«Mi auguro che l'ecologia ne tragga lo stesso beneficio che lo studio della preistoria trasse da “Jurassic
park”», ha dichiarato l’oceanografo Tim Barnett. Inizialmente ostili a «The Day After Tomorrow», gli scienziati
statunitensi hanno finito per appoggiarlo persuasi che l’immagine produca più effetto sul pubblico della
parola scritta. Il climatologo Dan Scharg, che lo ha visto in anteprima, ammette di esserne rimasto
sconcertato: «È così apocalittico da temere che faccia perdere fede nella scienza. Ma potrebbe anche
scuotere la gente dall'apatia».
A quanto pare, il governo americano ha tentato di bloccarlo per via dell'implicita critica alle politiche
antiecologiche del presidente Bush: dopo avere criticato il protocollo di Kyoto contro l’emissione di gas
naturali, l’amministrazione Bush ha adottato nuove misure a favore delle maggiori industrie inquinanti,
generato la rivolta dei Verdi. Non a caso, a New York il film è stato lanciato da MoveOn, un’associazione di
attivisti nemica di Bush secondo cui “l'effetto serra è una minaccia equivalente a quella del terrorismo”.
Il regista Roland Emmerich, compiaciuto delle polemiche, scientifiche e politiche, che circondano la pellicola,
ha dichiarato che il suo non è stato “né un lavoro da scienziato né da ideologo”. Pur riconoscendo che il suo
film potrebbe impressionare il pubblico di tutte le età, e spingerlo a difendere l'ambiente: «Presumo che non
sarà percepito solo come uno spettacolo e che genererà un dibattito nazionale. L'effetto serra lo avvertiamo
già tutti».
Il ghiaccio galleggiante nell'Oceano Artico è ancora più vulnerabile al riscaldamento: in 30 anni l'area
americana, ora ghiacciata, bianca e riflettente, potrebbe trasformarsi in marea scura in grado di assorbire il
calore del sole estivo e accelerare ulteriormente la fine dei ghiacciai della Groenlandia. Il Polo Nord, meta di
esploratori, diventerebbe quindi niente più che un puntino nella superficie dell'oceano.
Ma non solo l'Artico sta cambiando: i climatologi avvertono che un aumento delle temperature di quattro
gradi è in grado di causare l'eliminazione delle vaste foreste amazzoniche, causando una catastrofe per le
popolazioni residenti, le biodiversità, e per il mondo intero, privato di uno dei grandi sistemi naturali di
condizionamento dell'aria, già pesantemente compromesso dall’opera di barbarie neo-liberista.
Di pari passo con l'aumento della temperatura si sono verificati fenomeni naturali del tutto quantificabili e
misurabili; ad esempio, negli ultimi 30 anni si è manifestata una diminuzione del 40% nella solidità minima
della calotta artica durante la stagione estiva. A partire dal 1999 è iniziata una lunga e impressionante serie
di fenomeni di inaudita violenza: nel maggio del 1999 un numero di tornado senza precedenti si è abbattuto
sul Kansas, l'Oklahoma e il Texas, causando distruzione e morte; nel mese di ottobre, sempre del 1999, due
cicloni consecutivi hanno provocato 10.000 morti nell'est dell'India; nel dicembre 1999 due uragani hanno
flagellato il nord e il centro della Francia provocando danni enormi e 81 morti; nel febbraio del 2000 una serie
impressionante di cicloni hanno devastato il territorio del Mozambico provocando la peggiore alluvione della
storia del paese, con migliaia di morti e oltre 250.000 profughi.
Nel 2001, gli scienziati membri della Commissione Intergovernativa sul Cambiamento del Clima (IPCC)
hanno evidenziato che la temperatura potrebbe aumentare da due a sei gradi Celsius entro il 2100. Questa
terribile previsione è stata ben percepita durante la "lunga estate calda" del 2003: secondo i metereologi
svizzeri, la calura diffusa in tutta Europa ha causato più di 20.000 morti ed è stata superiore ad ogni altra
precedente ondata di caldo. In Italia, il caldo intenso e duraturo ha causato fra gli anziani (oltre 65 anni)
7.659 morti in più rispetto al 2002 oltre ad una grave siccità, di certo anch'essa tra le più gravi mai vissute
dal Nord Italia. In Francia nella prima decade d'agosto le temperature della regione centro-settentrionale
hanno toccato o superato i 40 °C, provocando migliaia di morti tra le persone anziane. A Londra è stato
toccato il picco massimo mai registrato con oltre 37 °C. La probabilità che si verificasse un tale scostamento
dalla normalità era di 300.000 a 1. E' stato un avvertimento.
Ciò che rende il problema del riscaldamento globale così serio e incalzante è che il grande sistema
planetario, Gaia, è intrappolato in un circolo vizioso di reazioni a catena. Il riscaldamento aggiuntivo
proveniente da qualsiasi sorgente, i gas dell'effetto serra, lo scioglimento dell'Artico o la foresta amazzonica,
viene amplificato, portando ad effetti additivi. È come se avessimo acceso un fuoco per tenerci caldi e non ci
fossimo accorti che, mentre stiamo accatastando la legna, il fuoco è fuori controllo e sta bruciando tutta la
mobilia. In situazioni come questa c'è poco tempo per spegnere il fuoco prima che distrugga tutta la casa. Il
riscaldamento globale, come il fuoco, sta accelerando e non c'è quasi più tempo per agire.
Possiamo continuare a goderci un ventunesimo secolo sempre più caldo, con qualche intervento
"cosmetico", tipo il trattato di Kyoto, per nascondere il disagio politico sul riscaldamento globale, e questo è
ciò che probabilmente succederà in gran parte del mondo. Quando nel diciottesimo secolo vivevano solo un
miliardo di persone sulla terra, il loro impatto era sufficientemente contenuto da non doversi preoccupare per
il tipo di fonte energetica da utilizzare. Ma con sei miliardi, in crescita, rimangono poche opzioni: non
possiamo continuare a ricavare energia dai combustibili fossili e non ci sono grandi possibilità che le fonti
rinnovabili, cioè il vento, le maree e i sistemi idrici, siano in grado di fornire l'energia necessaria nei tempi
richiesti. Se avessimo 50 anni o più potremmo renderle le nostre fonti energetiche primarie. Ma non abbiamo
50 anni a disposizione: la Terra è già così malridotta dai veleni insidiosi dei gas serra che anche se
smettessimo immediatamente di bruciare combustibili fossili, le conseguenze di tutto ciò che abbiamo fatto si
farebbero sentire per 1000 anni.
Peggio ancora, se bruciamo le colture per farne carburante, non facciamo altro che accelerare il nostro
declino. L'agricoltura già utilizza una parte troppo grande dei terreni di cui necessita la Terra per regolare il
proprio clima e la propria chimica. Un'automobile consuma da 10 a 30 volte il carbone consumato dal suo
autista; immaginiamo quanta terra coltivabile sarebbe necessaria in più per supplire all'appetito delle
automobili. Una sola fonte di energia non causa riscaldamento globale ed è immediatamente disponibile:
l'energia nucleare. È vero che bruciare il gas naturale invece del carbone o del petrolio rilascia solo la metà
dell'anidride carbonica, ma il gas non combusto è un'agente dell'effetto serra 25 volte più potente
dell'anidride carbonica. Anche una sola piccola perdita è in grado di neutralizzare i vantaggi del gas.
Le prospettive sono tristi, e pur agendo con interventi migliorativi ci aspettano tempi duri, come in guerra, e
peggio sarà per le generazioni a venire. Abbiamo vissuto nell'ignoranza per molte ragioni: tra queste una
importante è stata il rifiuto dell'accettazione dei cambiamenti climatici negli Stati Uniti, dove i governi non
hanno dato ai propri scienziati del clima il supporto necessario. Le lobby verdi, che avrebbero dovuto dare
priorità al riscaldamento globale, sembrano più interessate alle minacce dirette alle persone, piuttosto che a
quelle dirette alla Terra.
Non c'è più tempo per sperimentare fonti di energia utopistiche: l'umanità è in pericolo imminente e secondo
Lovelock deve utilizzare il nucleare ora, oppure soffrire le pene che presto gli verranno inflitte dal nostro
pianeta oltraggiato.
James Lovelock: Nuclear power is the only green solution We have no time to
experiment with visionary energy sources; civilisation is in imminent danger The
Independent 24 maggio 2004
Il 28 maggio 2004 una devastante inondazione ha colpito Haiti e la vicina Repubblica Dominicana. Quasi
2.000 le vittime accertate, senza contare i numerosi dispersi. Le temperature del globo crescono. Molti
scienziati ritengono a causa dell'uomo. "Per quanto l'atmosfera sia immensa, noi la stiamo influenzando",
dice John Barnes, il fisico a capo dell'osservatorio Muna Loa alle Hawaii.
Due secoli fa la concentrazione di biossido di carbonio nell'atmosfera era di 280 parti per milione. Oggi è a
quota 379 parti per milione. L'impressionante incremento si è avuto con l'avvio della rivoluzione industriale,
cioè quando l'uomo ha iniziato a bruciare carbone, petrolio e altri combustibili fossili. Mai negli ultimi 450mila
anni così tanto Co2 ha avvolto il pianeta. Il biossido di carbonio intrappola il calore così come fanno altri gas,
responsabili dell'effetto serra, prodotti dall'uomo. La prima conseguenza è l'innalzamento delle temperature,
cresciute di quasi mezzo grado negli ultimi 18 anni, un periodo relativamente breve secondo un rapporto di
esperti della NASA. Il caldo distruggerà il nostro clima, rendendo aridi i campi, producendo tempeste violente
e facendo crescere il livello dei mari.
È per questo che il presidente americano George W. Bush si può permettere di dichiarare, come ha fatto nel
2001, quando rifiutò di sottoscrivere il "Protocollo di Kyoto", che metteva un tetto alle emissioni industriali di
biossido di carbonio: "La conoscenza scientifica del fenomeno è incompleta". Per poi essere smentito tre
mesi dopo da uno studio della National Academy of Science, commissionato dallo stesso Bush, che
affermava: "Per via delle attività umane i gas serra si stanno accumulando nell'atmosfera terrestre causando
così l'aumento delle temperature in superficie e negli oceani".
L'incremento delle temperature è il più rapido mai registrato negli ultimi 10mila anni. Nelle università e nei
maggiori centri mondiali, come il National Center for Atmospheric Research di Boulder in Colorado, il futuro
viene visto con l'occhio di supercomputer in grado di sviluppare modelli su scala globale. Ma, nonostante la
loro potenza, sono comunque approssimativi. "Siamo costretti a prendere decisioni sulla base di prove
insufficienti", spiega Wallace Broecker della Columbia.
Nel frattempo, sale il timore per una nuova era glaciale che potrebbe colpire i paesi del Nord Europa e
provocare nuove migrazioni di massa. Lo dice un rapporto del Pentagono dal titolo: "Immaginando
l'Impensabile".
IL PROTOCOLLO DI KYOTO
Il Protocollo di Kyoto ha ideato un meccanismo commerciale che si basa sulla creazione di certificati di
credito che danno la facoltà sia di immettere nell'aria prefissate quantità di gas inquinante sia di trasferirne la
titolarità ad altri Paesi. Si tratta di certificati corrispondenti, paradossalmente, alla vendita di “diritti ad
inquinare”. In tal modo, si sta configurando un mercato in cui i Paesi più industrializzati possono comprare
ulteriori diritti oltre a quelli loro assegnati mentre i paesi più poveri potranno vendere i crediti non utilizzati. In
pratica, nessun Paese si trova in concreto obbligato a ridurre i propri eccessi perché in teoria può sempre
comprare altri certificati per ulteriori inquinamenti.
Un'idea folle, totalmente anti-democratica, però teoricamente sostenibile perché in una logica di mercato in
cui ogni maggior costo spinge le imprese, alla lunga, alla ricerca di innovazione e quindi alla individuazione
di energie da fonti rinnovabili. Il dramma di tutto ciò, è che, in questo delirio neo-liberista, l'inquinamento è
considerato come qualcosa di inevitabile, perfino di non-dannoso, perfino “un incentivo allo sviluppo”.
Ma non può esistere, in democrazia, una libertà o un diritto ad inquinare e a lasciar inquinare giacché
l'atmosfera non è di proprietà dei governi o degli stati, bensì è un patrimonio collettivo. La verità è che non
sussiste alcuna democrazia. Le leggi le decidono le potenze economiche e le ratificano i governi vassalli.
Il PIANETA MORENTE
A dirlo è il rapporto annuale del WWF, il Living Planet Report 2004, che punta l'indice soprattutto contro
l'America settentrionale. Il succo del rapporto in breve è il seguente: le risorse del pianeta sono sfruttate in
modo irresponsabile dai pesi ricchi che ne consumano più di quante il pianeta ne produce, moltiplicando il
loro già pesante “debito ecologico”.
Se non si provvederà in fretta, con adeguate politiche mondiali, questa corsa verso l'auto-distruzione, si
rischia il collasso entro i prossimi 50 anni. Secondo il rapporto, presentato ieri alla sede delle Nazioni Unite a
Ginevra, l'uomo consuma in media il 20% delle risorse in più rispetto alla capacità rigenerativa delle stesse.
Uno stile di vita “ecocida” che negli ultimi 30 anni ha fatto sì che siano diminuite più del 30% delle specie
terrestri, e circa il 50% delle specie di acqua dolce e marina, con un conseguente calo della biodiversità
agroalimentare. Gianfranco Bologna, direttore scientifico del WWF, dice che si rende quanto mai necessario
un intervento politico per frenare questo sfruttamento “insostenibile”.
Se pensiamo che in prospettiva la globalizzazione estenderà questa situazione di consumo selvaggio anche
al miliardo di persone che vivono in paesi come India, Cina, Brasile e Russia, stiamo freschi.
Bella scoperta, è quello che diceva Marx. Stai a vedere che ora improvvisamente ci scopriamo tutti
comunisti. Il comunismo reale e globale sarebbe una proposta niente male. Ma quale governo sarà mai
disposto a vagliarla?
Di quanti rapporti catastrofici come questo avremo ancora bisogno per capire che il futuro del pianeta
dipende da ognuno di noi, dipende dal popolo e non dai governi.
Potere al popolo significa anche responsabilità al popolo. Significa presa di coscienza. Significa rivoluzione.
Di questi governi criminali e eco-assassini possiamo anche fare a meno.
LINKS
“E le locuste salirono su tutto il paese d'Egitto e si posarono su tutto il territorio in gran quantità. Non c'era
mai stato un simile flagello di locuste prima e non ce ne sarà più un altro”.
Così è scritto nella Bibbia. Accadde al tempo di Mosè: era l'ottava delle dieci piaghe che Dio scatenò contro
gli egiziani e il faraone. Ma, checché ne dica la Bibbia, il flagello si è verificato di nuovo, mercoledì 17
movembre 2004: sciami di locuste rosa, provenienti dalla Libia, hanno invaso il Cairo e l'Egitto. Milioni di
locuste hanno oscurato il cielo e la grande piramide di Giza. Dirette verso Israele.
Fino a questo momento, la crisi delle locuste ha colpito principalmente i paesi dell'Africa Occidentale. Dalla
Mauritania al Niger, considerati l'epicentro del fenomeno. Nella scorsa primavera gli sciami sono migrati
verso il Senegal e il Mali dove, inaspettatamente, si sono affacciati anche nelle città. Si tratta di paesi
dipendenti dall'agricoltura e dall'allevamento con endemici problemi di sottoalimentazione. Paesi nei quali la
distruzione del 50% del raccolto significa una cosa sola: fame e morte. Fino a questo momento, malgrado gli
appelli che risalgono al febbraio scorso e malgrado gli stanziamenti immediatamente annunciati alla stampa,
di soldi veri ne sono arrivati ben pochi: dei 24 milioni di dollari promessi dai paesi donatori solo 4 si sono
effettivamente materializzati.
Il direttore generale della FAO, Jacques Diouf, che nel settembre scorso ha presenziato a Roma - in
collegamento diretto con Ginevra - una conferenza stampa sulla
piaga delle cavallette, è stato categorico: se non si riuscirà a
mettere sotto controllo l'invasione e contenere i danni, nella
primavera del 2005 si potrebbe assistere a un fenomeno inedito.
