Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Dalla paternità alla predisposizione al fumo, dalle malattie rare al rischio di Alzheimer, ormai esistono test
genetici per ogni cosa. Per mettere ordine nel caos crescente di laboratori, l'Organizzazione per la
Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) - (Organisation for Economic Co-operation and
Development (OECD) - ha realizzato le prime linee guida per regolare la materia.
“C'è un centro in Wisconsin a cui basta spedire una lettera per avere un test genetico”, spiega Giuseppe
Novelli, genetista dell'Università di Tor Vergata e uno dei due membri italiani della commissione che ha
redatto le linee guida, “prendono il francobollo, analizzano la saliva, e inviano per e-mail il risultato. In questa
situazione è necessario un controllo sovranazionale per garantire la qualità dei test”.
Primo obiettivo delle linee guida, approvate dall'organizzazione, e che devono ora essere recepite dai singoli
Stati, è uniformare procedure e qualità dei test attraverso due vie: la certificazione di qualità dei laboratori
tramite organismi esterni e l'attribuzione ai soli genetisti della possibilità di eseguire analisi del DNA, cosa
che ora possono fare anche biologi o patologi. Una delle prime preoccupazioni della commissione è la
salvaguardia della privacy, che secondo il documento dovrebbe essere tutelata da leggi che garantiscano
anche i 18mila campioni biologici che ogni anno viaggiano per il mondo per essere sottoposti a test. “In
totale, le analisi che si possono fare sono migliaia - continua Novelli - per cui nessun Paese è in grado di
garantirli tutti, e bisogna ricorrere a laboratori esteri. Il primo problema per la privacy è che, oltre al risultato,
il test contiene dati relativi a paternità o origine etnica, utilizzabili per cause legali”.
Il numero dei laboratori che offrono test genetici è in forte ascesa, ma non esistono censimenti ufficiali. Uno
studio della Società Italiana di Genetica Umana (SIGU) ha trovato che nel nostro Paese, nel 2002, c'erano
373 strutture che fornivano test del DNA per un totale di almeno 25mila analisi l'anno, con una netta crescita
rispetto al 1997. “Il nostro Paese - ha aggiunto - è quello che fa più test di tutti in Europa. in tutta la Gran
Bretagna invece ci sono solo due centri”.
“I dati genetici non devono essere utilizzati per finalità discriminatorie nei contratti assicurativi e nel rapporto
di lavoro, e devono godere di un'adeguata tutela in termini di riservatezza analogamente ai dati di natura
sanitaria”. Sono i principi fondamentali affermati nel “Genetic Information Nondiscrimination Act”, approvato
dal Senato USA all'unanimità lo scorso aprile, ma che prima di diventare legge dovrà essere sottoposto
all'approvazione del Congresso. La speranza di numerose associazioni per la difesa dei diritti civili (in prima
linea EPIC, Electronic Privacy Information Center, e ACLU, American Civil Liberties Union) è che stavolta
l'iniziativa non subisca una battuta d'arresto come è invece avvenuto nel 2003 con un analogo disegno di
legge.
L'Act riguarda l'utilizzazione dei dati genetici nei contratti
assicurativi in materia sanitaria e nel rapporto di lavoro. In entrambi
i casi esso stabilisce il divieto di utilizzare i dati genetici a fini
discriminatori nei confronti, rispettivamente, del richiedente la
polizza o del dipendente (o candidato all'impiego). In particolare,
nel caso delle polizze assicurative sanitarie, si afferma
esplicitamente che neppure la circostanza di avere fatto richiesta di
un test genetico può costituire motivo di esclusione ai fini della
concessione della polizza. Si vieta, inoltre, alle compagnie
assicurative, di modificare i premi sulla base di eventuali
informazioni genetiche, e di imporre al richiedente o ai suoi familiari
di sottoporsi a test genetici. É importante rilevare che il disegno di
legge prevede l'obbligo di applicare alle informazioni genetiche gli
stessi principi di privacy validi per i dati sanitari (negli USA è in
vigore dall'aprile 2003 un testo di legge che prevede il rispetto di
rigidi adempimenti a tutela della privacy dei pazienti nel settore
sanitario, lo Health Insurance Portability and Accountability Act,
HIPAA), pur con la specificazione che ciò vale soltanto per le
informazioni genetiche che costituiscano “dati sanitari riferibili ad
una persona identificabile”.
