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Poco tempo fa, discutendo con un esponente della


cultura “alta”, mi sentii raccontare che dopo
Campana, non c’era più stata poesia. Saltando a
piè pari quel che penso di chi fa un’affermazione
del genere mi accontento di sottolineare che è
molto improbabile che risponda a verità. Noi del-
la Biblioteca Clandestina Errabonda siamo con-
vinti che, dal 1932, anno in cui Campana morì, a
oggi, un po’ di Poesia (la maiuscola non è un re-
fuso) sia stata scritta. E anche un buon quanti-
tativo di prosa di livello. Ma è vero che, proba-
bilmente, tu non l’hai letta. E con te la gran
parte dei lettori. Nessun complotto. Non c’è nes-
suno che tenta di tenere nascosta la buona lette-
ratura contemporanea. Semplicemente le leve del
controllo stanno nelle mani (anche giustamente,
ci mancherebbe) di persone che si sono degnamente
formate su Dino Campana. E che non saprebbero
riconoscere qualcosa di nuovo (che tutti i grandi
autori sono stati nuovi una volta). Poi c’è la lo-
gica del mercato e delle vendite e chi me lo fa
fare di pubblicare un ignoto che non è nemmeno
caldeggiato da qualcuno che conta quando posso
pubblicare un bel libro di un comico o di un can-
tautore che perlomeno sono sicuro che vende. E
dovendoci, il nostro personaggio, in termini pro-
saici, mangiare, chi può dar lui torto. Per cui è
tutto un gioco perverso, in cui noi, lettori, ci
perdiamo la possibilità di scoprire se c’è qualco-
sa di bello in giro.
Questo non lo possiamo fare, dirvi se c’è qualcosa
di bello in giro intendo. Ma possiamo provare a
mostrarvi qualcosa di nuovo. Poi è tutta una que-
stione di gusto. E quello è un problema tuo.
Samiszdat è questo: una collana di roba nuova
(che poi a noi piace altrimenti mica la pubbli-
cheremmo).
Il nome ha dettato anche la veste grafica e lo
stile. Realizzeremo i nostri libri, che potrete
comprare in rete o cercandoci su
www.bceparma.splinder.com/.

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Samiszdat
Maeba Sciutti

copyright © dell’autore

Collana Samiszdat
Prima edizione

Grafica, elaborazione e impaginazione


Biblioteca Clandestina Errabonda Parma

La riproduzione anche solo parziale, di


questo testo, a mezzo di copie fotostatiche
o con altri strumenti, senza l’esplicita
autorizzazione dell’Autore, costituisce
reato e come tale sarà perseguito
Maeba Sciutti


Nota al testo

Il Nō è una forma di teatro sorta


in Giappone nel XIV secolo. I testi
del nō sono costruiti in modo da po-
ter essere interpretati liberamente
dallo spettatore.
Questo tipo di teatro è caratteriz-
zato dalla lentezza, dall'uso di ma-
schere e dall'eleganza. I testi sono
cantati.
Il titolo di questa raccolta gioca
sul doppio significato fonetico del
no che in Giappone rimanda all'arte
teatrale mentre nella cultura ita-
liana è semplice negazione. Entram-
bi gli elementi, teatro quotidiano e
negazione dello stesso, sono presen-
ti in questa silloge.
Il senso di solitudine dell'attore,
la consapevolezza della recitazione
come gesto sociale e il maschera-
mento, per cui ognuno di noi è por-
tato a indossare e mostrare una
sfaccettatura diversa a seconda
delle circostanze, è una consapevo-
lezza costante che accompagna tutti

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i testi. E il Nō diventa il grido di
rifiuto, implicito o esternato, ri-
spetto a una condizione innaturale,
addomesticata, dolorosa.
La figura centrale è quella femmi-
nile centrata in una condizione di
non pienezza, di difficoltà a essere
e a riconoscersi (Ho casa violata di
assenze, hanno perforato il corpo
della quasi. Prima che fosse donna.),
l'andamento procede verso il dissol-
vimento materico per cui la consi-
stenza iniziale tende a diminuire
con il procedere dei versi fino al-
la sconfitta, all'identificazione del
corpo con l'aria.
L'ultima sezione “Etilene” è l'esal-
tazione di un universo non abitato,
disumano, ciò che rimane è solo
struttura, logica, parola e, infine,
simbolo.

Le poesie presentate in questo testo


coprono l'arco temporale che va dal
2007 al 2009, l'intento è quello di
mostrare un percorso, un'evoluzione
personale e poetica.

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Rischia di esser scortese una composi-
zione di me dentro mi cerca l'assoluzio-
ne. Una sola assoluzione può essere di-
fesa a mezzocielo tratterrà le costole
riunite e le anime troppe smetteranno
di urlare se, con l'amuleto sulle labbra
sulle dita,
la parola mi aggrapperà tutta.

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Rammaricata dall'inesistenza sono tornata
culla bimba malata]
che graffia, sbatte porte graffia. Non so
dire “guardami”, faccio]
rumore.
“Oh”!
Urla madre più forte dei figli. Per mezzo
secolo di conoscenza]
il palcoscenico lo sa gestire.

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Ero quasi solida. Fra le cose sapevo la
consistenza esistere altrove. Per confronto
sapevo l'intermittenza finché restava solo
la lacrima chiusa nella palpebra. Apparte-
neva a se stessa.

Io ero il contenitore. Cresceva un dolore


deposto dalla fecondazione, dalle papille
ossee appena germogliate.

