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Poco tempo fa, discutendo con un esponente della


cultura “alta”, mi sentii raccontare che dopo
Campana, non c’era più stata poesia. Saltando a
piè pari quel che penso di chi fa un’affermazione
del genere mi accontento di sottolineare che è
molto improbabile che risponda a verità. Noi del-
la Biblioteca Clandestina Errabonda siamo con-
vinti che, dal 1932, anno in cui Campana morì, a
oggi, un po’ di Poesia (la maiuscola non è un re-
fuso) sia stata scritta. E anche un buon quanti-
tativo di prosa di livello. Ma è vero che, proba-
bilmente, tu non l’hai letta. E con te la gran
parte dei lettori. Nessun complotto. Non c’è nes-
suno che tenta di tenere nascosta la buona lette-
ratura contemporanea. Semplicemente le leve del
controllo stanno nelle mani (anche giustamente,
ci mancherebbe) di persone che si sono degnamente
formate su Dino Campana. E che non saprebbero
riconoscere qualcosa di nuovo (che tutti i grandi
autori sono stati nuovi una volta). Poi c’è la lo-
gica del mercato e delle vendite e chi me lo fa
fare di pubblicare un ignoto che non è nemmeno
caldeggiato da qualcuno che conta quando posso
pubblicare un bel libro di un comico o di un can-
tautore che perlomeno sono sicuro che vende. E
dovendoci, il nostro personaggio, in termini pro-
saici, mangiare, chi può dar lui torto. Per cui è
tutto un gioco perverso, in cui noi, lettori, ci
perdiamo la possibilità di scoprire se c’è qualco-
sa di bello in giro.
Questo non lo possiamo fare, dirvi se c’è qualcosa
di bello in giro intendo. Ma possiamo provare a
mostrarvi qualcosa di nuovo. Poi è tutta una que-
stione di gusto. E quello è un problema tuo.
Samiszdat è questo: una collana di roba nuova
(che poi a noi piace altrimenti mica la pubbli-
cheremmo).
Il nome ha dettato anche la veste grafica e lo
stile. Realizzeremo i nostri libri, che potrete
comprare in rete o cercandoci su
www.bceparma.splinder.com/.

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Samiszdat

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Flavio Toccafondi
Isabelle
(dimmi che non speri)
copyright © dell’autore

Collana Samiszdat
Prima edizione

Grafica, elaborazione e impaginazione


Biblioteca Clandestina Errabonda Parma

Ndr. Per esigenze editoriali il libro non


è stato stampato con la copertina che
l’autore aveva pensato per lui. Ma ogni
parte di un’opera è importante. Abbiamo
così pensato di recuperarla e di renderla
disponibile, in una versione animata, qui
http://www.youtube.com/watch?v=ZUZDhNJJCrM

La riproduzione anche solo parziale, di


questo testo, a mezzo di copie fotostatiche
o con altri strumenti, senza l’esplicita
autorizzazione dell’Autore, costituisce
reato e come tale sarà perseguito
Flavio Toccafondi

Isabelle
(dimmi che non speri)
I libri mentono

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PREFAZIONE

Chiunque si appresti a studiare la


letteratura italiana, prima o poi
si imbatterà in qualcosa che a un
certo punto i poeti si misero a fa-
re, senza avvertire nessuno e pro-
babilmente divertendosi un mondo a
farlo. A un certo punto della sto-
ria, i poeti decisero che sarebbe
stato utile frustrare il lettore.

Tutta quella faccenda delle rime


baciate, degli endecasillabi per-
fetti, delle parole che finivano
nello stesso identico modo (cuore-
amore, amare-sognare, oppure il
Petrarca che si divertiva a fare i
sonetti con le rime talmente ba-
ciate da finire con le stesse paro-
le cambiandone solo il significato:
“quand’io son tutto volto in quella
parte/ i’ che temo del cor che mi si
parte”), aveva fatto il suo tempo e
aveva forse annoiato i poeti.

Iniziò così la deriva verso


l’anarchia totale del verso, con la

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frustrazione del povero letto-
re/ascoltatore che, dopo un paio di
endecasillabi perfetti, si aspetta
la rima baciata, non vede l’ora che
arrivi, e invece no, il poeta non
gliela manda più. La rima è fru-
strata, si dice in gergo.

Da lì in poi, tutto è poesia e nien-


te lo è più.

La musica delle parole la decide il


poeta, o lo scrittore, e tu lettore
non puoi anticipare proprio niente
nella tua testa, perché non hai i-
dea di cosa verrà dopo. Non ti ri-
mane che affidarti completamente
alle parole che stai leggendo e
sperare di scoprire un’altra musi-
ca, un significato nascosto. Legge-
re Toccafondi significa questo,
perché quando scrive si nutre del-
la tua frustrazione. Lui scrive
poesie ma non le mette in versi.

Scrive prosa ma non ti racconta


una storia. Eppure i suoi “romanzi”
sono romanzi d’amore, quindi la
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forma più semplice di narrativa
che esista sulla terra.

Le sue storie sono riassumibili in


dieci righe, quando hai la fortuna
di afferrare e poter mettere in
fila le schegge di plot che ti
sparge nelle pagine.

Un’ambientazione, descritta a flash


fotografici privi di presenze uma-
ne ma ricchi di architetture e a-
nimali, un protagonista narrante,
una donna amata, abbandonata, ri-
voluta, ripresa con la forza del
pensiero, e con l’aiuto di un eser-
cito di lumache talmente fatali e
potenti che in confronto la tarta-
ruga di Achille non è più un para-
dosso. E un figlio, perché nella
scrittura di Flavio Toccafondi un
figlio c’è sempre, anche se si fa
fatica a vederlo, questo bambino,
perché lui non te lo mostra mai, ti
fa sempre intuire la sua presenza,
e ti devi accontentare di questo.

Ti chiede tanto, Toccafondi.

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Ti chiede di seguirlo nei suoi
percorsi mentali, ti trascina in
un vorticare di prosa poetica che
ti afferra e non ti molla neanche
se provi a staccare gli occhi da
quelle parole. Un esempio? Provate,
se ci riuscite, a frenare su questo
passaggio, provate a interrompere
la lettura a metà, è una sfida ve-
ra: Sei l’equilibrio e la distanza,
la dichiarazione d’intenti, la
guerra e la pace, sei l’armistizio,
il delitto perfetto, la prova
schiacciante, sei l’arma del delit-
to, sei bordura di rose, bordura di
lavanda, siepe di bosco, cancello
d’ingresso, sei la calce, il gesso,
il collante di ogni frattura, sei
la paura, il timore, l’espressione
del dolore, sei un giorno appeso al
vento fuori casa passeggiando sot-
to il sole, sei peggio di un crimi-
ne e in quanto delitto strappi il
cuore, il tuo amore è assassino,
amputa gli arti, si prende gli ab-
bracci, e mi lasci a metà. Capito?
Tante volte vi foste dimenticati
chi comanda, nelle pagine di Toc-
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cafondi, e chi è l’unico che ha il
potere di lasciare a metà qualcosa.

Eppure, è anche pietoso nei vostri


confronti, perché subito dopo in-
fila nel suo scritto un pezzo di
prosa piana: Vedi Pa’, ricordo
quando telefonandoti da quel cazzo
di paese intuivo la tua incertezza
sul mio gesto, pensavi fosse
l’ennesimo formalismo indotto da
mia madre ma così non era, anche se
solo oggi lo riesco a capire; in
situazioni analoghe anche io avrei
pensato la stessa cosa, chissà. Un
pezzo perfettamente “comprensibi-
le”, fatto di un classico dialogo
figlio - padre, condito con lin-
guaggio triviale, quasi a voler
farti tirare il fiato, quasi a vo-
lerti dare una pausa, quasi a vo-
lerti tener lì, vien da dire, se non
fosse che Toccafondi è l’autore più
lontano dalla ruffianeria nei
confronti del lettore che mai vi
capiterà di leggere.

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Eppure, vale la pena di farsi mal-
trattare e frustrare, non vi pen-
tirete di dovervi arrabbiare per
le frenate improvvise su un elenco
interminabile di nomi di lumache,
non vi spaventerete di esser tra-
scinati in gorghi di parole inca-
tenate. Alla fine, chiuderete il
libro e avrete la consapevolezza di
aver letto due storie d’amore al
prezzo di una: quella narrata nel
libro, mendace per dichiarazione
programmatica, e quella tra lo
scrittore e le sue parole, vera
perché i libri mentono, ma i veri
autori non possono farlo.

Valeria Coiante

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PRIMO

Mi inghiottivi folle ed era diver-


tente oppure osceno il tuo sussur-
rare rigido e male (tu, trasparente
contro sole, ripetevi “ho un tacco
in bilico e decisioni da prendere,
mi terresti con te questa notte?”).

Così dimagrita Isabelle spensiera-


ta occupavi con sospiri spazi nel
materasso oppure isolata la sera
rintanata in qualche pensiero stu-
pido poi, affatto morbida, cullavi
l’ipotetica te lasciandoti avvol-
gere dal vapore affettuoso di un
bagno caldo, come dire, per non
pensarci più; ogni sera, cosìnnuda,
ti benedicevi nella fonte battesi-
male. Ogni sera, cosìnnuda, per non
pensarci più.

Poi dimagrivi o dimagristi, passato


un mese dal nostro ultimo incontro,
Firenze sventolava bandiere arco-
baleno; un giapponese smarrito mi
confuse domandandomi della stazio-
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ne – I cannot, I cannot – risposi -
I’m running away – così il lungar-
no riprese a frizionare immagini
in moviola opaca e tu eri un seme
di melograno – decisi – e io e io e
io, dopo un girovagare mutilato
immenso trovai in affitto una
stanza piena di cinesi - rimasto
solo, chiusa la porta alle spalle,
scrissi una poesia bruttissima
prima di scivolare lento tra le
lenzuola.