Approfittando dell'avanzata del deserto gli sciami si stanno
infatti lanciando alla conquista di nuovi territori: verso sud, in
Gambia e Guinea, dove ci si aspetta che arrivino a dicembre;
verso nord, dove si apre lo sterminato Magreb, dal Marocco alla Libia, passando per Algeria e Tunisia; e
verso oriente dove, nella peggiore delle ipotesi, potrebbero imboccare la lunga strada che, attraverso il Golfo
conduce fino al nord dell'India. Intervenire prima che si formi lo sciame è più efficace e meno costoso perché
quando le locuste sono in volo serve molto più pesticida - circa tre volte tanto - che a quel punto va irrorato
con gli aerei, con danni ambientali facilmente immaginabili.
LOCUSTE SU GIZA
Le locuste, che raramente fanno la loro comparsa a Cipro, hanno divorato patate e banane, e ancora non è
stata fatta una stima dei danni; gli agricoltori hanno cercato di correre ai ripari chiudendo le serre e irrorando
i campi con pesticidi. Gli insetticidi normalmente usati contro le locuste degradano entro sette giorni, un
tempo piuttosto limitato. Si tenta di contenere l'inquinamento attraverso un approccio integrato pensato, fra
l'altro, per ridurre il rischio che le cavallette sviluppino una resistenza ai prodotti, come sempre accade
quando si fa uso d'insetticidi. La FAO ha perfino avviato un programma sperimentale per l'uso di agenti di
controllo biologici, la cui l'efficacia deve essere tuttavia dimostrata.
FORMICHE KILLER
Secondo uno studio pubblicato dalla dottoressa Leah Poldi dell'Università Ben Gurion del Negev, alcune
formiche soldato della specie “Camponotus Saund”, originarie della Malesia, se attaccate reagiscono
lasciandosi “esplodere” e spargendo in tal modo un veleno paralizzante sugli avversari. Le formiche, molto
combattive e veloci, presentano una caratteristica particolare: riconoscono immediatamente il loro obiettivo
principale e lo attaccano in pochi secondi, disponendosi in una formazione “a cuneo”. Secondo l'entomologa,
“modificando geneticamente le formiche con l'inserimento di un gene accrescitore del veleno che secernono
e stimolandone la naturale aggressività le stesse si potrebbero rivelare un'ottima arma di contenimento
naturale delle invasioni di locuste o di altri parassiti delle colture, attaccando i nemici coi loro feromoni”.
L'INVASIONE CONTINUA
Il 21 novembre, la piaga si sposta in Israele: un nugolo di milioni di cavallette si è riversato nel deserto del
Negev, investendo numerose località, anche turistiche. Il Ministero dell'Agricoltura ha decretato lo stato di
allarme e inviato aerei carichi di insetticidi.
Se, nei centri abitati, tra cui la località balneare di Eliat, le locuste hanno causato il panico tra gli abitanti,
sono gli agricoltori ad essere i più preoccupati perché temono danni ingenti alle piantagioni, memori
dell'invasione in In Burkhina Faso, nell'agosto 2004, che ha distrutto il 90% dei raccolti.
Locust invasion threatens summer crops in Sahel countries FAO 05 agosto 2004
"Locust crisis in Mauritania, Senegal, Mali, Niger deteriorates" afrolnews 17
settembre 2004
Le temperature globali sono destinate ad alzarsi di 20 gradi sopra la media entro i prossimi 50 anni. È il
risultato del primo esperimento di previsione climatica affidata alla potenza di elaborazione di una rete di
90.000 personal computers.
I PC, situati in 150 paesi, hanno consentito a scienziati britannici di far girare simultaneamente 50.000
diverse simulazioni del futuro clima globale, "un numero assai superiore alle 128 simulazioni utilizzate in
precedenza con lausilio di supercomputers", ha dichiarato Myles Allen, di climateprediction.net e fisico alla
Oxford University.
L'esperimento intende concentrare gli sforzi tecnologici nel tentativo di prevedere con la massima precisione
possibile quali condizioni climatiche ci attendono nei prossimi anni.
Secondo i calcoli del "super-cervello" reticolare, le temperature globali potrebbero innalzarsi dai 4 ai 20 gradi
Fahrenheit se i gas serra raddoppierranno i livelli pre-industriali. Stando all'attuale tasso di emissione, i valori
raddoppieranno intorno al 2050. Le migliori stime, tra quelle fatte in precedenza, avevano stimato un
aumento tra i 2 e gli 8 gradi Fahrenheit.
La nuova previsione rivela che la Terra potrebbe essere molto più sensibile alle emissioni di gas serra di
quanto finora ritenessero gli scienziati. "Anche se le emissioni si interrompessero del tutto da domani,
rimarrebbe un alto rischio di problemi legati alle condizioni climatiche", dice Allen.
L'esperimento promosso da Climateprediction.net si basa sul modello di calcolo distribuito già sfruttato con
successo da SETI@home, lanciato nel 1999 dalla SETI (Search for Extra-Terrestrial Intelligence), che è
riuscito a coinvolgere milioni di persone in tutto il mondo. Semplicemente scaricando sul proprio pc un
software che analizza i dati provenienti da galassie lontane in cerca di segni di vita aliena (il programma
lavora mentre il pc è in stand-by e poi spedisce in rete i risultati settimanalmente).
Il programma equivalente usato per la predizione del clima, cerca di simulare il maggior numero di fattori
possibile, come le radiazioni, il modo in cui l'aria si muove, la formazione delle nuvole, le precipitazioni, ecc.
È' stato possibile grazie a David Anderson, direttore del progetto SETI@home presso lo Space Sciences
Laboratory della University of California di Berkeley, che ha sviluppato BOINC (Berkeley Open Infrastructure
for Network Computing), un protocollo apposito che permette ad un qualsiasi utente internet di partecipare,
sia con sistemi Windows, che Macintosh o Linux.
Anderson si augura di aver aperto la strada al coinvolgimento di altri supercomputers come l'IBM ASCI
White del Lawrence Livermore National Laboratory, l'ASC Purple e il Blue Gene/L che ha una potenza di
400,000 PC.
climateprediction.net
SETI@home
CLIMA ARTIFICIALE
Negli ultimi 120 anni, la temperatura globale media si è alzata di 0.7 gradi. Più o meno nello stesso periodo,
la concentrazione di ossido di carbonio nell'atmosfera è aumentata dallo 0.28 allo 0.37 percento.
L'ossido di carbonio è uno dei cosiddetti “gas serra”. La loro concentrazione nell'atmosfera, a partire dal
1750, è salita fino a due volte e mezzo. I climatologi, da tempo ritengono che siano la maggiore causa
artificiale dell'attuale emergenza globale, insieme a diversi fattori naturali come l'attività solare e le eruzioni
vulcaniche.
Ma le proprietà particolari delle particelle sulfuree prodotte dall'opera umana, potrebbero aiutare la riduzione
degli effetti causati dai gas serra. È quanto sostiene un gruppo di metereologi di Bonn, sulla base di 30
differenti modelli climatici simulati dal computer: “Senza l'influenza dei gas serra, la temperatura media
annuale sarebbe aumentata solo di 0.4 gradi”, ha puntualizzato il professore Andreas Hense, a capo della
ricerca finanziata dalla DFG (German Research Association), “tuttavia, le fluttuazioni alla fine del 19imo e
nella prima metà del 20imo secolo sono dovute principalmente all'intensificarsi dell'attività solare e
dell'attività vulcanica”.
Anche se vi sono molti scettici riguardo l'affidabilità dei modelli climatici, il team del prof. Hense, insieme a
ricercatori del Korean Meteorological Service, hanno sfruttato le enormi capacità di calcolo del
supercomputer in dotazione al Max Planck Institute che ha elaborato l'evoluzione dei fattori “sospetti” dal
1860 al 2000, e per ben sei volte ha restituito i medesimi risultati.
Il computer è stato programmato in modo da escludere la possibilità del noto “effetto farfalla”, alla base della
teoria del caos, che esclude la possibilità di stabilire con esattezza le condizioni climatiche terrestri risalenti
al Primo Gennaio del 1860, dato che anche la più minima variazione della situazione iniziale potrebbe aver
causato, nel tempo, le ripercussioni più imprevedibili. “Per bypassare l’effetto farfalla”, spiega Hense,
“abbiamo ricreato diversi scenari plausibili da cui partire per i calcoli successivi”.
Il gruppo ha poi provato a calcolare, in base agli stessi modelli che pare abbiano funzionato per il passato, i
possibili scenari futuri, da qui al 2100: la temperatura globale continuerà a salire fino al 2050, quando
comincerà a ristabilizzarsi, ma solo se si riuscirà a ridurre in modo drastico le emissioni di gas serra. “In caso
contrario”, dice Hense, “i nostri modelli prevedono un aumento di quasi 3.5 gradi”, previsione che non si
discosta molto da quella effettuata di recente da ricercatori americani, e pubblicata su Science.
LINKS
DOV'E' IL CALORE?
"Gli oceani sono in grande subbuglio", dice il Dr. Josh Willist, ricercatore del JPL, "dobbiamo esaminare
un'enorme quantità di dati per capire quello che stà
succedendo". Willist è co-autore, insieme a Hansen, della
ricerca sugli squilibri dell'energia terrestre pubblicata su
Science. Il precedente studio di Willis aveva fornito
delle misurazioni fondamentali che sono state comparate con
il modello climatico simulato, insieme ai dati forniti dal
satellite Topex/Poseidon, da Jason e altri altimetri
oceanici.
Nel rapporto, Hansen definisce i dati raccolti la “pistola fumante” che fa svanire ogni dubbio sul
surriscaldamento della Terra e sulle nefaste previsioni per il futuro. In sostanza, i dati forniscono la prova che
la Terra assorbe molto più calore di quanto non emette, il che dà manforte al progressivo intensificarsi
dell'effetto serra.
Secondo Hansen, se continueranno ad aumentare, come previsto, le emissioni di anidride carbonica e altre
sostanze che assorbono il calore, la situazione potrebbe “sfuggire ad ogni controllo”, soprattutto se il livello
degli oceani salirà in seguito allo scioglimento dei ghiacci dell’Antartide e del Polo Nord.
LINKS
http://data.giss.nasa.gov/gistemp/2005/
http://www.jpl.nasa.gov/
DISTRUZIONE RECORD IN
AMAZZONIA
Scomparsa, disboscata: lo ha
annunciato il ministero dell'ambiente
brasiliano. È un dato allarmante, sia in
assoluto che come tendenza. In
assoluto è un tasso di deforestazione
secondo solo a quello verificatosi
nell'anno 1994-'95, il record assoluto
nella storia dell'Amazzonia, quando scomparvero 29mila chilometri quadrati di foresta (come l'intero Belgio).
Come tendenza, è un segno di accelerazione, perché rappresenta un aumento del 6% rispetto all'anno
precedente e segue altri anni di deforestazione in aumento - in effetti è dal 2001 che il ritmo continua a
salire. Gli ultimi dati inoltre sono una delusione per il governo, che sperava di aver contenuto l'aumento della
deforestazione entro il 2%.
La ministra brasiliana dell'ambiente, Marina Silva, ha commentato che le azioni prese dal governo federale
per proteggere la foresta amazzonica richiedono tempo per sortire effetti: «Continueremo a combattere la
deforestazione in modo sistematico e strutturato, coinvolgendo tutti i settori della società in azioni efficaci e
durature», ha detto la ministra. L'ultimo dato «dimostra che la deforestazione non è una priorità per il
governo di Lula», ha tuonato invece Greenpeace Brasile. Ma sarebbe troppo facile prendersela con il
presidente Luiz Ignacio da Silva, Lula.
Il governo federale, in effetti, ha adottato l'anno scorso un piano per proteggere l'Amazzonia dalla distruzione
ambientale in sé ineccepibile. Un progetto di legge sulla gestione delle foreste pubbliche è in discussione al
Congresso Nazionale (il parlamento federale); il Ministero dell'Ambiente fa la sua parte creando nuove aree
protette. Si va facendo strada una strategia di gestione multipla delle risorse forestali, con esperimenti di
«uso della biodiversità» combinata alla conservazione dell'ecosistema, di uso collettivo e tentativi di
valorizzare le attività tradizionali.
Questa primavera, il governo federale ha completato la demarcazione della riserva degli indigeni Xavantes,
concludendo una vicenda annosa. Ma le forze che premono sulla foresta amazzonica sono molte, e potenti. I
dati diffusi dal governo brasiliano, guardati più da vicino, lo confermano. Dei sette stati considerati nel
rapporto governativo, cinque in effetti hanno rallentato la deforestazione (Parà, Amazonas, Acre, Maranhão e
Tocantins). Altri due, il Mato Grosso e Rondonia, hanno invece registrato un balzo in avanti tale da annullare
i progressi visti altrove. Sono la parte più consistente di quello che veniva chiamato «l'arco di fuoco», la zona
di sfruttamento più intensivo e selvaggio della foresta, del commercio illegale di legno e soprattutto delle
grandi piantagioni industriali - soprattutto la soia. Da qualche anno poi, la vera forza trainante della
deforestazione è l'allevamento del bestiame.
È la «hamburger connection»: l'export di carne brasiliana è triplicato tra il 1995 e il 2002 e continua a
crescere, e tre quarti dell'aumento si registra nella regione amazzonica. Allevare bovini su scala massiccia
(nel 2002 se ne contavano 175 milioni di capi) significa creare nuovi pascoli, dunque tagliare alberi in zone
vergini, finché il pascolo si esaurisce e si va a tagliare altrove. E questo si somma ai mali cronici - traffico
illegale di legname tropicale, occupazione abusiva di grandi estensioni di foresta da parte di coloni che si
«ritagliano» grandi piantagioni, l'espansione della soia...
La stampa brasiliana ha messo in risalto che il capo del governo dello stato del Mato Grosso, Blairo Maggi, è
anche il maggior produttore di soia del mondo - e che quasi metà della deforestazione registrata nell'anno è
avvenuta proprio nel suo stato. Greenpeace lo ha definito «il re della deforestazione». Vincere le forze che
premono sulla foresta amazzonica non è cosa semplice. Resta l'allarme: il WWF stima che ormai il 17%
della copertura forestale dell'Amazzonia brasiliana è scomparsa.
LINKS
Soya Farmers to Blame for Amazon Forest Loss earthhopenetwork 20 maggio 2005
DEMENTI CLIMATICI
Stando agli ultimi rilevamenti, il 21 settembre 2005 la banchisa polare era ampia solo 5,32 milioni di
chilometri quadrati, la più piccola superficie mai misurata dai satelliti. «Questo - ha sottolineato lo scienziato
Walt Meier dell'NSIDC - significa che si verificando un fenomeno di lunga durata, che non si tratta
semplicemente di una anomalia a breve termine». Dai dati ottenuti, gli esperti hanno calcolato che la calotta
glaciale artica si sta riducendo dell'8% ogni dieci anni. Mentre la formazione del ghiaccio ha subito una
drastica riduzione - del 20% - nel periodo che va dal 1978 al 2000.
Le cause? «In buona parte si devono all'effetto serra», ha detto un altro scienziato, Mark Serreze.
Lo stesso dicasi per la crescente violenza di uragani come Katrina e Rita. Lo ha ribadito recentemente Sir
John Lawton, presidente della Royal Commission sull'inquinamento ambientale: gli uragani diventano più
intensi, come hanno mostrato le simulazioni al computer, a causa della crescente temperatura dei mari. Sir
Layton ha preso di mira i “neocon”, che negli Stati Uniti ancora negano questa realtà tragicamente evidente,
definendoli dei “dementi climatici”: “Ci sono persone in varie parti del mondo che non riescono ad accettare
l'idea che le attività umane possano cambiare il clima e che lo stiano già facendo. Io li paragono a quelli che
negavano che fumare potesse causare cancro ai polmoni”.
Sir Lawton è la terza figura chiave degli ambienti scientifici britannici che attacca gli Stati Uniti per
l'ostinazione del governo Bush a negare che il riscaldamento globale sia un fenomeno reale. I commenti di
sir John seguono e corroborano recenti ricerche, molte delle quali fatte in America, che dimostrano come la
crescente violenza degli uragani sia legata in maniera causale con il riscaldamento globale.
