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Di che cosa parliamo quando parliamo di umanit
A centocinquantanni dalla morte di Pierre-Joseph Proudhon, una riflessione
sul significato di un termine che talvolta viene usato del tutto
impropriamente. Il filosofo e anarchico francese temeva che la parola celasse
lintenzione di ingannare. Daltronde, se ben adottata, unespressione che
pu sottrarci a forme di sopraffazione.
di Stefano Rodot, da Repubblica, 7 dicembre 2015
Pochi ricordano il nome di Pierre-Joseph Proudhon, morto
centocinquantanni fa. Qualcuno ne incontra lo sguardo nei musei parigini che
espongono i due ritratti del suo amico Gustave Courbet. Compaiono ancora
nelle discussioni pubbliche alcune sue frasi taglienti la propriet un
furto, chi dice umanit vuole ingannarvi. Questultima appartiene
allarchivio delle denunce delluso strumentale e distorcente di grandi parole,
come quelle attribuite a Madame Roland mentre veniva condotta alla
ghigliottina (O libert, quanti crimini si commettono in tuo nome) o a
Samuel Johnson (il patriottismo, ultimo rifugio di una canaglia).
Linvettiva di Proudhon ha trovato un rilancio e unambigua, rinnovata
fortuna quando se ne impadronito nel 1927 Carl Schmitt, che dellidea di
umanit ha parlato come di una disonesta finzione, come di uno
strumento ideologico particolarmente idoneo alle espansioni imperialistiche
. Queste parole sferzanti colgono luso strumentale del termine, gli abusi
linguistici e politici, tra i quali spicca ormai il riferimento alla guerra
umanitaria per fondare interventi ispirati a pura logica di potenza. La
riflessione di Schmitt accompagnata dal rifiuto della dottrina della
fratellanza e delluguaglianza, s che la costruzione della vera humanitas,
svincolata da questi riferimenti, deve rispondere a un ideale di selezione
razziale e matrimoniale, che si converte in unesclusione dallumanit di chi
non corrisponde ad un determinato modello, con gli esiti violenti che abbiamo
conosciuto. Sgombrato il campo dalla disonesta finzione, il dato reale la
consegna alla politica liberata da ogni vincolo di tutti gli esclusi, ormai
degradati a oggetti.
Nelle parole di Proudhon si coglie piuttosto una messa in guardia, in quelle di
Schmitt una ripulsa. Si avvia cos una costruzione dellumanit per
sottrazione, con una continua operazione di scarto di coloro i quali non
sono ritenuti degni di farne parte. Ma questa non una vicenda che possiamo
consegnare al passato, per tranquillizzarci. Viviamo in societ che producono
quelle che Zygmunt Bauman ha definito vite di scarto, selezionate con criteri
attinti unicamente dal processo produttivo. Ecco allora un orizzonte ingombro
di poveri e disoccupati, precari e immigrati, persone alle quali vengono negate
eguaglianza e dignit, destituite di umanit.

http://temi.repubblica.it/micromega-online/di-che-cosa-parliamo-quando-parliamo-di-... 11/12/2015

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Il realismo drammatico di questa constatazione, tuttavia, non ci consegna ad