Era giorno era sera era scuro, un


colpo di sonno e fu tutto chiaro.
Tu avevi trent’anni, io trentatre.
Non scrivevo più una riga da sei
anni e non me ne dolevo.

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***

“Dovrebbero vietare i motori e-


sterni dei condizionatori” - pensai
alzandomi sconcio, pestato - “im-
polverati i filtri logori di notte
sfrigolano, scalpitano; non sono
abituato a dormire in posti con
troppa luce, i rumori sfrigolano,
scalpitano e poi i bagni e le misu-
re perimetrali sconosciute, la lon-
tananza inibisce, mi confonde non
avere punti di riferimento, è che
in verità mi sento solo e lontano”
– confessai la mattina alla ragaz-
za che mischiava miscele di tè
verde al bar qui sotto di Pechino.
Lei sorrise, ignorandomi.

Fuori Firenze era fiori e farfal-


le, una mezza stagione, odore di
tessuti, velluto e terracotta,
strade turistiche, turiste assola-
te, addobbate addobbati, portieri
d’albergo in attesa di dollari o
giapanisyen; torturato procedevo
procedevamo senza scuse, solo il
ronzio degli split dell’aria condi-
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zionata sopra le serrande dei ri-
storanti indiani.

Fuori Firenze era fiori e farfal-


le, in mano l’indirizzo scritto male
su un volantino di un negozio di
scarpe coreano. Mi si accelera il
battito quando corro, l’affanno, a-
spiro a un passo di lentezza, un
passo che inganni, che sembri che
non, che sembri che, in definitiva,
l’ansia di non incontrarti più.

Così da un balcone una genziana


perde o perdeva o perse petali; la
donna alla finestra tira tirava
tirò a sé i panni e arrotolando il
filo sembrava, sembrerebbe o sembrò
pescare, ricamare una danza osti-
natamente quotidiana.

Inerme, petali di genziana sul capo


ricevo e sto.

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***

Oppure una mattina dodici anni fa


a Belgrado, le calze rosse, le
guance pallide, la canzone sussur-
rata miagolata come vapore da un
braciere – un ponte ci accolse me-
scolati ad altri, solo più cauti
solo, meno zoppi – tua madre per
pranzo sfasciò un vecchio maglione
di lana cucinandoci un gomitolo
nuovo, lo lanciò nel cortile e sor-
ridenti assistemmo alla scena del
gatto impazzito, curioso e slavo.

Non portavo guanti di lana allora


e mi nutrivo solo delle minestre di
tua madre, spezziate come l’acre o-
dore di tabacco della casa di mio
zio, lui ancor giovane al telefono
con le prostitute per sentirne le
promesse e rimanerne impressiona-
to, il dito puntato sul labbro, il
pensiero meravigliato e porco.

Ecco, ricordo bene, nelle feritoie


dei demoni notturni mi nutrivo di
te lanciandoti briciole e t’amavo
così tanto che il successivo set-
tembre monolitico passò talmente
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rapido che una cosa ancora mi vie-
ne da aggiungere, che il pesce
Razza, se lo accarezzi, sorride.

20
***

Poi ti persi una mattina uscendo


da Belgrado faceva freddo avevo
perso un treno mi ero appena libe-
rato della punteggiatura ti chia-
mai da lontano ma rauco o troppo
lontana o allontanata ti eri per
farti scalfire da una voce e solo
l’annuncio di un binario coperse il
secondo tentativo e pensai al caso
o ai segni del caso e ti lasciai
andare ti persi ti ho persa ti per-
derò per sempre amore mio

Agli accapo non sapevo ancora ri-


nunciare eppure mi impiegai lo
stesso in una ditta che serviva
pasti sui treni, partivo la mattina
alle quattro, a La Spezia davo il
cambio fino a Genova, mi avevano
lasciato la tratta in curva, dovevo
camminare al contrario rasando
gli scompartimenti con la spalla
sinistra, vendendo cose e per le
cose venivo pagato, ero catalogante
e attento al listino, imparavo i
nomi delle fermate intermedie e
quando li seppi tutti mi pensai en-
ciclopedico e mi licenziai.
21
***

Poi una mattina, ieri o sette anni


fa, mi svegliai circondato da for-
miche su un tavolo ghiacciato, in
una cucina verde.
La casa scivolava su un parquet
verde olivo, c’erano piccoli comò
sparsi in ogni stanza, cornici
bianche con dentro intonaco inton-
so e trascinavo i piedi sul lenzuo-
lo, avvolto dentro ero dove, pulivo
lucidavo passavo e fissavo le cose
sui muri e per terra, ero dove.

La collega amaranto-gilet piegò la


testa da uno dei punti geometrici
del salone e sentii profumo di pane
fresco, provai uno smarrito senso
di caldo addosso prima di spegner-
mi in un angolo a ticchettare con
le dita ritmi disordinati.

Rimasi quattro ore muto e non sa-


pendo cos’altro fare mi pensai va-
so, mi finsi ragno e mi intelai.

22
***

Mi ricordai di me a giugno
dell’anno dopo, ti seppi andalusa e
viaggiante, mangiavo pochissimo,
desideravo bacche, il miele, il
miele, le bacche, il miele. Mi im-
piegai in una ditta di spedizioni
ittiche, lavoravo quattro ore in un
centralino, potevo sfogliare le ri-
viste e le mappe, seguire col dito
le rotte delle tue apparizioni.

Affittai una casa e per un mese


intero diventai vegetariano.

23
***

La nuova casa non aveva senso, gi-


rava quadrata su se stessa. Per
armadio decisi di utilizzare le
maniglie dorate delle porte. Il
concetto di ante mi annoiava.

Poi una mattina mi diressi al cen-


tro della stanza e ci piantai un
albero.
Lo collocai ben distante dai termo-
sifoni. I rami non avrebbero dovu-
to toccare i muri; una luce di
sbieco lo avrebbe irradiato la
mattina presto per un massimo di
due ore. Lo avrei annaffiato pa-
zientemente, puntuale e coerente
con il concetto di impegno botanico
che da quel momento decisi di assu-
mere.

Poi, sospinto da una forza che non


mi sarei mai attribuito, presi una
scheggia di corteccia, la infilai
profonda nella terra e, attento a
non sporcare le fughe bianche, mi
diressi verso il muro vergine dove
scrissi

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SIAMO TUTTI CECOSLOVACCHI

e di seguito

LA CORTECCIA NON FA BRECCIA

e ancora

A PANAMA FINGONO DI NON VEDERE

e ancora

MI DIVENTI DI COLPO NEMICA

e di seguito, calcando il tratto

L’ACQUA ESCE DAPPERTUTTO.

Avevo occupato quasi tutta la su-


perficie bianca del muro così deci-
si di voltarmi per proseguire dal-
la parte opposta.

CAROTE ALLA JULIENNE

e da basso, raso allo zoccoletto,

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IL LAVORO E’ UNA TRUFFA CHE DURA
BEN PIU’ DI 8 ORE.

Sapevo che ormai non avrebbe avuto


alcun senso fermarsi così decisi di
continuare

UN RAGNO MI HA ABBRACCIATO.
MAMMA, SAPRO’ RESISTERGLI?

poi mi accucciai vicino all’albero


cercando altro inchiostro tra la
terra madre.

CONFLITTI INTELLETTUALI, SOPRAT-


TUTTO

GARANTISCO IO

e di nuovo

NIENTE DI PIU’ FACILE, NIENTE DI


PIU’ TERRIFICANTE.

Poi mi stancai o la noia mi colpì e


andai a stendermi sul letto, nudo.

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Non spensi la luce, essendo la lam-
padina da immemore tempo fulmina-
ta.

27
***

Poi la scena non cambia o non cam-


biò, ero o sono lì, nudo sul letto,
dimentico di tutto, nessuno mi sve-
glia, nessuno mi ha svegliato, nes-
suno mai sveglierà.

Ero o sono scomparso.

28
***

Un mese dopo sono nella stessa


stanza, mi acceco di vino, dato il
tempo passato non, travasato,
ossigenato, bevuto sul colpo,
malandrino, il vino come
insanguinato una mattina di
ghiaccio, meno tre, meno sette,
decantato, meno cento gradi, fiori
e dentro

Poi come tutti la fila da Carre-


four, lì il due per cento, lo scon-
to, le cose, i detersivi, la fila, il
carrello, le cose e tutti lenti o al
contrario veloci, i nuovi parali-
tici della dottrina che si chiama
pay per view, da bravi! a fare la
spesa, LA SPESA! e le etichette
raffrontate, all’attacco,
ALL’ATTACCO! che si attacca coi
terzini, ma che non ve l’hanno re-
galato il libro “Scuola di calcio
secondo Giacinto Facchetti?”, coi
terzini, coi terzini! razza di debo-
sciati, di insulsi, brutti giocatori
di racchettoni, mi vergogno di al-
lenarvi, vi mando in tribuna, TUT-
TI IN TRIBUNA e le mamme la dome-
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nica a preparare il ragù! maledet-
ta domenica, specie di bolliti, i-
gnoranti caproni, a lavorare!

30
***

Poi apro un quaderno con duecen-


tottantotto pagine senza senso, a-
spiro a questo, come del resto vor-
rei una mattina svegliarmi e sa-
permi distante, vivere lo strippo
del fenicottero, drogarmi delle co-
se con cui ti droghi tu, se non ti
droghi più.

Oppure sapermi calmo e lento,


improvvisamente senza sforzo
oppure sceso tra gli uomini o
partorito dopo una messinscena e
ti vorrei così, a tua volta
partorita e primitiva, stanca delle
cose, teiera o tisaniera come
quelle sbeccate di certi film
cecoslovacchi oppure saputa
abbandonata, masticata su una
chiesa da una madre genuflessa,
gladiolo infagottato per volermi
bene, per amarmi per sempre, amore
mio

e allora ciao bella ciao, una


mattina e tutto il resto, solo che
mi sento isolato, lasciato stare, ho

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questa frase in testa, più che una
convinzione, lasciato stare.

ma sì, lasciami stare, ti sto


lasciando stare, lasciami, stare,
lasciami stare, lasciandomi stare,
stare, starei, lanciandomi stare
sarei, linciandomi sarei, saprei,
lynch andomi, lynch and o me.