Il piacere è andare. Dalle finestre illu-


minate passano pezzi di interni, un mobile
condensato di libri e certe luci più calde
si fermano a svenire le arterie. Un ritor-
no dolcissimo a cose che non conosco è il
pensiero di una famiglia incorniciata.

Si appende dentro anche l'ignoto. Il rifu-


gio è l'impressione di un punto da chiamare
casa.

Ho casa violata di assenze, hanno perfora-


to il corpo della quasi. Prima che fosse
donna.

La consistenza è un inganno. Il corpo sve-


nuto che cammina incide scie nella polve-
re. Esiste per accumulo di impressioni, per
vecchi oggetti tenuti al posto di un cuore

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riempito in un mercatino. E' il mio tesoro
d'anni.

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Sangue di colomba in qualche luogo
dentro
fa sedimento di tutti gli anni che lo
dissero tramonto
Sul rosso sterrato passava lo sguardo
scelto cieco al tormento
un quarzo
chiuso nella mano arroccava, sveniva
i rimasugli nella fede dei vetri
ballata
Un attimo prima di sapere la paura
una carezza sulle dita diceva
altrove
solo del sole, sa lei, è incolore
sopra l'urlo delle nuvole spaccate
dorme
non convince niente a tacere.

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Capolini riversi

Restano impolverate in barattoli


giacenze di capolini, impronte deca-
pitate
da puntarci i palmi per farli fiotta-
re
quando disperdi gli occhi in un not-
turno sgocciolato
- che quando lo guardi sola sembra
inchiodato –
e neanche è strano sapere tuo
il gorgogliare di cellule sul muro.

Un gatto a strofinarti il naso


e il mal di cotone, asfittico di trop-
pe estati e una sola casa,
scodinzolano come orme sulla zona nu-
da
intonaco a piangere una parete
discinta e stinta, sinistra slogata
nel petto.

2007

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“La bellezza salverà il mondo”
F. M. Dostoevskij

"Coltivare tutto questo grande dolore


a furia di pensarlo mi è cresciuto dentro
un male. Mi vuole mangiare"

Si baciavano i giovani amanti nell'e-


stasi leggera si schiusero
posando nebbia sugli occhi degli orfa-
ni
pietosi reduci dai divini passati non
hanno nome più
neanche un altare lenisce un così
grande sconforto
preme sul giorno che si affloscia come
un
palloncino ucciso dal senzadio, senza-
giorno, senzasogno.
Potevano pregare i bambini di essere
cullati
da tuttabende sul troppo reale - tanto
troppo
reale è camminare cercando siringhe da
iniettare
anche un po' di fuga mi accarezza, al-
trove qualcuno

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mi aspetta con una carezza, ha sopra il
mio nome.
Altrove mi dissero del sole e un'am-
piezza di rose
vibra colore agli occhi tutti lo posso-
no vedere:
il bacio sulla guancia, il gesto primo
era pieno
di vita tanto che il ricordo pigola pi-
ano la
sera anche abbassa le ciglia al sorri-
so.
Prima.
Piano sarà notare il sole sul pallone è
un mulinello
l'artista: una piccola felce infittita
nel mistero del bosco
c'è una casa.
Almeno nostro è il forse, mio amore.

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Sulle tue labbra chiuse
passa l'indice senza coraggio
e lei, per non sentire il silenzio
grida la grandine
fissando il ventre rosso delle foglie
da imprimerci bene la fronte
da affondarci le mani
dove una linea si scompone
inadeguata
fermata per l'attenzione
ruga di vento su capelli scomposti
come falene
rifratte da muri di pietra
percezioni che ritornano
fratturate
in sassi certi del suolo
miniature
su cui impalare la fantasia
dividendo l'odio concentrato al petto
spillato nelle iridi
che mi temono:
pedice della mia pagina
tendine d'ansia sul collo.

2007

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Sembrava sospetto un angolo di cuore
senza occupanti
nascondeva agli occhi del giorno -
sempre grigio -
l'ansia femmina di toccare l'armonia. Ti
nascondevi
nei fianchi, nel sonaglio fra i capelli
dal riflesso
su tutti i vetri.
Imparammo a guardare insieme, io e i
tuoi occhi
è un oceano l'imperfezione
t'insegue per le strade dove si solleva-
no cumuli
di ore portate, alla meno peggio, sul
viso dei passanti
incolori, per troppe tonalità di grida
indifferenti
a una manciata di biglie nelle mani,
t'insegue nella terra nemica che è già
un passo fuori dal letto
dalle storie che raccontano voci di ca-
sa incontrate solo nei sogni
al diniego offrono i polpastrelli se
indugiano a riconoscere sulla pelle
la sconfitta nel profilo di sempre
d'un tratto ti fa triste.

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Le mie pieghe
sono pagine di grano
chicchi irrisolti
che cadono uno a uno.

Le polaroid sono ancora scure


nessuna
avrà il colore dei miei occhi
che, quando furono timidi,
sgorgarono fiori
nidi vaporosi
soffici come i glicini
come labbra fiduciose
che si scaldano fra i muri,
nuovi padri,
promesse di mani da abbracciare
per il corpo che, senza tremare,
richiama le ossa al tepore.

2007

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L'aria ti ha rincorso
sulla superficie del pavimento
dove arrendi le gambe alla corsa
riflettendo una distorsione romantica
di profili variegati dall'ombra,
incorniciati dagli stipiti,
fotogrammi urticanti i ricordi
che si raggomitolano sotto la pelle
aggiungendo sale alla circolazione,
rossa
che in te nacque e in te resta.

