorse quello che occo rre ai pi tra gli uomini, quando sulle gote gli sorge la prima barba: cader nei p iaceri d'amore, che sono s voraci, che sommergono del tutto la coscienza di color o che in essi incorrono. Ma il signore del Graal non pu compiacersi di giochi d'a more; se lo fa, piombano su di lui tremenda pena ed afflizione. Mio fratello sce lse per s un'amica, nobile e di costumi cortesi. Per lei scese pi volte a battagli a, e pieg con la forza molti possenti scudi. Era bello e gentile, e molto onore s i guadagn con le sue venture. Nessuno lo poteva eguagliare nelle imprese cavaller esche, in cui indulgeva al grido di "amore": un grido che male s'adatta a chi de ll'umilt ha fatto un proposito. Un giorno il re si dipart dai suoi sudditi, e face ndoli infelici and incontro da solo a nuove imprese, alla ricerca del piacere ing annevole che la liberazione degli istinti procura agli illusi. Gli fu fatale un colpo di lancia ricevuto durante un duello: questo gli apr una ferita nell'inguin e da cui non riusc pi a riaversi. Fu un pagano della terra di Ethnise, l dove sgorg a il Tigri, a procurarglielo. Costui portava il nome di Anfortas inciso sulla su a lancia; da sempre desiderava impadronirsi del Graal. Animato da una furia senz a tregua, aveva varcato mari e monti, sempre combattendo, pur di realizzare il s uo proposito. Fu quello l'inizio della nostra infelicit, anche se Anfortas si com port da valoroso, e senza smettere di duellare stese il pagano morto a terra. Poi ritorn a casa, con la punta della lancia infitta nelle carni. Quanto al suo nemi co, nessuno ne pianse la morte. Alto fu invece il cordoglio che si lev intorno ad Anfortas, quando riapparve sulla soglia del castello, cos orrendamente sconciato com'era. Mentre il re, bianco in viso, stava esalando l'ultimo respiro, un medi co assai valente incidendo la piaga riusc ad estrarne le schegge di ferro ed il f rassino di cui era fatta la sua asta. In quell'istante supremo, mentre mio frate llo moriva, io feci voto di abbandonare per sempre la cavalleria, e di vivere il resto della mia vita in romitaggio, astenendomi da qualsiasi cibo che recasse i n s tracce di sangue. Poi caddi in ginocchio. Allora sentii i cavalieri piangere e disperarsi, dicendo: - Chi mai veglier, d'ora innanzi, sul santo Graal? Qualcuno pens di portare il re morente dinnanzi al Graal, per impetrare da Dio la grazia. Ma allora accadde un evento anche pi luttuoso: il re perse la capacit di morire. La piaga s'era infettata, e dava dolori lancinanti. Allora noi tutti ci inginocchiammo dinnanzi al Graal, e d'un tratto vi leggemmo queste parole inscri tte: "Disgrazia viene dal chiedere che venga chiesto. Se entro la prima notte no n sar la domanda, ogni sua efficacia verr meno. Se per in tempo verr posta la domand a, lo straniero che la porr diverr signore del Graal, e ad Anfortas la divina Graz ia monder ogni peccato. Per sia a lui per sempre interdetto il regno". Cos comprendemmo che il nostro destino era legato alla possibilit che un cavaliere

errante, giungendo per caso al nostro castello, si interessasse alla sventura d el re. Intanto le sue sofferenze crescevano, e noi, per mitigarle, vi applicammo sopra l'unguento di nardo, il succo di molte erbe, la fuliggine che si ottiene bruciando il legno d'aloe: invano. Un cavaliere ci fu, che giunse fino a Monsalv ato, ma se ne and coperto d'infamia, perch non fu capace di chiedere: "signore, qu al male vi affligge?", per cui sarebbe stato meglio per lui starne alla larga. F u la sua inconsapevole malizia d'animo ad impedirgli di ottenere per s quella fel icit che gli era stata predestinata. Allora Parsifal, capendo che di lui parlava il santo eremita, arross e si dolse i n cuor suo. Intanto era giunto mezzod. - Figlio mio - disse l'eremita - ora di provvedere al nostro pasto, ed anche al tuo cavallo. Ma bada che, finch starai qui con me, dovrai affidarti alla miserico rdia di Dio, e consumare di quel cibo che egli ci conceder. Se la neve si sciogli esse, potremmo cercare delle erbe. Ma temo che dovremo accontentarci delle radic i di tasso. Cos si divisero i compiti: Parsifal and in cerca di foraggio per il cavallo, l'ere mita di radici, che furono il pranzo di ambedue. N l'eremit venne meno alla sua re gola: prima dell'ora di nona, non tocc le sue radici. Perci, man mano che le trova va, le appendeva agli arbusti. Alle volte dimenticava il luogo in cui le aveva l asciate, e perci col digiuno fortificava ulteriormente la sua santit. Poi si recar ono al fiume, a lavare il loro cibo. Qui fecero anche lavacro delle mani, e ness una delle facezie con cui si soliti accompagnare il pasto a corte usc dalle loro labbra. Parsifal port al cavallo il suo pasto di foglie di tasso, poi sedette a d esinare con l'eremita, che egli ora amava cos tanto, che n presso il suo signore, Gurnemanz, n alla mensa fatta splendida del Graal gli pareva di aver gustato cibo migliore. - Figliolo - disse l'eremita - se anche questo cibo ti sembra povero, sappi che nessuno mai incontrerai che per te imbandisca tanto affettuosamente la sua tavol a. - Signore - rispose Parsifal - che Dio mi abbandoni, se voi non siete stato per me il pi splendido dei miei anfitrioni. Poi andarono a legare il cavallo, e l'ere mita disse: - In verit, mi dispiace di averti offerto un desco cos misero, visto c he sulla tua sella porti le insegne di Anfortas. La sua voce aveva mutato tono. - Signore e padre mio - cominci allora Parsifal - se avessi io la forza di vincer e la vergogna, ben dovrei compiangere con voi la mia sventura, ch l'errore che co mmisi tale da negarmi per il futuro qualsiasi promessa di felicit. Pure la vostra bont cos grande, e tale la fiducia con cui io mi rimetto nelle vostre mani, che o so ammettere il mio fallo: io sono colui che and a Monsalvato, e di fronte allo s pettacolo di tanto strazio non proffer motto alcuno. Ecco qual la mia sovrumana c olpa, padre! - Che dici mai, figlio mio? Ora bisogna che insieme piangiamo il pi alto dei nost ri lamenti, giacch hai respinto da te ogni gioia ed ogni fortuna. Furono i cinque sensi che Dio ti diede a tradirti; essi sbarrarono la strada al compianto di fr onte a ci che vedevi, sdegnando la piet che dovevi provare al cospetto di Anfortas . Ma ecco il mio consiglio: non ti affliggere troppo. Anche nel pianto d'uopo un a misura: bisogna saper quando piangere e quando smettere di piangere. Gli uomin i hanno costumi selvaggi, e talvolta la giovinezza vuole scimmiottare la saggezz a della vecchiaia, talaltra i vecchi son colti dagli eccessi della follia giovan ile, e per questi confusi sensi il bianco cangia colore, ci che era puro s'intorb ida, e le verdi speranze si fanno secche sterpaglie. Oh, potessi io far ritornar e al verde il tuo cuore, e ridarti la fiducia in Dio che hai persa! Se tu avessi ancora la forza di coltivare la speranza, ci che hai perduto non ti parrebbe irr edimibile. Vedi: se Dio ti avesse abbandonato, ora non mi guiderebbe a consiglia rti. Ora, dimmi: quando fosti a Monsalvato, vedesti la lancia? Quell'estate in c ui mio fratello fu ferito, cadde la neve, e noi da quel segno celeste e dalla sv entura occorsa capimmo che la stella Saturno aveva, terminando la sua orbita, fa tto ritorno al suo sito celeste. Per tutta la stagione Anfortas fu straziato dal gelo, tanto che, per recargli sollievo, non si trov di meglio che rificcargli la lancia nella piaga. Allora quella si arross tutta del suo sangue. singolare dest

ino dell'uomo che un male occorra a scacciare un altro male. I giorni in cui si compie il ciclo di certe stelle, che orbita contraria conducono agli astri benev oli, non sono mai privi di sventure per il re, e questo a causa del sovrapporsi degli influssi astrali. Ma anche la luna nuova per lui cagione di indicibile sof ferenza. In questi frangenti la carne gli si fa pi fredda della neve. In questi c asi, siccome nella lancia arde un veleno che cauterizza ed insieme intossica, gl iela pongono nella piaga; allora il gelo si scioglie, ed intorno alla ferita si forma una coltre di ghiaccio, spesso come vetro, che nessuno riesce a resecare, tranne Trebuchet, che forgi due coltelli d'argento capaci di farlo, seguendo una formula magica che trov incisa sulla spada del re. Cos le carni di Anfortas ripren dono a pulsare. Ma ben singolare la natura di questo vetro di ghiaccio, se perfi no l'asbesto, che non brucia, se posto sopra di esso manda alte fiamme! Tale la forza del veleno che rode la piaga dello sventurato, che non ne pu tuttavia morir e! Il re non pu camminare, n stare seduto, n sdraiarsi; pu solo appoggiarsi a qualch e sostegno. Solo i vapori di un lago chiamato Brumbane leniscono un poco il suo dolore; ecco perch spesso lo si vede col, ed questo il motivo per cui lo chiamano il re pescatore; ma ci che riesce a pescare, in questa condizione, ben poco. - Fu proprio presso quel lago che io lo trovai, quel giorno infausto. Quel giorn o avevo vagato a lungo, ed era ormai scesa la sera, e gi mi davo pensiero su dove mai potessi pernottare. Per questo accettai l'invito di Anfortas. - Hai corso un ben grave periglio. Molte sentinelle vegliano infatti i sentieri, per sbarrare il passo a quanti giungono in quei luoghi col proposito di predare il santo Graal. A questa disciplina essi si sottomettono per fare ammenda dei p ropri peccati. - Eppure nessuno si oppose al mio cammino. Cos io giunsi in quella sala, e notai che tutti piangevano. Oh, quanto piangevano! Non credevo si potes se piangere tanto. Poi giunse il paggio che portava la lancia, su cui stava infi tta una picca tutta rossa di sangue. La port rasente le pareti come fosse un trof eo, ed a quella vista il pianto aument ancora di pi. - Figliolo, mai il re soffr come allora. Si approssimava la stella Saturno, e con lei il grande gelo che la sua venuta suole recare con s. Cos alta era l'orbita de lla stella sulle altre che a nulla serv l'imposizione della lancia. Ancora non er a caduta la neve, che gi la ferita conosceva dal dolore la posizione dell'infaust o astro. Non nevic che la notte seguente. Quei cavalieri erano soggetti al dolore , ed il pianto era il compenso al loro servizio. Con le lacrime essi ripetevano in quel frangente il rito del loro battesimo. - Io vidi anche col venticinque fan ciulle prostrate dinnanzi al re, che certo erano state istruite nelle usanze di cortesia. - Dio vuole che siano della fanciulle a prendersi cura del Graal. Sono appunto q uelle che tu hai visto all'opera. Anche i cavalieri che tu hai visto intorno al re, d'animo buono e pietoso, sono impegnati in questo servizio. Ma da troppo tem po Dio in collera con loro, e la gioia li ha abbandonati forse per sempre. Ascol ta bene, figliolo, il mistero che sto per rivelarti. Questi custodi del Graal el eggono fanciulle e fanciulli, puri e leggiadri, tra quanti popoli nutre la terra , e li educano a Monsalvato: poi, quando un popolo rimane privo della propria gu ida, e nessuno pu garantirgli giustizia e pace, allora, se invoca un cavaliere di Monsalvato, questi scende presso di lui. Pure, mentre le fanciulle vengono pres celte sotto gli occhi di tutti, i cavalieri vengono nominati da Dio stesso, nel pi grande segreto. Poi i figli di questi privilegiati vanno, se vogliono, ad ingr ossare la stirpe del Graal. Ma chi si dedica al Graal deve rinunciare ad amore d i donna. Si possono sposare solo il re, la cui sposa deve per essere vergine, e q uelli che Dio ha destinato a governare i popoli rimasti senza guida. Io non obbe dii a questa condizione, perch l'affetto per una bella donna mi spinse a guerregg iare in suo nome, ed affrontare aspre battaglie. Fui cavaliere errante, cos stren uo in nome di lei che raramente mi abbassai a pugnare in tornei. Fui in Europa, in Asia, in Africa, ed ovunque combattei, confidando di ottenere, per premio, qu ella donna tanto bella. Fui anche sul monte Agremontin, il cui popolo arde e fa cenere quanti vengono con essi a contatto. In Siviglia conobbi tuo padre Gahmure t. Non appena mi vide, egli riconobbe in me il fratello della sua sposa, Cuordol ente. Tu quindi, Parsifal, sei mio nipote. Tuo padre mi don una gemma rara, da cu i io trassi con arte la verde urna in cui custodisco le reliquie. Infine tuo pad

re, al momento di congedarci, mi diede per scudiero suo nipote, Ither, cos detto per il colore rosso della sua armatura. Poi Gahmuret se ne and in Oriente, dove d oveva trovare la morte. Quando tu giungesti qui, vantando le tue gesta, mi dices ti di aver ucciso in singolar tenzone un cavaliere di nome Ither. Vedi bene, dun que, che tu, senza saperlo, hai ucciso un tuo parente. Se vuoi ritrovare la pace , devi cominciare a pagare il fio dei tuoi delitti. Non solo per l'assassinio di Ither, ma anche per la morte di tua madre Cuordolente, che t'amava tanto, da mo rire a cagion della tua partenza. Quindi, se vuoi seguire il mio consiglio, espia i tuoi misfatti, e le sofferenze che patisci su questa terra ti sian di viatico alla pace celeste. Poi l'eremita, tranquillamente, disse a Parsifal: - Nipote, io ancora non so dov e hai preso questo cavallo. - Quando lasciai Sigune, incontrai un cavaliere di Monsalvato; mi scontrai con l ui, e gli presi questo cavallo. - E quel cavaliere si salvato? - Ebbene s, mio signore. Lo vidi scappare a piedi, e mi ritrovai cos padrone di qu esto cavallo. - Ed con simili furti che tu speri di conquistarti l'affetto del popolo di Monsa lvato? Vedo bene che i tuoi sentimenti sono contraddittori. - Signore, ma io lo conquistai in un regolare combattimento, per cui non vedo qu ale sia la mia colpa, visto che in quello scontro avevo perduto il mio cavallo. Ma, ora vi chiedo: chi mai era quella donna che mi prest il suo splendido mantell o? - Era tua zia, la regina di Monsalvato, ma se te lo diede, non fu perch ti pavone ggiassi vestito di re, ma perch si era illusa che tu saresti diventato signore di tutto il castello, lei compresa, e questo fu anche il motivo per cui Anfortas t i regal quella spada fatata: per sollecitarti a fare quella benedetta domanda che tu omettesti di fare! Ma basta con questi rimproveri! ora di andare a dormire. Nessuno prepar per loro morbidi giacigli, ma giacquero vestiti com'erano sulle fr asche polverose. Mai nobile dorm su simili guanciali. Parsifal rimase col quindici giorni. L'eremit lo accud con le vettovaglie che v'ho detto: erbe e radici. Ma Pa rsifal ebbe il conforto dei suoi consigli e del suo perdono. Wolfram von Eschenbach, Parsifal

La maga di Kundry e la purificazione di Parsifal Uno dei misteri pi alti del Parsifal la compresenza giorno/notte, passato/futuro, bene/male: sizigie simili all'uroboro: il serpente che si morde la coda, ed il cui significato rimanda al mistero pi grande dell'uomo: l'unione tra corpo e spir ito. Questa ambiguit di fondo che sostanzia tutta l'opera di Wolfram, e le cui as cendenze gnostiche sono evidenti, trova la sua massima espressione nel personagg io di Kundry, maga di cui si pu dire ci che dice, nel Faust, di se stesso Mefistof ele, "io sono lo spirito che vuole il male, e non pu che operare il bene". La col pa misteriosa che spinge la torbida maga a fuggire se stessa supera per profondi t d'intuizione le pi complesse scoperte freudiane sull'isteria. In questo brano fa cciamo la conoscenza con quest'anima divisa ed affascinante, dalla cui miseria h a origine lo scioglimento del dramma. Oh, santo il giorno che sorge, e sia benedetta la messaggera che corre a recare la nuova, siccome l'ha udita! Ed ecco fu vista farsi avanti una fanciulla, vesti ta di stoffe pregiate, secondo il costume francese. Il suo mantello di ricco bro ccato era pi nero del farsetto di un monaco spagnolo; in oro d'Arabia su di esso eran rilevate le tortorelle, impresa del santo Graal. Tra l'ammirazione generale ella si fece largo tra la folla; una spessa parete di veli di un accecante cand ore impediva di osservarla in volto. Su di un cavallo addobbato con sete e brigl ie di gran pregio se ne veniva per la pianura, misteriosa e solenne, al ritmo mo

derato di passo doppio. Le si chiese di percorre tutto il recinto del torneo, ed ella lo fece; poi le mostrarono su quale scranno stesse Art ed osservarla, ed el la, allora, cortesemente lo salut. Poi chiese che la si ascoltasse, perch portava mirabili nuove. Allora le fu presa la briglia, e la aiutarono a scendere da cava llo. Appena fu a terra, ella chin la fronte fino al suolo, prostrandosi di fronte ad Art e Parsifal. Con mossa accorta si lev le bende e le cordicelle che le tenev ano avvinto il capo, ed allora si svel per colei che era: la scaltra maga Kundry. Non era bella: aveva gli occhi dai riflessi giallastri, come il topazio; la boc ca inquietante, piccola, dalle labbra viola, orlata dalle labbra carnose, scopri va lunghi denti da predona. Pareva quella bocca come un fiore malato di palude, se solo si schiudeva alla parola. Il suo abbigliamento era segno di somma vanit; ch, anche non si fosse cos agghindata, certo il sole non poteva scurirle la pelle ruvida, di color moresco. Sicura di s al punto di affettare cortesia, ella disse: - Sia lode a Parsifal, in cui Dio vuole mostrare la sua grande misericordia. Si i ora, o cavaliere, umile quanto sei fortunato, tu che oggi divieni la corona di ogni umana gloria. A Monsalvato la pietra fu visitata anche quest'anno dalla co lomba, che ogni Venerd Santo la consacra del suo carisma. L'uccello di Dio anche quest'anno rinnov le sacre virt della pietra, che la fanno capace di donare a chi lo voglia ogni bene terreno, se solo chi l'accosta di animo puro. Ed anche quest a volta, alla fine dell'epifania sublime, un nome rimasto infisso in lettere d'o ro ai piedi della pietra. Quel nome il tuo nome, Parsifal, figlio del valoroso G ahmuret. Tu quindi hai da essere signore del Graal. La tua sposa, Condwiramurs, e tuo figlio Lohengrin sono stati con te eletti. Quando lasciasti il tuo paese, gi la tua sposa portava in grembo i tuoi due figli. Kardeiz, il secondo dei due, amministrer i tuoi regni, quando gli altri due verranno a Monsalvato. Ora s che la tua voce compir il rito del saluto, e la domanda sar rivolta al sofferente Anfort as. Quale onore maggiore di questo potresti mai augurarti? Poi Kundry la maga nomin in lingua araba i pianeti che vegliavano sulla rinnovata fortuna di Parsifal. - Zval il pianeta pi alto, Almustri il pi rapido; insieme ad Almaret ed il luminos o Samsi precedono la tua prosperit. Alligafir il quinto ed Alkiter il sesto; poi c' Alkamer, che di tutti il pi prossimo a noi. Esperta di arti magiche qual sono, so ben di cosa parlo: questi pianeti sempre si opposero alla corsa del tempo, e trattennero il cielo nel suo scorrere inesorabile. Essi fissarono cos il tuo dest ino, che il rimpianto d'ora innanzi rester orfano. Tutto lo spazio che questi pia neti coprono con la loro orbita destinato a divenire a te sottomesso. Solo una c ompagnia t' inibita, ora che sarai padrone dei popoli tutti: quella dei mali pens ieri. Ragazzo, hai nutrito in te il corruccio ed espiato con paziente affanno i tuoi mali. Ora la gioia che nutristi del tuo dolore ti attende per ricongiungers i a te. Parsifal si alliet di questo messaggio, e dalla fonte del cuore sgorg acqua, che r ampoll dai suoi begli occhi. - Se le vostre parole sono vere - disse Parsifal - ed io sono, insieme ai miei f igli e la mia sposa, destinato ad aver parte della divina Grazia, allora infine cessa la mia condizione di peccatore. L'abito che indossate vi palesa come messa ggera di Monsalvato. Quando io fui col, ogni scudo, ogni arma portava impresse qu elle stesse tortorelle che vi ornano il vestito. Ma presto ditemi quando io debb a galoppare sul sentiero della mia felicit. Non fatemi penare un istante di pi. - In questo stesso istante prendete con voi un solo sodale, e lasciate che sia i o a guidarvi. Non esitare ancora, mio sire, a portare aiuto ad Anfortas. Per ogni luogo, nel cerchio dei cavalieri, si seppe della lieta novella; allora il superbo Art si fece cortese con la trista maga, e le disse: - Ora, madama, las ciate che si appresti per voi una tenda dove possiate prendere riposo. Disponete voi ci di cui avete bisogno. - Se le fanciulle che per tanto tempo il malvagio Klingsor, lo stregone, tenne c on s come fanciulle-fiore, per sedurre con la loro avvenenza i cavalieri del Graa l, onde avviarli alla dissolutezza, sono ora rese libere, d'altro io non ho biso gno, ma aspetter che il mio signore sia pronto per partire. Finito il pasto, Parsifal chiese al fratello Feirefiz se volesse accompagnarlo a lla volta di Monsalvato. Feirefiz, che di pagano s'era fatto, per amor del frate

llo ritrovato, cristiano, dopo le molte vicissitudini della sua errabonda vita, volle recare a quella gente un tributo d'affetto, e tutti, dal re all'ultimo dei giullari, ebbero da lui un dono prezioso, onde fosse a tutti manifesto che egli aveva d'allora in poi mutata la maniera delle sue preghiere. Infine, per ordine di Art, vennero mandati messaggeri in ogni plaga della terra, perch annunciassero che la pietra del Graal aveva rivelato il nome del suo signore. Cos tutti smiser o di avere ambizioni sul Graal, ed infatti a tutt'oggi esso ancora celato. Nessu no voleva infatti combattere contro la volont di Dio. La partenza di Parsifal e F eirefiz dispiacque molto alle dame. Prima di partire, vollero visitare tutti i p adiglioni, e salutare il re ed i cavalieri. Dopo la loro partenza, giunsero dall 'Oriente i doni di Feirefiz, ed essi erano cos magnifici che, dopo di essi, la vi ta di tutti i cavalieri beneficati dal pagano non fu pi quella di prima. Nel frattempo l'angoscia ed il dolore non abbandonavano neanche per un momento A nfortas ed i cavalieri al suo servizio. Molto di frequente egli li supplicava di lasciarlo morire, ma la loro compassione era troppo grande, per l'amore che gli portavano: cos gli presentavano il Graal, e l'oscura forza di cui quello era lat ore sempre gli ridonava disperato vigore. Spesso Anfortas, esasperato, diceva lo ro: - Se veramente mi amaste, ben altra misericordia avreste del mio martire. Un giorno dovrete render conto a Dio del vostro atteggiamento. Per quanto ancora p otr durare la mia agonia? Da quando mi vestirono per la prima volta dell'armatura , mio unico proposito fu quello di soddisfare le vostre richieste. Se nella mia vita mi macchiai di qualche indegnit, ne ho ben scontato a sufficienza le consegu enze. Se la fedelt a me ancora il vostro pi alto diritto, in nome delle insegne ch e porto sullo scudo, liberatemi! Questo scudo su cui giuro, voi lo vedeste al mi o braccio impegnato nelle pi valide audacie che mai cavalieri comp. I nostri nemic i ebbero da me un trattamento adeguato; ed ora, qual la vostra riconoscenza? Il d del Giudizio, io, il pi dolente dei dannati, accuser tutti voi, e certo la mia vo ce sar ascoltata. La vostra eterna pena certa, se non mi lasciate abbandonare la vita. Non provate per me alcuna piet? Guardate il mio stato, e poi ditemi, se io posso ancora essere il vostro signore! A che vi serve la vostra condotta? Forse a dannare per sempre la vostra anima? E certo essi ormai, dopo tanto tempo, l'avrebbero lasciato morire, se Trevrizent non avesse previsto il ritorno del cavaliere, colui che un giorno aveva perso l a sua fortuna, ed il cui nome stava ora inscritto ai piedi del santo Graal. Cos e ssi aspettavano che la salvezza venisse dalla sua domanda. Per poter morire, Anf ortas teneva chiusi gli occhi. Sapeva che, se l'avesse fatto per sette giorni, n essun rimedio sarebbe pi valso a salvarlo. Ma dopo quattro giorni essi lo portava no dinnanzi al Graal, e quello emanava una luce cos forte, cos seducente che il re era costretto, suo malgrado, ad aprire gli occhi. Cos persisteva la sua condanna alla vita. Le cose stavano cos quando Parsifal e Feiferiz giunsero al lieto galo ppo fino a Monsalvato. Si era nel tempo che Marte e Giove, al termine del loro f unesto vagare, sostavano nella stessa posizione in cui si trovavano quando il re era stato ferito: questa era per il re la congiuntura pessima, e le sue grida r iempivano tutte le stanze del castello; egli chiedeva di continuo ai cavalieri p iet con gli occhi, ma nulla essi potevano fare per lui. Ogni volta che l'aspro ci mento lo riduceva nelle pi miserevoli condizioni, ed il puzzo della piaga ammorba va l'aria, allora spargevano balsami nell'aria per temperare lo sconcio sentore di morte che vi aleggiava. Su di un tappeto di fronte al re stavano spezie e ter ebinto, aromi rari. Ambra pregiata e triaca facevan l'aria dolce, se gettate a p rofusione. Sparsi sul pavimento, quasi a lastricarlo, stavano cardamono, cariofi lla e noce moscata, che venivano sminuzzati dai piedi di quanti passavano davant i al re, ed in questo modo facevano l'aria respirabile. Nella stanza bruciava po i il legno d'aloe. La branda su cui Anfortas giaceva era sostenuta da legacci di pelle di vipera. Le sue membra giacevano su di una trapunta lavorata al punto t ale che il contatto con la seta, per la sua troppa morbidezza, non si avvertiva; anche il cuscino era morbido per il suo gran pregio. Le allacciature che al di sotto della branda si ramificavano a mo' di cinghie erano di pelle di salamandra , perch il veleno che sgorgava dalla ferita non le bruciasse. La branda, poi, ris plendeva tutta di pietre preziose, le pi fulgenti per bellezza e benefiche per vi rt di quante ne annoveri ogni lapidario medico. Lasciate che io ve le enumeri: ca

rbonchio e selenite, onice e calcedonia, balagio e gagatromeo, corallo e bestion , unio e ofalio, ceraunio ed epistite, gerachite ed eliotropia, pantherus e andr odrama, prasio e sagda, ematite e dionysia, agata e celidonia, sardonice e calco fonio, corniola e diaspro, echite e iride, gagate e ligurio, abesto e gegolito, galattite e giacinto, orite ed enidro, absisto e alabandina, criselettro e ienia , smeraldo e magnete, zaffiro e pirite. Inoltre nella montatura della branda c'e rano turchese e liparea, crisolito e rubino, balascio e sardio, diamante e criso praso, malachite e diadochite, peanite e medo, berillo e topazio. Ognuna di ques te pietre recava specifiche virt medicamentose, che al re per non portavano benefi cio alcuno. Molte erano anche le pietre che ridavano vigore ai convalescenti, fo rze agli infiacchiti dal male. Ma bisognava saperle mescolare con arte, cos come apparivano negli intarsi di quella preziosa branda. Ma ora da Joflanz ecco giung ono a cavallo Parsifal, suo fratello e Kundry; nessuno mi ha detto quale distanz a ci fosse tra il campo d'Art e Monsalvato, ma certo la dovettero percorrere d'un balzo. Entrare nel regno del Graal non era facile e, non ci fosse stata Kundry ad impedirlo, avrebbero dovuto attaccare battaglia. Di lunge li videro le armate del Graal, e ravvisando le insegne delle tortorelle sul manto della maga, il lo ro comandante disse loro: - Fermate il vostro impeto! Ecco che con queste insegn e se ne viene colui che aspettiamo da sempre, da quando sui nostri occhi si serr la celata del dolore. Parsifal intanto, vedendosi minacciato, esortava Feirefiz allo scontro; gi stavan o lanciandosi, ma Kundry prese al volo le briglie del suo cavallo, dicendogli: Che fate, signore? Quelle sono le armate del Graal. tutta gente a voi devota, q uella che vi apprestate a guerreggiare. Scrutate, e guardate bene i loro vessill i, le loro imprese. Allora Parsifal chiese a Kundry di andare incontro ai cavali eri, ed annunciare loro la lieta novella. Subito i Templari scesero di cavallo; molti si tolsero anche gli elmi. Accolsero Parsifal in piedi, e disarmati, in se gno di pace. Allora tutti si misero a piangere, ed infine, quando cess cotanta co mmozione, scortarono i due cavalieri fino al castello di Monsalvato. L trovarono quella solita compagnia di damigelle, vecchi e paggi, per cui la tristezza era s tato per lunghi anni l'unico destino. Alla grande sala del trono si accedeva med iante una lunga scalinata: fu l che la turba dei vassalli accolse i due liberator i dal male. Nella sala erano stati collocati cento grandi tappeti rotondi, su og nuno dei quali stava un soffice giaciglio ornato da una stoffa preziosa. Su quel li si accovacciarono, finch due paggi non vennero a toglier loro l'armatura. Poi un camerlengo port loro due vestiti magnifici, uguali per entrambi. Infine tutti si assisero intorno a loro. Furono portare coppe preziose, in cui l'oro massicci o sostituiva il vetro. Dopo la libagione rituale, Parsifal e Feiferiz andarono v erso Anfortas, che il dolore costringeva a gemere appartato da tutti. Al vederli , il re pescatore riusc, pur nel volto contratto dal dolore, a fingere l'aspetto della letizia, per rendere loro una bella accoglienza. - Lunga e straziante fu l'attesa della salvezza che voi mi recate, se pur ne sie te capaci - disse - ch la precedente occasione in cui attesi da voi, o Parsifal, salute, le cose andarono in modo tale che, se pur avete il cuore misericordioso, il ricordo non pu mancare di rimordervi. Ora che siete tornato, io vi chiedo di impiegare tutto il vostro ascendente, che sembra molteplice, su questi nobiluomi ni, perch sottraendo alla mia vista il santo Graal mi permettano finalmente di mo rire. Se voi siete quel valoroso Parsifal di cui mi si dice, fate che io non ved a per sette notti ed otto giorni il santo Graal: allora potr morire in pace. Null 'altro voglio: siate voi benedetti, se adempirete al mio volere. Ma il vostro co mpagno non delle genti nostre; egli moresco; perch lo fate stare in piedi? Dategl i di che sedersi. Io - lo vedete - non mi posso alzare; n posso stare sdraiato; s olo questa posizione mi concessa: su di un fianco, col gomito poggiato sulle col tri. Commosso, Parsifal disse: - Indicatemi ove sia il Graal. Se prevarr il male, o la misericordia di cui Dio ha voluto invasarmi, presto vedremo. E cos dicendo cadde in ginocchio per tre volte dinnanzi al Graal, a voler signifi care la vittoria della santa Trinit. Poi si alz, si volse verso Anfortas e disse: - Padre mio, qual piaga vi consuma? Quella stessa potenza che permise a San Silvestro di riportare in vita il toro, mormorando al suo orecchio il nome di Cristo; colui che rid vita per morte: fu qu

el carisma a ridonar salute ad Anfortas; sulla sua pelle ritorn quello che i fran cesi chiamano "flori", e che il bel colorito della vita. La bellezza di Parsifal , al confronto, era diventata labile come vento, cos come le belle membra di Assa lonne figlio di Davide, di Vergulaht di Ascalona, e di tutti quelli cui la natur a fe' dono della bellezza - anche Gahmuret, la cui bellezza, ogni volta che entr ava in Kanvoleiz, traeva mormorii d'ammirazione tra gli uomini e sospiri di desi derio tra le donne - di tutti costoro la bellezza non poteva che parer fatta di nube e vento, al confronto del rinnovato splendore di Anfortas: cos grandi sono i prodigi di cui capace Iddio! Cos Parsifal, che la scritta ai piedi del Graal ave va eletto a suo signore e padrone, divenne re di tutte quelle genti. Ora alla gi oia del ricco Parsifal e del fratello non mancava che la venuta di Condwiramurs. Per moltissime miglia la donna cavalc, affranta ed insieme esaltata, dopo che le fu riferita la novella della fine d'ogni sventura. Lo zio Kiot, re di Catalogna , insieme a molti cavalieri aveva accompagnato la sposa di Parsifal fino alla te rra dei Templari. S'era intesi che Parsifal la venisse a prendere al limitare de ll'intricata selva. Fu un cavaliere templare a dirglielo: - Una scorta di eletti campioni ha condotto la regina sul limitare della nostra terra. Tutti i vostri vassalli le hanno reso l'onore che le conviene. Parsifal dunque si accinse a raggiungere la sua sposa, ma prima volle recarsi in visita all'eremo di Trevrizent. Il vecchio fu ben contento che Anfortas fosse g uarito dalla ferita, e che Dio gli avesse ridato la pace. Allora cos preg il vecch io eremita: - Misteriosa la potenza di Dio. Infinito il regno su cui governa la sua maest. Neppure la sapienza di tutti gli angeli riesce a penetrare fino in fon do il mistero del suo volere. Dio carne e spirito del Padre suo; Dio insieme pad re e figlio; il suo spirito si protende fuor di lui, e viene di noi uomini in au silio. Poi Trevrizant disse a Parsifal: - Voi siete l'autore del pi alto prodigio di cui mai si abbia memoria. La vostra rabbiosa disperazione ha forzato la mano di Dio , tanto che l'Onnipotente Trinit si piegata alla vostra volont. Quando ci incontra mmo, quella volta che voi, penitente, veniste da me, io vi dissi una bugia sul s anto Graal. Vi dissi che ad esserne custodi e campioni sono quegli angeli che, p er codardia, non seppero schierarsi n con Dio n coi seguaci di Lucifero: e voi cre deste che cos essi espiassero la loro mancanza di ideali. Che in questo modo si a pparecchiassero le gioie del Paradiso. Vedete: io volevo che voi desisteste dall 'impresa che vi eravate fitta in capo. Gli angeli ignavi sono perduti alla Grazi a di Dio; nessuna benevolenza pu piegare il giudizio che la divinit ha emanato su di loro. Ma la grandezza d'animo, ma l'eccessivo trasalir dello spirito al di l d ei limiti suoi - voi l'avete test dimostrato - pu ben mutare il provvidenziale int endimento. Mai avrei creduto di vedere il Graal conquistato dalla forza. Ora ave te ottenuto ci che cercavate. Nuovamente si volga, dunque, l'animo vostro all'umi lt. Ci detto, pi non rampogno n consiglio, e mi sottometto, come devoto vassallo, al vostro sovrumano dominio. E l'eremita s'inginocchi dinnanzi al signore del Graal. Wolfgram von Eschenbach, Parsifal