Il testo approvato dal Senato USA con una significativa unanimità si inserisce nel solco già tracciato dal
presidente Clinton con l'ordinanza “Executive Order to Prohibit Discrimination in Federal Employment Based
on Genetic Information” emanata nel 2000, che però riguardava soltanto agenzie e soggetti del governo
federale. Il nuovo disegno di legge ha un ambito di applicazione molto più ampio, investendo soggetti privati
e pubblici che possono venire in contatto con le delicatissime informazioni contenute nei dati genetici.
RAZZISMO GENETICO
La mappatura del genoma umano, completata nel 2003, sta iniziato a sollevare un terribile spettro: il suo uso
strumentale da parte di politici, accademici e imprenditori senza scrupoli per caldeggiare leggi discriminatorie
e razziste nelle scuole e nei posti di lavoro. A dare impulso a questo inquietante scenario è stato il premio
Nobel James Watson, uno dei due scopritori del DNA, con una sua recente intervista rilasciata a metà
ottobre dal Sunday Times per la promozione del suo ultimo saggio (“Avoid Boring People”, Oxford University
Press) nel quale ha affermato che i neri sono meno intelligenti dei bianchi: “Tutte le nostre politiche di
sviluppo sono basate sul fatto che la loro intelligenza sia come la nostra, mentre tutti i test dicono che non è
così”. E «chi ha a che fare con impiegati neri» sa come stanno le cose.
Alcuni scienziati, di recente, hanno identificato piccoli mutamenti nel DNA per spiegare la pelle chiara degli
europei, la tendenza degli asiatici a sudare di meno, e la resistenza a certe malattie degli africani. Ma gli
esperti mettono in guardia dal fare di ogni erba un fascio. «Esistono chiare differenze tra popolazioni di
diverso ceppo etnico», afferma Marcus Feldman, docente di scienze biologiche alla Stanford University,
«nessuno ha ancora dimostrato il rapporto tra razza e quoziente intellettivo, ma è solo questione di tempo. E
quando accadrà - avverte - assisteremo ad una nuova era di discriminazione e razzismo». “Il co-scopritore
della doppia elica del DNA”, spiega il genetista Axel Kahn, direttore dell’Istituto Cochin, «si colloca all'interno
della destra determinista anglosassone, una vecchia corrente di pensiero inegualitario e scientista, che a
volte flirta con il razzismo». Oggi, secondo Kahn, questo movimento ideologico conosce una nuova fioritura
(si chiama neo-eugenetica, ndr).
Sembra tornare il concetto di razza, che la biologia molecolare sembrava aver distrutto. Nel dicembre 2002
un gruppo americano-russo pubblicava su Science uno degli articoli più citati a questo proposito:
analizzando oltre 300 marcatori genetici in un migliaio di individui appartenenti a 52 popolazioni diverse, i
ricercatori erano arrivati a isolare 5-6 gruppi umani, coerenti con i grandi insiemi geografici. Si può parlare di
razze? Non esattamente. Si tratta, precisa il genetista Vincent Pagnol, dell'Università di Cambridge, «di una
semplificazione della realtà», perché in questo tipo di modello «nessuno appartiene al cento per cento a un
gruppo, ma tutti appartengono a una combinazione di questi insiemi».