Il color seppia sfuoca figurine vapo-


rose
unite da fili di cotone, tralicci
al centro che irradia il tuo umore
mentre l'occhio verde guarda quello in-
sabbiato
che oscilla in un contorno impolverato
fra effetti personali e sembianze
dove l'ora riabbraccia il principio
che tende a scostarsi lontano.

2007

20
La noia per i tuoi occhi morti fissi
sulla soglia e i miei che
mangiano la quiete: spalle, gola, bocca
a morsi.
Rintracciare il respiro che guaisce
sul pavimento o
smagrita scordare mani con linee della
vita bucate.
I buchi dei miei palmi sono scacchi per
giocare.

Lampeggia ( ) la lucciola di fronte.

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Il nostro piccolo romanzo passa
aperto fra le tende ci sbiadisce la lu-
ce
anche oggi non sarai, se mi volto,
braccia aperte
né ho il permesso
di stendere un dolore sul non ritorno.

Allora passa l'indice sul silenzio ar-


riva
una bouganvillea incontro allo sguar-
do
quando già le gocce crepano le pupille
ritaglierò alberi a macchia d'inchio-
stro.

Arte d'occhi a luna, galleggiano in un


trapezio sull'aorta, ingelosiscono un
ricordo fa sempre più mio il tuo volto
concepito sulle punte, fra l'impulso dei
glicini quella sfumatura appartiene al
mio sguardo. Così ti ho chiamato, senza
contraddittorio.
Ti conservo
chiudo le palpebre più forte
mento inalterato un altro giorno.

22
Tristi le foglie che ti deposi sul ven-
tre finché, nel tuo abbandono, rividi
ogni mio giorno:

- lei. Affacciata al cuscino, bocca di


pianto sussurrante il ritorno. Alle
culle braccate, alle coperte strappate.
(Sguardi fermi come pietra nel fascia-
toio sono fughe che non hanno mosso un
passo);

- oggi. Il sole è una freccia sulle


tempie degli orfani. Gole ustionate.
Ripassa a ferire - ogni ora lunga tut-
ti i nostri anni - cuciti per solitudi-
ni che si tendono la mano (più forte
contro il vento, più forte per il vuo-
to!);

- singhiozzava novembre noi morti.


Prematuri parti di orchi: gambe già
mangiate da padri incontinenti per se-
me, sterili in affetto (sicché la copula
ci macinò vivi e soli come sono soli i
nostri occhi);

- correvamo simili alle foglie. A uno a


uno ti lanciai gli organi e un cuore
senza belletto teso così com'è: carne

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che da sola non chiama e non crea di-
menticanza, respiro.

Smembrate le foglie che ti deposi sul


ventre finché, nel tuo abbandono, ri-
vidi ogni mio giorno.

2007

24
*

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26
Riempivamo quaderni in fogli.
Scrittura stretta, iniqua, nera.
Listate a tomba
le cose serie che mi portate nel becco.
Piccoli dei del suolo non so venerare
idoli stanchi svenuti sulla carta pre-
miata.

L'occhio sfila in lava bianca,


scende cataratta. Sotto ai miei occhi
macchie diventano grafie clonate.

Io sono clone del tuo sguardo di latta.


Signore.

27
Roteano ossificazioni sul volto schia-
rito
a lume porta consiglio.
Fasci di apostrofi alla tomba
sua deità poeta caduto mille secoli or-
sono.
Non più reclute da allora. Neanche u-
na.

Esiste la nebbia per sguardi a farle


nome
casa. Ho casa inviolata per carenza
senza padrone.

Lampeggia A sul quasi muro una botti-


glia
coca cola appesa al collo come amuleto.

28
Porta il soffione la neve d'aprile non
vede sua maestà
poeta non più. Si autoproclama l'esse-
rino – che a
guardarlo sei tutta pena - esibizione
nuda per nudo orrore
offre fine, si schianta sul suo passo_
artista non sa dire
la Fervente quasi si arrende al prato
bianco offerta gramigna.
Prega la febbre svanire, corpo e mente
assaggiare
brezza disumana è indifferente idolo
santo irsuto di nebbie,
capillari a macchia d'ortica rifugiano
il sangue rifiuta squadroni
in parata sono solo assassini.

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Sciorinano sul foglio tutti i miei pec-
cati d'astuzia
restano disidratati nella convulsione
delle tempie
adattate a ticchettio per blandire il
sonno.

Il fallimento è una follia: la convul-


sione resta reclusa
dentro un corpo sempre incinta.
Bussa la spinta, cola sangue domenicale
fra dettagli che agitano scapole pron-
te quasi
allo scatto...Si arrestano: nel fondo
grigiofulmine
assale, porta i suoi bagagli la solitu-
dine
apre casa, arresta un sapore amaro
d'intenti.

Resto accesa d'asfalto.

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Prima stanza.

L' acciottolato è di odio e rabbia.


Si protendono sul corpo chiuso a con-
chiglia
dove spose invelate
fasciano verbi
già sciolti
appena appesi al palato

(Corsero attorno delle rose solo i pe-


tali
finché furono nubi a pioverle addosso
quadri senza prospettiva
gettati da padri dietro alla schiena:
schiaffi che presero la gota
e l'altra
ridendo chiasso ai lobi
infranti
a scegliere scheletri in gesso).

S'adombra lei sul palco, inselvatichito


per cancrene di troppe parole sfitte
piantate come semi sul cemento
dove soffrono l'occhio a sangue.

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Seconda stanza.