Storia di Gawan I mille rivoli del Parsifal scorrono per le vie tortuose dell'animo umano, rivel andone i pi riposti anfratti. Ogni personaggio rappresenta una scelta etica: una di quelle scelte che, a detta di Kierkegaard, sono la pi alta metafisica, perch de cidono del destino di un uomo. Gawan rappresenta la giovinezza, l'impeto, l'arte di farsi amare. alla ricerca, come gli altri cavalieri della Tavola Rotonda, e come Kundry, di un rimedio alla piaga di Anfortas. La sua spavalda irruenza trio nfa dei malefici, ma non giunge, non essendo illuminata dalla penitenza e l'umil t, alle alte rivelazioni cui solo destinato il "puro folle": Parsifal. Da notare la sapienza polifonica con cui Wolfram, in questo episodio secondario del dramma

, richiama di continuo i temi principali del racconto. Ricoverato in casa di Bene, allietato dall'amore della bella fanciulla e la devo zione del padre di lei, Gawan dorm fino all'alba, nella stanza da letto sulla cui parete si aprivano finestre di vetro, trasparenti s che si poteva scorgere il pa esaggio esterno, e tanto rare e preziose che l'eroe non ne aveva mai viste di si mili nelle dimore in cui era sino ad allora stato. Levatosi dal giaciglio apr una finestra, e subito lo ammali l'aria fresca, e lo stord il canto spianato degli uc celli, che inneggiavano tra gli alberi alla frescura del giorno incipiente. Gawa n usc nel grande giardino, e si sedette all'ombra di un albero; volgendo lo sguar do intorno, scorse d'un tratto quel castello, grigio e tenebroso, che gi aveva in travisto la sera prima, quando, alla luce della luna, era giunto alla dimora del suo amore. Anche quel castello aveva finestre di vetro, grandi ed aperte verso la valle; dentro la sala del trono vide molte dame, alcune bellissime; invece di dormire - non era ancora giorno chiaro - esse parevano pietrificate, e guardava no gi verso la luce dell'alba, con un tal sguardo che Gawan non pot pi dimenticarlo , tanto l'aveva colpito e stupito quell'espressione di pena. Poi Gawan torn a dor mire, avvolto nel mantello della sua fanciulla, a mo' di coperta. Quando la padr ona di casa si svegli, l'ospite dormiva ancora; allora la fanciulla, per testimon iargli silenziosa devozione, si sedette sul tappeto di fronte a lui, aspettando il suo naturale risveglio. Capitasse anche a me di essere colto di sorpresa da s imili visite impreviste! Quando, alla fine, si dest, Gawan rise: - Aff di Dio, mad amigella - disse - possibile che voi interrompiate il vostro sonno per contempla re un povero randagio come me? Rispose la fanciulla: - Io non pretendo che voi diventiate il mio cavalier serve nte; desidero solo la vostra stima. Se desiderate da me qualcosa, ditelo, ed io lo far. Mio padre, mia madre, e tutti i miei fratelli vi saremo sempre debitori p er quello che avete fatto. Ora voi siete il nostro signore. - molto che siete qui? Potevate ben svegliarmi, anche perch vi dovevo porre una d omanda circa quelle dame che abitano lass, su quel castello diroccato. Chi sono m ai? Allora la fanciulla si spavent: - Oh, signore, proprio a me occorreva faceste una simile domanda? Non sar certo io a rispondervi! O meglio: s, io potrei risponderv i, ma il fatto che non lo voglio fare, a nessun costo. Non me ne vogliate, e cam biamo discorso - almeno questo il mio consiglio. Ma Gawan insisteva, e faceva domande sempre pi precise sull'identit di quelle fanc iulle, che gli parevano cos belle, finch la fanciulla non si mise a piangere. Quan do il sole fu alto giunse il padre, che vedendo sua figlia seduta ai piedi del l etto, e piangente, le disse: - Non te la prendere, figlia mia, ch ci che accade ag li uomini in certe situazioni come un'irrefrenabile rabbia, che per si converte t osto in gioco. E non sembrava affatto adirato da ci che presumeva fosse successo tra lei e il cavaliere. Ma subito Gawan disse: - Non c' nulla di scandaloso in ci che successo qui. Io ho fatto una domanda a questa ragazza; e lei ha cominciato a piangere, come se per me interessarmi di una simile cosa significasse la morte certa. Se ci che io ho fatto per voi, amico mio, ha qualche valore, io ora vi ch iedo un favore in cambio: ditemi chi sono quelle belle dame che dimorano lass, co s magnificamente addobbate come per una festa. Quell'uomo sensibile abbass la testa e prese a tormentarsi le mani; poi disse: In nome del cielo, signore! Se esiste al mondo un luogo di sventura, esso quel c astello! - Forse per questo che la sorte di quelle belle donne non riesce ad essermi indi fferente. Ditemi, ospite: perch vi dispiace tanto che io faccia tante domande? - Non certo perch vi riteniamo vile, ma, anzi, perch conosciamo la vostra audacia, e sappiamo bene che, dopo il domandare, passerete all'agire. Cos ci lascerete pe r sempre, e noi, il cui destino d'ora in poi quello di servirvi, non avremo pi ch i ci protegga. - Non importa. Se vi ostinate a non soddisfare la mia inchiesta, andr io stesso d i persona a vedere cosa succede lass. - Ahim, signore, quanto dolore ci date! Vi dovr dunque prestare il mio scudo, sicc ome conviene ad un ospite, e dirvi dove siete capitato. Questa terra si chiama P

laga Degli Incanti, ed in quel castello c' il Letto Indemoniato. Nessun cavaliere mai uscito vivo dalla disfida col quel singolare letto. Anche se fosse che avet e superato le pi tremende insidie, i pi incoscienti campioni della cavalleria, e t utto vi sembrato un gioco da ragazzi, andando in quel castello, su quel letto vo i vi date in braccio alla morte. - Oh, mi rattristerebbe ben di pi esser passato vicino a queste dame, di cui gi al trove ebbi novella, e non aver mosso un dito per aiutarle! L'audacia non mi spav enta. - Signore, io non so mentire. Qualunque avventura vi capiti di intraprendere lon tano da qui - se ancora vi capiter - essa incomparabile con il cimento che sta pe r piombarvi sul capo! - Invece di continuare a lagnarvi, cominciate a darmi dei buoni consigli. O vole te che Gawan se ne vada di qui col marchio sacrosanto di vile, per non aver aiut ato quelle donne, siccome prevede il mio stato di cavaliere errante? - Se voi trionferete di quella strana magia, che tiene a suo piacimento incatena te quelle donne; se la vostra mano sapr aver ragione della malia che tanti perse ardimentosi campioni, e nessuno lasci vivo per render nota la sua natura, allora questa regione, i suoi abitanti, le sue ricchezze, le sue donne, tutto diventer v ostro. Ma se invece, quatto quatto, ve ne andate di soppiatto, chi mai potrebbe parlar male di voi? Qui Lischoys Gwelljus, famoso per valore di corpo e dolcezza d'animo, ci lasci le penne; nessun cavaliere fu mai s valoroso ad eccezione di It her di Kahaviez; qui venne anche Parsifal; giunse ieri, fui io a traghettarlo; p roprio lui, l'uccisore di Ither; era reduce dall'aver sconfitto cinque tra duchi e re; mi regal le sue cavalcature; quanto ai vinti, egli non li uccide, ma li co stringe a presentarsi alla sua sposa, Condwiramus, in Pelrapeire, perch ne faccia l'uso che vuole. Egli venne qui a chiedere del Graal. - Ed ora dove andato? Possibile che non sia andato in aiuto di quelle fanciulle? - Oh, ma nulla di tutto ci ha egli saputo. Grande sventura sarebbe stato che lo v enisse a sapere. Anche voi, se non aveste notato quelle donne, sareste rimasto a ll'oscuro di tutto. Facendomi quella domanda, oltre a causare a tutti noi immens o dolore, mi avete anche esposto alla pubblica rampogna. Ma visto che siete deci so a pugnare, allora io stesso provveder a che venga armato il vostro braccio. Vo rr dire che, se riuscirete a farvi signore di questa terra, avr fine anche la mia povert. - Rivestitemi dunque della mia armatura. Fu la tenera fanciulla a porgli l'armatura sul corpo. L'ospite si assent un momen to, poi ritorn con uno scudo massiccio e singolarmente robusto. Infine gli venne dato un cavallo. - Signore - disse poi l'ospite - se posso darvi un consiglio, fate grande affida mento su questo scudo. di una lega particolare, inoltre la mia vita stata, fin o ra, cos in accordo con la mia indole che non ho mai dovuto usarlo. Quando arrivat e lass, vedrete fuor della porta un mercante: lasciategli il cavallo. Comprate da lui qualche cosa, non importa cosa; gli lascerete in pegno il cavallo; cos ne av r pi cura. - Ma come: devo forse entrare a piedi in quel castello? - S, signore; ma non vi date pena di questo; quelle meravigliose creature che ave te visto servon da richiamo, ma quando entrerete nel castello, troverete tutte l e sale deserte. Tutte, ad eccezione della sala dove c' il Letto Diabolico. cos bel lo, quel letto, che se l'Emiro del Marocco ne volesse avere uno uguale, non gli basterebbe il regno per pagarlo. Per passare di l, dovrete salirvi sopra, ed allo ra scoprirete che discenderne meno facile che salirvi. Qualsiasi cosa succede, r icordate comunque di non lasciare mai lo scudo e la spada, perch l dentro chi supe ra la prova del letto - cosa mai finora occorsa ad alcuno - viene sfidato a nuov i certami, della cui natura io non so nulla. Non appena Gawan salt sul cavallo, la felicit della fanciulla ricevette un colpo m ortale. Anche il resto della famiglia non smetteva di piangere, come se, invece di un commiato, si fosse trattato di esequie. Al momento del commiato, Gawan si volse verso l'ospite, e gli disse: - Se Dio vorr, avr presto modo di compensarvi d i questa vostra attenzione per me, e con non picciolo premio attestarvi la mia a

micizia. Poi s'accomiat dalla fanciulla, che rest desolata come mai donna fu vista alla par tenza del suo guerriero. Se ora vi va di stare ad ascoltarmi mentre racconto ci c he avvenne di Gawain, io ve lo dir seguendo la tradizione, come mi fu riferita, s enza nulla omettere n aggiungere. Giunto dinnanzi alla porta, vide il mercante se duto fuori del suo ben fornito emporio. L dentro c'era ogni ben di Dio; mai Parsi fal aveva conosciuto mercanzia pi ricca. La bottega di quel mercante era una pezz a di broccato alta e larga, ridotta a tenda da quattro paletti. Volete sapere ch e cosa c'era dentro quella tenda? Vi dir solo quanto valeva: n il baruc di Baghdad n il patriarca di Ranculat avrebbero potuto acquistare tutti quei tesori, neppur e se l'Imperatore in persona avesse sommato alle loro ricchezze quelle che s'era guadagnato in Oriente al tempo delle crociate. Parsifal salut cortesemente il me rcante, poi chiese di vedere cinture e fibbie adatte a lui, e ad un prezzo conve niente. - Da molto tempo io siedo qui - disse il mercante - ma finora nessuno ha avuto l 'ardire di entrare nella mia tenda a valutarne la mercanzia. Se voi avete la val entia adeguata al vostro coraggio, certo tutte queste meraviglie che io feci ven ire da lontano diverranno vostre. Quando tornate dalla vostra visita al castello - sempre che questo accada - fermatevi da me, e certo ci sapremo mettere d'acco rdo sul prezzo. Fu certo Plippalinot, il traghettatore, a menzionarvi questo luo go incantato. Oh, certo la vostra avvenenza ed il vostro coraggio delizieranno t utte le dame di questo castello. Lasciate qui il vostro cavallo: io ne avr cura. - Ben volentieri lo farei, signore; ma il mio censo non me lo permette; mai il m io cavallo stato accudito da un s ricco staffiere. - Oh, signore, se per questo, chi pi di voi avrebbe diritto a codesto trattamento , visto che, se voi uscite vivo da quella porta, ogni cosa che giace o si muove in questi paraggi diverr vostra? Gawan, impavido, predisposto a farsi forza da tutti quei discorsi, giunse presto a piedi al castello. Era quella costruzione tanto affondata in s alte muraglie, che neanche tutti gli eserciti del mondo in trent'anni d'assedio avrebbero saput o averne ragione. In mezzo ai bastioni c'era un prato, tanto grande che poteva f ar concorrenza all'intera regione del Lechfeld. A centinaia su di esso si ergeva no le torri. Gawan alz gli occhi al cielo, e vide che il tetto, saldo da non dar crollo, era tinto dei mille colori del pavone, e quelle tinte erano cos indelebil i che non sentivano n pioggia n neve. Dentro ai bastioni, il castello era tutto a volte, graziosamente adagiate su fiere colonne slanciate in delicate rastremazio ni; le volte erano perfette e simmetriche. Dalle finestre s'intravedeva l'intern o di una lunga teoria di stanze, tutte occupate da letti di ogni foggia e dimens ione, le cui coperte erano fini e preziose, nella diversit della loro seta e dei loro disegni. Per quanto Gawan, una volta entrato, perlustrasse attentamente tut te le sale, non gli fu dato di incontrare nessuna di quelle dame ad onore delle quali compiva quella temeraria impresa; e s che a nessuno pi di loro quella visita doveva sembrare proficua e gradita. Ma questo era uno dei tanti misteri di quel castello. Infine Gawan, giunto nella sala del trono, vide su di una parete una porticina che s'apriva da s, come per un incantesimo che fosse stato pronunciato su di lei; allora cap che quella porta dava accesso alla stanza in cui si sarebbe compiuto il suo destino di passione e di vittoria; o, forse, di morte. Dunque e ntr. Il pavimento di quella stanza era terso e trasparente come vetro, ma lubrico per chiss che misteriosa alchimia; l stava il Letto Indemoniato; era tutto intagl iato in un unico rubino, dalla luce folgorante; i piedi erano fissati su quattro ruote, a causa delle quali si muoveva velocissimo, e col suo grande peso strito lava, come una mola, quanto trovava sulla sua strada. Meravigliosa era quell'ope ra dell'umano ingegno, ma il pavimento, a miglior sguardo, tutto intarsiato a di aspro, sardonice e crisolito com'era, si palesava come frutto supremo della magi a e la ricchezza di Klingsor, che per dargli corpo aveva fatto venire i material i dagli angoli pi estremi del mondo conosciuto. Subito Gawan cerc di saltare sul l etto, ma il pavimento sdrucciolevole faceva s che tutte le sue forze dovesse conc entrarle nel tentativo di rimanere in piedi. Intanto il letto, quasi obbedisse a d una sensata strategia, si scostava alla sua presa con rapidi guizzi. Presto a Gawan cominci a dar uggia quel pesante scudo che il suo ospite gli aveva raccoman

dato di tenere. - Tu fuggi - disse al letto - ma che io sia dannato se non mi riesce con un salt o di finirti in groppa! Cos fece, prendendo il letto di sorpresa, ma la partita era appena cominciata, pe rch quello strano marchingegno cominci a pigliar di mira le quattro pareti della s tanza, e prendendo velocit vi si gettava contro con sempre maggior violenza, s che tutta la struttura muraria del castello ne rintronava, e pareva sul punto di sf aldarsi e cadere in briciole. Non vi dico il fracasso! Si fossero dati convegni in cielo tutti i tuoni di Domeniddio, e sulla terra tutti i trombettieri che le citt stipendiano per segnalare le adunanze o rammentare le ricorrenze, ed i poten ti tengono presso di s per maggiore onore - se tuoni e trombe si fossero alleate per superare quel tremendo clamore, vi assicuro che non ci sarebbero riusciti. A nche se Gawan stava riverso su di un letto, certamente non gli poteva accadere d i addormentarsi. Che poteva fare l'eroe? Si copr con lo scudo, unica coperta adat ta a quello scomodo giaciglio, e lasci che Colui che si prende cura di quanti ric orrono a Lui, provvedesse al suo destino secondo il proprio superiore e lungimir ante progetto. Ed ecco ci fu uno schiocco: il letto si era fermato esattamente n el mezzo della stanza, ma non appena l'eroe prov ad alzare la testa avvert lo schi anto di cinquecento lacci pronti a scattare contro di lui. Infatti, di l a poco, altrettante pietre si scagliarono contro quello strano bersaglio - dico il letto - che ora stava ben fermo, mentre avrebbe dovuto fuggire in lungo e in largo. P er fortuna lo scudo era robusto; ma trattandosi di selce di fiume, pure alla fin e era tutto pieno di buchi. Mai Gawan si era trovato a far da uomo di legno in s iffatta maniera; ed ecco dopo lo schiocco ci fu un crepitio sinistro seguito da un fischio: erano cinquecento balestre, grazie alle quali l'eroe impar a distingu ere ogni tipo di freccia, e la sua natura e le sue virt. Se voi, lettori, amate l a vita comoda, e vi piace riposare su morbidi giacigli, non lasciatevi tentare d a letti consimili, ch ve ne verrebbero i capelli bianchi, per paradossale effetto del riposo. Gawan, che gi era tutto un livido per l'accoglienza di prima, si tro v ora tagliuzzato per benino dalle punte che s'erano insinuate tra gli anelli del la cotta. Fin qui non s'era spaventato, ma certo credeva che le sue tribolazioni fossero con ci terminate, e invece... Invece si apr una porticina, e ne usc un vil lico ben piazzato, dalla faccia truce. Indossava un rozzo soprabito di tela, e s ulla testa aveva un berretto di lontra; pure di lontra erano le larghe brache; i mpugnava una mazza ferrata pi grossa di un orcio. Costui and verso Gawan, che non fu punto contento di vederlo. - Per - consider lo spavaldo eroe - in fin dei conti costui non possiede armi capa ci di opporsi alla mia spada! E si drizz a sedere, con l'aria di uno in piena forma, nonostante tutto il corpo gli dolesse. Allora il villico indietreggi di un passo; poi gli disse pien di rab bia: - Non in mio potere di colpirvi, ma sappiate che, se il diavolo fin qui vi ha salvato la pelle, io so come far s che me la lasciate per scotto del vostro ar dire. Il come lo apprenderete appena me ne sar andato di qui! Poi il villico spar, mentre Gawan, come se niente fosse, con la spada ripunzonava indietro le punte delle frecce, liberando lo scudo da tutto quel ferro. Quelle che erano entrate nella cotta, non le pot levare, cosicch ad ogni suo passo rimbom bava tutta la stanza. Ed ecco dopo lo schianto e il crepitio, s'udiva ora un cup o rimbombo, come se in una stanza piccola si danzasse al suono di venti tamburi. E il temerario disse: - Potrei ben ammettere di trovarmi in un mare di guai; ep pure, dopo quello che ho passato, che mai mi si potrebbe preparare di peggio? Aveva appena finito di dire cos, che da quella porticina da cui era uscito il vil lico entr nella stanza un leone bello in carne, alto come un cavallo. Di fuggire neanche parlarne; cos Gawan salt gi dal letto, e alzando lo scudo si sistem in posiz ione difensiva. Il leone aveva fame, e lo diede presto a vedere. Come si slanci i n avanti, il leone piant nello scudo le unghie di una zampa, e poi cominci a tirar e, per nulla intimidito dalla durezza di quella cosa. Allora Gawan salt di lato, e con un colpo gli spicc di netto la zampa. Il sangue spruzz cos abbondante da fare una pozza, per cui Gawan pot finalmente tenersi saldo su quel pavimento scivolos o. Su tre zampe, il leone rinnov i suoi assalti. Col muso si slanciava cos vicino all'eroe, che egli poteva avvertire il calore del suo sbuffare, di tra i denti d

igrignati. Per quanto mi concerne, io mi guarderei dal pranzare con simili comme nsali. Anche a Gawan il convitato non piaceva, visto che gli doveva far da cibo. Pazzo di rabbia, il leone balz per quant'era lungo addosso a Gawan, che in un ba leno gli ficc la spada nella pancia fino all'elsa. Cos ebbe fine, nella morte, la rabbia del leone. Ma la contesa era stata ardua: le ferite di Gawan sanguinavano in abbondanza, e la sua testa era ancora rintronata dai colpi ricevuti. Preso d alle vertigini, l'eroe cadde a terra, con lo scudo per giaciglio, e la testa del leone per cuscino: un cuscino ben diverso da quello che si narra nel Tristano l a seducente Gymele pose sotto la testa del focoso Kahenis, e che inoculava il so nno. Fu a causa di siffatto cuscino che quell'aspirante seduttore perdette il su o onore di maschio. Per fortuna c'era chi vegliava sull'eroe: una fanciulla dall 'alto di una torre vide la stanza tutta ritinta dal sangue, ed il leone e Gawan, che parevano uniti nel fraterno abbraccio della morte; onde il suo viso si sbia nc per l'incertezza sulla sorte del suo liberatore, che certo - pens - se non foss e stato assai male in arnese avrebbe scelto un altro giaciglio per riposare. - O valoroso, se tu, vecchio o giovane che sia, hai per troppo valore perduto la vita nell'intendimento di ridare la libert a noi, che fummo rapite alla nostra g ente, io non sapr mai consolarmi della tua morte. And dunque a chiamare le altre fanciulle; poi scelse due ardimentose, che andasse ro laggi a vedere se l'eroe era ancora vivo. Volete sapere se le due inviate pian gevano? Oh, quando videro il corpo del prode immerso nel sangue, cos abbondante c he lo scudo vi galleggiava sopra, eccome se piangevano! Con la candida mano una di loro tolse l'elmo ed il cappuccio di maglie di ferro a Gawan. Le sue rosse la bbra erano coperte da un po' di schiuma. Se fosse ancora vivo o no, era cosa inc erta. Allora l'altra fanciulla osserv la sua cotta d'ermellino, su cui campeggiav ano i due dragoni che furono l'illustre impresa di Ilinot il Bretone; prese un p elo d'ermellino e glielo mise davanti al naso, per vedere se un'ombra di fiato r esiduo lo muovesse. Ebbene: si muoveva! Allora concitatamente disse all'altra di portargli dell'acqua fresca; poi mise un ditino tra i denti dell'eroe; gli apr u na fessura nella bocca e attraverso quella fece passare un sottile rivolo d'acqu a, fino a che quello apr gli occhi. - Ahim, fanciulle - furono le prime parole di lui - mi rincresce che mi dobbiate conoscere mentre me ne sto in questa sconveniente posizione. Spero che cortesia vi guidi a non farne motto ad alcuno. - Se foste abbattuto, ci fu per effetto del culmine di gloria cui saliste, e da c ui mai pi, d'ora innanzi, discenderete. Se le vostre ferite non sono cos gravi da impedircelo, permettete che ci felicitiamo con voi. - Se volete che io sia in grado di partecipare alla vostra gioia, andate a cerca re qualcuno che conosce l'arte medica, e fategli dare un'occhiata alle mie ferit e. Ma se le mie vicissitudini non sono ancora finite, rimettetemi l'elmo in test a e scostatevi, ch io son pronto a tutto. - Non v' pi bisogno che diate battaglia, signore. Lasciate che una di noi vada a r iferire la lieta novella che siete ancora vivo. Poi vi prepareremo un letto conf ortevole, ed avremo per il vostro corpo cure di salutari balsami, unguenti che v i daranno conforto e vi ridoneranno il pristino valore. La fanciulla fugg come il vento, e rec alle compagne la notizia che il cavaliere e ra vivo e vegeto, anche se bisognoso d'aiuto. Allora tutte le fanciulle in coro "Dieu merci" esclamarono. La loro regina, che era vecchia e saggia, fece prepara re un giaciglio vicino ad un fuoco scoppiettante; per terra fece porre un tappet o, poi ordin che gli togliessero l'armatura, ma stando attente a non offendere il suo pudore. - Nascondetelo con una coperta, poi, tenendo cos celato il suo corpo, spogliatelo con dolcezza. Quindi, se pu camminare, conducetelo qui; senn, portatelo di peso n el suo letto. Se le sue ferite non sono mortali, conosco mille rimedi, prodigios i balsami per ritemprarlo dalla lotta. Ma se invece dovesse morire, voi sapete q ual sventura la sua morte sarebbe per noi. Vivremo ancora, ma la nostra vita sar una morte contraffatta da vita. Quando lo spogliarono, le fanciulle si accorsero che le frecce avevano perforato le maglie in cinquanta e pi punti. Ma le punte non erano entrate in profondit. Lo scudo l'aveva salvato. La regina esamin le ferite; poi prese erba balsamica di d

ittamo, una seta sottilissima che vien detta zendado, e col vin caldo mischiato all'erba lav le sue ferite. Quindi gli medic la testa, che era tutta gonfia ed amm accata per i colpi delle pietre, e con sapienti gesti fece sparire il dolore ins ieme alle tracce dei colpi. Poi disse: - Di qui spesso passa in visita la maga K undry. Nessuno conosce pi di lei le erbe che curano le piaghe, ed il modo di farn e balsamo. Per opera sua fu distillato l'unico unguento che pu qualcosa contro la piaga incurabile di Anfortas, re di Monsalvato. Gawan, come ud il nome di Monsalvato, si rinfranc tutto, e disse alla regina: - Ma donna, se di morte son tornato a vita, tutto lo devo a voi. quindi mio intendime nto servirvi finch a questo scopo le forze mi bastino. - Signore, siamo noi che vi dobbiamo eterna devozione e riconoscenza. Ora tacete , e ritemprate le forze. Vi dar una radice che vi far dormire. Ma prima di notte n on dovete n mangiare n bere; solo cos ritornerete in forze. Gli mise in bocca la radice e lo copr per bene. Gawan si addorment immediatamente. Dorm tutto il giorno, al tepore del morbido letto. Ogni tanto il suo sonno era i nterrotto da soprassalti di freddo, che lo facevano starnutire e singhiozzare; e ra l'effetto benefico del balsamo preparato dalla regina. Una folla di fanciulle si spintonava all'ingresso della stanza, per vedere l'eroe salvatore e sincerar si che avesse recuperato la salute; ma la regina ordinava loro di non far chiass o, per non disturbare il suo sonno. A notte Gawan si svegli, e mangi e bevve di gu sto. Tutte le damigelle del castello, in piedi di fronte a lui, osservavano sile nziosamente il suo pasto. La qualit del servizio piaceva al cavaliere quanto quel la dei cibi, ed i suoi occhi andavano ora all'uno ora all'altro viso angelicato, pascendosi del suo delicato sembiante. - Madonna - disse Gawan - la mia cortesia non sopporta di assistere a cos grave s garbo. Dite a queste fanciulle di sedersi, o, meglio ancora, di soddisfare insie me a me la loro fame. - Nessuna qui, cavaliere, deve ardire di sedersi in vostra presenza. Tutte devon o servire con riconoscenza colui che con la sua audacia ha ridato loro la vita. Tuttavia, esse obbediranno ad ogni vostra volont. Subito le damigelle con soavi accenti pregarono Gawan di permetter loro di stare in piedi a servirlo, e che nessuna si sedesse, fintanto ch'egli mangiava. Finit o il pasto, esse se ne andarono, e Gawan si riaddorment. Lo strazio di Gawan era stato forte, e molte le ferite che aveva pel suo troppo ardire dovuto sopportare. Ma ora che pi il sonno riusciva gradito alle sue membra , la figura della duchessa Orgeluse, della sua donna, che con s piccolo sentiero era riuscita ad entrare nel nido del suo cuore, non lo lasciava dormire, lui che aveva compiuto una tale impresa che al confronto l'impresa di Iwein col Signore Della Fonte pareva un gioco. Ricordate la storia del Signore Della Fonte? Narra il poeta che in una foresta stava una fonte incantata, la cui acqua era abitata da uno spirito maligno. Appena qualcuno, giungendo a questa fonte, vi si abbeve rava, se qualche goccia d'acqua sfuggendogli dalle mani andava a colpire la rocc ia, ecco che subito scoppiava un uragano, e lo spirito intrappolato nelle acque prendeva forma umana, e sfidava lo sventurato a battaglia. Questa fu la sventura occorsa al prode Iwein, che eppure trionf del mago, e ne spos la sposa, Laudine. Cos gli era arriso il premio pi grande che possa toccare ad un cavaliere errante: di ottenere per s l'amore, e nient'altro. Invece Gawain dormiva solo, e pensava a lla sua donna, Orgeluse, ed a come la sua schiatta spesso era dovuta soccombere per le stregonesche malie d'amore. E cos era capitato a Parsifal, cui torn in ment e la sposa, nelle sue peregrinazioni, osservando la neve che un falcone in cacci a aveva lordato di gocce di sangue, uccidendo la sua selvaggina. Spesso la tracc ia del sangue sul manto candido della terra richiama alla mente dello spirito am ante la viva natura del corpo amato, e perch ci accada, questo sottile mistero che lega tra s la mente ed il cuore degli esseri viventi. Ma per tornare alle medita zioni di Gawain, egli ricord che anche Gahmuret era stato ridotto in fin di vita dalle imprese compiute per amore. Ed anche la sorella di Gawan Itonje, sposata a l re Gramoflanz, che le dette fedelt, ma mille travagli, ed infine Suramur, sua s orella, che infine and in sposa al re Alessandro di Grecia. Eppure tutti costoro avevano trovato l'amore; solo Gawan al termine della sua impresa, spossato, giac