Un documento prodotto da alcuni, pubblicato dalla rivista USA Science, dimostra come la frequenza di
uragani dell'intensità di Katrina è quasi raddoppiata negli ultimi 35 anni: sebbene la frequenza generale delle
tempeste tropicali in tutto il mondo è rimasta al livello del 1970, il numero di casi di uragani di intensità 4 e 5
è salita drasticamente; negli anni 70 vi erano in media 10 uragani di categoria 4 e 5 all'anno ma, dal 1990,
essi sono quasi raddoppiati, raggiungendo la media di 18 all'anno; durante lo stesso periodo, le temperature
delle superfici marine, tra gli elementi chiave dell'intensità degli uragani, sono aumentate di una media di 0,5
gradi Celsius.
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“Le relazioni tra il clima tropicale e i gas serra è particolarmente critica perché le regioni tropicali ricevono la
più alta proporzione di emissioni solari e agiscono come un motore di calore per il resto della terra”, spiega
Lea. Recenti osservazioni delle temperatura di superficie del mare tropicale indicano un aumento da 1 a 2
gradi Fahrenheit avvenuto negli ultimi 50 anni a causa dell'aumento di anidride carbonica nell'atmosfera, in
gran parte prodotta dall'uomo (dovuta soprattutto alla combustione dei carburanti, ndr).
La ricerca dimostra che negli ultimi 1.3 milioni di anni, la temperatura delle superfici marini nel cuore del
pacifico tropicale occidentale è stata regolata dagli effetti atmosferici causati dal cambiamento della
frequenza di oscillazione dei gas serra, che non sono mai stati così abbondanti nell'atmosfera. In sintesi,
sono queste fluttuazioni dei gas serra nell'atmosfera le principali responsabili degli sconvolgimenti climatici
che, da un milione di anni a questa parte, sono andati progressivamente peggiorando.
Detto ancora più in sintesi: il principale responsabile dell'eco-apocalisse verso cui stiamo andando
inesorabilmente incontro è uno e soltano uno: la follia del genere (dis)umano. Che, oltretutto, continua,
sfacciatamente, a negare le proprie responsabilità.
A quando il processo?
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Study: link between tropical warming and greenhouse gases stronger than ever
physorg 13 ottobre 2005
Il più vasto e comprensivo modello climatico mai sviluppato in precedenza negli Stati Uniti ha previsto
temperature sempre più estreme in tutto il paese e precipitazioni ancora più estreme lungo la costa del golfo
nel Pacifico nord-occidentale e a est del Mississippi. Fatto girare sui
supercomputers della Purdue University, il modello ha preso in
considerazione un largo numero di fattori che in precedenza non erano
stati completamente incorporati, come gli effetti dell'energia solare
riflessa nello spazio o il ruolo delle catene montuose rispetto alle
perturbazioni che le attraversano.
Il team comprende anche Jeremy S. Pal e Filippo Giorgi dell'Abdus Salam International Centre for
Theoretical Physics di Trieste. I risultati della ricerca sono stati pubblicati il 17 ottobre sull'edizione on-line dei
Proceedings of the National Academy of Sciences.
I modelli climatici sono in pratica dei sofisticatissimi programmi per computer tesi ad incorporare il più
possibile numero di dettagli riguardo le complesse dinamiche del nostro ambiente: correnti oceaniche,
formazione delle nuvole, il ruolo della vegetazione, l'aumento nell'atmosfera dei gas inquinanti, ecc. ecc. Tutti
input che poi il cervellone dovrà elaborare per formulare una previsione degli effetti sul lungo termine. Sono
talmente tante le variabili e le interazioni dinamiche che una analisi completa può richiedere anche dei mesi,
e stiamo parlando di supercomputers, ovvero di processori dalle capacità eccezionali.
Al team di Diffenbaugh sono serviti 5 mesi per far girare il loro modello sul supercomputer Sun del Rosen
Center for Advanced Computing, all'interno del campus della Purdue. “I risultati ci hanno fornito una
proiezione dei cambiamenti climatici ad una risoluzione senza precedenti”, ha detto Diffenbaugh.
- il deserto sud-ovest conoscerà ondate di calore di altissima intensità, insieme ad una diminuzione delle
precipitazioni estive. Il che renderà sempre più drammatico il problema della scarsità di acqua che già oggi
tormenta le popolazioni limitrofe.
- la costa del golfo diventerà sempre più calda mentre le precipitazioni aumenteranno di volume e si
verificheranno ad intervalli sempre più brevi.
- nel nord-est - a est dell'Illinois e a nord del Kentucky - le estati saranno sempre più lunghe e più calde.
- similarmente, gli Stati Uniti continentali conosceranno un aumento complessivo del riscaldamento e le
temperature che attualmente si registrano durante le due settimane più fredde dell'anno saranno un ricordo
del passato. Si avranno dunque inverni sempre più brevi.
Tutto questo si deve in larga parte al fatto che il modello ha assunto come punto fermo che i gas serra
raggiungeranno una concentrazione pari al doppio degli attuali livelli.
“Appare chiaro che ogni qualvolta aumentiamo il dettaglio preso in esame, l'immagine risultante appare
sempre più severa. Per migliorare questo modello avremo bisogno di un computer 100 volte più potente”, ha
detto in conclusione Diffenbaugh.
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GLOBAL MURDER
La salute delle popolazioni più povere del pianeta si aggrava a causa dei cambiamenti del clima e dei
maggiori rischi ambientali. Secondo l'ultimo rapporto della World Bank - “Environment Matters 2005”,
elaborato in collaborazione con la WHO (l'Organizzazione Mondiale della Sanità delle Nazioni Unite), circa
un quinto delle infezioni e delle malattie nei paesi in via di sviluppo sono causate da fattori ambientali
compresi i cambiamenti climatici e l'inquinamento atmosferico ed idrico.
In aggiunta ai cambiamenti del clima ed agli altri fattori ambientali, ci sono anche cause antropiche quali il
crescente uso di pesticidi, di sostanze chimiche tossiche e di rifiuti pericolosi che aggravano ulteriormente la
situazione sanitaria.
Per quanto riguarda i cambiamenti del clima, il rapporto mette in evidenza come le variazioni di temperatura
ed umidità in molte aree del pianeta abbiano favorito la ploriferazione di batteri e parassiti e, di pari passo, di
malattie infettive tipiche della zona intertropicale, come la malaria e la dengue. Inoltre, la diminuzione delle
precipitazioni in molte aree subtropicali ha prodotto una maggiore scarsità d'acqua che aumenta i fenomeni
di inquinamento idrico e impedisce la creazione di adeguati servizi igienico sanitari.
Mentre l'eccesso di precipitazioni, e le conseguenti alluvioni ed inondazioni, causato dall'intensificazione dei
cicloni tropicali ha creato situazioni catastrofiche che hanno penalizzato soprattuto le popolazioni più povere
e le agricolture di sopravvivenza, finendo coll'aggravare le già precarie condizioni sanitarie.
Secondo il rapporto, quantunque l'AIDS, l'alcool ed il tabacco siano le principali cause di morte nei paesi
poveri, almeno 150mila morti premature vanno attribuite direttamente ai cambiamenti climatici.
Poi vano considerati anche i fattori indiretti: per esempio, 2 milioni di decessi l'anno attribuibili alla mancanza
d'acqua o all'inquinamento idrico; più di due milioni di morti per inquinamento atmosferico; milioni di morti (il
numero è imprecisato) per l'uso di pesticidi e sostanze tossiche che colpiscono soprattutto i bambini, in
particolare quelli sottoposti a sfruttamento nell'ambito del lavoro minorile.
In conclusione, il quadro delineato dalla World Bank prefigura un “omicidio” di proporzioni globali, che,
secondo la legge della causa-effetto, può essere ragionevolmente attribuito ad un unico mandante: la follia
del genere umano.
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Rapporto in Internet
http://assets.panda.org/downloads/freeflowingriversreport.pdf
http://www.wwf.it/ambiente/dossier/i_grandi_fiumi_dossier.pdf
Prima ancora di fondare il Worldwatch Institute, Lester Brown ha sempre insistito sull'importanza che i
sistemi naturali dovrebbero avere rispetto a quelli economici. Brown ha sempre ricordato che proprio dalla
salute dei sistemi naturali dipendono le economie nazionali. Persino la
più avanzata delle società umane dipende dai processi di fotosintesi che
si svolgono nelle sue foreste, nelle sue praterie e nelle sue aree
coltivate.
Nello “State of the World 1988”, Brown scriveva: “Solo a patto che la
volontà di assicurare un futuro sostenibile divenga una delle principali
preoccupazioni dei governi nazionali, sarà possibile evitare che il
continuo deterioramento dei sistemi naturali che presiedono alla vita
economica vanifichi ogni sforzo teso a migliorare la condizione umana”.
Un esperimento i cui esiti, lo stiamo vivendo sulla nostra pelle, si sono dimostrati catastrofici. Abbiamo creato
un mondo artificiale complesso ed articolato che annienta quello naturale. Le 225 persone più ricche del
mondo possiedono congiuntamente una ricchezza di oltre mille miliardi di dollari, una cifra equivalente al
reddito annuale del 47% più povero della popolazione mondiale, costituito da 2,5 miliardi di persone. Anche
nei paesi ricchi va incrementandosi il numero dei poveri.
La ricchezza della vita sulla Terra (la cosiddetta biodiversità) è stata pesantemente distrutta dalla nostra
specie: è difficile dire quante specie vengano distrutte ogni anno a causa del nostro devastante intervento,
anche perché non sappiamo bene quante specie esistano sul pianeta. Secondo alcune stime del noto
biologo Edward Wilson dell'Università di Harvard, nel 2000 si estinguevano 74 specie al giorno, 3 all'ora. Il
nostro intervento, soprattutto in alcuni ambienti particolarmente delicati, quali le foreste tropicali, ha portato il
livello di estinzione a superare da 1.000 a 10.000 volte il tasso naturale.
Nessun biologo serio dubita del fatto che la specie umana stia causando una delle più importanti ondate di
estinzione della storia geologica del pianeta. La vita sulla Terra esiste grazie all'energia solare che viene poi
trasformata dai processi di fotosintesi, dovuti ai vegetali, in materia organica a disposizione per tutta la vita
sul pianeta. Gli ecologi dell'Università di Stanford hanno calcolato che la specie umana si appropria del 25%
della disponibilità di energia fissata nella materia organica dai vegetali (la cosiddetta produttività primaria
netta).
Aurelio Peccei, fondatore e presidente del Club di Roma, fino alla sua
scomparsa, figura dalle straordinarie qualità umane ed intellettuali,
scriveva, nel 1981, che sia dal punto di vista della teoria sia da quello
delle sue applicazioni concrete, l'economia è entrata in dissonanza con
gli interessi fondamentali dell'umanità. La specie umana, nonostante le
sue straordinarie capacità scientifiche e tecnologiche che le hanno
consentito di estendere i limiti imposti dalla natura, non può andare più
oltre. È impossibile vivere al di fuori dei limiti naturali.
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Lester R. Brown: Oystein Dahle, dopo il collasso dell'Unione Sovietica, dichiarò: “Il socialismo è collassato
perché non ha permesso al mercato di esprimere la verità economica. Il capitalismo collasserà perché non
consente al mercato di esprimere la verità ecologica”.
WN: Il mondo ha dunque bisogno di più economisti che pensino come ecologisti?
Brown: “Sappiamo oggi, senza più alcun dubbio, che il contributo umano ai disastri ambientali è stato ed è
determinante. Non possiamo continuare a ragionare solo in termini economici, se questo significa
distruggere il pianeta e tutti i suoi abitanti”.
Brown: “Da tempo andiamo dicendo che gli Stati Uniti rappresentano il 5% della
popolazione mondiale e consumano un terzo (40% circa) delle risorse planetarie.
La Cina si è spinta perfino oltre. Se prendiamo agricoltura - grano e carne -
energia - carburante e carbone - industria - acciaio - il consumo cinese è oggi
superiore a quello statunitense, eccetto che per il carburante. Il consumo di
carne è il doppio di quello americano: 67 milioni di tonnellate contro 38 milioni di
tonnellate. Il consumo di acciaio è più che raddoppiato: 258 milioni di tonnellate
contro 104 milioni. Di questo passo, entro il 2031 i circa 1,5 miliardi di cinesi
consumeranno delle quote di risorse esagerate intaccando gravemente le riserve
mondiali.
Occorre, pertanto, secondo Brown, costruire un sistema non più basato sulla logica meramente affaristica e
produttivistica in senso quantitativo ma, bensì, costituire uno sviluppo di impostazione qualitativa. Si deve
pensare ad attivare una forma di controllo dell'avanzamento incessante dell'alto tasso di natalità e una
cultura educativa in campo demografico, mentre è compito rimuovere ogni forma di sottosviluppo economico
e sociale, che ha depauperato l'80% della popolazione mondiale della propria possibilità e del proprio diritto
di disporre liberamente delle risorse naturali presenti nel proprio ambito territoriale, con senso razionale e
responsabile. Infine occorre garantire il passaggio a forme di erogazione dell'energia di natura naturale e
rinnovabili e non esauribili, cercando di promuovere una cultura del riciclaggio delle risorse utilizzate e una
conservazione delle medesime.
Brown: “C'è un movimento 'grass-roots' (ecologista) in grande crescita che spinge massicciamente verso il
protocollo di Kyoto. E sta diventando un movimento politico nazionale, in risposta alla totale e sprezzante
indifferenza mostrata da Washington. Soprattutto dopo il disastro provocato da Katrina, c'è ora una
maggiore sensibilità verso l'emergenza climatica, anche da parte di politici. Tutti quanti hanno visto che cosa
significa dover governare un flusso su larga scala di rifugiati climatici. Oggi sappiamo che una tempesta con
la capacità distruttiva di Katrina è possibile; sappiamo che la superficie delle acque nel Golfo del Messico è
calda come mai prima. E sappiamo anche che i livelli dei mari si stanno innalzando sempre più
velocemente. Abbiamo capito che eventi catastrofici come Katrina non possono essere considerati come
isolati, ma sono frutto dei cambiamenti climatici globali, in gran parte dovuti all'azione dell'uomo. Tutto è
collegato. E, purtroppo, indietro non si torna. Almeno, però, questi eventi stanno provocando un
cambiamento nelle coscienze”.
Il Piano B propone i seguenti 3 punti chiave:
2 - uno sforzo comune per sradicare la povertà, stabilizzare la popolazione, restituire la speranza in modo da
suscitare partecipazione nei paesi in via di sviluppo;
Brown propone la promozione di uno sviluppo della ricerca scientifica che sappia valorizzare le nuove
tecnologie per produrre sistemi di trasporto ecosostenibile, come automobili all'idrogeno, oppure automezzi
elettrici a energia solare. Questi presupposti sono gli unici che potranno salvare il mondo da un cataclisma
non solo di tipo ambientale, dove aumentano fenomeni naturali eccezionali e devastanti in risposta a un
aumento del clima dovuto all'effetto serra, ma anche di tipo sociale, economico e, soprattutto, civile.
“Ciò significa comporre un bilancio di risanamento della terra: la riforestazione, il ripristino delle specie
ittiche, l'eliminazione dell'eccesso di pascolo, la protezione della diversità biologica, l'aumento di produttività
dell'acqua sino al punto in cui sia possibile stabilizzare il livello delle falde e ripristinare il flusso dei fiumi.
Adottate a scala mondiale, tutte queste misure richiedono spese aggiuntive per 93 miliardi di dollari l'anno”.
“Il mondo ora spende 975 miliardi di dollari annualmente per scopi militari. Il bilancio militare USA del 2006 è
stato di 492 miliardi, ovvero metà del totale mondiale. Questa armi sono di scarsa utilità nell'arginare il
terrorismo, né sono in grado di invertire la deforestazione del pianeta o di stabilizzare il clima. Le minacce di
tipo militare alla sicurezza nazionale oggi impallidiscono di fronte alle prospettive di distruzione e squilibrio
ambientale che minacciano l'economia e di conseguenza la stessa civiltà del ventunesimo secolo. Nuove
minacce chiamano nuove strategie. Queste minacce sono il degrado ambientale, il mutamento climatico, il
permanere della povertà, la perdita di speranza”.
“È difficile trovare le parole adatte ad esprimere la gravità della nostra situazione e la gravità delle decisioni
che dobbiamo prendere. Come possiamo riuscire a trasmettere l'urgenza di agire in fretta? Domani sarà
troppo tardi? In un modo o nell'altro, deciderà la nostra generazione. Su questo non c'è alcun dubbio. Ma
sarà una decisione tale da condizionare la vita sulla Terra per tutte le generazioni a venire”.