Esempio: se stessi bene non


scriverei

= If I...
stessi ...
cado su stessi, mi viene “if i was
fine” o al limite good
ma se fossi stato bene non avrei
scritto, non avrei descritto, un
ritto, un rutto, ora rutto e sto.

32
***

In verità vi dico, sostenni una


volta da ubriaco, che maneggiare
denaro comporta un’adolescenza
dell’anima, una cattiveria da sogno
o comunque un segno premonitore.

Contare soldi per contarli non ha


senso.

Rubiamo l’anima alle lumache, ecco


cosa auspico, imitiamone la lentez-
za, la fatica di modificare o in-
terrompere ogni scelta,
l’insensatezza di tornare indietro.
Smettiamola di fissarci i polsi
quasi non sapessimo fare altro che
imitare il nostro corpo, scegliamo
l’educazione del non sorriso, il
parallelepipedo della noncuranza,
aboliamo l’idea di credo, di princi-
pi e di ideali, abbracciamo la ba-
nalità del non avere frasi pronte
all’evenienza, sposiamo
l’incompetenza e l’illuminismo di
un uovo alla coque, la fragilità
apparente di un merlo che si posa
sul balcone e che, di tutto il ro-
manticismo che vi aspettate, non
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lascia altra traccia se non il se-
gno non lavabile dello sterco
bianco e grigio.

Dimenticatevi per un attimo di voi,


fatelo nelle sere d’inverno quando
l’acqua non necessita di un frigo e
il vostro corpo d’essere asciugato.
Fatelo fingendo di non saperlo fa-
re e rammendate i vostri bulbi o-
culari mediante il collage di se-
dici pagine di giornale, tagliate i
titoli con le vostre mani e unite
le frasi senza senso quindi impa-
ratele a memoria come fosse la
poesia delle elementari.

E poi uscite, una sera qualunque,


non importa l’ora e recitate il vo-
stro testo folle, in maiuscolo e
grassetto

“APPROVATO delitto in pieno centro,


L’EMBLEMA DELL’ARTE è un gioco
scorretto. CHI COPRIRA’ I BUCHI
DELLO STATO? Colla Keracoll in of-
ferta a € 10,99 al chilo, supermer-
cato Lidl”.

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Fatevi una ragione degli altri e
soprattutto datevi una motivazione
per voi.
Spegnete le candele nelle chiese,
chi prega ha bisogno del buio, chi
è morto ha già lasciato in eredità
la luce perpetua.
Fregiatevi di un titolo nobiliare
che vi soddisfi, fatevelo calzare
addosso aderente al tema della vo-
stra debolezza: Duca Di Sinusite,
Contessa Di Endometriosi oppure o
al contempo, nutrite un cucciolo di
animale non mirando esclusivamen-
te alla sua pelliccia, amatelo sim-
metricamente alla fiducia che ri-
pone in voi, relegatevi in un ruolo
di appartenenza e non acquistate
più, per carità del cielo, cibo pre-
confezionato.
Infine datevi un’arte, gestite i
vostri resti, fondate una casa edi-
trice clandestina e richiamatevi
al rigore della memoria che vi
consiglia di fissare su carta le
idee malsane che vi passano per la
testa.
E soprattutto, sposatevi con una
ragazza che non concepisca il vo-
stro bisogno di poesia, che dia una
35
parvenza di quotidiana normalità
alla vostra vita mentre voi, nella
stanza accanto, vi sentite Dio.

36
SECONDO

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38
***

Belgrado, file di marionette e di


mollette bicolore, cambi di stagio-
ne nell’armadio, nell’umore solfeg-
giavi ambarabacciccìcoccò tre
vecchiette col trumò che facevano
all’amore col nipote del dottore,
che facevano l’amore col ricordo
biondo del dottore, ambarabacciccì-
coccò tre vecchiette col trumò

E una mattina da tua madre seppi


che Belgrado in sei mesi era stata
miracolosamente ricostruita, così
strinsi gli occhi, stinsi gli occhi
e ti rividi dondolante e impazzita
nel cerchio che girava centrifugo
e stomacante.

Sfidandoti sfidavi l’idea di sfida


e ogni sera salivi le scale popola-
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ri e in una di queste, sera come
altre, confidasti il segreto del
ventre al cuscino consolatorio,
senza neppure saperti spiata da
ventose di orecchie nascoste dietro
intercapedini, quindi giudicata
poi braccata e con solo due cose da
fare – c’erano o ci sarebbero state,
pensavi o pensasti-

- metterti a letto a riposare


(pensiero automatico)

oppure

- METTITI A LETTO E RIPOSA!

sgridato comandato da tua madre,


soluzione facile eppure comoda da
eseguire ma in fondo desideravi
40
desiderasti desidereresti solo una
banale e confortante rassicurazio-
ne, qualcuno che ti dicesse

- Vieni qui, che ti faccio una


doccia di abbracci, che ti
cucino il sonno.

Ma fuori Belgrado era diecimila


fiori e una decisione da prendere.

Così, quella sera tardi, scendesti


nel piccolo giardino statale e, per
dimenticare, cominciasti a spinge-
re, con tutta la forza di pianto
che avevi dentro, il cerchio di
giostra sverniciata

forte sempre più forte

41
che tutto gira, che tutto si dimen-
tica; forte sempre più forte, che
tutto passa, che tutto è forte

sempre più forte.

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TRE DIVAGAZIONI

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44
CONSIDERAZIONI SULL’AMORE,
INTESO COME (manca definizione)

Ti ho per gesti, per frasi, per at-


timi chiamata e persa con altri
nomi; sei stata l’amante, le amanti,
le donne, il carico di dolore, senti
che pretesa! le gioie, sei stata una
mattina e una sera e un discorso
diametralmente opposto oppure una
sera a una festa, sei stata una fe-
sta, una farsa, ti ho misurata
rincorsa odiata persa, vista o svi-
sta oscena al cambio di scena, opa-
ca, giovane e invecchiata, invec-
chiare matura maturata snaturata
quarantenne o ventenne o trenten-
ne, ti ho sognata idealizzata ri-
cordata profumata nel ricordo tin-
ta, nella tinta blu, che solo le mie
iridi a-mareggiate dedicano a te.

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E ti ho amata, vista dalla strada
sui balconi alle fermate alla ra-
dio la tua voce, vista distratta
attraversavi la strada la sera la
mattina a pasqua nelle festività,
vista vestita bene o poco e male,
coperta abbronzata pallida nel do-
po ciclo, vista la mattina presto
stendere o stirare, ritirare o ap-
pendere o in fila a una cassa o
guidare o guidata o a spasso con
un cane o delusa, sconfitta e dolce
a cucinare o a cucinarti addosso o
a cucinare per cene per feste per
sabati sera nei palazzi di festa,
gli amici, il resto, le bottiglie lo
spumante le pastarelle, i dettagli,
curare i dettagli! I tovaglioli
rossi sono volgari, bianchi sanno
d’ospedale, le tovaglie, le tovaglie!
Nascondere la biancheria sporca
dal bagno, eliminarla, io e te sia-
mo perfetti, non sudiamo non sudi,

46
non puzziamo non puzzi, non per-
diamo liquidi non,

vista o distratta da un telo nasco-


sta, mia, per sempre mia, mia tu
sola e basta.

47
***

Sei l’equilibrio e la distanza, la


dichiarazione d’intenti, la guerra
e la pace, sei l’armistizio, il de-
litto perfetto, la prova schiac-
ciante, sei l’arma del delitto, sei
bordura di rose, bordura di lavan-
da, siepe di bosco, cancello
d’ingresso, sei la calce, il gesso,
il collante di ogni frattura, sei
la paura, il timore, l’espressione
del dolore, sei un giorno appeso al
vento fuori casa passeggiando sot-
to il sole, sei peggio di un crimi-
ne e in quanto delitto strappi il
cuore, il tuo amore è assassino,
amputa gli arti, si prende gli ab-
bracci e mi lasci a metà.

48
***

Vedi Pa’, ricordo quando telefonan-doti


da quel cazzo di paese intuivo la tua
incertezza sul mio gesto, pensavi
fosse l’ennesimo formalismo indotto
da mia madre ma così non era, an-
che se solo oggi lo riesco a capire;
in situazioni analoghe an-che io a-
vrei pensato la stessa cosa, chissà.

Ciò che più mi rende triste è il non


riuscire a ricordare un solo giorno
in cui compiesti gli anni e io c'ero,
forse perché quando avrei potuto farti
gli auguri ero troppo piccolo e troppo
attento ad altro; ciò che conta è il
pensiero, lo so, è l'affetto che mai
verrà a mancare e anche se l’evidenza
sembra mo-strarci che sto parlando o
scri-vendo al muro, mi piace pensare
che in questa tua morte vi sia un mo-
do attraverso il quale tu possa avere
coscienza del mio sentire: per cui

49
Tanti Auguri Papà, cento di questi
giorni.

50
***

Poi una mattina il tempo cento


gradi - guardavo sciogliersi
l’asfalto - ero un fiore, “sono un
fiore, una farfalla, sono un fiore
e una farfalla e del resto non mi
importa”, dicevo con addosso una
maglietta arancione e spinsi o
spensi il muso fuori dal portone –
Trieste sgocciolava stanca palazzi
maestosi e bianchi – la professione
ancora una volta una qualunque,
vendere ritratti trattare ritratti
tratteggiare su fogli bianchi ri-
tratti, seduto di schiena a pastel-
lare lineamenti protestanti, cari-
chi di tempo, delle passanti ingle-
si.