eva insonne per colpa di due letti: il Letto Indemoniato, ed il letto lontano di Orgeluse, a lui inattingibile. E pensare che nessuna impresa pu paragonarsi a qu ella che sostenne Gawan, colpito da tante pietre e frecce che neanche il pi robus to dei muli potrebbe portare senza strazio un tale peso. La sua impresa superava la tenzone che sul Ponte Della Spada oppose Lancillotto e Meljahcanz, quando La ncillotto sbalz il suo avversario da cavallo con tanto slancio che quegli giacque a lungo al suolo, e tutti i cavalli che passarono sul suo corpo ne fecero straz io, per poi essere abbattuti uno per uno dai vassalli del principe defunto; ed a nche l'impresa di Garel, che a Nantes ricacci un leone dal suo palazzo, ma pure e ra armato di tutto punto, ed aveva anche un coltello - neppure questa si pu parag onare a quella di Gawan. N la sua stessa impresa al Guado Periglioso, quando dove tte affrontare la furia delle acque, n l'impresa di Erec, che si batt col feroce M abonagrin, il guardiano del bellissimo giardino di Jioe de la Cour, il quale ucc ideva tutti i cavalieri che la grazia di quel posto aveva attirato col, e fu stra ziato dalla spada dell'eroe - neppure quest'impresa degna di essere accostata a quella di Gawan. Ed ora l'eroe che non aveva paura dei pi grossi pericoli tremava e sudava per un nome che s'era cacciato nella piccola cavit del suo cuore, e di l lo chiamava. Era quella donna troppo grande per essere contenuta in un piccolo cuore, e per questo la presenza di lei dava a Gawan un dolore grande; n deve far sorridere che un eroe cos forte venga abbattuto da una donna, ch Madonna Amore cos premia ed al contempo strazia vincendoli i vincitori. Ma ora Madonna esagera; in fierisce infatti su un cavaliere inerme e malato; non doveva bastarle di averlo gi ridotto a malpartito quando era sano e in forze? Madonna Amore - se mi lecito darvi un suggerimento - lasciate questo vostro intendimento, ch Gawan fu sempre v ostro cortese servitore, e quanto promise in vostro nome vincendo gli ostacoli c omp, siccome fece il suo onesto padre Lot. Da quando la Fata Morgana condusse il suo avo Mazadan - che voi, Madonna, avevate colpito con la vostra forza - nella Terra Della Gioia, dove accoppiandosi con lui gener la sua schiatta, tutti gli an tenati di Gawan furono parimenti a voi, Madonna, fedeli. E di Ither di Kahaviez, del quale tutte le dame parlavano con amore, e che non d'altro parlava mai con le dame, l'illustre parente di Gawan, potete forse dire che non fosse a voi devo to? Quale vassallo perdeste con la sua morte! Ora, Madonna, volete forse dar mor te a Gawan, come faceste con suo cugino Ilinot, che voi con forza avvinceste nel le vostre braccia, s che lo colse amore per una nobile, Florie di Kanadic? Bambin o ancora, per amor di lei abbandon la terra dei suoi padri, la Bretagna; fu da co lei allevato nelle armi, e nel nome di lei si perse e, straniero alle genti, fu dai suoi stessi parenti, ignari, ucciso. E tutto perch voi, Madonna, lo induceste a trasportare sulle spalle il pondo d'amore. Scagliatevi sui sani, non su Gawan ; non vedete che gi l'ansia lo consuma, l'inedia lo divora al punto tale che sman iando apre le fasce, da cui novello sgorga il sangue? E mentre il sospirato gior no riede in cielo, egli volge lo sguardo al suo dolore, e ci che ha test subito in quel letto gli par meno orribile di ci che il nuovo letto gli fa subire; se vole te aver contezza di quei patimenti, lasciate che le frecce vi trafiggano a mille ; allora proverete che vuol dire aver le smanie della donna amata, e non poterla contemplare in viso. Il giorno prendeva a trionfare; gi per la luce del sole non si distingueva pi bene il chiarore dei ceri. Ora un altro tormento faceva languire Gawan: egli si alz, ed il lino della sua veste era tutto bruttato di sangue e macchie di ruggine. Su di una sedia accanto al letto stavano una camicia e delle brache di lana pregia ta - dal nome "bucherame" - una mantella ed un soprabito di martora con fodera d i panno, ed una cintura che era stata fabbricata ad Arras. Gawan vi trov vicino a nche due stivali comodi. Destatosi del tutto, il cavaliere usc dalla stanza, e pr ese a percorrere in lungo e in largo quel sontuoso palazzo; l'ampiezza dei cui l ocali e la finezza delle decorazioni gli strapparono pi di un'esclamazione di mer aviglia. Alla fine si ritrov ad un'estremit del perimetro, da dove una stretta sca la andava su per una volta lunga e tortuosa, attorcigliandosi intorno ad una col onna, e giungeva dopo molti peripli fin sopra il palazzo. Sormontava questa scal a una colonna di legno saldo e stagionato, dalla saldezza cos certa che sopra ci sarebbe potuta stare quell'immensa bara della regina Camilla che cos diffusamente ci descrive Heinrich von Veldecke nel suo poema Eneit. Questa colonna Klingsor

il mago l'aveva trovata nelle terre di Feirefiz, e l'aveva col trasferita. Intorn o a questa colonna stava una sala perfettamente circolare, tale che, se l'avesse progettata il Sommo Geometra, non sarebbe riuscito ad esprimersi a tali livelli . Quella sala era davvero opera di un mago. Le finestre erano tanto alte che lar ghe, e tutte erano formate da pietre preziose lavorate, e ridotte a lastre; e c' erano diamanti ed ametiste, e poi topazi e granati, e crisoliti, rubini, smerald i e sardonie. Anche le travature del soffitto erano similmente tempestate. Ma ne ssuna colonna, sia quelle che reggevano il soffitto, sia quelle che attorniavano le finestre, era degna di essere confrontata alla grande colonna centrale. Per meglio osservarla Gawan le si avvicin, e si mise a fissare le pietre preziose che la adornavano: allora vide una scena cos straordinaria che non poteva levare l'o cchio da l. La sua vista spaziava su tutta la regione; tutto lo spazio di quel re gno era rinchiuso in un punto; le vallate trascorrevano ai suoi occhi, le montag ne accavallandosi passavano l'una dentro l'altra, in veloce e mutuo scambio. Nel la colonna vedeva gente cavalcare, gente sostare, gente ridere e gente duellare. Cos, per vedere meglio, si sedette su di una finestra. A questo punto giunsero n ella sala la regina Arnive con sua figlia Sangive e le due figlie di questa. Gaw an, come le vide, si alz in piedi. - Signore - disse la regina - voi dovreste ancora essere a letto. Le vostre feri te sono troppo fresche perch voi vi esponiate a nuovi strapazzi. - Mia signora - rispose Gawan - grazie al vostro aiuto se io sono ancora vivo ed in forze. Il mio braccio sar d'ora innanzi al vostro servizio. - Se quanto dite vero, signore, allora date un bacio a queste tre dame, ch non ve ne verr vergogna, in quanto sono figlie di re. Gawan cos fece, e poi si assise per quinto in mezzo a loro. Contemplava quelle be lle donne che lo gratificavano del loro favore, eppure in cuor suo si sentiva in felice; rispetto alla duchessa Orgeluse, la radiosa bellezza di quelle sembrava vanire come un manto di nebbia; lei pareva al cavaliere il pi puro termine di ogn i amoroso desiderio. A ci lo spingeva il suo ramingo cuore. Eppure quelle donne e rano di tale bellezza che certo un cuore che non fosse amante sarebbe rimasto di quelle invaghito fino all'amenza. Poi Gawan chiese alla regina che mai fosse qu ella colonna cos preziosa. - Da che per la prima volta ne ebbi la visione - rispose - quella colonna giorno e notte risplende di luce propria per un raggio di sei miglia. Ci che entro ques to spazio accade, sia su terra ferma sia su acqua, essa con occhio infallibile m ostra. Ogni uccello, ogni bestia selvatica, ogni cavaliere, sia dei nostri sia s traniero, ha in queste pietre il suo ritratto fedele. Non esiste fabbro il cui m artello possa scalfirla. L'aveva la regina Secundille, che Feirefiz am, ed a lei fu sottratta di nascosto. Ora Gawan vide nella colonna un cavaliere ed una dama; lei era la donna pi bella del mondo, lui era coperto dall'armatura, aveva la celata abbassata, e l'elmo co l cimiero ben calcato in testa. Essi avanzavano veloci per la via della pianura. Cercavano lui. Se ne venivano per quel sentiero percorso dal superbo Lischoys, che Gawan aveva sconfitto. Orgeluse teneva alla briglia, per intercessione di Ma donna Amore, quel superbo cavaliere, e lo conduceva allo scontro con Gawan. L'er oe intanto fissava nella colonna il paesaggio circostante; me nessuno veniva coi due a cavallo; tra lui e la duchessa c'era solo quel temerario sfidante. Come g li effluvi dell'elleboro penetrando nel naso vengono assorbiti dal cervello, e s volgono merc le narici la loro azione rilassante, cos, con opposto effetto, l'imma gine di Orgeluse infiltrandosi nelle pupille degli occhi raggiungeva per vie ert e e strette i precordi angusti di Gawan, eccitandolo alla lotta. Madonna Amore o ra domina Gawan: ecco la verit. Disse egli alla regina: - Signora, ecco un cavali ere se ne viene su per il sentiero della pianura, in cerca di avventura, bramand o la lotta cortese, ed io credo che, quando m'incontrer, la sua attesa di uno sco ntro non andr delusa. Pure, gradirei mi deste notizia della donna che con lui se ne viene, ch io gi altra volta la ravvisai, ma, stordito dalla sua malia, non ne o sai chiedere la condizione. - Colei la duchessa di Logroys, donna bella quanto pericolosa. Chiss al cuor di c hi mira la maliziosa donna tendendo trappole? Con lei v' il suo arciere, che ha f ama di valoroso. La gloria ch'egli s' conquistata in torneo basterebbe a far noti

tre regni. Non cercate di affrontarlo. Siete ancora ferito, ed anche se foste i n salute, dovreste guardarvi da lui come dalla peste. - Non diceste pur voi che io son qui signore? Se dunque uno straniero viene a darmi battaglia, dovr io inau gurare il mio regno con un atto di fellonia? Non sia, Madonna; io voglio la mia armatura. A queste parole le dame cominciarono a piangere. - Se anche ne aveste ragione - dicevano ad una voce - le vostre ferite si riapri rebbero, e voi morireste chiuso nell'armatura, soffocato dal vostro stesso sangu e. Che varrebbe allora l'averci salvate? La nostra sventura sarebbe ancora maggi ore, perch fortificata dall'illusione. Ci volete forse morte? Il tormento di Gawa n non aveva requie: lo infuriava la sfida dell'arciere, ma ancora lo tormentavan o le ferite, e molto pi l'amore: inoltre le lacrime di quelle donne lo scuotevano fin nel profondo. Ecco qual era il suo rovello, che presto risolse, ordinando a lle donne di smettere il pianto, e che gli preparassero spada, armatura e cavall o. Cos le dame lo accompagnarono nel salone dove stavano le bellissime donne ch'e gli aveva appena liberato, e l, tra pianti e sospiri, fu armato il cavaliere e st rigliato il suo cavallo. Gawan per le ferite stava male in arcione; il suo scudo , poi, era tutto crivellato dai proiettili. Poi il cavaliere si rec dal suo ospit e, il traghettatore, che gli diede una lancia robusta ed intatta; tante ne aveva raccolte sul campo di battaglia, quand'eran cadute di mano ai cavalieri sconfit ti. Gawan l'eroe preg il cortese barcaiolo di portarlo sull'altra riva, e quando vi fu giunto incontr l'arciere, colui che la confidenza nel pericolo faceva immun e da ogni vile pensiero. Grande era la stima che circondava la sua persona; chi s'era con lui cimentato in duello, presto s'era trovato per la violenza dei colp i a morder la polvere, sbalzato dietro la coda del suo cavallo. Pi i cavalieri si provavano a sfidarlo, per la gran gloria che faceva grande il suo nome, pi ne tr aevan onta e disinganno. Era solito dire, questo accigliato campione, che egli n ell'armi teneva questo modo: o rapire al contendente tutto il suo onore, o perde re d'un colpo tutto il proprio. Chi fosse riuscito a buttarlo a terra con un col po di lancia, l'avrebbe - per la sorpresa e la meraviglia - visto darglisi vinto senza colpo ferire. Tutto questo Gawan lo apprese da Plippalinot, cui, come pos sessore del campo di battaglia, spettavano in pegno armi e cavallo del vinto. Se infatti, al culmine di una disputa, l'asta di un contendente spingeva a terra l 'altro, il barcaiolo si prendeva ci che uno aveva perso, e l'altro conquistato: l 'equipaggiamento del vinto, voglio dire, senza che nessuno potesse contestarlo, perch suo era il campo su cui avveniva lo scontro. Sull'onore o il disdoro che i cavalieri si fossero guadagnati non metteva giudizio; a questo pensavano le dame che assistevano agli scontri, ed erano belli ed imparziali giudici. Plippalinot consigli a Gawan di meglio assestarsi in sella; poi lo sbarc sulla riva, che gi st ava a cavallo, e gli porse la lancia e lo scudo. Ma gi se ne veniva verso di lui l'arciere, con la tranquilla protervia di chi giudica a colpo d'occhio dove sia meglio appoggiare il colpo, in base alla corporatura dell'avversario, e da come si tiene in sella. Anche Gawan gli si fece, per tutta risposta, d'appresso. Pron to ai comandi della briglia, Gringuljete di Monsalvato, il suo cavallo, si lanci al galoppo gi per l'aperta piana. Ed ecco ha inizio lo scontro. Su, guerrieri, no n risparmiate i colpi! Sapete dove s'aggiusta l'elmo alla corazza, con esile, co perto laccio? Proprio l l'arciere mena a Gawan il primo colpo; Gawan risponde con un colpo di punta nella barbozza: la parte dell'elmo che copre il mento. Cos fac endo gli spicc la celata dal viso, e con uno strappo infine tutto l'elmo venne vi a, infilzato di lato sulla lancia di Gawan, mentre colui che fino ad allora ci a veva messo dentro la faccia croll a terra, e con lui precipit la sua prodezza. Qua nto all'elmo, finito a terra splendeva tra i fiori di mille luccichii, come foss e una nuova, pi splendida rugiada. Gawan pronto, dritto sul cavallo, si par sul ne mico, minaccioso. Allora l'altro si arrese. Cos il barcaiolo si ebbe il suo caval lo. Ma Gawan non aveva ancora avuto, con questo, ragione della bella Orgeluse, c he - Ben dovrebbe codesto esser per voi motivo d'orgoglio - disse - cavaliere su l cui scudo trionfa arrogante la zampa del leone. Molte dame han veduto la vostr a vittoria. Vi lasciamo questa gloria, liete pure che il Letto Indemoniato non s i sia curato di prendere su voi una netta rivalsa. Per fortuna lo scontro non fu serio: ma avete lo scudo a pezzi, come se davvero vi foste confrontato in batta

glia. Del resto, siete cos piagato e malridotto in tutto il corpo, che un vero sc ontro vi sarebbe stato fatale. Non per niente, quando ci vedemmo la scorsa volta , e voi vi offriste di servirmi, io vi dissi che all'aspetto mi apparivate un pa pero spennato. Non che ora, con quello scudo tutto bucherellato che pare un criv ello, e l'armatura messa a dura prova dalle frecce, il vostro aspetto mi autoriz zi a mutar parere. Ora, giusto che, dopo la fiera disfida, vi piaccia tornar dal le vostre donne, a farvi fasciare il ditino. Certo il servirmi comporterebbe ben altre sevizie, tali che il vostro corpo di papero non potrebbe davvero sopporta rle! Questo prezzo del mio amore! - Servirvi, duchessa - rispose Gawan - il balsamo prezioso che pu curare le mie f erite. Ora esse son guarite, ed io mi dichiaro vostro devoto d'amore, e sostengo d'esser pronto ad affrontare qualunque prova in nome vostro. - Allora io vi voglio con me, a rendere illustre il mio nome. Questa proposta ri emp di gioia il cuore di Gawan, e siccome gioia suole esser compagna di cortesia, il cavaliere chiese al suo ospite, il barcaiolo, di accompagnare al castello l' arciere, perch le dame potessero prendersene cura. Quanto a lui, la vista di Orge luse l'aveva fatto rinascere; splendido era sul suo cavallo, e lo scontro con l' arciere non aveva neppure incrinato la lunga lancia, dono di Plippalinot. La reg ina Arnive, come seppe la nuova, disse: - Colui che stato nostra consolazione si elegge ora a nostro tormento, ch, se vuol seguire la fiera Orgeluse, certo le su e ferite gli diverrano mortali. Ma Gawan part per terre lontane, alla gloria anel ante. Quattrocento dame rimasero a piangerlo lass. Wolfram von Eschenbach, Parsifal

La foresta parlante traduzione dallo spagnolo di Claudia Ricci Esempio V Di ci che accadde a una volpe con un corvo che stringeva tra il becco un pezzo di formaggio I brani scelti per questa sezione appartengono tutti a Il Conte Lucanor di don J uan Manuel. Nel medioevo spagnolo, diversamente da quanto avviene nella maggior parte dei paesi occidentali, mancano maghi, incantesimi, fate e draghi. Ogni ese mpio (che nel manoscritto era correlato da un disegno) conserva dunque quel cara ttere didattico-morale che lo rende strumento eletto di predicazione e di istruz ione, facendosi portavoce delle istanze dell'autore senza poter mai deviare nel puro divertimento e in una concezione del fantastico totalmente priva di remore e condizionamenti religiosi. La veste insolita del fantastico nel medioevo spagn olo non significa tuttavia che questo sia meno interessante, semplicemente sta a dimostrare che in un paese tutto teso alla riconquista e all'affermazione dei v alori cristiani risultava ben difficile poter diffondere quei racconti di maghe e streghe che imperversavano un po' in tutta l'Europa del periodo e che attecchi ranno in Spagna solo in un periodo successivo, nel Rinascimento, quando oramai l e preoccupazioni per l'unit territoriale sia politica che religiosa saranno state risolte definitivamente. Un'altra volta parlava il conte Lucanor con Patronio, il disse cos: - Patronio, un uomo che sostiene di essermi amico inizi a intendere che esistevano in me grandi qualit di onore nt. E una volta che mi ebbe lusingato quanto pi poteva se un affare che a prima vista, per quanto posso capire, ioso. suo consigliere, e gli a lodarmi molto, dandomi e di potere e di molte bo con queste parole, mi propo mi pare essermi vantagg

E il conte raccont a Patronio quale era l'affare che gli aveva proposto e, per qu anto l'affare apparisse vantaggioso, Patronio comprese l'inganno che giaceva nas costo sotto le belle parole. E per questo disse al conte: - Signor conte Lucanor, sapete che quest'uomo vuole ingannarvi dandovi ad intend ere che il vostro potere e il vostro stato sono maggiori di quanto siano in veri t. E affinch vi possiate guardare da quest'inganno che vi vuole fare, mi piacerebb e che sapeste ci che accadde a un corvo con una volpe. Il conte chiese di spiegargli a cosa si riferisse. - Signor conte Lucanor - disse Patronio - un corvo trov una volta un gran pezzo d i formaggio e sal su di un albero per poter mangiare il formaggio come pi gli piac eva, senza timore e senza impedimenti da parte di nessuno. E mentre il corvo se ne stava cos, pass la volpe ai piedi dell'albero e quando vide il formaggio che av eva il corvo inizi a cercare il modo per sottrarglielo. E per questo inizi a parla re in questo modo: - Signor Corvo, da molto tempo che ho sentito parlare di voi e della vostra nobi lt e della vostra gentilezza. E per quanto vi abbia cercato molto, non fu volont d i Dio n mia fortuna che io vi trovassi prima di adesso, e ora che vi vedo capisco che c' in voi molto pi bene di quanto mi sia stato detto. E perch vediate che le m ie non sono lusinghe, vi riferir quali sono gli aspetti positivi in voi, ma vi di r anche quali sono le cose in cui, secondo la gente, non siete cos ben dotato. Tut ti concordano che il colore del vostro piumaggio, e dei vostri occhi, e del vost ro becco, e dei piedi, e delle unghie tutto scuro, e poich le cose scure non sono di gentile aspetto come quelle di un altro colore, e voi siete tutto scuro, la gente considera che questo sia una mancanza nella vostra gagliardia, e non capis cono quanto si sbagliano in questa opinione perch, sebbene le vostre piume siano scure, esse sono talmente scure e brillanti da divenire indaco come le piume di un pavone, che l'uccello pi bello del mondo e, sebbene i vostri occhi siano scuri , in quanto occhi sono molto pi belli di tutti gli altri occhi, perch la propriet d ell'occhio non altro che vedere, e perch tutte le cose scure rinfrancano la vista , tra tutti gli occhi quelli scuri sono i migliori, e per questo sono molto pi el ogiati gli occhi della gazzella, che sono pi scuri, che non quelli di qualsiasi a ltro animale. Ugualmente, il vostro becco e le vostre mani e unghie sono pi forti di quelli di qualsiasi altro uccello delle vostre dimensioni. Inoltre, nel vost ro volo avete una leggerezza tale che il vento non vi ostacola quando andate con tro di esso, per quanto sia forte, e nessun altro uccello pu volare con la stessa leggiadria che avete voi. E ritengo che, poich Dio fa tutte le cose con un motiv o, visto che siete dotato di tanti doni, non consentirebbe che non cantaste megl io di qualsiasi altro uccello. E poich Dio mi ha concesso la grazia di vedervi, e so che c' in voi pi bene di quanto abbia mai sentito su di voi, se io potessi udi re da voi il vostro canto mi considererei per sempre fortunato. E, signor conte Lucanor, prestate attenzione che sebbene l'intenzione della volp e fosse di ingannare il corvo, aveva sempre detto cose vere. E siate certi che g li inganni e i danni mortali sono sempre quelli che si dicono assieme a verit ing annevoli. E quando il corvo vide in quanti modi la volpe lo elogiava e come gli diceva la verit in tutto, credette che allo stesso modo gli dicesse la verit anche sul resto , e credette che fosse sua amica, e non sospett che lo facesse per sottrargli il formaggio che teneva nel becco, e, per le molte cose buone che aveva udito, e pe r le lusinghe e le preghiere che gli aveva fatto affinch cantasse, apr il becco pe r cantare. E quando ebbe aperto il becco per cantare, il formaggio cadde a terra , e la volpe lo afferr e se ne and con esso; e cos il corvo fu ingannato dalla volp e, credendo di avere pi gagliardia e pi perfezione che nella realt. E voi, signor conte Lucanor, sebbene Dio sia stato molto prodigo con voi in ogni cosa, poich vedete che quell'uomo vi vuol dare ad intendere che avete molto pi po tere e pi onore e pi bont di quanto voi sappiate essere la verit, sapete che lo fa p er ingannarvi, e guardatevi da lui e vi comporterete da uomo cauto. Al conte piacque molto quanto gli disse Patronio, e fece cos. E grazie al suo con siglio evit ogni sbaglio. E poich don Joan intese che questo esempio era cosa buona, lo fece scrivere in qu esto libro, e compose questi versi in cui si capisce in modo abbreviato tutta l'

intenzione di questo esempio. E i versi dicono cos: Chi ti loda per qualit che non possiedi, sappi che ti vuole togliere ci che possiedi. E il disegno di questo esempio questo che segue. *** Esempio VI Di ci che accadde a una rondine con gli altri uccelli quando vide seminare il lin o Un giorno parlava il conte Lucanor con Patronio, suo consigliere, e gli disse: - Patronio, mi si dice che alcuni miei vicini, che sono pi potenti di me, si stan no unendo e stanno attuando molti stratagemmi e macchinazioni con cui ingannarmi e procurarmi grave danno; e io non lo credo, n mi preoccupo per questo; ma, per la grande conoscenza che avete, desidero chiedervi di dirmi se ritenete che debb a fare qualcosa a tale proposito. - Signor conte Lucanor - disse Patronio - affinch in queste circostanze agiate co me mi sembra addirsi a voi, mi piacerebbe molto che sapeste ci che accadde a una rondine con gli altri uccelli. Il conte Lucanor gli disse e chiese come era quello. - Signor conte Lucanor - disse Patronio - la rondine vide che un uomo seminava l ino, e cap per il suo buon intendere che se il lino fosse cresciuto gli uomini av rebbero potuto fare delle reti e trappole con cui prendere gli uccelli. E poi se ne and dagli altri uccelli e li fece radunare, e disse loro come l'uomo seminava quel lino e che stessero pur certi che se quel lino fosse nato ne sarebbe venut o loro un gran danno, e per questo consigli loro di recarsi sul luogo e di sradic are il lino. E le cose sono facili da disfare al principio, e dopo sono molto pi difficili da disfare. E gli uccelli presero questa cosa sottogamba e non la voll ero fare. E la rondine insistette molte volte su questa cosa, fino a quando vide che gli uccelli non si lamentavano, n gliene importava alcunch, e che il lino era gi cresciuto tanto che gli uccelli non lo avrebbero potuto sradicare n con le man i n con i becchi. E quando gli uccelli videro questo, che il lino era cresciuto e che non potevano porre rimedio al danno che sarebbe loro venuto, si pentirono a maramente di non avervi posto rimedio in precedenza. Ma il pentimento giunse in un tempo in cui non potevano pi fare nulla. E prima di ci, quando la rondine vide che gli uccelli non volevano prestare atten zione al danno che sarebbe venuto loro, si diresse dall'uomo e si mise sotto la sua protezione e ottenne garanzie di sicurezza per s e per il proprio lignaggio. E da allora le rondini vivono sotto la protezione degli uomini e sono al sicuro da loro. E gli altri uccelli che non vollero dare ascolto li catturano ogni gior no con reti e con trappole. - E voi, signor conte Lucanor, se volete essere al sicuro da questo gran danno c he dite che vi pu derivare, premunitevi e ponetevi rimedio, prima che il danno vi possa accadere: perch non saggio colui che vede una cosa quando gi accaduta, ma s aggio colui che da un segnale o un movimento qualsiasi capisce il danno che glie ne pu venire e fa quanto in suo potere affinch non gli accada. Al conte questo piacque molto, e fece come gli consigli Patronio, e si trov bene. E poich don Joan intese che questo esempio era buono, lo fece includere in questo libro e compose questi versi che dicono cos: Sin dal principio deve l'uomo allontanare il danno, cos che esso non gli possa venire. E il disegno di questo esempio questo che segue. *** Esempio IX

Di ci che accadde a due cavalli con il leone Un giorno parlava il conte Lucanor con Patronio, suo consigliere, in questa guis a: - Patronio, da molto tempo che ho un nemico il quale mi ha procurato molto male, e lo stesso lui ha ricevuto da me di modo che, con le opere e con le volont, sia mo inimicati tra di noi. E ora accaduto questo: che un altro uomo molto pi potent e di noi due sta iniziando alcune cose che ognuno di noi due teme gli possano pr ovocare un grave danno. E ora quel mio nemico mi ha mandato a dire di unirci ass ieme per difenderci da quell'altro che vuole agire contro di noi perch, se entram bi fossimo uniti, certo che ci potremmo difendere; e se uno di noi si allontana dall'altro, chiaro che chiunque di noi voglia distruggere quello di cui abbiamo timore, lo pu fare facilmente. E quando fosse distrutto uno di noi, chiunque di n oi rimanesse, potrebbe essere distrutto con grande facilit. E ora ho dei gravi du bbi in questo caso perch da una parte temo molto che quel mio nemico mi voglia in gannare, e una volta che fossi in suo potere non sarei sicuro della mia vita; e se sorgesse una grande amicizia tra di noi, non si pu fare a meno che io mi fidi di lui, e lui di me. E questo suscita in me gravi preoccupazioni. D'altra parte, capisco che se non fossimo amici come egli mi manda a chiedere, ci pu venire un grave danno nel modo che vi ho gi detto. E per la grande fiducia che ho in voi e nel vostro buon intendimento, vi chiedo di consigliarmi su cosa devo fare a ques to proposito. - Signor conte Lucanor - disse Patronio - questo evento molto importante e molto pericoloso, e perch capiate meglio cosa dovreste fare, mi piacerebbe che sapeste quanto accadde in Tunisia a due cavalieri che vivevano con l'infante don Enriqu e. Il conte gli chiese a cosa si riferisse. - Signor conte - disse Patronio - due c avalieri che vivevano con l'infante don Enrique erano entrambi molto amici e ris iedevano sempre in una locanda. E questi cavalieri non avevano pi di un cavallo p er ciascuno, e cos come i cavalieri si volevano molto bene, i cavalli si volevano molto male. E i cavalieri non erano tanto ricchi da poter mantenere due locande e per l'astio tra i due cavalli non potevano alloggiare in un'unica locanda, e per questo dovevano vivere una vita molto molesta. E poich questo perdur per un ce rto tempo, e videro che non lo potevano pi sopportare, raccontarono l'accaduto a don Enrique e gli chiesero di grazia che gettasse quei cavalli a un leone che av eva il re di Tunisi. Don Enrique li ringrazi molto per quanto gli dissero, e parl con il re di Tunisi. E i cavalli furono pagati molto bene ai due cavalieri, e li misero in un recinto dove si trovava il leone. Quando i cavalli si videro nel recinto, prima che il leone uscisse dalla gabbia dove giaceva rinchiuso, iniziarono ad attaccarsi in m odo molto violento. E durante questo loro combattimento fu aperta la porta della gabbia in cui si trovava il leone, e quando usc nel recinto e i cavalli lo vider o, incominciarono a tremare molto forte e poco a poco si avvicinarono l'uno all' altro. E quando furono entrambi vicini l'un l'altro, rimasero cos un gran pezzo e si diressero entrambi verso il leone e gli assestarono dei tali morsi e calci c he il leone si dovette rinchiudere per forza nella gabbia da cui era uscito. E i cavalli rimasero illesi, poich il leone non pot fare loro alcun male. E da allora quei cavalli furono cos affiatati tra di loro che mangiavano volentieri in un'un ica mangiatoia e stavano insieme in una stalla molto piccola. E questo affiatame nto tra di loro fu dovuto alla gran paura che avevano avuto del leone. - E voi, signor conte Lucanor, se credete che quel vostro nemico abbia una tale paura di quell'altro che teme e abbia un bisogno tale di voi per cui per forza d ebba dimenticare tutto ci che di male accadde tra voi e lui, e capisca che senza di voi non si pu difendere bene, ritengo che cos come i cavalli si avvicinarono l' un l'altro poco a poco fino a perdere il timore che li divideva e furono ben sic uri l'uno dell'altro, cos voi dovreste poco a poco prendere fiducia e familiarit c on quel vostro nemico. E se vedete che lui opera sempre bene ed leale, in modo t ale che siate certo che in nessun momento, per bene che vada, non vi verr mai del male da lui, allora farete bene e sar vostro vantaggio aiutarvi tra di voi, perc h l'altro uomo non si impadronisca di voi n vi distrugga. Perch molto gli uomini de

vono fare e sopportare dai loro parenti e vicini per non essere maltrattati dagl i altri estranei. Ma se vedete che quel vostro nemico tale o in tal modo che dop o aver ricevuto il vostro aiuto in modo da uscire grazie a voi da quel pericolo, e dopo aver messo in salvo i suoi beni, che si metterebbe contro di voi e non p otreste essere sicuro di lui; se lui fosse tale, non sarebbe molto sensato che v oi lo aiutaste, anzi credo che lo dovreste evitare quanto pi potete perch se vedes te che, essendo lui in una tale preoccupazione, non vuole dimenticare la cattiva volont nei vostri confronti, e se capiste che ve la tiene in serbo per quando do vesse giungere il momento in cui ve la potrebbe fare, capite bene che non vi d mo do di fare alcunch perch voi lo aiutiate a uscire da quel grave pericolo in cui si trova. Al conte piacque molto quanto gli disse Patronio, e pens che gli dava un buon con siglio. E poich comprese don Joan che questo esempio era buono, lo fece scrivere in quest o libro e compose questi versi che dicono cos: Guardatevi dall'essere conquistato dall'estraneo, essendo il vostro bene fuori di danno. E il disegno di questo esempio questo che segue. *** Esempio XI Di quanto accadde a un decano di Santiago con don Ylln, il gran maestro di Toledo Un altro giorno parlava il conte Lucanor con Patronio, e gli raccontava il suo p roblema in questo modo: - Patronio, un uomo venne a chiedermi che lo aiutassi in un fatto per il quale g li era necessario il mio aiuto, e mi promise che avrebbe fatto per me ogni cosa che fosse a mio vantaggio e in mio onore. E io iniziai ad aiutarlo quanto potevo in quell'occasione. E prima che l'alterco venisse a terminare, ritenendo che la sua contesa fosse gi risolta, accadde una cosa che sarebbe stato meglio se lui l 'avesse fatta per me, e gli chiesi di farla ed egli interpose una scusa. E dopo accadde un'altra cosa che avrebbe potuto fare per me, ed egli prese una scusa co me quell'altra; e questo avvenne con tutto quanto gli chiesi di fare per me. E q uel fatto per cui chiese il mio intervento, non ancora risolto, n lo sar mai se io non vorr. E per la fiducia che io ho in voi e nel vostro buon intendimento vi ch iedo di consigliarmi su cosa fare in questa situazione. - Signor conte - disse Patronio - a Santiago c'era un decano che aveva un grande desiderio di conoscere l'arte della magia nera, e sent dire che don Ylln di Toled o ne sapeva pi di chiunque altro in quel tempo; e per questo venne a Toledo per a pprendere quella scienza. E il giorno in cui giunse a Toledo si diresse subito v erso la casa di don Ylln e lo trov che stava leggendo in una camera molto appartat a; e non appena giunse da lui, questi lo ricevette molto bene e gli disse che no n voleva che gli svelasse nulla sul motivo per cui era andato fin da lui fino a che non avesse mangiato. E si prese molta cura di lui e gli fece condurre pietan ze molto buone e tutto quello che gli fu necessario, e gli diede ad intendere ch e era molto contento del suo arrivo. E dopo che ebbero mangiato, si appart con lui e gli raccont il motivo per cui era venuto l, e gli chiese con gran insistenza di mostrargli quella scienza che egli aveva un gran desiderio di apprendere. E don Ylln gli disse che egli era decano e uomo di grandi capacit e che poteva arrivare a un grande stato e disse gli uomin i che hanno un grande stato, una volta che hanno ottenuto tutto ci che volevano r aggiungere, dimenticano molto rapidamente ci che gli altri hanno fatto per loro, per questo egli aveva paura che, una volta che avesse imparato da lui tutto quel lo che voleva sapere, non gli avrebbe fatto tutto il bene che ora gli prometteva . E il decano gli promise e gli assicur che di qualsiasi bene avrebbe guadagnato, non ne avrebbe fatto altro se non quello che lui gli comandava.

