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INTRODUZIONE

Nel marzo del 1996, la rivistaOutside mi invi in Nepal per partecipare a una spedizione guidata
che doveva scalare il monte Everest e per scrivere un servizio sull'impresa. Ero uno degli otto clienti del
gruppo condotto da Rob Hall, una nota guida neozelandese. Il 10 maggio raggiunsi la cima della
montagna, ma la conquista della vetta richiese un prezzo terribile. Fra i miei cinque compagni di
spedizione che riuscirono ad arrivare in cima, quattro, compreso Hall, perirono nel corso di una tormenta
insidiosa che ci invest senza preavviso mentre eravamo ancora nella parte alta della montagna. Ero
appena riuscito a ridiscendere al campo base, quando appresi che avevano trovato la morte anche nove
scalatori che facevano parte
di altre quattro spedizioni, mentre altri tre sarebbero periti prima della fine del mese.
Quell'esperienza mi lasci profondamente scosso, al punto che la stesura dell'articolo si rivel
un'impresa difficile. Comunque, cinque settimane dopo il mio ritorno dal Nepal consegnaialla rivista
l'articolo, che fu pubblicato nel numero di settembre. Dopo averlo completato, tentai di cancellare
lEverest dalla mia mente per riprendere la vita di sempre, ma ci si rivel impossibile. Immerso in una
fitta nebbia di emozioni confuse, continuavo a cercare di ricavare un senso dalle vicende di quella tragica
spedizione sull'Everest, rimuginando con intensit ossessiva sulle circostanze in cui erano morti i miei
compagni.
L'articolo di Outside era accurato, almeno per quanto mi era possibile data la situazione, ma il
termine di consegna era stato ferreo e il susseguirsi degli avvenimenti tanto complesso da rendere
frustrante il tentativo di ricostruirlo, senza contare che i ricordi dei superstiti erano distorti dallo
sfinimento, dalla carenza di ossigeno e dallo shock. A un certo punto, durante la fase di documentazione,
chiesi ad altre tre persone di riferire un incidente al quale avevamo assistito tutti e quattro in vetta alla
montagna, e non riuscimmo a raggiungere un accordo neppure su fatti essenziali quali l'ora, le parole che
erano state pronunciate e addirittura l'identit stessa dei presenti. Pochi giorni dopo che l'articolo su
Outside era stato dato alle stampe, scoprii che alcuni dei dettagli che avevo riferito erano errati. Per lo
pi si trattava di piccole inesattezze del tipo di quelle che s'insinuano inevitabilmente negli articoli di
cronaca, ma uno degli errori ,non era affatto insignificante, ed ebbe un effetto devastante sugli amici e sui
familiari di una delle vittime.
Quasi altrettanto sconcertante degli errori veri e propri contenuti nellarticolo era la mole di
materiale che era stato necessario omettere per motivi di spazio. Mark Bryant, il direttore di Outside, e
Larry Burke, l'editore, mi avevano concesso uno spazio eccezionalmente ampio per raccontare la storia,
fino a diciassettemila parole, vale a dire almeno quattro o cinque volte l'estensione di un normale articolo
di periodico. Anche cos, mi sembrava che il mio racconto avesse ricevuto tagli troppo drastici per
rendere giustizia a quella tragedia. La scalata dell'Everest aveva scosso la mia vita fin nel midollo, e per
me assunse un'enorme importanza il dovere di registrare quegli eventi con tutti i dettagli, senza sentirmi
limitato da un numero prestabilito di colonne. Questo libro il frutto di quell'impulso coatto.
La fragilit della mente umana ad alta quota ha reso problematico il lavoro di ricerca. Per non
affidarmi troppo alle mie impressioni personali, ho intervistato a lungo la maggior parte dei protagonisti e
in pi occasioni. Quando stato possibile, ho controllato i dettagli consultando i brogliacci della radio
compilati dal personale del campo base, dove non era cos difficile pensare lucidamente. I lettori che gi
conoscono l'articolo apparso su Outside potranno notare alcune discrepanze fra certi particolari indicati
nella rivista, soprattutto in merito ai tempi, e quelli riportati nel libro; la revisione riflette le nuove

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informazioni venute alla luce dopo la pubblicazione del servizio sul periodico.
Alcuni autori e consulenti editoriali per i quali nutro un grande rispetto mi hanno sconsigliato di
scrivere il libro cosi in fretta, invitandomi ad aspettare due o tre anni per mettere una certa distanza fra me
e la spedizione, in modo da acquistare il senso della prospettiva. Il consiglio era valido, ma alla fine l'ho
ignorato, soprattutto perch quello che era accaduto sulla montagna mi stava rodendo le viscere. Ho
pensato che scrivere il libro potesse consentirmi di cancellare l'Everest dalla mia vita.
Naturalmente non e stato cos. Inoltre concordo sul fatto che spesso i lettori restano insoddisfatti
quando un autore scrive per compiere un atto catartico, come ho fatto io in questo caso; ma speravo di
ottenere un risultato positivo mettendo a nudo la mia anima subito dopo la sciagura, ancora in preda al
tumulto delle passioni. Volevo che il mio resoconto avesse un tono crudo e spietato di onest, che forse
correva il rischio di sbiadire col passare del tempo e con l'attutirsi della sofferenza.
Alcuni di coloro che mi hanno sconsigliato di scrivere in fretta erano fra coloro che avevano
cercato di dissuadermi dal tentare la scalata dell'Everest. C'erano parecchie ragioni per non andare lass,
ma tentare di scalare l'Everest e un atto irrazionale di per se, un trionfo del desiderio sul buonsenso.
Chiunque prenda in seria considerazione questa idea si colloca quasi per definizione al di fuori della
possibilit di una valutazione razionale.
La verit pura e semplice e che sono salito sull'Everest pur sapendo di sbagliare, e cos facendo ho
contribuito alla morte di tante brave persone, cosa che probabilmente mi peser sulla coscienza per
molto, moltissimo tempo.

JON KRAKAUER
Seattle, novembre 1996
DRAMATIS PERSON

Monte Everest, primavera 1996[1]

Spedizione guidata della Adventure Consultants

Rob Hall

Nuova Zelanda, organizzatore e

prima guida
Mike Groom

Australia, guida

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Andy Harold Harris

Nuova Zelanda, guida

Helen Wilton

Nuova Zelanda, responsabile del

campo base
Caroline Mackenzie

Nuova Zelanda, medico del

campo base
Ang Tshering Sherpa

Nepal, sirdar del campo base

Ang Dorje Sherpa

Nepal, sirdar scalatore

Lhakpa Chhiri Sherpa


Kami Sherpa
Tenzing Sherpa

Nepal, sherpa scalatore


Nepal, sherpa scalatore
Nepal, sherpa scalatore

Arita Sherpa

Nepal, sherpa scalatore

Ngawang Norbu Sherpa

Nepal, sherpa scalatore

Chuldum Sherpa

Nepal, sherpa scalatore

Chhongba Sherpa

Nepal, cuoco del campo base

Pemba Sherpa

Nepal, sherpa del campo base

Tendi Sherpa

Nepal, sguattero

Doug Hansen

USA, cliente

Seaborn Beck Weathers

USA, cliente e medico

Yasuko Namba

Giappone, cliente

Stuart Hutchison

Canada, cliente

Frank Fischbeck

Hong Kong, cliente

Lou Kasischke

USA, cliente

John Taske

Australia, cliente e medico

Jon Krakauer

USA, cliente e giornalista

Susan Allen

Australia, trekker

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Nancy Hutchison

Canada, trekker

Spedizione guidata della Mountain Madness

Scott Fischer
Anatoli Boukreev
Neal Beidleman
Ingrid Hunt

USA, capo e guida principale


Russia, guida
USA, guida
USA, responsabile del campo

base e medico della spedizione


Lopsang Jangbu Sherpa

Nepal, sirdar scalatore

Ngima Kale Sherpa

Nepal, sirdar del campo base

Ngawang Topche Sherpa

Nepal, sirdar scalatore

Tashi Tshering Sherpa


Ngawang Dorje Sherpa
Ngawang Sya Kya Sherpa
Ngawang Tendi Sherpa
Tendi Sherpa
Big Pemba Sherpa

Nepal, sirdar scalatore


Nepal, sirdar scalatore
Nepal, sirdar scalatore
Nepal, sirdar scalatore
Nepal, sirdar scalatore
Nepal, sirdar scalatore

Pemba Sherpa

Nepal, sguattero del campo base

Sandy Hill Pittman

USA, cliente

Charlotte Fox

USA, cliente

Tim Madsen

USA, cliente

Pete Schoening

USA, cliente

Klev Schoening

USA, cliente

Lene Gammelgaard
Martin Adams

Danimarca, cliente
USA, cliente

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Dale Kruse

USA, cliente e medico

Jane Bromet

USA, giornalista

Spedizione della McGillivray Freeman IMAX/IWERKS

David Breashears USA,

organizzatore e regista

cinematografico
Jamling Norgay Sherpa

India, vice capo della spedizione

e attore cinematografico
Ed Viesturs

USA, scalatore e attore

cinematografico
Araceli Segarra

Spagna, scalatore e attore

cinematografico
Sumiyo Tsuzuki

Giappone, scalatore e attore

cinematografico
Robert Schauer

Austria, scalatore e uomo di

cinema
Paula Barton Viesturs

USA, responsabile del campo

base
Audrey Salkeld

Gran Bretagna, giornalista

Liz Cohen

USA, produttore cinematografico

Liesl Clark

USA, produttore cinematografico

e scrittore

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Spedizione nazionale di Taiwan

Makalu Gau Ming-Ho

Taiwan, capo della spedizione

Chen Yu-Nan

Taiwan, scalatore

Kami Dorje Sherpa

Nepal, sirdar scalatore

Ngima Gombu Sherpa

Nepal, sherpa scalatore

Mingma Tshering Sherpa

Nepal, sherpa scalatore

Spedizione del Sunday Times di Johannesburg

Ian Woodall

Gran Bretagna, capo della

spedizione
Bruce Herrod
Cathy O'Dowd
Deshun Deysel

Gran Bretagna, vice e fotografo


Sudafrica, alpinista
Sudafrica, alpinista

Edmund February

Sudafrica, alpinista

Andy de Klerk

Sudafrica, alpinista

Andy Hackland

Sudafrica, alpinista

Ken Woodall

Sudafrica, alpinista

Tierry Renard

Francia, alpinista

Ken Owen

Sudafrica, sponsor e trekker

Philip Woodall

Gran Bretagna, responsabile del

campo base

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Alexandrine Gaudin

Francia, assistente

amministrativa
Charlotte Noble

Sudafrica, medico della

spedizione
Ken Vernon

Sudafrica, giornalista

Richard Shorey

Sudafrica, fotografo

Patrick Conroy

Sudafrica, operatore radio

Ang Dorje Sherpa

Nepal, sirdar

Pemba Tendi Sherpa

Nepal, sherpa scalatore

Jangbu Sherpa

Nepal, sherpa scalatore

Ang Babu Sherpa

Nepal, sherpa scalatore

Dawa Sherpa

Nepal, sherpa scalatore

Spedizione guidata della Alpine Ascents International

Todd Burleson

USA, organizzatore e guida

Pete Athans

USA, guida

Jim Williams

USA, guida

Ken Kamler

USA, cliente e medico della

spedizione
Charles Corfield

USA, cliente

Becky Johnston

USA, trekker e sceneggiatrice

Spedizione dell'International Commercial

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Mal Duff

Gran Bretagna, organizzatore

Mike Trueman

Hong Kong, vice

Michael Burns

Gran Bretagna, responsabile del

campo base
Henrik Jessen Hansen

Danimarca, medico della

spedizione
Veikka Gustafsson

Finlandia, alpinista

Kim Sejberg

Danimarca, alpinista

Ginge Fullen
Jaakko Kurvinen
Euan Duncan

Gran Bretagna, alpinista


Finlandia, alpinista
Gran Bretagna, alpinista

Spedizione della Himalayan Guides Commercial

Henry Todd

Gran Bretagna, organizzatore

Mark Pfetzer

USA, scalatore

Ray Door

USA, scalatore

Spedizione indipendente svedese

Goran Kropp
Frederic Bloomquist
Ang Rita Sherpa

Svezia, scalatore
Svezia, regista cinematografico
Nepal, sherpa scalatore e

operatore cinematografico

Spedizione indipendente norvegese

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Petter Neby

Norvegia, scalatore

Spedizione guidata Nuova Zelanda Malaysia

Guy Cotter

Nuova Zelanda, organizzatore

e guida
Dave Hiddleston

Nuova Zelanda, organizzatore

e guida
Chris Jillet

Nuova Zelanda, organizzatore

e guida

Spedizione dell'American Commercial Pumori/Lhotse

Dan Mazur

USA, organizzatore

Jonathan Pratt

Gran Bretagna, co-organizzatore

Scott Darsney

USA, alpinista e fotografo

Chantal Mauduit
Stephen Koch

Francia, alpinista
USA, alpinista e appassionato di

snowboard
Brent Bishop
Diane Taliaferro

USA, alpinista
USA, alpinista

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Dave Sharman

Gran Bretagna, alpinista

Tim Horvath

USA, alpinista

Dana Lynge

USA, alpinista

Martha Lynge

USA, alpinista

Spedizione della Nepali Everest Cleaning

Sonam Gyalchhen Sherpa

Nepal, organizzatore

Clinica della Himalayan Rescue Association


(nel villaggio di Pheriche)

Jim Litch

USA, medico

Larry Silver

USA, medico

Laura Ziemer

USA, membro del personale

Spedizione della polizia di confine indo-tibetana dell'Everest


(salita dal versante tibetano della montagna)

Mohindor Singh

India, organizzatore

Harbhajan Singh

India, vice e scalatore

Tsewang SmanIa

India, scalatore

Tsewang Paljor

India, scalatore

Dorje Morup

India, scalatore

Hira Ram

India, scalatore

Tashi Ram

India, scalatore

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Sange Sherpa

India, sherpa scalatore

Nadra Sherpa

India, sherpa scalatore

Koshing Sherpa

India, sherpa scalatore

Spedizione nipponica Fukuoka


(salita dal versante tibetano della montagna)

KOJl Yada

Giappone, organizzatore

Hiroshi Hanada

Giappone, scalatore

Eisuke Shigekawa

Giappone, scalatore

Pasang Tshering Sherpa

Nepal, sherpa scalatore

Pasang Kami Sherpa

Nepal, sherpa scalatore

Any Gyalzen

Nepal, sherpa scalatore

Si direbbe quasi che intorno alta parte superiore di quelle grandi cime sia stata tracciata una linea oltre la
quale nessun uomo riesce a spingersi. La verit, naturalmente, che ad altitudini di 7600 metri e oltre gli
effetti della bassa pressione atmosferica sul corpo umano sono cos intensi che diventa impossibile
compiere delle imprese alpinistiche di un certo rilievo e persino le conseguenze di un modesto temporale
possono essere letali, che solo le condizioni ideali del tempo e della neve offrono una sia pur minima
probabilit di successo e che nell'ultimo tratto della scalata nessuna spedizione in grado di dettare le sue
condizioni...
No, non strano che l'Everest non abbia ceduto ai primi tentativi di conquista; anzi, sarebbe stato
molto sorprendente e non poco triste se lo avesse fatto, perch non questo il volto che ci mostrano le
grandi montagne. Forse eravamo diventati un poco arroganti con la nostra nuova tecnica dei ramponi da
ghiaccio e degli scarponi di gomma, con la nostra era della facile conquista meccanica. Avevamo
dimenticato che sempre la montagna ad avere in mano la carta vincente, a concedere il successo solo a
suo tempo. E perch mai, altrimenti, l'alpinismo conserverebbe ancora il suo profondo fascino?

ERIC SHIPTON
Upon That Mountain(1938)

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A cavalcioni del tetto del mondo, con un piede in Cina e l'altro in Nepal, ripulii la maschera dell'ossigeno
dal ghiaccio che vi si era condensato sopra e, sollevando una spalla per ripararmi dal vento, abbassai lo
sguardo inebetito sull'immensa distesa del Tibet. A un certo livello, con distacco, comprendevo che la
curvatura dell'orizzonte terrestre che s'inarcava ai miei piedi era uno spettacolo eccezionale. Avevo
fantasticato tanto, per mesi e mesi, su quel momento e sull'ondata di emozioni che lo avrebbe
accompagnato; e ora che finalmente ero l, in piedi sulla cima del monte Everest, semplicemente non
riuscivo a radunare energie sufficienti per concentrarmi.
Erano le prime ore del pomeriggio dellO maggio 1996 e non dormivo da cinquantasette ore. L'unico
cibo che ero riuscito a mandare gi nei tre giorni precedenti era una ciotola di minestra e una manciata di
M&M'S. Settimane e settimane di tosse violenta mi avevano lasciato lo strascico di due costole incrinate,
che trasformavano in unatortuta il semplice atto di respirare. A ottomila metri di quota nella troposfera, la
quantit di ossigeno che giungeva al mio cervello era cos ridotta che la mia capacit mentale era
diventata quella di un bambino ritardato. In quelle circostanze, ero incapace di provare granche, tranne
freddo e stanchezza.
Ero arrivato sulla cima qualche minuto dopo Anatoli Boukreev, una guida russa che lavorava per una
spedizione commerciale americana, e poco prima di Andy Harris, una guida della squadra neozelandese
a cui appartenevo. Mentre conoscevo appena Boukreev, avevo finito per conoscere bene e apprezzare
Harris durante le sei settimane precedenti. Scattai in fretta quattro fotografie a Harrise Boukreev in pose
eroiche sulla vetta, poi mi voltai per iniziare la discesa. L'orologio indicava l'una e diciassette del
pomeriggio. Tutto compreso, avevo trascorso meno di cinque minuti sul tetto del mondo. Un istante
dopo mi fermai per scattare un'altra fotografia, questa volta guardando in basso lungo la Cresta Sud-Est,
la via da cui eravamo saliti. Puntando l'obiettivo su un paio di scalatori che si avvicinavano alla vetta, notai
qualcosa che fino a quel momento era sfuggito alla mia attenzione. A sud, l dove il cielo fino a un'ora
prima era perfettamente limpido, una coltre di nubi nascondeva ora il Pumori, lAma Dablam e tutte le
altre vette minori che circondano l'Everest.
In seguito - dopo che erano stati localizzati sei cadaveri, dopo che erano state sospese le ricerche di altri
due scalatori, dopo che i chirurghi avevano amputato la mano destra del mio compagno di squadra Beck
Weathers, attaccata dalla cancrena - tutti si sarebbero chiesti come mai, quando le condizioni
meteorologiche avevano cominciato a peggiorare, gli alpinisti sulla parte superiore del tracciato non
avessero badato a quei segnali. Per quale motivo guide veterane dell'Himalaya avevano continuato a
salire, sospingendo in avanti una banda di dilettanti relativamente inesperti, ciascuno dei quali aveva
pagato fino a sessantacinquemila dollari per essere portato sano e salvo in cima allEverest, cacciandoli in
una trappola mortale cos evidente?
Nessuno pu parlare a nome delle guide dei due gruppi in questione, perch sono morte entrambe; ma
io posso testimoniare che nulla di ci che avevo visto nelle prime ore del pomeriggio di quel 10 maggio
suggeriva che si stesse addensando una tormenta micidiale. Alla mia mente deprivata di ossigeno, le
nuvole che aleggiavano lungo la grande vallata di ghiaccio nota come Western Cwm o Cwm occidentale
[2]sembravano innocue, soffici e inconsistenti. Sfavillanti al sole intenso di mezzogiorno, somigliavano in
tutto e per tutto a quegli innocui sbuffi di condensa causati dalla convezione che s'innalzavano dalla valle
quasi tutti i pomeriggi.
Mentre cominciavo la discesa ero molto in ansia, ma la mia preoccupazione aveva poco a che fare con
le condizioni atmosferiche: il controllo della valvola della mia bombola di ossigeno mi aveva rivelato che
era quasi vuota e dovevo scendere al pi presto.

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Il tratto superiore della Cresta Sud-Est dell'Everest una sottile pinna di roccia e neve battuta dal vento,
percorsa da una massiccia cornice, che serpeggia per quattrocento metri tra la sommit e un'anticima pi
in basso nota col nome di Cima Sud. Percorrere quella stretta cresta non presenta gravi problemi tecnici,
ma si tratta di un percorso pericolosamente esposto. Dopo aver abbandonato la vetta, quindici minuti di
cauta discesa sul ciglio di un abisso profondo oltre duemila metri mi consentirono di raggiungere il
famigerato Hillary Step, un risalto piuttosto marcato nella cresta che richiede qualche manovra tecnica.
Mentre mi agganciavo a una corda fissa, preparandomi a calarmi dallo spuntone di roccia con la tecnica
della corda doppia, notai uno spettacolo allarmante.
Una decina di metri pi in basso, c'era oltre una dozzina di persone in fila alla base del risalto. Tre
scalatori si stavano gi issando in cima alla corda lungo la quale mi preparavo a scendere. Lunica scelta
che mi restava era sganciarmi dalla corda di sicurezza comune e farmi da parte.
Quell'ingorgo comprendeva scalatori che appartenevano a tre spedizioni diverse: la squadra della quale
facevo parte io, cio un gruppo di clienti paganti sotto il comando della celebre guida neozelandese Rob
Hall; un altro gruppo organizzato, guidato dall'americano Scott Fischer, e una spedizione non
commerciale di Taiwan. Salendo a passo di lumaca, l'andatura normale al di sopra dei
settemilanovecento metri, i numerosi scalatori risalirono uno alla volta lo Hillary Step, mentre io aspettavo
in ansia.
Ben presto Harris, che aveva lasciato la vetta poco dopo di me, mi raggiunse. Desideroso di conservare
tutto l'ossigeno che mi restava nella bombola, lo pregai di infilare la mano nel mio zaino per chiudere la
valvola del regolatore, e lui obbed. Nei dieci minuti seguenti mi sentii straordinariamente bene; la testa mi
si era schiarita e avevo l'impressione di essere meno stanco di quando avevo respirato l'ossigeno della
bombola. Poi all'improvviso mi parve di soffocare; la vista mi si oscur e fui assalito dalle vertigini. Ero
sul punto di perdere i sensi.
Invece di spegnere la valvola dell'ossigeno, Harris, anch'egli danneggiato dallo stato di ipossia, aveva per
errore aperto la valvola al massimo, vuotando del tutto la bombola. Avevo appena sprecato l'ultima
riserva di ossigeno che mi restava. C'era, un'altra bombola che mi aspettava alla Cima Sud, cento metri
pi in basso, ma per arrivarci sarei dovuto scendere attraversando il tratto di terreno pi scoperto di tutto
il percorso senza il beneficio dell'ossigeno supplementare.E prima dovevo aspettare che la folla si
disperdesse. Mi tolsi la maschera ormai inutile e, piantando la piccozza nel fianco ghiacciato della
montagna, mi accovacciai sulla cresta. Mentre scambiavo banali congratulazioni con gli scalatori che mi
sfilavano davanti, dentro di me ero frenetico: Presto, fate presto! pregavo in silenzio. Mentre voi altri
vi gingillate quass, io perdo neuroni a palate!
Quasi tutti quelli che mi passavano davanti appartenevano al gruppo di Fischer, ma verso la fine
comparvero due dei miei compagni, Rob Hall e Yasuko Namba. Timida e riservata, la quarantasettenne
Namba sarebbe diventata fra quaranta minuti la donna pi vecchia che avesse mai conquistato l'Everest e
la seconda giapponese che avesse scalato le cime pi alte di tutti i continenti, le cosiddette Sette Sorelle.
Bench pesasse appena quarantacinque chili, le sue proporzioni fragili nascondevano una forza di volont
formidabile; era impressionante vedere come Yasuko fosse stata sospinta verso la vetta dall'incrollabile
intensit del suo desiderio.
Ancora pi tardi, arriv in cima allo Step anche Doug Hansen, un altro membro della nostra spedizione.
Doug era un impiegato postale proveniente da un sobborgo di Seattle, che era diventato il mio migliore
amico su quella montagna. Ce l'hai fatta! gridai nel vento, cercando di mostrarmi pi entusiasta di
quanto fossi. Doug, esausto, mormor qualcosa che non afferrai dietro la maschera a ossigeno, mi strinse

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la mano con un gesto fiacco e riprese ad avanzare faticosamente.


In fondo alla corda cera Scott Fischer, che conoscevo perch vivevamo entrambi a Seattle. La forza e
l'energia di Fischer erano leggendarie, tanto che nel 1994 aveva scalato l'Everest senza usare le bombole
a ossigeno; per questo rimasi sorpreso vedendo che si muoveva al rallentatore e accorgendomi di quanto
fosse sfinito quando si scost la maschera per salutarmi. Bruuuuuce! ansim con allegria forzata,
scambiando con me il suo caratteristico saluto fanciullesco. Quando gli domandai come stava, Fischer
insistette che si sentiva magnificamente. Solo che batto un po la fiacca, non so perch. Niente di
particolare Ora che lo Hillary Step era finalmente libero, mi agganciai alla corda color arancio, aggirai in
fretta Fischer mentre si chinava sulla piccozza e mi calai oltre il ciglio della roccia con la corda doppia.
Quando raggiunsi la Cima Sud erano le tre appena passate. Ormai tentacoli di nebbia si allungavano
oltre la cima del Lhotse, alto 8516 metri, lambendo la piramide superiore dell'Everest. Il tempo non
aveva pi un aspetto cos benevolo. Afferrai una bombola a ossigeno nuova, vi applicai il regolatore e mi
affrettai a scendere, addentrandomi nella nube che si addensava. Pochi istanti dopo essermi calato dalla
Cima Sud, cominci a nevicare leggermente e la visibilit si ridusse quasi a zero.
Un centinaio di metri pi in alto, dove la cima era ancora inondata dalla luce intensa del sole sotto un
cielo color cobalto senza un'ombra, i miei compagni indugiavano per immortalare il loro arrivo sul punto
pi alto del pianeta, svolgendo bandiere e scattando foto, sprecando secondi preziosi. Nessuno di loro
immaginava quale terribile prova si stesse avvicinando; nessuno sospettava che alla fine di quella lunga
giornata ogni minuto sarebbe stato vitale.
Durante linverno, mentre ero lontano dalle montagne, m'imbattei nella foto sfocata dell'Everest
pubblicata nel volume di Richard HalliburtonBook of Marvels. Era una ben misera riproduzione, in cui
le cime irregolari si stagliavano bianche sullo sfondo di un cielo annerito e graffiato in modo
grottesco. L'Everest, in secondo piano dietro le altre vette, non sembrava neppure la montagna
pi alta, ma questo non aveva importanza. Lo era; lo affermava la leggenda. I sogni erano la
chiave dell'immagine, che permetteva a un ragazzo di entrarvi, di fermarsi sulla cresta della
parete sferzata dai venti, di salire verso la vetta, ormai non pi tanto lontana...
Fu uno di quei sogni sfrenati che si accompagnano alla crescita. Ero convinto che il mio sogno di
conquistare l'Everest non fosse soltanto mio; il punto pi alto della T erra, irraggiungibile, immune da ogni
esperienza, esisteva proprio perch a tanti giovani e adulti fosse consentito aspirarvi.
THOMAS F. HORNBEIN
Everest: The West Ridge

I particolari esatti dell'avvenimento non sono chiari, offuscati ormai dall'accumularsi di dettagli
mitologici, ma l'anno era il 1852 e lo sfondo era la sede del Servizio geodetico dell'India, nella localit di
Dehra Dun, fra le colline del nord. Secondo la versione pi plausibile dell'accaduto, un impiegato fece
irruzione nello studio di sir Andrew Wough, ispettore generale per l'India, esclamando che un computer
bengalese di nome Radhanath Sikhdar, addetto ai rilevamenti per l'ufficio di Calcutta, aveva scoperto la
montagna pi alta del mondo. (Ai tempi di Wough, un computer era un contabile, non una macchina.)

