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Figura evanescente sulla sabbia


non ha salvato il cerchio a Siracusa
Archimede: non c'è più un sortilegio
4 affabile e bonario, un florilegio

di pensieri sicuri che non abbia


in braccio il suo contrario. L'Aretusa
d'oggi non è più ninfa, ma una fonte
8 greve d'arbusti, quieta, ormai di fronte

alla sua fine in mare e non trattiene


nel suo flusso neppure un goccio insano
11 del tormento d'Alfeo. Ma, poi, chi ha vinto?

Ha un senso la domanda, se ad Atene


perfino, il treno metropolitano
14 ha seppellito lo Stoà Dipinto?
2

Anche l'addio più stupido accoltella -


ecco l'Essenza del Romanticismo! -
in pieno petto (è, dopo, un fanatismo
4 a ben vedere futile, puerile,

se si vuole pietoso, che scalpella


via dai ricordi ciò che è stato e danna
la menzione di gemiti ed osanna):
8 mi arrendo e accuso il colpo - vile? -,

ma quante volte lo sa solo Dio,


io Piramo da Tisbe, da Atalanta
11 Ippòlito, io Eracle, con tanta

furia, dai miei, finanche Zeus da Io,


(trabocca in me d'umor nero un Timavo)
14 sono stato disgiunto da chi amavo.
3

Lo so che è troppo tardi, ma lo stesso -


reticente perché? Questo presente
che cosa include oltre smentiti approcci,
4 sentimenti fugaci, tardi sbocci

di fiori senza petali? - confesso:


vorrei, ancora, che così dal niente
senza causa o pretesto mi rapisse
8 contro il parere delle stelle fisse

un turbine d'ebbrezza, uno tsunami


baldanzoso che infuri quanto latra
11 quello che ha subissato già Sumatra.

Solo è così che posso ancora - m'ami


o non m'ami chi sia - pensare in atto
14 quel che mi resta dopo un frutto intatto.
4

Rifinito pezzente, in mezzo ai dischi, ai


libri che ingialliti non ho letto, giaccio
e, stupito, ad uno ad uno conto
4 gli esercizi galanti e, dopo, i cocci

di un capodanno, gli agrifogli e i vischi


che ho strappato alle porte, i graffi al petto,
le ore senza squilla (già il tramonto
8 e con esso l'armata dei fantocci

che si credono tutto e sono niente


si dispiega in battaglia), gli incolori
11 sguardi senza pupille della gente,

ma non c'è più bisogno - dopo l'uno -


di numeri, se avere troppi amori
14 è, forse, come non averne alcuno.
5

Dal piedistallo cadono gli eroi,


epigoni casuali, commoventi
di un'epoca che ho amato per i suoi
4 spropositi ed eccessi. I turbamenti

di un cuore a pezzi (a volte, solo rabbia,


velleità di evasione da un recinto
d'ovvio mi tiene in vita: questo - abbia
8 un nome o non ce l'abbia - è già un istinto

lodevole) al confronto sono niente,


se ho perso un'innocenza che non posso
11 riavere indietro più. Portarsi addosso

quest'assenza o quell'altra, l'incombente


vertigine di un vuoto non ha estinto
14 il mio orgoglio: non sono ancora vinto.
6

Mi sono messo - troppo tardi ormai! -


a pedinare il genio: è un isterismo
garrulo e trito, porta solo guai:
4 non rende onore a ciò che sono, se

sono qualcosa. A volte, un episodio


altre la storia intera - automatismo
sterile del pensiero - strappa l'odio
8 di ciò che sono adesso - ma che è? -

a quello che ero stato, se, poi, sono


stato o sarò. Contorto rivo, accanto
11 a me come ad un altro scorro: dia

la svolta un senso al senso d'abbandono?


Sono un uomo a progetti: tutto quanto
14 ancora da inventare. E così sia.
7

Eppure c'era un tempo in cui sembrava


ancora malleabile lo stampo
in cui ci hanno gettato e senza scampo
4 immobili in un gesto, fissi, spenti,

rappresi in un'idea di sé. Si scava


un solco, come ai tempi della scuola,
sofferto di pulsioni e di parola,
8 un andito recondito d'intenti

benevoli, se mai lo sguardo incroci


quello di un altro. Ricomincia un gioco
11 che dove inizia so, non dove sfoci

di illusioni e di attese, bene e male:


ecco perché ho ridotto - molto o poco -
14 un mondo intero a questo carnevale.
8

Io, per me, già rimpiango quelle ingenue


fanciullesche credenze, quella fede
semplice e voluttuosa, che non crede
4 vero soltanto quello che si vede,

(ne sopravvive in me soltanto tenue


un lumino), rimpiango il fiotto viola
del sangue che raggruma, la gragnola
8 (ma che ne sa chi segue l'altra scuola?)

incessante di insulti e di ragioni


di chi la sa fin troppo lunga, ma
11 non ha scalato tutta la realtà.