E si trattennero a parlare di queste cose da quando ebbero mangiato sino a ora d i cena. Quando la loro conversazione port a un accordo tra di loro, disse don Ylln al decano che quella scienza non la si poteva apprendere se non in un luogo mol to appartato e che pi tardi quella notte voleva mostrargli dove dovevano stare fi no a quando non avesse appreso quello che voleva sapere. E lo prese per mano e l o port in una camera. E separandosi dalle altre persone, chiam una domestica di ca sa sua e le disse di organizzare affinch mangiassero pernici quella sera a cena, ma di non metterle ad arrostire fino a quando non glielo avesse detto lui. E quando ebbe detto ci, chiam il decano; ed entrarono entrambi per una scala di pi etra molto ben lavorata e scesero da essa per un gran pezzo, di modo che sembrav a che fossero cos bassi che il fiume Tago scorresse sopra di loro. E quando furon o alla fine della scala, trovarono una stanza molto bella e una camera molto acc ogliente che c'era l, dove si trovavano i libri e lo studio in cui dovevano legge re. Da quando si sedettero, si misero a pensare da quali libri dovevano comincia re. Ed essendo impegnati in questo, entrarono due uomini dalla porta e gli diede ro una lettera che gli inviava l'arcivescovo suo zio, in cui gli faceva sapere c he era gravemente ammalato e gli mandava a dire che se lo voleva vedere vivo dov eva recarsi velocemente da lui. Il decano fu molto rattristato da questa notizia : da una parte per la malattia di suo zio, e dall'altra perch temeva di dover las ciare il suo studio che aveva iniziato. Ma decise in cuor suo che non avrebbe la sciato quello studio cos facilmente, e scrisse le sue lettere di risposta e le in vi all'arcivescovo suo zio. E di l a tre o quattro giorni arrivarono altri uomini a piedi che portavano altre lettere al decano in cui gli facevano sapere che l'arcivescovo suo zio era mort o, e che tutti quelli della chiesa stavano facendo la loro scelta e che confidav ano per la grazia di Dio che avrebbero scelto lui, e per questa ragione che non si preoccupasse di andare alla chiesa, perch era meglio per lui che lo eleggesser o quando era altrove, piuttosto che quando era alla chiesa. E di l in capo a sette o otto giorni, vennero due scudieri molto ben vestiti e mo lto ben agghindati, e quando giunsero a lui gli baciarono la mano e gli mostraro no le carte di come era stato eletto arcivescovo. Quando don Ylln ud ci, and dall'el etto e gli disse che ringraziava molto Dio perch queste buone nuove gli arrivavan o in casa sua, e poich Dio gli aveva fatto tanto bene, gli chiedeva in mercede ch e il decanato che era rimasto vacante lo concedesse a un suo figlio. E l'eletto gli disse che lo pregava di voler acconsentire a che quel decanato lo avesse un suo fratello; ma che avrebbe fatto in modo di soddisfarlo, e che gli chiedeva di andare con lui a Santiago e di portare con s quel suo figlio. Don Ylln disse che lo avrebbe fatto. Partirono per Santiago. Quando vi giunsero furono ricevuti mol to bene e con grandi onori. E dopo che ebbero risieduto l per qualche tempo, un g iorno giunsero all'arcivescovo dei messi del Papa con le sue lettere di come gli concedeva il vescovado di Tolosa, comunicando che lo autorizzava ad accordare l 'arcivescovado a chi desiderasse. Quando don Ylln ud questo, rinfacciandogli con f ermezza quanto aveva passato con lui, gli chiese la grazia di lasciarlo a suo fi glio; e l'arcivescovo lo preg di acconsentire a che l'avesse un suo zio, fratello di suo padre. E don Ylln disse che capiva bene che gli faceva un grave torto, ma che per questa volta glielo consentiva purch fosse sicuro che vi avrebbe posto r imedio in seguito. E l'arcivescovo gli promise in tutti i modi che lo avrebbe fa tto, e lo preg di andare con lui a Tolosa e di portare suo figlio. E quando arrivarono a Tolosa furono ricevuti molto bene da conti e da quanti ari stocratici vi erano sulla terra. E quando ebbero risieduto l per due anni, giunse ro i messaggeri del Papa con le sue lettere di come il Papa lo faceva cardinale, e come gli faceva la grazia di poter lasciare il vescovado di Tolosa a chi vole va lui. Allora and da lui don Ylln e gli disse che, visto che tante volte era venu to meno a quanto accordato tra di loro, ora non era pi luogo di frapporre nessuna scusa per non concedere qualcuna di quelle dignit a suo figlio. E il cardinale g li chiese di acconsentire a che avesse quel vescovado un suo zio, fratello di su a madre, che era un uomo buono e anziano; ma, visto che era diventato cardinale, che andasse con lui alla Corte, dove avrebbe avuto molte possibilit di fargli de l bene. E don Ylln si lament molto, ma acconsent a fare ci che voleva il cardinale, e and con lui a Corte.

E quando vi giunsero, furono ben ricevuti dai cardinali e da quanti erano a Cort e, e vi risiedettero per un gran tempo. E don Ylln continuava a fare ogni giorno pressioni sul cardinale affinch concedesse qualche grazia a suo figlio, e il card inale frapponeva delle scuse. E stando cos nella Corte, mor il Papa; e tutti i cardinali elessero quel cardinale come Papa. Allora don Ylln and da lui e gli disse che oramai non poteva pi cercare delle scuse per non adempiere a quanto aveva promesso. Il Papa gli disse che no n lo pressasse tanto, perch ci sarebbe sempre stato modo per fargli qualche grazi a in base a quanto gli spettava. E don Ylln inizi a lamentarsi molto, ricordandogl i quante cose gli aveva promesso e come non ne aveva mai mantenuta nessuna, e di cendogli questo si pent della prima volta in cui gli parl, e poich era giunto a que llo stato e ancora non manteneva quanto gli aveva promesso, oramai non gli riman eva nessuna speranza di ricevere mai da lui nessun bene. Il Papa brontol molto pe r questa lamentela, e inizi a maltrattarlo dicendo che se lo avesse importunato a ncora lo avrebbe fatto gettare in carcere, che era eretico e incantatore, che sa peva bene che a Toledo, dove viveva, non conduceva altra vita n altro mestiere se non quell'arte della magia nera. Quando don Ylln vide come lo ricompensava male il Papa per quanto aveva fatto per lui, se ne and e il Papa non gli volle dare ne mmeno di che mangiare lungo la strada. Allora don Ylln disse al Papa che poich non aveva altro di che mangiare, sarebbe dovuto tornare alle pernici che aveva fatt o arrostire quella notte, e chiam la donna e le disse di arrostire le pernici. Qu ando don Ylln disse questo, il Papa si trov a Toledo, decano di Santiago, come era quando giunse l, e la vergogna che prov era talmente grande che non sapeva cosa d irgli. E don Ylln gli disse che se ne andasse con buona sorte, poich aveva provato abbastanza quanto aveva dentro di s, e considerava uno spreco che mangiasse dell e sue pernici. E voi, signor conte Lucanor, poich vedete che fate tanto per quell'uomo che vi ch iede aiuto e non vi ringrazia tanto per ci che fate, credo che non abbiate nessun o motivo per cui affaticarvi n avventurarvi molto per dargli occasione di ripagar vi come fece il decano di Santiago con don Ylln. E il conte consider questo un buon consiglio, e fece cos, e si trov bene. E perch don Joan intese che questo era un esempio molto buono, lo fece mettere in questo libro e compose questi versi che dicono cos: Da colui che aiuti molto e non te ne ringrazia, da lui avrai meno aiuto quando assurger a grandi onori. E il disegno di questo esempio questo che segue *** Esempio XII Di ci che accadde a una volpe con un gallo Il conte Lucanor parlava con Patronio, suo consigliere, una volta in questa guis a: - Patronio, voi sapete che, dando lode a Dio, la mia terra molto grande e non tu tta unita insieme. E sebbene sia padrone di molti luoghi che sono molto forti, n e ho alcuni che non lo sono tanto e sono altres padrone di alcuni che sono gi alqu anto lontani dalla mia terra in cui ho maggior potere. E quando trovo da dire co n i miei signori e con i miei vicini che hanno pi potere di me, molte persone che mi si dicono amiche e molte altre che si erigono a miei consiglieri mi fanno ve nire grandi timori e grandi spaventi e mi consigliano di non stare assolutamente in quei luoghi appartati, ma dicono che mi raccolga e stia nei luoghi pi forti e che sono ben saldamente sotto il mio potere; e, poich io so che voi siete molto leale e sapete molto di tali cose, vi chiedo di consigliarmi su ci che vi pare ch e io debba fare in questa faccenda. - Signor conte Lucanor - disse Patronio - nei grandi eventi e in quelli molto du bbi sono estremamente pericolosi i consigli, poich nella maggior parte dei consig li le persone non possono parlare con sicurezza, perch non si pu essere sicuri di

come risponderanno gli eventi; perch molte volte vediamo che un uomo si preoccupa di una cosa e poi deve far fronte ad un'altra, perch ci che l'uomo considera un m ale alle volte si rivela un bene, e ci che considera un bene alle volte si trasfo rma in male: per questo colui che deve dare consiglio, sempre che sia persona le ale e di buone intenzioni, si trova in una posizione molto difficile quando deve dare consigli, poich se il consiglio che d produce un esito positivo, non riceve nessun ringraziamento se non che si dica che ha fatto il suo dovere nel dare un buon consiglio, e se il consiglio non porta a nulla di buono, il consigliere ne deriva sempre danno e vergogna. E per questo, questo consiglio, in cui vi sono m olti dubbi e molti pericoli, mi piacerebbe di cuore se potessi evitare di darlo, ma poich volete che vi consigli, e non posso fare a meno, vi dico che vorrei mol to che sapeste quanto accadde a un gallo con una volpe. Il conte chiese di spiegargli meglio a cosa si riferiva. - Signor conte - disse Patronio - un buon uomo aveva una casa in montagna e, tra le altre cose che allevava in casa sua, teneva sempre molte galline e molti gal li. E accadde che uno di quei galli andava un giorno lontano da casa per un camp o, e andando senza preoccupazioni, lo vide una volpe e si avvicin con molta caute la, pensando di prenderlo. E il gallo la sent e sal su di un albero che era gi alqu anto lontano dagli altri. E quando la volpe cap che il gallo era in salvo, si dis piacque molto di non poterlo prendere e pens quale modo poteva escogitare per pre nderlo. E allora si diresse all'albero, e inizi a chiedergli e a lusingarlo e ad assicurarlo di scendere e di andare per il campo come era solito fare, ma il gal lo non volle. E quando la volpe si rese conto che con nessuna lusinga sarebbe ri uscita ad ingannarlo, incominci a minacciarlo, dicendogli che, poich non si fidava di lei, avrebbe trovato il modo per far s di causargli dei problemi. E il gallo, capendo di essere in salvo, non dava la minima importanza alle sue minacce e al le sue assicurazioni. E quando la volpe si rese conto che con tutti questi modi non lo poteva ingannar e, si diresse all'albero e inizi a roderlo con i denti e ad assestargli fortissim i colpi con la coda. E il povero gallo si spavent senza motivo, non prestando att enzione a come quella paura che provocava la volpe non lo potesse danneggiare, e si spavent inutilmente e volle fuggire agli altri alberi dove pensava di essere pi sicuro e, visto che non poteva arrivare al monte, arriv a un altro albero. E qu ando la volpe cap che si spaventava senza motivo, prese a seguirlo e cos lo port di albero in albero fino a che lo fece uscire dal monte e lo prese, e se lo mangi. E voi, signor conte Lucanor, poich dovete affrontare grandi cose e dovete prepara rvi a questo, necessario che non abbiate mai paura senza ragione, n che vi spaven tiate inutilmente per le minacce, n per quanto dicano alcune persone, che non vi fidiate di una cosa da cui vi pu venire un grave danno n un gran pericolo, e lotti ate sempre per difendere e proteggere i luoghi pi reconditi della vostra terra, e che non crediate che un uomo come voi possa essere in qualche pericolo perch il luogo non molto forte, sempre che abbia uomini e cibo. E se per la paura ed il t imore inutile doveste lasciare i luoghi pi estremi della vostra terra, siate sicu ro che in tal modo vi porteranno di luogo in luogo fino a quando non vi avranno tolto tutto; poich quanto pi voi e i vostri vi mostrerete spaventati e impauriti n el lasciare le vostre terre, tanto pi i vostri avversari si sforzeranno di prende rvi ci che vostro. E quanto pi voi e i vostri vedrete i vostri avversari sforzarsi , tanto pi vi spaventerete, e cos andr avanti la contesa fino a quando non vi sar ri masto nulla al mondo; ma se resisterete bene sulla prima cosa, sarete sicuro, co me sarebbe stato il gallo se fosse rimasto sul primo albero, e credo che converr ebbe a tutti coloro che possiedono fortezze essere informati su questo esempio, perch cos non si spaventerebbero senza motivo quando gli fanno paura con l'inganno , o con fossati, o con macchine da guerra, o con altre cose che non farebbero ma i se non per spaventare chi si trova circondato. E vi dir di pi affinch vediate che vi dico la verit. Un luogo non si pu mai prendere se non salendone le mura con de lle scale o scavando le mura; ma se il muro alto non vi potranno arrivare con le scale. E per scavarlo, credete bene che avranno bisogno di molto tempo libero c oloro che lo dovranno scavare. E cos, tutti i luoghi che sono conquistati, vengon o presi o per la paura o per qualche errore degli accerchiati, e il resto per ti more immotivato. E certamente, signor conte, le persone come voi, e anche gli al

tri che non sono cos importanti quanto voi, prima di intraprendere una cosa, la d evono guardare e affrontare con grande cautela, non potendo n dovendo farne a men o. Ma una volta iniziata la contesa, necessario che non vi spaventiate inutilmen te per nessuna cosa al mondo; anzi, dovete agire poich certo che di coloro che si trovano in pericolo, si salvano pi coloro che combattono di coloro che fuggono. Cos, prestate attenzione perch se un cagnolino a cui sta dando la caccia un alano, se ne sta tranquillo e digrigna i denti, molte volte riesce a fuggire; mentre, per quanto sia un cane grosso, se fugge, viene immediatamente catturato e ucciso . Al Conte piacque molto tutto quanto Patronio gli aveva detto e fece cos, e si tro v molto bene. E poich don Joan lo consider un buon esempio, lo fece includere in questo libro, e compose questi versi che dicono cos: Non ti spaventare per le cose senza ragione, ma difenditi bene da uomo. E il disegno di questo esempio questo che segue. *** Esempio XIII Di ci che accadde a un uomo che prendeva pernici Parlava un'altra volta il conte Lucanor con Patronio, suo consigliere, e gli dis se: - Patronio, alcuni uomini di nobile stirpe, e altri che lo sono meno, alle volte mi procurano fastidi e danni nelle mie propriet e nelle mie genti, e quando si t rovano davanti a me, mi danno ad intendere che sono molto dispiaciuti perch lo ha nno dovuto fare, e dicono di non averlo fatto se non per un grande bisogno e per grandi preoccupazioni, e non potendone fare a meno. E poich io vorrei sapere ci c he devo fare quando mi fanno tali cose, vi chiedo di dirmi cosa ve ne pare di qu esta faccenda. - Signor conte Lucanor - disse Patronio - questo che voi dite che vi accade, e s u cui mi domandate consiglio assomiglia molto a ci che accadde ad un uomo che pre ndeva pernici. Il conte gli chiese di spiegare a cosa si riferisse. - Signor conte - disse Patronio - un uomo stese le sue reti alle pernici; e quan do le pernici furono cadute nella rete, quello che le cacciava giunse alla rete dove giacevano le pernici; e via via che le andava prendendo, le uccideva e le t oglieva dalla rete, e uccidendo le pernici, gli andava un vento cos forte negli o cchi che lo faceva lacrimare. E una delle pernici che era viva nella rete incomi nci a dire alle altre: "Vedete, amiche, ci che fa quest'uomo! Sebbene ci uccida, s appiate che molto addolorato per noi, e per questo sta piangendo!" E un'altra pernice che era l vicino, pi sapiente di lei, e che con la sua sapienza si era guardata dal cadere nella rete, le rispose cos: "Amica, ringrazio molto D io perch mi ha salvato, e prego Dio che protegga me e tutte le mie amiche da colu i che mi vuole uccidere e fare del male e mi d ad intendere che si rattrista del mio danno." E voi, signor conte Lucanor, guardatevi sempre da colui che vedete che vi infast idisce e d ad intendere di essere dispiaciuto per ci che fa; ma se qualcuno vi inf astidisse, non per provocarvi danno o disonore, e il fastidio non fosse cosa che vi danneggia molto, e l'uomo fosse uno da cui avete ricevuto servizi e aiuti, e lo facesse lamentandosi e per il bisogno, in tali occasioni vi consiglio di chi udere un occhio, ma in modo tale che non lo faccia molte volte, per cui ve ne de rivi un danno o una vergogna; ma se lo facesse altrimenti contro di voi, allonta natelo in modo tale che i vostri beni e il vostro onore siano sempre al sicuro. Il conte prese come un buon consiglio questo che Patronio gli dava, e fece cos, e si trov bene. E don Joan, avendo capito che questo esempio era molto buono, ordin di includerlo

in questo libro e compose questi versi che dicono cos: Chi ti fa del male mostrando un gran dispiacere, pensa a come ti puoi proteggere da lui. E il disegno di questo esempio questo che segue. *** Esempio XIV Del miracolo che fece San Domenico quando predico sull'usuraio Un giorno parlava il conte Lucanor con Patronio nella sua terra, e gli disse: - Patronio, alcuni uomini mi consigliano di mettere assieme il maggior tesoro po ssibile e dicono che questo mi conviene pi tutto per qualsiasi cosa mi potesse su ccedere. E vi chiedo che mi diciate quello che pensate a tale proposito. - Signor conte - disse Patronio - sebbene ai grandi signori come voi si convenga avere qualche tesoro per molti fini e segnatamente perch non tralasciate, per ma ncanza di beni, di fare tutte quelle cose che vi si addicono; non pensiate di do ver mettere assieme questo tesoro in modo da dedicare tutta la vostra volont a ra ccogliere un gran tesoro e tralasciare di fare ci che dovete alle vostre genti e in protezione del vostro onore e del vostro stato, perch se lo faceste, vi potreb be succedere lo stesso che accadde a un lombardo a Bologna. Il conte gli chiese di raccontare a cosa si riferisse. - Signor conte - disse Patronio - a Bologna c'era un lombardo che mise insieme u n gran tesoro senza prestare attenzione a se aveva origini buone oppure no, preo ccupandosi solo di ammucchiarlo in qualsiasi modo possibile. Il lombardo si amma l di una malattia mortale, e un suo amico, quando lo vide sul punto di morte, gli consigli di confessarsi a San Domenico, il quale si trovava allora a Bologna. E il lombardo lo volle fare. E quando andarono a chiamare San Domenico, intese San Domenico che non era volon t di Dio che quell'uomo cattivo non soffrisse la pena per il male che aveva fatto , e non volle andare da lui, ma ci mand un frate che andasse l. Quando i figli del lombardo seppero che aveva mandato a chiamare San Domenico, ne furono molto dis piaciuti, temendo che San Domenico avrebbe fatto s che loro padre desse tutto qua nto aveva per salvare la sua anima, cos che non sarebbe rimasto nulla per loro. E quando arriv il frate, gli dissero che loro padre era agonizzante, ma che non ap pena fosse il caso lo avrebbero fatto chiamare. Poco dopo il lombardo perse la parola e mor, di modo che non fece nulla di quanto era necessario per la sua anima. Il giorno dopo, quando lo portarono a seppelli re, pregarono San Domenico di predicare su quel lombardo. E San Domenico lo fece . E quando durante la predica dovette parlare di quell'uomo, disse una parabola che si trova nel Vangelo, la quale recita cos: Ubi est tesaurus tuus ibi est cor tuum. Che vuol dire: "Dove il tuo tesoro, l il tuo cuore". E mentre diceva cos, si rivolse verso le persone e disse loro: - Amici, affinch vediate che la parola del Vangelo veritiera, fate cercare il cuo re di quest'uomo e io vi dico che non sar trovato nel suo corpo, bens lo troverann o nella cassa che conteneva il suo tesoro. Allora andarono a cercare il cuore nel corpo e non ve lo trovarono, e lo trovaro no nella cassa come aveva detto loro San Domenico. Ed era pieno di vermi e puzza va peggio di qualsiasi altra cosa cattiva, per putrefatta che fosse. E voi, signor conte Lucanor, sebbene il tesoro sia buono, come gi stato detto, st ate attento a due cose: una, che il tesoro che mettete assieme sia di buona orig ine; l'altra, di non mettere il vostro cuore nel tesoro in modo tale da fare ci c he non vi convenga fare; n tralasciate nulla del vostro onore, n di quanto dovete fare per accumulare un gran tesoro di opere buone attraverso il quale avrete la grazia di Dio e buona fama tra la gente. Al conte piacque molto questo consiglio che Patronio gli diede, e fece cos, e ne trasse beneficio.

E don Joan, considerando che questo esempio era molto buono, lo fece scrivere in questo libro e compose questi versi che dicono cos; Guadagnati il tesoro vero e guardati da quello perituro. E il disegno di questo esempio questo che segue *** Esempio XIX Di ci che accadde ai corvi con i gufi Parlava un giorno il conte Lucanor con Patronio, suo consigliere, e gli disse: - Patronio, io sono in lite con un uomo molto potente, e quel mio nemico aveva i n casa propria un suo parente e suo domestico, e uomo a cui aveva fatto molto be ne. E un giorno, per cose che accaddero tra di loro, quel mio nemico fece molto male e molto disonore a quell'uomo verso cui aveva tante obbligazioni. E vedendo il male che aveva ricevuto, e volendo cercare un modo per vendicarsi, venne da me, e io credo che sia un gran vantaggio per me, poich egli mi pu disilludere e ri velarmi come posso pi facilmente arrecare un danno a quel mio nemico. Ma, per la grande fiducia che ho in voi e nella vostra saggezza, vi prego di consigliarmi s ul da farsi in questa circostanza. - Signor conte Lucanor - disse Patronio - innanzi tutto vi dico che quest'uomo n on venuto a voi se non per ingannarvi; e affinch sappiate il modo del suo inganno , mi piacerebbe che sapeste quanto accadde ai gufi e ai corvi. Il conte gli chiese di raccontare ci a cui si riferiva. - Signor conte Lucanor - disse Patronio - i corvi e i gufi erano in asperrima lo tta tra di loro, ma i corvi stavano avendo la peggio. E i gufi, poich loro costum e vagare di notte, e di giorno starsene nascosti in grotte molto difficili da sc ovare, giungevano di notte agli alberi dove albergavano i corvi e ne uccidevano molti, e causavano loro gravi danni. E visto che i corvi ricevevano danni cos gra vi, un corvo molto sapiente che era tra loro e che si doleva molto del male che aveva ricevuto dai gufi suoi nemici, parl con i corvi suoi parenti e trov questa m aniera per potersi vendicare. E la maniera fu la seguente: che i corvi lo spennarono tutto, fatta eccezione pe r poche piume sulle ali con le quali volava molto male e molto poco. E quando fu cos malridotto, si diresse dai gufi e disse loro il male e il danno che gli avev ano fatto i corvi, in particolare perch aveva detto loro che non voleva essere co ntro i gufi e svel che, poich lo avevano conciato cos male, se loro volevano, avreb be mostrato loro molti modi per vendicarsi dei corvi e fare loro molto danno. Qu ando i gufi udirono ci, ne furono molto contenti e ritennero che grazie a questo corvo che stava dalla loro parte, tutta la faccenda si sarebbe risolta, e cominc iarono a fare molto bene al corvo e a confidargli tutte le loro faccende e i lor o segreti. Tra gli altri gufi, ce n'era uno che era molto vecchio e aveva passato molte vic issitudini, e quando vide questo fatto del corvo comprese l'inganno che aveva ma cchinato il corvo e si rec dal capo dei gufi e gli disse di star certo che quel c orvo non si era recato da loro se non per arrecare loro un danno e per essere me sso al corrente delle loro faccende e consigli di cacciarlo dal territorio dei gu fi. Ma questo gufo non fu creduto dagli altri gufi, e quando vide che non voleva no credergli, li lasci e si rec in una terra dove i corvi non lo potessero trovare . E gli altri gufi pensarono bene del corvo. E quando gli furono ricresciute le piume, disse ai corvi che, visto che poteva volare, sarebbe andato a cercare dov e stavano i corvi e sarebbe tornato a riferirlo, di modo che si potessero unire e andare a distruggerli tutti. Ai gufi piacque molto tutto questo. E quando il corvo fu con gli altri corvi, si unirono molti di loro e, sapendo tu tto a proposito dei gufi, andarono da loro di giorno quando essi non volano, e p oich essi si sentivano al sicuro e senza preoccupazioni, i corvi ne uccisero e di strussero tanti al punto che risultarono vincitori di tutta la guerra. E tutto q

uesto male venne ai gufi perch si erano fidati del corvo che per natura era loro nemico. E voi, signor conte Lucanor, poich sapete che quest'uomo che venuto a voi molto i n debito con quel vostro nemico e per natura lui e tutto il suo lignaggio sono v ostri nemici, io vi consiglio di non portarlo con voi assolutamente, perch potete stare certo che non venuto a voi se non per ingannarvi e per farvi qualche dann o. Ma se lui volesse servirvi essendo lontano da voi, di modo che non vi possa a rrecare danno alcuno, n sapere nulla sui vostri beni, e di fatto compisse tali ma li e tali offese contro quel vostro nemico con cui egli ha qualche debito, di mo do tale che vediate che non gli rimane occasione alcuna per potersi mai pi rappac ificare con lui, allora vi potrete fidare di lui, ma sempre fidatevi di lui fint anto che non ve ne possa venire alcun danno. Il conte consider questo un buon consiglio, e fece cos e ne fu soddisfatto. E poich don Joan ritenne che questo esempio era molto buono, lo fece scrivere in questo libro e fece questi versi che dicono cos: A colui che suole essere tuo nemico, non voler mai credere troppo. E il disegno di questo esempio questo che segue. *** Esempio XX Di ci che accadde a un re con un uomo che disse che gli avrebbe fatto dell'alchimia Un giorno parlava il conte Lucanor con Patronio, suo consigliere, in questa mani era: - Patronio, un uomo venuto a me e mi ha detto che mi avrebbe fatto guadagnare mo lti vantaggi e molti onori, e per far questo aveva bisogno di avere qualcosa di mio con cui incominciare questo fatto poich, quando tutto fosse concluso, per ogn i denaro ne avrei avuti dieci. E per la saggezza che Dio vi ha concesso, vi preg o di dirmi ci che ritenete che io debba fare in questa circostanza. - Signor conte, affinch facciate in questo caso ci che sarebbe a vostro maggiore b eneficio, mi piacerebbe che sapeste quanto accadde a un re con un uomo che dicev a di saper fare alchimia. Il conte gli chiese di spiegare a cosa si riferisse. - Signor conte Lucanor - disse Patronio - un uomo era un gran imbroglione e avev a un gran desiderio di arricchirsi e di lasciare quella mala vita in cui si trov ava. E quell'uomo seppe che un re che non era troppo saggio si sforzava di fare dell'alchimia. E quell'imbroglione prese cento doppie e le lim, e di quelle limature fece, con a ltre cose che mise in esse, cento palle e ognuna di quelle palle pesava una dopp ia e ancora di pi le altre cose che egli mescol con le limature delle doppie. E si mise in cammino verso una citt dove si trovava il re, e si vest di panni molto ri spettabili e port quelle palle e le vendette a uno speziale. E lo speziale chiese per che cosa erano quelle palle, e l'imbroglione gli disse che servivano a molt e cose, e soprattutto che senza di esse non si poteva fare alchimia, e gli vende tte tutte quelle palle per la somma di due o tre doppie. E lo speziale gli chies e come si chiamavano quelle palle e l'imbroglione gli disse che avevano nome tab ardie. E quell'imbroglione risiedette per qualche tempo in quella citt come un uo mo rispettabile e and in giro dicendo agli uni e agli altri, a mo' di gran segret o, che sapeva fare l'alchimia. E queste notizie giunsero al re, che lo fece chia mare e gli chiese se sapeva fare l'alchimia. E l'imbroglione, sebbene facesse fi nta di volersi nascondere e di non saperla, alla fine lasci intendere che sapeva farla, ma disse al re che gli consigliava di non parlare di questo fatto con ani ma viva, n di rischiare molti suoi averi; ma se voleva avrebbe provato di fronte a lui un po' di alchimia e gli avrebbe mostrato quello che ne sapeva. Il re lo r ingrazi molto di questo e ritenne, in base a queste parole, che non ci poteva ess ere nessun inganno. Allora fece portare le cose che voleva, ed erano cose che si

potevano trovare, e tra le altre ordin che gli portassero una palla di tabardie. E tutte le cose che fece portare non costavano pi di due o tre denari. Dopo che le ebbero portate e fuse di fronte al re, ne usc il peso di una doppia di oro pur o. E quando il re vide che da una cosa che costava due o tre denari ne usciva un a doppia, fu molto allegro e si consider il pi fortunato del mondo, e disse all'im broglione che aveva fatto questo, che il re pensava che era un buon uomo, e che ne facesse ancora. E l'imbroglione rispose come se non ne sapesse altro: - Signore, io vi ho gi mostrato tutto quello che sapevo su questo argomento, e d' ora in poi voi lo farete altrettanto bene quanto me; ma dovete sapere una cosa: se dovesse mancare una qualsiasi di queste cose, non si potr fare quest'oro. E qu ando ebbe detto ci, salut il re e si diresse a casa propria. Il re tent di fare l'o ro senza quel maestro, e raddoppi la ricetta e ottenne il peso di due doppie d'or o. Un'altra volta raddoppi la ricetta e ottenne il peso di quattro doppie d'oro, e man mano che cresceva la ricetta andava aumentando il peso delle doppie. Quand o il re vide che poteva fare tutto l'oro che voleva, ordin che gli venissero port ati tanti di quegli ingredienti da poter fare mille doppie. E trovarono tutte le altre cose, ma non trovarono il tabardie. Quando il re vide che, poich mancava i l tabardie, non si poteva fare l'oro, fece chiamare colui che gli aveva insegnat o a farlo e gli disse che non riusciva pi a fare l'oro come era solito. Ed egli g li chiese se aveva tutte le cose che gli aveva dato per iscritto. E il re disse di s, tranne che gli mancava il tabardie. Allora gli disse l'imbroglione che, qualsiasi cosa mancasse, non si poteva fare l'oro, e che questo lo aveva detto sin dal primo giorno. Allora il re chiese al saggio se sapeva dove si trovasse questo tabardie e l'imb roglione disse di s. Allora il re gli ordin che, poich sapeva dove era, che lo andasse a prendere e ne portasse tanto da poter fare tutto l'oro che voleva. L'imbroglione gli disse che sebbene altre persone lo avrebbero potuto fare altre ttanto bene se non meglio di lui, tuttavia sarebbe andato a prenderlo al suo pae se dove ce n'era molto, e questo a patto che il re gli avesse riconosciuto il se rvizio resogli. Allora il re cont quanto gli potevano costare l'acquisto e le alt re spese e mise assieme una grossa quantit di averi. E quando l'imbroglione ebbe tutto in suo potere, part per la sua strada e non tor n mai dal re. E cos il re venne ingannato per la sua poca saggezza. E quando vide che tardava pi del dovuto, il re mand delle persone a casa sua per informarsi se s apevano delle notizie su di lui. E in casa sua non trovarono cosa alcuna a parte una cassa chiusa, e quando la ebbero aperta vi trovarono uno scritto che diceva cos: Sappiate bene che al mondo non esiste tabardie, ma sappiate che vi ho ingan nato, e quando vi ho detto che vi avrei fatto ricco, avreste dovuto dirmi di far e prima ricco me stesso e che poi mi avreste creduto. In capo a qualche giorno, alcuni uomini stavano ridendo e scherzando, e tutti gl i uomini che conoscevano scrivevano, ognuno a modo suo, e dicevano: "I sagaci so no tizio e tizio; e i ricchi tizio e tizio; e i saggi tizio e tizio". E cos via d i tutte le altre cose favorevoli o contrarie. E quando dovettero scrivere gli uo mini di poca lungimiranza, vi scrissero il re. E quando il re lo seppe, li fece chiamare e li assicur che non avrebbe fatto loro alcun male per questo e chiese l oro il motivo per cui lo avevano scritto tra gli uomini di poca lungimiranza. Ed essi risposero che il motivo era per aver dato tutti quegli averi a un uomo est raneo e di cui non aveva nessuna garanzia. E il re disse loro che avevano sbagli ato, e che se fosse tornato l'uomo che aveva preso i beni, lui non sarebbe risul tato un uomo sconsiderato. Ed essi risposero che loro non perdevano nulla con qu el racconto poich qualora l'uomo fosse venuto, avrebbero tolto il re dallo scritt o e vi avrebbero messo quest'uomo. E voi, signor conte Lucanor, se volete che no n vi ritengano una persona sconsiderata, non rischiate per una cosa incerta molt i dei vostri beni, tali da dovervene pentire qualora li doveste perdere per la c onvinzione di trarne un grande vantaggio, quando il tutto in dubbio. Al conte piacque questo consiglio, e fece cos, e ne ebbe un buon esito. E vedendo don Joan che questo esempio era buono, lo fece scrivere in questo libr o e fece questi versi che dicono cos:

Non avventurate molte ricchezze su consiglio di chi in gran povert. E il disegno di quest'esempio questo che segue. *** Esempio XXI Di ci che accadde a un re giovane con un grandissimo filosofo a cui lo aveva affidato suo padre Un'altra volta parlava il conte Lucanor con Patronio, suo consigliere, in questa guisa: - Patronio, cos accadde che io avevo un parente che amavo molto, e quel parente m or e lasci un figlio molto piccolo, e questo giovane lo educo io. E per il gran de bito ed il gran amore che mi univa a suo padre, e anche per il grande aiuto che io attendo da lui quando sar il momento giusto in cui me lo potr dare, Dio sa che lo amo come se fosse mio figlio. E sebbene il giovane sia intelligente e confido in Dio che sar un nobiluomo, ci nonostante, poich la tenera et spesso inganna i gio vani e non consente loro di fare tutto quanto sarebbe giusto, mi piacerebbe che la poca et non ingannasse tanto questo giovane. E per la saggezza che voi avete, vi prego di dirmi in che modo potrei provvedere a che questo giovane faccia ci ch e pi vantaggioso per il suo corpo e per i suoi beni. - Signor conte Lucanor - disse Patronio - affinch voi facciate a proposito di que sto giovane ci che a mio parere sarebbe meglio, vorrei molto che sapeste ci che ac cadde a un grandissimo filosofo con un re giovane, suo discepolo. Il conte gli chiese di spiegare a cosa si riferisse. - Signor conte Lucanor - di sse Patronio - un re aveva un figlio e lo fece educare da un filosofo in cui con fidava molto; e quando il re mor, il re suo figlio era ancora un giovinetto. E qu el filosofo lo educ fino a quando raggiunse i XV anni. Ma non appena raggiunse la giovent, incominci a disprezzare il consiglio di colui che lo aveva educato, e si avvicin ad altri consiglieri dei giovani e di coloro che non avevano un gran deb ito nei suoi confronti per cui avrebbero dovuto fare molto per salvaguardarlo da i danni. E andando le cose in questo modo, prima di poco tempo si diede il caso che tutto era molto peggiorato, sia i modi e i costumi del suo corpo che lo stat o dei suoi beni. E tutti parlavano molto male di come quel re giovane aveva pers o il suo corpo ed i suoi beni. Andando quella discussione cos male, il filosofo c he aveva educato il re e che si doleva e se ne dispiaceva molto non sapeva cosa fare, perch molte volte aveva tentato di ammonirlo con preghiere e con suppliche, e anche maltrattandolo, e non pot mai farci nulla, perch la giovane et rovinava tu tto. E quando il filosofo vide che in quell'occasione non poteva dare consiglio al re in nessun altro modo, escogit questo modo che ora udirete. Il filosofo iniz i a dire un poco alla volta in casa del re che lui era il migliore divinatore del mondo. E tanti uomini udirono questo che fin col saperlo anche il re giovane e, dal momento in cui venne a saperlo, il re chiese al filosofo se era vero che sap eva leggere gli auspici cos bene come si diceva. E il filosofo, sebbene cercasse di dare ad intendere che lo voleva negare, alla fine gli disse che era vero, ma che non era il caso che lo sapesse nessuna persona al mondo. E siccome i giovani sono impazienti di sapere e di fare tutte le cose, il re, che era giovane, era molto impaziente di vedere come il filosofo leggeva gli auspici; e quanto pi il f ilosofo tirava per le lunghe, tanta pi impazienza aveva il re giovane di saperlo, e insistette tanto presso il filosofo che si accord con lui di andare con lui a leggere gli auspici una mattina molto presto, di modo che non lo sapesse nessuno . E si alzarono molto presto, e il filosofo si diresse verso una valle in cui c'er ano molti villaggi abbandonati. Dopo averne attraversati molti, videro una corna cchia che stava dando voci su di un albero. E il re la mostr al filosofo, e quest i fece finta di capirla. E un'altra cornacchia incominci a dar voce su di un altro albero, ed entrambe le

cornacchie stettero cos a dar voce, a volte l'una e a volte l'altra. E il filosof o, dopo aver ascoltato per un bel pezzo, si mise a piangere sconsolato e si lace r i vestiti, e faceva il maggiore dolore del mondo. Quando il re giovane vide tutto questo, fu molto spaventato e chiese al filosofo il motivo per cui si comportava in tal modo. Il filosofo fece credere di non vo lerglielo dire. E dopo che ebbe insistito molto, gli disse che avrebbe preferito di gran lunga essere morto piuttosto che vivo, dato che non pi solo gli uomini, ma persino gli uccelli sapevano come, per la sua stoltezza aveva perso tutta la sua terra e i suoi beni e aveva deprezzato il suo corpo. E il re giovane gli chi ese di cosa stesse parlando. E gli rispose che quelle due cornacchie si erano ac cordate di sposare il figlio dell'una con la figlia dell'altra; e quella cornacc hia che aveva iniziato a parlare per prima diceva all'altra che, poich era da tan to tempo che era stato fissato quel matrimonio, era bene che si sposassero. E l' altra cornacchia disse che era vero che sarebbe stato il momento, ma che ora ell a era pi ricca dell'altra e che, ringraziando Dio, da quando regnava questo re er ano abbandonati tutti i villaggi di quella valle, e che ella trovava nelle case abbandonate molte vipere e lucertole e rospi e altre cose tali che vivono nei lu oghi abbandonati, e poich trovavano molto pi cibo del solito, per questo il matrim onio ora non era pi tra uguali. E quando l'altra cornacchia ebbe udito questo, si mise a ridere e rispose che diceva delle sciocchezze se per questo motivo volev a rimandare il matrimonio, ch se solo Dio avesse dato lunga vita a questo re, mol to presto ella sarebbe stata pi ricca dell'altra, poich ben presto sarebbe stata a bbandonata la valle dove essa risiedeva in cui c'erano dieci volte tanti villagg i rispetto alla sua, e per questo non c'era motivo di rimandare il matrimonio. Quando il re giovane ud ci, se ne dispiacque molto e inizi a pensare come fosse col pa sua l'aver lasciato abbandonato in tal modo le sue terre. E quando il filosof o vide il dispiacere e la preoccupazione del giovane re, e vide che si voleva oc cupare dei suoi beni, gli diede molti buoni consigli di modo che in poco tempo f urono rimessi in sesto tutti i suoi beni, sia il suo corpo che il suo regno. E voi, signor conte, poich avete educato questo giovane e vorreste che rimettesse in sesto i suoi beni, cercate qualche modo con l'esempio o con parole calcolate e allettanti e fategli capire lo stato delle cose, ma per nessuna cosa al mondo non attaccatelo n castigandolo n riprendendolo, pensando di correggerlo; perch i g iovani sono fatti in modo tale che immediatamente aborriscono colui che li casti ga, e ancora di pi se un uomo di grande rilievo, poich lo prendono come disprezzo non rendendosi conto di quanto sbagliano; perch non hanno al mondo un amico cos bu ono come colui che castiga il giovane affinch non faccia il proprio danno, ma lor o non la prendono cos, anzi nel peggiore dei modi. E per sventura ne risulterebbe tra voi e lui un disamore tale da procurare un danno ad entrambi d'ora in poi. Al conte piacque molto questo consiglio che gli aveva dato Patronio, e fece cos, e ne trasse beneficio. E poich don Joan fu molto soddisfatto di questo esempio, lo fece mettere in quest o libro e compose questi versi che dicono cos: Non correggere un giovane maltrattandolo, ma diglielo in modo che gli piaccia. E il disegno di questo esempio questo che segue. *** Esempio XXII Di ci che accadde al leone e al toro Un'altra volta parlava il conte Lucanor con Patronio, suo consigliere, e gli dis se cos: - Patronio, io ho un amico molto potente e molto onorato, e sebbene fino ad ora non abbia trovato in lui altro che buone azioni, ora mi dicono che non mi ama co s correttamente come soleva e anzi che va cercando occasioni per mettersi contro di me. E io ora ho due grandi preoccupazioni: una che ho paura che se per caso v

olesse mettersi contro di me, me ne potrebbe venire un gran danno; l'altra che t emo che se egli capisce che ho dei sospetti su di lui e che mi sto guardando da lui, egli far lo stesso e andranno crescendo i sospetti e il disamore poco a poco fino a quando non giungeremo a litigare. E per la grande fiducia che ho in voi, vi prego di consigliarmi su ci che secondo voi dovrei fare in questa situazione. - Signor conte Lucanor - disse Patronio - affinch voi vi possiate difendere in qu esta situazione, mi piacerebbe che sapeste ci che accadde al leone e al toro. Il conte gli chiese di spiegare a cosa si riferisse. - Signor conte Lucanor - di sse Patronio - il leone e il toro erano molto amici e, poich essi sono animali mo lto forti e molto vigorosi, si impadronivano e spadroneggiavano su tutti gli alt ri animali, perch il leone, con l'aiuto del toro, opprimeva tutti gli animali che mangiano carne; mentre il toro, con l'aiuto del leone, opprimeva tutti gli anim ali che si pascono d'erba. E quando tutti gli animali si resero conto che il leo ne e il toro li opprimevano per l'aiuto che si davano tra di loro, e videro che per questo ne veniva loro un gran danno e una gran oppressione, parlarono tra di loro per trovare il modo di porre fine a questa oppressione. E capirono che se avessero fatto litigare il leone ed il toro, avrebbero posto fine all'oppression e con cui li vessavano il leone e il toro. E poich la volpe e il montone erano pi vicini al favore del leone e del toro pi di qualsiasi altro animale, tutti gli an imali chiesero loro di lavorare quanto potessero per mettere inimist tra di loro. E la volpe e il montone dissero che avrebbero fatto del loro meglio per fare qu anto chiedevano loro gli animali. E la volpe, che era consigliere del leone, disse all'orso, che il pi forte e il p i vigoroso di tutti gli animali che mangiano carne dopo il leone, di dire al leon e come temeva che il toro stesse cercando il modo per arrecargli il maggior dann o, e che erano giorni che gliel'avevano detto, e che magari questo non era vero, ma che comunque vi prestasse attenzione. E lo stesso disse il montone, che era consigliere del toro, al cavallo, che l'an imale pi forte del mondo tra le bestie che si pascono di erba. L'orso e il cavall o, ognuno di loro disse questo al leone e al toro. E per quanto il leone e il to ro non credettero del tutto a quanto veniva detto, anzi presero a sospettare che quelli che erano i pi onorati del loro lignaggio dicessero questo per inimicarli tra di loro, nonostante tutto questo incominciarono a nutrire dei sospetti. E o gnuno di loro parl con la volpe e con il montone, loro favoriti. Ed essi dissero che sebbene forse l'orso e il cavallo dicevano questo per qualch e arcano inganno, tutto ci nonostante, era bene che iniziassero a prestare attenz ione alle future parole e azioni del leone e del toro, quando vedevano di poterl o fare. E gi con questo crebbero maggiori sospetti tra il leone e il toro. E quan do gli animali intesero che il leone e il toro sospettavano l'uno dell'altro, in iziarono a dar loro ad intendere pi apertamente che ognuno di loro sospettava del l'altro, e che questo non poteva essere se non per la cattiva volont che avevano nascosta nel cuore. E la volpe e il montone, come falsi consiglieri, guardando i l loro beneficio e dimenticando la lealt che dovevano ai loro signori, invece di aprire loro gli occhi, li ingannarono, e macchinarono tanto fino a che l'amicizi a che soleva esistere tra il leone e il toro si volse in grande inimicizia; e qu ando gli animali videro questo, cominciarono a far pressione su quei loro princi pali fino a che fecero incominciare la contesa, e facendo ognuno di loro credere al suo principale che lo proteggeva, e proteggendosi gli uni gli altri, facevan o ricadere tutto il danno sul leone e sul toro. E alla fine il litigio venne a questo, che sebbene il leone fece pi danno e pi mal e al toro e diminu notevolmente il suo potere e il suo onore, eppure il leone rim ase cos privo di potere che da allora in poi non pot mai signoreggiare sulle altre bestie n impadronirsi di loro come soleva, sia di quelle del suo lignaggio che d elle altre. E cos, poich il leone e il toro non compresero che per l'amore e l'aiu to che ricevevano l'uno dall'altro, essi erano onorati e padroni di tutti gli al tri animali, e poich non protessero l'amicizia vantaggiosa che esisteva tra di lo ro, e non si seppero guardare dai cattivi consigli che erano dati loro per porre fine al loro dominio e opprimerli, il leone e il toro ebbero conseguenze cos nef ande da quel litigio che, cos come prima erano loro a opprimere tutti, cos dopo fu

rono oppressi loro stessi da tutti. E voi, signor conte Lucanor, guardatevi che questi che vi suggeriscono questi so spetti contro quel vostro amico, che non lo facciano per condurre a quello che f ecero gli animali al leone e al toro. E per questo io vi consiglio che, se quel vostro amico persona leale, e avete visto in lui sempre opere buone e leali e vi fidate di lui come uno si deve fidare del buon figlio o del buon fratello, che non crediate a nulla di quanto vi dicono contro di lui. Anzi, vi consiglio di di rgli ci che vi hanno detto di lui, e cos anche lui vi dir ci che gli stato detto su di voi. E siate molto rigidi con coloro che hanno tramato questa falsit affinch ne ssun altro ardisca mai pi farlo un'altra volta. Ma se l'amico non fosse di questi di cui vi ho detto, e fosse di quegli amici che si amano temporaneamente o per convenienza o per necessit, guardatevi bene dal dire o fare mai a un tale amico c ose per le quali egli possa sospettare che da parte vostra ci siano dei sospetti o delle cattive intenzioni nei suoi confronti, e discolpate alcuni dei suoi err ori; perch non pu accadere in nessuna maniera che vi venga all'improvviso un danno gravissimo senza che ne vediate prima un segnale certo, come sarebbe il danno c he ve ne deriverebbe qualora vi inimicaste a causa dell'inganno e dell'astuzia d i cui abbiamo parlato; ma a questo amico, fategli sempre credere con le buone ma niere che cos come a voi necessario il suo aiuto, anche a lui necessario il vostr o, sia facendogli opere buone che mostrandogli una buona disposizione e non esse ndo sospettoso di lui senza ragione, n credendo quanto dicono gli uomini malvagi, n dando gran peso ai suoi errori; e anche mostrandogli che il suo aiuto vi neces sario quanto il vostro necessario a lui. In tal modo la vostra sar un'amicizia du ratura, e sarete protetti dal cadere nell'errore in cui caddero il leone e il to ro. Al conte piacque molto questo consiglio che gli aveva dato Patronio, e fece come gli aveva detto, e ne fu soddisfatto. E don Joan, ritenendo che questo esempio era molto buono, lo fece scrivere in qu esto libro e fece questi versi che dicono cos: Per le cose false che dice un bugiardo, non perdiate un amico vantaggioso. E il disegno di questo esempio questo che segue. *** Esempio XXIII Di ci che fanno le formiche per mantenersi Un'altra volta parlava il conte Lucanor con Patronio, suo consigliere, in questo modo: - Patronio, dando lode a Dio, io sono molto ricco e alcune persone mi consiglian o, visto che lo posso fare, di non preoccuparmi di altro che del mio piacere e d i mangiare e bere e sollazzarmi, ch ho molto di cui vivere e anche per lasciare u na buona eredit ai miei figli. E per la saggezza che avete, vi chiedo di consigli armi su quella che secondo voi la cosa giusta da fare. - Signor conte Lucanor - disse Patronio - per quanto riposarsi e sollazzarsi sia no cose buone, affinch voi facciate ci che pi vantaggioso mi piacerebbe che sapeste ci che fa la formica per mantenersi. Il conte gli chiese di spiegarsi, e Patronio gli disse: - Signor conte Lucanor, voi vedete che piccola cosa sia una formica, e a ragione non dovrebbe avere una grande intelligenza, ma troverete che ogni anno, nel per iodo in cui gli uomini raccolgono il grano, esse lasciano i loro formicai e vann o sulle aie e prendono tutto il grano che possono per il loro mantenimento, e lo ripongono nelle loro case. E alla prima acqua che viene, lo tirano fuori, e la gente dice che lo mettono ad asciugare, e non sa ci che dice, perch questa non la verit; giacch voi sapete bene che la prima volta che le formiche portano il grano fuori dai loro formicai, quando cade la prima pioggia e comincia l'inverno inolt re, se loro dovessero portare fuori il grano ad asciugare ogni qual volta piove,

questo sarebbe un lavoro alquanto lungo, e ad ogni modo non potrebbero avere il sole con cui asciugarlo, dato che in inverno non c' tanto sole da permettere di asciugarlo. Ma la vera ragione per cui lo tirano fuori la prima volta che piove questa: esse mettono quanto pi grano possono nelle loro case tutto in una volta e non si cura no di nient'altro che di prenderne quanto pi possono. E una volta che l'hanno mes so tutto al sicuro ritengono gi di avere di che vivere per quell'anno. E quando v iene la pioggia e si bagna, il grano comincia a germogliare; ed esse vedono che se il grano nasce nei formicai, invece di alimentarsene loro, il loro stesso gra no le ucciderebbe, ed esse da sole si danneggerebbero. E allora lo portano fuori e mangiano quel cuore che c' in ogni chicco, da cui esce la semente, e lasciano tutto il chicco intero. E poi, per quanta pioggia cada, il grano non pu pi germogl iare, ed esse se ne cibano per tutto l'anno. E ancora troverete che, nonostante abbiano tutto il pane che loro necessario, og ni volta che fa bel tempo non fanno altro n si dedicano ad altro che a trasportar e qualsiasi erbetta trovino. E fanno ci timorose che non basti loro quanto hanno raccimolato; e finch hanno tempo, non vogliono stare oziose n perdere il tempo che Dio concede loro, dato che possono approfittarne. E voi, signor conte, visto che la formica, che cosa tanto meschina, ha una tale intelligenza e fa tanto per mantenersi, dovete considerare che non molto saggio per nessun uomo, e ancor meno per quanti devono mantenere un grande stato e gove rnare molte persone, voler sempre vivere di rendita; perch state pur certo che pe r quanti averi si abbiano, dove si preleva ogni giorno, e non si rimpingua mai, non potr durare a lungo, e inoltre compare una grande diminuzione e una grande ma ncanza di cuore. Ma il mio consiglio questo: se volete mangiare e sollazzarvi, f atelo sempre mantenendo il vostro stato e curandovi del vostro onore, e preoccup andovi e prestando attenzione a come dovrete farlo, perch se avete e molto e vole te essere buono, avrete molte occasioni di spendere il vostro denaro a beneficio del vostro onore. Al conte piacque molto questo consiglio che gli diede Patronio, e fece cos e ne f u soddisfatto. E poich don Joan fu contento di questo esempio, lo fece includere in questo libro e fece questi versi che dicono cos: Non mangiare sempre di quello che hai messo da parte; vivi la vita in modo da morire onorato. E il disegno di questo esempio questo che segue *** Esempio XXVI Di ci che accadde all'albero della menzogna Un giorno parlava il conte Lucanor con Patronio, suo consigliere, e gli disse co s: - Patronio, sappiate che mi trovo in una grande contesa e in un'accesa discussio ne con alcuni uomini che non mi amano molto; e questi uomini sono cos rivoltosi e tanto bugiardi, che non fanno mai altro che mentire a me e a tutti gli altri co n cui devono fare o decidere qualcosa. E le menzogne che dicono le sanno vendere cos bene, e ne traggono un tale vantaggio, da causarmi un grave danno; e loro si rinforzano molto e mettono persone molto forti contro di me. E crediate anche c he se io volessi agire in quel modo, lo saprei anche fare bene quanto loro, ma p oich io so che la menzogna di cattiva maniera, non ne ho mai fatto uso. E ora, pe r la vostra saggezza, vi chiedo di consigliarmi sulla posizione da tenere con qu este persone. - Signor conte Lucanor - disse Patronio - affinch voi facciate in questa occasion e la cosa migliore e pi a vostro beneficio, mi piacerebbe molto che sapeste quand o accadde alla Verit e alla Menzogna. Il conte gli chiese di spiegargli ci a cui si riferisse.

- Signor conte Lucanor - disse Patronio - un tempo la Menzogna e la Verit furono compagne insieme, e dopo essere rimaste cos per qualche tempo la Menzogna, che as sidua, disse alla Verit che sarebbe stato bene piantare un albero da cui trarre f rutti e sotto la cui ombra potessero ripararsi nei giorni di maggiore calura. E la Verit, poich cosa piana e di buona disposizione, disse che era d'accordo. E quando l'albero fu piantato e inizi a nascere, la Menzogna disse alla Verit che ciascuna di loro doveva prendere la sua parte di quell'albero. E la Verit fu d'ac cordo. E la Menzogna, facendole credere con ragioni abbellite e ben costruite ch e la radice dell'albero la cosa che d la vita e il nutrimento all'albero, e che l a cosa migliore e pi vantaggiosa, consigli alla Verit di prendere le radici dell'al bero, che stanno sotto terra; mentre essa si sarebbe avventurata a prendere quei ramoscelli che sarebbero usciti e rimasti sopra la terra, nonostante fossero un grave pericolo in quanto esposti all'eventualit di essere tagliati o calpestati dagli uomini, o rosi dalle bestie, o tagliati dagli uccelli con le mani e con i becchi, o seccati dalla grande calura, o bruciati dal gelo inclemente, mentre la radice non era esposta a nessuno di questi rischi. E quando la Verit ud tutte que ste motivazioni, poich essa non conosce grandi astuzie ed cosa di grande fiducia e grande credulit, si fid della Menzogna, sua compagna, e credette che fosse vero ci che le aveva detto, e ritenne che la Menzogna le stesse consigliando di prende re una parte molto buona, e prese la radice dell'albero e ne fu molto soddisfatt a. E quando la Menzogna ebbe finito tutto questo, fu molto allegra per l'inganno che aveva fatto alla sua compagna dicendole menzogne belle e ben costruite. La Verit si mise sotto terra per vivere dove si trovavano le radici che erano la sua parte, e la Menzogna rimase sopra la terra, dove vivono gli uomini e passa l a gente e tutte le altre cose. E poich essa una grande lusinghiera, in poco tempo tutti furono contenti di lei. E il suo albero inizi a crescere e a gettare rami molto grandi e foglie ampie che producevano una gradevole ombra, e vi comparsero fiori molto leggiadri e di bellissimi colori, e molto gradevoli d'aspetto. E quando le persone videro quell'albero cos bello, presero a riunirsi molto volen tieri ai suoi piedi per starvi vicino, e furono molto contente della sua ombra e dei suoi fiori di colori cos gradevoli, e la maggior parte della gente si recava sempre l, e anche coloro che si trovavano in altri luoghi si dicevano gli uni ag li altri che se volevano riposarsi e stare allegri dovevano andare all'ombra del l'albero della Menzogna. E quando la gente era riunita sotto quell'albero, visto che la Menzogna molto lu singhiera e di grande conoscenza, essa faceva molti piaceri alla gente e mostrav a la sua sapienza, e la gente era molto contenta di apprendere molto della sua a rte. E in questo modo attrasse verso di s la maggior parte della gente del mondo, perch ad alcuni mostrava menzogne semplici, e ad altri molto pi saggi, menzogne t riple. E dovete sapere che la menzogna semplice quando un uomo dice a un altro: "Signor Tizio, io far una cosa tale per voi", ed egli mente in ci che gli dice. E la menz ogna doppia quando compie giuramenti e d omaggi e garanzie e chiama in causa altr i che risolvano tutte quelle questioni, e nel dare tutte queste assicurazioni ha gi pensato e sa gi il modo in cui tutto questo diverr menzogna ed inganno. Ma la m enzogna tripla, che mortalmente ingannevole, quella che mente e inganna dicendo la verit. E la Menzogna aveva tanta di questa conoscenza, e la sapeva usare in modo tale c on coloro che erano contenti di stare all'ombra del suo albero, che con quello s tratagemma consentiva loro di portare a termine la maggior parte delle cose che volevano, e non trovarono nessuno tra coloro che non conoscevano quell'arte a cu i non riuscirono a far fare tutto ci che volevano. E un po' per la bellezza dell' albero, e un po' per la grande arte che apprendevano dalla Menzogna, le persone desideravano molto stare sotto quell'ombra e imparare ci che la Menzogna mostrava loro. La Menzogna era molto onorata ed apprezzata e molto accompagnata dalla gente; e colui che meno le si avvicinava e meno conosceva la sua arte, era meno apprezzat o da tutti e persino lui stesso si apprezzava di meno. E mentre la Menzogna era cos fortunata, la povera e disprezzata Verit restava nasc osta sotto terra, e nessun uomo al mondo sapeva nulla di lei, n era contento di l

ei, n la voleva cercare. Ed ella, vedendo che non le era rimasto nient'altro di c he mantenersi se non quelle radici dell'albero, che erano ci che gli aveva consig liato di prendere la menzogna, per mancanza di qualsiasi altra pietanza, dovette risolversi a rodere e tagliare e cibarsi delle radici dell'albero della Menzogn a. E sebbene l'albero avesse bellissimi rami e grandi foglie che facevano molta ombra, e molti fiori di colori gradevolissimi, prima che potessero dar frutto, f urono tagliate tutte le sue radici perch le dovette mangiare la Verit, dal momento che non aveva altro di cui cibarsi. E quando tutte le radici dell'albero della Menzogna furono tagliate, mentre la M enzogna e tutte le persone che apprendevano la sua arte erano all'ombra dell'alb ero, venne una ventata che colp l'albero, e poich le sue radici erano state tutte recise, fu molto facile da abbattere e cadde sulla Menzogna e la ridusse in malo modo; e tutti coloro che stavano imparando la sua arte morirono o furono feriti gravemente, e rimasero molto sventurati. E dal luogo in cui si trovava il tronco dell'albero usc la Verit che stava nascost a, e quando fu sulla terra trov sventurata la Menzogna e tutti coloro che le si e rano avvicinati, ed ebbero molto danno da quanto avevano appreso e usato dell'ar te imparata dalla Menzogna. E voi, signor conte Lucanor, prestate attenzione che la Menzogna ha rami molto g randi e i suoi fiori, che sono le sue parole e i suoi pensieri e le sue lusinghe , sono molto gradevoli, e la gente ne molto soddisfatta, ma tutto ombra e non gi unge mai a buon frutto. Per questo, se quei vostri opponenti fanno uso delle con oscenze e degli inganni della menzogna, guardatevi da loro pi che potete e non vo gliate essere loro pari in quell'arte, n siate invidiosi della loro buona sorte c he raggiungono grazie all'arte della menzogna, perch potete star certo che non du rer a lungo e non potranno giungere a buon fine; e quando penseranno di essere al colmo della buona sorte, allora tutto verr loro meno, come l'albero della Menzog na venne meno a coloro che credevano di essere molto fortunati alla sua ombra; m a, sebbene la Verit sia disprezzata, abbracciatevi bene ad essa e apprezzatela mo lto perch state certo che grazie ad essa sarete fortunato e avrete buon fine e gu adagnerete la grazia di Dio, cos che vi dar molto bene e molto onore per il corpo in questo mondo, e per la salvezza dell'anima in quello a venire. Al conte piacque molto questo consiglio che gli aveva dato Patronio, e fece cos, e ne fu soddisfatto. E don Joan, ritenendo che questo esempio fosse molto buono, lo fece scrivere in questo libro e scrisse questi versi che dicono cos: Seguite la verit e fuggite la menzogna, perch aumenta il suo danno chi suole mentire. E il disegno di questo esempio questo che segue *** Esempio XXIX Di ci che accadde a una volpe che si gett per strada e si finse morta Un'altra volta stava parlando il conte Lucanor con Patronio, suo consigliere, e gli disse cos: - Patronio, un mio parente vive in una terra dove non cos potente da poter evitar e quante offese gli fanno, e coloro che hanno potere in quella terra vorrebbero molto volentieri che lui facesse qualcosa per cui avere un motivo di mettersi co ntro di lui. E quel mio parente pensa che sia una cosa molto dura dover tollerar e quelle minacce che gli muovono, e preferisce mettere tutto a repentaglio piutt osto di dover sopportare tanto ogni giorno. E poich io vorrei che facesse la cosa migliore, vi chiedo di consigliarmi su cosa dirgli in modo tale che accada quan to di meglio in quella terra. - Signor conte Lucanor - disse Patronio - affinch voi lo possiate consigliare ben e in questa circostanza, mi piacerebbe farvi sapere ci che accadde una volta a un

a volpe che si finse morta. Il conte gli chiese che spiegasse meglio ci a cui si riferiva. - Signor conte - d isse Patronio - una volpe entr di notte in un cortile dove c'erano delle galline e si trattenne con le galline, e quando ritenne di potersene andare era gi giorno e la gente andava gi per le strade. E quando vide che non si poteva nascondere, and di nascosto in strada e si stese come se fosse stata morta. Quando la gente l a vide, credette che fosse morta e nessuno si cur di lei. Dopo qualche tempo pass di l un uomo e disse che i capelli della fronte della volp e andavano bene da mettere sulla fronte dei ragazzini perch non facessero loro il malocchio. E con un paio di forbici tagli i capelli dalla fronte della volpe. Po i ne venne un altro e disse la stessa cosa del pelo del dorso, e un altro delle anche. E tante persone lo dissero fino a che la ebbero tosata tutta. Ma nonostan te tutto questo, la volpe non si mosse perch capiva che non gli faceva danno perd ere quel pelo. Dopo venne un altro e disse che l'unghia del pollice della volpe andava bene per guarire il giradito, e gliela prese. E la volpe non si mosse. E poi venne un altro che disse che il dente della volpe andava bene contro il ma l di denti, e glielo prese. E la volpe non si mosse. E poi, dopo un altro po' di tempo, ne venne un altro che disse che il cuore dell a volpe andava bene contro il mal di cuore, e mise mano a un coltello per prende rgli il cuore. E la volpe vide che gli volevano strappare il cuore e che quella non era cosa che si potesse recuperare, e che ne andava della vita, e ritenne ch e fosse meglio rischiare qualsiasi cosa gliene potesse venire piuttosto che sopp ortare una cosa nella quale avrebbe perso tutto. E si azzard, e si sforz di guarir e e riusc a fuggire. E voi, signor conte, dite a quel vostro parente che se Dio lo ha messo in una te rra dove non pu evitare ci che gli fanno nel modo in cui lui vorrebbe o dovrebbe, fintanto che le cose che gli compiono sono tali da poter essere tollerate senza un grave danno e senza grandi perdite deve dare a pensare che non se ne accorge e non gli d peso; perch fino a quando una persona fa capire che non si considera d anneggiata da quanto hanno commesso contro di lei, non se ne vergogna tanto; ma quando lascia capire che si considera danneggiata da ci che le stato fatto, se da allora in poi non fa tutto ci che deve per non essere danneggiata, non sta cos be ne come prima. E per questo, le cose passeggere, poich non si possono evitare com e si deve, meglio lasciarle perdere, ma se si giungesse a qualcosa che sia un gr ave danno o una grave mancanza, allora deve arrischiarsi e non tollerare, perch m igliore la perdita o la morte mentre un uomo difende il suo diritto ed il suo on ore ed il suo stato, che vivere sopportando queste cose male e con disonore. Il conte lo ritenne un buon consiglio. E don Joan lo fece scrivere in questo lib ro e fece questi versi che dicono cos: Sopporta le cose quando devi, evita le cose quando puoi. E il disegno di questo esempio questo che segue. *** Esempio XXXII Di ci che accadde a un re con i beffatori che fecero il panno Un'altra volta parlava il conte Lucanor con Patronio, suo consigliere, e gli dic eva: - Patronio, venuto da me un uomo e mi ha detto grandi cose, e mi d ad intendere c he sarebbero un gran vantaggio per me; per mi dice che non lo deve sapere nessuna persona al mondo per quanto io me ne fidi; e insiste tanto sulla segretezza che giunge a dire che se io lo dico a qualsiasi persona al mondo, tutti i miei beni e la mia stessa vita saranno in grave pericolo. E poich io so che nessuno potreb be dirvi qualcosa di cui voi non capiate se si dice per bene o per inganno, vi p