«È impossibile isolare una razza - ritiene Lluis Quintana-Murci, Genetista delle Popolazioni all'Istituto
Pasteur - le variazioni delle popolazioni umane sono graduali e continue, dall’Europa del Nord al Sud della
Cina. Non c'è mai un fossato genetico tra due etnie. Ammesso di poter accedere al genoma di un individuo,
è impossibile collegarlo a una razza. Immaginiamo che io, Lluis Quintana-Murci, commetta un crimine e che
sul luogo del delitto si trovi un campione del mio DNA. Si potrebbe dire, forzando un po', che il criminale è
originario del Medio Oriente, perché il mio cromosoma Y appartiene alla stirpe J, che lì è particolarmente
frequente. Invece, per quanto ne sò, la mia famiglia è spagnola da sempre».
Negli USA, la tentazione razzista della ricerca biomedica si ufficializza a partire dal 2001, quando i ricercatori
finanziati dagli Istituti Nazionali Americani della Salute (NIH), nel corso di esperimenti, dividono le cavie nelle
cinque categorie etno-razziali predefinite dall’amministrazione: amerindi o nativi dell’Alaska; asiatici; neri o
afro-americani; nativi delle Hawaii o delle altre isole del Pacifico; bianchi.
“Le differenze fra gli esseri umani”, dice Barbujani, “sono evidenti:
ciascuno di noi sa riconoscere un africano da un asiatico o da un sud
americano. Ma tutti i tentativi di introdurre una classificazione razziale
coerente, da Linneo fino a 20 anni fa sono falliti. Le caratteristiche
morfologiche e quelle genetiche della popolazione umana sono
distribuite in modo tale che fissate alcune caratteristiche (ad esempio
il colore della pelle) non è possibile prevederne altre (ad esempio
l'altezza). Ma non basta. Gli studi genetici ci dicono che la maggiore
variabilità è in Africa, mentre nel resto del mondo è inferiore: si
chiama ’effetto fondatore’. Siamo nati lì, poi una piccola sotto-
popolazione ha colonizzato gli altri continenti, portando con sé una
variabilità genetica minore”.
“Si può dire che all’interno di una popolazione ci sono gruppi genetici
distinti. Per esempio, noi abbiamo studiato il DNA antico degli Etruschi. In Toscana (ma anche in Veneto) c'è
un sacco di gente convinta di discendere da questa popolazione. In realtà, i nostri studi dimostrano che
siamo tutti molto simili agli Etruschi, e che ci sono pochissimi toscani che sono identici agli Etruschi come
dovrebbero essere, dato questo breve lasso di tempo. La popolazione della Toscana, come praticamente
quella di tutta la penisola (tranne la Sardegna) è un amalgama di gente con caratteristiche molto diverse. In
tempi recenti, c'è stata una serie di migrazioni di piccolo o medio raggio che ha portato i nostri geni in giro un
po' dappertutto. Io e molti altri abbiamo certamente dei geni africani, ed è poco sensato disconoscere questa
cosa. Se l’accettassimo tutti, potremmo smetterla di buttare soldi nei cosiddetti farmaci razziali. Possiamo al
limite immaginarci una medicina individuale, ma non ha senso trovare la molecola per il mal di testa dei
cinesi, perché nei cinesi, come negli italiani, ci sono tante caratteristiche diverse”.
È impossibile tracciare i confini di razza. Come diceva Richard Lewontin, “le razze esistono, ma solo nel
nostro cervello”.
“Negli USA, il famigerato testo della 'Bell Curve' (la curva a campana) si basa su un'idea di fondo: siccome
quello che siamo è scritto nei geni, allora spendere dei soldi per aiutare gli svantaggiati non ha senso. Io
credo che il razzismo continuerà ad esistere per mille motivi politici e economici. Però una cosa deve essere
chiara: che le differenze umane siano profondamente radicate nei geni, e che da queste differenze
genetiche discendano diversi criteri morali, diversi comportamenti o modi di stare insieme, ebbene, questo è
un mito. Odiamoci pure, ma smettiamola di dire che ci odiamo perché siamo diversi dal punto di vista
genetico, perché non è più sostenibile”.
OECD Guidelines
IL GENOMA MANCANTE
Evoluzione Sistemica 3