L'arresa è libera.
Le lucciole spengono la vista e sporgo-
no
braccialetti di farfalle
cosparse a ogni colore.

Anche la rabbia dorme (la conserva in


scatole di fili induriti tagliati dal
cuore).
Ne ridono le giornate, lunghe, di ore
arroccate nella stessa posizione
dell' ieri
dei suoi anni impuri
per contatto con mani tese
indossate alterne
come gusci sulla carne afona
come ombrelli
su occhi che amano la pioggia.

(I pomeriggi imbiancati - quando no-


vembre s'imprime alla terra - sono fo-
gli
per fantasie che compongono
case altre, altri tempi, righe nere
dove dormono le ali).

Su un cuscino multicolore strimpella


la sua voce

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a stordire muri, steli, lobi di tulipani
mentre l'umano inghiotte i suoi sensi
scompare
"l'arresa è libera" dice

e le catene tolte alle mani.

2008

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34
Beltane

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36
Legarono le corde vocali fuori dal
giardino dove elencava le campanelle -
belle –
il badante pensò di farla internare la
prima volta che la Suicida
non volle stenografare.
Crisi uterina. Pianse per l'utero sua
madre.

Uccise la bambina per esubero di popo-


lazione

/il re sarebbe morto senza un erede, la


colpevole ghigliottinata per ventre
infertile
- scuoiato crudo infertile - /.

Bambine care lo spazio è bianco per il


vostro nome
fra un "o" e l'altra Sylvia si uccide
urgeva l'intermittenza nei suoi occhi

di farsi gridare

/Eppure non mancava la compiacenza


che si offre a un animale/.

Domestica è elencare le campanelle -


belle - signore per questo un filo di
voce lascia bisbigliare

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nella latitudine concessa del cortile
resto incinta di parole.
Scoppiavo senza partorire, quel giorno
l'ostretico pensava al ciliegio da po-
tare
diranno che muore per l'innamorato in-
collato a cuore
dirò "per essere sono dovuta crepare".

Nota: Sylvia Plath.

38
Le mie mani sono foglie, casa per tutte
le coccinelle
povera pazza ancora giovane non è bel-
la come la
magnolia. Carente aria uccide pensieri
nati
giovano e belli, li deforma piccoli mo-
stri sbattuti
contro il silenzio di tante orecchie.
Bellabambina non si vuole conoscere
oltre occhi e gonne
a fil di ginocchio lo sguardo si spe-
gne, il proiettore
chiude la luce quando il racconto in-
comincia

Lei sola sul palco è abbandono

eppure le svolazzano scritte crude


sullo sterno soffocate
nell'involucro diventano
belladonna velenosa uccide poco a poco.

Nel momento del ritorno piangeremo


l'involucro
appeso nell'armadio, l'anima slabbrata
altrove.

39
Passano brave madri di anni brucate a
lasciare l'obolo
alle diplomate oggi. Quindici lingue
automatiche, bocche
sorriso, occhi a odio aspettano il
prossimo suicidio per
saltare sul podio. Osanna. La ragazza
quasi nuova si è
venduta quasi tutta e stringe nelle
mani l'orgoglio appena
per veder fiottare il sangue sul tuli-
pano.

40
Le culle hanno macchie di pizzo, dor-
mono, senza trattenere i fiati caldi.
Condense di cielo sul volto.
La febbre d'ossa travisa tuttogiallo
finché ondeggia la corsa zoppa del
siamese spalancando le membrane dove
pulsa
il pensarti
nel suo doppio cordone denutrito

a singhiozzi
singhiozza e s'inginocchia

sui tuoi occhi, mamma


sepolti come bulbi arrotolati nelle ci-
glia
stanche scoscese pieghe
divieti
per braccia che esitano l'abbraccio
per un corpo che piange
su tavole d'aria, pareti a divorare te
che sei di me la mancante.

(Non so la consolazione nei tuoi occhi


- ciechi e soli come bulbi -
solo mi addormenta, nella conta agli
abbandoni
una culla d'aria che balbetta la tua
immagine, il mio ritorno).
2008

41
Occhi a sangue di bue hanno un solo
centro
domandano la pallottola o l'appiglio.
Nati figli del greto sono polvere, gia-
cenze
di tempo aspettano il rintocco delle
campane
è nero e al ritorno la veggente ripete
lo stesso:
spoglierà il primo fresco, le farfalle
scucite dalle
gambe in ginocchio hanno chiesto...ma
una
bocca di marmo ha pietà altra, non sa
nulla
del pianto.

42
Ho un male dentro di mani appena fio-
rite, ricettecura madre buona - tutto
seno e nipotini-
ti ha cucinata un bel cielo rotondo,
grasso fertile tondo. Pronta pietanza
da servire:
una nuora incinta ancora. Senza l'ap-
provazione fu mai data assolta per le
sue gambe, sguaiate regali ai bambini
di sessant'anni teneri, non possono non
toccare tutti parenti il frutto lucido
al finepasto invita a.
Copula.

Tutto uguale: madre bella non parla ma


disegna dentro una mano, un coltello
scuoia colpa se non calmo la furia e
chiudo gli occhi alla luce, alla madon-
na sempre madre. Sempre a capo chino.

("Toglimi una tazza di sangue, mamma".


Una Jeanne qualsiasi aspetta senza oc-
chi colui che non torna. Ribelle collo-
lungo manca se stessa appesa fuori, la
figlia appesa dentro.