Professione alchemica la mia, pit-


tore che con l’attimo preciso del
tratto ferma per sempre il tempo,
fissando un pasto di carne, in-
chiodandovi per sempre alla giovi-
nezza.
51
Io, solo io, in un lampo fermo il
metronomo della vostra vecchiaia
regalandovi l’eternità; io, solo io,
se solo potessi inseminerei di va-
nità l’intonaco delle vostre case
che, pregno di egocentrismo, parto-
rirebbe infine altre mille voi, co-
stringendovi a odiare l’immagine
duplicata che avrete scelto a eter-
na esposizione, a eterna ostinazio-
ne e la casa sarà una follia di
continue voi che non riconoscerete
più, quando vecchie, le immagini di
ieri vi tortureranno e tutto si
trasformerà in un pazzo circo co-
lorato con te buffona, te domatri-
ce, te contorsionista e il ballo gi-
rerà attorno mischiandosi, sovrap-
ponendosi

- Le potete vedere le luci? (è


il ballo che gira su sé)

52
bene, è la musica che impazza, e
tutto gira, tutto valza1, ogni cosa
ronda in movimento sismico qui al-
la festa della vostra superbia,
della vostra vanagloria ed è
chiasso, frastuono, gli oggetti si
animano, le bomboniere si scartano,
i doni d’argento si fondono, si pla-
smano, divengono stalattiti e la
vetrinetta esplode, i libri si
scambiano le pagine, Cervantes da
98 a 130 passa a Sartre e La Nau-
sea diventa un capitolo di Romeo e
Giulietta e Jacopo Ortis si trova a
sua insaputa in Patagonia con Se-
pulveda e Alvaro Mutis e il suo
Gabbiere diventano serial killer
insieme a Donato Bilancia.

Questo vi dovevo.

Sparpagliarvi le basi, mischiarvi


le certezze, sbilanciare l’oscenità
delle vostre regole, uccidere per
sempre ogni concezione di tempo e
catalogazione, per imprigionarvi
in altre messinscene ben più irre-
ali.

53
Guardatevi e fatevi pena, stravol-
te e sfatte dopo il ballo folle
nella vostra stanza, sdraiate mezze
morte di sudore sul divano, il ri-
tratto a farvi il verso da sopra il
muro mentre voi, piangenti, di-
strutte, afflitte, ancora sperate
che l’immagine sorrida a qualcun
altro dietro di voi.

1 neologismo: “valza”, tutto va a tempo


di valzer

54
***

Poi una sera di maggio - ma certa-


mente lo sogno - un imbrunire ti
accoglie castana, lo sguardo basso
e a qualcuno che non ti conosce
affatto verrebbe da chiederti

– Che hai, sei triste?

– (no, sono stanca) No, sono


stanca

e per lasciarti perdere avresti


perso o nascosta ti saresti, spari-
ta, mangiata, annullata affettata
55
in-concepita come affatto ti ac-
cetti o non accetta niente di te lo
specchio questo mese, anche il nero
ti fa grassa e i commenti, i com-
menti, tutti in fila, troppo è tol-
lerarli, sopportare le battute i-
nopportune sul tuo seno, su come il
seno e il tuo umore e la mattina
svegliarti e non averne voglia,
lavare spazzolare indossare sciac-
quare deglutire tapparellare
chiamare salire timbrare salutare
sorridere congratulare accettare
sopportare aspettare controllare
invidiare maledire pausare man-
giare bere ripartire sopportare
controllare aspettare timbrare sa-
lutare spesare cucinare lavare de-
glutire assaporare (assaporare?)
pigiamare struccare sciacquare
intorpidire alveare,

alveare,

alveare,

56
alveare.

57
***

Torno di nuovo a Firenze, spoglia-


ta e mattutina, nelle case gente
che si lava, ascensori che fanno
scendere cani, donne che pisciano
figli di corsa aggrappati stril-
lanti piangenti strattonati e im-
provvisamente ho il pensiero più
preciso della mia vita: vorrei un
figlio onesto che mi capisse, un
figlio che capisse tutte le mie e-
sigenze, dormire, riprodurmi, per-
dere tempo, un figlio che mi voles-
se vedere realizzato, non il con-
trario.

58
***

Così capisco che nei posti non ci so


stare e dopo sei giorni mi trasfe-
risco a Liverpool; scendo da una
scala, alle spalle un aereo, addosso
una maglietta rossa con su scritto
1983 demodè ma elasticamente comoda
e perdo una coincidenza e ne perdo
un’altra e non sapendo affatto dove
andare, perdo o persi o perdevo per
ore coincidenze che non sapevo di
perdere e questo mi fece pensare a
un me per la prima volta ovunque,
parte di un tutto.

59
***

Fu dunque questa, dopo sei anni che


non ti vedevo, la situazione
mentale con la quale comiciai a
progettare il tuo sequestro.

Non importava dove o come o quando,


quel che contava era che cominciai
ad a(r)marmi, affittai una casa,
acquistai del pesce fresco – so-
gliole di Dover, s’intende – e mati-
te, matite per tracciare rotte,
rette, appuntare nomi di persone e
strade necessarie per la fuga.

Mi caricai drogandomi con


dell’erba intervallata a xanax e
con un coltellino svizzero mi ta-
tuai sul petto per sempre il motto

NON IMPORTA

60
se per anni o quarti di vita o
fisso ammaliato dal pendolo dovrò
aspettarti per vent’anni, bene
amore mio, io ti aspetterò.

61
***

La lettera la ricevo due mesi


prima di questa partenza da tua
madre e parla di Liverpool e a
Liverpool sono, amore, per
proteggerti, per riportarti a casa.

Così mi apposto nella stanza, mi


faccio carta da parati e inizio a
pianificare il progetto concreto
di un esercito, un esercito di lu-
mache: le raccolgo dagli scoli dei
canali, salgo saliamo con
l’ascensore, l’esercito non deve fa-
re sforzi inutili, le dispongo or-
dinate nella loro teca, individuo
il Generale, colei che saggia già
marciava in balcone ancor prima
che il progetto venisse addirittu-
ra pensato, un precursore; con
l’uniposca la fregio di verde, non
vedi Amore, ho formato l’esercito
delle lumache per conquistarti, per
riportarti a casa, tesoro mio.

62
E poi seziono piccole foglie di
lattuga per il rancio dell’Esercito
delle Lumache da qui in avanti,
per comodità, rinominato EDL.

Attorno a me osservo le pareti ri-


coperte con carta da regalo nata-
lizia, questa piccola casa inglese
piena di renne. Poi la stanchezza o
lo xanax o l’erbetta medica mi fa
effetto e vedo le renne partire,
sgambare, stirare gli stinchi,
scalciare e cominciare a correre
attorno alla stanza doppiandosi,
raggiungendosi, sovrapponendosi e
tutto mi crolla addosso, sento un
profumo di muschio e l’angosciante
ululare del vento.

63
Sento un aereo che plana, immagino
un atterraggio d’emergenza, sento
le grida di centellinate mamme
fuori, immagino UN bambino e UNA
bambina che si tengono per mano,
vanno in direzione opposta al ri-
chiamo, ho paura di star solo ho
paura del ragno ho paura di di-
menticarmi per sempre il tuo pro-
filo, sono una lumaca e come tutte
le lumache ho paura di attraver-
sare qualsiasi cosa, senza rima-
nerne schiacciato.

64
***

L’EDL, proclamo, dovrà mantenersi


da solo; di comune accordo dovranno
gestirsi, mangiare poco o meno,
sostenersi, allenarsi, prepararsi
all’attacco e, soprattutto, non
chiedermi mai niente.

65
***

Ma poi il ricordo torna a te,


partoriente bianca in ospedale, la
suora le suore tutte le suore,
sguardi di controllo severi, luce
bianca nella camera da letto, i
fiori la domenica, la cena più
tardi, ogni cosa sottintesa
malinconica e di troppo

e poi ricordo una gran luce e solo


i miei pensieri a farmi ombra, la
stanza grigia come grigie le
stanze

– se fuori è così buio allora


questa stanza deve per
forza essere l’ultimo ripa-
ro –

66
***

e poi ricordo il bambino e tu che


non lo volevi vedere e ognuno i-
diota a dirti cose, a trovare nasi
somiglianti, assonanze, convergen-
ze, lineamenti, confluenze e tutti
idioti a dirti un nome, cerca un
nome, come se la cosa ti riguardas-
se, come se la cosa ti potesse coin-
volgere.

67
***

68
Il delirio della partoriente

Strani oerchL poio ke gambe riesci


a nyiberle, le sentoi eancje jk
resto, senrti ka testa pesanbetm
dura, non riesco af aprire flj
icnnki, giramri mi cksfa, le fambe
lòe sento e jul resto

(strano perché poi le gambe riesco


a muoverle, le sento e anche il re-
sto, sento la testa pesante, dura,
non riesco ad aprire gli occhi, gi-
rarmi mi costa, le gambe le sento e
il resto)

e allia mi biene da crfedere che


magari srk morendi, magari tra yn
oip di miunurti op rjutti finirto
elaoota devik svrigarnmi afer
tutti i oensieru belli, miva poreà
morire con idede ewuslisosi

(e allora mi viene da credere che


magari sto morendo, magari tra un
po’ di minuti è tutto finito e
69
allora devo sbrigarmi a fare tutti
i pensieri belli, mica potrò morire
con idee qualsiasi)

che disdfatta, che figuta, morire


cisò, in un letti come tutti, le
miyanse sporche il smfo domfkdio,
che fifuta, damorfa nikn oitersoi
giustidicare, e una zanzarea mi
attende sukl urio, che dsifstaa non
potele soptaccucuere

(che disfatta, che figura, morire


così, in un letto come tutti, le
mutande sporche, il seno gonfio,
che figura, da morta non potermi
giustificare, e una zanzara mi
attende sul muro, che disfatta non
poterle sopravvivere)

e alogta sak ak nonkha, faccio la


riclizkolme, i rito si, tra poxo
mki alzo ebao in badno, la pipi in
qiesyo è definiriba, spuitga
70
ekimjnz esoelld tossieimd doloei
garnaxi asparadi; senro ance le
ampaem, domiuniva, nobe undici o
mezzofiornmo, l’ora della messa,
pobnreebe essikew una si qujesta
ore, nobe undicix o mezzofjiono

(e allora sai la novità? faccio la


rivoluzione, mi tiro su, tra poco
mi alzo e vado in bagno, la pipì in
questo è definitiva, spurga elimina
espelle tossine dolori farmaci a-
sparagi; sento anche le campane,
domenica, nove undici o mezzogior-
no, l’ora della messa, potrebbe es-
sere una di queste ore, nove undici
o mezzogiorno)

e tjtkt i fatti fibentan tiaranni,


si sposca dpa e a la nebbia e snrii
la stanxhezza addosso; oea mi metto
in soidapege e tossosco
un0altalejma dik penigense; tutti
ingatii doibentanio roiabnbi;
orfni baita di vita diversa dalla
mia soddiava in un fitorondo.