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La montagna in questione, denominata Peak xv dai rilevatori sul campo che tre anni prima ne avevano
misurato per primi l'altitudine con un teodolite da ventiquattro pollici, svettava sulla catena montuosa
dell'Himalaya, nel regno proibito del Nepal.
Prima che Sikhdar compilasse i dati del rilevamento ed effettuasse i calcoli, nessuno sospettava che
ci fosse qualcosa di notevole nel Peak xv. I sei punti di osservazione dai quali era stata individuata la
vetta grazie alla triangolazione si trovavano nel territorio settentrionale dell'India, a oltre centosessanta
chilometri dalla montagna. A coloro che avevano eseguito il rilevamento quasi tutta la massa dcl Peak xv
, tranne la sommit, era apparsa oscurata da varie pareti a picco di altezza variabile poste in primo piano,
alcune delle quali davano l'illusione di essere molto pi alte. Tuttavia secondo i meticolosi calcoli
trigonometrici di Sikhdar, che tenevano conto di fattori come la curvatura terrestre, la rifrazione
atmosferica e la deviazione dal filo a piombo, il Peak xv raggiungeva l'altezza di 8840 metri sopra il livello
del mare[3], il punto pi elevato del pianeta.
Nel 1865, nove anni dopo la conferma dei calcoli di Sikhdar, Wough assegn al Peak xv il nome
di monte Everest, in onore di sir George Everest, suo predecessore in quella carica. In realt i tibetani
che vivevano a nord della grande montagna l'avevano gi battezzata con un nome pi mellifluo,
Jomolungma, che tradotto significa Dea madre del mondo, mentre i nepalesi che vivevano a sud
chiamavano la vetta Sagarmata, cio Dea del cielo. Wough, per, decise volutamente di ignorare
quelle denominazioni indigene, nonch la politica ufficiale, che incitava alla conservazione di nomi locali o
antichi, e il nome che rimase defnitivamente in uso fu Everest.
Una volta accertato che l'Everest era il monte pi alto della Terra, era solo questione di tempo
prima che qualcuno decidesse che era necessario scalarlo. Dopo che l'esploratore americano Robert
Peary aveva sostenuto nel 1909 di aver raggiunto il Polo Nord e Roald Amundsen aveva guidato una
spedizione norvegese al Polo Sud nel 1911, l'Everest, ossia il cosiddetto terzo polo, divenne l'oggetto
pi desiderato nel regno dell'esplorazione terrestre. Raggiungerne la vetta, proclam Gunther O.
Dyrenfurth, influente alpinista e cronista dei primi tentativi di scalata dell'Hirnalaya, era un'impresa umana
a livello universale, una causa di fronte alla quale impossibile tirarsi indietro, quali che siano le perdite
che pu esigere.

Quelle perdite, come si vide poi, non sarebbero state insignifcanti. Dopo la scoperta di Sikhdar nel
1852, sarebbero stati necessari, oltre alla vita di ventiquattro uomini, gli sforzi di quindici spedizioni e
centouno anni, prima che la cima dell'Everest fosse finalmente raggiunta.

Fra gli alpinisti e gli altri conoscitori di forme geologiche, l'Everest non ritenuto una vetta
particolarmente attraente. E troppo tozzo nelle proporzioni, troppo largo di raggio, sbozzato in modo
troppo rozzo; ma ci che manca in fatto di grazia architettonica compensato dall'assoluta imponenza
della massa.
L'Everest, che delimita il confine fra Nepal e Tibet, svettando oltre 3650 metri pi in alto delle valli
che ne circondano la base, appare come una piramide a tre lati di ghiaccio scintillante e roccia scura e
striata. Le prime otto spedizioni sull'Everest erano inglesi, e tentarono tutte di scalare la montagna dal
versante settentrionale, cio quello tibetano; non tanto perch presentasse una debolezza evidente nelle
formidabili difese della vetta, quanto piuttosto perch nel 1921 il governo tibetano apr finalmente i confini
del paese, chiusi per lungo tempo agli stranieri, mentre il Nepal continu a restare risolutamente chiuso.

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I primi scalatori dell'Everest erano costretti a percorrere a piedi quasi seicentocinquanta chilometri
da Darjeeling, attraversando l'altopiano tibetano, solo per giungere ai piedi della montagna. La loro
conoscenza degli effetti letali dell'altitudine estrema era scarsa e la loro attrezzatura era pateticamente
inadeguata in base ai criteri moderni. Eppure nel 1924 uno dei membri della terza spedizione inglese,
Edward Felix Norton, raggiunse laltezza di oltre 8570 metri, appena trecento al di sotto della vetta,
prima di essere sconfitto dalla stanchezza e dalla cecit causata dalla neve. Fu un'impresa straordinaria,
che probabilmente non stata superata da nessuno per ventinove anni.
Dico probabilmente a causa di quello che accadde quattro giorni dopo l'assalto alla vetta di
Norton. Alle prime luci dell'alba dell'8 giugno, altri due membri della squadra inglese del 1924, George
Leigh Mallory e Andrew Irvine, partirono dal campo pi in alto per raggiungere la vetta.
Mallory, il cui nome legato in modo inestricabile all'Everest, era la forza propulsiva che aveva
spinto verso la vetta le prime tre spedizioni. Durante un giro di conferenze attraverso gli Stati Uniti, era
stato lui a dare quella celebre risposta: Perch esiste, quando un giornalista irritante gli aveva chiesto
per quale motivo voleva scalare l'Everest. Nel 1924 Mallory aveva 38 anni; era un maestro di scuola
sposato, con tre bambini piccoli. Tipico prodotto delle classi superiori della societ inglese, era anche un
esteta e un idealista, con una spiccata sensibilit romantica. La sua grazia atletica, il suo fascino mondano
e la sua straordinaria bellezza fisica lo avevano reso un favorito di Lytton Strachey e del circolo di
Bloomsbury, al quale apparteneva Virginia Woolf. Mentre erano accampati sulle pendici dell'Everest,
Mallory e i suoi compagni leggevano a voce alta passi dell'Amleto e del Re Lear.
Mentre Mallory e Irvine avanzavano lentamente verso la cima dell'Everest, raggiungendola l8
giugno 1924, la parte superiore della piramide fu avvolta dalla nebbia, che imped ai compagni pi in
basso di seguire i progressi dei due scalatori. Alle 12.50 le nubi si diradarono per un attimo e il loro
compagno Noel Odell intravide per un istante, ma nitidamente, Mallory e Irvine prossimi a raggiungere la
cima, con circa cinque ore di ritardo sulla tabella oraria, ma mentre avanzavano speditamente e
deliberatamente verso la vetta.
Tuttavia quella sera i due scalatori non tornarono alla tenda e nessuno li rivide mai pi. Se uno di
loro o entrambi abbiano raggiunto la cima prima di essere inghiottiti dalla montagna e di entrare nella
leggenda da allora motivo di accanite discussioni. Il bilancio delle prove suggerisce di no; in ogni caso,
in mancanza di elementi tangibili, la loro vittoria non stata riconosciuta.
Nel 1949, dopo secoli di inacessibilit, il Nepal apr i confni al mondo esterno, un anno prima che il
nuovo regime comunista in Cina proibisse il Tibet agli stranieri. Coloro che intendevano scalare l'Everest
dovettero quindi spostare le loro attenzioni sul versante meridionale della montagna. Nella primavera del
1953 una grossa spedizione inglese, organizzata con lo zelo e la ricchezza di risorse di una campagna
militare, divenne la terza spedizione che tent di raggiungere l'Everest dal Nepal. E il 28 maggio, dopo
due mesi e mezzo di sforzi prodigiosi, si riusc a porre un campo sulla Cresta Sud-Est, a circa
ottomilacinquecento metri di altitudine. La mattina dopo di buon'ora Edmund Hillary, un atletico
neozelandese, e Tenzing Norgay, uno sherpa estremamente abile, si avviarono verso la vetta respirando
dalle bombole di ossigeno.
Alle nove di mattina si trovavano sulla Cima Sud e guardavano oltre la cresta stretta che conduceva alla
cima vera e propria. Un'ora dopo erano ai piedi di quello che Hillary defin l'ostacolo pi formidabile
sulla cresta: un risalto di roccia alto circa dodici metri. La roccia in s, liscia e quasi priva di appigli,
sarebbe stata un problema interessante da risolvere una domenica pomeriggio per un gruppo di esperti
scalatori nel Lake District, ma l rappresentava una barriera insormontabile per le nostre forze ormai allo
stremo.

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Mentre Tenzing dal basso mollava nervosamente la corda, Hillary s'incune in una fessura tra la fortezza
di roccia e un appicco di neve verticale alla sua estremit, poi incominci a salire, un centimetro dopo
l'altro, su quello che in seguito sarebbe diventato celebre come Hillary Step, cio il gradino di Hillary.
La scalata era faticosa e rischiosa, ma Hillary insistette finch, come scrisse in seguito:

Riuscii finalmente a issarmi sulla sommit della roccia, uscendo dalla fessura e sbucando su un'ampia
cengia rocciosa. Per alcuni secondi restai disteso a riprendere fiato e per la pnma volta sentii veramente
che ormai nulla avrebbe potuto impedirci di raggiungere la vetta. Poi mi alzai, piantando saldamente i
piedi sulla cengia, per fare segno a Tenzing di salire. Mentre tendevo la corda con vigore, Tenzing riusc a
risalire la fessura e infine si accasci esausto in cima, come un pesce gigante appena tirato fuori dal mare
dopo una lotta terribile.

Sforzandosi di combattere la stanchezza, i due scalatori continuarono a risalire la cresta sinuosa verso la
cima. Hillary si chiese

ottusamente se avremmo avuto la forza di arrivare fino in fondo. Superata un'altra gobba, vidi che la
cresta davanti a noi cominciava ascendere e in lontananza si scorgeva il Tibet. Alzai la testa e l, sopra di
noi, c'era un cono rotondo di neve. Alcuni colpi di piccozza, alcuni passi cauti e Tensing [sic] e io
arrivammo in cima.

E cos, poco dopo mezzogiorno del 29 maggio 1953, Hillary e Tenzing divennero i primi uomini al
mondo che avessero scalato il monte Everest.
Tre giorni dopo, la notizia della scalata giunse alla regina Elisabetta, alla vigilia dell'incoronazione e il
Times di Londra lo annunci la mattina del 2 giugno, nella prima edizione. L'informazione era stata
trasmessa dall'Everest grazie a un messaggio radio in codice (per impedire ai concorrenti di battere sul
tempo ilTimes ) da un giovane corrispondente di nome James Morris che, vent'anni dopo, quando ormai
aveva ottenuto una notevole fama come scrittore, sarebbe diventato famoso per aver cambiato sesso
scegliendo il nome femminile di Jan. Come scrisse Morris, quarant'anni dopo la storica scalata, in
Coronation Everest: The First Ascent and the Scoop That Crowned the Queen :

Oggi difficile immaginare la gioia quasi mistica con la quale fu accolta in Inghilterra la coincidenza fra i

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due avvenimenti [l'incoronazione e la scalata dell'Everest]. Gli inglesi, che si stavano appena riprendendo
dall'austerit che li affliggeva fin dalla seconda guerra mondiale, ma al tempo stesso dovevano
fronteggiare la perdita di un grande impero e l'inevitabile declino del loro potere nel mondo, si erano
quasi convinti che l'ascesa al trono della giovane regina fosse il segno di un nuovo inizio, di una nuova
epoca elisabettiana, come amano definirla i giornali. Il giorno dell'incoronazione, 2 giugno 1953, doveva
essere una giornata che simboleggiava la speranza e la gioia, in cui avrebbero trovato la loro suprema
espressione tutti i sentimenti di lealt patriottica degli inglesi; e meraviglia delle meraviglie, proprio quel
giorno arriv da un luogo remoto, anzi dai confini dell'antico impero, la notizia che una squadra di alpinisti
britannici... aveva raggiunto il supremo obiettivo che ancora restava da conquistare sulla terra
all'esplorazione e all'avventura, il tetto del mondo...
Il momento suscit fra gli inglesi una vasta gamma di emozioni intense: orgoglio, patriottismo, nostalgia
per il passato ormai perduto della guerra e dell'audacia, speranza in un futuro rinnovato. La gente di una
certa et serba un ricordo nitido di quel momento in cui, mentre aspettava che il corteo dell'incoronazione
attraversasse Londra sotto la pioggerella di quella mattina di giugno, ud la magica notizia che la vetta pi
alta del mondo era diventata, per cos dire, loro.
Tenzing divenne un eroe nazionale in India, nel Nepal e nel Tibet, ciascuno dei quali ne rivendicava le
origini. Nominato baronetto dalla regina, sir Edmund Hillary vide la sua effigie ritratta su francobolli,
vignette umoristiche, libri, film, copertine di riviste: nel giro di una notte, quell'apicoltore di Auckland dal
viso tagliato con l'accetta si era trasformato in uno degli uomini pi famosi della Terra.

Hillary e Tenzing scalarono l'Everest un mese prima che fossi concepito, quindi non ho partecipato al
senso collettivo di orgoglio e di meraviglia che pervase il mondo; un evento che secondo un amico pi
anziano sarebbe stato paragonabile, in termini di impatto emotivo viscerale, a quello del primo sbarco
sulla luna. Dieci anni dopo, tuttavia, un'altra scalata dell'Everest contribu a segnare il corso della mia vita.
Il 22 maggio 1963, Tom Hornbein, un medico trentaduenne originario del Missouri, e Willi Unsoeld,
trentasei anni, professore di teologia dell'Oregon, raggiunsero la cima dell'Everest seguendo l'ardua
Cresta Ovest, fino a quel momento rimasta inviolata. Ormai la vetta era stata conquistata in quattro
occasioni da undici uomini in tutto, ma la Cresta Ovest presentava difficolt notevolmente superiori alle
altre due vie aperte in precedenza, quella per il Colle Sud e la Cresta Sud-Est e quella lungo il Colle
Nord e la Cresta Nord-Est. La scalata di Hornbein e Unsoeld fu meritatamente accolta come una delle
grandi imprese negli annali dellalpinismo, e lo tuttora.

Verso la fine della giornata che li vide sferrare l'assalto finale alla vetta, i due americani superarono uno
strato di roccia ripida e friabile, la famigerata Fascia Gialla. Superare quella parete richiedeva una
straordinaria forza e abilit; fino a quel momento non era stata mai scalata una parete cos impegnativa sul
piano tecnico a un'altitudine cos estrema. Una volta superata la Fascia Gialla, Hornbein e Unsoeld
dubitarono di riuscire a tornare indietro da quella parte senza danni. La loro speranza di ridiscendere vivi
dalla montagna, conclusero, era superare la vetta e scendere dalla ben nota via della Cresta Sud-Est, un
piano estremamente audace, tenuto conto dell'ora, del terreno sconosciuto e della riserva di ossigeno
nelle bombole che diminuiva a vista d'occhio.

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Hornbein e Unsoeld raggiunsero la cima alle sei e un quarto del pomeriggio, proprio al tramonto del
sole, e furono costretti a trascorrere la notte all'addiaccio a 8530 metri, a quell'epoca il bivacco pi alto
della storia. Era una notte fredda ma, grazie al cielo, senza vento. Anche se le dita dei piedi di Unsoeld si
congelarono, e in seguito furono amputate, i due sopravvissero per riferire la loro esperienza.
A quell'epoca avevo nove anni e vivevo a Cornwallis, nell'Oregon, la stessa citt di Unsoeld, che era
amico intimo di mio padre; a volte giocavo con i suoi figli maggiori, Regon, che aveva un anno pi di me,
e Devi, che ne aveva uno di meno. Qualche mese prima della partenza di Willi Unsoeld per il Nepal,
scalai per la prima volta una montagna, un vulcano tutt'altro che spettacolare alto 2750 metri nella catena
montuosa del Cascade Range (la vetta ora raggiungibile con una seggiovia), in compagnia di mio padre,
di Willi e di Regon. Non c' da stupirsi se le cronache dell'epica scalata dell'Everest suscitarono un'eco
lunga e intensa nella mia fantasia di preadolescente. Mentre i miei amici idolatravano John Glenn, Sandy
Koufax e Johnny Unitas, i miei eroi erano Hornbein e Unsoeld.
In segreto sognavo di scalare anch'io l'Everest, un giorno, e per oltre un decennio rimase un'ambizione
bruciante. Quando raggiunsi la ventina, l'alpinismo era diventato il centro focale della mia esistenza e
aveva escluso ogni altro interesse. Raggiungere la vetta di una montagna era un'esperienza tangibile,
immutabile, concreta. I rischi insiti in questa attivit le conferivano una seriet di intenti che era
dolorosamente latitante nel resto della mia vita. Ero eccitato dalla prospettiva inedita che scaturisce dal
capovolgimento del piano ordinario dell'esistenza.
E poi l'alpinismo mi offriva anche la sensazione di appartenere a una comunit. Diventare alpinista
significava entrare a far parte di una societ chiusa, furiosamente idealistica, in gran parte ignorata e
sorprendentemente incontaminata dal mondo esterno. La cultura dell'ascesa era caratterizzata da un
intenso spirito di competizione e da un machismo allo stato puro, ma per lo pi i suoi adepti si
preoccupavano di impressionarsi a vicenda. La conquista della vetta di una certa montagna era ritenuta
meno importante dd modo in cui avveniva la conquista; il prestigio si guadagnava affrontando le vie pi
proibitive con un'attrezzatura ridotta al minimo, nello stile pi audace che si potesse immaginare. Nessuno
era pi ammirato dei cosiddetti arrampicatori solitari, visionari che scalavano da soli, senza corda n
attrezzi.
In quegli anni vivevo per l'alpinismo, arrangiandomi per campare con cinque o seimila dollari l'anno,
lavorando come

carpentiere e pescatore di salmoni per un'impresa commerciale solo quanto bastava per finanziare un
viaggio sui monti Teton, o sullAlaska Range, o in capo al mondo. Ma a un certo punto, intorno ai
venticinque anni, rinunciai alla fantasia adolescenziale di scalare l'Everest. A quell'epoca fra gli esperti di
alpinismo era diventato di moda denigrare l'Everest definendolo una montagnola di sfasciumi, cio una
vetta che non presentava sufficienti difficolt tecniche o fascino estetico per essere un obiettivo degno di
uno scalatore serio, ideale al quale aspiravo disperatamente. Cominciai a guardare dall'alto in basso la
montagna pi alta del mondo.
Un simile snobismo era fondato sul fatto che al principio degli anni Ottanta la via pi facile per scalare
l'Everest - lungo il Colle Sud e la Cresta Sud-Est - era stata percorsa pi di cento volte. I miei colleghi e
io l'avevamo soprannominata la via degli yak. Il nostro disprezzo non fece che consolidarsi nel 1985,
quando Dick Bass, un ricco texano di cinquantacinque anni con una limitata esperienza di scalate, fu
accompagnato in cima all'Everest da uno straordinario giovane alpinista che si chiamava David
Breashears, e l'avvenimento fu accompagnato da un turbine di interesse del tutto acritico da parte dei
media.

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Fino a quel momento l'Everest era stato quasi esclusivamente dominio dell'elite dell'alpinismo. Per usare
le parole di Michad Kennedy, direttore del periodico specializzato Climbing: L'invito a far parte di una
spedizione sull'Everest era un onore che ci si guadagnava dopo avere compiuto un lungo apprendistato su
vette pi modeste, e la conquista effettiva della cima innalzava uno scalatore all'empireo dell'alpinismo.
La scalata di Bass cambi tutto questo. Conquistando l'Everest, egli divenne il primo uomo che avesse
scalato tutte le Sette Sorelle[4], impresa che lo rese noto in tutto il mondo e che pungol uno sciame di
scalatori della domenica a seguire le sue orme e catapult brutalmente l'Everest nell'era postmodema.
Per i tipi di mezza et come me, Dick Bass stato una fonte di ispirazione, dichiar Seabom Beck
Walters con la sua marcata cadenza del Texas orientale durante la marcia di avvicinamento al campo
base dell'Everest, nello scorso aprile. Beck, un patologo quarantanovenne di Dallas, era uno degli otto
clienti della spedizione guidata di Rob Hall del 1996. Bass ha dimostrato che l'Everest rientra nelle
possibilit di una persona normale. Ammesso che tu sia discretamente in forma e abbia qualche soldo da
buttar via, sono del parere che probabilmente l'ostacolo principale sia sottrarre dd tempo al lavoro e
lasciare la famiglia per due mesi.
Per numerosissirni scalatori, come dimostrano le statistiche, l'ostacolo insormontabile non tanto
sottrarre del tempo alla morsa della routine quotidiana, quanto il pesante esborso di denaro. Nell'ultimo
decennio, il traffico su tutte le Sette Sorelle, ma in particolare sull'Everest, si moltiplicato a un ritmo
impressionante. E per soddisfare la domanda, il numero di imprese commerciali che vendono ascensioni
guidate alle Sette Sorelle, in particolare all'Everest, si moltiplicato in misura corrispondente. Nella
primavera del 1996 ben trenta spedizioni diverse risalivano le pendici dell'Everest, e almeno dieci di esse
erano organizzate come imprese commerciali.
Il governo del Nepal dovette riconoscere che l'affollamento sull'Everest creava seri problemi in termini di
sicurezza, estetica e impatto sull'ambiente. Affrontando il problema, i ministri nepalesi escogitarono una
soluzione che sembrava racchiudere in s la duplice promessa di limitare il numero degli aspiranti
scalatori, pur aumentando lafflusso di valuta nelle casse nazionali piuttosto impoverite: l'aumento delle
tariffe per l'autorizzazione alle scalate. Nel 1991 il ministero per il Turismo richiedeva duemilatrecento
dollari per il permesso che consentiva a una squadra composta da un numero qualsiasi di alpinisti di
tentare la conquista dell'Everest; nel 1992 il prezzo sal a diecimila dollari per una squadra che
comprendesse fino a nove componenti, e altri milleduecento dollari per ogni scalatore in pi. Eppure gli
alpinisti continuarono ad accorrere a frotte sull'Everest, nonostante l'aumento delle tariffe. Nella
primavera del 1993, anno in cui cadeva il quarantesimo anniversario della prima scalata, un numero
record di spedizioni, quindici, per un totale di duecentonovantaquattro alpinisti, tent la scalata della vetta
dal versante nepalese. Quell'autunno il ministero aument ancora la tariffa per l'autorizzazione, fino a
raggiungere la cifra impressionante di cinquantamila dollari fino a cinque scalatori, pi altri diecimila per
ogni ulteriore alpinista, fino a un massimo di sette. Inoltre il governo decret che non sarebbero state
autorizzate pi di quattro spedizioni sui versanti nepalesi per ogni stagione.
Quello che i ministri nepalesi non avevano preso in considerazione, per, era che la Cina chiedeva solo
quindicimila dollari per autorizzare una squadra a scalare la montagna dal Tibet, qualunque fosse il
numero dei componenti, e non poneva limiti al numero di spedizioni per ogni stagione. Dunque il flusso di
scalatori dell'Everest si spost dal Nepal al Tibet, lasciando senza lavoro centinaia di sherpa. Le
conseguenti proteste indussero il Nepal ad annullare, nella primavera del 1996, il limite delle quattro
spedizioni. E gi che c'erano, i ministri aumentarono di nuovo il prezzo dell'autorizzazione, portandolo
stavolta a settantamila dollari per sette alpinisti, pi altri diecimila a testa per ogni componente in pi. A
giudicare dal fatto che la primavera scorsa sedici delle trenta spedizioni dirette sull'Everest salivano dal
versante nepalese della montagna, pare che l'alto costo del permesso non rappresenti un deterrente
efficace.

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Anche prima del disastroso esito delle scalate nella stagione premonsonica del 1996, la proliferazione
delle spedizioni commerciali nell'ultimo decennio era una questione spinosa. I tradizionalisti erano offesi
dal fatto che la cima pi alta del mondo fosse venduta a ricchi parvenu, alcuni dei quali, senza l'ausilio
delle guide, probabilmente avrebbero incontrato delle difficolt anche a scalare la vetta di una cima
modesta come il monte Rainier. LEverest, sbuffavano i puristi, era stato svilito e profanato.
Questi critici facevano inoltre notare che, grazie alla commercializzazione dell'Everest, la cima un tempo
venerata era stata trascinata nel fango della giurisprudenza americana. Dopo aver pagato somme
principesche per essere scortati in cima all'Everest, alcuni alpinisti avevano denunciato le loro guide
quando l'obiettivo era sfumato. Ogni tanto capita un cliente che pensa di aver comprato un biglietto
garantito per la vetta, si lamenta Peter Athans, una guida molto rispettata che ha condotto sull'Everest
dieci spedizioni raggiungendo la cima quattro volte. C' gente che non capisce che una spedizione
sull'Everest non si pu guidare come un treno svizzero.
Purtroppo non tutte le cause legate all'Everest sono prive di fondamento. Pi di una volta, imprese inette
o disoneste non sono state in grado di fornire l'essenziale supporto logistico promesso, come per
esempio l'ossigeno. In alcune spedizioni le guide sono salite fino alla vetta senza condurre con s i clienti
paganti, inducendoli a concludere amareggiati che erano stati portati fin l solo per pagare il conto. Nel
1995, il capo di una spedizione commerciale si dilegu con decine di migliaia di dollari dei suoi clienti
prima ancora che la spedizione prendesse il via.

Nel marzo del 1995 ricevetti una telefonata dall'editore. della rivistaOutside , che mi proponeva di
unirmi a una spedizione guidata sull'Everest che doveva partire di l a cinque giorni, con l'incarico di
scrivere un articolo sulla proliferazione delle imprese commerciali che sfruttano la montagna e sulle
relative controversie. L'intento della rivista non era di farmi scalare la montagna; gli editori volevano
semplicemente che restassi al campo base e riferissi la storia dal Ghiacciaio orientale di Rongbuck, ai
piedi del versante tibetano dell'Everest. Presi in esame la domanda con seriet, al punto da prenotare un
volo e fare le vaccinazioni necessarie, poi mi tirai indietro all'ultimo momento.
Considerato il disprezzo che avevo espresso nei confronti dell'Everest nel corso degli anni, si sarebbe
potuto ragionevolmente presumere che rifiutassi per motivi di principio. In realt, l'invito diOutside aveva
inaspettatamente ridestato un desiderio intenso che era rimasto sepolto da tempo. Rifiutai l'incarico solo
perch pensavo che trascorrere due mesi all'ombra dell'Everest senza salire pi in alto del campo base
sarebbe stata una frustrazione intollerabile. Se dovevo andare all'altro capo del mondo e trascorrere otto
settimane lontano da mia moglie e dalla mia casa, volevo avere l'opportunit di scalare la montagna.
Domandai a Mark Bryant, direttore diOutside , se poteva prendere in considerazione l'idea di rinviare
l'incarico di dodici mesi (che mi avrebbero dato il tempo per allenarmi adeguatamente in modo da poter
affrontare le fatiche fisiche della spedizione). Inoltre m'informai se la rivista sarebbe stata disposta a
prenotarmi i servigi di una delle guide pi stimate, nonch ad accollarsi la relativa spesa di
sessantacinquemila dollari, consentendomi cos di raggiungere davvero la vetta. Per la verit non mi
aspettavo che accettasse il progetto; nei quindici anni precedenti avevo scritto oltre sessanta pezzi per
Outside , ma di rado il budget di viaggio previsto per una di quelle missioni aveva superato i due o
tremila dollari.
Bryant mi ritelefon il giorno seguente, dopo che si era consultato con l'editore diOutside , dicendomi

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che la rivista non era disposta a sborsare sessantamila dollari, ma lui e gli altri editori erano convinti che la
commercializzazione dell'Everest fosse una storia importante. Se le mie intenzioni di scalare la montagna
erano serie, insistette,Outside avrebbe escogitato un modo per realizzare il progetto.