un pensiero che deve espellere da s la consapevolezza dellumanit. Al rifiuto
dellaltro, al disgusto che pu destare il suo modo di vivere, Martha Nussbaum
contrappone la politica dellumanit. Alla sottrazione di diritti, che la
costruzione per sottrazione dellumanit implica, si oppone la riflessione di
Hannah Arendt, che ci ricorda come il diritto ad avere diritti, o il diritto di
ogni individuo ad appartenere allumanit, dovrebbe essere garantito
dallumanit stessa.
Ma come si definisce lumanit? Chi parla in suo nome? Per rispondere,
bisogna muovere da una premessa semplice, anche se impegnativa: pu
ritrovarsi umanit solo l dove eguaglianza, dignit e solidariet trovano
pieno riconoscimento. Troviamo un riferimento eloquente nelle parole
dellInternazionale: LInternazionale futura umanit, bella traduzione del
testo originale, dove si dice lInternationale sera le genre humain. Perch
sottolineare queste parole? Perch lumanit declinata al futuro, non vista
come la somma degli esseri viventi, come un semplice dato quantitativo, un
insieme biologico, una realt gi esistente, di cui ci si pu limitare a prendere
atto. qualcosa da costruire incessantemente attraverso lazione comune e
solidale di una molteplicit di soggetti, che producono non tanto un valore
aggiunto, ma una realt continuamente aumentata. il processo al quale
stiamo assistendo, quello di umanit che include e riconosce tutti gli altri,
quasi capovolgendo la conclusione di Sartre, linferno sono gli altri.
Ma, con la globalizzazione, questa umanit si fa tutta presente, e pu essere
percepita come invadente. Ogni accadimento, per quanto lontano, ci fa
partecipi di quel che accade alle persone colpite da un terremoto, o da uno
tsunami, in luoghi che fino a ieri erano remoti e che il sistema della
comunicazione avvicina e rende visibili. Questo provoca moti di solidariet:
basta digitare un numero sul cellulare per far arrivare un contributo
finanziario allalluvionato asiatico o al bambino africano. Se, per, queste
persone si materializzano ai nostri confini, possono diventare oggetto di
rifiuto. cos per i migranti, per i poveri, visti come aggressori o incomodi.
Cos gli altri tornano ad essere segni dun inferno al quale si vuole sfuggire.
Di colpo lumanit si scompone e si immiserisce. Quella lontana suscita
ancora sentimenti e azioni solidali, quella vicina turba. Lidea di prossimo si
rattrappisce, sembra addirittura morire. Al suo posto troviamo spesso
comunit chiuse. Ma questa constatazione, ci conferma che lumanit una
costruzione ininterrotta, non un approdo consolatorio. Vi sono usi di
umanit che la costruiscono come un riferimento capace di sottrarci a
sopraffazioni. Quando si parla di patrimoni dellumanit, si sfidano sovranit
e propriet, che vorrebbero sottoporre al potere e agli egoismi degli Stati e dei
privati pezzi del mondo, e persino ci che fuori di esso come spazio e tempo.
Lo spazio extra-atmosferico non pu essere sottoposto alla sovranit statale,
come il fondo del mare o lAntartide. I luoghi dichiarati dallUnesco
patrimonio dellumanit vengono ritenuti meritevoli di una disciplina che li
sottragga agli intenti speculativi nellinteresse anche delle generazioni future.
E cos cominciano ad individuarsi anche i soggetti che possono parlare in
nome dellumanit, con specifici diritti, obblighi e responsabilit. Compaiono
gli Stati che, avendo firmato un trattato comune sullo spazio extraatmosferico o sul fondo del mare, possono opporsi alle mire di chi vuole
appropriarsene. E tutte le persone alle quali, per salvaguardare un sito o un
ambiente o una eredit culturale, deve essere attribuito un diritto di azione
popolare per impedire che interessi proprietari possano sottrarre allumanit
il godimento di quei beni.

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Qui lumanit comincia a parlare il linguaggio dei beni comuni. Lacqua e


laria, lambiente globale e la conoscenza in Rete, mostrano connessioni che
rinviano alla sopravvivenza stessa dellumanit, allesistenza di ogni suo
componente, quindi alla necessit di sottrarre quei beni a forme di
appropriazione che possono determinare la negazione di diritti fondamentali.
Ma lumanit si trova di fronte anche allimperativo di sottrarre se stessa a
trasformazioni che portano verso un ambiguo postumano o addirittura alla
sua scomparsa, sopraffatta dallintelligenza artificiale. il tema della
tecnoscienza ad occupare sempre pi lorizzonte, con le denunce di una
persona espropriata di umanit, avviata a divenire una nano- bio-info-neuro
machine. Inoltrandosi in questo sconfinato territorio, la comprensione non
aiutata dal cedere agli opposti estremismi di un catastrofismo senza speranza
e di un ottimismo senza misura.
Le indispensabili analisi del mutamento, di cui non vanno ignorati i benefici,
dovrebbero sempre essere accompagnate da un consapevole sguardo
allindietro, mantenendo saldamente al centro eguaglianza e dignit.
Leguaglianza nellaccesso ai vantaggi incessantemente offerti dalla
tecnoscienza condizione indispensabile perch non nasca una societ
castale. La dignit limite invalicabile, perch proprio qui, reagendo alle
aggressioni di ieri e alle negazioni di oggi, possiamo ritrovare il proprio
dellumano.
(7 dicembre 2015)

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