71
(e tutti i gatti diventano tiranni,
mi sporca d’avena la nebbia e sento
la stanchezza addosso; ora mi metto
in disparte e tossisco un’altalena
di penitenze: tutti i gatti
diventano tiranni, ogni forma di
vita diversa dalla mia soffoca in
un girotondo).

72
***

Poi tre mesi da tua madre e il mio


lavoro stabile; ogni sera il
rientro con te muta, distante dal
bambino

- Piange, ha sonno, i denti, i


denti, quando dovranno
spuntare i denti? Mi sento
strappare i capezzoli, non
voglio nutrirlo di me, mi
sento svuotata, mi sento
andata via, ti prego, non
lasciarmi sola

73
e l’aiuto parlato sussurrato ogni
giovedì pomeriggio, portarti da
uno psicologo, tua madre ad acca-
rezzarti il capo, io ad aspettarti
con il caldo latte artificiale

- Non lasciarmi sola, per favo-


re, ho troppe geometrie da
risolvere, l’aritmetica non
quadra

e i turni di notte per stare con te


il giorno e la fame passata, e
dimagrivi dimagristi Isabelle, così
fissa sul vuoto, a costruire
triangoli con gli angoli degli
occhi.

74
***

così mi evaporo mi stupido mi, as-


sorbo lentamente, lenta mente os-
sessionato dallo specchio, dallo
stacco, la paura di non sapere più
farti uscire da un’ipotenusa.

Vorrei baciarti sposa, chissà nella


tua mente ora, se bianca o delusa,
scivolata a mezzogiorno sul sagra-
to di una chiesa, ritratta foto-
montata incastrata in una rosa,
sposa dolce sposa, dove sei ora che
non (ti) basto.

75
Se mi evidenzio catarifrangente
nella posa dell’inadatto, saprai
ridere come un tempo, saprai scio-
glierti dall’abbraccio dei cateti?

76
***

Non so più amare, riesci a capirmi?


So che mi perdonerai ma ho solo
voglia di dormire. Porto via il
bambino, ti scriveremo ogni sedici
mesi; metterò in una busta le foto
e le prime lettere dell’alfabeto che
riuscirà a pronunciare. Vado
perché so che con te posso farlo.
Vado via perché è l’unico modo che
ho per accettarmi. Ho bisogno di
sapermi nuova, senza nome. Il
bambino mi saprà aiutare, mi darà
un’identità e un alibi perfetto. Ho
una parte, adesso. Fammela
recitare.

Vai via da Belgrado, ti prego, c’è


solo dolore. Non hanno distrutto
solamente i palazzi e i cortili. Ci
hanno tolto la memoria. Cosa
ricorderemo non passando più per
la piazza? Come potremo più
sorridere se l’indice si fletterà
nell’indicare il viale davanti casa
77
dove ci siamo baciati la prima
volta? Ricordi come nevicava?
Avevo le guance rosse e tu tremavi.
Non faceva però così freddo. Vai
via pure tu da Belgrado e se
davvero mi ami, promettimi che non
ci torneremo più.

Ora vado, so di poter andare. Mia


madre sarà sempre informata dei
posti nei quali vivrò. Ti prego,
usa queste informazioni con
parsimonia. Lasciale detto dove ti
trovi. So che un giorno di questi,
tra due mesi o tra nove anni, mi
taglierò i capelli e ti passerò a
prendere. Ti dirò: i gatti hanno
smesso di essere tiranni. Mi vuoi
prendere la mano?

78
TERZO

79
80
Qui collocato con le mie lumache,
le zanzare ci guardano e le api ci
spiano; pensiamo che il circostante
sia tutto falso e invidioso così ce
ne infischiamo dei microorganismi
e costruiamo un plastico per essere
più fedeli all’idea del sequestro:
per entrare nella parte del
sequestratore esigo te, accarez-
zarti il collo per settantadue ore
e se davvero mi ami esci, ti prego
amore, esci dalla grotta qui in
fondo al plastico e corri nuda
sulla ferrovia, stupisci i passanti
e i capotreni, non vietarti nulla,
corri amore corri, ridi di te
stessa, non prenderti sul serio,
ridi di quei matti che aspettano il
treno con una coppetta di gelato in
mano, mangiagli la panna, corri
amore corri, costruiamoci una
casetta là in fondo al plastico, coi
fiori e coi fiorai, coi medici e un
battistero, non usciamo dal limite
di bosco, sotto c’è un vuoto
tremendo, il niente amore, lo
capisci, il niente, rimaniamocene
nel nostro plastico perfetto con

81
questo tic tac d’orologio a scandire
il tempo.

Perché quando mi manchi avrei vo-


glia di cucinarti il sonno, di sor-
ridere dei tuoi difetti.

E allora a presto, poche parole,


non è un grido di dolore e forse
non ha senso; immagino te riflessa
su una vetrina, non mi affido alla
vista diretta quando quel vedere
non è il mio captare e non c'è co-
raggio a dar forza a chi il corag-
gio lo deve inventare, non c'è cer-
tezza se non quella di sorriderti e
di fatto sono cazzate forse ma
chissenefrega, vivo legato al tuo
ricordo da un secolo ed è vitale
per me credere che sarai tu a sve-
gliarmi.

Non sentirsi spesso o sentirsi dopo


anni, che differenza fa? è per
questo che da te non mi aspetto ri-
sposta, è semplicemente giunto il
82
momento di incontrarci, giusto per
me e magari sbagliato per te.

Opportunismo? No, io non ti seque-


stro per ricevere qualche cosa, né
per ricevere qualcosa donata a me
da me stesso.

Non c’è liberazione, non c’è riscat-


to, è un semplice messaggio che ti
mando.

Ciao, a presto, uno tra i tanti o


pochi, ricordi tuoi.

83
84
LE LUMACHE SI ORGANIZZANO

L’Esercito Delle Lumache è defini-


to, posso ritenermi soddisfatto;
hanno mostrato capacità di appren-
dimento, tecniche di sopravvivenza
superiori alle aspettative.

Radunato l’esercito nel Quartiere


Generale qui in salotto ho selezio-
nato trentasei lumache tra le più
cattive e le altre congedate.

Mi sono impettito e medaglie e tar-


ghe distribuito ho.

Di seguito i nomi di battaglia del-


le trentasei feroci combattenti:

Ursula, Mannola, Demetra, Jessica


Lange I, Jessica Lange II, Jessica
Lange III, Kunkun, Hoga, Hena Na-
ku, Hikwit, Ikenga, Nzambi, Kijo,
Momotaro, Ganga, g-Nan, Jara, Ku-
85
bera, Saccika, Rahu, O-Goncho, Ke-
le, Yakshi, Tienma, Sambara, Kurma,
Kitsune, Emusa, Kiyohime, Klu,
Churel, Camunda, Bo, Baku (detta
anche Shirokina Kami), Apsaras e
Shozuka no Baba, la più cattiva di
tutte, la più incazzata.

Il piano è questo: Sambara si occu-


perà di rintracciarti. Ha carta
bianca. Di lei sappiamo che ha al-
leanze atlantiche. Una sua parente
fu presente a Yalta nel 1945.
Di lei si suppongono diverse trame
ma non si hanno conferme.
Ricevuto l’incarico è sparita.
Con sé ci sono Kitsune, Rahu, Tien-
ma e Jara. Quest’ultima ha delega
di allacciare rapporti con comandi
internazionali per approvvigio-
narsi armi speciali. Parliamo di
bave, amore mio, bave speciali che
incollano.
86
Le lumache israeliane sono
all’avanguardia in questo campo,
hanno sviluppato nuove tecniche.
Partiranno stasera stessa.

Bo, Baku, Emusa e Klu si occupe-


ranno del settore logistico: hanno
attrezzato una centrale sotto il
vaso della Passiflora, in balcone.
Si manterranno in contatto con il
gruppo di Sambara. Come, non è dato
saperlo.
L’Esercito è all’avanguardia. Nulla
trapela.

Le Jessica Lange I, II e III si oc-


cuperanno del controspionaggio,
qualora ti fossi premunita di un
tuo esercito di bagarozzi, situa-
zione che non possiamo escludere e
che dobbiamo quindi prevedere.

87
A Ursula, Mannola e Demetra viene
affidato il ruolo di allestire i
covi per la tua et di mio figlio
permanenza durante il sequestro.

Mannola si occuperà di allestire


un bagno chimico, Demetra di tro-
vare polistirolo e coperte per in-
sonorizzare le stanze e Ursula,
infine, sarà colei che scatterà la
prima foto.

Materiale occorrente: una Pola-


roid.