43
Di lei si ricorda il riprovevole
schianto. Pianto.)

Spera La Sedata presto più nulla da


urlare, marchio conforme, uniforme da
crocerossina.

|
|
| Variazione sulla furia
|
V

Sperare nel gemello era trapassargli


un po' di furia
che so tirare rantoli nel torace: vor-
tici di sterile
malaugurio non vincono se appartengo-
no a una carne.
La carne che non volle sorelle per
troppi e più anni
reclama ormai tardi bestie al recinto.
Anche scontato
sarà vuoto a sera.

44
/Pascolo lenito da gocciole buone os-
serva il pesco sfuriare
germogli faranno sanguinare troppi
tempi di cieli uguali/.

Note: Jeanne Hébuterne, pittrice francese.


Sylvia Plath, poetessa e scrittrice ameri-
cana.

45
La ragazza depressa pulisce foglie di
latta
pianta appartamento sempreverde
come se sempreverde potesse essere il
cuore, Mulholland Drive
intermittente insegui la mano libera
suggerita
in tante persone per un polso solo.
Nessuna davvero crudele hanno inten-
zioni buone: buoni consigli,
alprazolam, censure e lamette.
Grida.
La madre più caritatevole rimetta l'e-
mozione al suo posto
nella bianca puttana disanimata
prodotto da discount si svende a basso
prezzo
la periferia
mentre Mulholland è nebbia.

46
Scaldate male il pittore troppo giorno
ha speso per la
tonalità giusta è passata la tempia di-
venta pesante come
un delitto già compiuto non può torna-
re in strada a
battere da donna paonazza la propria
isteria.
La tempia ingrana a seconda dell'umore
malmenato
presenta a te la furia non ha saputo
trovare il giusto
colore di una mattina tossita a malau-
gurio prima
del debutto tanto che evitarla era sal-
varci dai suoi occhi
ottusi come grida sulle mattonelle.

47
Mi ricordi allattata dal geranio mia
madre ha mammelle
abbondanti mi trovarono allarmata fra
lo squadrone delle
donne il fucile puntato e un padre vo-
luminoso in assenza
aiutava...me sperperavo tutto il disa-
stro sentivo tremare
perfino il midollo sembrava nell'aria

gemono le grida grinzose mi portano
→ via

Nella via insemino i miei occhi a sola


paura ricorda il geranio
mi fa madre un attimo prima di sera
compone pace a terra non
trema.

48
Si era creduta possibile ultima fede
caduta sull'io mastico
quel che rimane di accenti ho creduto,
idolo santo, fatto
da mani che conosco non si sono mai
mosse graziose tutte
insieme lambiscono il bavaglio in gola
è casa. La tua. A te
porteranno fumo e una scusa gli occhi
roventi quasi cresciuti,
crederò, dalla scorza del pesco.

49
Profuga inchino il capo fissandomi in
superficie estesa
che riflette, i tuoi occhi da ladro
sulla schiena ritoccano
il mobilio, i miei immobili come denti
maturi specchiano
i nervi verdi azzurri delle campanel-
le. Crescono sulla
pelle le radici puntate al cielo non
esultano l'arsenico.
Il veleno patrilineare scorre fino al
cuore crudo.

Le case restano buone se le guardiamo


senza entrare con
luce al liquore, promesse di gerani in-
candescenti. Amore.

50
Aspettano le braccia per essere ferma-
te,
paziente chirurgo ricuce pezzo a pezzo
toglie le bocche troppe sono tutte un
ansimo
per l'animale svezzato e subito abbat-
tuto si
tenta la sommossa.
Madre dolce pensa al prossimo ventre
già pieno ghigna la sacra compiacenza
delle prefiche ammutolite urlano at-
torno alla
Rimasta è occhi vani come malattie
d'acqua.

51
Si è impietrita la forma
cullata da amache di vento
che sussurrano il loro ritorno, su noi
monoliti alle viscere, al sole che cede
quadrati all'autunno;

/tornano le ondeserpente in noi


statue albergate, feti nel tronco
dell'albero solo;

salgono le ondeserpente dietro occhi


ciechi
embrioni bambini
che non chiamano né madre né padre né
ricordo./

Resta solo un boccone d'urla


preghiera deposta nel legno
su cui s' infittiscono le case
mitragliatrici puntate
verso il nostro corpo a radice
dove la madre non difende e non ha vo-
ce
si piega al maestrale
che rassegna
coriandoli arancioni e il tuo ghigno
che grida le ossa dei morti.

2008

52
Dentro la sua ansia tutt'occhi cercano
la fuga
nella silhouette accesa dalla nebbia è
la tentazione all'autunno, confonde le
fondamenta
eppure
Non c'è malinconia ma sbatte il mare
spento
rubato dagli occhi si distende su donne
senza peso
contorni macchiati nell'iride sono fi-
gli
di un singhiozzo
tutto d'anni murati a sipario.

53
Ho cento cuori: uno mi fu madre, l'altro
padre e poi delirio
di bocche, ancora rosse, sotto il ghiac-
cio
Ricordi? Le osservammo urlare ora ri-
dendo, ora...
Sulle nostre pareti di nebbia scorre il
latte che non bevemmo
e il vento prega silenzi, briciole con-
cave, fotografie
su cui sprecammo
l'indice nervoso
distrazione prima di ritornarci
annaspo alle caviglie, trasparenze che
ci inseguono.

Nel crollo
fioriscono costole tagliate nel piombo.

54
La figlia ascolta arrotare la lingua
insonne se morale spinge a diffidare
donne dal farsi carne.
Infertile grembo scorda sua madre,
sdentando la bocca ripete frasi - in-
cisioni nell'aria - ,
riconduce anche la santa al bel mobi-
lio accatastato.