Durante i trentatr anni nei quali mi ero considerato un alpinista, avevo intrapreso dei progetti difficili. In
Alaska avevo aperto una via nuova e ardua per il Mooses Tooth e realizzato una scalata solitaria del
Devil's Thumb che aveva richiesto tre settimane di isolamento su una remota placca di ghiaccio. Avevo
compiuto una discreta serie di scalate di alpinismo estremo su ghiaccio in Canada e nel Colorado. Presso
l'estremit meridionale del Sudamerica, dove i venti spazzano la terra come la scopa di Dio -la escoba
de Dios , come dicono gli abitanti del posto - avevo scalato una spaventosa guglia verticale di granito a
strapiombo alta milleseicento metri, chiamata Cerro Torre; sferzata da venti che corrono alla velocit di
cento nodi, ricoperta da una glassa di ghiaccio friabile, era ritenuta un tempo (anche se ora non pi) la
montagna pi difficile del mondo.
Quelle avventure, per, risalivano a qualche anno prima, in certi casi addirittura decenni, quando avevo
poco pi di venti o trent'anni. Ormai ne avevo quarantuno, avevo superato da tempo il momento di grazia
per lalpinismo, e avevo la barba brizzolata, le gengive in cattive condizioni e sette chili di troppo
accumulati intorno alla vita. Ero sposato con una donna che amavo follemente, e che mi ricambiava. Ora
che avevo imbroccato una carriera accettabile, per la prima volta in vita mia vivevo al di sopra della
soglia di povert. La mia faMe di scalate era stata smorzata, in breve, da un insieme di piccole
soddisfazioni che, sommate, formavano qualcosa di simile alla felicit.
Inoltre nessuna delle scalate che avevo compiuto in passato mi aveva portato al di sopra di un'altitudine
modesta. In tutta sincerit, non mi ero mai spinto oltre i 5300 metri, una quota inferiore persino a quella
del campo base dell'Everest.
Da avido studioso della storia dell'alpinismo, sapevo che L'Everest aveva ucciso pi di centotrenta
persone dalla prima spedizione di ricognizione britannica del 1921 - all'incirca un morto ogni quattro
scalatori che avevano raggiunto la vetta - e che molti di coloro che erano morti erano pi forti di me e in
possesso di un'esperienza in alta quota infinitamente superiore alla mia. Ma i sogni dell'infanzia sono duri
a morire, avevo scoperto, e al diavolo il buonsenso.
Alla fine di febbraio del 1996, Bryantmi chiam per informarmi che c'era un posto in attesa per me nella
prossima spedizione di Rob Hall sull'Everest. Quando mi domand se ero sicuro di voler andare fino in
fondo, risposi di s senza neanche riprendere fiato.
Prendendo bruscamente la parola, raccontai loro una parabola. Quello di cui parlo, dissi, il pianeta
Nettuno, non il solito, banale Nettuno, non il Paradiso, perch si d il caso che io non sappia granch del
Paradiso. Dunque vedete che si tratta di voi e nientaltro, solo di voi. Ora, c' un gran pezzo di roccia,
lass, dissi, e devo avvertirvi che gli abitanti di Nettuno sono piuttosto stupidi, soprattutto perch sono
vissuti ciascuno nel proprio bozzolo, E alcuni di loro, quelli che avevo voluto nominare in particolare,
alcuni di loro erano pronti a tutto per quella montagna. Non ci credereste, aggiunsi, questione di vita o di
morte, prendere o lasciare, ma questa gente aveva preso l'abitudine di dedicare tutto il tempo libero e le
energie a sospingere le nubi della propria gloria su e gi per tutte le pareti pi ripide del distretto, E
tornavano tutti esaltati: dal primo all'ultimo, E tanto meglio cos: dissi, perch era divertente che anche su
Nettuno preferissero per lo pi arrampicarsi senza rischi sulle pareti pi facili. Comunque era esaltante, e
gli efftti erano visibili tanto dalla loro espressione risoluta quanto dalla gratificazione che illuminava i loro

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occhi. E poi, come avevo fatto notare, questo accadeva su Nettuno, non in Paradiso, dove pu darsi che
non ci sia altro da fare.

JOHN MENLOVE EDWARDS


Letter from a Man

Due ore dopo il decollo del volo 311 della Thai Air da Bangkok a Kathmandu, mi alzai dal mio
posto per dirigermi verso la coda dell'apparecchio. Vicino alla fila di toilette sul lato di tribordo, mi
accovacciai per scrutare attraverso un finestrino all'altezza della cintola, nella speranza di intravedere le
montagne. Non restai deluso: laggi all'orizzonte si stagliavano nel cielo gli incisivi aguzzi dell'Himalaya.
Rimasi al finestrino per tutto il resto del volo, in trance, accovacciato su un sacco di plastica pieno di
rifiuti, lattine vuote di acqua tonica e pasti consumati a met, con il viso schiacciato contro il plexiglas
freddo.
Riconobbi subito l'enorme mole massiccia del Kangchenjunga, la terza vetta del mondo in ordine di
altezza con i suoi 8586 metri sopra il livello del mare. Un quartro dora dopo avvistai il Makalu, la quinta
vetta del mondo, e poi, finalmente, il profilo inconfondibile dellEverest.
Il cuneo nero come linchiostro della piramide superiore si stagliava contro il cielo quasi in rilievo,
dominando dall'alto i monti circostanti. Proiettandosi verso l'alto con la corrente a getto, la montagna
apriva uno squarcio visibile nell'uragano che soffiava alla velocit di 120 nodi, sprigionando un
pennacchio di cristalli di ghiaccio che si allungava a oriente come una lunga sciarpa di seta svolazzante.
Mentre fissavo quella scia di condensazione nel cielo, mi venne in mente che la cima dell'Everest si
trovava esattamente alla stessa altezza del jet pressurizzato che mi trasportava attraverso il cielo. L'idea
che mi accingevo a salire fino alla quota di crociera di un Airbus 300 mi sembr in quel momento
assurda, o peggio. Avevo il palmo delle mani umido di sudore.
Quaranta minuti dopo atterravo a Kathmandu. Mentre entravo nell'atrio dell'aeroporto dopo aver
superato la dogana, un giovanottone dall'ossatura massiccia, rasato di fresco, not le due enormi sacche
di tela che portavo con me e si avvicin. Dunque lei sarebbe Jon? mi domand con un melodioso
accento neozelandese, dando unocchiata a un foglio con la fotocopia delle foto dei passaporti che
ritraevano i clienti di Rob Hall. Stringendomi la mano si present, dicendo di essere Andy Harris, una
delle guide di Hall, venuta per accompagnarmi in albergo.
Harris, che aveva trentun anni, spieg che con lo stesso volo da Bangkok doveva arrivare un altro
cliente, un avvocato di cinquantatr anni che veniva da Bloomfield Hills, nel Michigan, e si chiamava Lou
Kasischke. Fin che dovemmo aspettare unora prima che Kasischke recuperasse i bagagli, cos durante
l'attesa Andy e io ci scambiammo le nostre impressioni su alcune difficili scalate alle quali eravamo
sopravvissuti nel Canada occidentale e discutemmo sui meriti dello sci rispetto allo snowboard. La
passione evidente di Andy per le scalate, il suo entusiasmo puro per le montagne, mi fecero provare una
certa nostalgia per il periodo in cui le scalate erano per me l'aspetto pi importante della vita, in cui
tracciavo il corso della mia esistenza in relazione alle montagne che avevo scalato e a quelle che speravo
di scalare un giorno.

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Un attimo prima che Kasischke, un uomo alto e atletico con i capelli argentei e unaria di aristocratico
distacco, si staccasse dalla fila della dogana, domandai a Andy quante volte avesse scalato l'Everest.
Per la verit, confess tutto allegro, anche per me sar la prima volta, come per lei. Sar interessante
vedere come riuscir a cavarmela lass.
Hall ci aveva prenotato delle stanze al Garuda Hotel, un albergo bizzarro ma cordiale nel cuore di
Thamel, il frenetico quartiere turistico di Kathmandu, affacciato su una stradina stretta intasata di risci a
pedali e prostitute. poich gi da tempo era popolare presso le spedizioni dirette sull'Himalaya, il Garuda
aveva le pareti ricoperte di fotografie autografate dei celebri alpinisti che vi avevano soggiornato nel
corso degli anni: Reinhold Messner, Peter Habeler, Kitty Kalhoun, John Roskelley, Jeff Lowe. Salendo
le scale per raggiungere la mia stanza passai davanti a un grande poster a colori intitolato Trilogia
himalayana, che raffigurava l'Everest, il K2 e il Lhotse, rispettivamente la prima, la seconda e la quarta
vetta pi alta del mondo. Alle immagini di quelle cime, il poster sovrapponeva il volto di un uomo barbuto
e sorridente in pieno assetto di scalata. Una didascalia identificava lo scalatore come Rob Hall; il
manifesto, destinato a pubblicizzare l'attivit della compagnia di Hall, la Adventure Consultants, ricordava
l'impresa straordinaria da lui compiuta nel 1994, la scalata di tutt'e tre le vette nel giro di due mesi.
Un'ora dopo incontrai Hall in carne e ossa. Era alto un popi di un metro e ottantacinque ed era magro
come uno stecco. Il suo viso aveva qualcosa di angelico, ma dimostrava pi dei trentacinque anni che
aveva, forse per via delle rughe profonde incise all'angolo degli occhi o dell'aria di autorit che emanava.
Indossava una camicia hawaiana e un paio di Levi's sbiaditi con una toppa sul ginocchio che portava
ricamato il simbolo yin-yang. Sulla fronte gli ondeggiava una massa ribelle di capelli castani e la barba
cespugliosa aveva bisogno di una buona regolata.
Socievole per natura, Hall si rivel un abile narratore, ricco di quell'umorismo caustico tipico dei
neozelandesi. Lanciandosi in un lungo racconto che riguardava un turista francese, un monaco buddhista
e uno yak particolarmente irsuto, Hall pronunci la battuta finale con una strizzatina d'occhio maliziosa,
attese un secondo per l'effetto, poi rovesci la testa all'indietro in una risata tonante e contagiosa, non
riuscendo a contenere l'entusiasmo per il suo stesso racconto. Provai subito simpatia per lui.
Hall era nato in una famiglia operaia cattolica di Christchurch, in Nuova Zelanda, ed era il minore di nove
figli. Bench dotato di un'intelligenza pronta e versata nelle materie scientifiche, a quindici anni aveva
lasciato la scuola dopo uno scontro con un professore particolarmente autoritario e nel 1976 aveva
cominciato a lavorare per l'Alp Sports, una ditta locale che produceva attrezzature per le scalate.
Cominci col fare lavoretti qua e l, azionando la macchina da cucire e roba del genere, ricorda Bill
Atkinson, ora abile scalatore e guida, che a quell'epoca lavorava anche lui per l'Alp Sports. Ma grazie
alle impressionanti capacit organizzative di Rob, che erano evidenti anche a soli sedici o diciassette anni,
ben presto si ritrov a dirigere tutto il settore produttivo della compagnia.
Da qualche anno Hall era diventato un appassionato escursionista; nello stesso periodo in cui aveva
incominciato a lavorare per lAlp Sports, aveva preso anche lezioni di arrampicata sulla roccia e sul
ghiaccio. Apprendeva in fretta, osserva Atkinson, diventato uno dei compagni pi assidui di Hall nelle
scalate, ed era in grado di assimilare capacit e attitudini da chiunque.
Nel 1980, a diciannove anni, Hall si un a una spedizione che doveva scalare la difficile cresta
settentrionale dellAma Dablam, una cima di incomparabile bellezza alta 6856 metri, posta diciotto
chilometri a sud dell'Everest. Durante quel viaggio, il primo sull'Himalaya, Hall fece un'escursione al
campo base dell'Everest e decise che un giorno avrebbe scalato la montagna pi alta del mondo. Ci
vollero dieci anni e tre tentativi, ma nel maggio 1990 Hall raggiunse finalmente la cima dell'Everest a capo
di una spedizione di cui faceva parte Peter Hillary, figlio di sir Edmund. Una volta in cima, Hall e Hillary
realizzarono una trasmissione radio che fu diffusa dal vivo in tutta la Nuova Zelanda e a 8848 metri

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ricevettero le congratulazioni del primo ministro Geoffrey Palmer.


Ormai Hall era uno scalatore professionista a tempo pieno. Come la maggior parte dei suoi colleghi,
cercava di procurarsi finanziamenti dagli sponsor per pagarsi le costose spedizioni sull'Himalaya ed era
abbastanza accorto da capire che, pi attirava l'attenzione dei media, pi gli riusciva facile indurre le
societ ad aprire il libretto degli assegni. In effetti si rivel estremamente abile nel far trasmettere il suo
nome dalla stampa e il suo viso dalla televisione. Gi, ammette Atkinson, in effetti Rob ha sempre
avuto un certo talento per la pubblicit.
Nel 1988, una guida di Auckland che si chiamava Gary Ball divenne il principale compagno di scalata e
l'amico pi intimo di Hall. Anche Ball raggiunse la vetta dell'Everest insieme a lui nel 1990, e subito dopo
il ritorno in Nuova Zelanda escogitarono un progetto per scalare le cime pi alte di ciascuno dei sette
continenti, alla maniera di Dick Bass, ma accrescendo le difficolt perch intendevano conquistarle tutte e
sette nel giro di sette mesi[5]. Avendo gi superato l'Everest, che era la cima pi difficile delle sette, Hall
e Ball riuscirono a spillare fondi a una grossa azienda elettrica, la Power Build, e si misero in marcia. Il 12
dicembre 1990, poche ore prima che scadesse il termine dei sette mesi, raggiunsero la vetta della settima
montagna, il Mount Vinson, la cima pi alta dell'Antartide con i suoi 5240 metri, e la notizia suscit una
notevole risonanza nella loro terra natale.
Nonostante il successo, Hall e Ball erano preoccupati per le loro prospettive a lungo termine nel settore
delle scalate professionistiche. Per continuare a ricevere finanziamenti dalle societ degli sponsor,
spiega Atkinson, uno scalatore deve sempre rilanciare la posta. La prossima scalata dev'essere pi
difficile e pi spettacolare dell'ultima. Diventa una spirale insostenibile, in cui alla fine non sei pi all'altezza
della sfida. Rob e Gary compresero che prima o poi non sarebbero stati in grado di reggere a quel ritmo,
oppure avrebbero avuto uno sfortunato incidente e sarebbero rimasti uccisi.
Cos decisero di cambiare rotta per dedicarsi al mestiere di guida sulle alte vette. Facendo la guida non
c' bisogno di compiere necessariamente le scalate che non ti vanno a genio; la sfida deriva dal portare i
clienti in cima e riportarli a valle, che un tipo di soddisfazione diverso, ma una carriera pi sostenibile
di una caccia senza tregua agli sponsor. Se offri un buon prodotto, c' una riserva illimitata di clienti.
Durante la stravagante impresa delle sette cime in sette mesi, Hall e Ball avevano ideato un progetto
per mettersi in affari, costituendo una societ di guide che avrebbero portato i clienti sulle sette cime.
Convinti che esistesse un mercato ancora vergine di sognatori forniti di denaro in abbondanza, ma di
esperienza insufficiente per scalare da soli le grandi montagne del mondo, Hall e Ball lanciarono
un'impresa che battezzarono Adventure Consultants.
Quasi subito registrarono un record impressionante. Nel maggio 1992 Hall e Ball guidarono sei clienti
sulla vetta dell'Everest. Un anno dopo condussero sulla vetta un altro gruppo composto di sette persone,
nel pomeriggio di un giorno in cui ben quaranta scalatori conquistarono la montagna. Tuttavia al ritorno
da quella spedizione si trovarono esposti al fuoco delle impreviste critiche di sir Edmund Hillary, che
deplorava il ruolo svolto da Hall nella crescente commercializzazione dell'Everest. La folla di principianti
che veniva scortata sulla vetta in cambio di un compenso, brontolava sir Edmund, rischiava di intaccare
il rispetto dovuto alla montagna.
Nella Nuova Zelanda Hillary una delle figure pi stimate della nazione e il suo viso rugoso si affaccia
perfino dal biglietto da cinque dollari. Hall rimase rattristato e imbarazzato dal fatto di essere
rimproverato pubblicamente da quel semidio, quel prototipo di scalatore che era stato uno degli eroi della
sua infanzia. Qui in Nuova Zelanda Hillary considerato un monumento nazionale vivente, osserva
Atkinson. Quello che dice ha un grande peso e ricevere le sue critiche dev'essere stata una vera
sofferenza. Rob voleva fare una dichiarazione pubblica per difendersi, ma si rese conto che reagire

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contro una figura cos stimata dai media non gli avrebbe offerto alcuna possibilit di vittoria.
Poi, cinque mesi dopo lo scalpore suscitato dalle affermazioni di Hillary, Hall fu scosso da un colpo
ancora pi grave: nell'ottobre 1993, Gary Ball mor a causa di un edema cerebrale (rigonfiamento del
cervello prodotto all'altitudine} durante un tentativo di scalata del Dhaulagiri, la sesta montagna del
mondo in ordine di altezza con i suoi 8167 metri. Ball esal l'ultimo respiro fra le braccia di Hall, disteso
in stato di coma in una piccola tenda poco lontano dalla vetta, e il giorno dopo Hall seppell l'amico in un
crepaccio.
In un'intervista per la televisione neozelandandese, che seguiva la spedizione, Hall descrisse con sobriet
come avesse scelto la loro corda preferita per calare il corpo di Ball in fondo all'abisso del ghiacciaio.
Uno scalatore non si separa mai dalla corda, che fatta per unire, aggiunse. E invece ho dovuto
lasciarla scivolare dalle mani.
Rob rimase sconvolto dalla morte di Gary, ricorda Helen Wilton, che ha lavorato come responsabile
del campo base di Hall sull'Everest negli anni 1993, 1995 e 1996. Ma affront la situazione con molta
calma. Rob era fatto cos... tenace. Hall decise di proseguire da solo l'attivit della Adventure
Consultants. Con il suo metodo sistematico continu a migliorare le infrastrutture e i servizi della societ,
riuscendo a conseguire straordinari successi nell'accompagnare scalatori dilettanti sulla vetta di montagne
alte e remote.
Fra il 1990 e il 1995,. Hall riusc a portare sulla vetta dell'Everest trentanove scalatori, tre in pi di quanti
fossero saliti sulla cima nei primi vent'anni successivi alla scalata inaugurale di sir Edmund Hillary. Hall era
quindi giustificato se reclamizzava la Adventure Consultants come la prima organizzazione al mondo per
le scalate dell'Everest, con un numero di successi al suo attivo maggiore di qualsiasi altra. Il depliant che
mandava ai potenziali clienti dichiarava:

Allora, avete sete di avventure? Forse sognate di visitare sette continenti odi salire in cima a una
montagna altissima? La maggior parte di noi non osa mai realizzare i propri sogni e si azzarda appena a
confidarli o ad ammettere di provare desideri cos ambiziosi. La Adventure Consultants specializzata
nell'organizzazione di spedizioni guidate in montagna. Addestrati agli aspetti pratici della realizzazione dei
sogni, collaboriamo con voi per farvi raggiungere la vostra meta. Non vi trascineremo di peso in cima a
una montagna, dovrete lavorare sodo, ma vi garantiamo la sicurezza e il successo della vostra avventura.
Per chi ha il coraggio di guardare in faccia i propri sogni, l'esperienza offre qualcosa di speciale che le
parole non sono in grado di descrivere. Vi invitiamo a scalare con noi la vostra montagna.

Nel 1996 Hall si faceva pagare sessantacinquemila dollari a testa per guidare i clienti sul tetto del
mondo. Si trattava di una somma certamente notevole, equivalente per esempio all'ipoteca sulla mia casa
di Seattle, e non comprendeva n il viaggio aereo in Nepal n l'attrezzatura personale. Non che le altre
societ fossero meno esose; anzi alcuni dei concorrenti facevano pagare un terzo in pi. Ma grazie allo
straordinario numero di successi ottenuto, Hall non stentava a trovare clienti per le sue spedizioni, e
quella era l'ottava che compiva sull'Everest. Chi fosse deciso a scalare quella cima a tutti i costi e fosse
riuscito a mettere insieme i soldi, in un modo o nellaltro, avrebbe quasi sicuramente scelto l'Adventure
Consultants.

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La mattina del 31 marzo, due giorni dopo l'arrivo a Kathmandu, i partecipanti alla spedizione sull'Everest
dell'Adventure Consultants per il 1996 attraversarono la pista dell'aeroporto internazionale di Tribhuwn
per salire a bordo di un elicottero Mi-17 di fabbricazione russa, che portava le insegne dell'Asian
Airlines. L'elicottero, un residuato della guerra in Afghanistan tutto ammaccato, era grande come uno
scuolabus, aveva posto per ventisei passeggeri e sembrava messo insieme in un cortile con pezzi di
seconda mano. Il secondo pilota chiuse il portello e ci porse dei batuffoli di cotone da ficcare nelle
orecchie, dopodichquel gigantesco elicottero si alz pesantemente in aria con un rombo da spaccare i
timpani.
Il pavimento era ingombro di cumuli di borse di tela, zaini e scatole di cartone. Sui sedili di fortuna
disposti lungo le paratie dell'apparecchio c'era il carico umano, i passeggeri, seduti con la faccia rivolta al
centro e le ginocchia incastrate contro il petto. Il sibilo assordante delle turbine impediva qualunque
conversazione; non era un viaggio comodo, ma nessuno si lamentava.
Nel 1963, la spedizione di Tom Hornbein aveva cominciato la lunga marcia verso l'Everest da Banepa, a
circa sedici chilometri da Kathmandu, trascorrendo trentun giorni sui sentieri prima di raggiungere il
campo base. Come la maggior parte degli scalatori moderni dell'Everest, noi avevamo deciso di saltare a
pi pari la maggior parte di quella ripida e polverosa salita; l'elicottero doveva depositarci nel lontano
villaggio di Lukla, a 2800 metri di altezza nel massiccio dell'Himalaya. Ammesso che non precipitassimo
durante il volo, ci saremmo risparmiati tre settimane di marcia rispetto alla spedizione di Hornbein.
Guardandomi attorno nella spaziosa cabina dellelicottero, cercai di imprimermi nella mente i nomi dei
compagni di spedizione. Oltre alle guide, Rob Hall e Andy Harris, c'era Helen Wilton, una donna di
trentanove anni, madre di quattro figli, che per la terza stagione doveva fare da responsabile del campo
base. Caroline Mackenzie, un'abile scalatrice e dottoressa che non aveva ancora trent'anni, era il medico
della spedizione e, come Helen, non sarebbe salita pi su del campo base. Lou Kasischke, l'aristocratico
avvocato che avevo conosciuto all'aeroporto, aveva gi scalato sei delle sette cime, cos come Yasuko
Namba, di quarantasette anni, taciturna direttrice del personale nella filiale della Federal Express di
Tokio. Beck Weathers, quarantanove anni, era un patologo di Dallas piuttosto chiacchierone. Stuart
Hutchison, trentaquattro anni, che indossava una maglietta Ren and Stimpy, era un cardiologo canadese
intellettualoide e un postravagante, in congedo da una borsa di studio per la ricerca. John Taske, il
membro pi anziano del gruppo con i suoi cinquantasei anni, era un anestesista di Brisbane che si era
dedicato alle scalate dopo il congedo dall'esercito australiano. Frank Fischbeck, cinquantatr anni, un
editore di Hong Kong tutto azzimato ed elegante, aveva tentato gi tre volte di scalare l'Everest con uno
dei concorrenti di Hall e nel 1994 era arrivato fino alla Cima Sud a poco pi di novanta metri dalla vetta.
Doug Hansen, quarantasei anni, era un impiegato delle poste americane che nel 1995 era salito
sullEverest con Hall e, come Fischbeck, aveva raggiunto la Cima Sud prima di tornare indietro.
Non sapevo che cosa pensare dei miei compagni di spedizione. A giudicare dall'aspetto e
dall'esperienza, non avevano niente in comune con i rudi alpinisti che di solito erano stati miei compagni di
scalata. Comunque sembravano persone simpatiche e accettabili e non c'era un solo rompiscatole in tutto
il gruppo, o almeno nessuno si era ancora rivelato tale. In ogni modo, non avevo molto in comune con
nessuno di loro, tranne Doug; un uomo segaligno e piuttosto serio, con il viso rugoso che faceva pensare
a un vecchio pallone da calcio, lavorava come operaio postale da oltre ventisette anni. Mi spieg che si
era pagato il viaggio lavorando nel turno di notte e facendo di giorno il manovale edile. Dal momento che
prima di diventare uno scrittore mi ero guadagnato da vivere per otto anni come carpentiere (e dal
momento che l'aliquota fiscale che avevamo in comune ci distanziava nettamente dagli altri clienti), mi
sentivo a mio agio con Doug come non potevo sentirmi con gli altri. Per lo pi attribuivo il mio crescente
disagio al fatto che non mi ero mai ritrovato in un gruppo cos numeroso, e per giunta di perfetti

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sconosciuti. A parte una spedizione in Alaska che avevo fatto ventun anni prima, tutte le precedenti
avventure le avevo affrontate al massimo con un paio di amici fidati, oppure da solo.
Nelle scalate, la fiducia che si ripone nei compagni non un fattore di poco conto, perch le azioni di
uno scalatore possono influire sul benessere di tutta la squadra. probabile che le conseguenze di un
nodo malfatto, di un passo incerto, di un sasso spostato, o di qualche altra svista, si ripercuotano non
solo sul responsabile, ma anche sui compagni. Quindi non c' da sorprendersi se gli scalatori di solito
siano molto restii a unire le loro forze a quelle di persone delle quali non conoscono l'esperienza.
D'altra parte la fiducia nei compagni un lusso negato a chi sceglie di partecipare come cliente a una
spedizione guidata; bisogna riporre la propria fede nella guida. Mentre l'elicottero proseguiva
rumorosamente verso Lukla, ebbi il sospetto che ciascuno dei miei compagni di spedizione si augurasse
con il mio stesso fervore che Hall avesse fatto bene attenzione a scartare i clienti di dubbia abilit e
avesse le doti necessarie per proteggere ciascuno di noi dalle manchevolezze dell'altro.
Per coloro che non si attardavano, la marcia giornaliera si concludeva nelle prime ore del pomeriggio,
comunque di rado prima che il caldo e l'indolenzimento ai piedi ci costringessero a chiedere a ogni sherpa
di passaggio: Quanto manca ancora al campo? La risposta, avremmo scoperto ben presto, era sempre
la stessa: Ancora un paio di chilometri, sah'b...
Le serate erano pacifiche, con il fumo che indugiava nellaria silenziosa quasi a raddolcire il
crepuscolo, le luci scintillanti sulla cresta dove ci saremmo accampati l'indomani, le nubi che sfumavano il
contorno del passo da superare il giorno dopo. Una crescente eccitazione attirava di continuo il mio
pensiero verso la cresta occidentale...
Si avvertiva anche un senso di solitudine, al tramonto, ma ormai accadeva di rado che si
riaffacciassero i dubbi. In quei momenti avevo l'impressione desolante di essermi lasciato alle spalle tutta
la mia esistenza. Una volta raggiunta la montagna sapevo, o meglio confidavo, che quello stato d'animo
avrebbe ceduto il posto a una concentrazione totale sul compito che mi attendeva. Ma a volte mi
domandavo se non avessi percorso tanta strada solo per scoprire che quanto cercavo realmente era
qualcosa che mi ero lasciato alle spalle.
THOMAS P. HORNBEIN
Everest: The West Ridge

Da Lukla in poi, il percorso per raggiungere l'Everest portava a nord attraverso la gola
crepuscolare del Dudh Kosi, un fiume gelido, strozzato dai massi alluvionali, che scendeva a valle
turbolento e carico di detriti glaciali. Trascorremmo la prima notte della marcia nel villaggio di Phakding,
un agglomerato composto da una mezza dozzina di case e locande strette l'una all'altra su una striscia di
terreno pianeggiante sopra il pendio che sovrasta il fiume. Al calar della sera l'aria divenne pungente
come d'inverno e la mattina dopo, quando mi avviai sulla pista, un velo di brina scintillava sulle foglie di
rododendro. Tuttavia la regione dell'Everest si trova a 28 gradi di latitudine nord, poco oltre i Tropici, e
la temperatura sal nettamente appena il sole fu abbastanza alto da penetrare sul fondo del vallone. A
mezzogiorno, dopo avere superato una fragile passerella sospesa in alto sul fiume (la quarta volta che si
attraversava il fiume, quel giorno), mi sentivo scorrere dal mento rivoletti di sudore e mi ero tolto la
giacca, restando in calzoncini e maglietta. Oltre il ponte, il sentiero abbandonava le rive del Dudh Kosi

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per risalire a zigzag la ripida parete del canyon, attraversando boschetti di pini fragranti. Gli spettacolari
pinnacoli affusolati di ghiaccio del Thamserku e del Kusum Kangru svettavano verso il cielo, a oltre
tremila metri sopra di noi. Era un paesaggio splendido, imponente come nessun altro sulla Terra, ma, gi
da secoli, non pi selvaggio.
Ogni palmo di terra arabile era stato sistemato a terrazze e seminato a orzo, grano saraceno e
patate. Sulle pendici dei monti ondeggiavano file di bandierine di preghiera, mentre antichichorten[6] e
muri di pietremani[7] incise con rara finezza facevano da sentinella ai passi pi elevati. Risalendo dal
livello del fiume, trovai la pista affollata da escursionisti, convogli di yak[8], monaci vestiti di tuniche rosse
e sherpa che procedevano a fatica, curvi sotto carichi di legna da ardere, cherosene e lattine di soda
tanto pesanti da stroncare la schiena.
Un'ora e mezza dopo aver lasciato il fiume, superai un'ampia cresta rocciosa, oltrepassai una serie
di recinti per gli yak con le pareti di roccia e mi ritrovai di colpo alla periferia di Namche Bazaar, il centro
sociale e commerciale della societ degli sherpa. Situata a 3440 metri sul livello del mare, Namche
occupa un'enorme conca inclinata, disposta come una gigantesca antenna parabolica a met di un pendio
scosceso. Comprende poco pi di un centinaio di edifici, appollaiati in modo drammatico sul pendio
roccioso e collegati da un labirinto di sentieri e passerelle. Riuscii a localizzare il Khumbu Lodge,
all'estremit inferiore della citt, scostai la coperta che fungeva da porta e trovai i miei compagni di
spedizione riuniti attorno a un tavolo d'angolo a bere t al limone.
Quando mi avvicinai, Rob Hall mi present a Mike Groom, la terza guida della spedizione, un
australiano di trentatr anni con i capelli color carota e il fisico snello del maratoneta. Groom era un
idraulico di Brisbane che lavorava come guida solo occasionalmente. Nel 1987, costretto a trascorrere
una notte all'addiaccio mentre scendeva dalla cima del Kanchenjunga (8586 metri), aveva accusato un
principio di congelamento ai piedi, al punto che avevano dovuto amputargli tutte le dita. Questo infortunio
non aveva per ostacolato la sua carriera di scalatore dell'Himalaya: era andato avanti, conquistando il
K2, il Lhotse, il Cho Oyu, l'Ama Dablam e, nel 1993, l'Everest, senza fare ricorso alle bombole di
ossigeno. Groom, un uomo

straordinariamente calmo e circospetto, era di buona compagnia, ma parlava di rado se non era
interpellato e rispondeva alle domande in modo conciso e con un tono di voce appena percettibile.
A cena, la conversazione fu dominata dai tre clienti medici, Stuart, John e soprattutto Beck, uno schema
che si sarebbe ripetuto per gran parte della spedizione. Per fortuna tanto John quanto Beck avevano uno
straordinario senso dell'umorismo e facevano sbellicare il gruppo dalle risate. Beck, tuttavia, aveva
l'abitudine di trasformare i suoi monologhi in caustiche tirate contro i liberali pisciasotto, e quella sera a un
certo punto commisi l'errore di dichiararmi in disaccordo con lui; in risposta a uno dei suoi commenti,
suggerii che l'aumento del salario minimo sembrava una politica saggia e necessaria. Beck, bene
informato e abile dialettico, fece polpette della mia goffa dichiarazione e io, non avendo i mezzi per
rimbeccarlo, non potei fare altro che starmene buono e mordermi la lingua, fumante di rabbia.
Mentre lui continuava a dissertare sulle innumerevoli follie dello stato assistenziale con la sua cadenza
strascicata del Texas orientale, mi alzai, allontanandomi da tavola per evitare altre umiliazioni. Quando
rientrai nella sala da pranzo, mi rivolsi alla proprietaria per ordinare una birra. La donna, una piccola e
aggraziatasherpani , stava prendendo un'ordinazione da un gruppo di americani che partecipavano a una
spedizione di trekking. Abbiamo fame, le annunci un omone dalle guance colorite, parlando il gergo
locale a voce esageratamente alta e mimando il gesto di mangiare. Vogliamo mangiare pa-ta-te.
Yak-bur-ger. Co-ca Co-la. Ne avete?