Apsaras, Camunda, Kunkun e Hoga


avranno il delicato compito di al-
lacciare contatti per il tuo tra-
sporto, previsto probabilmente me-
diante camion ortofrutticolo.
L’Esercito è particolarmente adatto
e propenso alla mimetizzazione tra
le insalate di importazione, Cana-
sta e Radicchio tardivo.

88
A Hena Naku, Hikwit, Ikenga, Nzam-
bi, Kijo e Momotaro il delicato
compito strategico di gestire il
tutto.
Saranno loro il cuore dell’ opera-
zione.
Ognuna supervisionerà i vari re-
parti facendo in modo che gli stes-
si non vengano a contatto tra loro.
È fondamentale che le varie cellu-
le non conoscano i dettagli
dell’operazione. Riferiranno dati,
sensazioni e fatti a Shozuka no
Baba.
Lei sola conoscerà la complessità
dei movimenti. Lei sola conferirà
con me. Lei sola.

Infine Ganga, g-Nan, Kubera, Sac-


cika, O-Goncho, Kele, Yakshi, Kur-
ma, Kiyohime e Churel sono state
addestrate a tecniche di lotta
all’arma bianca e, pertanto, rap-
presenteranno il fronte combatten-
te armato, spietate quanto basta,
determinate come le voglio.

89
Per ora è tutto. L’appuntamento è
per domattina, al mercato, alle no-
ve. Sappiamo che lei va lì, la let-
tera parla chiaro.

90
***

Le domande non possono avere sem-


pre una risposta. La composizione
di un sano ragionamento richiede,
segmento dopo segmento, parola per
parola, la cura di eliminare le
piccole ansie, la disordinata fila
dei pensieri automatici negativi.

Isabelle è ancora molto giovane;


piccole pieghe attorno agli occhi
non ci confonderanno. Mani curate
e occhi privi di annunci dimostre-
ranno ancora una volta quanto il
tempo sia monotono.

Parlare di progetti sarebbe a que-


sto punto sconveniente. Con gli
stivali neri, nascosti dal risvolto
dei pantaloni, osserva di sbieco i
riflessi provenienti da una vetri-
na: una palla di vetro verde gira
su se stessa illuminando, nella ro-

91
teazione, piccoli campanelli ar-
gentati.

In questo microcosmo Isabelle con-


cepisce come tutto sia rappresen-
tazione e si sente rincuorata a tal
punto che, seppur per un attimo, ha
il pensiero folle di non voler
staccare più lo sguardo da quella
scena ipnotica.

Poi Rach la tira dal fondo della


giacca, dice mamma, mamma e altre
cose sulla mamma.

Checché se ne dica nel tempo non c’è


affatto movimento. Viviamo nelle
mani di una percentuale di persone
e non c’è compromesso.

E adesso per Isabelle, immersa nel


microcosmo, è come se fosse il pri-
mo giorno di vita, re-impara tutto;
è bella la sensazione di assenza,
pensa. Sono vestita leggera e fan-
92
tastico su profumi mentre dita in-
dolenzite rivelano la temperatura
serale.

Non ho freddo, pensa. Mi piaceva il


freddo. A casa tirare giù la tappa-
rella non aveva senso, tanto i gat-
ti mi vedevano pure al buio.

Vita vita vita, come le filastroc-


che ascoltate per sbaglio e per ad-
dormentarsi guardare la mezza lu-
na e immaginare gli alberi in fio-
re, canticchiarsi la silenziosa te-
atralità di un mondo che cresce
muto.

La cosa peggiore è non essere più


attesi. Il sonno è un’arma indi-
spensabile per proteggersi da tutto
questo.

93
E tu da che parte stai? Da quella
che sgancia bombe umanitarie o da
quella che passeggia nelle piazze
per la pace?

Vita vita vita, come in una fila-


strocca a piedi uniti scavalcare
cumuli e pozzanghere e trascinare
sotto le suole il fango misto di
frammenti di capannoni sventrati e
il ferro fuso dal calore sprigio-
nato dall’impatto del missile. Sca-
vare a mani nude sotto l’alluvione
che spazza via i resti di ponti di-
strutti e starsene inermi a guar-
dare la vita che brucia, il giorno
del primo bombardamento.

Così, aspettando l’inverno, un gior-


no era arrivato il primo acquazzo-
ne dell’estate; cinque giorni di
pioggia torrenziale a devastare
intere regioni. I fiumi straripa-
vano abbattendo gli ultimi ponti
94
usciti indenni da tre mesi di bom-
bardamenti.

Niente più raccolto, niente più


racconto.

95
***

Da ieri sera le lumache sono spa-


rite da casa mia, sono strisciate
via, si sono dileguate.

Che idea folle rincontrarti, mi


rinnego, ti tradisco, come volessi
rimpossessarmi di qualcosa un tem-
po pensato: è il senso del possesso
che distrugge tutto, lo sciorinare
come cantilena quel che spetta
perché è mio e quel che spetta per-
ché è tuo.

Passata la sbornia mi mordicchio


le unghie fissando l’opaco cucchia-
ino del caffé pessimo e allungato,
servito nel bar vaporoso.

E penso a questi ragni e graffio


il fondo della tazzina mentre fuo-
ri dalla finestra soffia un vento
forte e le prime luci del giorno
rimbalzano violente.

Bere tutto questo vino non ha avu-


to senso, se lo stordimento non è
96
stato clamoroso, se ciò che volevo
dimenticare si è infine rivelato
ancor più denso.

97
***

Viene da pensare che è stato tutto


un geroglifico e che questo tempo
malsano sia stato solo un incubo di
casa difettosa immaginata prima
bianca e poi piena di nodi, con se-
die rovesciate e spazi occupati da
riccioli di polvere.

Direi di me, di Rach e di questo


tempo passato se solo avesse un
senso, se questo girarsi attorno
servisse almeno a trovarsi. Non
potendo più essere me stessa sono
stata l’altra, quella che fugge,
quella che. Non potendo essere me
stessa ho cancellato tutto – le
bombe in confronto, pane - sono
diventata maglia di rete metallica,
qualcosa di inutile e fermo, neu-
tra.

Direi di me, di Rach, di te, se que-


sto tempo malsano non escludesse i
sepolti vivi e siamo noi, credimi, i
claudicanti della memoria. Via
Rach, via da qui - ripetuto in una
98
saletta d’aspetto - via Rach, via da
qui; febbricitante, invertita o
scivolata, via da qui.

Come splendi sola, come conosci i


dintorni, i via via via – ma che
sforzo - e non perdi niente se non
hai un effetto, se la causa è solo
un tuo pensiero aquilone, se sei
poco più di un olmetto e come tale
hai rami fragili e foglie piccole
e ti neghi da sola, ti regali la
disfatta mentre frughi le porzioni
di vita andate via e la colonna
allungata degli altri via via via
– ma che sforzo.

E attraversare questa strada, li-


quida o versata o sospesa nel cam-
mino, le erbacce senza opinione al
margine della strada con scale in
bemolle esterne a palazzi e lunghi
corridoi per eserciti di panni. Si
vive di disinvolture, cadenti come
smorfie, si è spine negli occhi e di
un unico colore tutti quanti, ver-
de, per disubbidire come già fanno
certi rami storti. Tu, tu che eri
99
una costante cosmica, aiutami a
fuggire dal circostante, oggi che
mi trovo così stanca nel mio acqua-
rio limpido, oggi che mi porto in
giro nascosta in un ventre sgon-
fio, avvolta in un lenzuolo invece
di starmene nella culla di un ri-
svolto; come vorrei asserire in mo-
do accurato che è questo il proble-
ma, così, che questo è il problema.
Posso mediamente osservarmi, di-
stribuire ruoli e suoni col mio
corpo, segmentarmi, rimanere nuda
in attesa di baciarmi. Posso sor-
prendermi, ciondolare, farmi alta-
lena e dondolare, interpretarmi
nella parte dell’alfabeto, compormi.

Eccomi, capelli castani dietro


l’orecchio, a osservare le ferite
rimarginarsi con questo senso di
pace cucito addosso come certi an-
goli della bocca -sei bambina - e
mantieni il segreto e ti viene da
ridere e hai urgenza di assolverti.

Mi verrebbe voglia di scrivere so-


no Isabelle, sono Isabelle e non mi
100
sento più l’acqua marcia dei sotto-
vasi, sono Isabelle e sento estra-
nea la sensazione di aver voglia
di scoppiare a piangere. Sono Isa-
belle spensierata sottovoce, Isa-
belle meglio che non speri, Isabel-
le che non rompi più nulla
nell’istante in cui spegnerai lo
sguardo sbagliato, arresa dai tuoi
sì. E ti farai gelida, davvero in
sottrazione, senza tempo da perde-
re, programmata a scandire gesti
effimeri grazie ai quali ogni
giorno potrai non amare un po’ di
più.
Mi rivolgo a te ora, Cassiopea, ti
ringrazio per non avermi mandato
segnali, per non essere stata
splendente ma piuttosto con aria
sassaiola, per non essere stata
accanto a me senza fretta; mi
guardavi mentre ti pensavo
sdraiata sul letto ed eri ferma, mi
hai detto non alzarti subito,
lasciami finire l’installazione, c’è
un altro cielo anche sopra noi
costellazioni. E ho annuito, salva
mi sono detta, strizzando gli occhi
101
per catturare la favola, per non
crederci finalmente più.