Incerta ancora dietro le imposte a si-


gillo
cerca l'angolo per pregare che lo squa-
drone non le riconosca sul viso la colpa.
Ingloriosa colpa di figlia, primo pec-
cato
in redenzione perpetua pagherà la sua
mela
con un teschio di strass alle caviglie.

La storia non concede illusione.

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*

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Votata a giaciglio tristezza già
nell'era infertile precedente
il diurno l' hai saputa: fra i campi di
granito i silenzi erano
acque mature, tenevano la testa nel lo-
ro ventre.
Infelicità balbettata discolpa scese
nelle ossa di alberi fermi in inverno.
Costretto compiaciuto era il sangue. Il
sangue
compiaciuto vedeva occhi di madre a
stella pattinare sul gelo
tutto l'anno per vent'anni di freddo.
Ma. Più di ogni altra fu cara la stan-
za dove il volto si assomiglia:
tu con in braccio il gatto che rin-
ghia... tua figlia costole crude
strette alla sua scostumata tristezza.

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*

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I tuoi occhi che guardano i miei
navigano la superficie stesa sulle
crepe
lentamente si arrendono a pensare fer-
tile...
un altro autunno ha parole arrossite
sui vetri
cingono anche i singhiozzi, dilagano
dentro.

Il tentativo di sapermi congiunta


è la messa in scena dell'alfabeto: non
mi contiene
tutta ma increspa un attimo l'aria pri-
ma di dirsi
gioco. Già perso. Il mio tempo.

63
Metteva le farfalle in fila la nebbia
ha una compassione
abbondante per vista parsimonia in
dettagli abbassa
il suono dei lampioni è tutta foschia
dimentica il bisturi
non trova l'odiante chirurgo ha solo
paura. Lo copre la
bufera è caos di etichette rimangono
in disparte le cose
violentate si sentono richiamare alla
base dallo squadrone.
Lo squadrone piccolo come un io sa la
femmina che, sempre madre,
sempre allatta polvere e, per pietà
tutta, in difesa tutta abbassa la
luce. Se. Il figlio balbuziente gioca
alla comprensione.

64
La luna è un'ostia nel cielo troppo li-
quido
per prendere sul serio le grida dei
gatti non suonano
ascolto per le vedove, annodano i fili
del non più_
Non ritorno.
Un attimo troppo tardi è la fuga trova
glicini in cocci
si fanno raffermi nell'afa spuntata da
voci tutte, tutte uguali
nella folla istupidita dei mercati si
barattano parole:
passano nei pensieri e ne escono illese
tanto che sembra dolore al sangue
l'ascolto.

Nel cuore verde di una specie altra,


l'occhio cerca l'ultima sorellanza.

65
Non avrebbe temuto di piangere ancora
lei che tracima si fa colma di rugiada,
inclina il collo più fragile dell'erba:
ogni goccia è lima sul collo se il collo
è sottile per molti dolori affilati. Li
puoi
salutare anche tu, ridendone come ri-
dono
i legni delle cose lontane.
Ma sa lei
il corpo è una diramazione per lunghi
nervi
esplodono senza epidermide, senza spa-
zio.
E' colma l'ampiezza del tormento non mai
superato
ricade sul suo tutto “per amato non
sense” diranno persone piane.

Persone piane valicano l'aria fino alla


fine dell'occhio.
Prende lei il vento contro, il vento
contro è un passato
si è fatto spalle e ginocchia ferme,
traballanti al punto.

66
Cola il salice ha nelle vene l'oro, non
piange ma biondissimo assale la vista
tutta
il mio viso acceso accade: sparge la
luce è un giglio la vecchia fede mai
diversa
invita
un corpo attende di veder germogliare
la prima radice.
Porta il salice ninnananna corre sul
vento, dentro ho nascosto ancora un
attimo di carne
si sbilancia nelle lingue che conosce
racconta il mio amore è un campo d'orzo
mai abbattuto. Lunga notte. Attentarono
allo svenimento punti in terra da non
risveglio per il prossimo morso disob-
bedivo l'istinto alla resistenza mentre
cieche sotto pelle le vie che posso
prendere hanno fughe in aria, culle
per le bouganvillee.

67
Quella di me che mi possedeva era tutta
lucente pesce azzurro
in branchi squamava la superficie del-
la chiesa marina scompone
il nucleo della polpa per acqua in o-
smosi affina la leggerezza /che
dirla allarma gli occhi tutti a taran-
ta/.
Ti voglio tutta nel modo glabro che sa
il nido dell’ultimo fiore non
mai dischiuso al vezzo della natura
può essere cattivo se elargito a
piene mani rinchiude il corpo a chie-
sa... una lezione dopo l’altra
per spegnere gli abbaini finché il
cuore mobile ha cieco il perimetro
voluto.

68
Scendeva la pelle nel campo di lillà
tutto l'orgoglio
sapeva la consistenza del polline, per-
se fra steli
l'erba annodava le nostre speranze di
restare
polline carnivoro, cresciuto sino al
limite si adagia
a ingrandire il sangue che cola sulle
montagne

estingue una piccola rivolta.

69
Non sapevo ridere al giorno così lo
creavo con ore
identiche di sconfitta da masticare,
senza l'aroma
menta non somiglia ad altro da sé ma
incendia il
ventricolo unico rimasto dopo aver
venduto l'altro
per una carezza a forma d'occhiello
sulla pagina
che è un osanna. Un osanna pasto per
gli inesistenti
stipati sul fondo il prossimo nome sem-
bra infinito.