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Volete vedere il menu? replic lasherpani parlando in un inglese chiaro e trillante, con un lieve
accenno di accento canadese. Abbiamo un assortimento piuttosto vasto, e credo che per dessert ci sia
ancora della torta di mele appena sfornata, se vi interessa.
L'americano, incapace di capire che quella donna delle colline dalla pelle scura gli si rivolgeva in un
inglese dalla pronuncia perfetta, continu a impiegare il suo comico gergo: Me-nu! Bene, bene. S, s,
noi volere vedere me-nu.
Gli sherpa restano un enigma per la maggior parte degli stranieri, che tendono a considerarli attraverso
un filtro romantico. Chi non ha familiarit con la demografia dell'Himalaya d spesso per scontato che
tutti i nepalesi siano sherpa, mentre in effetti non esistono pi di ventimila sherpa in tutto il Nepal, una
nazione delle dimensioni della Carolina del Nord, con circa venti milioni di abitanti e oltre cinquanta
distinti gruppi etnici. Gli sherpa sono una popolazione di montagna, che pratica il buddhismo, i cui
progenitori sono emigrati a sud dal Tibet quattro o cinque secoli fa. Vi sono villaggi sherpa sparsi in tutta
la regione himalayana del Nepal orientale, e comunit abbastanza grandi di sherpa si possono trovare
anche nel Sikkim e a Darjeeling, in India, ma il cuore del territorio sherpa il Khumbu, una manciata di
valli che si diramano dalle pendici meridionali del monte Everest, una piccola regione incredibilmente
impervia, del tutto priva di strade, automobili o veicoli a ruote di qualsiasi genere.
Risulta difficile praticare l'agricoltura in quelle valli fredde, alte e ripide, per cui l'economia tradizionale
degli sherpa ruotava intorno al commercio fra il Tibet e l'India e all'allevamento degli yak. Poi, nel 1921,
gli inglesi intrapresero la prima spedizione sullEverest e la loro decisione di ingaggiare gli sherpa diede
inizio a una trasformazione della cultura sherpa.
Poich il regno del Nepal mantenne la chiusura delle frontiere fino al 1949, la prima esplorazione
dell'Everest, e le otto spedizioni successive, furono costrette ad affrontare la montagna da nord,
attraversando il Tibet, senza mai passare nelle vicinanze del Khumbu. Ma quelle prime nove spedizioni
partirono per il Tibet da Darjeeling, doverano emigrati molti sherpa, che si erano guadagnati fra i
colonialisti del luogo la fama di grandi lavoratori, affabili e intelligenti. Inoltre, poich la maggior parte
degli sherpa viveva da generazioni in villaggi situati fra i duemilasettecento e i quattromiladuecento metri d
altezza, erano adattati fisiologicamente ai rigori dellalta quota. Dietro raccomandazione di A.M. Kellas,
un medico scozzese che aveva compiuto scalate e lunghi viaggi in compagnia degli sherpa, la spedizione
sull Everest del 1921 ne assunse un discreto numero come portatori e aiutanti di campo, pratica che nei
settantacinque anni trascorsi da allora stata seguita da quasi tutte le spedizioni successive, salvo rare
eccezioni.
Da vent'anni a questa parte, l'economia e la cultura del Khumbu sono sempre pi legate nel bene e
nel male, all'afflusso stagionale dei circa quindicimilatrekker e scalatori che visitano la regione ogni anno.
Gli sherpa che apprendono a scalare e lavorano sulle vette, in particolare coloro che hanno conquistato
l'Everest, godono di grande stima nelle loro comunit. Purtroppo, per, quelli che si sono guadagnati una
fama nel mondo dell'alpinismo corrono anche seri rischi di perdere la vita. Dal 1922, anno in cui sette
sherpa rimasero uccisi sotto una valanga durante la seconda spedizione inglese, un numero
sproporzionato di sherpa ha incontrato la morte sull'Everest: in tutto cinquantatre. In effetti ammontano a
oltre un terzo di tutte le vittime dell'Everest.
Malgrado i rischi, esiste unaccanita competizione fra gli sherpa per accaparrarsl gli incarichi pi ambiti
nella tipica spedizione sull'Everest. I posti pi ricercati sono una mezza dozzina, riservati agli scalatori
esperti, che possono prevedere di guadagnare da millequattrocento a duemilacinquecento dollari per due
mesi di rischioso lavoro; una paga allettante per una nazione sprofondata nella mlseria, con un reddlto
annuale pro capite di circa centosessanta dollari.

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Per regolare il crescente afflusso di alpinisti etrekker occidentali, nella reglone del Khumbu stanno
sorgendo come funghi locande e case da t, ma la nuova attivit edilizia particolarmente vistosa a
Namche Bazaar. Lungo la pista per Namche ho superat to innumerevoli portatori che risalivano dalle
foreste ai piedi dell'Himalaya trasportando travi di legno appena tagliato del peso di oltre cinquanta chili:
una fatica fisica spossante, per la quale ricevevano un compenso di tre dollari circa al giorno. Coloro che
conoscono da tempo il Khumbu sono rattristati dal boom del turismo e dalla trasformazione che ha
prodotto in quello che gli scalatori occidentali consideravano un paradiso terrestre, un'autentica
Shangri-La. Intere valli sono state disboscate per esaudire la richiesta crescente di legna per il fuoco. Gli
adolescenti che sostano davanti ai localicarrom di Namche indossano pi spesso jeans e magliette dei
Chicago Bulls che gli originali costumi tradizionali, ed facile che le famiglie trascorrano le serate riunite
intorno al videoregistratore per assistere all'ultimo film di Schwarzenegger.
La trasformazione della cultura del Kumbu non avviene certo in meglio, ma non ho sentito molti sherpa
lamentarsene. La valuta portata da trekker e scalatori, oltre ai finanziamenti delle organizzazioni
internazionali di soccorso da questi sostenute, sono stati utilizzati per fondare scuole e cliniche mediche,
per ridurre la mortalit infantile, per costruire passerelle sui fiumi e portare l'energia idroelettrica a
Namche e in altri villaggi. Sembra poco pi che un segno di condiscendenza da parte degli occidentali
deplorare la fine dei bei tempi andati, quando la vita nel Khumbu era molto pi semplice e pi pittoresca.
La maggior parte delle persone che vivono in questo paese impervio non sembra augurarsi l'isolamento
dal mondo moderno o dal flusso disordinato del progresso umano. L'ultima cosa che gli sherpa
desiderano essere conservati come esemplari in un museo antropologico.

Un marciatore forte e gi acclimatato all'altitudine potrebbe coprire la distanza dalla pista aerea di Lukla
al campo base dell'Everest in due o tre giornate di marcia piuttosto intense. Poich tuttavia noi eravamo
arrivati quasi tutti dal livello del mare, Hall fece attenzione a mantenere un'andatura pi tranquilla, che
lasciasse al nostro corpo il tempo di adattarsi all'aria sempre pi rarefatta. Di rado marciavamo per oltre
due o tre ore al giorno. Parecchie volte, quando l'itinerario di Hall prevedeva un ulteriore periodo di
acclimatazione, non si marciava affatto.
Il 3 aprile, dopo un giorno di acclimatazione a Namche, riprendemmo il cammino verso il campo base.
Venti minuti dopo aver lasciato il villaggio, superando una svolta mi trovai di fronte un panorama
mozzafiato. Seicento metri pi in basso, il Dudh Kosi, scavando una profonda fessura nel letto di roccia
circostante, sembrava un filo d'argento attorcigliato che scintillava nell'ombra. Quattromila metri pi in
alto, l'enorme guglia dell'Ama Dablam svettava in controluce all'estremit superiore della valle, come
un'apparizione; e duemilacento metri ancora pi su, sovrastando l'Ama Dablam, sorgeva la massa glaciale
dell'Everest, quasi tutta nascosta dietro il Nuptse. Come sempre, un pennacchio orizzontale di condensa
aleggiava sulla cima come fumo congelato, tradendo la violenza dei venti della corrente a getto.
Rimasi immobile a fissare la cima per quasi mezz'ora, tentando di valutare l'impressione che avrebbe
fatto stare ritto in cima a quel vertice spazzato dai venti. Sebbene avessi conquistato centinaia di
montagne, lEverest era cos diverso da tutte quelle che avevo scalato in precedenza, che le capacit
della mia immaginazione non erano all'altezza dell'impresa. La vetta appariva cos gelida e alta, cos
incredibilmente lontana, che mi sembrava di essermi imbarcato in una spedizione sulla luna. Quando
distolsi lo sguardo per riprendere il cammino lungo la pista, le mie emozioni oscillavano fra unansia
nervosa e un senso di paura quasi opprimente.
Qualche ora dopo, nel pomeriggio, raggiunsi Tengboche[9], il monastero buddhista pi grande e

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importante del Khumbu. Chhongba Sherpa, un uomo segaligno e meditativo che si era unito alla
spedizione in qualit di cuoco del campo base, si offr di organizzare un incontro con ilrimpoche , ossia
il lama principale di tutto il Nepal, spieg, un sant'uomo. Proprio ieri ha concluso un lungo periodo di
meditazione silenziosa: non ha pronunciato una parola per tre mesi. Saremo i suoi primi visitatori, e
questo di ottimo auspicio. Doug, Lou e io consegnammo a Chhongba cento rupie a testa [all'incirca
due dollari), per acquistare dellekata cerimoniali, le sciarpe di seta bianca da offrire alrimpoche , poi ci
togliemmo le scarpe e Chhongba ci condusse in una piccola stanza piena di spifferi dietro il tempio
principale.
Seduto a gambe incrociate su un cuscino di broccato, avvolto nelle tuniche color borgogna, c'era un
uomo piccolo e rotondetto con la testa rapata a zero, che sembrava vecchissimo e molto stanco.
Chhongba s'inchin con aria reverente, gli parl brevemente nella lingua degli sherpa e ci fece segno di
venire avanti. Ilrimpoche allora ci benedisse tutti a turno, mettendoci al collo nello stesso tempo lekata
che avevamo comprato, dopodiche ci rivolse un sorriso beato, offrendoci il t. Dovrebbe portare
questakata sulla cima dell'Everest,[10]mi ammon Chhongba con voce solenne. Far piacere a Dio e
la protegger dal male.
Non sapendo bene come comportarmi alla presenza di un essere divino, quella reincarnazione vivente di
un lama antico e illustre, ero terrorizzato al pensiero di offenderlo involontariamente o di commettere
qualche gaffe irreparabile. Mentre sorseggiavo il t dolce in preda all'imbarazzo, ilrimpoche frug in uno
stipetto vicino, estraendone un grosso libro ornato da una decorazione elaborata, che mi consegn. Mi
ripulii sui pantaloni le mani sporche e lo aprii nervosamente. Era un album fotografico. Ilrimpoche , venne
fuori, era stato di recente in America per la prima volta e l'album conteneva le foto del viaggio: sua santit
a Washington, in posa davanti al Lincoln Memorial e all'Air and Space Museum; sua santit in California,
sul molo di Santa Monica. Con un largo sorriso, mi indic eccitato le sue due foto preferite di tutto
l'album: sua santit in posa accanto a Richard Gere e unaltra istantanea che lo ritraeva insieme a Steven
Seagal.
I primi sei giorni di marcia trascorsero in un'atmosfera celestiale. La pista attraversava boschetti di
ginepri e betulle nane, pini del Bhutan e rododendri, sfiorando cascate rombanti, incantevoli giardini di
rocce e ruscelli spumeggianti. L'orizzonte degno delle Valchirie brulicava di vette delle quali avevo letto
fin da quando ero bambino. Poich la maggior parte del materiale era trasportato da yak e portatori, il
mio zaino conteneva poco pi che una giacca, qualche barretta dolce e la macchina fotografica. Privo di
pesi e senza fretta, assorto nella semplice gioia di attraversare a piedi un paese esotico, scivolavo in una
sorta di trance; ma l'euforia non durava a lungo. Prima o poi mi rammentavo della meta che mi aspettava
alla fule del viaggio, e l'ombra che l'Everest gettava sulla mia mente mi riportava di scatto alla realt.
Ognuno di noi marciava secondo la sua andatura, fermandosi spesso per ristorarsi presso le sale da t
che sorgevano lungo la strada e per chiacchierare con i passanti. Mi ritrovai a viaggiare spesso in
compagnia di Doug Hansen, il dipendente delle poste, e di Andy Harris, la guida che faceva da assistente
a Rob Hall e procedeva in coda al gruppo. Andy, soprannominato Harold da Rob e da tutti i suoi
amici neozelandesi, era un ragazzo grande e grosso, con la stazza di un difensore di football e l'aspetto
rude e attraente del protagonista maschile degli spot pubblicitari per le sigarette. Durante l'inverno agli
antipodi era molto richiesto come guida per l'eliski; d'estate invece lavorava come guida per gli scienziati
che conducono ricerche geologiche nell'Antartide o scortava scalatori sulle Alpi meridionali della Nuova
Zelanda.
Mentre percorrevamo il sentiero, Andy parlava con nostalgia della donna con la quale viveva, una
dottoressa che si chiamava Fiona McPherson. Quando ci fermammo a riposare su una roccia, prese
dallo zaino una foto per farmela vedere: era una donna alta, bionda, dallaria atletica. Andy mi disse che
lui e Fiona erano impegnati nella costruzione di una casa sulle colline, poco lontano da Queenstown.

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Appassionato dei semplici piaceri rappresentati dal segare travi e conficcare chiodi, Andy ammise che
quando Rob gli aveva offerto per la prima volta quel posto nella spedizione sull'Everest la sua reazione
era stata ambivalente: Mi era difficile lasciare Fi e la casa, per la verit. Avevamo appena messo in
opera il tetto; sa? Ma come si fa a rifiutare una possibilit di scalare l'Everest? Soprattutto quando hai
l'occasione di lavorare a fianco di uno come Rob Hall.
Anche se Andy non era mai stato sullEverest prima di allora, aveva familiarit con I'Himalaya. Nel 1985
aveva scalato un difficile vetta alta 6680 metri, il Chobutse, che sorgeva a una cinquantina di chilometri
dall'Everest, e nell'autunno del 1994 aveva trascorso quattro mesi aiutando Fiona a dirigere la clinica di
Pheriche, un tetro villaggio battuto dai venti che sorge a 4240 metri sul livello del mare, dov facemmo
tappa durante le notti del 4 e 5 aprile.
La clinica era stata finanziata da una fondazione chiamata Himalayan Rescue Association {Associazione
himalayana per il soccorso) soprattutto per curare le malattie legate allaltitudine - anche se offriva cure
gratuite agli sherpa locali - e per istruire itrekker sui rischi che comporta un'ascensione troppo rapida a
quote molto elevate. Era stata istituita nel 1973 dopo che quattro membri di una spedizione giapponese
indipendente di trekking erano morti nelle vicinanze a causa degli effetti dell'altitudine. Prima
dell'istituzione della clinica, le malattie acute causate dall'altitudine uccidevano pprossimativamente uno o
due escursionisti su cinquecento di quelli che passavano da Pheriche. Laura Ziemer, un'avvocatessa di
grido americana che, all'epoca della nostra visita, lavorava in quella istituzione {che occupava in tutto
quattro locali) insieme con il marito medico, Jim Litch, e un altro giovane sanitario di nome Larry Silver,
sottolineava che quel tasso allarmante di mortalit non era stato aumentato da incidenti di montagna; le
vittime erano normalissimi appassionati di trekking che non si erano mai avventurati oltre i sentieri
tracciati.
Ora, grazie ai corsi di istruzione e alle cure d'emergenza fornite dal personale della clinica, composto
tutto di volontari, quel tasso di mortalit stato ridotto a uno su trentamila. Bench gli occidentali idealisti
come la Ziemer che lavorano alla clinica di Pheriche non ricevano compensi e anzi debbano pagarsi le
spese di viaggio per e dal Nepal, si tratta di un posto privilegiato che attira le richieste di medici
estremamente qualificati di tutto il mondo. Caroline Mackenzie, il medico della spedizione di Hall, aveva
lavorato nella clinica della HRA insieme con Fiona McPherson e Andy nell'autunno del 1994.
Nel 1990, l'anno in cui Hall aveva conquistato l'Everest per la prima volta, la clinica era diretta da una
dottoressa neozelandese esperta e molto sicura di se, Jan Arnold. Hall l'aveva conosciuta passando da
Pheriche per raggiungere la montagna, ed era stato vittima di un colpo di fulmine. Invitai Jan a uscire con
me appena tornato dall'Everest, rievoc Hall durante la prima notte che trascorremmo al villaggio.
Come primo appuntamento le proposi di andare in Alaska per scalare insieme il monte McKinley, e lei
rispose di s. Si erano sposati due anni dopo. Nel 1993 Jan Arnold aveva raggiunto il culmine
dell'Himalaya insieme con Hall; nel 1994 e 1995 si era recata al campo base per lavorare come medico
della spedizione e sarebbe tornata anche quell'anno, se non fosse stata incinta di sette mesi del primo
figlio. Cos l'incarico era toccato a Mackenzie.
Il gioved dopo cena, la prima sera che trascorrevamo a Pheriche, Laura Ziemer e Jim Litch invitarono
alla clinica Hall, Harris e Helen Wilton, l'organizzatrice del nostro campo base, per bere insieme un
bicchierino e aggiornarsi sugli ultimi pettegolezzi. Nel corso della serata la conversazione cadde sui rischi
impliciti nell'attivit di scalatore (e guida) sull'Everest, e Litch ricorda ancora la discussione con
agghiacciante lucidit. Hall, Harris e Litch erano perfettamente d'accordo sul fatto che prima o poi era
inevitabile un grave incidente che coinvolgesse un numero elevato di clienti. Comunque, rammenta
Litch, che aveva scalato l'Everest dal Tibet nella primavera precedente, la convinzione di Rob era che
non sarebbe toccato a lui; si preoccupava solo al pensiero di dover salvare il culo a un'altra squadrae,
al momento dell'inevitabile calamit, era certo che si sarebbe verificata sul versante settentrionale della

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montagna, cio quello tibetano, che era pi pericoloso.

Sabato 6 aprile, a qualche ora di cammino da Pheriche, arrivammo all'estremit inferiore del ghiacciaio
Khumbu, una lingua di ghiaccio lunga quasi venti chilometri che scende dal fianco meridionale dell'Everest
e che ci sarebbe servita, mi auguravo efficacemente, da autostrada per raggiungere la vetta. Ormai,
raggiunta la quota di 4880 metri, ci eravamo lasciati alle spalle ogni traccia di verde. Lungo la cresta della
morena terminale del ghiacciaio, che si affaccia sulla valle colma di nebbia, sorgono venti monumenti di
pietra, sobriamente allineati, monumenti funebri di scalatori che sono periti sullEverest, in gran parte
sherpa. Da quel punto in avanti il nostro mondo sarebbe diventato una distesa nuda e monocromatica di
roccia e ghiaccio spazzati dal vento. Nonostante l'andatura pacata, avevo cominciato a risentire degli
effetti dellaltitudine, che mi lasciavano con la testa leggera e un lieve affanno.
In quel punto la pista era sepolta in molti tratti da uno strato di neve invernale alto quanto un uomo.
Quando la neve si rammolliva al sole pomeridiano, gli zoccoli degli yak penetravano nella crosta
ghiacciata e le bestie sprofondavano fino al ventre. I conducenti, brontolando, sferzavano gli animali per
spronarli a proseguire, e intanto minacciavano di tornare indietro. Alla fine della giornata arrivammo in un
villaggio chiamato Lobuje e l cercammo riparo dal vento in una locanda affollata e incredibilmente
sporca.
Ai margini del ghiacciaio Khumbu sorgeva un agglomerato di costruzioni basse e cadenti, rannicchiate sul
terreno per resistere alla violenza degli elementi. Lobuje era un luogo tetro, affollato di sherpa e alpinisti
appartenenti a una dozzina di spedizioni diverse, escursionisti tedeschi, branchi di yak smunti, tutti diretti
verso il campo base dell'Everest, poco pi su nella valle, a una giornata di cammino. L'ingorgo, spieg
Rob, era dovuto allo strato di neve, ancora insolitamente alto per la stagione, che fino al giorno prima
aveva addirittura impedito agli yak di raggiungere il campo base. La mezza dozzina di locande del
villaggio era al completo e le tende erano stipate l'una sull'altra nei pochi tratti di terreno fangoso che non
erano ricoperti di neve. Decine di portatorirai etamang , provenienti dalle colline pi in basso - vestiti di
stracci leggeri e svolazzanti, lavoravano come portatori per varie spedizioni - erano accampati nelle
caverne e sotto i massi delle pendici circostanti.
I tre o quattro servizi igienici di pietra del villaggio traboccavano letteralmente di escrementi. Le latrine
erano cos disgustose che la maggior parte delle persone, tanto nepalesi quanto occidentali, evacuavano
per terra all'aperto, dovunque li cogliesse lo stimolo. Enormi cumuli di feci maleodoranti erano sparsi
dappertutto, al punto che era impossibile evitarli, e il fiume di neve sciolta che serpeggiava attraverso il
centro dell'abitato era diventato una fogna a cielo aperto.
La sala principale della locanda in cui eravamo alloggiati era arredata con piattaforme di legno che
servivano da brandine a una trentina di persone. Mi trovai una brandina libera al livello superiore, scrollai
ben bene il materasso sudicio per scacciare il maggior numero possibile di pulci e pidocchi e aprii il
saccopiuma. Addossata alla parete vicina c'era una stufetta di ferro, che forniva calore, alimentata da
sterco di yak essiccato. Dopo il tramonto la temperatura scese ben al di sotto dello zero, e i portatori
entrarono a frotte per sfuggire ai rigori della notte scaldandosi attorno alla stufa. Poich lo sterco di yak
brucia male anche nelle circostanze migliori, e tanto pi nellaria povera di ossigeno dei
quattromilanovecento metri, l'ambiente fu ben presto saturo di un fumo denso e acre, come se il tubo di
scappamento di un autobus diesel si scaricasse direttamente nel locale. Per ben due volte durante la notte
dovetti uscire allaperto per respirare, assalito da una tosse irrefrenabile. La mattina dopo avevo gli occhi
iniettati di sangue che bruciavano, le narici intasate di fuliggine nera e una tosse secca e insistente che mi
avrebbe accompagnato fino alla fine della spedizione.