LINKS
Saving the Planet With Plan B 2.0 Wired News 22 marzo 2006
Contents of Plan B 2.0 Rescuing a Planet Under Stress and a Civilization in Trouble
by Lester R. Brown - Earth Policy Instit
Negli Stati uniti, James E. Hansen, direttore del Goddard Institute for Space Studies, uno dei massimi
climatologi della Nasa, ha denunciato che l'amministrazione Bush sta cercando di togliergli la parola, in
particolare da quando ha parlato in una conferenza pubblica dell'urgenza di ridurre le emissioni di gas serra
che alterano il clima.
Hansen ha descritto le pressioni subite al New York Times (citando anche un addetto alle pubbliche relazioni
della Nasa che dichiara, in una riunione interna: «il mio lavoro è far apparire bene il presidente»).
Nella capitale britannica, invece, il governo ha pubblicato un rapporto scientifico secondo cui il cambiamento
del clima avrà conseguenze più gravi di quanto si creda, e che abbiamo ormai poche chance di riuscire a
mantenere le emissioni di gas di serra sotto i livelli di pericolo. Il rapporto “Avoiding Dangerous Climate
Change” raccoglie i documenti presentati a una conferenza ospitata nel febbraio 2005 dall'Ufficio
Meteorologico del Regno unito. Quella conferenza aveva raccolto il meglio dei dati e studi esistenti per
rispondere a due domande: qual è la concentrazione di gas di serra oltre la quale il pianeta è in pericolo, e
quali opzioni esistono per evitare di raggiungere quel livello?
Le due domande danno per assodato che il cambiamento del clima è già visibile e che avrà conseguenze
drammatiche sulla vita del pianeta: si tratta di agire subito per limitarlo, e prevenire conseguenze più gravi. Il
rapporto, presentato a, Londra lancia dunque l'ennesimo messaggio di allarme.
Per la verità, la risposta alla prima domanda - quale sia il livello di pericolo nella concentrazione dei gas di
serra - è quasi impossibile: gli scienziati tendono piuttosto a dire quali rischi sono associati a quali
concentrazioni di gas di serra. Il rapporto fa notare che finora l'Unione Europea si era data l'obiettivo di
prevenire un aumento della temperatura media globale superiore a 2 gradi Celsius: ma anche solo quei due
gradi possono portare allo scioglimento della copertura di ghiaccio perenne della Groenlandia.
La cosa più allarmante è che il riscaldamento della superficie terrestre si sta verificando in modo assai più
veloce del previsto - e lo si vede proprio dalla regione artica (come ha dimostrato un autorevole studio
internazionale pubblicato alla fine del 2004 dal Consiglio Artico). Il rapporto britannico fa notare che con un
aumento della temperatura media globale sopra ai 2 gradi il rischio di scioglimento dei ghiacci artici aumenta
«in modo sostanziale», e questo comporterà «potenzialmente un gran numero di estinzioni e il collasso di
interi ecosistemi».
L'innalzamento del livello dei mari avrà effetti disastrosi in primo luogo su molti tra i paesi più poveri del
pianeta, più bassi sul livello del mare. «Rischiamo di arrivare al punto in cui il cambiamento diventa
irreversibile», ha commentato la ministra dell'ambiente britannica Margaret Beckett alla BBC.
Attualmente, l'atmosfera terrestre contiene circa 380 parti-per-milione (ppm) di anidride carbonica, uno dei
principali gas che determinano l'effetto serra: due secoli fa, prima della rivoluzione industriale, erano 275
ppm. Per rispettare l'obiettivo di non aumentare ulteriormente la temperatura più di 2 gradi bisognerebbe
stabilizzare la concentrazione di anidride carbonica entro le 450 ppm.
Il capo-consigliere scientifico del governo britannico, Sir David King, ha dichiarato alla BBC il suo
pessimismo: «Nessun paese spegnerà una centrale elettrica che dà energia alla sua popolazione per
affrontare questo problema, dobbiamo prenderne atto. Credo che l'obiettivo di 450 ppm sia non fattibile».
Quanto alla seconda domanda - quali opzioni per evitare le concentrazioni pericolose di gas di serra - il
rapporto dice che le alternative esistono: ad esempio aumentare l'efficienza energetica o l'uso di energie
rinnovabili.
LINKS
Climate Expert Says NASA Tried to Silence Him New York Times 29 gennaio 2006
Le sue ultime recenti affermazioni, ai microfoni della BBC, sono però difficili da contestare, poiché si basano
su una ricerca dell'Hadley Centre for Climate Change and Prediction, tra i laboratori più famosi al mondo per
le proiezioni climatiche. Lo studio, elaborato al computer, chiamato “Avoiding Dangerous Climate Change”,
evidenzia il terribile impatto sul sistema umano provocato dall'innalzamento della temperatura, dal
cambiamento delle precipitazioni e dall'aumento degli eventi estremi.
Secondo il rapporto, la temperatura della Terra è destinata a salire di 3 gradi entro il 2100, anche prendendo
in considerazione le stime più ottimistiche sulle nostre capacità di contenere l'emissione di anidride
carbonica. Il Regno Unito e l'UE hanno siglato un accordo che prevede di contenere il surriscaldamento
terrestre entro i 2 gradi. Ma il consigliere capo di Tony Blair sembra non avere dubbi: il limite dei due gradi
non verrà rispettato.
Se le previsioni del modello elaborato dal computer per conto del governo sono esatte, l'innalzamento di 3
gradi metterebbe 400 milioni di persone a rischio di malnutrizione, lascerebbe senza acqua tra l'uno e i tre
miliardi di uomini, causerebbe una riduzione dei raccolti di grano dai 20 ai 400 milioni di tonnellate e
distruggerebbe metá delle risorse naturali mondiali.
«Mi rivolgo ai leader politici mondiali. Occorre agire adesso» ha dichiarato Sir King, «non dobbiamo cadere
in uno stato di sconforto per il quale diciamo che non c'è nulla da fare e continuiamo a vivere come se nulla
fosse. È importante rendersi conto che possiamo gestire i rischi per la nostra popolazione e per quella
mondiale. Bisogna dare il via ad una serie di investimenti. Sarà una vera e propria sfida per i paesi in via di
sviluppo e non ci sono certezze».
Lo scenario devastante preconizzato da Sir King è finito in prima pagina, a otto colonne, sul quotidiano The
Independent: «2100, temperatura del globo aumentata di 3 gradi. I ghiacci dell'Antartico si stanno
sciogliendo. L'orso polare sta scomparendo. Le popolazioni che vivono sulle coste dell'Africa e dell'Asia
rischiano devastanti inondazioni. La foresta amazzonica diventa come la savana e la biodiversità mondiale
cessa di esistere. Gli uragani e le alluvioni diventano sempre più frequenti e distruttivi. I grandi laghi
dell'Africa si asciugano e la siccità è ormai una piaga insanabile. Il 40% dei mammiferi africani rischia
l'estinzione come pure il 38% dei volatili europei e il 20% delle piante».
Blair sembra ormai rassegnato all'impossibilità di ottenere il “Kyoto mark 2”, un nuovo protocollo sul
cambiamento climatico, molto più rigoroso del protocollo di Kyoto, che trova però l'opposizione degli Usa,
della Cina e dell'India. Sir David si è lasciato sfuggire un sottile e velato attacco all'approccio usato dal
presidente americano George W. Bush dopo che il suo consigliere, James Connaughton, aveva dichiarato
che la riduzione dell'emissione dei gas serra poteva danneggiare l'economia mondiale.
L'ammonimento dello studioso inglese è inequivocabile: «Quei politici che credono semplicemente di poter
fare affidamento su nuove tecnologie in grado di produrre combustibili meno inquinanti dovrebbero invece
dare più ascolto agli scienziati. C'è una grossa differenza tra l'essere ottimisti e nascondere la testa sotto la
sabbia».
Lo sbiancamento dei coralli si verifica quando vengono espulse le alghe che vivono simbioticamente con i
polipi di coralli vivi e che conferiscono a questi il colore tipico. I coralli sbiancati possono in seguito morire e
influire sull'ecosistema della barriera, e dunque sulla pesca, sul turismo regionale e sulla protezione costiera.
Il fenomeno è collegato a temperature marine superiori alle normali temperature estive nonché a radiazioni
solari. Lo sbiancamento può avvenire sia su scala localizzata che su larga scala; nel 1998 e nel 2002 si sono
verificati fenomeni di sbiancamento dei coralli piuttosto estesi, collegati agli eventi del Niño. “I fenomeni di
sbiancamento - ha detto uno dei responsabili dello studio, Nick Graham, dell'Università di Newcastle, in
Inghilterra - stanno diventando sempre più frequenti e diventeranno sempre più gravi nei prossimi decenni”.
Negli ultimi sette anni, il degrado ha recato dei danni così pesanti che la ripresa appare difficile. A rischio è la
conservazione della biodiversità: si parla di estinzione, relativa al collasso dei coralli, di quattro specie di
pesci e di altre sei seriamente minacciate. L'unica speranza viene dall'Australia, dove la Grande Barriera
sembra essere in grado di scampare al fenomeno dello sbiancamento. Di qui si potrebbe ricominciare
un'opera di ripopolamento per le aree maggiormente devastate.
LINKS
Global Warming Has Devastating Effect on Coral Reefs, Study Shows National
Geographic 16 maggio 2006
NASA Helps Researchers Diagnose Recent Coral Bleaching at Great Barrier Reef
Goddard Space Flight Center 04 maggio 2006
Alla Giornata Mondiale dell'Ambiente (World Environment Day) promossa dall'ONU è stato lanciato l'allarme
desertificazione: il problema colpisce soprattutto Arabia Saudita, Siria, Pakistan, Cina occidentale, Ciad, Irak
e Niger, ma che riguarda sempre di più anche l’Italia, dove il 5,5% del territorio è soggetto a desertificazione.
Le zone più colpite da questo fenomeno sono soprattutto le isole grandi e piccole, le coste del Mezzogiorno,
in particolar modo Sicilia, sensibile a questo problema per quasi il 36%, Puglia e Sardegna.
“I deserti sono minacciati come mai prima d'ora dal cambiamento climatico, dall'eccessivo sfruttamento delle
falde freatiche, dalla salinizzazione e dalla scomparsa della fauna”, ha osservato Andrew Warren, professore
di geografia alla University College London, fra i curatori del rapporto ONU sulle terre aride presentato a
Londra. Le temperature delle regioni desertiche sono aumentate infatti tra lo 0,5 e i 2 gradi Celsius in 24 anni
(tra il 1976 e il 2000), ben più dei 0,45 gradi di rialzo registrati in media nel resto del pianeta. Non solo: le
temperature nei deserti potrebbero aumentare da 5 a 7 gradi da oggi al 2071-2100.
Un terzo della popolazione mondiale abita le terre aride e 2 miliardi di persone vivono in condizioni
disagevoli, con poca acqua e pochi terreni coltivabili. Il problema investe soprattutto l'Africa meridionale dove
il 66% dei terreni è arido o semiarido, come conseguenza dell'accumulo di gas serra nell'atmosfera.
Eppure, i deserti potrebbero rappresentare una preziosa risorsa in vari settori: dall'energia che sfrutta il sole
e il vento a piante e animali utili per la ricerca farmaceutica. Secondo Zaveh Zahedi, direttore aggiunto del
centro di sorveglianza per la difesa dell'ambiente del PNUE (Cambridge), un deserto delle dimensioni del
Sahara potrebbe catturare energia solare sufficiente per rispondere ai bisogni di elettricità del mondo intero.
Piante scoperte nel deserto del Negev in Israele potrebbero invece aiutare la lotta contro il cancro e la
malaria.
“Lontano dall'essere terre aride, i deserti appaiono come dinamici sul piano biologico, economico e
culturale”, ha detto Shafqat Kakakhel, direttore esecutivo del Programma delle Nazioni Unite per l'Ambiente.
LINKS
Desert life threatened by climate change and human exploitation The Independent
05 giugno 2006
L'IMPERO DI CINDIA
Il secolo cinese non sarà dominato solo dalla Cina. L'impetuoso sviluppo economico conosciuto negli ultimi
anni da quello che fu l' “lmpero celeste” ha infatti coinvolto molti paesi asiatici, primo fra tutti l'India. L'ex
colonia britannica sta rapidamente diventando una nuova grande potenza economica: la diffusa conoscenza
della lingua inglese e un buon tasso di istruzione tecno-scientifica ha fatto sì che molte aziende americane e
inglesi abbiano deciso di delocalizzare nel territorio indiano alcuni servizi fondamentali e che siano nate non
poche delle più importanti aziende informatiche del pianeta, tanto che persino Microsoft ha recentemente
deciso di spostarvi la propria produzione. Federico Rampini, corrispondente di Repubblica da Pechino, in
questo libro racconta la Cina e anche l'India, i due Paesi che si stanno imponendo sulla scena mondiale
grazie al “boom” economico, industriale e tecnologico che stanno vivendo ormai da alcuni anni.
“Se il boom cinese” – scrive Rampini – “ha preso la sua rincorsa dall’inizio degli anni Ottanta, è di recente
che l'India si è imposta di prepotenza come l'altro miracolo. Dal 1991 le riforme economiche di New Delhi
hanno liberato l'energia del Paese e dal 2004 Cina e India sono diventate le mete predilette degli
investimenti delle multinazionali”.
Il decollo della potenza tecnologica indiana coincide con l'invenzione di un microchip, ad opera di un 35enne
indiano, finito nello stomaco di vacche che fino al 2003 giravano indisturbate per le vie della capitale ed a cui
ora è stato attribuito un codice d'identità che ne registra razza e proprietario. Ebbene, quel sensore “made in
India” è oggi un successo mondiale: negli Usa, in Europa e in Argentina è usato per monitorare eventuali
ritorni del morbo della mucca pazza.
Questa è la “New India”, divenuta centro dell'innovazione mondiale, il Paese dove la Microsoft di Bill Gates
lancia nuovi software a basso costo per miliardi di utenti, assume migliaia di ingegneri e incontra una
concorrenza che ha spostato lì, a Bangalore, nella Silicon Valley indiana, il baricentro della fabbricazione di
hardware e microchip. Dunque, scrive Rampini, non ci sono alternative, la crescita è in questo Paese. E in
Cina. La tigre indiana e il dragone cinese, rispettivamente, una democrazia da 1 miliardo e 100 milioni di
abitanti e un regime totalitario da 1 miliardo e 300 milioni di persone. Due Paesi dal passato glorioso che
trainano tutto il continente asiatico come due locomotive dello sviluppo industriale e demografico.
Questa realtà è “Cindia”, un'area che fra 30 anni, secondo accreditati studi internazionali, produrrà il 42% del
Pil mondiale, lasciando agli Usa il 23% e all'Europa solo il 16: la partita del XXI secolo si gioca qui, nel nuovo
centro del mondo. Rampini raccoglie storie di vita quotidiana, ritratti di grandi capitalisti dei quali a stento si
comprende il nome, e racconti di viaggio dall'interno dell'impero nascente.
Cindia, a detta di Rampini, è il vero ostacolo degli Usa per il comando supremo del globo. Basti pensare a un
dato: già oggi la Cina è il più grande costruttore di prodotti high-tech; e l'India il più grande serbatoio di
operatori software (i Pc americani vengono riparati via Internet da tecnici di New Delhi o Bombay) e
contemporaneamente la sede mondiale dei nuovi laboratori di ricerca. I due giganti, spesso complementari,
talora alleati (in Nigeria hanno avviato un'operazione congiunta di sfruttamento energetico) stanno
rivoluzionando la geografia economica mondiale.
Lo sconvolgimento sarà epocale, sottolinea Rampini, perché nel pianeta non c’è posto per altri tre miliardi di
produttoriconsumatori al livello occidentale. Non ci sono fonti energetiche (e già si vede), né materie prime,
ma nemmeno elementi primari come l'aria e l'acqua. Quindi, all’emergere di Cindia, si pongono tre soluzioni.