Ho gli occhi teneri, parole tiepide,


ginocchia tartagliate male.

70
- Ti ho incontrata -
Tremando con le caviglie di un pianto
dissennato
macinavi gli occhi e le radici spunta-
rono
iridi di gelsomino
- Iridi a gocce -
Guardano altre nel lontano assolato
le afferrano, occhi a rapina portano
dentro:
una pozzanghera restituisce figurine
nere
quasi contorni di un Monet smagrito
lenisce scacchi di pelle vuota
ribolle, acceca nel pianto primo
inciamperai
colando sulle ciglia il sangue bianco
del gelsomino.

71
Sono la venere da cinque soldi.
Senza lacrime. Parole mitragliate
sul viso cercano la confessione nel
punto dove tramontano
i neon l'infruttuoso procedere delle
giornate. Un corpo stanco.
Un dettaglio stanco si graffia le pa-
reti dell'addome posandosi
nelle fila delle bambine buone.

Con gli occhi stampati a rose un osti-


nato disagio traballa parole.
Tienimi: lallazione, manciata di simbo-
li, macchia di colore.

72
Non mi lasciare in pace adesso marea
hai il mio sapore
di raucedine, mortificante rinchiuder-
si in se stessi. Bocciòli
notturni, vi colerò acqua dagli occhi,
vostro cielo fecondo
rinchiude la bolla costellata d'ansia
sulla nenia dei cuccioli
innamorati traballano anche i morti.
Morti momenti rauchi
scesi in qualche luogo dentro.

73
Sulla scia di un'improvvisa paura
il corpo senza ali da farfalla faceva
il volto tutt'acqua, non distingueva
i contorni ma dibatteva in linea retta.
Nelle ferite sugli asfalti si esanime-

almeno un po' di fiato lascerà spazio
al vento.
Chiedevo sorellanza ma la
confraternita non mi assomiglia né
la linfa mi prende se imprimo il volto
a macchia l'erba rimane indifferente
il sangue ghiacciato del bucaneve non
prende il tumulto, non compiange
gli interni sono cenere.

74
Mi risucchiano visi grigi sparpagliato
sangue, mestruato
dalla nascita graffiano la presa del
più forte. Io ero incolore:
fuori dal gioco restano le bambole.
Crescono. Senza quadrati spassionati da
lenire, compiti a casa, verso sera.

Lampeggia ME l'insegna di fronte.

75
Non avevo calma se tornava al corpo un
grappolo di accenti
caduti sul caso pregavano di rendere
carne altro da me.
Volevo coniarmi rabbia per l'insostitu-
ibile sciocchezza all'
infinito.
La porto dentro come placenta in osce-
na recidiva del parto.

76
Mi trova un mattino smembrata decisa a
concedermi una
quadratura mi renderà fumo negli oc-
chi indifferente.
Così provavo a rendermi tattile ma se
tocca una parola
appena squilibra la posologia della
pelle farà inutile muovere
in apnea le fila dei nervi. Le fila dei
nervi sono bambine
sgusciate per ogni pulviscolo agiscono
anemoni al vento.

77
La neve d'autunno è tutta sfumata
meraviglia
la figurina che passa nell'iride ra-
strella
un po' del dolore dimentica la sostanza
nei giorni troppe parole, tutte svelte
durano il tempo di uno scoppio.

A cielo aperto resta la notte e il san-


gue
s'inginocchia alla consistenza dell'a-
ria.

78
Girandole di crochi neri da una di lei
che si moltiplicava in trasparenze.
Le infinite variazioni ti musicano
tutte, così continui: dagli affusola-
menti fra i seni ai grovigli nei ca-
pelli. Riccioli liberty per le tue pose.

- E' lontana la sedia pervinca sedotta


dagli angeli fiore -

Lontane le preghiere infedeli


corde di fiato a condensa, annoianti le
vene del prato
idolo sanguigno che sfavilla nel pu-
gno, trasparente,
tu
trespolo di cristallo per gli schianti
dell'aria
mentre Irys è viola ed esonda esube-
ranza
su una di lei parcheggiata, scoglio che
palpita linfa, rami
poi solo libeccio.

79
Mi spigolo vestendomi a cuori spesso
con occhi carnosi
nelle mattine fredde le palpebre trat-
tengono notte, scendono
sui contorni smagriti delle ballerine.
Sente i loro muscoli, li
conosce. Lei che non ha corpo né mente
legge la consapevolezza
nell'aria.

(La sposa non si partorisce ancora, an-


cora mostra la gola).

80
ETILENE

81
82
Do-dominante
la voce si fa ventre tondo
allerta
il collo un passo verso
l'odore premuroso schiamazza
bianco

è latte: velo soffia sul parto


volta il collo a capoverso
la comitiva agita tutta uno squillo
il messaggio della neve
un lucido buca-neve
brilla sul fondo del mattino intonso
alza il capo all'inizio
chiassoso

incomincia il foglio

83
Inchiostro
o prima tentazione

Le infiltrazioni sanno di colostro


innervano l'occhio verso il silenzio,
invitano immagini sullo schermo
- se la neve concede qualche spazio -
infiorescenza lucente, lucida
un accento appeso sopra il ghiaccio
spinge la tentazione... è passare
mentre l'etilene muove il passaggio
l'attenzione va dietro al sipario:
orchestra d'ossa, polvere d'incendio