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Rob aveva intenzione di farci restare a Lobuje un solo giorno, per acclimatarci, prima di percorrere i
dieci o dodici chilometri che ci separavano dal campo base, dove i nostri sherpa erano arrivati alcuni
giorni prima in modo da preparare il terreno per il nostro arrivo e stabilire il percorso da seguire lungo le
pendici inferiori dellEverest. La sera del 7 aprile, per, arriv a Lobuje un corriere affannato che portava
un messaggio inquietante dal campo base: Tenzing, un giovane sherpa assunto da Rob, era precipitato
per quarantacinque metri in un crepaccio, una spaccatura aperta nel ghiacciaio. Altri quattro sherpa lo
avevano tirato fuori vivo, ma era gravemente ferito e probabilmente aveva un femore fratturato. Rob,
pallidissimo, annunci che lui e Mike Groom si sarebbero affrettati a raggiungere il campo base all'alba
per coordinare i soccorsi a Tenzing. Mi dispiace darvi questa notizia, aggiunse, ma voi altri dovrete
aspettare qui a Lobuje con Harold fin che non avremo la situazione sotto controllo.
Tenzing, apprendemmo in seguito, stava compiendo una ricognizione sull'itinerario al di sopra del Campo
Uno, scalando una sezione relativamente poco impegnativa del ghiacciaio Khumbu insieme ad altri
quattro sherpa. I cinque uomini procedevano in fila indiana, il che era sensato, ma non erano assicurati
con la corda, e questa era una grave violazione del protocollo alpinistico. Tenzing avanzava sulle orme
degli altri quattro, seguendo esattamente lo stesso percorso, quando uno strato sottile di neve che
copriva un profondo crepaccio aveva ceduto sotto di lui; prima ancora di avere il tempo di gridare, era
caduto a precipizio nelle viscere del ghiacciaio, tenebrose come il leggendario paese dei Cimmeri.
La quota di 6250 metri era giudicata troppo elevata per evacuarlo in elicottero senza rischi, in quanto
l'aria era troppo rarefatta per assicurare sufficiente spinta portante ai rotori di un elicottero, per
consentirgli cio di atterrare, decollare o anche solo librarsi con ragionevole sicurezza; quindi sarebbe
stato necessario trasportare Tnzing per circa novecento metri in discesa, fino al campo base,
procedendo lungo la seraccata del Khumbu, uno dei tratti pi ripidi e insidiosi di tutta la montagna.
Portare al campo Tenzing ancora vivo avrebbe richiesto uno sforzo imponente.
Rob era sempre molto interessato al benessere degli sherpa che lavoravano per lui. Prima che il nostro
gruppo partisse da Kathmandu ci aveva fatto riunire, tutti seduti in circolo, per impartirci una lezione
insolitamente severa sulla necessit di mostrare agli sherpa la debita gratitudine e il giusto rispetto. Gli
sherpa che assumiamo sono i migliori del settore, ci aveva ammonito. Svolgono un lavoro
incredibilmente duro per una somma di denaro piuttosto modesta secondo i canoni occidentali. Voglio
che vi ricordiate tutti che senza il loro aiuto non avremmo la minima possibilit di raggiungere la vetta
dellEverest. Velo ripeto, senza il sostegno degli sherpa nessuno di noi avrebbe la possibilit di scalare la
montagna.
In una conversazione successiva, Rob confess che negli anni precedenti aveva espresso delle critiche
agli organizzatori di alcune spedizioni che avevano trattato i loro sherpa senza le dovute attenzioni. Nel
1995 un giovane sherpa era morto sull'Everest e Hall riteneva che l'incidente fosse accaduto perch allo
sherpa era stato consentito di salire in alto senza il debito addestramento. Io ritengo che la responsabilit
di prevenire questo tipo di incidenti spetti a coloro che organizzano questi viaggi.
L'anno prima, una spedizione guidata americana aveva assunto come sguattero uno sherpa di nome
Kami Rita. Forte e ambizioso, appena ventunenne o poco pi, lo sherpa aveva insistito per essere
ammesso a lavorare come sherpa scalatore nella parte superiore del percorso. In segno di
apprezzamento per il suo entusiasmo e la sua dedizione, qualche settimana dopo gli era stato concesso il
permesso, nonostante non avesse alcuna esperienza alpinistica e non avesse ricevuto un addestramento
formale alla tecnica di scalata.
Da 6700 a 7600 metri la via normale risale lungo un pendio di ghiaccio ripido e insidioso, noto col nome
di Lhotse Pace, o parete del Lhotse. Come misura di sicurezza, le spedizioni fissano sempre una serie di
corde su questo pendio, da cima a fondo, e gli alpinisti devono assicurarsi durante l'ascesa agganciando

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un moschettone di sicurezza alle corde fisse. Kami, essendo giovane, inesperto e arrogante, aveva
pensato che non fosse davvero necessario agganciarsi alla corda. Un pomeriggio, mentre trasportava un
carico su per la parete del Lhotse, aveva perso la presa sul ghiaccio duro come la roccia ed era
precipitato per oltre seicento metri fino in fondo alla valle.
Il mio compagno di squadra Prank Pischbeck aveva assistito al drammatico avvenimento, dato che nel
1995 aveva compiuto il terzo tentativo di scalare l'Everest come cliente della societ americana che
aveva assunto Kami. Prank stava salendo con le corde sulla parte superiore della parete del Lhotse,
raccont con voce turbata, quando alzai la testa e vidi qualcuno precipitare dall'alto a capofitto. Quando
mi pass accanto urlava, lasciando dietro di s una scia di sangue.
Alcuni alpinisti si erano precipitati nel punto in cui il corpo di Kami si era arrestato, ai piedi della parete,
ma lui era gi morto a causa delle ferite riportate nella caduta. Il suo corpo era stato trasportato al campo
base, dove, secondo la tradizione buddhista, per tre giorni i suoi amici avevano portato cibi per
alimentare il cadavere; poi era stato trasferito in un villaggio presso Tengboche e l cremato. Mentre il
corpo veniva consumato dalle fiamme, la madre di Kami aveva lanciato gemiti strazianti, percuotendosi il
capo con un sasso appuntito.
Kami era ben presente nella mente di Rob, quella mattina dell'8 aprile, quando lui e Mike si affrettarono
a raggiungere il campo base per cercare di portare via Tenzing vivo.
Passando tra gli slanciati penitentes del ghiacciaio, la Phantom Alley, entrammo nel fondo della valle
disseminata di massi, al termine di un enorme anfiteatro... Qui [la seraccata compiva una brusca
deviazione, volgendo a sud come il ghiacciaio del Khumbu. Stabilimmo il nostro campo base a 5420
metri di altitudine, sulla morena laterale che formava il bordo esterno della curva. Enormi macigni
conferivano al luogo unaria di solidit, ma il fluire ininterrotto del pietrisco sotto i piedi correggeva
quellimpressione. Tutto ci che si poteva vedere, sentire e udire - la seraccata, la morena, le valanghe, il
gelo - parlava di un mondo che non era destinato ad accogliere la presenza umana. Non vi scorrevano
acque, non vi crescevano piante: solo distruzione e disgregazione... Quella sarebbe stata la nostra casa
per parecchi mesi finch la montagna non fosse stata vinta.
THOMAS F. HORNBEIN
Everest: The West Ridge

L'8 aprile, poco dopo il calar della sera, la ricetrasmittente di Andy si ridest crepitando all'esterno della
locanda di Lobuje: era Rob che chiamava dal campo base, riferendo buone notizie. Era stato necessario
formare una squadra di trentacinque sherpa, appartenenti a varie spedizioni, che avevano lavorato per
tutta la giornata, e alla fine erano riusciti a portare a valle Tenzing. Assicurandolo a una scaletta di
alluminio, si erano industriati a calarlo, trascinarlo e trasportarlo lungo la seraccata, e ora lo sherpa
riposava al campo base per riprendersi da quella dura prova. Se il tempo reggeva, all'alba sarebbe
arrivato un elicottero per trasportarlo in ospedale a Kathmandu. Con evidente sollievo, Rob ci diede il
via per lasciare Lobuje la mattina dopo e proseguire da soli fino al campo base.
Noi clienti ci sentimmo enormemente sollevati al pensiero che Tenzing fosse in salvo, e non meno

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sollevati alla prospettiva di lasciare Lobuje. John e Lou si erano beccati non so quale violento disturbo
intestinale a causa della sporcizia dell'ambiente circostante. Helen, la responsabile del campo base,
soffriva di un'emicrania lancinante, scatenata dall'altitudine, che non voleva saperne di attenuarsi, mentre
la mia tosse era peggiorata notevolmente dopo la seconda nottata trascorsa nella locanda invasa dal
fumo.
Per questo la terza notte che trascorremmo al villaggio decisi di sottrarmi a quel fumo nocivo,
trasferendomi in una tenda innalzata all'esterno e lasciata libera da Rob e Mike quando erano andati al
campo base. Andy decise di venire con me, ma alle due di notte mi svegliai di soprassalto quando lui
scatt di colpo a sedere accanto a me, cominciando a gemere. Ehi, Harold, gli domandai dal mio
saccopiuma, ti senti bene?
Veramente non lo so. A quanto pare, qualcosa che ho mangiato a cena non vuol saperne di
restare gi. Un attimo dopo Andy brancicava disperatamente la lampo dell'apertura, riuscendo a
mettere fuori la testa e il torso appena in tempo prima di vomitare con violenza. Quando i conati si
placarono, rimase immobile, carponi, per alcuni minuti, fuori della tenda per met, poi scatt in piedi, si
allontan di alcuni metri e si cal i pantaloni, cedendo a un violento attacco di diarrea. Trascorse il resto
della notte all'addiaccio, continuando a liberarsi con violenza del contenuto del suo apparato
gastrointestinale.
La mattina dopo Andy era debole e disidratato, scosso da un tremito violento. Helen gli sugger di
restare a Lobuje finch non avesse ripreso le forze, ma Andy si rifiut di prendere in considerazione
l'idea. Non passerei un'altra notte in questo buco schifoso neanche per tutto l'oro del mondo, annunci
facendo una smorfia, con la testa fra le ginocchia. Oggi vengo al campo base insieme a voi, anche a
costo di strisciare.
Alle nove di mattina eravamo pronti con i bagagli e ci mettemmo in cammino. Mentre il resto del
gruppo procedeva di buon passo lungo la pista, Helen e io restammo indietro per affiancarci a Andy, che
doveva compiere uno sforzo incredibile solo per mettere un piede davanti all'altro. Ogni tanto si fermava,
si appoggiava per qualche minuto ai bastoncini da sci in modo da riprendersi, dopodich radunava le
forze per procedere nell'avanzata.
Il percorso descriveva un saliscendi lungo alcuni chilometri attraverso i depositi rocciosi della
morena laterale del ghiacciaio del Khumbu, prima di scendere sulla superficie del ghiacciaio vero e
proprio. Il ghiaccio era quasi tutto ricoperto da ciottoli, ghiaia e macigni di granito, ma di tanto in tanto la
pista attraversava un tratto rimasto a nudo, che rivelava una sostanza ghiacciata e traslucida scintillante
come onice levigata. L'acqua di disgelo colava impetuosa attraverso innumerevoli canali superficiali e
sotterranei, creando uno spettrale brontolio armonico che risuonava nella massa del ghiacciaio.
A met del pomeriggio raggiungemmo un bizzarro corteo di penitentes di ghiaccio isolati l'uno
dall'altro - il pi grande era alto una trentina di metri - noto con il nome di Phantom Alley, il viale dei
fantasmi. Scolpite dagli intensi raggi solari, quelle torri, che sprigionavano una luminosit radioattiva
color turchese, sporgevano dal ghiaione come i denti di uno squalo gigante, estendendosi fin dove poteva
giungere lo sguardo. Helen, che era passata pi volte di l, annunci che eravamo vicini alla meta.
Circa tre chilometri pi avanti, il ghiacciaio descriveva una brusca curva a est; noi raggiungemmo
faticosamente la sommit di un lungo pendio e vedemmo stendersi ai nostri piedi una citt variopinta di
cupole di nylon. Pi di trecento tende, che ospitavano altrettanti scalatori e sherpa di quattordici
spedizioni, punteggiavano il ghiaccio cosparso di massi. Impiegammo venti minuti solo per individuare il
nostro recinto in quel vasto insediamento. Quando arrivammo al tratto finale, in salita, Rob ci venne
incontro a grandi passi. Benvenuti al campo base dell'Everest, esclam con un gran sorriso. Il mio

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altimetro da polso indicava 5360 metri.

Il villaggio creatoad hoc che ci avrebbe fatto da casa per le prossime sei settimane sorgeva
all'estremit superiore di un vasto anfiteatro naturale, disegnato da pareti rocciose proibitive. Le scarpate
al di sopra del campo erano ricoperte di ghiacciai sospesi, dai quali si staccavano immense scariche che
precipitavano rombando a tutte le ore del giorno e della notte. Quattrocento metri a est, incuneata fra la
parete Nuptse e il bastione occidentale dell'Everest, la seraccata del Khumbu s'insinuava attraverso uno
stretto varco in un caos di schegge ghiacciate. Lanfiteatro era aperto a sud-ovest, quindi era inondato
dal sole; nei pomeriggi limpidi in cui non c'era vento faceva tanto caldo che si poteva stare seduti
tranquillamente all'aperto in T-shirt. Ma non appena il sole calava dietro la vetta conica del Pumori, una
montagna alta 7145 metri poco pi a ovest del campo base, la temperatura scendeva di colpo verso lo
zero. Quando mi ritiravo nella tenda per la notte, mi sentivo cullare da una serenata di crepitii e schiocchi
sonori, a rammentarmi che ero disteso su un fiume di ghiaccio in movimento.
In stridente contrasto con la natura scabra e selvaggia dell'ambiente circostante c'era la miriade di
comfort del campo dell'Adventure Consultants, che accoglieva quattordici occidentali - gli sherpa ci
definivano collettivamente membri, oppuresahib - e quattordici sherpa. La mensa, un enorme
padiglione di tela, era arredata con un grande tavolo di pietra, un impianto stereo, una biblioteca ed era
dotata di luci elettriche alimentate dall'energia solare; la tenda delle comunicazioni, adiacente a questa,
ospitava un telefono satellitare e un fax. Era stata improvvisata persino una doccia con un tubo di gomma
e un secchio riempito d'acqua riscaldata dal personale di cucina. A intervalli di pochi giorni arrivavano a
dorso di yak pane e verdure fresche. Perpetuando una tradizione dell'epoca dell'impero coloniale,
consolidata dalle spedizioni dei bei tempi andati, ogni mattina Chhongba e il suo aiutante Tendi facevano
il giro delle tende per servire tazze fumanti di t sherpa ai clienti ancora imbozzolati nei sacchipiuma.
Avevo sentito raccontare tante storie sull'Everest trasformato in una discarica dalle orde di scalatori
sempre pi numerose, storie in cui la responsabilit principale veniva addossata alle spedizioni
commerciali. Anche se negli anni Settanta e Ottanta il campo base era effettivamente un enorme cumulo
di rifiuti, negli ultimi tempi era diventato un luogo abbastanza ordinato, senza dubbio l'insediamento
umano pi pulito che avessi visto da quando avevo lasciato Namche Bazaar, e gran parte del merito delle
pulizie andava in realt alle spedizioni commerciali.
In questo senso le guide, che portavano clienti sullEverest un anno dopo l'altro, avevano un
interesse che i visitatori occasionali non potevano coltivare. Nell'ambito della spedizione del 1990, Rob
Hall e Gary Ball avevano promosso un'iniziativa per rimuovere cinque tonnellate di rifiuti dal campo base.
Hall e alcuni suoi colleghi avevano anche avviato una collaborazione con i ministri del governo di
Kathmandu per formulare una politica che incoraggiasse gli scalatori a tenere pulita la montagna. Nel
1996, oltre alla tariffa dell'autorizzazione, le spedizioni dovevano versare una somma di quattromila
dollari, destinata a essere rimborsata solo se una quantit prestabilita di rifiuti fosse stata riportata a
Namche e Kathmandu. Anche i barili contenenti gli escrementi estratti dalle nostre latrine dovevano
essere rimossi e portati via.
Il campo base brulicava di attivit come un formicaio. In un certo senso il recinto dell'Adventure
Consultants fungeva da sede del governo per l'intero campo base, perch nessuno sulla montagna
godeva di maggiore rispetto di Hall. Qualunque problema ci fosse, che si trattasse di dispute sindacali
con gli sherpa, di un'emergenza medica o di una decisione critica sulla strategia della scalata, gli interessati
venivano nella tenda-mensa per chiedere consiglio a Hall, che dispensava con generosit la sua saggezza

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persino ai rivali, in particolare Scott Fischer.


In precedenza, Fischer aveva gi guidato con successo una spedizione su un Ottomila,[11]per la
precisione il Broad Peak, alto 8047 metri, che sorge nella catena del Karakorum, in Pakistan, nel 1995.
Inoltre aveva tentato ben quattro volte di conquistare l'Everest, raggiungendo la vetta una sola volta, nel
1994, ma non in veste di guida. La primavera del 1996 contrassegnava la sua prima visita sulla montagna
a capo di una spedizione commerciale; anche Fischer, come Hall, guidava un gruppo di otto clienti. Il suo
campo, contraddistinto da un enorme striscione pubblicitario del caff Starbucks appeso a un blocco di
granito grande come una casa, si trovava a cinque minuti di cammino dal nostro, pi in basso sul
ghiacciaio.
Gli uomini e le donne di varia estrazione che scalano per professione le cime pi alte del mondo
costituiscono un circolo chiuso e ristretto. Fischer e gli altri erano rivali in affari ma, poich erano anche
membri in vista della confraternita dell'alta quota, le loro strade s'incrociavano spesso e sotto certi aspetti
si consideravano amici. Fischer e Hall si erano conosciuti negli anni Ottanta nel Pamir, in Russia, e in
seguito avevano trascorso parecchio tempo insieme sull'Everest, nel 1989 e nel 1994. Avevano in mente
dei progetti per unire le loro forze e tentare la conquista del Manaslu, una difficile vetta di 8163 metri
nella regione centrale del Nepal, subito dopo aver condotto i rispettivi clienti sull'Everest nel 1996.
Il legame tra Fischer e Hall si era consolidato nel 1992, quando si erano incontrati per caso sul K2,
la seconda montagna del mondo in ordine di altezza. Hall stava tentando la scalata insieme con il suo
compaero e socio in affari Gary Ball, mentre Fischer era in compagnia di uno dei pi noti scalatori
americani, Ed Viesturs. Lungo la discesa dalla vetta, Sotto una spaventosa tormenta, Fischer, Viesturs e
un terzo americano, Charlie Mace, si erano imbattuti in Hall mentre tentava di sorreggere Ball, che era
stato colpito da un micidiale attacco di mal di montagna e non riusciva a muoversi con le sue sole forze.
Fischer, Viesturs e Mace lo avevano aiutato a trascinare Ball lungo le pendici inferiori della montagna
spazzate dalle valanghe, salvandogli la vita. (Un anno dopo, Ball sarebbe morto di un altro attacco simile
sul Dhaulagiri.)
Fischer, quarantenne, era un tipo robusto e socievole, con una coda di cavallo di capelli biondi e
una straordinaria carica di energia quasi maniacale. Quando era appena uno studentello quattordicehne a
Basking Ridge; nel New Jersey, aveva visto per caso un programma televisivo sull'alpinismo, e ne era
rimasto affascinato. L'estate successiva era andato nel Wyoming per iscriversi a un corso di
sopravvivenza nella natura selvaggia organizzatO dalla National Outdoor Leadership School (NOLS) e
appena ottenuto il diploma delle superiori si era trasferito stabilmente nell'Ovest, trovando impieghi
stagionali come istruttore del NOLS; aveva messo l'alpinismo al centro del suo universo e non si era pi
voltato indietro.
A diciotto anni, mentre lavorava al NOLS, si era innamorato di una studentessa del suo corso che
si chiamava Jean Price. Sette anni dopo si erano sposati, si erano stabiliti a Seattle e avevano avuto due
figli, Andy e Rose (che avevano rispettivamente nove e cinque anni quando Fischer part per l'Everest nel
1996). Price aveva preso il brevetto di pilota commerciale ed era diventata comandante dell'Alaska
Airlines, una carriera ben remunerata che aveva consentito al marito di fare lo scalatore a tempo pieno;
inoltre i suoi guadagni gli avevano permesso di lanciare nel 1984 la Mountain Madness.
Se il nome dell'agenzia di Hall, Adventure Consultants, rispecchiava il suo approccio alla montagna,
metodico e pignolo, Mountain Madness, letteralmente follia per la montagna, era un'immagine ancor
pi fedele dello stile personale di Fischer. Poco dopo la ventina si era guadagnato la reputazione di
essere un uomo che affrontava le scalate con un atteggiamento spericolato e noncurante degli inviti alla
prudenza. Nella sua carriera di scalatore, e soprattutto in quei primi anni, era sopravvissuto a un gran
numero di spaventosi incidenti che secondo ogni ragionevole previsione avrebbero dovuto ucciderlo.

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In almeno due occasioni, una volta nel Wyoming e un'altra a Yosemite, era precipitato a terra da
un'altezza di circa venticinque metri mentre si arrampicava sulla roccia. Durante il periodo in cui aveva
lavorato come assistente istruttore in un corso del NOLS sulla Wind River Range, era piombato sul
fondo di un crepaccio, a venti metri di profondit, nel ghiacciaio Dinwoody, perch non era assicurato
con la corda. Forse la caduta pi disonorevole, per, si era verificata quando era un novellino delle
scalate sul ghiaccio; nonostante l'inesperienza, aveva deciso di tentare l'ambita prima scalata di una
difficile seraccata chiamata Bridal Veil Falls, nel Provo Canyon, nello Utah. Mentre sfidava in velocit
due esperti scalatori sul ghiaccio, Fischer aveva perso la presa a trenta metri d'altezza ed era precipitato
a capofitto.
Con grande stupore di coloro che avevano assistito all'incidente, si era rialzato subito, visto che aveva
riportato ferite relativamente leggere, e si era allontanato con i propri mezzi. Tuttavia durante il lungo volo
verso terra la punta tubolare di una piccozza gli aveva trapassato il polpaccio uscendo dalla parte
opposta, e quando lui l'aveva estratta la punta cava gli aveva asportato un campione di tessuto,
lasciandogli nella gamba un foro abbastanza grande da permettere il passaggio di una matita. Fischer non
vedeva motivo di sprecare le sue limitate risorse finanziarie per farsi curare una ferita cos insignificante,
per cui aveva scalato montagne per sei mesi con una ferita aperta e infetta. Quindici anni dopo, mi mostr
con orgoglio la cicatrice permanente inflittagli da quella caduta: un paio di segni lucenti delle dimensioni di
una monetina da dieci centesimi, ai lati del tendine dAchille.
Scott si spingeva oltre ogni limite fisico, ricorda Don Peterson, un noto scalatore americano che lo
conobbe dopo la caduta dalla Bridal Veil Falls. Peterson divenne per lui una sorta di mentore, che lo ha
accompagnato a intervalli nelle sue scalate nel corso dei vent'anni successivi. Aveva una forza di volont
sbalorditiva. Non importava quanto soffriva; ignorava il dolore e andava avanti. Non era il tipo d'uomo
che si d per vinto perch ha una vescica a un piede.
Scott era divorato dall'ambizione di diventare un grande scalatore, di essere uno dei migliori del mondo.
Ricordo che alla sede del NOLS c'era una specie di rudimentale palestra. Scott entrava in quella stanza e
regolarmente si allenava con tanta intensit da vomitare. Regolarmente. Non cpita spesso di incontrare
persone cos motivate.
Fischer attirava il prossimo con la sua energia e generosit, la sua assenza di malizia, il suo entusiasmo
quasi infantile. Istintivo ed emotivo, poco propenso all'introspezione, aveva quel tipo di personalit
comunicativa e magnetica capace di stabilire in un attimo un'amicizia che dura tutta la vita; centinaia di
persone, fra cui alcune incontrate appena un paio di volte, lo consideravano un amico per la pelle. Per
giunta era straordinariamente attraente, con un fisico da culturista e il viso delicatamente cesellato da divo
del cinema. Fra coloro che si sentivano attratti da lui c'erano non poche rappresentanti del gentil sesso,
alle cui attenzioni non era indifferente.
Uomo dagli appetiti intensi, Fischer fumava parecchia marijuana (tranne quando lavorava) e beveva pi
di quanto fosse salutare. Una stanzetta sul retro dell'ufficio della Mountain Madness fungeva da suo
rifugio segreto, dove amava ritirarsi con gli amici, dopo aver messo i bambini a letto, per passare in giro
la pipa e guardare le diapositive delle loro imprese in alta quota.
Durante gli anni Ottanta Fischer aveva fatto varie scalate impressionanti che gli erano valse una certa
fama a livello locale, ma non era riuscito a ottenere la celebrit nell'ambiente dell'alpinismo internazionale.
Malgrado i suoi sforzi, non era stato in grado di procurarsi un lucroso contratto con uno sponsor del tipo
di quelli che erano toccati ad alcuni dei colleghi pi famosi ed era preoccupato al pensiero che quei
grandi alpinisti non lo rispettassero.

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I riconoscimenti erano importanti per Scott, osserva Jane Bromet, la sua agente pubblicitaria,
confidente e frequente compagna di scalate, che accompagn la spedizione della Mountain Madness fino
al campo base per mettere in rete dei file Internet per la Outside Online. Desiderava ardentemente la
celebrit. Aveva un lato vulnerabile che restava sconosciuto alla maggior parte delle persone; era
sinceramente turbato al pensiero di non .essere considerato uno scalatore di tutto rispetto. Si sentiva
sottovalutato e questo lo faceva soffrire.
Quando part per il Nepal, nella primavera del 1996, aveva cominciato a ottenere alcuni dei
riconoscimenti che riteneva gli fossero dovuti. In gran parte gli erano giunti sulla scia della scalata
dell'Everest nel 1994, compiuta senza l'ausilio dell'ossigeno. Battezzata col nome di Sagarmatha
Environmental Expedition, la squadra di Fischer aveva rimosso dalla montagna oltre duemiladuecento
chilogrammi di rifiuti, compiendo unopera molto meritoria per il paesaggio e ancor pi positiva per le
pubbliche relazioni. Nel gennaio 1996, inoltre, Fischer aveva guidato una prestigiosa scalata del
Kilimangiaro a scopo di beneficenza, raccogliendo un milione di dollari a vantaggio dell'organizzazione
umanitaria CARE. In gran parte grazie alla spedizione di pulizia dell'Everest e a quella successiva scalata
di beneficenza, quando part per l'Everest nel 1996 Fischer era apparso spesso in posizione di rilievo sui
media di Seattle e la sua carriera di scalatore era in piena ascesa.
Era inevitabile che i giornalisti gli rivolgessero delle domande sui rischi associati con il genere di alpinismo
da lui praticato e si chiedessero in che modo riusciva a conciliarlo con il ruolo di marito e di padre.
Fischer rispondeva che ora correva di gran lunga meno rischi di quanto avesse fatto nella sua giovent
sfrenata, poich era diventato molto pi prudente e conservatore nelle scalate. Poco prima di partire per
l'Everest nel 1996, aveva confidato allo scrittore di Seattle Bruce Barcott: Sono convinto al cento per
cento che torner... Anche mia moglie ne convinta al cento per cento. Non si preoccupa affatto per
me, quando guido una spedizione, perch sa che far tutte le scelte giuste. Quando succede un incidente,
penso che si tratti sempre di un errore umano, ed questo che voglio evitare. Da giovane ho avuto molti
incidenti. Si possono indicare molte ragioni, ma in ultima analisi il motivo un errore umano.
Nonostante le assicurazioni di Fischer, la sua erratica carriera di alpinista incideva in modo pesante sulla
vita familiare. Andava pazzo per i bambini e quando si trovava a Seattle era un padre eccezionalmente
premuroso, ma le assidue scalate lo tenevano lontano da casa per mesi di fila. Era stato assente a sette
delle nove feste di compleanno del figlio. In effetti, dicono gli amici, quando part per l'Everest nel 1996, il
suo matrimonio era seriamente compromesso, situazione aggravata dalla sua dipendenza finanziaria dalla
moglie.
Come la maggior parte delle agenzie concorrenti, la Mountain Madness era un'impresa con un margine
di profitto quasi inesistente, e lo era fin dagli inizi: nel 1990 Fischer aveva guadagnato appena dodicimila
dollari. Comunque la situazione stava finalmente cominciando a diventare pi promettente, grazie alla
crescente popolarit di Fischer e agli sforzi della sua socia nonch amministratrice, Karen Dickinson,
dotata di capacit organizzative e lucidit che compensavano lo stile rilassato e disinvolto di Fischer nella
gestione degli affari. Ispirandosi al successo ottenuto da Rob Hall come guida all'Everest, e ai lauti
compensi che di conseguenza riusciva a ottenere, Fischer aveva deciso che per lui era venuto il momento
di inserirsi nel mercato dell'Everest. Se fosse riuscito a emulare Hall, questo avrebbe catapultato ben
presto la Mountain Madness nell'orbita dei profitti.
Il denaro in s non rivestiva una straordinaria importanza per Fischer. Si curava poco degli aspetti
materiali della vita, mentre era avido di rispetto - da parte della famiglia, dei colleghi, della societ in
generale - e sapeva che nella nostra cultura il denaro il principale indizio di successo.
Avevo incontrato Fischer a Seattle poche settimane dopo il suo trionfale ritorno dall'Everest. Non
lo conoscevo bene, ma avevamo degli amici in comune e spesso ci incrociavamo sulle pareti di roccia o

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alle riunioni di scalatori. In quell'occasione mi aveva parlato a lungo della spedizione guidata che stava
progettando per la scalata dell'Everest, cercando di lusingarmi con la proposta di partecipare anch'io, per
scrivere poi un articolo sulla scalata perOutside . Quando avevo replicato che sarebbe stata una follia
tentare l'Everest per una persona con la mia limitata esperienza dell'alta quota, lui aveva osservato: Eh,
l'esperienza spesso viene sopravvalutata. Tu hai fatto qualche scalata piuttosto pesante, roba molto pi
tosta dell'Everest. Ormai il grande E stato sviscerato da capo a fondo, lo abbiamo ingabbiato del tutto.
Abbiamo costruito un'autostrada fino alla vetta,[12]* te lo assicuro.
Scott aveva solleticato il mio interesse, probabilmente pi di quanto credesse, e da allora non
aveva pi mollato la presa. Ogni volta che mi vedeva riprendeva l'argomento dell'Everest e aveva
ripetutamente interpellato Brad Wetzler, uno dei redattori diOutside , suggerendogli l'idea. Nel gennaio
1996, in gran parte grazie all'azione concertata da Fischer, la rivista prese l'impegno di inviarmi
sull'Everest, probabilmente come membro della sua spedizione, secondo le indicazioni di Wetzler. Nella
mente di Scott l'affare era fatto.
Un mese prima della data prevista per la partenza, per, ricevetti una telefonata da Wetzler con la
notizia che cera stato un cambiamento nei piani: Rob Hall aveva proposto alla rivista un accordo
notevolmente pi vantaggioso, quindi Wetzler mi suggeriva di unirmi alla spedizione dellAdventure
Consultants anzich a quella di Fischer. A quell'epoca conoscevo Fischer e lo apprezzavo, mentre non
sapevo molto di Hall, per cui all'inizio mi mostrai riluttante, ma dopo che un fidato compagno di scalate
mi ebbe confermato la solida reputazione di Hall, accettai con entusiasmo di scalare l'Everest con
l'Adventure Consultants.
Un pomeriggio al campo base, domandai a Hall per quale motivo era stato cos ansioso di avermi
con s. Lui mi rispose con candore che in realt non era particolarmente interessato a me, e neanche alla
notoriet che poteva ottenere dal mio articolo; quello che lo attirava tanto era la messe di inserzioni
pubblicitarie che avrebbe ricavato dall'accordo concluso conOutside .
Mi spieg che, in base ai termini di quell'accordo, avrebbe ricevuto in contanti solo diecimila dollari
della quota abituale; il saldo sarebbe stato versato in natura, e cio con i costosi spazi pubblicitari della
rivista, che si rivolgeva a un pubblico di alto livello, amante dell'avventura e "fisicamente attivo, vale a dire
proprio la base della sua clientela. Cosa ancor pi importante, aggiunse Hall, un pubblico
americano. Probabilmente lottanta o il novanta per cento del mercato potenziale per le spedizioni guidate
sull'Everest e sulle altre Sette Sorelle vive negli Stati Uniti. Dopo questa stagione, in cui si affermato
come guida sull'Everest, il mio amico Scott godr di un grande vantaggio sull'Adventure Consultants per il
solo fatto che ha sede in America. Per competere con lui dovremo innalzare in modo significativo il livello
della nostra presenza pubblicitaria in questo paese.
In gennaio, quando apprese che Hall mi aveva sottratto alla sua squadra, Fischer and su tutte le
furie. Mi telefon dal Colorado, sconvolto come non lo avevo mai sentito, per dirmi che non intendeva
concedere la vittoria a Hall. (Come Hall, Fischer non si cur di nascondermi che non era interessato a
me, bens alla notoriet e alla pubblicit collaterali.) Alla fine, comunque, non se la sent di presentare alla
rivista un'offerta pari a quella di Hall.
Comunque, quando arrivai al campo base con il gruppo dellAdventure Consultants anzich con la
spedizione della Mountain Madness, Scott non mi port rancore. Appena andai a trovarlo al suo campo,
mi vers una tazza di caff, mi mise una mano sulla spalla e parve sinceramente felice di vedermi.