rego di illuminarmi su cosa ve ne pare di questo. - Signor conte Lucanor - disse Patronio, affinch voi capiate ci che, secondo la mi a opinione, meglio fare in questo caso, mi piacerebbe che sapeste ci che accadde a un re con tre uomini beffatori che vennero a lui. Il conte gli chiese di spiegarsi. - Signor conte - disse Patronio - tre beffatori andarono da un re e gli dissero che erano maestri molto bravi nel tessere panni, e in particolare che facevano u n panno che poteva essere visto da qualsiasi uomo fosse figlio di quello che tut ti ritenevano suo padre; mentre colui che non fosse figlio di quello che lui e l a gente considerava suo padre, non avrebbe potuto vedere il panno. Al re questo piacque molto poich riteneva che grazie a quel panno si potesse sape re quali uomini in quel regno erano figli di coloro che dovevano essere i loro p adri e quali no, e credeva che in questo modo avrebbe potuto aumentare di molto le sue propriet perch i mori non ereditano nulla da loro padre se non sono veramen te suoi figli. E per questo ordin che fosse dato ai beffatori un palazzo dove tes sere quel panno. E loro, affinch vedesse che non desideravano ingannarlo, gli dissero che li faces se rinchiudere in quel palazzo fino a che non fosse pronto il panno. Il re fu mo lto contento di questo. E quando ebbero preso molto oro e argento e seta ed altr i beni per fare il panno, entrarono in quel palazzo e vi furono rinchiusi. Ed essi vi misero i loro telai e diedero ad intendere che tutto il giorno tessev ano il panno. E dopo alcuni giorni uno di loro and a dire al re che il panno era stato iniziato e che era la cosa pi bella al mondo; e gli disse con quali figure e con quali lavori iniziavano a tesserlo, e gli disse che, se cos desiderava, pot eva andarlo a vedere, ma non doveva entrare nessuna persona al mondo con lui. Qu esto piacque molto al re. E il re, volendo provarlo prima di tutti gli altri, mand un suo cameriere a veder lo, ma non lo mise in guardia affinch lo disingannasse. E quando il cameriere vide i maestri e sent ci che dicevano, non si azzard a dire c he non vedeva il panno. Quando torn dal re disse di aver visto il panno. E poi ma nd un'altra persona e gli disse lo stesso. E dopo che tutti quanti quelli inviati dal re gli dissero di aver visto il panno, il re in persona and a vederlo. E quando entr nel palazzo e vide i maestri che stavano tessendo e dicevano: "Ques to il tale lavoro, e questo il tale disegno, e questa la tale figura, e questo i l tale colore" e tutti erano concordi nel dire la stessa cosa, mentre non tessev ano nulla, quando il re vide che essi tessevano e descrivevano il panno e lui no n lo vedeva, mentre gli altri lo vedevano, ebbe timore di perdere il trono qualo ra avesse detto che non lo vedeva. E per questo prese a lodare molto il panno e impar molto bene la maniera in cui parlavano quei maestri descrivendo il panno. E quando fu a casa sua con la sua gente, incominci a dire meraviglie su come era bello e meraviglioso quel panno, e descriveva le figure e le cose rappresentate nel panno, per aveva un gravissimo sospetto. In capo a due o tre giorni, mand una sua guardia a vedere quel panno. Il re gli r accont le meraviglie e le stranezze che aveva visto in quel panno, e la guardia s i rec sul posto. E quando entr e vide i maestri che tessevano e descrivevano le figure e le cose c he erano nel panno, e ud dal re che lui l'aveva visto, mentre lui non lo vedeva, credette che era cos perch non era figlio di quello che credeva suo padre, e che p er questo motivo non lo vedeva, e pens che se si fosse venuto a sapere, avrebbe p erso il suo onore. E per questo si mise a lodare il panno come il re e anche di pi. E quando torn dal re e gli disse che aveva visto il panno e che era la cosa pi bel la e meravigliosa di tutto il mondo, il re si ritenne ancora pi disgraziato pensa ndo che non c'era pi alcun dubbio sul fatto che non era figlio del re che egli pe nsava, visto che la guardia aveva visto il panno mentre lui non lo vedeva. E per questo inizi a lodare e confermare ancora di pi la bont e la nobilt del panno e dei maestri che sapevano fare una cosa tale. E l'indomani il re invi un altro suo favorito, e accadde a lui lo stesso che al r e e a tutti gli altri. Cosa dirvi di pi? In questo modo e per questo timore furon o ingannati il re e tutti i suoi sudditi, perch nessuno osava dire che non vedeva

il panno. E le cose andarono in questo modo fino a quando venne una gran festa. E tutti di ssero al re di indossare quel panno per la festa. E i maestri lo portarono avvolto in lenzuola molto belle, e fecero credere di sr otolare il panno, e chiesero al re quale indumento voleva che tagliassero da que l panno. Il re disse quali indumenti voleva, ed essi fecero credere di tagliare e misurare le forme che dovevano avere gli abiti, e poi di cucirli. Quando giuns e il giorno della festa, vennero i maestri presso il re, con i loro panni taglia ti e cuciti, e gli fecero credere di vestirlo e di stirargli i vestiti. E cos fec ero fino a quando il re credette di essere vestito, poich non osava dire che non vedeva quel panno. E quando fu vestito cos bene come avete sentito, cavalc per recarsi in citt; ma non ostante tutto fu fortunato perch era estate. E quando la gente lo vide venire a quel modo, e tutti sapevano che chi non vedev a quel panno non era figlio di colui che considerava suo padre, ognuno pensava c he gli altri lo vedessero e che lui, poich non lo vedeva, sarebbe stato perduto e disonorato se lo avesse ammesso. E per questo il segreto rimase nascosto, poich nessuno osava rivelarlo, fino a quando un negro, che si prendeva cura del cavall o del re e che non aveva nulla da perdere, si avvicin al re e gli disse: - Signore, a me non importa che voi mi consideriate figlio di quel padre che io penso o di un altro, e pertanto vi dico che o io sono cieco, o voi siete nudo. Il re incominci a riprenderlo, dicendogli che non vedeva i suoi vestiti solo perc h non era figlio del padre che credeva. Dopo che il negro ebbe detto questo, un a ltro che l'aveva sentito disse la stessa cosa, e cos andarono dicendo fino a che il re e tutti gli altri persero il timore di sapere la verit e intesero l'inganno che gli avevano giocato i beffatori. E quando li andarono a cercare non li trov arono perch se ne erano andati con quello che avevano preso dal re per l'inganno di cui avete udito. E voi, signor conte Lucanor, poich quell'uomo vi dice di non far sapere a nessuno di coloro in cui confidate nulla di quanto vi dice, siate certo che pensa di in gannarvi, perch non c' motivo per cui debba volere di pi il vostro bene questa pers ona, che non ha con voi debito alcuno, piuttosto di tutti quelli che vivono con voi e che vi devono molto e hanno debiti di riconoscenza nei vostri confronti, p er cui devono volere il vostro bene e il meglio per voi. Il conte lo ritenne un buon consiglio e fece cos, e si trov bene. E don Joan, vede ndo che questo era un buon esempio, lo fece scrivere in questo libro e fece ques ti versi che dicono cos: Chi ti consiglia di tenere dei segreti ai tuoi amici, sappi che ti vuole ingannare pi di due fichi. E il disegno di questo esempio questo che segue. *** Esempio XXXIII Di ci che accadde a un falcone sagro dell'infante don Manuel con un'aquila e un airone Un'altra volta il conte Lucanor parlava con Patronio, suo consigliere, in questo modo: - Patronio, a me successo molte volte di avere delle dispute con molti uomini; e dopo che la contesa finita alcuni mi consigliano di iniziarne un'altra con altr e persone. E alcuni mi consigliano di riposare e di stare in pace, e altri mi co nsigliano di dare inizio a una guerra e una lotta contro i mori. E poich io so ch e nessun altro mi potrebbe consigliare meglio di voi, per questo vi chiedo di co nsigliarmi sul da farsi in queste occasioni. - Signor conte Lucanor - disse Patronio - affinch voi in questo indoviniate la co sa migliore, sarebbe bene che sapeste ci che accadde agli ottimi falconi da airon e, e pi in particolare ci che accadde a un falcone sagro che apparteneva all'infan

te don Manuel. Il conte gli chiese di spiegare meglio ci a cui si riferiva. - Signor conte - disse Patronio - un giorno l'infante Manuel andava a caccia nei pressi di Escalona e lanci un falcone sagro a un airone, e mentre il falcone sal iva per prendere l'airone, giunse vicino al falcone un'aquila. Il falcone, per p aura dell'aquila, lasci l'airone e prese a fuggire; e l'aquila, quando vide che n on poteva prendere il falcone, se ne and. E quando il falcone vide che l'aquila s e ne era andata, ritorn sull'airone e inizi ad andare molto bene con esso per ucci derlo. E mentre il falcone portava l'airone, torn un'altra volta l'aquila dal falcone, e il falcone inizi a fuggire come la volta precedente; e l'aquila se ne and e il fa lcone torn sull'airone. E lo stesso si ripet per tre o quattro volte, e ogni volta che l'aquila se ne andava, il falcone tornava subito dall'airone, e poi veniva l'aquila per ucciderlo. Quando il falcone vide che l'aquila non gli voleva lasciare uccidere l'airone, l o lasci e sal sopra l'aquila e l'attacc tante volte, ferendola, fino a che non fece s che si allontanasse da quella terra. E quando la ebbe allontanata, ritorn sull' airone e, mentre stava volando molto alto con esso, venne l'aquila per ucciderlo . Quando il falcone vide che non serviva nulla di quanto faceva, sal un'altra vol ta sopra l'aquila si lanci su di essa e le diede un gran colpo che le ruppe l'ala . E quando essa cadde, con l'ala rotta, il falcone torn sull'airone e lo uccise. E fece questo perch pensava di non dover lasciare la sua caccia dopo essersi libe rato di quell'aquila che lo ostacolava. E voi, signor conte Lucanor, poich sapete che la vostra caccia e il vostro onore e tutto il vostro bene per il corpo e per l'anima che rendiate un servizio a Dio , e sapete che in nessun'altra cosa al mondo, secondo il vostro stato, lo potete servire tanto come nell'intraprendere una guerra contro i mori per esaltare la santa e vera fede cattolica, io vi consiglio, non appena sarete sicuro nelle alt re cose, di muovere guerra contro i mori. E facendo ci, compirete pi di un bene: p er prima cosa renderete un servizio a Dio, inoltre agirete per il vostro onore e vivrete del vostro ufficio e mestiere e non mangerete il pane gratuitamente, la qual cosa non si addice affatto a un gran signore: perch voi signori, quando sta te senza far nulla, non apprezzate la gente come dovreste e non fate per essa ci che dovreste fare, e vi dedicate ad altre cose che spesso sarebbe meglio evitare . E poich buono e vantaggioso che voi signori abbiate qualche mestiere, cosa cert a che di tutti i mestieri non potete trovarne nessuno cos buono ed onorato e che porti un tale beneficio all'anima e al corpo come la guerra contro i mori. E anc he, pensate al terzo esempio di cui vi ho parlato in questo libro, sul salto che fece re Riccardo di Inghilterra, e quanto vinse con esso, e pensate in cuor vos tro che dovete morire e che nella vostra vita avete procurato molti dispiaceri a Dio, e che Dio giusto, e che da una tale grande giustizia non potete uscirne se nza pena per il male che avete fatto; ma vedete se siete di buona ventura nel tr ovare la strada che vi consenta in un momento di ottenere il perdono di tutti i vostri peccati, perch se morite in guerra contro i mori, facendo vera penitenza, sarete martire e molto fortunato; e anche se non doveste morire in seguito a col pi di arma, le buone opere e la buona intenzione vi salveranno. Il conte lo consider un buon esempio e risolse in cuor suo di farlo, e chiese a D io di fare accadere ci che Lui sapeva che egli desiderava. E don Joan, ritenendo che questo esempio era molto buono, lo fece scrivere in qu esto libro e fece questi versi che dicono cos: Dovesse Dio concederti di essere sicuro, fa in modo di guadagnarti la perfetta benandanza. E il disegno di questo esempio questo che segue. *** Esempio XXXIX Di ci che accadde a una rondine con il passero

Un'altra volta il conte Lucanor parlava con Patronio suo consigliere in questa g uisa: - Patronio, io non posso evitare in nessun modo di essere in disputa con uno dei due vicini che ho, e succede cos: colui che mi pi vicino non tanto potente e colu i che pi potente non tanto mio vicino. E ora vi prego di consigliarmi su cosa dev o fare in questa situazione. - Signor conte - disse Patronio - affinch voi possiate sapere ci che dovete fare i n questo caso, sarebbe bene che sapeste ci che accadde a un uomo con un passero e una rondine. Il conte gli chiese di spiegarsi meglio. - Signor conte - disse Patronio - un uomo era debole ed era molto infastidito da l rumore delle voci degli uccelli e chiese a un suo amico di consigliargli qualc he rimedio perch non riusciva a dormire dal rumore che facevano i passeri e le ro ndini. E quel suo amico gli disse che non lo poteva liberare da tutti gli uccell i, ma che conosceva un incantesimo per liberarlo da uno di essi: o dal passero o dalla rondine. E l'uomo debole gli rispose che sebbene la rondine facesse pi rumore essa andava e veniva, mentre il passero sta sempre a casa, e che quindi preferiva rimanere c on il rumore della rondine, nonostante fosse maggiore, perch va e viene; piuttost o che quello del passero, perch sta sempre a casa. E voi, signor conte, sebbene quello che risiede lontano sia pi potente, io vi con siglio di essere in lite con lui piuttosto che con quello che vi sta pi vicino, s ebbene non sia tanto potente. Il conte lo consider un buon consiglio e fece cos e ne fu contento. E poich don Joan fu soddisfatto di questo esempio, lo fece mettere in questo libr o e scrisse questi versi che dicono cos: Se ad ogni modo devi essere in lite, scegli quella pi lontana, anche se ha pi potere. E il disegno di questa storia questo che segue. *** Esempio XLIX Di ci che accadde a quello che fu gettato su di un'isola nudo quando gli fu presa la signoria che aveva Un'altra volta il conte Lucanor parlava con Patronio, suo consigliere, e gli dis se: - Patronio, molti mi dicono che, dato che sono tanto onorato e potente, dovrei f are tutto quel che posso per avere grandi ricchezze e gran potere e grande onore , e che questo ci che pi mi si addice e che meglio mi conviene. E poich io so che m i avete sempre consigliato la cosa migliore e che lo farete anche da ora in poi, vi prego di consigliarmi su ci che ritenete che io debba fare in questo caso. - Signor conte - disse Patronio - questo consiglio che voi mi chiedete difficile da dare per due ragioni: la prima che in questo consiglio che voi mi chiedete d ovr dire contro il vostro desiderio; e l'altra poich molto difficile contraddire i l consiglio che viene dato per il beneficio del proprio signore. E poich in quest o consiglio ci sono questi due elementi, per me molto difficile contraddirlo epp ure, poich ogni consigliere, se leale, non si deve preoccupare d'altro che di dar e il consiglio migliore senza badare al suo tornaconto, n al suo danno, n se il su o consiglio sar gradito al signore o se gli dispiacer, ma deve dirgli la cosa migl iore secondo come la vede, per questo non tralascer di dirvi in questo caso ci che mi sembra essere pi a vostro vantaggio e addirsi di pi al vostro stato. E per que sto vi dico che coloro che vi hanno detto questo, in parte vi consigliano bene, ma il consiglio non perfetto n buono per voi, ma per essere del tutto perfetto e buono, sarebbe molto giusto e mi piacerebbe molto che sapeste ci che accadde a un uomo che fecero signore di una grande terra.

Il conte gli chiese di spiegargli a cosa si riferisse. - Signor conte Lucanor - disse Patronio - in una terra avevano l'abitudine di fa re ogni anno un signore. E finch durava quell'anno facevano tutte le cose che lui ordinava, e quando era terminato l'anno gli prendevano quanto aveva e lo spogli avano e lo gettavano in un'isola solo, dove non c'era con lui un'altra persona a l mondo. E accadde che una volta ebbe quel potere un uomo che era pi intelligente e saggio degli altri prima di lui. E poich sapeva che quando fosse terminato l'anno gli a vrebbero fatto lo stesso che agli altri, prima che finisse l'anno del suo potere ordin in gran silenzio di costruire in quell'isola in cui sapeva che lo avrebber o gettato una dimora molto bella e perfetta in cui fece mettere tutte le cose ch e gli sarebbero state necessarie per tutta la vita. E costru la dimora in un luog o cos remoto che non lo poterono mai venire a sapere quelli della terra che gli a vevano dato il potere. E in quella terra lasci alcuni amici molto in debito e molto consigliati da lui c on l'accordo che se per caso avesse avuto bisogno di qualcosa che non si era ric ordato di mandare prima, gliela avrebbero mandata loro di modo che non gli manca sse nulla. Quando scadette l'anno e quelli della terra gli presero il potere e lo gettarono nudo sull'isola, cos come avevano fatto agli altri che erano venuti prima di lui ; egli, che era stato previdente e aveva fatto una dimora in cui poteva vivere r iposando e molto a suo agio, vi si diresse e visse molto bene. E voi, signor conte Lucanor, se volete essere saggio, pensate a quanto tempo ave te per vivere in questo mondo, perch potete stare certo che lo dovrete lasciare e che vi ritroverete nudo fuori di esso e non potete portarvi dietro altro che le vostre opere, quindi curatevi di compiere opere tali che, quando lascerete ques to mondo, avrete costruito nell'altro mondo una dimora in cui vivere con agio tu tta la vostra vita dopo che vi avranno cacciato nudo da questo mondo. E sappiate che la vita dell'anima non si conta in anni, ma dura per sempre senza fine; per ch l'anima una cosa spirituale e non pu essere corrotta, anzi dura e rimane per se mpre. E sappiate che le opere buone e cattive che l'uomo compie in questo mondo, Dio le tiene tutte in serbo per dare loro ricompensa nell'altro mondo a seconda dei loro meriti. E per tutte queste ragioni, io vi consiglio di fare opere tali in questo mondo per cui, quando dovrete lasciarlo, avrete buona dimora in quell o dove dovrete restare, e vi consiglio di non voler perdere per lo stato e gli o nori di questo mondo, che sono cosa peritura, ci che sicuro che durer per sempre s enza fine. E queste opere buone fatele senza presunzione e senza vanagloria. All o stesso modo lasciate qui amici tali che faranno per la vostra anima ci che voi non siete riuscito a fare durante la vostra vita. Ma, essendo al sicuro queste c ose, tutto ci che potete fare per aumentare il vostro onore e migliorare il vostr o stato, ritengo che lo dobbiate fare, ed bene che lo facciate. Il conte lo consider un buon esempio e un buon consiglio, e preg Dio di avere cura che potesse fare quanto aveva detto Patronio. E don Joan, vedendo che questo esempio era cosa buona, lo fece scrivere in quest o libro e fece questi versi che dicono cos: Per questo mondo perituro, no perdere quello duraturo. E il disegno di questo esempio questo che segue.

Sentieri tra i rovi traduzione dal portoghese di Elena Mancini Come il re Sagramor arm cavaliere un fanciullo che era giunto a corte

I testi che seguono sono tratti dal Memoriale delle imprese dei cavalieri della Seconda Tavola Rotonda, scritto da Jorge Ferreira de Vasconcelos. Quest'opera ve nne pubblicata una prima volta nel 1554 con un titolo differente - Trionfi di Sa gramor - e poi nel 1567 con il titolo definitivo. Il poema, sebbene considerato da alcuni una "retrocessione" rispetto a capolavori precedenti come il Palmerin di Inghilterra e L'Amadis di Gaula, pu comunque ritenersi il punto di arrivo del romance di cavalleria portoghese sia nei principi che nella struttura estetico-l etteraria. Il brano seguente ripercorre la storia dell'Ordine della Cavalleria a partire da Bacco, figlio del dio Giove e conquistatore delle Indie, considerato come il pi antico "cavaliere" e fondatore dell'Ordine. Nel discorso che apre l'opera, la divinit incita i suoi cavalieri e tutti quelli che a loro seguiranno, ad essere sempre fedeli, a difendere la verit e a protegge re le donne deboli. La preziosa eredit - vero e proprio galateo dell'eroe cavalleresco - venne raccol ta, molti anni dopo, da Carlo Magno, re di Francia e grande condottiero, le cui imprese, e quelle dei suoi paladini contro i Saraceni Arabi, avevano ispirato il ciclo di canzoni che da lui prese il nome. Re Carlo Magno cedette a sua volta il testimone a re Art, capostipite dell'Ordine della Tavola Rotonda. Nel Memoriale si narra della nascita di Art, e di come fu abbandonato dalla madre , la regina Igerda, per timore della vendetta del marito, il re Uther Pandragon, che non pensava ad Art come a un suo figlio. Salvato e cresciuto in gran segreto da Merlino, dopo la morte del re venne proclamato nuovo sovrano d'Inghilterra n ell'episodio della spada nella roccia. Ucciso poi in battaglia dal suo figlio na turale, e traditore del regno, Morderet, la leggenda vuole che la sua anima e qu ella dei suoi cavalieri morti nel combattimento fossero trasportate in cielo su di un carro trainato da quattro grifoni e guidato da una splendida fanciulla. Ar t, presagendo la sua fine, aveva nominato suo legittimo successore Sagramor Costa ntino, figlio del re Cador di Cornovaglia. Da questo momento in avanti tutta l'opera celebra la nuova dinastia di cavalieri della Seconda Tavola Rotonda e delle loro meravigliose imprese tra amori e guer re, incantesimi e prodigi, amicizie e tradimenti. Sono Doristo Dautarixa, Fidonflor di Mares, Brondisel di Enantes e il fratello Br iso di Lorges e soprattutto il cavaliere dalle armi cristalline, i nuovi eroi, pr otagonisti di queste incredibili avventure. Le cattive azioni, anche se ottengono buoni risultati si rivelano sempre dannose per gli autori. Cos accadde a Morderet e ai suoi successori, che la divina provv idenza pun nella battaglia contro i giusti, con la vittoria gloriosa e la liberaz ione di questi ultimi, di cui fu testimone il re Sagramor. Egli, volendo sostene re l'ideale della cavalleria fondata da re Art, concedeva molte grazie e favori a tutti coloro che lo seguivano. Per questo motivo, molti cavalieri rinunciavano ai loro desideri ed alla loro natura, a costo di poter rimanere alla corte, dove il re poteva contare su molti signori nobili e importanti, quali vassalli, cos c ome su principi e su belle damigelle, offrendo ai valorosi cavalieri le occasion i ideali per farsi notare in imprese cos grandi che in nulla invidiavano i tempi di re Art. Si esercitavano in giostre e in tornei e ciascuno di loro si impegnava con forza e con coraggio per mostrare a tutti il proprio valore. Cos come era necessario al re conoscere tutti i suoi cavalieri e soprattutto quel li di cui poteva servirsi, allo stesso modo i principi dovevano essere conosciut i dai loro sudditi, per poter meglio adempiere ai loro servigi. E, in questo mod o, Sagramor poteva vincere e sostenere il suo impero, ricco e assai temuto dai n emici. E, volendo rassicurare gli abitanti dei suoi domini dal pericolo di qualsiasi so mmossa che la guerra passata aveva creato fra di loro, decise di andare in visit a di persona. Fece, quindi, riunire le corti a Bologna e a tutti i rappresentanti dei popoli d i due regni, Inghilterra e Francia e di quelli delle isole, fu ordinato, per let tera, di recarsi immediatamente nella citt italiana.

Oltre a tutti quelli che erano arrivati, si presentarono anche alcuni signori di grande importanza e rispetto. Ciascuno di loro aveva lasciato il suo paese, dove, a quei tempi c'era molto dis ordine, a causa delle numerose guerre in corso, e cos, sia gli uni sia gli altri, il re ringraziava e salutava con lusinghieri apprezzamenti per conquistarli e c olpirli nel loro orgoglio di nobili. Si dice, infatti, che l'amore per un sovrano sostiene gli stati, mentre il timor e per il tiranno, la maggior parte delle volte, porta solo alla distruzione. Sagramor offriva molto discretamente, ma con grande generosit, le sue fortezze e i suoi palazzi, favorito dalla buona sorte. In questo modo, con la grazia di cui godeva e il buon consiglio dei suoi leali vassalli, dispose ogni cosa alla perf ezione, e in cos breve tempo che tutto sembrava prima fatto che pensato, come se sapesse che la diligenza di Cesare gli aveva fatto conquistare il suo impero. La sua stessa corte era il luogo dove armava cavalieri molti fanciulli, figli de i signori, che desiderosi di mostrarsi degni e forti agli occhi delle dame e di far conoscere a tutti il loro ideale, si recavano fino alla frontiera di Navarra per esercitarsi contro i mori di Spagna, che li minacciavano continuamente e li sfidavano in battaglie molto pericolose, con grande spargimento di sangue. Poich Muleyzider, re delle Spagne, era molto desideroso di guerra, inviava sempre pi spesso dei soldati valorosi, del suo potente esercito, che accorrevano curios i fino alla frontiera. E per questo, tutti i figli dei nobili che pretendevano e ssere notati, si precipitavano da quelle parti, dove lottavano con grande accani mento, e se ritornavano vittoriosi, servivano dame e damigelle nell'esercito del la pace, conquistando altres, l'onore e la grazia del re che accettava di buon gr ado il loro singolare servizio. Fu cos che, sotto il segno di Marte, si formarono dei capitani molto valorosi, tr a i quali c'era anche Doristo Dautarixa, che lott con grande coraggio a fianco di molti cavalieri, come d'ora in avanti si racconter. Terminate le corti il re Sagramor decise di andare a Londra e poi di attraversar e le terre che a quel tempo formavano il regno di Inghilterra. Part il giorno di Pasquetta, dal suo palazzo reale, qualche ora prima, per recarsi in visita al mo nastero della Madonna del Graal, che si trovava fuori dalle mura. Lo accompagnav ano la regina Seleucia e le sue damigelle. Proprio nel mentre in cui montavano a cavallo, arriv nel piazzale davanti al palazzo un giovane cavaliere su di un bel lissimo destriero, molto grande e col ciuffo ornato di tante piume bianche. Port ava delle armi cos limpide che, tra loro e il cristallo non c'era alcuna differen za e a guardarle non sembravano essere meno resistenti di una roccia. Con il cap o e le mani disarmati, il fanciullo sembrava avere diciotto anni, di costituzion e robusta, ma ancora non completamente formata, faceva, tuttavia, immaginare una volont ed una forza molto grandi. Il viso gentile che cominciava a mostrare i pr imi segni di una barba ancora remota, lo rendeva degno di competere con Adone e aveva tratti marcati, non certamente femminili. C'era una grazia tale nei suoi g esti che faceva ben pensare ai colpi infallibili, su tutti i cuori che avevano l a fortuna di vederlo. Era preceduto da due scudieri, della sua stessa et, che indossavano eleganti abit i di seta bianca. Uno portava la lancia del fanciullo, il secondo lo scudo. In mezzo a loro avanza va, con grande autorit, un vecchio, a cavallo di un palafreno piccolo e basso; co n una mano teneva l'elmo e con l'altra stringeva le redini. Il re Sagramor vedendo un cos magnifico gruppo, pens che si trattasse di un uomo n obile e molto importante. Si present a loro e rimase immobile finch anche gli stra nieri non si fermarono. Scesero da cavallo in un punto ancora lontano dal cortil e del palazzo e con molta timidezza, si avvicinarono a lui. Superata la diffiden za iniziale e le usuali cortesie, sebbene il re non volle stringere la mano al c avaliere poich non sapeva chi fosse, il vecchio cominci a parlare, con voce bassa ma ferma: - Potente re, la saggia Merlinda, bacia le vostre regali mani, e vi avverte di fa re attenzione e di proteggere i vostri regni dai tempi di guerra che presto verr anno, in modo che, la cattiva sorte non possa colpirvi all'improvviso. Possa il Signore nostro Dio concedervi occasioni nelle quali conquistare immensa fama, si

a voi che i vostri principi, ora a riposo dopo aver superato tanti difficili ost acoli. La Dea Belona ha organizzato contro di voi una pericolosa congiura. E cos, questo fanciullo che pretende diventare un buon cavaliere vi sar di grande aiuto . Ella ve lo chiede in suo nome, mettendo a vostra disposizione i suoi domini e le sue ricchezze, per potervi servire in tutte le cose di vostro gradimento e pe r il bene del vostro stato. Nominatelo, dunque, cavaliere. Vedete che, con quest a speranza, egli porta gi con s le armi ancora coperte e vi garantisce che l'ordin e dei cavalieri sar anche da lui difeso, poich non c' nient'altro che lo possa onor are di pi. Il frutto di questa pianta racchiuso nel vostro sangue reale e voi, al di sopra di tutti, lo coglierete con grande gloria del vostro regno. Il re che seguiva questo discorso con grande felicit e soddisfazione, prese il fanciullo pe r la mano e gli disse: - Sono molto contento per la richiesta della saggia Merli nda e sebbene sia questo un compito molto difficile, vi vedo, a ragione, ben disp osto e anche questo vi fa onore. In nome della nostra amicizia, dovr la Dea penti rsi. Nelle opere mi pu anche vincere, poich quelle che derivano da simili persone non portano alcuna soddisfazione. Ed chiara la volont che c' in quello che mi chie de, pertanto ringrazio di cuore per l'avviso che la vostra saggia amica mi ha da to; mi ricorder del suo consiglio. Poi, dopo un istante di riflessione, il re disse rivolto al fanciullo: - Credo p rofondamente in quello che la maga ha detto di voi. E il fanciullo gli rispose: - Vostra Altezza, potete credere a tutto, ma non dubitate mai del mio desiderio di poter essere al vostro servizio, come degno cavaliere. - Sono felice delle tue parole - disse il re - e perci ti credo. Tuttavia, non di menticare la tua giovane et rispetto a questo importante incarico. - Signore - riprese il fanciullo - so quanto poco possano valere le forze che ab biamo in corpo, poich nello spirito che si cela la forza dell'uomo ed io solo di questo mi fido sperando che mi conduca sempre in ogni luogo e in ogni tempo a bu on fine. Dopo aver ascoltato attentamente queste ed altre parole, il re cerc di sapere qua le fosse l'opinione del fanciullo, del quale rimaneva sempre di pi soddisfatto pe rch gli rispondeva con molto rispetto e giudizio. Gli chiese, allora, il suo nome e di chi era figlio. Ma questi, scusandosi umilmente, gli rispose che non volev a essere conosciuto se non per le sue opere come pure non desiderava rivelare qu ali erano le sue origini. Il re Sagramor non insistette oltre, stupito e ammirato per la sua determinazion e e la sua presunzione. Poi, cavalcando pari pari, arrivarono al monastero, dove ebbe inizio la cerimoni a. Dato che Sagramor era un sovrano molto cattolico, dava grande importanza al cult o religioso e pretendeva che tutti i principi del suo seguito vi fossero, come l ui, devoti. Una volta dentro la chiesa, gli occhi di tutta la corte furono rivolti allo scon osciuto fanciullo, la cui preoccupazione pi grande era quella di raccomandarsi a Dio, chiedendogli grazia per poter servire in quell'ordine con onore. Terminata la messa, il re si avvicin e preg con lui. Alla fine delle domande di ri to, dopo che il fanciullo ebbe promesso di seguire le regole della cavalleria e di rimanere fedele alla sua religione, il re gli fece calzare lo sperone di cava liere, domandandogli da chi voleva ricevere la spada. Ma, ecco che, all'improvviso, si ud un tuono cos forte, che sembrava squarciare il cielo e nello stesso istante entr dalla porta principale del tempio un terribile drago che lanciava enormi fiamme di fuoco dalle narici. I suoi occhi sembravano due grandi torce ed era tanto spaventoso e furioso, quanto era bella e desidera bile la fanciulla che lo cavalcava; era vestita con un abito di seta cremisi, tu tto cucito sopra una tela argentata, con ricchi bottoni d'oro e ricamato dall'al to verso il basso con bellissimi fili d'oro e d'argento. I suoi capelli, anch'essi color dell'oro, erano intrecciati attorno al capo e tr a essi spiccavano diamanti e rubini che luccicavano come stelle. La sua bellezza era tale che, non solo vinceva in splendore il fuoco del drago, ma superava in gentilezza e in grazia tutte le signore che l si trovavano. Indescrivibile fu la confusione che si cre e la paura di tutti i presenti.