_Inchiostro_

84
Seconda tentazione
- la definitiva -

Dalla polvere nel primo singhiozzo


sulfureo, sostieni, ricordarsi
carne tutto d'un tratto, ritornare
dentro le ragioni causa uno strappo
alla creanza di fermare l'urto:
ridare ordine alle arterie,
assicurare al cuore un buon passo,
appisolare tutto lo schiamazzo...
Senza pupille il caro paesaggio
- a donne e ombrellini – è d' impronte
sabbia scesa crepita dentro di te
che sei tutto crepe, infiltrazioni per
rigagnoli, finché il midollo sviene
e le ossa crepate gorgheggiano.
Gorghi, dici, legati alle cuspidi
agli alberi trafelati nell'occhio
occhieggiano... Una luce giallastra
scatena il rumore della paura
un suono a catena sostiene l'istinto
alla fuga

l'attentatore ti aspetta alla conta


dell'undici polveriera, polveroso a-
spetta ancora
mentre liquido coli sulle pendici. In-
chiostro.

85
Lemon
Cinge la chiamata al movimento se
il lampione, a tono mezzo, non tiene
il passo delle oscillazioni, delle
ciglia
divaricate

quasi chintz veste la bambola, cre-


deresti
corre ferma, echeggia movimento la
scelta
di insegne, luci al limone, appli-
ques della sera, penseresti

a un quieto interno ma il quadro color


canarino
ciarla, eco-lalìa di insegne mediche,
sapore di garze sterili
non isterilisce l'allerta prima, dissoda
nervi acuminati al
cospetto

ammiccano piccoli soli da teatro


cicalano
cicatrici esuberano luce intermittente,
chiasso chiama

a coro d'occhi.

86
Blue, green, brown
E' blu il suono in uno stringere d'ali
si fa
frugale in uno stringere d'ali
va
il lucore serale sul tuo seno
sfinisce la vista nel battito chiuso
degli occhi
si sa
il rispetto per gli anni seduti ai tuoi
piedi
ronzanti dai nidi, dagli alveari...
legislazione sopra l'occhiolino: dalle
felci sfiora il sottobosco

_Fa silenzio_

87
Visioni simultanee
Nascono le viole che nascondo
quando si scioglie la vista
rimaniamo bocconi. Fra le forme tonde
il seno soffia
rispetto, per gli anni scesi a terra,
lucida particolari in controsenso:
la papilla tonda del mio gusto è la
cassa armonica della chitarra
c'era, era
mia madre occhi cerchiati d'azzurro.

I miei infissi privati privano del pu-


dore
il corpo offerto fa la notte scortese
gira la carica
sui depositi spogli le catene di cilie-
gie rubano il colore:

soffi di luce dietro le spalle


sulla strada lo strascico di millenni.

88
N.o
Compromessa fra le istanze: nebbia
nella nebbia dove non senti, non muovi
un passo, il respiro rimane agli alvei,
nei polmoni si ripete foschia. Mono-
cromatica e irrigidita stilla perife-
ria. Stillicida, distilla un crollo de-
solato mentre fuma turbamento con ac-
cento minimale rimane cortina. Negli
occhipolvere, continuum senza separa-
zione. Dal vetro grigio nessun soffio
consuma. Anche le corde vocali hanno
inclusioni calcaree.
_contorni fermi_

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Maeba Sciutti è nata nel 1977 a Ri-
mini. Nel 2006 fonda i gruppi di
poesia e arti contemporanee TheCa-
tsWillKnow e TheCatsWillKnowAr-
tGallery.
Scrive articoli, critiche e recen-
sioni per diversi siti on-line fra
cui Tellusfolio, Via delle Belle
Donne, Nazione Indiana e Imperfetta
Ellisse.

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Sue poesie sono comparse in svaria-
te riviste fra cui “Velvet” magazine
di Repubblica, “Π- trimestrale di
conversazioni poetiche” e “Le Voci
della Luna”.
Ha pubblicato “Flaming June - donne
oltre la tela” (ARPANet, 2008) e le
raccolte poetiche “Cristalli di fia-
to” (Liberodiscrivere, 2007) e “Lin-
gue di piume” (ARPANet, 2007).
Particolarmente attenta ai lin-
guaggi sperimentali, si interessa
alla contaminazione artistica se-
guendo gli sviluppi e ricostruendo
le basi storiche della poesia visiva
e di quella elettronica.

“… Le idee dell’artista non sono


fondamentali per l’opera così come
viene vista dallo spettatore.
Lo spettatore è un artista, nel sen-
so che concepisce un certo percorso,
che è unicamente suo.
La sua stessa immaginazione deter-
mina che cos’è, cosa significa.

92
Lo spettatore non deve essere preso
in considerazione durante la rea-
lizzazione dell’opera, ma non gli va
detto, dopo, cosa pensare o come in-
tenderla o quello che significa. Non
c’è bisogno di definizione…
…Il suo scopo, il suo significato è
quello di comunicare emozioni, di
qualsiasi tipo. Quale sia questa e-
mozione o come venga percepita di-
pende dallo spettatore. Dovrebbe po-
ter guardare l’arte e reagire senza
chiedersi se la “capisce”. Non vuole
essere capita! Chi mai “capisce”
l’arte? Se l’arte è così facilmente
definita allora esiste solo per
quelli che la “capiscono” e tutti
gli altri le sono indifferenti.
Definire la mia arte equivale a di-
struggerne lo scopo. L’unica defini-
zione legittima è la “definizione
individuale”, l’interpretazione in-
dividuale, un’unica risposta perso-
nale che può solo essere considera-
ta in quanto opinione…”
Keith Haring, “Diari” (Mondadori 2001)

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