Tanto lo so, con scorno dei soloni,


che spetta solo a me, pugno e carezza,
14 una seconda (e terza?) giovinezza.
9

Per troppe cose ormai non ho più spazio


in memoria vuoi oneri od onori:
la troppa bizzarria delle ragioni,
4 appassite passioni, le stagioni

concluse dei diverbi e dello strazio,


nomi e cognomi dei mancati amori,
incontri intempestivi e i muti moti
8 d'ombra nei templi quando sono vuoti

espulsi coi gitanti i pellegrini.


E, però, sì, che, intatto, al mio concorde
11 il tuo dire nei giorni parigini

ogni volta rivive e più m'attempo


oltre l'evento e più me ne rimorde:
14 non ho implorato s'arrestasse il Tempo.
10

Amaramente, scopro - è il disinganno


più crudo e terminale - che non ho
mai davvero concluso, se un affanno
4 torvo e opprimente ancora mi trattiene

a terra, se pedalo a gran fatica


alle isole Aran per un po'
di salita soltanto. È l'impudica
8 scoperta di chi crede che il suo bene

sia chi gli è accanto. Ahimè, non troppo scaltro


in Duomo, mi domando, a Vienna,
11 se insieme a me chi accende la candela

per me l'accenda oppure per un altro:


se a un voto, uno soltanto, il lume accenna,
14 sono grazie diverse a cui si anela.
11

Camelie rosse, ignare testimoni


di un dramma senza lacrime né grida
cresciute impertinenti nella corte
4 fiorita di un palazzo in centro (rida

chi vuole, poi, di abbagli e di agnizioni


ma per me sono stati tutti autentici
taciuti stordimenti), sono morte
8 con voi le mie speranze, se in identici

aspetti e gesti è trapelato un tutto


e il suo rovescio (al buio le candele
11 arderanno lo stesso, ingenua strenna,

per chi non sa che farsene): è distrutto


il mio ordito di incroci e parallele.
14 Quel che era stato un varco è la transenna.
12

I sogni dell'America per dieci


anni, ogni notte, (o giù di lì) l'invaso
imponente e tortuoso del silenzio
4 hanno colmo di zucchero ed assenzio;

quante veglie in attesa, quante preci


e, poi, più niente il giorno, che, per caso,
il grand'arco di un volo sull'oceano
8 (ancora a ricordarlo se ne beano

le consorti di allora) oltre i confini


questo a quell'altro continente ha giunto.
11 Accendo, allora, invano, già compunto

le candele di un voto? E nei giardini


del buio c'è non dico già una storia,
14 ma un segno, un frego, almeno una memoria?
13

Alla fine mi sa che, dopo giugno,


il mese più fantastico sia maggio,
o, almeno, il più fragrante: tramortito
4 da un diluvio di odori come ostaggio

grato al suo rapitore, quando espugno


il cuore profumato dei suoi giorni.
intono l'inno e mi preparo al rito
8 delle nozze fra Cielo e Terra. Torni

a fare che non so la baraonda


trita delle stagioni, dopo: rosse
11 le camelie rigettano sul serio,

ogni volta, d'incanto, fronda a fronda,


dalle talèe che interro. Ah, se già fosse
14 così rinato anche il mio desiderio…
14

Le volte che ho sognato il Portogallo


sono state ad ogiva, acute e crude,
tonfe di sonnolenza come vecchi
4 conventi manolini. Negli specchi

distorti, a Sintra, in un salotto giallo.


guardavo di traverso e ho scorto ignude
le troppe verità che ho, poi, scontato.
8 È così che si è aperto il grande iato

fra me e me: dapprima un'onda nera


soltanto immensa e fosca, d'ossidiana,
11 ma, poi, parete dura, sorda. Fosse

come nei sogni la vicenda vera!


La mano stendo, infrange il muro, è frana:
14 rivivrà gloria di camelie rosse?
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Figura evanescente sulla sabbia:


ecco l'Essenza del Romanticismo.
Che cosa include oltre smentiti approcci,
4 gli esercizi galanti e, dopo, i cocci

di un cuore a pezzi? A volte, solo rabbia,


altre la storia intera - automatismo
sofferto di pulsioni e di parola?
8 Ma che ne sa chi segue l'altra scuola?

Espulsi coi gitanti i pellegrini,


in Duomo, mi domando, a Vienna,
11 arderanno lo stesso, ingenua strenna,

le candele di un voto? E nei giardini


dalle talèe che interro - ah, se già fosse! -
14 rivivrà gloria di camelie rosse?

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