Il popolo spaventato, fuggiva da ogni parte per salvarsi, i cavalieri non potend o pi sopportare la loro impotenza, sguainarono le spade e si avvicinarono al re c he rimasto immobile con la sua spada ancora in pugno, aspettava, pronto, il gran de pericolo che lo minacciava. La regina, le dame e le damigelle, caddero a terra prive di sensi, mentre il fan ciullo, con la prontezza e l'agilit di cui era capace, afferr la spada e lo scudo che portava il suo servitore. Si lanci, quindi, contro il drago e con un unico co lpo lo infilz, attraverso la bocca, fino all'impugnatura dell'arma. Il mostro, in breve, cadde a terra, ai suoi piedi, tuttavia, n morto, n ferito, ma per volont de lla donzella che lo comandava. Si avvicin al fanciullo e gli cinse il collo con u na ricca collana in pezzi di argento tutta intarsiata, e gli porse una spada con il fodero ed i manici di cristallo, finemente cesellati. Poi, gli disse: - Il vostro destino e non la mia volont, valoroso cavaliere, mi hanno condotta qu i, da molto lontano, per portarvi questi doni, in pegno dei quali, voglio che si ate mio servitore. All'improvviso, nello stesso istante, le usc dal seno un picco lo serpente, dai mille colori, che saltando sul fianco sinistro del cavaliere, g li spezz le armi, e dopo essergli penetrato in corpo, gli strapp il cuore dal pett o. Poi, col cuore in bocca, si rifugi di nuovo nel suo nascondiglio. Ogni cosa accadde cos in fretta che a fatica si pu descrivere la scena. Il giovane cavaliere soffriva moltissimo e si riprese solo nell'attimo in cui il cuore gli veniva portato via. La donzella senza pi attendere, finalmente soddisfatta, sal di nuovo sul drago, ch e in quel momento si era risvegliato, pi furioso di prima, e se ne and da dove era venuta, scomparendo in pochi istanti. Ma, poco prima di uscire salut coi suoi be llissimi occhi il giovane cavaliere che la osservava con attenzione e gli disse: - Vieni a cercarmi se vuoi meritarmi poich ora parto. Il fanciullo rimase immobile, soffrendo gi una tale nostalgia, che le lacrime gli scendevano abbondanti dagli occhi rigandogli le guance. Penso, ora, ad Apollo che trasformando Dafne in un alloro, ne rimase cos ferito e turbato da restare abbracciato al tronco per tanto tanto tempo. Il re Sagramor, credendo nell'illusione di trovarsi di fronte a creature incanta te, pens fosse opera di Merlinda, che festeggiasse, in questo modo, l'investitura a cavaliere del suo protetto, ignorando che la maga, invece, era all'oscuro di o gni cosa. Allora, rivolto al fanciullo, gli disse: - Oh fanciullo, che valoroso cavaliere siete, voi che vi offrite per questa ed a ltre offese ancora pi grandi, quali vi sono state annunciate. E, qualora vi trove rete coinvolti nelle prove che per voi ordina la bella donzella, vi auguro di su perarle. Per conto mio, mi rimane solo il piacere di assistere, quale testimone onorato, a questa bella avventura che a raccontare non sembrerebbe possibile. Da un inizio come questo non mi attendo altro che un lieto fine. - Sia ci che la mia sorte comanda - rispose il fanciullo - che io obbedir. Sia fat ta la volont di Dio. Pertanto Vostra Altezza, lasciatemi andare affinch possa segu ire il corso del mio destino. Prometto di ritornare il pi presto possibile. Quell o che mi ha dato la morte sar il mio premio. - Mi rammarico - disse il re - per la vostra partenza cos improvvisa, ma sono fel ice della vostra determinazione e sono sicuro che il vostro ritorno sar celebrato , un giorno, con grandi onori. Soffro nel vedervi partire, ma desidero conoscere la fine di questa avventura. Ricordate quello che mi avete promesso e col vostr o immediato ritorno voglio che mi paghiate la forza che mi serve per lasciarvi p artire cos come siete, pur sapendo ancora poco di voi. - Il tempo rimedier a tutto - rispose il cavaliere. E subito part con tutto il suo seguito per andare a trovare Merlinda e chiederle quello che doveva fare per ria vere il suo cuore e per ottenere la soddisfazione di quell'amore che da poco ave va conosciuto. Il re rifer il messaggio al vecchio inviato da Merlinda, in segno di grande amiciz ia; non pot fare a meno di rivelargli tutto il suo dolore per la partenza del cav aliere e gli chiese di farlo tornare presto alla corte, poich sentiva gi la sua ma ncanza. Alla fine, il giovane cavaliere si mise in cammino, mentre il re si chiu se nel suo castello, desideroso di sapere chi era il fanciullo che in tanto mist

ero iniziava la sua avventura. Cos Sagramor, non resistendo alla curiosit, ordin a due cavalieri del regno, Brondi sel di Enantes e Don Briso di Lorges, figli gemelli di Don Galeazo, di partire la sera stessa e di seguirlo in gran segreto fino a Londra per scoprire il suo nom e. Jorge Ferreira de Vasconcelos, Memoriale delle imprese dei cavalieri della Seconda Tavola Rotonda

Come il cavaliere dalle armi cristalline fu informato del gigante Arganom Come disse Laudisea a Doristo, una bella donna, ricevuta dopo un combattimento, u n gioiello assai prezioso, bello, gentile, il giusto premio per un compito desid erato. Accadde, allora, che il cavaliere dalle armi cristalline, che l'amore ave va guidato nel suo pellegrinaggio, si riposasse, una sera, dopo che era partito dal porto dei Centauri a Vittoria, citt della provincia di Ayala in Biscaglia, as pettando il giorno successivo per recarsi al paese del gigante Arganom. Tiresia era molto agitata e voleva incontrare Celidonia con il centuaro, per por tarle notizie sul suo cavaliere, sicura che avrebbe sconfitto il mostro. Aveva, il cavaliere, un portamento gentile, calmo e discreto, e di questo si com piaceva la sua signora che lui serviva con onore e soddisfazione, come desiderav a da molto tempo. Giunto il mattino seguente, Tiresia gli disse che voleva parti re presto per avvisare la sua signora del suo arrivo e che lo avrebbe informato di alcune cose, di sua competenza, utili per spezzare l'incantesimo. Non gli par l, tuttavia, del gigante, temendo che avrebbe rinunciato all'impresa, se avesse s aputo di un simile pericolo. Ma poco conosceva il coraggio del cavaliere, il quale, pi di ogni altra cosa al m ondo e a buona ragione, desiderava misurarsi in pericolose avventure. La fanciulla, allora, si rec da lui per salutarlo e per dirgli che non si sarebbe ro pi rivisti fino al momento del suo ritorno come eroe vittorioso. Il cavaliere, ansioso di conquistare l'interesse di Celidonia, aveva chiesto a T iresia di aiutarlo e di consigliarlo in questa occasione, in cambio, l'avrebbe s empre servita dal momento che lei gli aveva rubato il cuore. Tiresia, allora, parl cos: - Credetemi Signore, che io darei la mia stessa vita, per servirvi dal momento c he voi mi avete dato la vostra tante volte, ma voglio dirvi che foste molto fort unato a farmi conoscere la signora Celidonia, la quale penso, vi dar molte soddis fazioni dopo che l'avrete incontrata. Sappiate che le dir ci che volete e che far l 'impossibile per calmare quel fuoco che dimostrate di sentire ardere nel vostro animo. Tuttavia, come altre volte vi ho detto, non pensate che sia poco quello c he faccio. Vi prometto, quindi, di farle sapere, ad ogni costo, il vostro sentim ento, ma la verit che, se non mi fidassi di voi in nome delle vostre famose impre se che da tanto affrontate e che portate come esempio, credetemi, non avrei mai osato farlo. E ancor meno mi arrischierei in un compito cos grande, ma la fiducia che nutro in voi, mi permette di fare ogni cosa. Turbato dalle parole di Tiresia, il cavaliere le disse: - Se farete questo per me, come dite, vedrete quanto io far per voi d'ora in avan ti, e mi impegno, sulla mia parola d'onore, ad esservi fedele. Salutata, quindi, Tiresia, che part al gran galoppo sul suo bel palafreno, il cav aliere decise di andare e di affrontare il gigante, sul centauro Chirone, abile con le armi e agilissimo. Questi senza perder tempo, prese dalla sua grotta l'ar co e le frecce, come gli aveva comandato il cavaliere. Lungo il cammino i due compagni attraversarono molte terre, i cui abitanti da ta nto tempo non celebravano una vittoria. Un giorno, si trov a passare per il folto bosco di Burgos, dove solevano svolgersi tutti i tipi di caccia. Tuttavia, per paura di Arganom, nessuno aveva pi osato inoltrarsi in quel luogo, tranne Tiresia

che poteva attraversare la roccia invisibile grazie all'incantesimo che la maga Daunia le aveva donato come ricompensa al servizio di Celidonia. Arrivata sul luogo diede la notizia dell'arrivo imminente del cavaliere dalle ar mi cristalline, suscitando una grande allegria in tutti coloro che aspettavano l 'eroe di tante avventure. Nel frattempo, partita Tiresia, il cavaliere dalle armi cristalline si prepar in tutta fretta per il viaggio, guadagnando grande ammirazione in tutta la citt di V ittoria, fino a quel momento sconvolta per la presenza del gigante che uccideva tutto ci che si muoveva e che molti cavalieri, seppur invano, avevano pi volte aff rontato. E poich sapevano che uccidere i centauri gli procurava una grande soddis fazione, non poterono far a meno di giudicare folle una simile impresa. Ma il ca valiere senza ascoltare quello che gli dicevano, sell il centauro con molte pelli e si arm di tutto quello era necessario: dell'arco e delle frecce. Part, in questo modo, lungo un sentiero stretto che gli avevano indicato e cavalc per molto tempo giungendo a tarda sera in un paese che aveva da una parte una gr ande fortezza e dall'altra un grande piazzale. Il cavaliere si ferm di colpo quando vide avvicinarsi un uomo riccamente vestito di seta, molto fine nel viso e nel corpo, ma con cicatrici cos profonde che parev a incarnare la morte stessa e in un luogo cos solitario e austero da fare quasi p aura. Portava con s un arco e delle frecce e sul suo viso mostrava una grave auto rit. Era seguito da lontano, sebbene il cavaliere sul suo centauro, non riuscisse a vedere se si trattava di un solo uomo o di due. Non appena gli fu vicino, lo sconosciuto lo salut in lingua greca. Il cavaliere d alle armi cristalline che lo comprendeva, gli rispose cortesemente. Dopo di che chiese se abitava in quel paese, e lui disse: - Mi trovo qui perch cos volle il mio destino e perch nulla possa nuocervi durante il vostro viaggio. Sono uscito per avvisarvi di allontanarvi da questa terra, se desiderate conservare la vostra vita, perch alla fine di questo bosco che voi ve dete cos verde e bello, abita il gigante Arganom, il pi crudele e disumano che si s ia mai visto. a causa sua che queste terre non si popolano pi per pi di sei leghe, poich nessun'altra carne gli pi gradita se non quella umana che sempre pi spesso o ttiene. Dicono, da queste parti, che lui il nipote del gigante Encelado e un neg romante spagnolo lo port, ancor infante, su questa collina dall'isola Trinacria. Qui lo allev perch un giorno, potesse impossessarsi di tutta la Spagna, e lo costr inse a costruire una torre di pietra, dove ancor oggi vive, un'opera di fattura certamente non umana. Tuttavia da quando il negromante spagnolo morto, lui vive qui, brutto e rozzo, come un pastore, allevando il bestiame del quale si nutre q uando gli manca la carne umana. Qualche volta esce e corre fino al mare, e anche il popolo, pi valoroso e pi forte si rinchiude pauroso dentro le mura. Dovete sap ere che molti uomini sono morti perch l'hanno affrontato e gli pagano ricchi trib uti e gli offrono altri uomini per placare la sua furia. Anche il re delle Spagn e, Muleyzider, tanto potente, a nulla pu contro di lui, anzi per scongiurare la s ua minaccia gli offre in cambio molti doni. Pertanto, signore, se avete abbastan za rispetto della vostra vita, andate via da questo luogo di morte, prima che ve nga il mattino. Di questo vi ho avvertito. Il cavaliere dalle armi cristalline, dopo aver seguito senza interrompere le sue parole, intervenne: - Ho pi stima del pericolo e dell'onore, che della stessa mia vita, poich essi sop ravvivono alla morte. E seguendo la volont del mio Signore, nel quel ho grande fi ducia, lo uccider rendendo cos felici molti uomini. La vita di uno solo vale la sa lvezza di molti. - Non mi sembra - disse quello del bosco - che diate molta importanza a ci che vi ho detto, poich non avete paura di niente, ma il gigante se ne gi andato nella su a dimora, dove voi non potete entrare. Devo aspettare qui assieme a voi fino a d omani per mostrarvelo, seppur da lontano, poich sono certo che solo a vederlo cam bierete idea. Il cavaliere era molto contento della sua compagnia e insieme decisero di passar e la notte in quel luogo, anche se i suoi pensieri non gli permettevano molto ri poso. Allora, smont dal centauro e quando Calidio, il suo scudiero lo prese e lo port lo ntano, volle sapere chi era e perch girava in quel modo.

Il triste uomo versando molte lacrime, che gli rigarono il volto, come ormai era diventata sua abitudine, cominci a dirgli: - Vi dir ogni cosa di me, perch i tristi hanno bisogno di riposo e di conforto da chi pu aiutarli, e forse voi non avete mai sentito la mia disavventura. Io sono l o sfortunato principe di Boemia al quale la buona sorte diede un tempo molta pro sperit; tanto da fare di me un raro esempio fra i tristi, e fu cos che ho seguito mille avventure fin dall'et di quattro anni. Giunsi in Polonia, e qui mi innamora i della principessa Fimbrisa che era gi stata promessa in sposa al principe Ruxia no di Russia. Ma la fortuna mi favor ancora una volta, poich in questa vicenda Fim brisa, aveva saputo di me e dei miei sentimenti per lei, e poich si avvicinava il giorno in cui sarebbe stata consegnata al suo sposo, dopo che si era saputo del l'arrivo del Cardinale di Russia che doveva portarla via, accett di imbarcarsi co n me su di una nave che io avevo lasciata al porto, carica di provviste e di tan ta brava gente. Cos salpammo, una notte, aiutati da un vento leggero che facilita va molto il nostro viaggio. Tuttavia il giorno seguente, navigando con le vele o ra gonfie e a favore, ora contrarie, cambi all'improvviso il tempo e fummo sorpre si da una tempesta che tentammo di domare per tre giorni, e che ci port lontano d alla nostra rotta. Finch una mattina, ci ritrovammo vicino alle coste spagnole co n la nave quasi completamente distrutta, senza aver salvato altro che poche pers one di bordo. Allora, presi Fimbrisa fra le braccia e salimmo su di un battello. La principessa si diceva felice e sicura di stare accanto a me, e apprezzava le fatiche che costavano sacrificio poich erano come gioielli senza prezzo. Poi, in viai alcuni uomini a terra per sapere se c'era qualcuno che potesse riceverci. N el frattempo presi l'arco e alcune frecce per andare a caccia, quando vidi passa re attraverso una vallata un gruppo di cervi; li inseguii immediatamente e mante nendo la distanza giusta, uccisi uno dei cervi, il pi grande di tutti. Poi tornai indietro, con in cuore l'allegria e il desiderio di raccontare alla mia amata F imbrisa ci che era accaduto. Tuttavia, giunto al punto dove avevo lasciato la pri ncipessa, non trovai pi anima viva. Sconvolto dal terrore, percorsi da cima a fon do tutta la costa, lungo il mare, senza trovare nessuna traccia, sicuro di avere sbagliato posto. All'improvviso vidi apparire un paggio, che tremando mi raccon t che era arrivato un mostro dal quale sia Fimbrisa sia tutto il resto della comp agnia erano fuggiti il pi velocemente possibile. A sentire queste parole, rimasi distrutto dalla passione e subito mi precipitai verso il punto che il paggio mi aveva indicato, il quale continuava a dirmi che cos facendo avrei trovato la mort e certa. Io che desideravo solamente ritrovare la mia Fimbrisa, senza ascoltarlo , corsi con tutta la furia che avevo in corpo, quando da lontano vidi un gigante , tanto mostruoso nell'aspetto che al solo pensarci mi vengono ancora i brividi. Portava sulle enormi spalle una rete di ferro molto sottile carica di tutti que lli della mia compagnia, imprigionati come passerotti e guardando con attenzione fra le maglie vidi anche Fimbrisa. E prima che lui si accorgesse di me, non osa ndo, per la paura, avvicinarmi, mi resi conto di non avere abbastanza forza per vincerlo. Nonostante questo, desideravo morire accanto alla mia principessa, sen za la quale la vita sarebbe stata per me una lenta e dolorosa morte. Allora, mi nascosi nel fitto della boscaglia e lo osservai da lontano aspettando per tutto il giorno e per tutta la notte, la fine di questa disavventura. Il gigante, intanto, deposta a terra la rete, si sedette su di una grande roccia , proprio davanti la porta della sua dimora e, credetemi se volete, poich io l'ho visto coi miei stessi occhi e quindi posso raccontarlo, ha tolto dalla rete uno degli uomini, povero disgraziato, tirandolo per una gamba e sulla roccia gli ha spaccato la testa, che si disfatta in mille pezzi. Poi, ha bevuto il suo sangue che scorreva fuori nero come la notte, ha preso una enorme ascia affilata e lo ha tagliato in quattro parti, facendo di lui un solo boccone, senza quasi accorg ersene dilaniando le membra ancora calde con denti aguzzi e pi grandi delle zanne di un cinghiale. Senza indugio e sfogando in tutto la sua golosit, ha cercato an cora fra le sue prede di caccia e uno alla volta ha scaraventato tutti gli uomin i contro una torre che si ergeva alta sopra una roccia, almeno cos mi sembrava da ll'esterno, poich all'interno non potevo immaginare cosa fosse. All'improvviso, v idi chiaramente Fimbrisa intrappolata nella rete, sopra questa creatura cos disum ana e bruta, ma la sua bellezza era tale che dava ragione a tutto ci di irraziona

le. Senza alcun indugio ha guardato con i suoi splendidi occhi il mostro, in modo co s intenso da colpirlo profondamente. Allora il gigante la liber dalla rete con gra nde cura e la adagi sulla roccia. Potete bene immaginare la mia preoccupazione, c redendo che lui volesse ucciderla cos come aveva fatto con tutti gli altri. Tutta via, il gigante, ormai innamorato della mia principessa, animato dallo spirito d ell'Amore, cominci a rivelarle le sue intenzioni, parlandole con gesti calmi e ge ntili. Fimbrisa lo ascoltava con attenzione soddisfando l'importanza che lui rit eneva di avere, e cos gli fece capire che non l'avrebbe finita come i suoi compag ni, poich lei si sarebbe uccisa prima. Il mostro, allora, volendo accontentarla, le promise la sua obbedienza e mise la rete contro la porta per non lasciare sca ppare quelli ancora vivi che erano la sua provvista. Poi, se ne and portando con s Fimbrisa, per mostrarle la grande quantit di bestiame che c'era sulla montagna, affinch con le sue ricchezze potesse conquistare il suo amore. Ed io, di lontano, li seguii, gemendo profondamente e mandando continui sospiri di dolore. Il giga nte, dopo aver mostrato il bestiame alla mia amata che gi adorava come una dea, s i distese all'ombra di un'antica quercia, accogliendo il capo della dolce Fimbri sa sulle sue gambe, proteggendola e scaldandola; nello stesso istante sprofond in un lungo sonno. Allora, subito pensai che era giunto il momento giusto, che da tanto aspettavo, per poterlo uccidere, ma non avevo le armi adatte e fui colto d a una terribile paura per il grosso rischio che avrei corso, poich se non l'avess i ucciso al primo colpo, Fimbrisa poteva rimanere ferita. Cos mi avvicinai in man iera tale che lei potesse vedermi e le feci dei gesti per farmi riconoscere. La bella Fimbrisa, con l'aria cupa e le lacrime che scorrevano dai suoi occhi chiar i, mi riconobbe e mi fece segno di non avvicinarmi, e cantando nella nostra ling ua mi disse: - In tutto questo male mi rimane la consolazione di vedervi vivo, ma mi duole di pi pensare che vi perder che sapere che morir. Fuggite lontano, poich in niente pot ete aiutarmi, e se desiderate la mia vita, risparmiate la vostra, poich senza di essa non potrei vivere. Lasciatemi vedere se posso trovare un rimedio a questa t riste sorte, e che Dio si ricordi di noi. Queste parole diceva Fimbrisa nel suo canto, ma io non potei rispondere, poich a quella dolce melodia il gigante si sve gli, molto contento di sentirla, e dato che pensava che la sua bella voce fosse a datta solo a quello scopo, le chiese di cantare per lui una volta ancora. Ma la principessa, non tanto sicura che lui capisse tutto ci che diceva in un'altra lin gua, smise di cantare, mentre io mi nascosi nel bosco. Dopo qualche tempo, riuni rono il bestiame in grandi ovili e se ne andarono. Io seguivo con gli occhi quel li di Fimbrisa che ad ogni istante si voltava per guardarmi. Giunse presto la se ra e i due rientrarono nella grotta, il cui ingresso era protetto dalla rete in modo tale che nemmeno una mosca poteva entrare. Dio solo sa, quanta paura, quant e lacrime e quanta tristezza ho sofferto, di fronte all'idea di Fimbrisa seppell ita viva. Pensavo al male e alle offese che quel gigante le poteva fare in ogni momento. Trascorse la notte e si fece giorno. La vidi uscire con il gigante e pr ovai un sollievo cos grande che mi sembrava di resuscitare, anche se lessi sul su o viso la profonda sofferenza che portava in cuore. Passarono cos tre mesi, giorno dopo giorno, notte dopo notte, senza pace e con ta nta pena, sempre in pensiero, nascosto in mezzo alla boscaglia e mangiando quell o che Fimbrisa metteva da parte per me. Il gigante non si allontanava mai, ma le i, con la scusa di raccogliere dei fiori e delle erbe, riusciva a venirmi vicino e a parlarmi. Un giorno mi disse che prima di entrare nella grotta, il gigante le aveva rivelato che durante tutto l'anno non voleva niente che lei stessa non gli volesse dare. E veramente mantenne la parola, poich lei si mostrava contenta e cos anche lui. Dovete sapere che Fimbrisa mi raccont tutte queste cose cantando, ed ogni volta, mi supplicava di andarmene lontano da quel luogo di dolore e di lasciarla al suo destino. Ma io non ho cuore per partire senza di lei, continuo ad aspettare il momento per poterlo uccidere, come desidera anche Fimbrisa. Cos, vivo ancora qui, come un selvaggio su questa maledetta montagna e qui aspetto la morte e il riposo che da essa mi verr, come mi ha detto la principessa. E avvert o tutti coloro che passano da queste parti, che hanno sbagliato strada o che si sono perduti, perch in questo modo, lascio il gigante privo delle sue provviste u

mane di cui soprattutto si appaga. Seguite il mio consiglio, signore, andate via da qui. Io stesso fui cavaliere e guadagnai onore e gloria nelle armi, e affron tai senza paura tanti giganti. Ma vi dico che non ha senno colui che pretende af frontarlo, anche con un grande esercito. cos enorme nel corpo che raggiunge del m are i punti pi profondi; corre pi leggero di un cavallo e ha tanta forza nelle man i da spezzare le rocce. Vedete voi ora, signore, cosa potete fare contro di lui, e ricordate che io sar ben felice di vederlo distrutto. Cos raccont il principe di Boemia, detto il Selvaggio, al cavaliere dalle armi cri stalline, avvertendolo del grande pericolo cui andava incontro. Vedendo che il c avaliere trascorreva l la notte, deciso, aspettando il mattino, e sentendo suonar e il flauto di Arganon che rimbombava per tutta la montagna, il principe Selvaggi o disse: - Ora, il gigante si trova nella sua dimora, se tuttavia volete ancora affrontar lo, lo troverete in fondo a questa pianura, e che Dio vi guidi, poich io voglio r itirarmi. Detto questo il Selvaggio spar nella boscaglia. Il cavaliere dalle armi cristalli ne, allora, ordin al suo scudiero Calidio di restare l per vedere ci che gli sarebb e accaduto, in modo che fosse testimone, in persona, della sua morte che gi lamen tava con molte lacrime. Poi, mont in sella al centauro, impugn una lunga lancia che aveva fatto fare a Vit toria e se ne and, avvisandolo di ci che avrebbe fatto in quella battaglia e prome ttendogli grandi imprese. Disse che avrebbe superato gli ostacoli pi difficili, a nimato da grande coraggio e dall'amore che sentiva per Celidonia. Portava innanz i a s l'immagine del famoso padre che gli dava la forza per affrontare tutte le i mprese, cos come Achille dava coraggio a suo figlio Piro. Poco dopo, arriv di fron te ad una enorme roccia che aveva una apertura cos grande e tutta bagnata di sang ue umano, da sembrare la bocca dell'inferno. Tutto attorno c'erano dei teschi, d elle teste ancora fresche e una grande quantit di ossa umane, onore del gigante. Alla loro vista, il povero cavaliere dalle armi cristalline sent un'immensa piet, sebbene un comune mortale avrebbe invece provato un'indicibile terrore. Arganom si trovava vicino alla porta con Fimbrisa, bellissima, ma molto infelice, mentre contava le sue bestie che uscivano da una stalla scavata in una roccia. Ma, non appena si accorse di lui, smise di contare e gli si lanci contro, pensand o gi al buon pasto che avrebbe avuto quel giorno. Corse verso il cavaliere dalle armi cristalline, senza perder tempo, per afferrarlo con le mani. Egli serr le gi nocchia contro il corpo di Chirone e, mentre il gigante lo sollevava da terra, g li trapass una coscia con una grande freccia, sebbene ad Arganom non poteva fare p i male di uno spillo. Allora, il cavaliere, sempre pronto e attento al pericolo s i gir verso il gigante prima che lui lo alzasse da terra. Poi, lo colp con forza n el mento con un pezzo di lancia, spezzandogli diversi denti e ferendolo gravemen te in altri punti. Arganom si rialz con raddoppiata furia, lanciando dalle narici lingue di fuoco come fulmini e nuvole di fumo. La schiuma che colava dalla sua b occa sembrava un fiume in piena. Improvvisamente prese una roccia, grande come u na botte, e la scagli con una forza tale che avrebbe di certo colpito il centauro se questi, grazie alla sua agilit, non si fosse spostato prima. Poi, prese un en orme bastone, che usava per appoggiarsi e lo scaravent ancora verso il cavaliere per vendicarsi del colpo ricevuto, ma lui prevedendo la sua mossa, si spost di sc atto e gli gett una lancia che colp il gigante in un occhio. Allora il gigante, pe r il dolore, colp la roccia con una forza tale, da ammazzare un toro. Il cavalier e che non riusc ad evitarlo, stramazz per terra e rimase disteso, tutto stordito p er alcuni minuti. Arganom, pensando che fosse finalmente morto, non gli prest pi at tenzione, ma si volt verso Chirone che, nel frattempo, continuava a lanciargli de lle frecce. Il cavaliere si risvegli proprio mentre il gigante tentava di colpire il centauro con il suo bastone senza poterlo raggiungere e lo spingeva verso la rete. Il destino volle che il centauro fosse colpito dal gigante, che gli spezz la zamp a, lasciandolo quasi morto a terra, accanto alla porta. Il gigante, quindi, approfittando della sua debolezza, si avvent su di lui armato di ascia, per tagliarlo a met, ma il cavaliere che si trovava abbastanza vicino, riprese le forze, lanci una spada verso il gigante, tagliandogli una gamba. Il g

igante perse l'equilibrio, cadde nella rete e ne rimase cos impigliato, da non ri uscire pi a liberarsi. E a buona ragione si poteva credere, poich questa rete era stata intrecciata da Vulcano, con dei fili in acciaio molto sottili e resistenti e con un'arte cos precisa, che era impossibile, ad un essere umano, spezzarla. F u cos che Marte cattur Venere e ambedue non riuscirono pi a liberarsi se non per in tervento dello stesso Vulcano, che la diede in seguito a Mercurio per prendere l a ninfa Cloride che tanto amava. Di lei si racconta che era molto bella e si alz ava in volo pi leggera di una farfalla e correva pi veloce della stessa aurora, e Mercurio la osserv e la segu cos a lungo che riusc a catturarla con la rete e la ten ne prigioniera nel tempio di Anubis, dove il dio marino Glauco prese di nuovo la rete per catturare, in Trinacria, la ninfa Scila, e per consegnarla a Polifemo che voleva prendere la bianca ninfa Galatea, che sempre gli sfuggiva. Ma, prima arriv Ulisse che lo accec, e poi la diede ai suoi successori che la custodirono ne lla sua grotta. Il negromante spagnolo la don ad Arganon, il quale la usava per ca cciare, come ha fatto con la compagnia di Fimbrisa. L'aveva disposta all'ingress o della sua grotta, in modo che nessuno poteva entrare. La maga Daunia, che dice vano essere figlia del negromante, lo sapeva e cos aspettava che qualcuno uccides se Arganom o che lui morisse naturalmente. Il gigante imprigionato nella rete, dove era caduto, bloccava col suo enorme cor po l'entrata nella grotta. Il cavaliere dalle armi cristalline vedendolo cattura to, decise di finirlo prima che si liberasse: come se questa fosse cosa facile! Impugnando la spada Caliborna con entrambe le mani lo colp sulla testa, spaccando la in due parti. Ma, il cavaliere, non ancora del tutto soddisfatto, lo colp nuov amente sul collo, decapitandolo definitivamente. Cos mor il gigante, nello stesso modo in cui aveva fatto morire tanti uomini, e ormai non aveva pi alcun potere. P oich in ogni modo si arriva alla resa dei conti, in nessun modo pot il gigante sot trarsi al suo destino, soffrendo come Busiride il tormento che l'aveva colpito. Il cavaliere prese subito a tagliare la rete in pi punti, di modo che nessun altr o potesse pi cadrvi dentro e si avvicin al centauro che soffriva molto per le nume rose ferite, ma che era ancora vivo. Il cavaliere lo aiut, poi and da Fimbrisa che lo riemp di lodi per il coraggio e l'abilit mostrate in quell'impresa. Poco dopo arriv, di gran corsa, il principe Selvaggio, che ancora di pi lod il cava liere e lo ringrazi per avergli restituito la sua amata. Lo scudiero Calidio, prov ad aiutare il centauro come meglio poteva e sapeva fare . Il cavaliere, infine, preoccupato solo di andare a liberare la sua Celidonia, ch iese al principe Selvaggio di restare ad aspettarlo, poich desiderava conoscere i segreti di quella grotta. Quindi, col suo aiuto trascin fuori il corpo di Arganom , che giaceva davanti alla porta. Poi, liberata l'entrata, e invocando Dio per a vere il suo aiuto, il cavaliere si addentr nella grotta scavata nella roccia e... qui lo lasciamo perch questa tutta un'altra storia. Jorge Ferreira de Vasconcelos, Memoriale delle imprese dei cavalieri della Seconda Tavola Rotonda

Come il cavaliere dalle armi cristalline liber Celidonia dall'incantesimo Si deve dare sempre molta importanza alla forza di volont, poich da essa dipende i l piacere della vita di ognuno, e la cosa pi grande che un uomo pu fare quella di donarsi ad una donna che gli stata a sua volta data, anche se lei non corrispond e al suo amore. Cos accadde a Doristo e a Florisbel, quando ottennero quella soddi sfazione che manc al cavaliere dalle armi cristalline, il quale, dopo essere entr ato nella grotta di Arganom, che, come abbiamo gi detto, era stata scavata nella r occia, subito dopo usc e si ritrov in un giardino, che a prima vista sembrava bell issimo. Ma, guardandolo con pi attenzione - si intuiva - che c'era qualche cosa d i artificiale, tanto era perfetto e tutto intorno era rallegrato dalla melodia d i molti passerotti cos dolce e soave da incantare coloro che li udivano molto meg lio del canto delle sirene.