E non mi servono rughe e orizzonti


per guardare verso te, come
controluce mi faccio sbieca e non
teorizzo più paralleli di
costellazioni, vino al vino ti dico
e so che finalmente non capirai ma
almeno potrò smetterla con queste
inutili teorie; ecco l’ho detto, la
parola se d’ottone è inutile.
Inutile come sorseggiare questo
spaventato osceno ultimo sole, sai,
mi rivolgo a te, Cassiopea, spegni
sparisci sfornami qualcosa di
lungimirante, donami ossa tiepide
e muscoli non in tensione, vedi, ho
attraversato briciole e condimenti
malsani, mi sono fatta piega da
stiro, piaga sarebbe scontato da
dire e si son fatte le cinque e
venti e sette e dodici secondi
direbbe l’imprecisa con l’orologio a
cucù nella pochette ma adesso è
l’ora di un punto, grammaticale o
di vista, perché ho perso quelle
estati o perso l’estate d’agosto a
102
Belgrado ed erano fiori e farfalle
e un generale buonumore, quando
tesa gli dissi che avevo un figlio
da perdere e pensieri superlucenti
e un’idea colorata – gialla,
pensavo pensai o avrei pensato –
così la nemmeno troppo improvvisa
mattina mi colse divertita – di
colore gialla, avrei pensato e
Belgrado oggi come allora è una
maniglia da sistemare, un oggetto
metallico giallo lento, come la
sensazione che resta dopo che le
orecchie si emozionano vedendo
scendere senza tempo la notte o la
vita.
Era proprio questo quel che non
trovavo e se devo amare mi
sceglierò una storia da
riascoltare, dandomi un limite
oltre il quale si sprofonderà
ridicolmente nella favola,
nell’incertezza e in un alibi saprò
caderci bene – che bene nelle pene
dell’amore si deve cadere – e non
c’è niente da amare in una notte
immaginaria, nulla da capire ti
potrei rispondere se fossi
103
coraggiosa e avessi tempo da
dedicarti.
Questa notte immaginaria nella
quale dovrei incontrarti se
esistesse l’amore ma cado nello
stesso identico errore, sì, ci
possiamo innamorare solo se siamo
distanti, se non ci chiediamo
niente.

E domattina me ne andrò al merca-


to, in mano l’indirizzo che mia ma-
dre mi ha fatto avere – dove sei,
dove eri, eccoti – spensierata nel-
la galassia che canticchia, bello
per una volta non vederla disinte-
grarsi.

104
GRAN FINALE

L’ATTACCO DELLE LUMACHE

105
106
Dunque, - dice Shozuka no Baba il
Generale – il piano è questo. Tu
Sambara, con Kitsune, Rahu, Tienma
e Jara ve ne andrete al mercato.
Ognuna di Voi dovrà portarsi die-
tro altri sei elementi
dell’esercito. Sarete Voi a coordi-
nare l’attacco. Abbiamo ormai la
certezza che l’Obiettivo si dirige
lì il martedì e il giovedì mattina.
Gli appostamenti continui di Apsa-
ras, Camunda, Kunkun e Hoga hanno
fornito le indicazioni necessarie:
sappiamo di poterci muovere con un
margine di errore prossimo al tre
per cento.

Vorrete dettagli più precisi, im-


magino e il Vostro Generale ve li
fornirà: tu Sambara, con Kitsune,
Rahu, Tienma e Jara avrete il ruo-
lo delicato di infiltrarvi nella
cassetta dell’ insalata là esposta.
Attenzione, le segnalazioni ci in-
dicano canasta e radicchio tardivo
come preferenza. Siete cinque. Il
compito di ognuna di Voi sarà
quello di accedere al settore CN e
107
RDC, che per noi da questo istante
significheranno Canasta e Radic-
chio, col numero di sei elementi
per cespo. Schiereremo pertanto 30
combattenti. Un buon numero. Ci
suddivideremo in siffatto modo:

Gruppo 1) Sambara con Kiyohime,


Hena Naku, Kijo, Kele e Jessica
Lange II.

Gruppo 2) Kitsune con g-Nan, Man-


nola, Kubera, Ikenga e Saccika.

Gruppo 3) Rahu con Hikwit, Momota-


ro, O-Goncho, Ursula e Baku alias
Shirokina Kami

A tal proposito, approfittiamo


dell’occasione per chiarire la tua
preferenza: Baku o Shirokina Ka-
mi? Mm? Shirokina Kami? Bene.

Gruppo 4) Tienma con Emusa, Bo,


Kurma, Klu, e Jessica Lange III.

Gruppo 5) Jara con Demetra, Yakshi,


Churel, Ganga e Nzambi.
108
Jessica Lange I rimarrà con me
fuori dal raggio di azione, saremo
pronte a intervenire qualora qual-
siasi cosa non andasse per il verso
giusto. Ripeto: porre la massima
attenzione nell’operazione di avvi-
cinamento ai cespi. Siete state
preparate fisicamente e mental-
mente a tale intervento ma non
smetterò mai di raccomandare la
massima prudenza: perdere elementi
in questa fase significherebbe
compromettere l’esito positivo del
piano. Dunque, attenzione. Coprite-
vi il guscio l’una con le altre. At-
tendete il posizionamento della
compagna tra le foglie e solo allo-
ra date inizio alla successiva a-
scesa. Secondo punto: una volta ac-
quisita la posizione dovrete ini-
ziare a mangiare le foglie dei ce-
spi nei quali non saremo posizio-
nate. In tal modo l’Obiettivo li
scarterà automaticamente andando
a prediligere i sei cespi da noi
controllati. Occorre una buona do-
se di tempo e di fortuna ma conto
sulle vostre capacità tecniche. Una

109
volta effettuata tale operazione
non ci sarà che d’attendere, celate
tra le foglie. Appena uno dei cespi
verrà prescelto avremo l’obiettivo
in mano. A quel punto sarà tutto
molto semplice. L’avremo sequestra-
ta.

Certo, pensò Shozuka no Baba ri-


flettendo tra se e se, il guaio
sarà dopo, una volta che ci avrà
portato a casa sua ma a questo
penserò successivamente e come
tutte le cose confuse che ti
passano per la testa, meglio non
comunicarle.

110
***

Passeggiare contando le foglie ca-


dute, chissà se hanno pace, se sta-
ranno mai al caldo, se conoscono il
dolore o il dormire; chissà se han-
no comportamenti e problemi con le
altre foglie, se si sanno far per-
donare o capire, se gli basterà
bersi un bicchiere di vino per si-
stemare tutto. E finalmente, dopo
quel continuo cadere, se sono anco-
ra capaci di amare.

Passeggiare contemplando lo sguar-


do di una moglie, chissà se avrà
voce, se sentirà ancora il cuore
caldo, quanto dolore avrà conosciu-
to e se riuscirà ancora a dormire
bene; se riesce ancora a mantenere
comportamenti tolleranti, se ha
smesso di avere problemi con le fi-
glie, se ha saputo perdonare, se è
stata capace di farsi capire: se le
è bastato un bicchiere di vino per
dimenticare tutto. E se dopo questo
continuo girovagare, sente ancora
la tentazione di amare.

111
Passeggia, Isabelle, degustando lo
scudo dell’insicurezza, di ogni sua
più flebile incertezza. Non sa se
ha ancora voce, se sente ancora
freddo al cuore, se il dolore le è
bastato e se così non fosse se mai
basterà in questa esistenza piena
di rabbia; non dorme più bene da
diverso tempo, sogna gomitoli di
lana verde e cose pronte da man-
giare. Sa perdonare tutto non es-
sendoci più nulla che valga la pe-
na di essere giudicato. Stanca di
pensare, offesa dalla sola idea di
perdonare. Sente di avere poteri
speciali come ogni donna e di poter
ancora tentare di amare, nonostan-
te la fila amara delle cicatrici.

Avanti! grida Kitsune a g-Nan,


Mannola, Kubera, Ikenga e Sacci-
ka, non c’è tempo da perdere, parti
tu Mannola, dai cazzo, dai cazzo,
su, su, sali, sali, dai, via, ora, via
112
Ikenga e a seguire Kubera, poi tu
Saccika e appresso g-Nan, dai, dai,
ci siamo, dai, dai che salgo anche
io, dai cazzo, dai cazzo, ci siamo,
ci siamo! Ci siamo!!! Ok, fantastico,
ci siamo tutte, merda merda merda,
dai, gruppo due al completo, gruppo
due al completo, Signore!!

Questo mentre il mercato vive il


suo martedì mattina di scarti e di
carrelli a intrecciarsi tra loro,
mentre i foulard delle vecchie
creano un arcobaleno cianotico e
un cane annusa i rimasugli di una
crosta di formaggio e, col primo
tepore delle cose stantie, un vago
odore di rancido finisce irrime-
diabilmente per salire dal basso.

Allora ragazze - dice Rahu fissan-


do nelle antenne le cinque guerri-
gliere – inutile fare discorsi o
grida di battaglia: c’è da fare
113
questa cosa e la faremo nel miglior
modo possibile. Hikwit, Momotaro,
O-Goncho, Ursula e Shirokina Ka-
mi, vai!

E così tutto l’esercito, una dopo


l’altra, si va a posizionare tra i
cespi. Sambara, Kiyohime, Hena Na-
ku, Kijo, Kele, Jessica Lange II
assieme a Tienma con Emusa, Bo,
Kurma, Klu e Jessica Lange III e
Jara con Demetra, Yakshi, Churel,
Ganga e Nzambi. Senza troppe esi-
tazioni cominciano a rosicchiare i
cespi esposti, quelli più a portata
di mano. Sono operazioni lampo:
mangiano e si infilano velocemente
nelle insalate di appartenenza,
quelle che collegialmente in pre-
cedenza erano state individuate
come prescelte. Strano dirlo, ma
tutto funziona per il meglio.

114
Cadono le foglie e le strisce pedo-
nali sono sempre meno visibili; I-
sabelle cammina complessa nei suoi
meccanismi, complessa mentre dice
basta dolore, adesso non serve. Ca-
dono le foglie, pronte a rialzarsi
nonostante il cielo, sopra l’attuale
rappresentazione, sembri chiuso o
dia questa impressione. Per Isabel-
le è tutta rappresentazione, la fi-
la delle donne con le mani tese e
troppa gente con unghie a puntare
e nessuno le crederebbe, nessuno
scommetterebbe che solo lei è inno-
cente, che non c’entra niente con
questo furore, che non ha calore e
pace, solo senso di vuoto a perdere
e non fa niente, si ripete
nell’attimo di coscienza, da ora mi
basto, da ora mi basto, da ora mi

Shozuka no Baba il Generale e Jes-


sica Lange I se ne sono rimaste a
debita distanza a controllare

115
l’intero settore, valutando con
piena soddisfazione come in questa
prima fase non abbiano subito per-
dite. Una volta appurata la per-
fetta collocazione dell’EDL si van-
no a posizionare all’uscita pedona-
le del mercato.