Nonostante i numerosi elementi della civilt moderna presenti al campo base, era impossibile

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dimenticare che eravamo oltre cinquemila metri sopra il livello del mare. Lo sforzo necessario per
raggiungere la tenda-mensa all'ora dei pasti mi lasciava ansimante per alcuni minuti e, se mi alzavo troppo
in fretta dalla sedia, mi girava la testa e venivo assalito dalle vertigini. La tosse profonda e raschiante che
avevo contratto a Lobuje peggiorava di giorno in giorno. Il sonno divenne difficile, un sintomo comune
del mal di montagna in forma blanda. Quasi tutte le notti mi svegliavo di soprassalto tre o quattro volte
ansimando per riprendere fiato, con la sensazione di soffocare. Tagli e graffi non si cicatrizzavano;
l'appetito svan e il sistema digestivo, che richiede molto ossigeno per metabolizzare il cibo, non riusciva
ad assimilare quello che mi sforzavo di mangiare, per cui il mio corpo cominci a consumare le riserve, al
punto che braccia e gambe cominciarono pian piano a rinsecchirsi.
Alcuni dei miei compagni di squadra si sentivano ancora peggio di me in quell'aria rarefatta e in
quell'ambiente poco igienico. Andy, Mike, Caroline, Lou, Stuart e John soffrivano di attacchi di
gastroenterite che li costringevano a corse frenetiche verso le latrine, mentre Helen e Doug erano
tormentati da feroci emicranie. Come cerc di spiegarmi Doug, come se qualcuno mi avesse
conficcato un chiodo in mezzo agli occhi.
Quello era il secondo tentativo sull'Everest di Doug con la squadra di Hall. L'anno prima, Rob
aveva costretto lui e altri tre clienti a tornare indietro a cento metri appena dalla cima, perchera tardi e il
crinale della vetta era sepolto sotto una coltre di neve alta e instabile. La vetta sembrava cos vicina,
ricordava Doug con una risata dolorosa. Credimi, da allora non passato giorno che non ci abbia
pensato. Era stato indotto a tornare quell'anno da Hall, il quale, dispiaciuto che a Hansen fosse stato
negato il privilegio di raggiungere la vetta, gli aveva accordato un forte sconto sulla tariffa ordinaria per
consentirgli un altro tentativo.
ra gli altri clienti, Doug era il solo che avesse arrampicato in modo costante senza affidarsi a una
guida professionista; pur non essendo un alpinista eccezionale, aveva quindici anni di esperienza che lo
mettevano perfettamente in grado di badare a s stesso in alta quota. Se c'era qualcuno nella nostra
spedizione capace di raggiungere la vetta, ero convinto che fosse Doug: era forte, era motivato ed era gi
arrivato vicinissimo alla cima dell'Everest.
A meno di due mesi dal quarantasettesimo compleanno, divorziato da diciassette anni, Doug mi
confid che era stato legato a una lunga serie di donne, che prima o poi lo avevano lasciato tutte, stanche
di dover competere con le montagne per ottenere la sua attenzione. Qualche settimana prima di partire
per l'Everest nel 1996, Doug aveva conosciuto un'altra donna durante una visita a un amico di Tucson, e
si era innamorato di lei. Per qualche tempo avevano comunicato fra loro con un turbine di fax, poi erano
trascorsi parecchi giorni senza che Doug avesse ricevuto sue notizie. Immagino che sar rinsavita e mi
avr cancellato dalla sua vita, sospir con un'espressione sconsolata. E dire che era davvero in gamba.
Pensavo proprio che stavolta sarebbe durata.
Qualche ora dopo, quel pomeriggio stesso, si avvicin alla mia tenda sventolando un fax appena
arrivato. Karen Marie mi annuncia che sta per trasferirsi nella zona di Seattle! esclam in estasi.
Accidenti, stavolta potrebbe essere una faccenda seria. Far bene a conquistare la vetta e a togliermi
dalla testa l'Everest prima che lei ci ripensi.
Oltre a intrattenere una corrispondenza con la nuova donna della sua vita, Doug ingannava il tempo al
campo base scrivendo innumerevoli cartoline postali agli allievi della scuola elementare Sunrise,
un'istituzione pubblica di Kent, nello stato di Washington, che aveva venduto delle T-shirt per aiutarlo a
raccogliere i fondi per la scalata. Mi mostr molte delle sue cartoline: C' chi ha grandi sogni e chi ne ha
di piccoli, aveva scritto a una bambina di nome Vanessa. Qualunque sia il tuo sogno, l'importante non
smettere mai di sognarlo.

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Doug dedicava dell'altro tempo ascrivere fax ai figli ormai adulti, Angie, di diciannove anni, e Jaime, di
ventisette, che aveva allevato da solo. Era alloggiato nella tenda vicina alla mia e ogni volta che arrivava
un fax di Angie me lo leggeva con un sorriso radioso. Santo cielo, osservava, chi lo avrebbe mai detto
che un povero stronzo come me potesse avere una figlia cos straordinaria?
Da parte mia, scrivevo poche cartoline o fax e passavo la maggior parte del mio tempo al campo base a
chiedermi come mi sarei comportato sulla montagna a quote superiori, in particolare nella cosiddetta
Zona della morte, intorno ai 7600 metri. Avevo al mio attivo pi ore di arrampicata su roccia tecnica e
su ghiaccio della maggior parte degli altri clienti e persino di molte guide, ma sull'Everest l'esperienza
tecnica contava poco o niente, e avevo trascorso a quella quota meno tempo di qualsiasi altro scalatore
presente. In effetti, l al campo base, che si trovava appena ai piedi dell'Everest, ero gi alla quota pi alta
che avessi mai raggiunto in vita mia.
Questo non sembrava impensierire Hall. Dopo sette spedizioni sull'Everest, mi spieg, aveva messo a
punto un sistema di acclimatazione notevolmente efficace, che ci avrebbe consentito di adattarci alla
scarsit di ossigeno nell'atmosfera. (Al campo base l'ossigeno era approssimativamente la met di quello
esistente al livello del mare, mentre in vetta si riduceva a un terzo.) Di fronte a un aumento dell'altitudine, il
corpo umano si adatta in vari modi, dall'aumento del ritmo della respirazione, alla modifcazione del pH
del sangue, a un drastico potenziamento del numero di globuli rossi del sangue portatori di ossigeno; un
processo clie richiede settimane.
Hall insisteva comunque nel dire che dopo tre escursioni al di sopra del campo base, in ciascuna delle
quali saremmo saliti di circa seicento metri sul versante della montagna, il nostro organismo si sarebbe
adattato a sufficienza per consentirci di arrivare senza danni fino in cima, a 8848 metri. Finora ha
funzionato gi nove volte, amico, mi assicur Hall con un sorrisetto malizioso, quando gli confidai i miei
dubbi. E alcuni del tizi che ho portato in cima erano messi quasi peggio di te.
Pi la situazione appare insostenibile e le esigenze si. Fanno pressanti. [per lo scalatore], pi dolce alla
fine l'allentarsi di tutta quella tensione, che consente di nuovo al sangue di scorrere liberamente. La
prossimit del rischio serve solo ad acuire le capactt di percezione e di. controllo, e forse questa la
molla di ogni sport pericoloso: si cerca deliberatamente di innalzare la soglia dello sforzo e della
concentrazione per purificare la mente, si direbbe, dalle banalit. un modellino in scala della vita, ma
con una differenza: mentre di solito nella routine quotidiana si possono correggere gli errori raggiungendo
una sorta di compromesso, in questo caso le azioni, sia pure per un breve periodo, hanno un effletto
letale.
A. ALVAREZ
The Savage God.A Study of Suicide

La scalata dell'Everest un processo lungo e noioso, che somiglia pi al progetto di costruzione di un


mammuth che all'alpinismo come lo avevo conosciuto in precedenza. Compresi gli sherpa, nella squadra
di Hall c'erano ventisei persone, e assicurare a tutti nutrimento, riparo e buone condizioni di salute a 5350
metri di altitudine, a centosessanta chilometri di distanza a piedi dalla strada locale pi vicina, non era
impresa da poco. Come organizzatore, comunque, Hall non temeva rivali e inoltre amava la sfida. Al
campo base lo si vedeva sempre curvo su tabulati di computer che elencavano in modo dettagliato i
particolari logistici: menu, pezzi di ricambio, attrezzi, medicine, mezzi di comunicazione, tabelle di carico,

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disponibilit degli yak. Dotato di un talento naturale per la tecnica, Rob adorava le infrastrutture,
l'elettronica e i gadget di ogni genere; dedicava il suo tempo libero ad armeggiare con l'impianto elettrico
a pannelli solari o a leggere i numeri arretrati diPopular Science .
Secondo la tradizione di George Leigh Mallory e di quasi tutti gli altri conquistatori dell'Everest, la
strategia di Hall consisteva nel cingere d'assedio la montagna. Al di sopra del campo base, gli sherpa
installavano una serie progressiva di quattro campi, ciascuno all'incirca seicento metri pi in alto del
precedente, facendo la spola fra un accampamento e l'altro con ingombranti carichi di viveri, combustibile
per la cucina e ossigeno, finch tutto il materiale necessario non era stato ammassato a 7986 metri di
quota, sul Colle Sud. Se tutto procedeva secondo il grande piano di Hall, l'attacco alla vetta sarebbe
stato lanciato da quel campo pi alto, il Campo Quattro, di l a un mese.
Anche se a noi clienti non veniva richiesto di partecipare al trasporto del carico,[13]era necessario
che facessimo ripetute puntate al di sopra del campo base prima dell'attacco alla vetta, per acclimatarci.
Rob annunci che la prima di queste sortite di acclimatazione si sarebbe svolta il 13 aprile: un'escursione
di un giorno intero al Campo Uno, appollaiato sul ciglio superiore della seraccata del Khumbu, ottocento
metri pi in alto.
Dedicammo il pomeriggio del 12 aprile, giorno del mio quarantaduesimo compleanno, a preparare
l'attrezzatura per la salita. Il campo somigliava a una vendita in cortile di prestigiosi articoli sportivi, dal
momento che avevamo sparpagliato tutta la nostra roba fra i macigni per scegliere gli indumenti, regolare
le imbracature, agganciare i moschettoni di sicurezza e fissare i ramponi agli scarponi (i ramponi sono
griglie di spuntoni d'acciaio lunghi cinque centimetri che si agganciano alla suola degli scarponi per fare
presa sul ghiaccio). Rimasi sorpreso e preoccupato nel vedere che Beck, Stuart e Lou toglievano
dall'involucro degli scarponi da montagna nuovi di zecca che, per loro stessa ammissione, avevano
appena provato. Mi domandai se sapessero quali rischi correvano salendo sull'Everest con calzature che
non fossero state opportunamente rodate; vent'anni prima ero partito per una spedizione con un paio di
scarponi nuovi e avevo imparato a mie spese come gli scarponi da montagna rigidi e pesanti possano
causare ferite debilitanti ai piedi, prima di ammorbidirsi con l'uso.
Stuart, il giovane cardiologo canadese, scopr che i ramponi non si adattavano neppure agli
scarponi nuovi. Per fortuna, ricorrendo al suo vasto assortimento di attrezzi e a una notevole ingegnosit
per risolvere il problema, Rob riusc a mettere insieme una cinghia speciale che consentiva di utilizzare i
ramponi.
Mentre preparavo lo zaino per l'indomani, venni a sapere e, fra le esigenze familiari e i problemi
legati a carriere prestigiose e impegnative, pochi dei miei compagni di spedizione aveno avuto
l'opportunit di fare pi di un paio di scalate durante l'anno precedente. Bench apparissero tutti in
eccellenti condizioni fisiche, le circostanze li avevano costretti a svolgere il grosso dell'allenamento sullo
StairMaster e sultapis roulant , anzich su vere e proprie cime. Questo mi diede da riflettere: le
condizioni fisiche rappresentano un fattore essenziale dellalpinismo, ma esistono molti altri aspetti
altrettanto importanti, nessuno dei quali si pu mettere a punto in palestra.
Ma forse sono soltanto uno snob, rimproverai a me stesso. In ogni caso, era evidente che tutti i
miei compagni erano eccitati quanto me alla prospettiva di piantare i ramponi in una montagna autentica,
la mattina dopo.
La via che avremmo seguito verso la vetta percorreva il ghiacciaio del Khumbu risalendo la parte
inferiore della montagna. Dalla crepaccia terminale[14]che ne contrassegnava lestremit superiore, alla
quota di 7000 metri, quel grande fiume di ghiaccio scorreva verso il basso per quasi 3,5 chilometri lungo
una vallata relativamente poco ripida, chiamata Western Cwm o Cwm occidentale. Avanzando a passo

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di lumaca su gobbe e cavit presenti sulla parte inferiore del Cwm, il ghiacciaio si frantuma in una serie di
innumerevoli spaccature vertiali dette crepacci. Alcuni di questi crepacci sono tanto stretti da poter
essere superati con un passo, altri invece sono larghi fino a venticinque metri e profondi alcune centinaia,
per unestensione di quasi ottocento metri da un'estremit all'altra. Quelli grandi avrebbero rappresentato
un ostacolo tormentoso alla nostra salita e, se nascosti sotto una crosta di neve, avrebbero costituito un
serio rischio, ma nel corso degli anni le sfide poste dai crepacci del Cwm si erano rivelate prevedibili e
superabili.
La seraccata era tutto un altro discorso: non esisteva tratto che gli scalatori temessero di pi
nell'ascensione al Colle Sud. Intorno ai 6100 metri, nel punto in cui sporgeva dall'estremit inferiore del
Cwm, il ghiacciaio precipitava in basso con un salto verticale. Era la famigerata seraccata del Khumbu, il
tratto tecnicamente pi impegnativo di tutta la scalata.
La velocit di movimento del ghiacciaio in questo tratto stata misurata e valutata fra i novanta e i
centoventi centimetri al giorno. Slittando sul terreno ripido e irregolare con spostamenti intermittenti, la
massa di ghiaccio si frantuma in un caos di enormi blocchi instabili chiamati seracchi, alcuni dei quali
sono grandi come edifici. Poich la via della scalata passava sotto, a fianco e attraverso centinaia di
quelle torri instabili, ogni traversata della seraccata era un pocome un giro di roulette russa: prima o poi
un seracco qualsiasi sarebbe precipitato senza preavviso, e potevi solo sperare di non trovartici sotto in
quel momento. Dal 1963, anno in cui un compagno di Hornbein e Unsoeld che si chiamava Jake
Breitenbach rimase schiacciato sotto un seracco, diventando cos la prima vittima della seraccata, altri
diciotto scalatori hanno trovato la morte in quel tratto.
L'inverno precedente, come aveva gi fatto in passato, Hall si era consultato con gli organizzatori di tutte
le altre spedizioni che progettavano la scalata dell'Everest in primavera, e insieme si erano accordati per
designare fra loro una squadra che si sarebbe assunta la responsabilit di individuare e mantenere aperto
il tracciato attraverso la seraccata. La squadra designata riceveva duemiladuecento dollari per il disturbo
da ciascuna delle altre spedizioni impegnate nell'ascensione. Negli ultimi anni il metodo della cooperativa
aveva incontrato una vasta, se non universale, approvazione, ma non sempre era andata cos.
La prima volta che una spedizione aveva pensato di incaricare unaltra di preparare il percorso sul
ghiaccio era stato nel 1988, quando una squadra americana fornita di finanziamenti generosi aveva
annunciato che qualunque spedizione intendesse seguire il tracciato da loro attrezzato sulla seraccata
avrebbe dovuto versare duemila dollari. Alcune delle altre squadre. impegnate quell'anno nella scalata si
erano indignate, non riuscendo a comprendere che l'Everest non era pi semplicemente una montagna,
ma anche un bene dal punto di vista economico; e le proteste pi veementi erano venute proprio da Rob
Hall, che all'epoca guidava una piccola spedizione neozelandese a corto di fondi.
Hall aveva censurato l'iniziativa, sostenendo che gli americani violavano lo spirito della montagna e
praticavano una forma vergognosa di estorsione alpina, ma Jim Frush, il cinico avvocato che era a capo
della spedizione americana, si era mostrato inflessibile e Hall alla fine aveva accettato a denti stretti di
inviare un assegno a Frush, ottenendo il passaggio attraverso la seraccata del Khumbu, (In seguito Frush
rifer che Hall non aveva mai onorato il suo pagher.)
Meno di due anni dopo, tuttavia, Hall aveva fatto un volta faccia, arrendendosi alla logica di considerare
la seraccata come strada a pedaggio. Anzi, dal 1993 a tutto il 1995 si era offerto volontario per
attrezzare il percorso e riscuotere lui stesso il pedaggio. Nella primavera del 1996 decise di non
assumersi la responsabilit della seraccata, accontentandosi di pagare il capo di una spedizione
commerciale[15]concorrente, un veterano dellEverest di origine scozzese che si chiamava Mal Duff,
perch rilevasse l'incarico. Molto tempo prima che arrivassimo al campo base, una squadra di sherpa
ingaggiati da Duff aveva aperto un percorso a zigzag fra i seracchi, disponendo oltre un chilometro e

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mezzo di corde e installando una sessantina di scalette di alluminio sulla superficie irregolare del
ghiacciaio. Le scalette appartenevano a un intraprendente sherpa del villaggio di Gorak, che a ogni
stagione metteva insieme un discreto profitto affittandole.
Cos fu che alle 4.45 del mattino di sabato 13 aprile mi ritrovai ai piedi della leggendaria seraccata,
intento a sistemarmi i ramponi nel gelido crepuscolo che precede l'alba,.
I vecchi alpinisti incalliti che sono scampati di stretta misura a una a vita di rischi amano consigliare ai
loro giovani protetti di ascoltare con attenzione la propria voce interiore, se voglionmo sopravvivere.
Abbondano i racconti su scalatori che hanno deciso di restare nel saccopiuma dopo aver percepito
nell'etere qualche vibrazione sospetta e in questo modo sono scampati alla catastrofe che ha spazzato via
gli altri, incapaci di prestare fede ai presagi.
Non dubitavo affatto del potenziale valore di prestare attenzione al subconscio. Mentre aspettavo che
Rob aprisse la marcia, il ghiaccio sotto di noi emetteva una serie di schiocchi sonori, come se si
spezzassero in due dei giovani tronchi d'albero, e mi sentivo accapponare la pelle a ogni crepitio e
brontolio che proveniva dalle turbolente viscere del ghiacciaio. Il problema era che la mia voce interiore
mi gridava s che ero sull'orlo della morte, ma lo faceva ogni volta che mi allacciavo le stringhe degli
scarponi; quindi feci del mio meglio per ignorare la mia istrionica immaginazione e, stringendo i denti,
seguii Rob in quell'irreale labirinto turchino.
Anche se non avevo mai affrontato una seraccata temibile come quella del Khumbu, ne avevo scalate
molte. Di solito presentano dei passaggi verticali, o addirittura aggettanti, che richiedono una notevole
esperienza con la piccozza e i ramponi. Nella seraccata del Khumbu non mancavano di certo tratti ripidi,
ma erano stati tutti attrezzati con scalette o corde, o tutt'e due, il che rendeva in gran parte superflui gli
attrezzi e le tecniche tradizionali per le scalate su ghiaccio.
Dovevo apprendere ben presto che sull'Everest neanche la corda, la quintessenza dell'attrezzatura dello
scalatore, si utilizza nel modo tradizionale. Di solito un alpinista legato a uno o due compagni con un
tratto di corda lungo quarantacinque metri, e questo fa s che ciascuno sia direttamente responsabile della
vita degli altri; arrampicare in cordata un atto serio e molto intimo. Sulla seraccata del Khumbu, invece,
l'esperienza imponeva che ciascuno di noi arrampicasse in modo indipendente, senza essere legato
fisicamente agli altri in alcun modo.
Gli sherpa di Mal Duff avevano ancorato una corda fissa che si stendeva dal fondo gella seraccata fino
alla sommit. Portavo fissata alla cintura un'asola di sicurezza lunga novanta centimetri, munita di un
moschettone all'estremit libera, e dovevo assicurarmi non legandomi in cordata a un compagno di
squadra, ma agganciando il moschettone di sicurezza alla corda fissa e facendolo scorrere su di essa via
via che salivo. Arrampicando in questo modo, avremmo potuto muoverci con la massima rapidit nei
tratti pi pericolosi della seraccata, senza dover affidare la nostra vita a compagni di cui ignoravamo
l'abilit e l'esperienza. In effetti, per tutta la durata della spedizione non ebbi mai motivo di assicurarmi a
un altro scalatore.
Se da un lato la seraccata imponeva il ricorso ad alcune tecniche di arrampicata ortodosse, dall'altro
esigeva tutto un nuovo repertorio di prestazioni, come per esempio la capacit di procedere in punta di
piedi con scarponi da montagna e ramponi da ghiaccio lungo tre fragili scalette traballanti, assicurate alle
due estremit, per superare abissi tali da aggrovigliare lo stomaco. Ci furono parecchi passaggi del
genere, e non riuscii mai ad abituarmi a quell'esperienza.
A un certo punto mi trovavo in precario equilibrio su una scaletta, nel chiarore incerto che precede
l'alba, e mi spostavo con la massima leggerezza da un piolo incurvato all'altro, quando il ghiaccio che

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sosteneva la scala alle due estremit cominci a vibrare come se fosse investito da una scossa tellurica.
Un attimo dopo si ud un rombo spaventoso, mentre un grosso seracco nelle vicinanze precipitava
fragorosamente. Rimasi impietrito, con il cuore in gola, ma la valanga di ghiaccio pass a una quindicina
di metri da me, sulla sinistra, senza causare danni. Dopo aver atteso qualche minuto per ritrovare il
sangue freddo, ripresi il mio numero da equilibrista per raggiungere l'altro capo della scaletta.
Il perenne e spesso violento fluire del ghiacciaio aggiungeva un ulteriore elemento di incertezza a ogni
traversata sulle scalette. Con il movimento del ghiaccio, i crepacci a volte si comprimevano, curvando le
scalette come stecchini da denti, mentre altre volte si espandevano, lasciando una scaletta penzoloni nel
vuoto, sospesa a qualche fragile ancoraggio, senza che nessuna delle due estremit poggiasse su ghiaccio
solido. Gli ancoraggi[16]che assicuravano le scalette e le corde fuoriuscivano regolarmente dal ghiaccio
quando il sole pomeridiano scaldava e fondeva il ghiaccio e la neve circostanti. Nonostante la
manutenzione quotidiana, esisteva il pericolo molto concreto che una corda qualsiasi cedesse sotto il
peso del corpo.
In ogni caso la seraccata, pur essendo molto impegnativa e letteralmente terrificante, aveva anche
un fascino sorprendente. Quando l'alba cancell dal cielo l'oscurit, il ghiacciaio frantumato ci rivel un
paesaggio tridimensionale di una bellezza fantasmagorica. La temperatura era di quattordici gradi
sottozero e i ramponi scricchiolavano con un suono rassicurante sulla crosta del ghiacciaio. Seguendo la
corda fissa, mi aggiravo in un labirinto verticale di stalagmiti di un azzurro cristallino, mentre fortezze di
roccia nuda orlate di ghiaccio fiancheggiavano i bordi del ghiacciaio, sollevate come le spalle di una
divinit malevola. Tutto assorto nell'ambiente che mi circondava e nell'impegno fisico richiesto, mi immersi
nel piacere incondizionato dell'ascesa, e per un paio d'ore dimenticai persino di avere paura.
A tre quarti del cammino dal Campo Uno, durante una pausa di riposo, Hall osserv che la
seraccata era in condizioni migliori di quanto l'avesse mai vista: Di questi tempi il percorso sembra una
vera autostrada. Poco pi in alto, per, a 5800 metri, le corde ci condussero alla base di un gigantesco
seracco in precario equilibrio. Imponente come un edificio alto dodici piani, troneggiava sulla nostra testa
con una inclinazione di trenta gradi sulla verticale. Il percorso seguiva una passerella naturale che risaliva
lungo la parete sporgente con una curva brusca: avremmo dovuto arrampicarci su quella torre pendente,
per poter sfuggire alla sua mole minacciosa.
Compresi che la sicurezza dipendeva dalla velocit e mi affrettai con la massima rapidit possibile
per raggiungere ansimando la relativa sicurezza della sommit del seracco, ma dal momento che non mi
ero ancora acclimatato la mia andatura massima non era pi celere dello strisciare di una lumaca. A
intervalli di quattro o cinque passi dovevo fermarmi, aggrapparmi alla corda e risucchiare disperatamente
l'aria rarefatta e amara, procurandomi un dolore lancinante ai polmoni.
Raggiunsi la sommit del seracco senza che cedesse e mi accasciai senza fiato sulla superficie
piatta, con il cuore che mi pulsava come un maglio. Poco dopo, verso le otto e mezza del mattino, arrivai
in cima alla seraccata stessa, oltre gli ultimi seracchi. La sicurezza del Campo Uno, per, non mi
garantiva una grande serenit: non potevo fare a meno di pensare alla lastra di ghiaccio inclinata in modo
sinistro poco pi in basso, e al fatto che avrei dovuto passare sotto la sua mole instabile almeno altre
sette volte, se volevo conquistare la cima dell'Everest. Gli alpinisti che schernivano quel percorso
definendolo la via degli yak, evidentemente, pensai, non avevano mai affrontato la seraccata del
Khumbu.
Prima di lasciare le tende, Rob ci aveva spiegato che saremmo dovuti tornare indietro alle dieci in
punto, anche se alcuni di noi non avevano ancora raggiunto il Campo Uno, per poter tornare al campo
base prima che il sole di mezzogiorno rendesse ancora pi instabile la seraccata. All'ora stabilita soltanto
Rob, Frank Fishbeck, John Taske, Doug Hansen e io eravamo arrivati al Campo Uno; Yasuko Namba,