La prima, e la più tradizionale, è la guerra. D'altronde il pianeta va avanti così: di fronte alle risorse scarse,
gli uomini si scontrano e i più deboli scompaiono. La seconda potrebbe essere una auto-limitazione dei
consumi (una “decrescita felice”), ma è difficile vedere il propagarsi a livello generalizzato di quelle che
sembrano utopie pauperiste. Oppure, un nuovo riassetto della produzione, che implichi la compatibilità
ambientale come vincolo. Ciò implicherebbe una rivoluzione tecnologica e un riorientamento morale della
società. Ma anche quest'ultima soluzione appare più che mai utopica.
“Entrambi rifiutano di essere additati come i responsabili dei problemi ambientali: sarebbe come accettare
che alcuni paesi possono inquinare, altri no – dice Rampini – ma si rendono conto che l'impatto del loro
sviluppo è enorme e sostanzialmente insostenibile. Si pongono quindi il problema di cosa fare e, almeno a
parole, in Cina la sostenibilità è diventata una priorità”.
Rimane il problema globale, il consumo di risorse del pianeta, la necessità di stringenti accordi e controlli
internazionali.
“Su questo sono abbastanza in ritardo”, continua Rampini, “né l'una né l'altra hanno partecipato al trattato di
Kyoto, che peraltro le esentava in quanto considerate paesi emergenti. Il fatto è che debbono ancora
affrontare passaggi culturali e tecnologici che noi abbiamo già superato. Tokyo era una città inquinatissima,
oggi non più. Cina e India sono come noi all'inizio della motorizzazione di massa. E non aiuta certo la
posizione degli Usa, nella cui atmosfera arriva, pesante, l'inquinamento cinese, ma che devono solo tacere,
perché pur essendo i primi inquinatori del mondo, con Bush hanno sabotato Kyoto, smantellato la
legislazione ambientale interna e rifiutato, finché hanno potuto, i collegamenti tra inquinamento ed effetto
serra”.
DEMENTI CLIMATICI 2
Ogni giorno che passa nuovi segnali dal clima impazzito sembrano metterci in guardia. Ma come sta
reagendo il governo globale di fronte alla catastrofe ambientale?
In questo scenario tragico e surreale, l'Europa, e l'Italia in particolare, non fanno eccezione. Nel Belpaese
sono già scomparse le foreste primarie, l'inquinamento di aria, acqua e suolo sta portando alla distruzione di
quel poco di natura che ci resta, la biodiversità è ormai ridotta a minimi storici. E i fondi da destinare alla
conservazione diventano ogni giorno più scarsi (mentre quelli per la spesa militare, ad esempio, si fanno
sempre più ingenti, ndr).
L'unico dato positivo è quello delle aree protette, i parchi naturali. Ogni parco del mondo (con l'Europa in
testa) potrebbe e dovrebbe contribuire alla salvaguardia dell'ambiente locale e globale. Ma anche su questo
fronte si risponde la stessa solfa: mancano i fondi.
(Pubblicato su Ecplanet 03-10-2006)
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La presenza dell'uomo sulla Terra è sempre più ingombrante. La sua «impronta» sta lasciando un segno che
rischia di essere indelebile. Il pianeta non basta più: nel 2050 ce ne
vorranno «due», se continua l'attuale ritmo di consumo di acqua,
suolo fertile, risorse forestali, specie animali tra cui le risorse ittiche.
Nel rapporto precedente (quello pubblicato nel 2004 e basato sui dati del 2001) era del 21%. In particolare,
l'Impronta relativa al CO2, derivante dall'uso di combustibili fossili, è stata quella con il maggiore ritmo di
crescita dell'intera Impronta globale: il nostro “contributo” di CO2 all'atmosfera è cresciuto di nove volte dal
1961 al 2003. L'Italia ha un'impronta ecologica (sui dati 2003) di 4.2 ettari globali pro capite, con una
biocapacità di 1 ettaro globale pro capite, mostrando quindi un deficit ecologico di 3.1 ettari globali pro
capite.
I paesi con oltre un milione di abitanti con l'Impronta ecologica più «vasta», calcolata su un ettaro globale a
persona, sono gli Emirati Arabi, gli Stati Uniti, la Finlandia, il Canada, il Kuwait, l'Australia, l'Estonia, la
Svezia, la Nuova Zelanda e la Norvegia. La Cina si pone a metà nella classifica mondiale, al 69imo posto,
ma la sua crescita economica (che nel 2005 è stata del 10,2) e il rapido sviluppo economico che la
caratterizza giocheranno un ruolo chiave nell'uso sostenibile delle risorse del pianeta nel futuro. Questo è
uno dei motivi per cui Living Planet Report quest'anno è stato lanciato proprio in Cina. Il WWF crede che sia
vitale per il pianeta che la Cina e gli altri paesi di nuova industrializzazione (che globalmente raggiungono
oltre il miliardo di abitanti e che stanno raggiungendo un livello di consumo paragonabile ai paesi dell'area
OCSE) non segua i modelli di sviluppo dell'Occidente, ma persegua il proprio sviluppo in una chiave di
sostenibilità.
«La popolazione umana entro il 2050 raggiungerà un ritmo di consumo pari a due volte la capacità del
pianeta Terra», si legge nel documento. «Siamo in un debito ecologico estremamente preoccupante,
considerato che i calcoli dell'impronta ecologica sono per difetto. Consumiamo le risorse più velocemente di
quanto la Terra sia capace di rigenerarle e di quanto la Terra sia capace di metabolizzare i nostri scarti -
dichiara Gianfranco Bologna, direttore scientifico del WWF Italia - e questo porta a conseguenze estreme ed
anche molto imprevedibili. È tempo di assumere scelte radicali per quanto riguarda il mutamento dei nostri
modelli di produzione e consumo».
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RAPPORTO STERN
Il governo di Londra, di fronte alle conclusioni preoccupanti della ricerca, ha deciso di far accettare
all'opinione pubblica una serie di tasse “ecologiche”, dagli aumenti delle accise sulla benzina, a tasse su chi
viaggia in aereo, già individuate dal ministro dell'Ambiente David Milliband. Stern, invece, avverte che di
fronte alla concreta possibilità di ritrovarsi con 200 milioni di possibili profughi (sarebbe la maggiore
migrazione della storia moderna), causa distruzione di intere zone da parte di siccità e alluvioni, occorre
varare in fretta, entro il prossimo anno (e non entro il 2010/11 come previsto), un nuovo trattato di Kyoto per
tagliare drasticamente le emissioni dannose. Al tempo stesso, i governi dovranno quanto meno raddoppiare
gli investimenti nella ricerca di fonti energetiche pulite.
Stern sostiene che, con il trend attuale, la temperatura media del pianeta salirà di 2-3 gradi centigradi entro i
prossimi 50 anni, rispetto alle temperature nel periodo 1750-1850. Se le emissioni continueranno a salire, la
Terra potrebbe riscaldarsi ulteriormente, con gravi conseguenze, avverte Stern. I paesi poveri sarebbero i più
colpiti mentre lo scioglimento dei ghiacciai aumenterà il rischio di alluvioni
e ridurrà le risorse d'acqua - finendo con il minacciare fino a un sesto della
popolazione mondiale.
Il primo ministro britannico Tony Blair ha definito questi dati “una sveglia
suonata a ogni paese del mondo”. “Il rapporto è chiaro: stiamo andando
verso punte catastrofiche sul piano climatico se non agiamo”, scrive Blair in
un particolo per il quotidiano Sun, “creare un'energia più pulita usandone
di meno deve essere la chiave”.
UP IN SMOKE 2
Le anticipazioni del rapporto Stern coincidono con l'allarme lanciato da un altro studio sul clima, “Up in
Smoke 2”, fatto da un gruppo di Ong britanniche - Oxfam, la New Economics Foundation e il Working Group
on Climate Change and Development, che raccoglie organizzazioni umanitarie ed ecologiste - per il quale gli
aiuti economici all'Africa vengono vanificati proprio dall'aggravarsi delle conseguenze dell'effetto serra.
L'aumento delle temperature medie - 3,5 gradi negli ultimi 20 anni in alcune zone - rende le zone aride
sempre più aride e quelle umide sempre più umide. Risultato: nella sola Africa sub-sahariana, 25 milioni di
persone hanno sofferto la fame lo scorso anno.
LINKS
http://www.occ.gov.uk/activities/stern.htm
Up In Smoke
“Sono almeno cento i rapaci che vivono nella metropoli - ha spiegato Hiroshi Kawachi, esperto di uccelli della
Urban Bird Society of Japan - ma nessuno sa ancora perché essi abbiano optato per questo inusuale
ecosistema. L'unica cosa certa riguarda la scelta dei luoghi da abitare: preferiscono grattacieli e ponti molto
alti poiché queste costruzioni ricordano ai rapaci alture naturali e scogliere, dalle quali é possibile dominare
la zona circostante”.
Molti rapaci sono stati notati anche sui davanzali di famosi edifici, all'altezza di circa 100 metri da terra. Nei
giorni scorsi, una signora del quartiere di Chiyoda, zona centrale di Tokyo, ha addirittura fotografato e filmato
due grossi falchi che sostavano tranquillamente sul davanzale di un palazzo di fronte al suo. Altre postazioni
per ammirare i rapaci sono segnalate nel quartiere amministrativo di Shinjuku e nella baia all'altezza del
Rainbow Bridge.
E non si tratta di un fenomeno esclusivo della capitale nipponica: negli ultimi tempi gli imponenti volatili
hanno fatto apparizioni anche in altre metropoli, tra cui Osaka e Hiroshima. In estate, aveva invece
guadagnato le prime pagine dei giornali l'emergenza delle cornacchie, che sempre più numerose invadono
le metropoli (e non solo) per attaccare, oltre ai bidoni della spazzatura, i numerosi cavi a fibre ottiche da cui
passa buona parte del traffico Internet.
Secondo uno studio che raccoglie ben 886 ricerche scientifiche, pubblicato sull'Annual Rewiev of Ecology,
Evolution and Systematics, aree sempre più ampie del pianeta registrano un'impennata della temperatura e
gli animali non sanno più dove andare. Per questo, almeno 70 specie rare di montagna si sono già estinte e
circa 200 animali polari, come orsi e pinguini, sono a rischio. Molte piante invece stanno strvolgendo la loro
natura e fioriscono molto prima del tempo. In più, c'è stato un incremento del numero di parassiti.
Sono tutti effetti largamente previsti dagli scienziati. Quello che stupisce, è la eccezionale rapidità con cui
questi eventi si stanno verificando.
LINKS
Tokyo invasa dai falchi. Allarme fra gli abitanti Libero 23 novembre 2006
Un articolo pubblicato su Science dell'8 dicembre 2006 analizza un fenomeno di riscaldamento globale
avvenuto circa 50-55 milioni di anni fa, durante l'era Cenozoica: durante il passaggio tra Paleocene ed
Eocene, la temperatura terrestre è aumentata di circa 5° C in meno di 10000 anni (è il cosiddetto PETM:
Paleocene-Eocene Thermal Maximum).
In una news release dell'Università di Yale, uno degli autori, Mark Pagani, così commenta la ricerca: «Il
PETM è un esempio lampante di riscaldamento globale indotto dalle emissioni di CO2, in contrasto con i
critici che sostengono che la temperatura della Terra è poco sensibile alle variazioni di anidride carbonica.
Se il PETM è stato causato dalla combustione di biomasse, allora la sensibilità del clima al biossido di
carbonio è più di 2,5 °C per un raddoppio della concentrazione di CO2. Se invece la causa è nel metano
rilasciato dal sottosuolo, il clima della Terra è estremamente sensibile all'effetto serra, con un aumento di
oltre 5,6 °C per un raddoppio della concentrazione di CO2».
Dal lontano passato del nostro pianeta giunge quindi una chiara smentita a tutti gli scettici che ritengono che
l'aumento della concentrazione atmosferica di CO2 non ha effetti sul clima. Non dimentichiamo che il livello
di biossido di carbonio dovrebbe raddoppiare (rispetto ai livelli preindustriali) verso la metà del secolo.
«Il nostro lavoro rappresenta un ulteriore incentivo a sviluppare fonti di energia pulita che possano fornire
sviluppo senza rischi per il nostro mondo naturale», ha aggiunto Ken Caldeira, un altro degli autori
dell'articolo.
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AN INCONVENIENT TRUTH
Le cause che stanno dietro a questo fenomeno sono numerose e comprendono fattori economici e sociali
nei paesi in via di sviluppo quali la povertà, gli elevati tassi di crescita della popolazione, l'ineguale
distribuzione delle proprietà terriere, l'afflusso di rifugiati, la modernizzazione che fa abbandonare le
tradizionali tecniche di coltivazione e le politiche governative che incoraggiano le colture commerciali al
servizio del debito estero svolte sulle terre marginali.
La vita sulla terra si basa su quello strato superficiale del terreno che fornisce i nutrienti necessari alle piante,
alle colture, alle foreste, agli animali ed alle persone. Senza di esso, in definitiva, nessuno potrebbe
sopravvivere. Sebbene questo strato abbia bisogno di lungo tempo per svilupparsi, se non viene curato in
maniera appropriata, esso può scomparire in poche stagioni a causa dell'erosione che deriva dall'attività del
vento e dell'acqua.
Il concetto di desertificazione si è quindi progressivamente evoluto nel corso degli anni nel tentativo di
definire un processo che, seppur caratterizzato da cause locali, sta sempre più assumendo la connotazione
di un problema globale. Il 17 Giugno 1994, a Parigi, viene adottata la UNCCD - United Nations Convention to
Combat Desertification in Countries experiencing Serious Drought and/or Desertification, Particularly in
Africa (Convenzione per Combattere la Desertificazione in quei Paesi che soffrono di Gravi Siccità,
particolarmente in Africa). La Convenzione è entrata in vigore a Dicembre 1996, 90 giorni dopo la ratifica del
cinquantesimo paese. Ad oggi la Convenzione conta 191 Paesi.
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Da campioni rilevati nelle rocce sul fondo dell'Oceano Pacifico, 1600 chilometri ad Est del Giappone, risulta
che nel Cretaceo, ovvero 120 milioni di anni fa, le oscillazioni di temperatura sulla superficie dell'oceano
arrivarono a 6 gradi centigradi nella media annuale (tra i 30° ed i 36°), con due episodi di raffreddamento che
raggiunsero i 4 gradi sulla superfici marine ai tropici. Al confronto, oggi le temperature della superficie marine
ai tropici oscillano tra i 29 e 30 gradi (i risultati degli esperimenti sono stati pubblicati su Geology).
Il nuovo studio è stato diretto da Simon Brassell, geologo dell'Università dell'Indiana, secondo il quale le
prove sui cambiamenti climatici in un passato in cui gli esseri umani proprio non c'erano dovrebbe aiutare a
capire il fenomeno del riscaldamento globale: “Se vi sono grandi fluttuazioni, che sono inerenti al sistema
stesso, come mostrano gli studi sul paleoclima, ciò rende la determinazione del clima futuro della terra
persino più difficile di quanto non lo sia già”. “Stiamo cominciando a capire come il nostro clima, negli archi
lunghi del tempo, sia stato una bestiaccia selvatica” ha detto Brassell.
Anche in epoca più recente, diciamo nel periodo successivo all'anno mille, è noto che in Inghilterra e persino
in Scozia si riuscisse a coltivare la vite, anche se a fatica. A questo periodo di temperatura estremamente
mite, evidentemente maggiore rispetto a quello attuale, seguì una piccola glaciazione protrattasi fino al 1880,
che coprì di ghiacci le regioni più settentrionali dell'Europa, a cominciare dalla Groenlandia, che prima, come
dice il nome stesso, “verdeggiava”. Le colonie vichinghe groenlandesi furono costrette ad abbandonare
quegli stanziamenti per il freddo eccessivo.
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I dati, comparati con quelli ottenuti analogamente lungo la costa sudamericana, suggeriscono che la
decadenza dei Maya e dei Tang coincise con un periodo di forti venti invernali e, di contro, deboli
precipitazioni estive. L'impatto del cambiamenti climatici potrebbe aver danneggiato i raccolti di grano,
contribuendo a decretare il collasso delle due antiche culture. “Non sono uno storico - dice lo scienziato
tedesco - ma ci sono prove crescenti che il clima ha un effetto catalizzatore sulle società umane”.