L'ingresso della dimora di Arganom, dove lui si era nascosto con la bellissima Fi mbrisa, alla quale il Signore aveva risparmiato miracolosamente il pericolo e l' offesa, era fatta anch'essa di pietra, triste e scura, e aveva delle grandi fine stre, dalle quali si poteva vedere il giardino risplendere alla luce del giorno. Il cavaliere tent di scardinare l'inferriata, poich non c'era nessun'altra via di uscita, ma non riusc nel suo intento. Allora, estrasse la spada e sferr, con gran de potenza, molti colpi contro la grata, riuscendo a spezzarla, come non fu mai possibile ad Arganom, poich non possedeva una spada cos resistente come quella del cavaliere. Poi, si inoltr nel giardino preceduto da un lungo viale e affiancato da cipressi alti e grossi, e, poco distante vide, come se comparsi dal nulla, tre selvaggi, che facevano una gran paura, poich erano tutti bardati con grandi scudi e con gro ssi coltelli e lanciavano di continuo vampate di fuoco. All'improvviso, dal grup po, si fece avanti una vecchia con gli occhi cos accesi e luccicanti che sembrava no di viva brace. La donna disse, ai selvaggi, indicando il cavaliere: - Uccidiamo questo cavaliere, se vogliamo continuare la nostra opera, e appendia molo fuori dalla roccia. I selvaggi, allora, lo circondarono e cominciarono a colpirlo duramente da ogni parte. Ma il cavaliere riusc a sviare con tanta agilit i loro colpi, che rimase de l tutto illeso, sebbene si sforz molto nel tentativo di difendersi e di ripararsi dai loro colpi. Poi, li attacc a sua volta, animato da tutta la forza che gli da va la sua spada Caliborna, e sebbene fosse rimasto molto provato da questa avven tura, decise di portare a termine la sua impresa. Prosegu, quindi, il cammino per una via, fino ad una vasca rotonda e larga, che aveva nel mezzo una colonna in pietra bianca che sembrava di cristallo, attraversata da venature molto sottili, nere e di corallo, larga quanto dieci braccia ed alta pi di cinquanta, finemente lavorata e cosparsa di pietre, incastonata tutto intorno. Dalla cima verso il b asso grosse lacrime cristalline simili alle gocce di rugiada sui petali dei gigl i nelle mattine di maggio, ricadevano nella vasca, dall'acqua fresca e pura, mol to profonda, dimora di un terribile drago, che il cavaliere riconobbe essere que llo sul quale Celidonia era stata a Londra. Alzando, di nuovo, lo sguardo verso la cima della colonna, vide due fanciulle che non riconobbe, poich erano troppo i n alto; una di esse gli fece cenno di salire. Ma, in quel preciso istante, il dr ago si accorse di lui e prese a sputare fiamme dalle narici e dalla bocca che se mbravano incendiare l'acqua e, con tanta rabbia, che raggiungevano la cima della colonna, sulla quale non poteva salire. Il cavaliere, allora, si prepar ad affro ntarlo, senza lasciarsi impressionare dal suo fuoco, desideroso solo di sconfigg erlo, sebbene a poco valesse il suo coraggio contro quella furia, svantaggiato a nche dalla profondit dell'acqua. Il drago, intanto, non faceva altro che girare attorno alla colonna, senza perde rlo mai di vista. Poich era gi trascorsa un'ora e pensando che il drago non lo avr ebbe attaccato, il cavaliere cominci a nuotare con gran forza, proteggendosi dall e onde con il suo scudo, remando con la mano sinistra e stringendo la sua spada con la destra. Quando il drago lo vide, crebbe cos tanto la sua furia che prese a rodere velocem ente la colonna, mentre scavava, con gli artigli affilati come lame, un buco mol to profondo. Questo cre un ulteriore pericolo per il cavaliere che gi si doveva di fendere dalle onde, come una piccola barca perduta in mezzo all'oceano sbattuta dal vento, correndo pi volte il rischio di annegare. Finalmente riusc a raggiungere la colonna dove il drago, intanto era gi entrato, s ebbene il cavaliere non trovasse nessuna via libera. Il cavaliere, per un attimo, rimase molto confuso, poi, ripresosi velocemente, n uotando attorno alla colonna per trovare un'altra entrata, vide, impresso su di una pietra, un triangolo nero e delle lettere bianche che formavano una scritta latina che diceva: "Se il destino permette al cavaliere dalle armi cristalline d i giungere fino a qui per riscattare ci che gli stato rubato dalla fanciulla del drago, nelle sue mani trover la soluzione ai suoi problemi, se avr la fortuna in a more come nelle armi". Il cavaliere non comprese bene le parole che aveva appena letto, e mentre rilegg eva una seconda volta, si sent improvvisamente afferrare per i piedi, da sotto l'

acqua, che per poco non affogava. Subito reag e afferrando la spada per colpire c hi lo tratteneva, in men che non si dica tutta l'acqua che lo circondava spar com pletamente ed egli si ritrov in mezzo ad un prato verde, tutto fiorito, di fronte ad una porta di ferro lucente dalla quale si entrava nella colonna. Il cavalier e felice e sollevato per aver superato il grande pericolo e ansioso di soddisfar e il suo desiderio, si alz e colp la porta con la spada, con una forza tale da sfo ndarla. Oltrepassata la porta si trov di fronte ad una scala a chiocciola. Sal lun go la scala, non senza difficolt per la stanchezza che aveva in corpo e quando fu in cima entr in una grande stanza riccamente decorata, dove si trovava la bella Celidonia che lavorava con Tiresia, accanto al drago che tutto attorcigliato, st ava a guardia dell'entrata. Questi nel vedere il cavaliere si irrigid, lanciando forti sibili e alzandosi com e per assalirlo. Il cavaliere che si trov di fronte la sua signora, alla quale de siderava concedersi sopra ogni cosa al mondo, attacc il drago con tale forza che sembrava poter distruggere mille mostri veri, invece di uno solo nato dalla fant asia. Celidonia si trov, quindi, testimone di una violenta battaglia nella quale il cav aliere dalle armi cristalline lott con grande coraggio e forza da far nascere in lei, che lo osservava attentamente, una profonda ammirazione. Alla fine, il cavaliere trafisse il drago al cuore. Questi lanci un grido forte c ome un tuono, e spar in una nuvola di fumo. Poi la colonna cominci a tremare, tant o che le due fanciulle e il cavaliere non riuscivano a reggersi in piedi. Il fumo era cos denso che non si vedeva niente, ma il cavaliere concentrandosi su quello che doveva fare, non si perse d'animo e aiutato da Caliborna, riusc a man tenere l'equilibrio. Il palazzo si sgretol in mille pezzi, a poco a poco, sotto i suoi piedi, scompare ndo completamente. Anche il fumo si dilegu e il cavaliere si ritrov in un verde prato, tutto coperto di fiori. Celidonia e Tiresia giacevano fra l'erba come morte, senza dare pi nessun segno d i vita, e questo fu per il cavaliere un dolore pi grande di tutti i pericoli che aveva fino a quel momento superato. Allora si avvicin lentamente a Celidonia, la strinse fra le sue braccia e con gli occhi colmi di lacrime le disse: - Mia adorata, amore, se il destino mi ha fatto tanto bene fino ad ora, mi fa or a tanto male, poich si preso la vostra vita, ma sar ben felice se in cambio della mia vita, o a forza di mortali pericoli, vi verr resa la vostra. Sar soddisfatto d i pellegrinare pi di Ulisse, di superare pi fatiche di Ercole, purch la sorte rievo chi una sentenza tanto ingiusta. Che mi condanni ad una vita senza destino, ma n on ad una vita senza di voi. Era cos assorto in questi tristi pensieri che il cavaliere non ud i gemiti della p overa Celidonia. Pensava a tutto ci che gli sarebbe potuto accadere di peggio e cos afferrata la sp ada, la tocc poich sapeva che racchiudeva in s un poco di magia e... quand'ecco che Celidonia riprese conoscenza, svegliandosi da quello che le era sembrato un lun go sonno. Vedendo il viso del cavaliere, gli chiese subito: - Ahim, dove sono? Il cavaliere dalle armi cristalline la sollev immediatamente e rispose: - Non abbiate paura, mia signora, poich c' chi morir per voi. Allora, Celidonia gli chiese notizie di Tiresia, ed il cavaliere tocc con la spad a la fanciulla che si dest all'istante. Quindi si tolse l'elmo e si mise in ginoc chio davanti a Celidonia. Poi le disse: - Se c' altro che io posso fare per la vostra libert, ordinate che io obbedir. Celidonia lo prese per le mani e lo fece alzare, ricambiandogli la cortesia. Il cavaliere pi imbarazzato che tranquillo, rimase profondamente colpito dalla su a bellezza. La fanciulla che bene aveva compreso ci che il suo eroe provava e poi ch era persona di grande discrezione, gli disse: - Signore, mio cavaliere, avete fatto cos tanto per me da non lasciarmi la possib ilit di potervi contraccambiare almeno in parte. Tuttavia, ritengo che in futuro ci saranno altre occasioni. Sono sicura del vostro onore e del vostro merito. Mi a madre, desiderosa di proteggermi, mi ha rinchiuso in questa che per me fu una

vera prigione, sebbene allietata da tutti i passatempi che potevo desiderare, ma senza la libert. Cos assieme a tutti i piaceri, ho perduto anche la gioia di vive re. Questa fu la ragione che mi costrinse a faticare per farvi venire fin qui, q uando seppi a Londra che nel vostro destino c'era gi scritto l'aiuto che mi avres te dato. Perci aiutatemi ora, portatemi via, concludete quello che avete comincia to. A quelle parole il cavaliere rispose: - Signora, sia fatto ci che mi chiedete, perch desidero solo obbedirvi. Poi, le raccont come aveva ucciso il gigante Arganom, e tutto il resto di questa s toria, che gi conoscete. Nel frattempo il principe Selvaggio, vedendo che era gi passato un giorno intero senza che il cavaliere dalle armi cristalline fosse ritornato, si avventur anche lui nella grotta, e trovando ogni cosa ormai tutta distrutta, torn subito indietr o da Fimbrisa, da Chirone, ancora dolorante per le ferite e da Calidio. All'impr ovviso videro uscire Tiresia, che accorse vicino al centauro per aiutarlo; era m olto felice di vederla ancora viva, anche se pi soddisfatta sembrava essere Fimbr isa. Non appena vide Celidonia rimase profondamente meravigliato per la sua bell ezza e cos la fanciulla al vederlo, memore delle cose che Tiresia le aveva detto di lui: era di certo molto bello nel corpo e gentile nei modi. Le due principesse ricevettero molti elogi e onori, e passato quel momento, il c avaliere dalle armi cristalline invi subito Calidio a Vittoria a prendere delle a rmi per il principe Selvaggio, e cavalli e palafreni, mentre loro sarebbero rima sti l, ad aspettarlo, tutta la notte. Poi, si avvicin a Celidonia, con l'intenzione di proteggerla da qualsiasi pericol o, poich questo gli sembrava essere il suo compito. La fanciulla sapeva che nei l oro destini c'era scritto che Dricamandro di Ronda, un giorno sarebbe stato per loro la causa di una morte terribile e, a questo pensiero sent nascere una grande paura e un odio mortale verso di lui. Per questo ebbe timore di andare alla cor te di Muleyzider, suo padre, nonostante la parola che aveva dato a lui e a Muley zibar, re dei Getulli quando si trovavano nel giardino delle Esperidi, decisa, i nvece, di chiedere al cavaliere dalle armi cristalline di condurla alla corte de l re Sagramor. Dopo di questo, che fosse come il destino ordinava; la sua unica intenzione era quella di attraversare il mondo fino a trovare ci che pi l'avrebbe soddisfatta, poich questa era la dama pi ambiziosa che mai si vide. E, siccome i t imori a nulla possono contro il destino, bisogna solo obbedirvi e fare in modo c he niente ostacoli la nostra buona sorte. Cos fece questa bellissima dama che senza concedersi al cavaliere dalle armi cris talline, da cui sapeva, per certo, essere molto amata, n rendendogli merito per t utto quello che aveva fatto per lei, lo illuse con tante vane speranze, poich ne seguisse la volont, cui gi senza darsi pena, aveva sempre obbedito, che, incurante di qualsiasi altra, divenne il cavaliere pi soggiogato da questa passione che ma i si vide ai suoi tempi e per molti anni dopo. Cos prendendolo per la mano, in se gno di grande affetto, e appartatasi con lui, gli disse: - Cavaliere dalle armi cristalline, prima di rivelarvi ci che pi desidero da voi, voglio innanzitutto sapere il vostro nome, e non negatemelo, se non volete togli ermi la speranza di conoscere chi voi siate. Il cavaliere che mai avrebbe voluto scontentarla, le disse che era figlio di Don Tristo di Leonis e della sua amata Iseo, e che il suo vero nome era Don Lucidard os. Celidonia ne fu molto contenta e prov per lui un grande affetto, poich aveva s entito molto parlare di Tristo di Leonis, sia per la sua abilit nell'usare le armi , sia per le sue vicende d'amore. Ma della nascita di Don Lucidardos, parleremo in altra occasione. - Vi sono molto riconoscente - riprese, allora, Celidonia - e non ci sono opere che possono pagare il mio debito verso di voi, eccetto quello che ora vi dir. La mia fiducia verso di voi il mio pegno, in cambio, voi dovrete sempre servirmi e proteggermi. - Signora - rispose Don Lucidardos - dopo che mi avete reso tanto felice, non de sidero altro che di restarvi vicino, e mi auguro che la buona sorte mi sostenga sempre. E, se in qualche cosa, io vi sembro indegno della vostra grazia, possa i o morire disperato, giacch vivo solo per servirvi e soddisfare in ogni cosa la vo

stra volont. Ora, signora, ordinate ci che volete io sia. Celidonia disse: - Non ho alcun dubbio su di voi, e so molto bene, Don Lucidardos, quanto siete g eneroso ed onesto e come meritate tutto ci che per voi si pu fare, inoltre penso c he non diventerete mai moro, poich io sono cristiana e cos sar sempre. Le cose devo no seguire il loro corso e non essere forzate. Non proverei offesa pi grande che avere una falsa opinione di voi. Se volete condurmi in Francia e in Inghilterra per conoscere le grandi ricchezze, che custodiscono, dovete darmi la vostra paro la di onore e di fede, che non farete nient'altro oltre quello che vi chieder, po ich nel momento in cui lo farete, mi perderete. meglio chiarire e decidere ogni c osa da questo momento, cos da non far nascere pentimenti dopo. - Mi sembra una cosa giusta - disse Don Lucidardos - obbedir a tutto ci che mi ord inate, poich sono felice di portarvi e di seguirvi attraverso le terre di Francia e di tutte le altre citt del mondo. So bene che non si pu facilmente conquistare, tutto ci che la natura ci offre, di prezioso, come la rara bellezza che don a voi . Sar, comunque, pi difficile per voi comandare, che per me obbedirvi, ma seguite il vostro destino di avermi al vostro fianco e non accettate altro amore, n altro servizio, se non il mio, ed io ne sar soddisfatto. - Per quanto riguarda questo - riprese la fanciulla - il tempo ve lo dimostrer e vi prover quanto io vi stimo e a voi mi consegno, in modo che da questa terra par tiamo prima che si sappia di noi. Cos si misero d'accordo Don Lucidardos e Celidonia e dopo aver riferito la loro p artenza a Don Selvaggio, mentre aspettava l'arrivo di Calidio, che non pot raggiu ngerli se non il giorno seguente, si misero in cammino, montando i cavalieri i l oro cavalli e Fimbrisa e Tiresia due splendidi palafreni. Il centauro si era offerto di portare Celidonia, poich ormai non sentiva pi dolore , grazie alle cure di Tiresia, durante i tre giorni che erano rimasti l, cos pot po rtare anche le armi di Don Selvaggio. Dopo aver preparato ogni cosa per il viaggio, lasciarono il pi in fretta possibil e la terra di Spagna, prima che il re Muleyzider sapesse della loro presenza, e lo stesso giorno andarono a dormire al Porto dei Centauri, allontanandosi da Vit toria. L trovarono tutti coloro che Don Lucidardos uccise non senza grande stupor e del Principe di Boemia, che pensava che questa impresa fosse stata meno import ante di quella del gigante Arganom. Celidonia si sentiva piena di orgoglio per il potere che aveva su di un cavalier e cos bello e cos forte, ben felice di scoprire in lui tante buone qualit. Ma quest o pensiero non bast, tuttavia, a farle cambiare la sua decisione. Cos come Don Lucidardos non aveva minor motivi per non essere innamorato e comple tamente devoto a Celidonia. La guardava sempre con occhi cos pieni di passione, che sembrava trovare il suo s ostentamento in questa contemplazione. Cos si trovava il nostro eroe, assorto in continui pensieri d'amore, seguendo in ogni dove la sua amata, contento e felice di poterla proteggere, giudicando tra s e s quanto doveva essere triste che una d onna priva di amore appartenesse ad un uomo da lei conquistato. Proseguivano, intanto, tutti assieme, il loro viaggio, verso Biscaglia, fino in Guascogna, senza che accadesse nulla di particolare e degno di essere raccontato , sebbene alcuni scrittori dicono che, a questo punto, la compagnia incontr dei n emici, contro i quali lottarono, uscendo per sconfitti. Foroneus, ad esempio, dis se che, questo episodio era stato come una lieve dimenticanza, rispetto ad altre avventure che questi valorosi principi avevano intrapreso. Allora, lasciamoli s eguire tranquilli il loro cammino verso la corte, poich bisogna sempre andare dov e ci chiama la storia. Jorge Ferreira de Vasconcelos, Memoriale delle imprese dei cavalieri della Seconda Tavola Rotonda

L'avventura di Miraguarda

Capolavoro della novellistica cavalleresca iberica, il Palmerin di Inghilterra ( 172 capitoli in due parti), da cui tratto il racconto che segue, pur rispettando le leggi del romance cortese, portato alla migliore espressione dal "rivale" Am adis di Gaula, supera la mera imitazione dell'opera, introducendo elementi decis amente innovativi. E come gi l'Amadis, diede inizio ad una accesa polemica sulla autorit spagnola o portoghese. Attribuito alla figlia di un falegname di Burgos, da Francisco Delicado, e in seguito ad un re portoghese, da Cervantes, la diatri ba si conclusa solo recentemente quando un critico brasiliano ha riconosciuto in Francisco de Morais l'incontestabile "padre" del Palmerin, scritto da questo au tore fra il 1543 e il 1544 a Parigi, prima del ritorno in Portogallo nel 1544. Nel brano seguente, inizia la sfida tra il Cavaliere della Fortuna e il Cavalier e del Selvaggio alla presenza di tutta la corte. Spaventata dal combattimento, F lrida interviene e implora i cavalieri di fermarsi. I due giovani non sapendo di trovarsi di fronte alla loro vera madre e ignorando che tutta quella storia sia stata tramata da Eutropa, ubbidiscono alla richiesta della regina. Dopo questo e pisodio troviamo il Cavaliere del Selvaggio che combatte contro il gigante Dramu siando. Raggiunto da Palmerin, questi libera il fratello e tutti gli altri cavalieri pri gionieri nel castello. Al loro ritorno a Londra, vengono da tutti festeggiati co n un magnifico torneo. Durante un banchetto, in onore del re Fradique, Daliarte rivela l'identit dei due eroi. Ripartito per nuove avventure, Palmerin incontra F lorendos, fratello di Polinarda, a guardia di un castello dove si era rifugiato e aveva conosciuto la bellissima Miraguarda, padrona del suo cuore. Viaggi a lungo Palmerin attraverso il regno di Portogallo, superando molti perico li in cui spesso si trov coinvolto, e diede cos grandi prove del suo valore, e la fama che gli deriv da quelle avventure lo rese talmente conosciuto nelle terre ch e visitava, che non si parlava d'altro. E vagando, da una parte e dall'altra, si ritrov una sera di Aprile, cos assorto nei suoi pensieri e incurante di ci che acc adeva intorno, lungo la riva del Tago, che con le sue fresche e dolci acque irri gava i vasti campi della Lusitania guerriera, fino a gettarsi nel mare. E, poich in quei tempi era circondata da folte boscaglie, ne impediva la vista in molti p unti. Proseguendo il cammino, senza allontanarsi dalla riva, all'improvviso vide in me zzo all'acqua, un isolotto che il corso del fiume formava, e su di esso, un cast ello di roccia cos ben costruito e difeso che era pi adatto ad essere temuto che n on ad essere ammirato da chi si trovava nelle sue vicinanze. Poco lontano dalla fortezza, vide, lungo le sponde del fiume, tre fanciulle bellissime, che sotto g li alberi si divertivano e godevano della loro ombra, favorite, in questo dalla grande calma del giorno; erano cos prese dai loro piaceri, che non si accorsero d ella sua presenza, se non quando ormai era gi vicino da non potergli pi sfuggire. Florendos le guard tutte, ma i suoi occhi si posarono su quella che sembrava di m aggior merito, rispetto alle altre che mostravano nei gesti una gran timidezza e vide una differenza cos profonda nella sua bellezza che mai aveva immaginato pos sibile. Emanava un potere cos forte che in quello stesso istante il suo cuore, pr ima libero, convert la sua libert, priva di pensieri disperati e che molte volte g li aveva fatto desiderare la morte, per una vita di maggior cura e minor pericol o. E questo amore fece nascere in lui un desiderio infinito, che guard la dama ancor a una volta e vide in lei, quell'onest, quella grazia, quella vivacit che portano, di regola, gli uomini a perdersi per loro. E vedendo che si dirigevano al castello, non ebbe la prontezza di parlarle, poic h lo stupore per ci che aveva visto lo aveva lasciato completamente turbato. Dopo essere rimasto solo nel campo si riprese dallo sgomento, e cominci a sentire di nuovo nel suo cuore quei pensieri innamorati e a provare sussulti di felicit. Arriv, nel frattempo, al castello e trovando la porta sbarrata, volse lo sguardo in alto e vide sulla cima, anch'essa di pietra, uno scudo di marmo, incastonato nella stessa pietra, che rappresentava una figura di donna, cos somigliante in ap

parenza a colei che aveva visto poco prima, che non poteva trovare alcuna differ enza tra l'una e l'altra. Nel grembo portava delle lettere bianche che dicevano: Miraguarda. E, di sicuro, quello era il suo nome che meglio di ogni altro le si adattava, poich la sua signora meritava di essere ammirata ma ancor pi di essere temuta. Tuttavia, non era quella la vera ragione che spiegava la disposizione delle lett ere, ma il fatto che era il gigante Almoroul, signore del castello e da cui, in seguito, prese il nome, a guardarle. Chiunque doveva guardare l'immagine dello s cudo e guardarsi allo stesso tempo da lui. Il gigante, per realizzare il suo intento, usc dal castello proprio nel mentre in cui Florendos stava leggendo le lettere e intuendo la sua malvagia, armato di f recce di acciaio, non meno belle che forti, al galoppo di un cavallo cos nero e v igoroso quale era necessario a sostenere un simile peso, si lanci contro Florendo s, gridando: - Di sicuro, cavaliere, queste lettere vi avrebbero rivelato, se le aveste compr ese bene, quanto inutile stato il vostro indugio. - Se gli altri timori che mi fanno nascere nell'animo - rispose Florendos - non fossero pi grandi della paura che mi fanno le vostre parole, li supererei con min or pena di quella che ora mi danno. E cos, di parola in parola, scoppiarono in una furia talmente forte, sia l'uno ch e l'altro, che si sfidarono in una battaglia molto pericolosa e cruenta, nella q uale il gigante Almoroul pot mostrare tutta la forza che possedeva; ma Florendos che manteneva su di lui un certo vantaggio, vendendo, tra i presenti la signora Miraguarda con Lademia e Ardenia, sue damigelle, comp tali meraviglie con le sue sole armi, che lo priv di tutta la sua forza, ferendolo cos gravemente, che in nes sun modo sarebbe sfuggito alla sua ira, se la signora non fosse accorsa e pregan dolo, disse: - Cavaliere, vi supplico, se c' qualche cosa al mondo che vi convince a porre fin e a questo combattimento, vi prego di farlo; per amor mio, non uccidete questo g igante, che persona cui devo molto e il principale guardiano di questo castello. - Signora - riprese Florendos - queste parole e voi che le pronunciate mi obblig ano tanto, che non posso fare a meno di accontentarvi. Il gigante pu fare di s que llo che vuole, e voi di me come ordinate, poich mi trovo in una condizione tale, che non so se potrei fare altro. Miraguarda ringrazi il cavaliere per la sua obbedienza, dopo di che rientr al cast ello seguita da Almoroul. Florendos, invece rimase fuori, ancora sconvolto dalla bellezza di quella signora, soffrendo un dolore ancor pi forte di quello che gli causavano le ferite, dalle quali lo cur il suo scudiero. Dopo essersi ripreso un poco, rimase in quel luogo per molto tempo ancora a guardia del castello, dando prova del suo valore, combattendo con tutti i cavalieri che l giungevano e vince ndoli in prove di grande coraggio, tanto che i pi famosi venivano da lontano per mettersi alla prova in quell'impresa, senza che il gigante dovesse mai uscire in suo aiuto, dato che lui stesso gli liber per sempre il campo da tutti quelli che giungevano fin l. Se poi, ogni tanto, gli restava del tempo, allora passeggiava sotto gli alberi, assorto in malinconiche contemplazioni, ricordando a volte i s uoi mali, e, altre volte, l'immagine sopra la porta, sorda all'udito, muta alla risposta, nella quale trovava tanto conforto quanto si poteva aspettare da una s tatua. E, bench Miraguarda assistesse queste cose, lasciava, indifferente, che il suo servitore soffrisse per lei, nascondendo ci che vedeva, per negargli la meri tata ricompensa. Cos visse Florendos per molti giorni fino a quando decise di and are nella valle della Perdizione dove gi erano caduti molti principi e forti cava lieri e per misurarsi contro Dramusiando in Inghilterra, e poich la fiducia che n asceva in Miraguarda per le sue imprese era grande, gli ordin di partire, ritenen do che ormai il suo compito al castello fosse terminato rimanendo a lei sola l'o nore di tante vittorie. Florendos, allora si mise subito in viaggio, ben felice che la sua dama gli avesse affidato una cos importante missione in cui servirla. Arriv, tuttavia, in Inghilterra, quando ormai ogni cosa era stata conclusa da Pal merin. Ma, sapendo che tutti quelli che erano alla corte venivano a vedere la fo rtezza di Dramusiando, li aspett sul ponte. Ritornando, tuttavia, a Miraguarda, c he la natura aveva fatto estremamente bella, non si detto il motivo per cui vive

va in quel castello. Poich davanti a noi le donne hanno tanto potere e poich su og ni cosa hanno il sopravvento, specialmente se molto belle, queste convincono sem pre gli uomini a non temere i pericoli ma ad affrontarli. E cos che alla corte di Spagna, dove il conte, padre di Miraguarda si recava spesso come persona di mol to valore e merito, c'erano tante competizioni di cavalieri che solo desideravan o porsi al suo servizio e dar prova in giostre, tornei e feste del loro pregio. Ma provocando queste col tempo, molte spese, portavano alla rovina quasi tutti o la maggior parte dei partecipanti, cosa che dava alla regina pena e disgusto e ancor pi tristezza, poich durante l'assenza del re, suo marito, lontano dal regno, i suoi figli trascorrevano i giorni in piaceri pi grandi di quanto erano abituat i. Di conseguenza col tempo, le gare divennero sempre pi folli che nacquero da es se mille discordie e seguirono lotte e sfide, nelle quali trovavano la morte mol ti signori importanti e cavalieri famosi, e ancora aumentavano tanto che se non si fosse intervenuti con temperanza e discrezione, la Spagna avrebbe presto dime nticato tutto quello che era stata un tempo. Il conte, allora, che era molto assennato e serio, fece chiamare il gigante Almo roul, persona di grande riguardo e fiducia, e lo preg di tenerla sotto la sua cus todia, assieme a qualche cavaliere che gli avrebbe mandato, fino a quando fosse giunto il momento di darla in sposa, poich in quel tempo c'erano troppi motivi ch e lo disturbavano. Cos mand sua figlia, accompagnata da quattro cavalieri della su a casata, e alcune dame e damigelle per servirla. Miraguarda rimase nel castello di Almoroul cos a lungo, da dimenticare tutte le discordie e le battaglie, per r ipartire, pi tardi verso altre dimore. Si pu quindi credere che molte volte le grandi sventure sono il principio di fort une maggiori. Francisco de Morais, Palmerin di Inghilterra

Il giardino di Urganda Floriano, dopo aver risparmiato la vita ad Alfernau, si reca col suo seguito, Ar lana e otto fanciulle, a visitare il castello di Almoroul e la corte del re Recin dos di Spagna. Palmerin, nel frattempo, arrivato all'isola Profonda, combatte e uccide il gigan te Pauroso, zio di Arlana, consegnando, poi, l'isola a suo fratello Floriano. Raggiunta l'isola Pericolosa, si reca nel giardino di Urganda, la fata buona. Il giorno seguente, di mattina, i quattro compagni si recarono tutti insieme nel giardino, non meno prezioso delle altre incredibili cose di quel luogo. Urganda lo aveva composto a suo piacimento, poich in esso soleva godersi le serate estiv e. Era diviso in tanti settori, distinti gli uni dagli altri da larghi sentieri, cos precisi, che non sembrava possibile uscire da nessuna parte; lungo i bordi v i erano piantati degli olmi molto alti e ricchi di fronde, tutti della stessa mi sura e della stessa grandezza e disposti in ordine uguale, tanto che davano al p aesaggio molta grazia. Tutto il corso dei sentieri era costeggiato, poi, da cann eti disposti con tanta attenzione e fantasia, quanto non sembrava possibile a me nte umana e cos nuovi che parevano terminati quello stesso giorno. Il suolo dei s entieri era lastricato di pietre bianche e verdi come losanghe, dai profili ricc hi e finemente lavorati. Tanti quanti erano i settori del giardino, cos erano le qualit di alberi, di piant e e di fiori, sempre conformi al luogo; in alcuni c'erano arbusti dal tronco mol to largo, con rami cos lunghi, che sembravano toccare le nuvole e talmente folti, che a mala pena ci si poteva vedere attraverso; di grande qualit e leggeri che n ella calma del giorno ondeggiavano al vento e il sole non aveva tra le loro fogl ie alcuna forza per impedirne l'ombra. C'erano, altres, alberi coltivati per l'us o domestico, ricchi di frutti, cos strani, quanto la natura poteva donare; da un' altra parte fiori che sbocciavano tutto l'anno, in tante sfumature di colori, qu

ante la primavera poteva portare con s, quando pi risplendeva. In alcuni di questi campi verdi non c'era nessun'altra mescolanza di erbe, ma prati bassi, quasi ra sati che invitavano a godere il sole, ogni qualvolta l'uomo lo desiderava. In altri punti, c'erano rocce aspre e scoscese come scogliere, ricoperte di eder a e di altre piante rampicanti, conformi alla loro natura. Dalla pi alta scendeva no rivoli di acqua, che saltavano di pietra in pietra, ed erano disposte con tan ta arte, che il gorgoglio dell'acqua sulle pietre era simile all'armonia degli u signoli e di altri passerotti nel momento di maggiore gioia. Tutta quell'acqua s i raccoglieva ai piedi delle rocce in piccole vasche, circondate da pietre limpi de come il cristallo, lavorate come il marmo e di opera romana, cos ricca di arte e di raffinatezza che dava piacere agli occhi guardarle, quanto sarebbe diffici le immaginare. Ci che si notava di pi, che niente veniva contaminato da qualche cosa di artificia le, ma tutto cresceva nella sua essenza e virt: gli alberi con le loro foglie, i fiori con i loro petali, i campi con le loro rigogliose verdure, le rocce con la loro asperit e la loro dolcezza. E, volgendo lo sguardo verso il cielo, sulla ci ma delle rocce, c'erano fonti di acqua chiara che sgorgava fresca e scompariva i n rigagnoli segreti, per riemergere subito in spruzzi piccoli ma cos forti, da sa lire verso l'alto, cadendo poi in piccole pozze della stessa pietra delle vasche e come quelle grandi e intarsiate con la stessa arte. Da l, quell'acqua ripartiv a verso luoghi lontani da una parte e dall'altra, attraverso canne di metallo, d isposte in ordine regolare e la stessa acqua irrigava l'intero giardino e ogni c osa vi si trovasse dentro; non era la mano dell'uomo, ma la disposizione delle c anne che portava l'acqua in ogni punto. Non c'era nessun mistero, poich quest'acq ua era cos buona e le propriet del terreno la favorivano in modo tale, che ogni co sa, ogni albero, ogni fiore, si sosteneva della sua virt senza corruzione alcuna. C'erano cos tante cose da vedere per i cavalieri, che giunta l'ora del pranzo, no n persero pi tempo del necessario, poich desideravano solo ritornare ad ammirarle. Trascorsero cos la giornata ed ogni giorno seguente manteneva per s solamente il mistero di quello successivo. E, tornando ad occupare in quei diletti, quel poco di luce che restava, giunse p resto la notte che i cavalieri trascorsero, per la maggior parte, lodando la sci enza e il genio di Urganda, rinviando cos a lungo il sonno che gi si era fatta mat tina. Francisco de Morais, Palmerin di Inghilterra

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