Cammina, Isabelle, l’inquietudine se


ne va e lascia solo cenere e un
braccialetto che trova per terra,
palline rosse e viola legate attor-
no a uno spago bianco, le conta le
conta le conta per non scordare
più quel numero di palline colora-
te. Fiori al mercato, è pieno di
fiori e rimane fissa su un mazzet-
to di margherite con un piccolo
vuoto di lato, ne manca certamente
una, le suggerisce il suo sentire
bianco, ne manca certamente una.
Avrebbe voglia di uscire dal mer-
cato e di andare in un prato a
raccoglierla per metterla lì, lì
116
dove manca. Poi immagina che non
cambierebbe niente e fa un ragio-
namento sulle stagioni, le sembra-
no quattro assi in un mazzo di
carte mischiate e le viene da
piangere – non cambia mai niente,
non cambia mai niente – e si ri-
trova di nuovo a fissarsi le gambe
senza nemmeno aver gridato.

Ragazze la vedo, la vedo! dice


Momotaro e fa segno alle altre di
abbassare le antenne, di stare in
tensione che tra poco si entra in
azione e si avvicina davvero, Isa-
belle, la mano a scartare le prime
insalate – pensa se torno è per non
rimpiangere, è solo per bastarti –
e senza muri dovrà essere la nuova
casa, mai più vuoti tra le marghe-
rite, da domani dormire accanto a
te e la sera mai e poi mai e poi
mai lasciarti più. Non verserò
stelle e idee banali nell’imbuto di
questo tempo osceno, saremo per
sempre tre cose belle e non ci al-
117
zeremo da letto se fuori ci sarà
pioggia o se cadranno mele, se ci
sarà un temporale di scorze di li-
mone, se tuoni di troppa civiltà ci
sfiduceranno, non ci alzeremo su-
bito, giuro amore, non faremo i se-
ri, ce la vedremo con le galassie
sconosciute, spiegheremo loro tut-
to, racconteremo la favola dei no-
stri silenzi, di queste spaventose
distanze senza dimenticarci tutti
gli inutili particolari che ci ap-
partengono. E scarta ancora – dai
dai dai che ci siamo, dai che ci
prende - si concentra Jessica
Lange II – Isabelle è soprappen-
siero lì che scarta e con gesto ra-
pido ripone nel sacchetto di carta
il primo cespo di canasta – caz-
zooooooo!!!! cazzoooooo!!!! urla Hi-
kwit rotolando verso il fondo
della busta - Ci siamo, ci siamo!
ragazze ci siete? Ci siamo, ci
siamo! rispondono Rahu, Momota-
ro, O-Goncho, Ursula e Shiroki-
na Kami, ci siamo tutte, perdio –
e continua a rovistare, Isabelle,
118
mentre i pensieri si fanno sereni
e un gatto le si strofina sullo
stivale sinistro, si sente salva, in
grado di promettere sorrisi sereni
e lunghe passeggiate e mentre lo
pensa fa scivolare una costola di
radicchio nella busta e – Wow che
botta! dice Ganga cappottandosi,
chiudendosi nella chioccia per
proteggersi dalla caduta – e a
Jara viene da ridere e il piano
sta andando alla stragrande,
sono già dodici, si dice, poi le
viene un dubbio e chiama la
conta dice: Ehi ci siete? e dice
di sì Demetra e qui con me c’è
pure Yakshi, non vedo Nzambi, ah
no, eccola! e Churel sta lì in
fondo – ci siamo, ci siamo, ci
siamo tutte, che figata! – e Isa-
belle incrocia le dita, le viene
sempre da fare così, forse un gesto
automatico, un tic, non se l’è mai
chiesto e chiude la busta, la manda
alla pesa, tira fuori dalla borsa
una grandinata di spiccioli, ne
seleziona alcuni, paga e l’ab-
119
biamo, l’ab-biamo, l’ab-biamo se-
que-stra-ta! l’ab-biamo, l’ab-biamo,
l’ab-biamo se-que-stra-ta! cantano
le deficienti nel sacchetto, si sono
messe tutte nel fondo, sono uscite
dalle coste, O-Goncho è su di giri,
ritta sulla chioccia intona canti
di festeggiamento - l’ab-biamo,
l’ab-biamo, l’ab-biamo se-que-stra-
ta! e Isabelle si incammina ignara
del trambusto nella sua busta, con
gli occhi benedice le erbacce agli
angoli della strada, quattro buste
di plastica bianca rotolano verso i
margini del marciapiede. Svolta in
Market street, supera Argyle
street, pensa all’acqua che tra poco
berrà, non alla strada che percor-
re, si sente nuda, finalmente nuda
e senza vergogna, senza più fretta
– poi svolta in Albion street, la
percorre tenendosi sulla destra e –
ah ah ah ah!! Per l’esercito delle
lumache hip hip? hurrà!!! – Chi è
che non era capace a sequestrare
un ostaggio eh? ah ah, l’abbiamo,
l’abbiamo, l’abbiamo sequestrata!!
Momotaro, Momotaro vieni qui! E per
120
Momotaro hip hip? hurrà, hurrà,
hurrà! E Momotaro è una brava ra-
gazza, Momotaro è una brava ragaz-
za, Momotaro è una brava ragazza e
nessuno la vuol sposar!!! Ah ah!
Shirokina passa pure a noi quella
foglia di radicchio! Shirokina
Shirokina non fare la sciocchina,
Shirokina Shirokina non fare la
sciocchina!

Poi Isabelle trova l’entrata aperta


e salire le scale è un gesto sem-
plice e finale che la conduce, dopo
una rampa, davanti al suo portone.

Quando le apre, i capelli legger-


mente disordinati, lei gli sorride,
gli dice

“Ciao, i gatti hanno smesso di


essere tiranni. Mi vuoi prendere
la mano?”

121
122
FINE

123
124
Flavio Toccafondi è del 1974.
Ha pubblicato “Scatto matto”, I fi-
gli belli – 2004, “Vi tiravamo sas-
si”, Marcovalerio – 2006, “Brahms
fece il pianista in un bordello”,
Liberodiscrivere – 2006, “Scolopen-
dra”, con Alessandro Ansuini, Lulu
- 2008, “Irraggiamento di spari e
polvere” – Samiszdat – 2008.
È il suo primo libro in un anno
dispari.

125
126
Ringraziamenti.

A Valeria, per essere rispuntata


come una lumaca dopo un acquazzone
e per aver tentato di impormi il
titolo.

A Paolo Pierri per un paio di cose.

A Marika per essersi sorbita la


lettura del testo per telefono.

A Lara e Cino.

A Shozuka no Baba che, seppur per


un giorno solo, è davvero esistita
sul mio balcone.

127
128
Per quando avrete finito di
leggere questo libro

Ve lo scrivo adesso, perché è pur-


troppo necessario che alcuni (la
statistica è spaventosamente cru-
dele) non terminino la lettura. Per
i più svariati motivi: momento sba-
gliato, incapacità ad arrendersi,
propensione ai classici, vita. Qua-
le che sia il motivo, voi che siete
arrivati qui, fate parte di un
circolo tremendamente ristretto. A
voi dico: non fatevi convincere da
tutta la propaganda che c’è in gi-
ro. Non credeteci a quella storia
della massificazione.

Qualche anno fa, in una discussio-


ne, una giovine scrittrice molto
convinta dei suoi mezzi spese buona
parte della sua virulenza verbale
nei miei confronti per affermare
che “Va dove ti porta il cuore” era
un gran libro. Lo dimostravano i
dati di vendita. Il suo assunto si-

129
gnificava, a spanna, che se un mi-
lione e passa di persone avevano
comprato quel libro, allora era un
libro buono, valido, che piaceva
alla gente. E se un libro non piace
alla gente non è un gran libro.
Non sto a tediarvi con le argomen-
tazioni che tirai fuori per confu-
tare quella che, ancora oggi, giu-
dico una teoria ridicola.

Resta il fatto che più di un milio-


ne di persone hanno letto quel li-
bro.

Noi siamo molti meno.

Ma abbiamo, con grossa probabilità,


più letture in comune. E, figli di
quelle letture, siamo arrivati qui.
E niente, lo so io e lo sapete voi,
sarà più lo stesso.

La letteratura, contrariamente a
quanto si spaccia oggi, è un corpo
vivo, in evoluzione. I suoi cicli
sono oltremodo irregolari e diffi-
cilmente classificabili. Ma sap-
130
piamo che, ogni trenta, quaranta,
cinquanta anni, arriva uno tsuna-
mi che cambia il modo stesso di in-
tendere la letteratura. Scendono i
barbari, riprendendo l’ultimo lavo-
ro di Baricco, e cambiano le cose.

La reazione è solitamente violenta


e crea fazioni contrapposte.

Stavolta non andrà così. La logica


del “libero” mercato, che non trova
differenza tra un libro e un etto
di mortadella e che per sua natura
è conservatrice, utilizzando i mez-
zi che la nostra società possiede,
interviene giocando d’anticipo,
raccontandoci che cosa è buono e
cosa non lo è, producendo e caldeg-
giando dei libri che niente sono
più che fiction letterarie.
E, facendosi forte dei milioni di
lettori che rispondono alla chia-
mata, nascondendo ciò che non si
allinea.
Ma, purtroppo per loro, non si al-
linea l’atto creativo.

131
Per quanto possano cercare di non
vederlo, lo tsunami è passato.
Flavio ne è decisamente parte.

Alessandro Cinelli

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134

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