Did worldwide drought wipe out ancient cultures? Bioedonline 03 gennaio 2007
Climate changes may lead to the collapse of ancient civilizations Chinese Academy
of Sciences
Il giallo delle mimose in Liguria, i mandorli in fiore nell'Italia centrale e meridionale e le primule fiorite sulle
colline degli Appennini, segnano straordinariamente, e drammaticamente, gli effetti dei cambiamenti
climatici. “Per le mimose - precisa la Coldiretti - c'è il rischio che la fioritura anticipata le renda indisponibili
per le ricorrenze tradizionali di San Valentino e della Festa della Donna dell'otto marzo. Le piante si trovano
in una fase di crescita tipica della primavera che le stà predisponendo alla circolazione della linfa. La
recrudescenza del freddo potrebbe colpirle nel momento più critico con danni ingentissimi”.
Intanto, a New York fioriscono gli alberi di ciliegio, mentre le stazioni sciistiche della zona a nordest degli
Stati Uniti hanno chiuso, almeno per ora, i battenti. I ventuno gradi di questo gennaio, ha fatto sapere il
National Weather Service, hanno battuto il record precedente, segnato nel 1950, di 17 gradi. I meteorologi
ritengono che alla base di questo caldo primaverile ci sia più che altro El Nino, il fenomeno che colpisce di
norma l'area del nordest.
Tra gli eventi climatici estremi del 2006 vanno citati: l'eccezionale ondata di calore dell'estate 2006 in
California con 140 morti; il record della temperatura di luglio nell'Europa centrale; l'autunno di caldo record
nell'Europa centrale ed occidentale; l'eccezionale ondata di freddo che ha colpito la Russia e la Siberia nel
gennaio 2006; l'eccezionale siccità dell'Afghanistan e di parte della Cina, con circa 20 milioni di profughi; le
alluvioni nel Niger e in Algeria con 100mila persone senza casa; la forte siccità da gennaio a marzo 2006
dell'Amazzonia che ha prodotto “minime di portata” nel Rio delle Amazzoni.
E ancora: le anomalie del monsone indiano che è cominciato in anticipo (maggio 2006) e si è esteso fino alla
fine di agosto producendo alluvioni continue in India, Bangladesh e sud della Cina; l'eccezionale intensità dei
tifoni sul Pacifico occidentale che hanno colpito soprattutto la Cina orientale e le Filippine, dove si sono avuti
complessivamente più di 1.500 morti; l'eccezionale ondata di calore primaverile e la prolungata siccità che
ha colpito l'Australia.
2006 was Earth's sixth warmest year on record New Scientist 14 dicembre 2006
Viceversa, sarà più freddo del normale nella parte orientale dell'area
mediterranea e nel vicino oriente. Piogge estese ed al di sopra della
norma colpiranno il nord Europa e l'area balcanica, mentre gran parte
della Spagna e tutta la sponda sud del mediterraneo andranno incontro a
siccità. L'inizio della primavera 2007, invece, si prospetta piuttosto
freddina e piovosa per l'Italia e tutta l'area mediterranea orientale compresi i balcani.
Per l'ente metereologico nazionale della Gran Bretagna, la corrente di El Nino sull'Oceano Pacifico farà
salire la temperatura globale fino a 0,54°C sopra la temperatura media di lungo periodo di 14°C. Gli esperti
hanno tratto le loro conclusioni principalmente da due fattori: l'effetto dei gas-serra e quello di El Nino,
annunciato dall'arrivo di un insolito calore nelle acque delle coste nord-occidentali del Sud-America.
Secondo una ricerca dell'Unione Europea, l'Italia e la Spagna sono i Paesi più a rischio degli effetti del
cambiamento climatico. Il riscaldamento globale potrebbe costare all'Europa migliaia di vite e miliardi di euro
entro i prossimi 70 anni (intorno al 2071 potrebbe
portare alla morte di 87.000 persone l'anno). È
impietoso lo studio sul clima e sui suoi effetti in Europa
elaborato dalla Commissione Europea e pubblicato dal
Financial Times. Se non saranno presi seri
provvedimenti sulle emissioni dannose, ammonisce
Bruxelles, l'effetto serra e il relativo surriscaldamento
del pianeta andranno avanti a passi sempre più veloci.
Mentre il Nord Europa avrebbe un clima più mite e la possibilità di un'agricoltura più generosa, altrove si
avrebbero siccità, gran caldo, inondazioni e colture depresse.
Il quadro più grave riguarda proprio l'Italia che, insieme alla Spagna, potrebbe essere destinata a soffrire
maggiormente questa situazione catastrofica a causa, si legge nel rapporto, di “siccità, riduzione della fertilità
del suolo, incendi e altri fattori dovuti al cambiamento di clima”. Lo studio non risparmia flora e fauna: “Piante
e animali tipici di certe aree geografiche moriranno o si sposteranno verso altre zone”. Il riscaldamento
porterà ovviamente anche all'innalzamento del livello del mare che potrebbe crescere fino a un metro con
costi ingenti per far fronte al fenomeno.
Già nel 2020, in caso di innalzamento della temperatura di 2,2 gradi, la spesa per far fronte al disastro delle
coste potrebbe essere di 4,4 miliardi di euro; nel caso del secondo scenario (+3 gradi) la spesa
aumenterebbe a 5,9 miliardi e potrebbe crescere a 42,5 miliardi nel 2080. C'è poi il problema delle
inondazioni, sempre più intense un po' in tutta Europa. In proposito l'allarme riguarda soprattutto i grandi
bacini fluviali, come il Danubio, che già negli ultimi anni ha fatto sentire i suoi effetti interessando con gravi
danni circa 240.000 persone.
L'allarme lanciato dalla UE trova riscontro nell'analisi del CNR. Estati italiane sempre più bollenti, con 3-5
gradi in più; precipitazioni più rare con un calo di acqua piovana estiva fino a 50 millimetri ma sempre più
violente; frane e dissesto; rischi di desertificazione nel Mezzogiorno; 33 zone costiere a rischio inondazione.
EMERGENZA IN AUSTRALIA
In Australia, la stagione degli incendi, iniziata in ottobre a causa della lunga siccità che ha colpito gran parte
del sud-est del continente, si avvia a diventare la più devastante degli ultimi decenni e sta causando
distruzione in quattro stati. Nello stato-isola della Tasmania, almeno 18 case sono rimaste distrutte quando
una tempesta di fuoco, proveniente da un incendio che aveva già bruciato più di 3000 ettari sulle colline,
spinta da raffiche di vento di oltre 110 km l'ora, ha colpito la cittadina costiera di Scamander.
Gli incendi più estesi, appiccati da fulmini, hanno infuriato nelle foreste del Victoria, nell'entroterra a nordest
di Melbourne, dove sono stati impegnati più di 4000 fra vigili del fuoco, alcuni accorsi dalla Nuova Zelanda,
militari e volontari, con il supporto di mezzi dell'esercito, elicotteri e 45 aerei cisterna. Più di 280.000 ettari
sono stati ridotti in cenere, mentre durante la notte, i due maggiori incendi si sono congiunti in un unico
inferno, lungo un fronte di 250 km.
Il 2006 ha battuto tutti i record. I flussi dei fiumi Murray e Darling, che alimentano tutta la regione,
raggiungono appena il 10% del livello medio. I ruscelli si sono prosciugati. Nelle praterie, l'erba sempre più
rada è color paglia. Il grano e l'orzo non crescono, o crescono male, sulla terra screpolata. Grandi eucalipti
morti tendono i loro rami nudi verso il cielo di un blu impietoso. Il più piccolo passo solleva una nuvola di
polvere rossastra. Le mosche, avide d'acqua, si attaccano agli occhi e alla bocca di uomini e animali. La
famiglia Hodges sta finendo il raccolto. Non ci vuole molto: è crollato del 90%. «Non vale più nemmeno la
pena di raccogliere, l'orzo non spunta dalla terra», dice Clem, mentre guida il suo vecchio camion.
Mentre i maschi sono nei campi, le femmine conducono la loro battaglia nel giardino. I prati abbrustoliti fanno
disperare Cheryle, che cerca accanitamente di tenere in vita due cespugli di rose dagli steli molli, e qualche
legume piantato dentro vecchi pneumatici per trattenere l'umidità. Per bere e lavarsi basta ancora l'acqua
piovana raccolta nelle cisterne, ma per quanto durerà? L'estate è appena iniziata. Il pozzo della fattoria,
troppo salato, serve solo per abbeverare il bestiame. «Quest’anno sarà il peggiore della nostra storia», dice
Clem, «con la nostra carne, i legumi, la vendita delle pecore e l’aiuto governativo, riusciamo appena a
sopravvivere».
Le riserve d'acqua sono completamente a secco anche nella fattoria di Kerry e Wayne, suo marito. «È la
prima volta nella vita che mi tocca portare l'acqua ai campi con un camion, per riempire gli abbeveratoi. Ma
le pecore continuano ad andare ai bacini vuoti, e muoiono». L'aiuto del governo permette di «mettere il cibo
sul tavolo, ma non paga i debiti». Circola la voce che ogni quattro giorni un contadino si suicida. Gli
«assistenti siccità» - nuova categoria di funzionari del ministero dell'Agricoltura - non confermano, ma dicono
che «il problema è serio». Nella parrocchia di Gunning, il reverendo Vicky Cullen ha sepolto quest’anno tre
giovani contadini. Ma non vuole parlare di suicidio perché «sembravano incidenti d'auto». Cheryle dice di
essere «sempre stata scettica sul riscaldamento climatico. Ma è evidente che sta accadendo qualcosa di
nuovo. Succedeva di avere due anni di siccità di fila, ma non cinque. E non è mai accaduto in tutto il Paese
contemporaneamente».
«La maggior parte degli agricoltori sono grandi ottimisti, convinti che le piogge torneranno», dice Peter
Cullen, professore onorario all'università di Canberra, specialista in risorse d'acqua. «Io invece penso che il
Paese vada verso la siccità, le temperature sono aumentate in media di 0,8 gradi dal 1960», replica Bryson
Bates, direttore dell'unità clima del CSIRO (Organizzazione Scientifica e Industriale del Commonwealth). «Il
regime delle piogge è cambiato, il clima è più secco, non ci sono più grandi alluvioni. I modelli prevedono un
clima più caldo e secco nella parte meridionale del Paese, mentre il quadro resta incerto al Nord». Ma è nel
Sud che si concentra la popolazione e la produzione agricola. Il geografo Jared Diamond giudica l'Australia
una delle società più vulnerabili del pianeta, a causa del sovrasfruttamento sistematico delle terre e delle
acque.
Iniziata nel 2001, questa è la peggiore siccità dell'ultimo secolo. Il 92% del New South Wales - da cui
proviene 1/4 della produzione agricola - è senz'acqua. 3/4 dell'Australia sono a rischio. Il governo ha
stanziato 350 mln di dollari australiani (263 milioni di dollari Usa) e inviato 60 psicologi per sostenere i 2
milioni di persone in pericolo. La media di suicidi in un anno fra gli agricoltori è infatti il doppio di quella
nazionale (1 ogni 4 giorni). Si calcola che dal 2001, 150 mila persone abbiano perso il lavoro e il reddito delle
fattorie sia calato del 46%. Diverse sono le misure a cui è ricorsa l'Australia tra cui la desalinizzazione
dell’Oceano, il riciclaggio delle acque reflue, il razionamento delle risorse idriche e la costruzione di nuove
dighe.
Australia bushfires burn across three states New Zealand Herald 13 dicembre 2006
Australia suffers worst drought in 1,000 years The Guardian 08 novembre 2006
CSIRO
Proprio mentre, da Parigi, arriva l'ennesimo grido di allarme sul futuro del nostro pianeta
dall'Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) delle Nazioni Unite, l'ETC Group ha diramato un
comunicato con cui mette in guardia dalla “geoingegneria”. Il termine si riferisce alla manipolazione,
intenzionale e su larga scala, della biosfera per fronteggiare i cambiamenti climatici. Invece di sottoscrivere il
protocollo di Kyoto, e ridurre le emissioni nocive di gas serra - che significherebbe ridurre drasticamente la
produzione industriale - alcuni governi hanno già concluso che l'unica possibile soluzione allo
sconvolgimento climatico globale è nella “ristrutturazione” artificiale della Terra.
Proprio per discutere della questione, la NASA ha organizzato un meeting rigorosamente a porte chiuse
svoltosi in parallelo al World Social Forum di Nairobi. The Guardian (1) ha riportato che il governo americano
ha esercitato pressioni sull'IPCC proprio per promuovere le attività di geoingegneria, come ad esempio
inquinare deliberatamente la stratosfera per deflettere la luce solare e abbassare le temperature.
Praticamente, invece di ridurre le emissioni, le si vuole aumentare, in modo da formare una barriera di smog
ai raggi solari. Così le industrie verranno addirittura premiate per aumentare i livelli di inquinamento.
Una soluzione simile era stata paventata lo scorso ottobre da Paul Crutzen, Nobel 1995 per la chimica
dell'atmosfera, che ha proposto esperimenti per calcolare quante particelle di zolfo bisognerebbe mandare
nella stratosfera per raffreddare la temperatura globale di 0,5°. Crutzen ha detto di essere preoccupato per le
emissioni di gas da effetto serra che continuano ad aumentare e per l'inerzia dei politici, e di temere che un
giorno ci sia bisogno di “contromisure disperate”. Un'altra soluzione geo-ingegneristica, fu avanzata, ancor
prima, nel 1997, da Edward Teller; l'autore di “Dr.Strangelove”, che propose la creazione di uno schermo
solare introducendo delle particelle riflettenti in larga scala negli strati superiori dell’atmosfera. Un'operazione
che, costerebbe 100 volte di meno della spesa
necessaria per rispettare il Trattato di Kyoto.
Il rapporto dell'ETC Group conclude che la geoingegneria è una risposta sbagliata al cambiamento climatico.
Tutte le sperimentazioni in corso per alterare la struttura degli oceani o della stratosfera devono essere
interrotte e vietate senza l'autorizzazione delle Nazioni Unite e un dibattito pubblico sul tema. Le Nazioni
Unite devono riaffermare, e se necessario rivedere, la Environmental Modification Convention (ENMOD)
riconoscendo che ogni modificazione unilaterale del clima costituisce una grave minaccia all'intera comunità
internazionale.
Della questione devono interessarsi subito agenzie ONU come l'Intergovernmental Panel on Climate
Change (IPCC), l'UN Environment Programme (UNEP), la UN Convention on Biological Diversity (CBD) e l'
UN Food and Agriculture Organization (FAO). L' IPCC, soprattutto, deve rivedere il concetto e la pratica del
commercio delle emissionig e sostituirla con standards direttamente misurabili per ridurre le emissioni di
CO2 alla sorgente.
Note:
(1) David Adam, "US Government answer to global warming: Smoke and giant mirrors," The Guardian, 27
January 2007.
Indo e Nilo - spiega il WWF - subiscono più di altri l'impatto dei cambiamenti climatici: il primo è per più del
30% in condizioni di siccità per la scomparsa dei ghiacciai da cui dipende e il secondo subisce la costruzione
di dighe e l'innalzamento della temperatura globale, al punto che il fiume più lungo del mondo ha cessato di
riversare nel Mediterraneo acque dolci, provocando un'alterazione nei livelli di salinità in corrispondenza del
delta. Dallo stato di salute di questi due fiumi-simbolo dipende una popolazione di oltre 500 milioni di abitanti.
Il Gange è depauperato dall'eccessivo sfruttamento delle sue acque per scopi domestici e industriali.
Dato che i fiumi costituiscono l'insostituibile riserva d'acqua del Pianeta (una volta distrutti, saranno a rischio
le risorse e la stessa sopravvivenza dell'uomo), è necessario intervenire con misure drastiche, subito,
limitando gli scarichi industriali, riducendo l'impatto dell'agricoltura intensiva e dei furti di acqua e
incrementando la cooperazione internazionale per il salvataggio degli habitat.
«Come per i cambiamenti climatici, che hanno adesso l'attenzione dei governi e del mondo degli affari,
vogliamo che i responsabili politici si rendano conto della crisi idrica adesso e non dopo», ha osservato
Jamie Pittock, Direttore del Programma Acqua Dolce del WWF.
Drammatico è anche lo stato delle acque in Italia, in particolare in Abruzzo. I dati, pubblicati dall'Agenzia
Regionale per la Tutela dell'Ambiente (ARTA) e contenuti nello Stato dell'Ambiente in Abruzzo sul livello di
inquinamento dei fiumi, indicano una situazione del tutto fuori controllo, con una diffusissima presenza di
inquinanti pericolosi per la salute e per l'ambiente, e un generale lassismo nei confronti delle normative
ambientali.