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Stuart Hutchison, Beck Weathers e Lou Kasischke, scortati dalle guide Mike Groom e Andy Harris, si
trovavano sessanta metri pi in basso del campo, quando Rob attiv la radio per dare l'ordine di tornare
tutti indietro.
Per la prima volta avevamo la possibilit di vederci a vicenda in piena azione e potevamo quindi
valutare i punti forti e quelli deboli delle persone da cui sarebbe dipesa la nostra esistenza nelle prossime
settimane. Doug e John (il pi anziano del gruppo, con i suoi cinquantasei anni) avevano entrambi un'aria
solida, ma la vera sorpresa era Frank, l'editore di Hong Kong dal perfetto aplomb e dal tono di voce
sommesso; facendo tesoro dell'esperienza acquisita nelle tre precedenti spedizioni sull'Everest, era partito
con un'andatura lenta ma regolare, mantenendola per tutto il percorso. All'arrivo in cima alla seraccata
aveva superato quasi tutti, e senza mai dare l'impressione di avere il fiato grosso.
In netto contrasto con lui, Stuart - che era il pi giovane e in apparenza il pi forte di tutta la
squadra - era partito dal campo in testa al gruppo, a tutta velocit, ma ben presto aveva esaurito le forze
e all'arrivo era visibilmente in crisi, nella retroguardia. Lou, ostacolato da uno strappo muscolare a una
gamba che si era procurato durante la prima mattinata di marcia verso il campo base, era lento ma abile;
Beck e soprattutto Yasuko, viceversa, erano apparsi incerti.
Pi di una volta Beck e Yasuko avevano corso il rischio di cadere da una scaletta e precipitare in
un crepaccio, e Yasuko pareva ignorare quasi del tutto l'uso dei ramponi.[17]Andy, che si era rivelato un
insegnante dotato ed estremamente paziente e al quale, come guida pi giovane, era stato assegnato il
compito di accompagnare i clienti pi lenti, in coda al gruppo - le aveva dedicato l'intera mattinata
mostrandole alcune tecniche basilari dell'arrampicata su ghiaccio.
Quali che fossero le varie deficienze del gruppo, una volta raggiunta la sommit della seraccata,
Rob annunci che era molto soddisfatto delle prestazioni di tutti. Per essere la prima volta che salite
oltre il campo base ve la siete cavata alla grande, proclam come un padre orgoglioso dei suoi rampolli.
.Penso che quest'anno abbiamo una squadra dawero forte.
Per ritornre al campo base ci volle poco pi di unora. Quando mi tolsi i ramponi per percorrere
le ultime centinaia di metri fino alle tende, il sole sembrava in grado di scavarmi un buco nel cranio. Il mal
di testa mi colp con tutta la sua violenza pochi minuti dopo, mentre chiacchieravo con Helen e Chhongba
nella tenda-mensa. Non avevo mai provato nulla di simile: un dolore straziante fra le tempie, cos intenso
che era accompagnato da ondate di nausea e brividi e mi rendeva impossibile pronunciare frasi coerenti.
Temendo di essere stato colpito da una sorta di ictus, in piena conversazione, mi allontanai barcollante,
ritirandomi nel saccopiuma e abbassandomi il berretto sugli occhi.
Quel mal di testa aveva l'intensit accecante di un'emicrania, ma non avevo idea della causa che lo
aveva scatenato. Dubitavo che fosse dovuto all'altitudine, perch mi aveva colpito solo al ritorno al
campo base. Era pi probabile che fosse una reazione alle forti radiazioni ultraviolette che mi avevano
bruciato la retina e cotto il cervello. Qualunque fosse la causa, la sofferenza era intensa e senza requie.
Nelle cinque ore seguenti restai disteso nella tenda tentando di evitare ogni stimolo sensoriale. Se aprivo
gli occhi, o anche solo li spostavo da una parte all'altra dietro le palpebre chiuse, ricevevo una scossa di
dolore lancinante. Al tramonto, non riuscendo pi a resistere, mi diressi brancolando verso la tenda
dell'infermeria per chiedere consiglio a Caroline, medico della spedizione.
Lei mi prescrisse un potente analgesico e mi consigli di bere dell'acqua, ma dopo qualche sorso
rigurgitai le pillole, il liquido e i resti del pranzo. Hmmm, medit Caroline, osservando gli schizzi di
vomito sui miei scarponi. Penso che dovremo tentare un altro rimedio. Mi diede istruzione di tenere
sotto la lingua una pillola minuscola, che sciogliendosi mi avrebbe impedito di vomitare, e poi di mandare
gi due compresse di codeina. Un'ora dopo il dolore cominci ad attenuarsi e io, quasi piangendo di

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gratitudine, scivolai nell'incoscienza.

Sonnecchiavo nel saccopiuma, osservando le ombre proiettate sulle pareti della tenda dal sole mattutino,
quando Helen grid: Jon! Telefono! Linda! Calzai in fretta un paio di sandali, superai con un solo
scatto i cinquanta metri che mi separavano .dalla tenda delle comunicazioni e afferrai il ricevitore
sforzandomi di riprendere fiato.
Tutto l'apparato del telefono satellitare e del fax non era molto pi grande di un computer portatile. Le
telefonate erano costose, circa cinque dollari al minuto, e non sempre si riusciva a ottenere la
comunicazione, ma il solo fatto che mia moglie potesse comporre un numero di tredici cifre a Seattle e
parlare con me sul monte Everest mi lasciava sbalordito. Anche se la chiamata mi fu di grande conforto,
la rassegnazione nella voce di Linda era inconfondibile anche dall'altro capo del globo. Me la cavo
bene, mi assicur, ma vorrei che tu fossi qui.
Diciotto giorni prima si era sciolta in lacrime, accompagnandomi all'aereo che mi avrebbe portato nel
Nepal. Mentre tornavo a casa in macchina dall'aeroporto, mi confess, non riuscivo a smettere di
piangere. Quello dei saluti stato uno dei momenti pi tristi della mia vita. A livello inconscio sapevo che
avresti potuto non tornare, e mi sembrava un tale spreco. Mi sembrava cos maledettamente stupido e
inutile.
Eravamo sposati da quindici anni e mezzo. Ci eravamo presentati davanti a un giudice di pace meno di
una settimana dopo che avevamo parlato per la prima volta di fare quel tuffo nel vuoto. A quell'epoca
avevo ventisei anni e da poco avevo deciso di rinunciare alle scalate e affrontare la vita con seriet.

Quando l'avevo conosciuta, anche Linda era una scalatrice, e per giunta straordinariamente dotata; ma
aveva rinunciato all'alpinismo dopo che si era fratturata un braccio e lesionata la schiena, e di
conseguenza aveva soppesato a mente fredda i rischi insiti in quell'attivit. Linda non si sarebbe mai
sognata di chiedermi di abbandonare l'alpinismo, ma l'annuncio che intendevo smettere aveva rafforzato
la sua decisione di sposarmi. Tuttavia non avevo valutato in pieno la presa che l'alpinismo aveva sulla mia
anima, o lo scopo che conferiva alla mia vita altrimenti priva di un timone; non prevedevo il vuoto che
avrebbe lasciato. Meno di un anno dopo, avevo recuperato la corda dal ripostiglio ed ero tornato alla
roccia. Nel 1984, quando ero andato in Svizzera per scalare una parete alpina notoriamente pericolosa,
la Parete nord dell'Eiger, Linda e io eravamo arrivati sull'orlo della separazione, e il nucleo dei nostri
problemi era la mia attivit di alpinista.
Il nostro rapporto era rimasto instabile per due otre anni dopo il mio tentativo fallito sull'Eiger, ma in un
modo o nell'altro il matrimonio era riuscito a soprawivere a quel periodo turbolento. Linda aveva finito
per accettare la mia passione per la montagna, rendendosi conto che era una parte cruciale, bench
sconcertante, della mia natura. L'alpinismo, aveva compreso, era un'espressione essenziale di un aspetto
singolare e immutabile della mia personalit che non potevo modificare pi facilmente di quanto potessi
cambiare il colore dei miei occhi. Poi, nel bel mezzo di quel delicato riawicinamento, la rivistaOutside
aveva confermato la mia missione sull'Everest.
Da principio avevo fatto finta che si sarebbe trattato di un incarico giornalistico pi che alpinistico, che
avevo accettato la missione perch lo sfruttamento commerciale dell'Everest era un argomento
interessante e la somma offerta era allettante. Avevo spiegato a Linda e a chiunque altro esprimesse

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scetticismo sulle mie qualifiche per affrontare l'Himalaya che non prevedevo di salire molto in alto.
Probabilmente salir poco pi in alto del campo base, insistetti. Tanto per avere un assaggio di quello
che si prova a un'altitudine cos elevata.
Erano balle, naturalmente. Tenuto conto della durata del viaggio e del tempo che avrei dovuto dedicare
all'allenamento, avrei guadagnato molto di pi restando a casa e svolgendo altri incarichi, ma avevo
accettato quello perch ero vittima del mito dell'Everest. La verit era che desideravo scalare quella
montagna pi di quanto avessi mai desiderato qualsiasi altra cosa in vita mia. Fin dal momento in cui
avevo accettato di andare nel Nepal, la mia intenzione era stata arrivare pi in alto che potevo, tenuto
conto delle mie gambe e dei miei polmoni tutt'altro che eccezionali.
Quando mi aveva accompagnato all'aeroporto, Linda aveva letto ormai da tempo al di l delle mie
proteste superficiali: intuiva la vera portata del mio desiderio, e ne era atterrita. Se resterai ucciso,
aveva obiettato con un misto di disperazione e di collera, non sarai solo tu a pagarne il prezzo. Dovr
pagarlo anch'io, per tutta la vita. Questo non conta per te?
Non rester ucciso, avevo replicato. Non essere melodrammatica.
Esistono uomini sui quali I'irraggiungibile eserdta una particolare attrazione. Di solito non sono esperti: le
loro ambizioni e fantasie sono abbastanza forti da spazzare via i dubbi che uomini pi prudenti
potrebbero nutrire. Le loro armi pi efficaci sono la determinazione e la fede. Nel migliore dei casi questi
uomini sono considerati degli eccentrici. Nel peggiore} dei folli...
LEverest ha avuto la sua parte di fedeli di questo genere. La loro esperienza alpinistica variava da
zero a ben poco; di sicuro nessuno aveva quel tipo di esperienza che rende la scalata dell'Everest un
obiettivo ragionevole. Tutti avevano tre doti in comune: fiducia in se stessi} grande determinazione e
tenacia.
WALT UNSWORTH
Everest

Sono cresduto con unambizione e una determinazione senza le quali sarei vissuto molto pi felicemente.
Riflettendo molto ho finito per assumere l'atteggiamento distaccato dei sognatori perch le vette lontane
esercitavano su di me un grande fascino e attiravano ogni mio pensiero. Non ero troppo sicuro di cosa
potessi raggiungere con la sola tenacia e poche altre capacit ma mi ponevo obiettivi molto impegnativi e
ogni fallimento non faceva che rafforzare la mia determinazione a realizzare almeno uno dei miei grandi
sogni.
EARL DENMAN
Alone to Everest

In quella primavera del 1996, sulle pendici dell'Everest, non mancavano i sognatori: le credenziali di
molti aspiranti scalatori della montagna erano esili quanto le mie, se non di pi. Quando per ciascuno di
noi veniva il momento di valutare le proprie possibilit e di soppesarle contro la sfida formidabile
rappresentata dalla montagna pi alta del mondo, a volte si aveva l'impressione che met della

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popolazione del campo base soffrisse di delusione clinica. Forse, per, non sarebbe dovuta essere una
sorpresa: l'Everest ha sempre attirato come una calamita ciarlatani, cacciatori di pubblicit, inguaribili
romantici e altri individui con una presa non troppo salda sulla realt.
Nel marzo 1947, per esempio, arriv a Darjeeling Earl Denman, un ingegnere canadese ridotto in
miseria, che annunci al mondo la sua intenzione di scalare l'Everest, pur avendo una scarsa esperienza
alpinistica ed essendo privo dell'autorizzazione ufficiale per entrare nel Tibet. In un modo o nell'altro,
riusc a convincere due sherpa, Ang Dawa e Tenzing Norgay, ad accompagnarlo.
Tenzing, lo stesso uomo che in seguito avrebbe compiuto la prima scalata dell'Everest insieme con
Hillary, era immigrato a Darjeeling dal Nepal nel 1933, a diciassette anni, sperando di essere ingaggiato
da una spedizione che partiva per la vetta quella primavera sotto la guida di un celebre alpinista inglese
che si chiamava Eric Shipton. Quell'anno il giovane e ambizioso sherpa non fu prescelto, ma rimase in
India e fu ingaggiato in seguito da Shipton per la spedizione inglese sull'Everest del 1935. Quando
accett di accompagnare Denman nel 1947, Tenzing era gi salito tre volte sulla montagna; in seguito
ammise di aver saputo fin dall'inizio che i piani di Denman erano azzardati, ma anche a lui riusciva
impossibile resistere alla forza di attrazione dell'Everest:

Non c'era nulla di sensato in quell'impresa. Primo, probabilmente non saremmo neanche riusciti a entrare
nel Tibet. Secondo, se fossimo entrati probabilmente saremmo stati arrestati e noi guide ci saremmo
trovate in seri guai, alla pari con Denman. Terzo, non credetti neanche per un istante che, anche se
avessimo raggiunto la montagna, un gruppo del genere sarebbe stato in grado di scalarla. Quarto, il
tentativo sarebbe stato estremamente pericoloso. Quinto, Denman non aveva denaro sufficiente n a
pagarci n a garantire una somma decente alle persone che dipendevano da noi, nel caso ci fosse
successo qualcosa. E cos via. Qualunque uomo sano di mente avrebbe detto di no, ma io non ci riuscii,
perch in fondo al cuore sapevo che dovevo andare, e per me l'attrattiva dell'Everest era pi potente di
qualsiasi altra forza al mondo. Ang Dawa e io ne parlammo per qualche minuto, poi prendemmo una
decisione. Ebbene, dissi a Denman, tentiamo.

Mentre la piccola spedizione attraversava il Tibet per raggiungere l'Everest, i due sherpa cominciarono
ad. apprezzare e rispettare sempre di piil canadese. Malgrado l'inesperienza, ammiravano il suo
coraggio e la sua forza fisica. E a suo credito va detto che Denman fu pronto a riconoscere le sue lacune
quando arrivarono alle pendici della montagna e si trovarono di fronte alla realt. Quando furono investiti
in pieno da una tormenta alla quota di 6700 metri, Denman ammise la sconfitta e i tre uomini fecero
dietrofront, tornando sani e salvi a Darjeeling appena cinque settimane dopo la partenza.
Non era stato altrettanto fortunato Maurice Wilson, un inglese idealista e malinconico che aveva tentato
un'impresa altrettanto arrischiata tredici anni prima di Denman. Spinto da un malinteso desiderio di aiutare
il prossimo, Wilson aveva concluso che la scalata dell'Everest sarebbe stata il modo ideale di
pubblicizzare la sua fede nella possibilit di curare la miriade di mali che affliggono l'umanit con una
combinazione di digiuno e fede nell'onnipotenza di Dio. Aveva abbozzato il piano di sorvolare il Tibet con
un piccolo aereo da turismo, compiere un atterraggio di fortuna sulle pendici dell'Everest e di l proseguire
fino alla vetta. La mancanza di qualunque nozione tanto di alpinismo quanto di volo non gli sembrava un
impedimento serio alla realizzazione del progetto.
Dopo aver acquistato un Gypsy Moth con le ali di tela, lo battezz con un gioco di paroleEver Wrest ,
sforzo perpetuo, e apprese i rudimenti del volo. Trascorse quindi cinque settimane ad arrampicarsi

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sulle modeste colline della Snowdonia e del Lake District, in Inghilterra, per imparare, a suo parere, lo
stretto indispensabile sulla tecnica della scalata e poi, nel maggio 1933, decoll col suo minuscolo
apparecchio sulla rotta per l'Everest, attraverso Il Cairo, Teheran e l'India.
A. quel punto Wilson aveva attirato su di s una notevole attenzione da parte della stampa. Raggiunse in
aereo Purtabpore, in India,. ma non avendo ottenuto dal governo nepalese il permesso di sorvolare il
Nepal, vendette laereo per cinquecento sterline e raggiunse via terra Darjeeling, dove apprese che gli
era stata negata l'autorizzazione a entrare nel Tibet. Neppure questo valse a dissuaderlo: nel marzo 1934
ingaggi tre sherpa, si travest da monaco buddhista e, sfidando le autorit dell'impero coloniale, percorse
clandestinamente quattrocentottanta chilometri attraverso le foreste del Sikkim e larido altopiano del
Tibet. Il 14 aprile era ai piedi dell'Everest.
Risalendo il ghiacciaio di Rongbuck orientale costellato di massi, da principio fece discreti progressi, ma
poi rimase vittima della sua inesperienza, perdendo pi volte l'orientamento e ritrovandosi frustrato e
sfinito. Tuttavia rifiut di darsi per vinto. Verso la met di maggio aveva raggiunto l'estremit superiore
del ghiacciaio di Rongbuck orientale, a 6400 metri, dove saccheggi una riserva di viveri e attrezzature
nascosta sul posto dalla spedizione fallita di Eric Shipton del 1933. Di l Wilson part per scalare il
versante settentrionale, che portava al Colle Nord, riuscendo ad arrivare a circa 6900 metri prima che
una parete verticale di ghiaccio si rivelasse superiore alle sue possibilit, costringendolo a tornare indietro
verso il luogo dov'erano state nascoste le provviste di Shipton; ma anche stavolta non volle saperne di
rinunciare. Il 28 maggio annot nel suo diario: Ancora un ultimo sforzo, e otterr il successo, poi part
per affrontare ancora una volta la montagna.
Un anno dopo, quando Shipton torn sull'Everest, la sua spedizione s'imbatte nel corpo congelato di
Wilson, disteso sulla neve ai piedi del Colle Nord. Dopo qualche discussione decidemmo di seppellirlo
in un crepaccio, scrisse Charles Warren, uno degli scalatori che avevano ritrovato il cadavere. In quel
momento ci scoprimmo tutti il capo, e penso che fossimo piuttosto scossi. Credevo di essere diventato
indifferente al pensiero della morte, ma per un verso o per laltro, date le circostanze, e forse per il fatto
che, dopo tutto, era perito proprio facendo quello che facevamo noi, la sua tragedia ci colp un
potroppo da vicino.

Le gesta sulle pendici dell'Everest di Wilson e Denman, sognatori appena qualificati come alcuni dei miei
compagni, sono un fenomeno che ha suscitato notevoli critiche; ma il problema di chi sia al suo posto
sull'Everest e chi no pi complicato di quanto possa sembrare a prima vista. Il fatto che uno scalatore
abbia pagato un'ingente somma di denaro per partecipare a una spedizione guidata non significa di per s
che non sia qualificato a trovarsi sulla montagna. Anzi, almeno due delle spedizioni commerciali che si
trovavano sull'Everest nella primavera del 1996 comprendevano veterani dell'Himalaya che sarebbero
stati giudicati qualificati anche in base ai criteri pi rigorosi.
Il 13 aprile, mentre aspettavo al Campo Uno che i miei compagni mi raggiungessero in cima alla
seraccata, un paio di scalatori della squadra della Mountain Madness di Scott Fischer ci superarono
procedendo a un ritmo impressionante. Uno di loro era Klev Schoening, un trentottenne impresario edile
di Seattle, ex componente della squadra nazionale di sci degli Stati Uniti, che, pur essendo
eccezionalmente forte, non aveva una grande esperienza in alta quota. Tuttavia era accompagnato dallo
zio Peter Schoening, una leggenda vivente dell'Himalaya.
Peter, che di l a due mesi avrebbe festeggiato il sessantanovesimo compleanno, era un uomo
allampanato e leggermente curvo, vestito con un completo di GoreTex logoro e sbiadito, che era tornato
sulle pendici superiori dell'Himalaya dopo una lunga assenza. Nel 1958 aveva scritto una pagina di storia,

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contribuendo in misura determinante alla prima scalata dello Hidden Peak, una montagna alta 8068 metri
nella catena del Karakorum, in Pakistan, la prima scalata mai effettuata a quella quota da alpinisti
americani. Peter era diventato ancor pi famoso, comunque, per avere interpretato un ruolo eroico in una
spedizione fallita sul K2 nel 1953, lo stesso anno in cui Hillary e Tenzing avevano conquistato la vetta
dell'Everest.
La spedizione, composta da otto uomini, era stata bloccata da una violenta tempesta di vento sul K2,
proprio nel momento in cui stavano per lanciare l'assalto finale alla vetta, quando un componente della
squadra, Art Gilkey, fu colpito da una tromboflebite, un coagulo di sangue nelle vene prodotto
dall'altitudine, che poteva rivelarsi fatale. Rendendosi conto che dovevano trasportare immediatamente in
basso Gilkey, se volevano avere qualche speranza di salvarlo, Schoening e gli altri avevano cominciato a
calarlo lungo il ripido crinale che porta il nome di Cresta degli Abruzzi, sotto l'infuriare della tempesta. A
7620 metri di quota, uno scalatore di nome George Bell era scivolato, trascinando con s altri quattro
compagni. Avvolgendosi istintivamente la corda intorno alle spalle e alla piccozza da ghiaccio, Schoening
era riuscito chiss come a trattenere Gilkey con una mano sola, mentre nello stesso tempo arrestava la
scivolata dei cinque alpinisti evitando di farsi travolgere anche lui. Questa impresa, una delle pi incredibili
negli annali dell'alpinismo, nota da allora semplicemente con il nome di Assicurazione[18].
E ora Pete Schoening si faceva accompagnare sull'Everest da Fischer e dalle sue due guide, Neal
Beidleman e Anatoli Boukreev. Quando chiesi a Beidleman, un possente scalatore del Colorado, come si
sentiva a guidare un cliente .della statura di Schoening, lui si affrett a correggermi con una risatina
autoironica: Uno come me non pu 'guidarePeter Schoening. Considero semplicemente un grande
onore trovarmi nella sua stessa squadra. Schoening aveva firmato il contratto con il gruppo della
Mountain Madness di Fischer non perch avesse bisogno di una guida per farsi accompagnare in cima,
bens per risparmiarsi l'enorme fastidio di ottenere l'autorizzazione e procurarsi ossigeno, tende,
provviste, l'assistenza degli sherpa e altri dettagli logistici.
Pochi minuti dopo che Pete e Klev Schoening erano passati di l diretti alloro Campo Uno, comparve la
loro compagna di squadra Charlotte Fox. Dinamica e statuaria, la Fox era una trentottenne che faceva
parte del corpo di sorveglianza sugli sci di Aspen, nel Colorado, e aveva gi scalato due Ottomila: il
Gasherbrum II, nel Pakistan, alto 8035 metri, e il vicino dell'Everest, il Cho Oyu, di 8201 metri. Ancora
pi avanti, incontrai un componente della spedizione commerciale di Mal Duff, un finlandese di ventotto
anni che si chiamava Veikka Gustafsson e aveva al suo attivo la conquista di una serie di vette himalayane
che comprendeva l'Everest, il Dhaulagiri, il Makalu e il Lhotse.
Nessuno dei clienti di Hall poteva reggere il confronto, dato che non avevano mai raggiunto la vetta di
uno degli Ottomila. Se un uomo come Peter Schoening era l'equivalente di un professionista del baseball
di prima categoria, i miei compagni e io sembravamo una squadra raccogliticcia di giocatori dilettanti di
provincia che si fossero conquistati l'accesso al campionato nazionale a forza di bustarelle. Certo, in cima
alla seraccata Hall ci aveva definiti una squadra davvero forte, e forti lo eravamo davvero, in confronto
ad altri gruppi di clienti che Hall aveva condotto in cima alla montagna negli anni precedenti; ci
nonostante mi appariva chiaro che nessuno di noi aveva la minima speranza di scalare l'Everest senza un
notevole aiuto da parte di Hall, delle sue guide e degli sherpa.
D'altra parte il nostro gruppo era molto pi competente di parecchie altre squadre che si trovavano in
quel momento sulle pendici della montagna. C'erano alcuni scalatori dalle capacit molto dubbie che
facevano parte di una spedizione commerciale condotta da un inglese, le cui credenziali sullHimalaya
erano come minimo oscure; ma le persone meno qualificate sullEverest non erano affatto clienti delle
guide, bens membri di spedizioni non commerciali organizzate in modo tradizionale.
Mentre tornavo al campo base attraversando la parte inferiore della seraccata, superai un paio di

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alpinisti pi lenti, forniti di indumenti e attrezzature dall'aspetto molto strano. Apparve quasi subito
evidente che non avevano una grande familiarit con gli attrezzi e le normali tecniche della scalata su
ghiaccio; lo scalatore che procedeva in coda urt pi volte con i ramponi .la superficie del ghiaccio,
incespicando. Mentre aspettavo che superassero l'apertura di un crepaccio sormontata da due scalette
traballanti unite a un'estremit per formare un ponte, restai scosso nel vederli procedere insieme, quasi a
passo doppio, correndo un rischio inutile. Un impacciato tentativo di conversazione dalla parte opposta
del crepaccio mi rivel che erano membri di una spedizione di Taiwan.
La fama dei taiwanesi li aveva preceduti sull'Everest. Nella primavera del 1995, la stessa squadra aveva
raggiunto lAlaska per scalare il monte McKinley, in preparazione al tentativo sull'Everest del 1996.
Nove scalatori erano riusciti ad arrivare in cima, ma sette erano stati sorpresi da una tempesta durante la
discesa, avevano perso l'orientamento ed erano rimasti una notte intera all'aperto a 5900 metri di quota,
provocando una costosa e rischiosa operazione di salvataggio da parte del National Park Service.
Rispondendo a una richiesta dei ranger del parco, Alex Lowe e Conrad Anker, due dei pi abili alpinisti
statunitensi, avevano interrotto una scalata per precipitarsi dalla quota di 4400 metri in soccorso dei
taiwanesi, che ormai erano pi morti che vivi. Superando grandi difficolt e affrontando notevoli rischi per
la loro stessa vita, Lowe e Anker avevano trascinato uno alla volta i taiwanesi in stato di incoscienza da
5900 metri a 5250, dove un elicottero aveva potuto evacuarli dalla montagna. In tutto, cinque
componenti della squadra taiwanese, di cui due con gravi sintomi di assideramento e uno gi morto,
furono prelevati dal monte McKinley a bordo dell'elicottero. Uno solo mor, ricorda Anker, ma se
Alex e io non fossimo arrivati in tempo, ne sarebbero morti altri due. In precedenza avevamo gi notato il
gruppo di Taiwan, perch aveva un'aria cos incompetente. Non stata una grossa sorpresa quando si
sono trovati in difficolt.
Il capo della spedizione, Gau Ming-Ho un gioviale fotografo indipendente che si fa chiamare
Makalu, dal nome della straordinaria vetta himalayana - era esausto e assiderato e per scendere dalle
pendici pi alte della montagna aveva dovuto farsi aiutare da un paio di guide dell'Alaska. Quando gli
alaskani lo portarono gi, riferisce Anker, Makalu gridava: 'Vittoria! Vittoria!' a tutti quelli che
incontravano, come se quel disastro non fosse accaduto. S, quel Makalu mi proprio sembrato un tipo
strano. Quando i superstiti della disfatta sul McKinley comparvero sul versante meridionale dell'Everest
nel 1996, il loro capo era ancora una volta Makalu Gau.
La presenza dei taiwanesi sull'Everest era motivo di notevole preoccupazione per quasi tutte le altre
spedizioni sulla montagna. Serpeggiava fra gli alpinisti la sincera preoccupazione che gli scalatori di
Taiwan costringessero altre spedizioni ad accorrere in loro soccorso, mettendo a repentaglio altre vite
umane, per non parlare del rischio di compromettere le possibilit di raggiungere la vetta degli altri
scalatori. Comunque i taiwanesi non erano il solo gruppo che apparisse del tutto privo dei requisiti
necessari. Accampato accanto a noi al campo base c'era un venticinquenne norvegese di nome Petter
Neby che aveva annunciato la sua intenzione di compiere una scalata solitaria della parete sudovest,[19]
una delle vie pi pericolose e impegnative sul piano tecnico dell'intera montagna, nonostante la sua
esperienza nell'Himalaya fosse limitata a due scalate sul vicino Island Peak, un rilievo alto 6169 metri in
una catena sussidiaria del Lhotse che non richiedeva prestazioni tecniche pi complesse di un'energica
passeggiata.
E poi c'erano i sudafricani. Sponsorizzati da un grande quotidiano, ilSunday Times di Johannesburg,
avevano ispirato con la loro iniziativa un intenso orgoglio nazionale, ricevendo prima della partenza la
benedizione personale del presidente Nelson Mandela. Era la prima spedizione sudafricana alla quale
fosse mai stata concessa l'autorizzazione a scalare l'Everest, un gruppo misto sul piano razziale, che
nutriva lambizione di portare sulla vetta la prima persona di colore. Il loro capo era Ian Woodall, un
trentanovenne loquace con il muso da topo che amava rievocare aneddoti sulle sue valorose imprese di