Per quanto riguarda la dispersione idrica dell'acqua immessa nelle reti, captando sorgenti e, dunque,
sottraendo il bene al letto dei fiumi, l'Abruzzo è tra le regioni peggiori in Italia, con un dato complessivo del
58% e punte veramente incredibili del 77% nell'Ambito Territoriale Ottimale Marsicano e del 75% nell'ATO
Peligno.
La situazione dei siti inquinati da bonificare «è sconcertante», visto che non è stato ancora adottato il Piano
Regionale delle Bonifiche. A questa, si aggiunge la scoperta della discarica abusiva di Bussi (la più grande
d'Italia): «le notizie che stanno filtrando», dicono ancora dal WWF, «sembrano far emergere una Porto
Marghera abruzzese per la quantità e la qualità delle sostanza inquinanti. Sui due siti di bonifiche nazionali
già individuati, Saline e Alento, siamo molto indietro e da anni il Ministero dell'Ambiente aspetta risposte
appropriate dalle autorità locali».
Il governo cileno ha approvato questo progetto di estrazione nel 2006 ma il progetto non è ancora partito
perché i contadini della zona hanno ottenuto una proroga. Infatti, se si distruggono i ghiacciai, non solo si
distruggeranno le sorgenti purissime di quest'acqua, ma l'acqua dei fiumi verrà contaminata
permanentemente. L'acqua non potrà più essere usata né per l'agricoltura né per la zootecnia. Infatti, per
l'estrazione, si fa uso di cianuro e acido solforico. I contadini stanno dando battaglia e sperano di ottenere
solidarietà dalla sensibilità internazionale ed hanno attivato i canali di Internet: con un sito informano e
inviano email per diffondere notizie di quello che sta avvenendo e formare un movimento di pressione con la
raccolta di firme di personalità internazionali.
La realizzazione di quella che gli abitanti non esitano a definire «aberrazione», e che lasciano perplessi i
glaciologi, è della multinazionale canadese Barrick Gold, che sta investendo millecinquecento milioni di
dollari e promette lavoro a più di seimila lavoratori fino al 2009. Secondo Carolina Sandoval, del movimento
«Anti Pascua Lama» il progetto di estrazione ha già danneggiato fra 50% a 70% dei ghiacciai Toro I, Toro II
ed Esperanza. Sottolinea, inoltre, che si sta parlando di ghiacciai che coprono un'area in cui piove ogni 10
anni.
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No a Pascualama
Niente di nuovo. L'unica novità è che nel frattempo le emissioni stanno aumentando, i ghiacciai si sciolgono
più velocemente del previsto, tempeste e terremoti si intensificano,
mentre continuiamo a leggere rapporti inutili. Ma quando si passerà
all'azione?
LINKS
IPCC WGII
Gli effetti del riscaldamento globale, in atto sugli ecosistemi del pianeta ad ogni livello della biosfera,
influenzato la fenologia (il rapporto tra clima e comportamenti) e la fisiologia degli organismi, la varietà e la
distribuzione geografica delle specie, e la durata delle stagioni. Quest'ultimo è forse l'aspetto più
riconoscibile delle mutazioni proprio perché sotto gli occhi di tutti. La primavera, a partire dal 1960 arriva
prima, aumentando la sua durata di circa 12 giorni: dal ritorno degli uccelli migratori, alla comparsa delle
farfalle, alla fioritura degli alberi, tutto arriva in anticipo, stimolato dalle mitezza del clima. Con il rischio, però
che bruschi cali di temperatura o gelate improvvise compromettano i nuovi germogli o le uova appena
deposte. Per contro, l'aumento delle temperature ritarda l'arrivo dell'autunno, da un minimo di 0.6 a un
massimo di 3.6 giorni per decade. Con la conseguenza di inverni più brevi e più miti.
I cambiamenti climatici hanno anche modificato la distribuzione delle specie: il riscaldamento ha infatti
determinato lo spostamento degli habitat verso le alte latitudini. Agli organismi non rimangono che due
strade per sopravvivere: adattarsi alle nuove condizioni o trasferirsi alla ricerca di luoghi più favorevoli. Per le
specie che non riescono a stare al passo con gli eventi c'è solo l'estinzione. È quanto sta accadendo ad
esempio ai coralli, che non trovano a latitudini minori le condizioni di luce presenti ai tropici e all'equatore
(abbiamo già perso il 27 per cento dei coralli del pianeta).
EARTH DAY
L'aumento della concentrazione di anidride carbonica nell'atmosfera e i conseguenti mutamenti del clima,
come l'avanzare della desertificazione e la frequenza sempre maggiore degli eventi meteorologici estremi,
sono tra le cause principali di questo declino delle specie viventi. Ma a incidere pesantemente sono anche i
cambiamenti nell'uso del suolo, le piogge acide e l'introduzione di specie aliene che s'insediano spodestando
quelle autoctone. Non a caso, ricorda Legambiente, la nostra penisola è compresa in uno degli hotspot di
biodiversità del pianeta, quello del bacino del mediterraneo, importantissimo per la ricchezza di specie
endemiche, ma allo stesso tempo soggetto anche a una eccezionale perdita di habitat. Le specie vegetali
attualmente censite nel nostro paese sono 6.711, (in tutta Europa sono circa 12.500), a cui bisogna
aggiungerne 1.130 briofite, mentre le specie animali sono 55.600. Di queste, secondo la "lista rossa", quelle
a rischio tra animali e vegetali sono 266, di cui 34
gravemente minacciate, e molte si trovano nelle nostre
acque: squali, mante, delfino comune, foca monaca,
tartarughe marine.
«D'ora in poi ogni giorno, e non solo uno, dovrà essere dedicato alla salvaguardia del pianeta», ha detto il
presidente onorario dei Verdi e capogruppo in Commissione Ambiente alla Camera, Grazia Francescato,
sottolineando che «gli scienziati, Carlo Rubbia in testa, ci dicono che abbiamo ancora dieci anni per arginare
i cambiamenti climatici: dei prossimi 365 giorni, dunque, non possiamo buttarne via nemmeno uno.
Dobbiamo impegnarci quotidianamente nella battaglia per salvare il nostro pianeta».
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In particolare, l'Italia è in grande ritardo con gli impegni del protocollo di Kyoto e con il regolamento europeo
sul contenimento delle emissioni di CO2. In base
all’impegno di Kyoto, l'Italia, entro il 2012, dovrebbe
diminuire le emissioni di gas serra del 6,5% rispetto alle
emissioni del 1990, mentre sino oggi queste emissioni
sono continuamente aumentate. L'Unione Europea ha
bocciato il piano italiano - insieme a quello di altri 18
Paesi, compreso la Germania - ed ha chiesto al nostro
Governo di abbassare le emissioni di CO2 di 13,2
milioni di tonnellate, cioè dalle 209, proposte dall'Italia,
a 195,8 milioni di tonnellate annue nel periodo 2008-
2012 - il 6,3% in meno. Ciò significa che se non
riusciremo ad abbassare le emissioni di CO2 dovremo
pagare multe salate di decine di milioni di euro ogni
anno.
Dal canto loro, gli USA puntano ancora ad impedire che al vertice del G8, in programma a giugno in
Germania, vengano presi impegni per un nuovo accordo per combattere il riscaldamento del pianeta. In una
bozza del documento finale del G8, Washington mostra di non volere che si faccia riferimento a
provvedimenti urgenti per far fronte alla crisi climatica.
Più la temperatura globale continua a salire e più sale il rischio che le malattie infettive si diffondano su tutto
il pianeta. Già nel rapporto dell'Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) dello scorso aprile, si
avvertiva che l'impatto dei cambiamenti climatici potrebbe provocare una “alterata distribuzione spaziale di
alcuni vettori di malattie infettive”, che potrebbe portare, ad esempio, ad una maggiore diffusione della
malaria in Africa. “Le malattie trasmesse dagli insetti” - dice Stephen Morse della Columbia University, che di
recente ha partecipato a Toronto al 107th General Meeting della American Society for Microbiology -
“saranno influenzate dai cambiamenti climatici per il semplice fatto che queste piccole creature sono molto
sensibili alla vegetazione, alla temperatura, all'umidità, ecc. Tuttavia, è molto difficile prevedere cosa
avverrà, perché nella trasmissione delle malattie entrano in gioco molti fattori”.
Secondo David Rogers, della Oxford University, anch'esso presente al meeting, alcuni effetti relativi
all'aumento delle temperature possono essere predetti. Ad esempio, la malaria non è trasmessa al di sopra
di certe altitudini, perché le temperature sono troppo fredde per le zanzare. Ma se le temperature saliranno,
salirà anche la linea della malaria. Un altro effetto potrebbe riguardare la stagione dell'influenza: se la massa
d'aria tropicale intorno all'equatore si espande, nuove aree perderanno le stagioni tradizionali, e potrebbero
avere l'influenza tutto l'anno. Altri effetti potrebbero venire dai fenomeni atmosferici estremi. Secondo Joan
Rose, della Michigan State University, “uragani, tifoni, tornado e tempeste ad alta intensità, possono
rimuovere i patogeni dai sedimenti, minacciando intere popolazioni sprovviste delle adeguate protezioni”.
La zanzara della malaria - forse la minaccia più grave per quanto riguarda le infezioni - ha raggiunto l'Europa
nello scorso agosto. Come riferisce il Financial Times, in Corsica si è registrato il primo caso autoctono (con
infezione avvenuta in loco) degli ultimi 35 anni. In un articolo pubblicato su The Lancet, Anthony McMichael
dell'Università di Canberra, prevede un aumento del 16-28% dei casi di malaria entro il 2100. “Anche gli
agenti patogeni di salmonella e colera - prosegue lo studio - crescono più rapidamente a temperature
maggiori”. La febbre del Nilo occidentale, prima confinata alle latitudini africane, da una decina d'anni viene
registrata anche in Europa ed è endemica negli Stati Uniti. In Italia poi, nelle ultime due estati, oltre 200
bagnanti sono finiti in ospedale intossicati dall'alga “Ostreoptis ovata”, abituata alle acque tropicali.
Il cambiamento del clima sta già causando una migrazione degli insetti e un repentino accrescimento dei
parassiti molto dannosi per le piante. Le alte
temperature, ad esempio, hanno favorito una
“sciamatura” di api molto in anticipo rispetto ai
tempi normali. Il ché mette in pericolo sia la
raccolta di miele sia le persone, in quanto la
proliferazione di sciami può espandersi nei
centri urbani. A sostenerlo è la CIA
(Confederazione Italiana Agricoltori),
seriamente preoccupata per i riflessi che si
stanno avendo nelle campagne del nostro
Paese a causa del caldo anomalo e,
soprattutto, della scarsità di piogge e di
nevicate. Particolare apprensione c'è per la
crescita delle malerbe e per le difficoltà che gli agricoltori incontrano nel contrastare le infezioni che
colpiscono le coltivazioni (ortaggi a campo aperto), gli alberi da frutta, gli olivi e le viti.
Le temperature “tropicali” dell'autunno e dell'inverno scorsi hanno consentito alle uova degli insetti di
resistere e, quindi, di provocare un proliferare anomalo in tutte le zone rurali e non solo. Anche le città fanno i
conti con la continua diffusione di questi fastidiosi animaletti, zanzare soprattutto. Preoccupante è anche la
situazione che si è venuta a creare nei boschi e nelle pinete dove si è diffusa la presenza della
processionaria (un lepidottero defogliatore, ndr) che, oltre ad attaccare gli alberi, provoca allergie agli uomini.
La permanenza di particolari patogeni fungini sulle piante, sempre più stressate dalla carenza idrica, può
determinare pesantissimi danni. Corre un grave pericolo anche la frutta estiva a causa delle larve che
attaccano sia i frutti che le foglie.
A ciò, si aggiungono i problemi provocati alle piante dalla tignola e dalla mosca dell'olivo, oltre che dalla
cocciniglia, che si diffonde sulle conifere, sulle succulente in genere, su molte piante ornamentali, sulla vite e
sugli agrumi. È segnalata anche la presenza della tignola della patata nel Centro e Nord Italia, in aree che
finora non erano mai state attaccate da questo insetto. Sta di fatto che alberi da frutta (pesche, albicocche,
susine), colture di angurie e meloni, ortaggi (pomodori, zucchine, melanzane) e soprattutto piante di vite, se
aggrediti da questi “funghi”, possono entro breve tempo perdere completamente il frutto. Il clima siccitoso,
accompagnato da un elevato tasso di umidità nell'aria, determina così condizioni favorevoli all'insorgenza di
fitopatologie, quali l'oidio e la peronospora. Ma anche altri tipi di parassiti hanno fatto la loro comparsa,
accrescendo i problemi per gli agricoltori che sono già alle prese con una situazione che si fa sempre più
complessa. Non basta. Per la prossima estate c’è il rischio incombente anche della “piaga” delle cavallette,
che, spinte dal caldo, possono spostarsi dai paesi del Nord Africa verso alcune zone del Paese. Un
fenomeno che già si è verificato in passato. Basti ricordare i casi della Puglia e della Sardegna, dove sono
stati completamente distrutti campi coltivati.
Insomma, le variazioni del clima influenzano anche il ciclo biologico degli insetti, dei patogeni fungini, dei
batteri e dei virus, e in qualche modo concorrono a modificare il rapporto antagonista con le piante.
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CSIRO Australia
Lo scorso 22 settembre 2007, i delegati di circa 200 paesi hanno raggiunto un accordo per eliminare le
sostanze che danneggiano l'ozono più velocemente di quanto previsto.
L'accordo è stato trovato ad una conferenza, svoltasi a Montreal, in
Canada, per celebrare il 20esimo anniversario del protocollo di Montreal,
ideato per diminuire le sostanze chimiche che danneggiano lo strato di
ozono, che protegge la Terra dalle raggi ultravioletti. Gli USA - appoggiati
dal programma ambientale dell'ONU (UNEP) - hanno esortato i delegati
ad anticipare la data di scadenza per mettere fuori uso e produzione gli
idroclorofluorocarburi (HCFC).
Nel frattempo, gli Stati Uniti continuano a fare ampio uso di bromuro di
metile, una sostanza implicata nella degradazione dell'ozono (ODS),
mentre il boom economico di Cina e India ha prodotto un rapido
aumento del numero di condizionatori che utilizzano sostanze chimiche
sostitutive. Gli accresciuti livelli di raggi UV, negli ultimi decenni sono
stati collegati alle accresciute incidenze di tumori, malattie degli occhi e altri problemi di salute negli umani e
in molte altre specie.
Dalle ricerche dello scienziato statunitense Sherwood Rowland e del messicano Mario Molina, avviate nel
1974, è gradualmente emerso che due famiglie di composti chimici - i clorofuorocarburi, o CFC (contenuti
negli impianti di refrigerazione, condizionatori e propellenti di aerosol), e i gas halon (usati negli estintori) -
stavano riducendo la quantità di ozono presente nella stratosfera. Grazie al loro lavoro, i due studiosi,
insieme allo scienziato olandese Paul Crutzen, hanno ottenuto il Premio Nobel per la chimica nel 1995.
Rowland e Molina, rivolgendosi ai delegati, hanno raccontato di aver dovuto sviluppare un nuovo tipo di
chimica dell'atmosfera. I riscontri della diminuzione dei livelli di ozono di oltre il 30% sull'Antartico hanno
allarmato alcune nazioni, in particolare l'Argentina. “L'accordo è stato raggiunto in nove mesi, un periodo di
tempo incredibilmente breve”, ha commentato Richard Benedick, negoziatore statunitense ed ex
ambasciatore. Nel 1987, 24 paesi hanno firmato il Protocollo di Montreal sulle sostanze che impoveriscono
lo strato d'ozono, e oggi sono 191 i paesi che hanno aderito al trattato. Nel 1990 è stato creato un Fondo
Multilaterale per l'attuazione del Protocollo di Montreal, milioni di dollari che avrebbero dovuto aiutare i paesi
in via di sviluppo a ritirare gradualmente la produzione e l'uso dei composti chimici responsabili
dell'impoverimento dell'ozono (49 paesi industrializzati hanno contribuito fino ad oggi con oltre 2,2 miliardi di
dollari, e 146 nazioni hanno ricevuto denaro dal fondo).
Una sospensione più rapida dell'utilizzo e della produzione di HCFC, e un loro ritiro definitivo entro i prossimi
10 anni, porterebbe nei prossimi decenni ad una riduzione cumulativa delle emissioni fino a 38 miliardi di
tonnellate metriche di anidride carbonica, secondo l'UNEP. Il Protocollo di Kyoto punta invece ad eliminare
appena due miliardi di tonnellate metriche in una prima fase tra il 2008 e il 2012. Annualmente, questo
potrebbe rappresentare un taglio di oltre il 3,5% di tutte le attuali emissioni di gas serra nel mondo. Invece, il
Protocollo di Kyoto, è stato concordato con l'obiettivo di ridurre i livelli di emissioni nei paesi sviluppati nel
1990 appena sopra il 5% entro il 2012.
“Il costo della riduzione di emissioni potrebbe essere alto”, dice Michael D. Mastrandrea, ricercatore del
Woods Institute for the Environment presso la Stanford University, “ma, se aspettiamo fino al 2020 per
cominciare a ridurre le emissioni, dovremo tagliarne il doppio e molto più velocemente”.
“Abbiamo 40 anni per aumentare radicalmente l'efficienza del modo in cui usiamo le fonti energetiche”, dice
ancora la Hayhoe, “dobbiamo cominciare a considerare modi più estensivi di utilizzare le fonti rinnovabili
come l'energia solare. Altrimenti,andremo incontro all'estinzione di molte specie e alla perdita dei ghiacci
della Groenlandia e dell'Antartico Occidentale”.
“Il rapporto mostra chiaramente che gli Stati Uniti dovranno tagliare drasticamentele emissioni di gas serra
se si vuole ridurre significativamente l'impatto dei cambiamenti climatici”, ha dichiarato Alden Meyer, della
Union of Concerned Scientists.
Inoltre, il Congresso USA dovrà anche agire per aiutare il resto del mondo ad evitare le peggiori
conseguenze del riscaldamento globale.
LINKS
New Report Sets Target for U.S. Emissions Cuts Union of Concerned Scientists 20
settembre 2007
Tra gli altri punti critici identificati, figura la gestione dell'acqua: «L'irrigazione consuma già intorno al 70%
dell'acqua disponibile, mentre per raggiungere gli Obiettivi del Millennio per lo sviluppo riguardanti la fame
occorrerà raddoppiare la produzione alimentare entro il 2050». Ma intanto l'acqua dolce diminuisce.
Secondo le previsioni, entro il 2025 l'utilizzo d'acqua dovrebbe aumentare del 50% nei Paesi in via di
sviluppo e del 18% nei mondo sviluppato. Inoltre, anche la qualità dell'acqua è in declino, perché è inquinata
da patogeni microbici e da nutrienti eccessivi. E infatti, la contaminazione dell'acqua rimane la maggiore
causa di malattie e morti al mondo.
Per quanto riguarda la biodiversità, «una sesta estinzione è in corso, causata dal comportamento umano». I
cambiamenti in corso sono i più rapidi da quando l'uomo è apparso sulla terra. L'estinzione delle specie si
produce ad una velocità superiore a quella indicata dai fossili. Il commercio di carne e legname nel bacino
del Congo è stimato a 6 volte superiore al tasso sostenibile. Tra i gruppi di vertebrati, più del 30% degli
anfibi, il 23% dei mammiferi e il 12% degli uccelli sono minacciati di estinzione, mentre l'introduzione di
specie “aliene” è un problema crescente.
I cambiamenti climatici sono dunque «una priorità mondiale» e «la minaccia è ormai così urgente che
riduzioni importanti di gas serra sono necessarie entro la metà del secolo». «Occorre una pressione
crescente su certi Paesi ad
industrializzazione rapida, ormai
emettitori importanti, perché accettino
delle riduzioni di emissioni».
Mentre venivano rilasciate queste inquietanti dichiarazioni, i democratici sono passati all'attacco sulla
vicenda del rapporto sui mutamenti climatici del 2003, a cura dell'EPA (Enviromental Protection Agency) che
la Casa Bianca ha ammesso di aver “ritoccato”. Con una lettera a George Bush, Barbara Boxer ha chiesto
che una copia del rapporto originale venga inviato alla White House da Julie Gerberding, la direttrice dei
Centers for Disease Control and Prevention prima della sua deposizione alla Commissione Ambiente del
Senato, presieduta dalla senatrice democratica, su “cambiamenti climatici e salute pubblica”.
LINKS
World Bank accused of razing Congo forests The Guardian 04 ottobre 2007
White House defends 'health benefits' of climate change AFP 25 ottobre 2007
White House Criticized for Editing Climate Change Testimony voanews 26 ottobre
2007
Il PARASOLE SOLARE
Roger Angel, astronomo ed esperto di ottica della University of Arizona, durante un incontro promosso dal
NASA Institute for Advanced Concepts (NIAC) ha proposto di spedire in orbita un parasole grande
abbastanza da tagliare le emissioni solari dell'1,8 percento, in modo da fermare il riscaldamento previsto dal
raddoppio nell'atmosfera della presenza di anidride carbonica.
Ci vorranno 20 milioni di lanci, ognuno di 1 tonnellata, ovvero 800.000 dischi a lancio. E ci vorrà anche un
enorme sforzo per fabbricare i 16 mila miliardi di dischi. Il tutto, dice Angel, costerà una cifra pari a 5 mila
miliardi di dollari, che, se ammortizzata per 50 anni, diventerà di 5 mila miliardi l'anno, una cifra di molto
inferiore a quelle dei costi stimati per i danni provocati dai cambiamenti climatici.
L'idea del parasole non è del tutto nuova. Robert Kennedy, un ingegnere di Oak Ridge, Tennessee, nel 2000,
insieme ad altri colleghi, aveva proposto di piazzare dei giganteschi specchi fotovoltaici in un Punto di
Langrange (L1), gli unici punti in cui si possono situare corpi minori, o gruppi di corpi minori, per condividere
stabilmente l'orbita di un corpo più grande, in quanto le attrazioni gravitazionali si annullano.
LINKS
DUMPING ON GAIA
Una coalizione di gruppi della società civile ha fatto appello alla London Convention2 - stipulata nel 1972
dalle Nazioni Unite proprio con lo scopo di prevenire possibili discariche tossiche nelle acque - per fermare la
ONC. La coalizione chiede anche una moratoria su tutti i progetti di geoingegneria finché non abbia luogo un
ampio dibattito internazionale e un intervento intergovernativo che stabilisca i potenziali impatti sociali,
economici ed ambientali. “Questa volta sono i nostri oceani ad essere presi di mira da schemi di
geoingegneria ad alto rischio su cui non è stato avviato alcun consulto pubblico né un intervento
intergovernativo”, dice Neth Dano del Third World Network malesiano.
Solo qualche mese fa, la Planktos Inc. aveva annunciato di voler scaricare nanoparticelle ferrose nell'oceano
vicino alle Galapagos. “Quel che più fa rabbia”, dice ancora la Dano, “è che le corporations provano a far
passare questi esperimenti come progetti umanitari volti a combattere i cambiamenti climatici”. “Si tratta di
tecnologie molto pericolose e dunque inaccettabili, perché potrebbero impoverire di molto il nostro ambiente
marino, che è la principale fonte di sopravvivenza per i più poveri che vivono nelle Filippine”, dice Ruperto
Aleroza d Kilusang Mangingisda, un movimento formato da pescatori filippini. Wilhelmina Pelegrina, di
Searice, concorda: “Lo scarico di grandi quantità di urea rappresenta una grave minaccia ai nostri
ecosistemi marini, che già tanto bene non stanno. Non possiamo permettere che la ONC persegua i suoi
profitti a danno della popolazione”.
LINKS
Searice
Planktos
ETC Group
Greenpeace International
«Nonostante la maggior parte dei reattori nucleari in Europa occidentale abbia un guscio di contenimento e i
recenti progetti prevedano un doppio guscio, a Mochovce Enel intende completare reattori obsoleti senza
alcuna protezione - afferma Jan Beranek, responsabile campagna nucleare di Greenpeace International -
Questo doppio standard è assolutamente inaccettabile. In Finlandia, ad esempio, per la centrale in
costruzione a Olkiluoto, l'autorità di sicurezza nucleare ha richiesto un ulteriore rafforzamento del guscio di
contenimento. I progetti di Olkiluoto e Mochovce hanno circa lo stesso costo, ma il secondo non ha alcuna
protezione contro possibili attacchi terroristici».
Grenpeace fa notare anche come l'Italia sia in forte ritardo sugli obiettivi del protocollo di Kyoto: le emissioni
di gas serra sono aumentate del 10,5% invece di diminuire del 6,5%. Questo deficit, spiegano gli
ambientalisti, si trasformerà in maggiori costi (da 3 a 5 miliardi l'anno) per gli italiani. Così, per sensibilizzare i
cittadini sull'emergenza climatica dovuta all'inquinamento, l'associazione ambientalista promuove due
iniziative.
Gli esperti internazionali dell'IPCC - l'ente scientifico, che quest'anno ha ricevuto il premio Nobel per la Pace
insieme all'ex vice presidente americano Al Gore, istituito nel '98 su iniziativa di due agenzie specializzate
dell'ONU, l'Organizzazione Meteorologica Mondiale, o WMO, e l'UNEP, il Programma delle Nazioni Unite per
lo Sviluppo - riuniti a Valencia per la stesura del documento che dovrà fornire ai governi nazionali le linee-
guida in materia per gli anni a venire, hanno annunciato che “le attività umane potrebbero condurre a
cambiamenti del clima improvvisi o irreversibili”.
Entro il 2100, dice l'IPCC, la temperatura media della superficie terrestre potrebbe aumentare tra gli 1.1 e i
6.4 gradi Celsius (1.98 e 11.52 gradi Fahrenheit) comparata con i livelli relativi al periodo 1980-99. Ondate di
caldo, inondazioni, siccità, tempeste tropicali, aumento dei livelli dei mari, sono alcuni degli eventi atmosferici
estremi che diverranno sempre più frequenti.
THE PLANET
A raccontarci questi “fatti” sono 29 eminenti scienziati da tutto il globo: climatologi, fisici, biologhi, architetti,
psicologi. Tutti d'accordo, dal loro punto di vista, sul fatto che l'impronta umana sta radicalmente e
inevitabilmente compromettendo il sistema biosfera in cui viviamo insieme a tutte le altre specie (animali e
vegetali).
Links
Greenpeace
«Per ogni grado in più, sopra una soglia limite, si assiste a un aumento del 3% nelle singole città della
mortalità, legata alle ondate di calore». È l'allarme lanciato lo scorso agosto dal direttore del programma
speciale Ambiente e Salute dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (World Health Organization) Europa,
Roberto Bertollini.
Nel 2003, tonnellate di cereali andarono perse per questa ragione. Più
aumenta il caldo, più si sviluppano fenomeni di fermentazione». Il clima
causa anche il prolungamento della stagione dei pollini. «E siccome è
cambiata la circolazione atmosferica - aggiunge la dottoressa - abbiamo
nel nostro territorio molte varietà di piante allergeniche nuove che,
trovando una temperatura più calda, attecchiscono». C'è, poi, il rischio
chimico. «L'aumento della temperatura porta a una più veloce
degradazione dei pesticidi che, così, perdono di efficacia. Questo
fenomeno induce a un maggiore uso di prodotti. Il risultato è la
contaminazione del suolo e delle acque. A medio termine, anche delle
falde freatiche».
I dati parlano chiaro: ogni anno una nuova malattia, un ritmo inquietante che ha portato a scoprire, dal 1967
ad oggi, 39 nuovi agenti patogeni. Tra questi, i virus all'origine di Aids, Ebola (febbre emorragica) e Sars
(sindrome respiratoria acuta severa). Inoltre colera, febbre gialla ed infezioni epidemiche a meningococchi
sono riapparse negli ultimi decenni del XX secolo. Oltre 1100 eventi sanitari di natura epidemica si sono
verificati solo negli ultimi cinque anni. I progressi compiuti nelle cure delle malattie risultano compromessi
dalla generalizzazione della resistenza agli anti-infettivi. Particolarmente allarmanti, i casi di tubercolosi ultra-
resistente contro la quale le medicine risultano inefficaci.
A questo punto, raccomandano gli esperti, il rischio di malattie non è più esclusivo campo d’azione del
ministero della Salute. La prevenzione sanitaria e quella ambientale devono andare a braccetto. Il Governo
italiano, ha risposto Prodi, «si farà promotore di altre iniziative con i paesi in via di sviluppo, specie nel
Mediterraneo». In riferimento alla politica interna il premier spiega che si dovranno fare «subito ingenti
investimenti con ritorni non immediati. È una questione di coraggio perché sono decisioni, come i limiti alle
emissioni CO2, che provocano divisioni nella società». Il presidente della Commissione Ambiente della
Camera Ermete Realacci ha assicurato che «il Parlamento italiano darà il suo contributo al varo di nuove
politiche per il contrasto dei cambiamenti climatici nel nostro Paese».
Monbiot si augura invece che il suo libro convinca i lettori che vale la
pena combattere, perché siamo l'ultima generazione che può salvare il
mondo.
Links
As Earth Warms Up, Tropical Virus Moves to Italy New York Times 23 dicembre 2007
More than half of Amazon will be lost by 2030 The Guardian 06 dicembre 2007
APAT
GERMANWATCH
Il rapporto annuale dell'UNDP,i l Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Umano, afferma: «I Paesi
industrializzati non stanno rispettando gli impegni di riduzione delle emissioni di gas serra relativi al
Protocollo di Kyoto», e chiede un'azione urgente per ridurre le emissioni di gas serra dell'80% entro il 2050.
Nel suo studio intitolato «Fighting Climate Change», l'UNDP fa notare che la maggioranza dei Paesi OCSE
sono in ritardo rispetto agli impegni assunti e sottolinea la discrepanza tra gli obiettivi fissati a livello politico
per ridurre le emissioni di gas serra e le politiche energetiche attuali in molti Paesi dell'Unione Europea. Gli
autori del rapporto sostengono che i Paesi ricchi stanno alimentando una crisi del debito ecologico che si
ripercuoterà nel modo più immediato e profondo sui poveri del mondo.
Francia, Germania, Giappone e Gran Bretagna hanno ottenuto modeste riduzioni delle emissioni, ma il
Rapporto segnala che, secondo le tendenze attuali, i Paesi ricchi nel loro insieme sono ben lontani dal
conseguire i loro obiettivi di riduzione delle emissioni nel 2012.
Il Rapporto critica gli Stati Uniti, che non hanno fissato obiettivi di riduzione delle emissioni a livello federale,
mentre dà risalto al ruolo guida assunto da alcuni Stati e città Usa, come la California e New York. Riguardo
all'Unione Europea, viene accolto con favore l'obiettivo ambizioso di ridurre le emissioni del 30 % entro il
2020, ma si sottolinea l'ampio divario esistente tra gli impegni e le politiche, oltre alla mancanza di coerenza
tra il sistema per lo scambio di quote di emissioni della UE (European Union Emissions Trading Scheme) e
l'obiettivo relativo ai cambiamenti climatici.
Il Rapporto chiede infine un investimento annuale di almeno 86 miliardi di dollari entro il 2015, pari allo 0,2%
del Pil aggregato dei Paesi del Nord del mondo, per l'immunizzazione delle infrastrutture dagli effetti del
clima e lo sviluppo di capacità di resistenza e recupero tra la popolazione povera contro gli effetti dei
cambiamenti climatici. Contestualizzando questa cifra, si afferma che «in totale i Paesi sviluppati dovrebbero
mobilizzare all'incirca un decimo di ciò che attualmente stanziano per la spesa militare».
Affrontare l'adattamento significa anche salvaguardare le attività esistenti, finanziate a livello internazionale,
sensibili ai cambiamenti climatici, quali i progetti nel campo dell'agricoltura e delle risorse idriche.
Links
TEMPESTA GLOBALE
2022 i sopravvissuti
ESTINZIONE GLOBALE
ECO-APOCALYPSE (NOW)
ECO-APOCALYPSE (NOW) 2
ECO-APOCALYPSE (NOW) 3
ECO-APOCALYPSE (NOW) 4
ECO-APOCALYPSE (NOW) 5
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E VENNE IL GIORNO