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commando dietro le linee nemiche durante il lungo e brutale conflitto con l'Angola negli anni Ottanta.
Per formare il nucleo della squadra, Woodall aveva reclutato tre dei pi forti scalatori sudafricani: Andy
de Klerk, Andy Hackland e Edmund February. La composizione mista della squadra era particolarmente
importante per February, un negro dalla voce sommessa che era gi un paleoecologo e scalatore di fama
internazionale. I miei genitori mi hanno dato lo stesso nome di sir Edmund Hillary, spiega. Scalare
l'Everest sempre stato uno dei miei sogni personali fin da quando ero giovanissimo. Ma il fatto ancor
pi significativo che consideravo la spedizione come il simbolo potente di una giovane nazione che tenta
di raggiungere l'integrazione e di adottare la forma di governo democratica, sforzandosi di riscattarsi dal
passato. lo sono cresciuto sotto molti aspetti sotto il giogo dell'apartheid, e questo mi amareggia molto,
ma ora siamo una nazione nuova. Credo fermamente nella direzione imboccata dal mio paese.
Dimostrare che noi sudafricani possiamo scalare l'Everest insieme, bianchi e neri, arrivando alla vetta...
sarebbe davvero grande.
La nazione intera si era schierata a favore della spedizione Woodall anci il progetto in un momento
davvero propizio, spiega de Klerk. Con la fine dell'apartheid, i sudafricani erano finalmente liberi di
viaggiare dovunque volevano e le nostre squadre sportive potevano gareggiare in tutto il mondo. Il
Sudafrica aveva appena vinto la coppa del mondo di rugby e aleggiava nell'aria una sorta di euforia
nazionale, una grande ondata di orgoglio. Cos, quando si present Woodall con la proposta di una
spedizione sudafricana sull'Everest, tutti si dichiararono favorevoli e lui pot raccogliere una grossa
somma di denaro, l'equivalente di parecchie centinaia di migliaia di dollari americani, senza che nessuno
facesse troppe domande.
Oltre a s stesso, ai tre scalatori sudafricani e a un alpinista e fotografo inglese, Bruce Herrod, Woodall
voleva includere nella spedizione anche una donna, quindi prima di lasciare il Sudafrica aveva invitato sei
candidate a una scalata fisicamente spossante, ma tecnicamente priva di difficolt, sul Kilimangiaro, alto
5895 metri. Al termine della prova, durata due giorni, Woodall aveva annunciato che la scdta era ristretta
a due fnaliste: Cathy O'Dowd, ventisei anni, un'insegnante di giornalismo bianca dall'esperienza alpinistica
limitata, il cui padre era direttore dell'Anglo American, la pi grande societ del Sudafrica, e Deshun
Deysel, venticinque anni, un'insegnante nera di educazione fisica senza alcuna esperienza di alpinismo, che
era cresciuta in una township segregazionista. Entrambe le donne, aveva detto Woodall, avrebbero
accompagnato la squadra al campo base, e una volta sul posto lui ne avrebbe scelta una per la scalata in
base alla loro prestazione durante la marcia di avvicinamento.
Il 1 aprile, durante il secondo giorno di marcia di avvicinamento al campo base, avevo avuto la
sorpresa di imbattermi in February, Hackland e de Klerk sul sentiero, poco prima di Namche Bazaar,
mentre ridiscendevano dalle montagne, diretti a Kathmandu. De Klerk, che era mio amico, mi aveva
informato che i tre scalatori sudafricani e Charlotte Noble, medico della spedizione, avevano dato le
dimissioni dalla squadra prima ancora di raggiungere la base della montagna. Woodall, il capo, si
rivelato un autentico bastardo, mi aveva spiegato de Klerk. Un maniaco del controllo totale. E poi di
lui non ci si poteva fidare... non si sapeva mai se raccontava balle o diceva la verit. Non abbiamo voluto
mettere la nostra vita nelle mani di quell'uomo, e cos ce ne siamo andati.
Woodall aveva sostenuto con de Klerk e gli altri di avere compiuto numerose scalate in Himalaya, fra
cui alcune al di sopra degli ottomila metri, ma in realt tutta la sua esperienza himalayana si riduceva alla
partecipazione come cliente pagante a una spedizione commerciale sull'Annapurna guidata da Mal Duff
nel 1990, in occasione della quale aveva raggiunto i 6500 metri.
Inoltre prima della partenza per l'Everest Woodall si era vantato, nel sito Internet dedicato alla
spedizione, di avere alle spalle una luminosa carriera nei ranghi dell'esercito inglese al comando della
Long Range Mountain Reconnaissance Unit, una unit di ricognizione che aveva svolto gran parte del suo

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addestramento in Himalaya. Aveva raccontato alSunday Times di essere stato anche istruttore della
Royal Military Academy di Sandhurst, in Inghilterra. Si d il caso, invece, che nell'esercito inglese non
esista una Long Range Mountain Reconnaissance Unit, e che Woodall non aveva mai prestato servizio
come istruttore a Sandhurst; del resto non aveva mai combattuto dietro le linee nemiche in Angola.
Secondo un portavoce dell'esercito britannico, Woodall era stato semplicemente un ufficiale pagatore.
Inoltre aveva mentito sul numero di componenti del gruppo iscritti sull'autorizzazione alla scalata
dell'Everest rilasciata dal ministero del Turismo nepalese.[20]Fin dall'inizio aveva sostenuto che tanto
Cathy O'Dowd quanto Deshun Deysel erano elencate nel permesso e che la decisione finale su quale
delle due sarebbe stata invitata a far parte della squadra per la scalata sarebbe stata presa al campo
base. Dopo aver lasciato la spedizione, de Klerk scopr che mentre O'Dowd era indicata
nell'autorizzazione, insieme al padre sessantanovenne di Woodall e a un francese di nome Tierry Renard
(che aveva pagato trentacinquemila dollari a Woodall per far parte della squadra sudafricana), Deshun
Deysel, l'unica persona di colore dopo le dimissioni di Ed February, non lo era. Questo fece capire a de
Klerk che Woodall non aveva mai avuto la minima intenzione di includere Deysel nel gruppo degli
scalatori.
Tanto per aggiungere l'insulto all'offesa, prima di lasciare il Sudafrica Woodall aveva ammonito de Klerk
- che sposato con un'americana e ha la doppia cittadinanza - che non sarebbe stato ammesso a far
parte della spedizione se non avesse accettato di usare il passaporto sudafricano per entrare nel Nepal.
Ne fece un caso nazionale, ricorda de Klerk, perch eravamo la prima spedizione sudafricana
sull'Everest e cos via. E poi salta fuori che lui a non avere un passaporto del Sudafrica. Non ha
neanche la cittadinanza sudafricana: inglese, ed entrato nel Nepal con il passaporto inglese.
Le numerose menzogne di Woodall diventarono uno scandalo internazionale, riportato sulla prima pagina
dei quotidiani di tutto il Commonwealth britannico. Man mano che le reazioni negative della stampa
giungevano fino a lui, il megalomane capo della spedizione si mostr indifferente alle critiche, e isol il pi
possibile la sua squadra dalle altre spedizioni. Giunse a bandire dalla squadra il cronista Ken Vernon e il
fotografo Richard Shorey, delSunday Times , nonostante che avesse firmato un contratto in cui una
clausola specificava che, in cambio dell'appoggio finanziario del giornale, i due giornalisti sarebbero stati
autorizzati ad accompagnare la spedizione in qualsiasi momento e che il mancato rispetto di questa
condizione sarebbe stato causa di rescissione del contratto.
In quel periodo il direttore delSunday Times , Ken Owen, era in viaggio per il campo base in
compagnia della moglie, nel corso di un trekking organizzato in coincidenza con la spedizione sudafricana
sull'Everest, e a fargli da guida era l'amica di Woodall, Alexandrine Gaudin, una giovane francese. A
Pheriche, Owen apprese che Woodall aveva dato il benservito al suo cronista e al suo fotografo.
Sconcertato, invi un messaggio al capo della spedizione, spiegando che il giornale non aveva alcuna
intenzione di ritirare Vernon e Shorey e che i giornalisti avevano ricevuto l'ordine di ricongiungersi alla
spedizione. Quando ricevette questo messaggio, Woodall and su tutte le furie e si precipit dal campo
base a Pheriche per farla finita con Owen.
Secondo quest'ultimo, durante il confronto che segu, lui chiese a bruciapelo a Woodall se il nome di
Deshun Deysel comparisse sull'autorizzazione, e Woodall replic: Questi non sono affari suoi.
Quando Owen insinu che Deysel era stata ridotta a fare da pedina in quanto donna di colore, per
conferire alla squadra un carattere nazionale sudafricano del tutto spurio, Woodall minacci di uccidere
tanto Owen quanto la moglie. A un certo punto il sovreccitato capo della spedizione dichiar: Le
strappo dal collo quella fottuta testa e gliela caccio su per il culo.
Poco dopo il giornalista Ken Vernon, appena arrivato al campo base, fu informato a muso duro dalla

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signorina O'Dowd che non ero 'graditoal campo, incidente che fu riferito per la prima volta via fax
dall'apparecchio satellitare di Rob Hall. Come scrisse in seguito Vernon sulSunday Times :

Le risposi che non aveva il diritto di bandirmi da un accampamento per il quale il mio giornale aveva
pagato. Quando insistetti, lei afferm di agire dietro istruzioni del signor Woodall. Mi disse che Shorey
era stato gi espulso dal campo e che avrei dovuto seguirlo, visto che l non mi avrebbero fornito n vitto
n alloggio. Mi tremavano ancora le gambe dopo la marcia e, prima di decidere se battermi contro
l'editto o andarmene, chiesi una tazza di t. Neanche per sogno, fu la risposta. La signorina O'Dowd si
avvicin al capo degli sherpa della spedizione, Ang Dorje, e gli disse in modo che potessi sentire:
Questo Ken Vernon, una delle persone di cui ti ho parlato. Non deve ricevere alcuna forma di
assistenza. Ang Dorje un pezzo d'uomo duro come una pepita, col quale avevamo gi diviso parecchi
bicchieri di chang, la forte bevanda locale. Lo guardai chiedendo: Neanche una tazza di t? Va detto a
suo credito che, nella migliore tradizione dell'ospitalit sherpa, guard la signorina O'Dowd ed esclam:
Sciocchezze. Mi afferr per il braccio, mi trascin nella tenda-mensa e mi serv una tazza di t fumante
con un piatto di biscotti.

In seguito a quello che defin il suo scontro agghiacciante con Woodall a Pheriche, Owen si convinse
che ...l'atmosfera della spedizione era malsana e che i dipendenti delSunday Times , Ken Vernon e
Richard Shorey, potevano correre pericolo di vita. Diede quindi istruzioni a Vernon e Shorey di tornare
in Sudafrica e il quotidiano pubblic una dichiarazione in cui affermava di revocare la sponsorizzazione
della spedizione.
Tuttavia, poiche Woodall aveva gi ricevuto il finanziamento del quotidiano, questo atto rimase
puramente simbolico, senza esercitare quasi alcun impatto sulla sua condotta sull'Everest. Si rifiut di
rinunciare al comando della spedizione o di scendere a qualsiasi compromesso, anche dopo avere
ricevuto una lettera dal presidente Mandela, che lo invitava a una riconciliazione nell'interesse nazionale.
Woodall insistette ostinatamente perch la scalata dell'Everest procedesse come previsto, con lui
saldamente al timone.
Di ritorno a Citt del Capo dopo il fallimento della spedizione, February descrisse la sua delusione.
Forse sono stato un ingenuo, dichiar con voce rotta dall'emozione, ma negli anni dell'adolescenza ho
odiato l'apartheid. Scalare l'Everest insieme con Andrew e gli altri sarebbe stata una grande prova che le
antiche usanze erano state abbandonate. Woodall non aveva il minimo interesse alla nascita di un nuovo
Sudafrica. Ha preso i sogni di un'intera nazione e li ha usati per i suoi scopi egoistici. La decisione di
lasciare la spedizione stata la pi penosa di tutta la mia vita.
Con la partenza di February, Hackland e de Klerk, nessuno dei componenti che erano rimasti a far
parte della squadra (fatta eccezione per il francese Renard, che si era unito alla spedizione solo per
essere elencato sul permesso e compiva la scalata in modo del tutto indipendente dagli altri, con i suoi
sherpa personali) aveva un'esperienza alpinistica superiore al minimo indispensabile; almeno due di loro,
ricorda de Klerk, non sapevano neppure allacciarsi i ramponi.
Lo scalatore solitario norvegese, gli alpinisti di Taiwan e soprattutto i sudafricani erano spesso oggetto di
discussione nella tenda-mensa di Hall. Con tanti incompetenti in giro per la montagna, osserv
accigliato Rob una sera, verso la fine di aprile, mi sembra piuttosto improbabile che si riesca ad arrivare

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alla fine della stagione senza che succeda qualcosa di brutto, lass.
Dubito che qualcuno possa sostenere di amare la vita alle alte quote; di amarla, intendo, nel senso
ordinario del termine, Si prova, vero, una sorta di tetra soddisfazione nel progredire verso lalto sia
pure lentamente; ma si obbligati a trascorrere la maggior parte del tempo nell'estremo squallore di un
campo in alta quota, sempre che anche questo conforto sia possibile, Fumare impossibile, il cibo tende
a provocare il vomito; la necessit di ridurre il peso al minimo impedisce di portare con se qualsiasi forma
di letteratura che non sia quella rappresentata dalle etichette sulle scatolette di cibo; l'olio delle sardine, il
latte condensato e la melassa si versano dappertutto; tranne brevissimi istante durante i quali di solito non
si dell'umore adatto per godere di piaceri di natura estetica, non c' altro da vedere se non il
deprimente caos che regna all'interno della tenda e l'aspetto irsuto e barbuto del proprio compagno di
spedizione (per fortuna il fragore del vento sommerge di solito il suono del suo respiro ansimante), Peggio
ancora, si avverte una sensazione di totale impotenza e incapacit ad affrontare qualunque emergenza
possa presentarsi, In genere tentavo di consolarmi col pensiero che un anno prima sarei stato eccitato alla
sola idea di partecipare all'impresa in corso, ma l'altitudine esercita sulla mente lo stesso effetto che ha sul
corpo: lintelletto diventa torpido e insensibile, e il mio unico desiderio era portare a termine quel dannato
lavoro e ridiscendere per trovare un clima pi decente .
ERIC SHIPTON
Upon That Mountain

Poco prima dell'alba di marted 16 aprile, dopo due giorni di riposo al campo base, ci avventurammo
ancora una volta nel labirinto della seraccata per cominciare la seconda escursione di acclimatazione,
Mentre seguivo nervosamente il tortuoso percorso segnato in mezzo a quel caos di ghiaccio che emetteva
sinistri gemiti e scricchiolii, mi accorsi di non avere il respiro affannoso come nella prima ascensione sul
ghiacciaio: il mio organismo si stava gi adattando all'altitudine. Il terrore di essere schiacciato dalla
caduta di un seracco, invece, era rimasto assolutamente immutato,
Speravo che ormai quella gigantesca torre pendente a 5800 metri, soprannominata Trappola per topi
da qualche buontempone della squadra di Fischer, fosse crollata; invece era sempre l, in precario
equilibrio, ancora pi inclinata di prima. Anche stavolta misi a repentaglio il mio apparato cardiovascolare
affrettandomi a salire in alto per sottrarmi alla sua ombra minacciosa, e anche stavolta mi sentii cedere le
ginocchia appena arrivato sulla sommit del seracco, in debito di ossigeno e tremante per leccesso di
adrenalina che mi frizzava nelle vene.
A differenza dalla prima escursione di acclimatazione, durante la quale eravamo rimasti al Campo Uno
meno di un'ora prima di tornare al campo base, questa volta Rob aveva intenzione di farci trascorrere
lass le notti del marted e del mercoled, per proseguire poi per il Campo Due, dove avremmo
pernottato ancora tre volte prima di ridiscendere al campo base.
Alle nove di mattina, quando raggiunsi il Campo Uno, Ang Dorje,[21]il nostrosirdar scalatore,[22]stava
scavando delle piattaforme per le tende nel pendio di neve ghiacciata. A ventinove anni, Ang Dorje un
uomo snello dai lineamenti delicati, con un carattere schivo e ombroso e una forza fisica sorprendente.
Mentre aspettavo l'arrivo dei miei compagni, presi una pala in soprannumero e cominciai ad aiutarlo, ma
nel giro di pochi minuti ero esausto per lo sforzo e dovetti sedermi a riposare, strappando allo sherpa una
sonora risata. Non ti senti bene, Jon? mi prese in giro. E pensare che questo solo il Campo Uno, a
seimila metri. Qui l'aria ancora molto densa.

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Ang Dorje era originario di Pangboche, un agglomerato di case di pietra e campi terrazzati coltivati a
patate che si estende su un pendio scosceso alla quota di 3960 metri. Suo padre era uno sherpa
scalatore molto stimato, che gli aveva insegnato fin dai primi anni di vita i rudimenti dell'alpinismo, in
modo che il ragazzo potesse acquisire delle capacit utili a procurargli un lavoro. Quando Ang Dorje era
appena adolescente, il padre era diventato cieco a causa di una cataratta e lui aveva dovuto abbandonare
la scuola per guadagnare e mantenere la famiglia.
Nel 1984, mentre lavorava come inserviente di cucina per un gruppo di trekker occidentali, aveva
attirato lattenzione di una coppia canadese, Marion Boyd e Graem Nelson. Ricorda oggi Boyd:
Sentivo la mancanza dei miei figli e, quando cominciai a conoscere meglio Ang Dorje, scoprii che mi
ricordava il mio primogenito. Era un ragazzo vivace, pieno di interessi, ansioso di apprendere e
coscienzioso fin quasi all'eccesso. Si sobbarcava lavori durissimi e soffriva tutti i giorni di emorragie dal
naso a causa dell'altitudine. Ne restai colpita.
Dopo aver ottenuto l'approvazione della madre di Ang Dorje, Boyd e Nelson avevano cominciato a
finanziare il giovane sherpa perch potesse tornare a scuola. Non dimenticher mai il suo esame di
ammissione [per entrare alla scuola elementare regionale di Khumjung, costruita da sir Edmund Hillary].
Era molto piccolo di statura, anche se in et prepuberale. Ci fecero stipare tutti in una stanzetta, insieme
con il direttore e quattro maestri, mentre Ang Dorje stava impalato in mezzo a noi, con le ginocchia che
gli tremavano, e tentava di riesumare quel poco di istruzione formale che ricordava per superare l'esame
orale. Sudammo sangue tutti quanti, ma alla fine fu accolto, a condizione che frequentasse le prime classi
insieme con i bambini pi piccoli.
Col tempo Ang Dorje era diventato un ottimo studente, e aveva ottenuto l'equivalente di una licenza
media prima di lasciare la scuola per tornare al lavoro, nell'industria dell'alpinismo e del trekking. Boyd e
Nelson, tornati a pi riprese nel Khumbu, avevano assistito alla sua maturazione. Ora che aveva per la
prima volta la possibilit di seguire una dieta adeguata, cominci a diventare alto e forte, ricorda Boyd.
Ci raccont tutto eccitato che aveva imparato a nuotare in una piscina di Kathmandu. A venticinque
anni circa, impar ad andare in bicicletta e fu vittima di una breve infatuazione per la musica di Madonna.
Capimmo che era davvero cresciuto, quando ci offr il suo primo regalo, un tappeto tibetano scelto con
molta cura. Voleva donare qualcosa anche lui e non solo ricevere.
Quando la reputazione di Ang Dorje come scalatore forte e pieno di risorse si era diffusa fra gli alpinisti
occidentali era stato promosso al ruolo disirdar e in quella veste, nel 1992, era andato a lavorare per
Rob Hall sull'Everest; al momento del lancio della spedizione di Hall nel 1996, Ang Dorje aveva gi
scalato la montagna tre volte. Riferendosi a lui con rispetto ed evidente affetto, Hall lo definiva il mio
principale assistente e disse pi volte che considerava essenziale il suo ruolo per il successo della
spedizione.
Il sole splendeva luminoso, quando l'ultimo dei miei compagni raggiunse il Campo Uno, ma verso
mezzogiorno una frotta di cirri alti provenienti dal sud si era gi ammassata nel cielo; alle tre del
pomeriggio dense nubi turbinavano sul ghiacciaio e la neve tamburellava sulle tende con un fragore
assordante. La tempesta dur tutta la notte; al mattino, quando uscii carponi dalla tenda che dividevo con
Doug, il ghiacciaio era coperto da uno strato di neve fresca alto pi di trenta centimetri. Decine di
valanghe precipitavano rombando lungo le ripide pareti pi in alto, ma il nostro accampamento era al
sicuro, fuori della loro portata.
Alle prime luci dell'alba di gioved 18 aprile, quando il cielo ormai si era schiarito, raccogliemmo il nostro
equipaggiamento per intraprendere la marcia di trasferimento al Campo Due, a sei chilometri e mezzo di
distanza e a un'altitudine superiore di cinquecentodiciotto metri. Il percorso saliva lungo il fondo in lieve
pendenza del Cwm occidentale, il circo morenico pi alto della terra, una depressione a ferro di cavallo

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scavata dal ghiacciaio del Khumbu nel cuore del massiccio dell'Everest. Il Cwm era delimitato sulla
destra dai bastioni del Nuptse, alto 7879 metri, mentre l'imponente parete sudoccidentale dell'Everest
formava la parete sinistra, e l'ampio fronte ghiacciato della parete del Lhotse dominava lo sfondo.
Quando ci mettemmo in marcia dal Campo Uno la temperatura era spaventosamente bassa, tanto che
mi sentivo le mani ridotte ad artigli rigidi e doloranti, ma, non appena i primi raggi di sole investirono il
ghiacciaio, le superfici del Cwm raccolsero e amplificarono il calore radiante come un enorme forno a
energia solare. Fui assalito all'improvviso da una vampata di calore e, temendo l'arrivo di un'altra
emicrania della stessa intensit di quella che mi aveva colpito al campo base, mi tolsi tutto quello che
indossavo sopra la biancheria termica e ficcai una manciata di neve sotto il berretto da baseball. Marciai
per tre ore di seguito sul ghiacciaio, stordito ma di buon passo, fermandomi solo per bere dalla bottiglia
dell'acqua e per rinnovare sotto il berretto la riserva di neve che si scioglieva a contatto con i capelli
ormai impastati.
All'altezza di 6400 metri, ormai inebetito dal caldo, m'imbattei in un grosso oggetto avvolto in un telo di
plastica blu e abbandonato lungo la pista. Il mio cervello, intorpidito dall'altitudine, impieg un paio di
minuti per capire che quell'oggetto era un corpo umano; scosso e turbato, restai a fissarlo per qualche
minuto. Quella sera, quando chiesi informazioni, Rob mi disse che non ne era sicuro, ma pensava che la
vittima fosse uno sherpa morto tre anni prima.
Il Campo Due, a 6500 metri di quota, comprendeva circa centoventi tende sparse sulla nuda roccia
della morena laterale, lungo il bordo del ghiacciaio. Lass l'altitudine si manifest come una forza maligna,
che mi infliggeva un malessere simile ai postumi di una violenta sbornia di vino rosso. Troppo sofferente
per mangiare e persino per leggere, trascorsi la maggior parte dei due giorni seguenti chiuso nella mia
tenda, .con la testa fra le mani, tentando di ridurre gli sforzi al minimo indispensabile. Il sabato,
sentendomi leggermente meglio, salii di circa trecento metri sopra il campo, per fare un podi moto e
accelerare l'acclimatazione, e l, alla sommit del Cwm e a una cinquantina di metri dalla pista principale,
trovai nella neve un altro corpo umano, o meglio, la parte inferiore di un corpo. Lo stile dell'abbigliamento
e gli scarponi di cuoio pregiato mi fecero pensare che la vittima fosse un europeo e che il corpo si
trovasse sulla montagna da almeno dieci o quindici anni.
Il ritrovamento del primo cadavere mi aveva lasciato fortemente scosso per alcune ore, mentre lo shock
dell'impatto col secondo svan quasi subito. Pochi degli scalatori che salivano faticosamente avevano
dedicato a entrambi pi di uno sguardo casuale. Era come se sulla montagna regnasse il tacito accordo di
far finta che quei resti essiccati non fossero reali; come se nessuno di noi osasse riconoscere qual era la
vera posta in gioco, lass.
Luned 22 aprile, un giorno dopo il rientro dal Campo Due al campo base, Andy Harris e io ci recammo
nell'accampamento dei sudafricani per cercare di capire come mai si erano ridotti a essere considerati dei
paria. Situato a una quindicina di minuti dalle nostre tende, sullo stesso ghiacciaio, il loro campo era tutto
raccolto su una gobba di detriti glaciali, sulla quale svettavano un paio di alti pali di alluminio con le
bandiere nazionali del Nepal e del Sudafrica, oltre a striscioni pubblicitari della Kodak, della Apple e di
altri sponsor. Andy fece capolino nella tenda-mensa e, sfoggiando il suo sorriso pi accattivante,
esclam: Ehil, c' qualcuno in casa?
Si venne a sapere che Ian Woodall, Cathy O'Dowd e Bruce Herrod si trovavano sulla seraccata,
impegnati nella discesa dal Campo Due, ma era presente la fidanzata di Woodall, Alexandrine Gaudin,
insieme al fratello, Philip Woodall. Inoltre nella tenda c'era una giovane donna esuberante, che si present
come Deshun Deysel, e invit Andy e me a prendere il t. I tre componenti della squadra sembravano
indifferenti agli echi negativi del discutibile comportamento di Ian e alle voci che predicevano l'imminente
disintegrazione della spedizione.

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Laltro giorno ho fatto la mia prima arrampicata sul ghiaccio, esclam Deysel in tono entusiastico,
accennando a un vicino seracco sul quale si allenavano i componenti di varie spedizioni, per mettere alla
prova le loro capacit. Mi sembrato davvero emozionante. Spero di salire fra qualche giorno sulla
seraccata. Avrei voluto chiederle che cosa pensava della slealt di Ian e come si era sentita nello
scoprire di non essere inclusa nell'autorizzazione alla scalata dell'Everest, ma lei era cos allegra e ingenua
che non me la sentii di farlo. Dopo una conversazione di una ventina di minuti, Andy invit tutta la
squadra sudafricana, compreso Ian, a fare un salto nel nostro accampamento per bere un goccetto
quella sera stessa, sul tardi.
Quando tornai al campo, per, trovai Rob, la dottoressa Caroline Mackenzie e il medico della
spedizione di Scott Fischer, Ingrid Hunt, impegnati in una conversazione radio piuttosto tesa con
qualcuno che si trovava pi in alto sulla pista. Qualche ora prima, scendendo dal Campo Due verso il
campo base, Fischer aveva incontrato uno dei suoi sherpa, Ngawang Topche, seduto sul ghiacciaio a
6400 metri d'altezza. Ngawang, un veterano di trentotto anni che proveniva dalla valle di Rolwaling, con
un sorriso pieno di vuoti e un carattere mite, lavorava al campo base da tre giorni, trasportando carichi e
svolgendo altre mansioni, ma i suoi compagni si erano lamentati pi volte, protestando che si fermava
spesso a riposare, senza svolgere la sua parte del lavoro.
Interrogato da Fischer, Ngawang aveva ammesso di sentirsi debole, stordito e a corto di fiato da pi di
due giorni, Fisher, quindi, gli aveva ordinato di scendere subito al campo base; nella cultura degli sherpa,
per, rientra una componente di machismo che li rende estremamente restii ad ammettere delle infermit
fisiche. Gli sherpa non dovrebbero essere colpiti dal mal di montagna, soprattutto quelli della Rolwaling,
una regione famosa per i suoi possenti scalatori; quelli che vi sono soggetti e lo ammettono apertamente
finiscono spesso nella lista nera, perdendo cos l'occasione di essere ingaggiati dalle spedizioni
successive. Per questo Ngawang aveva ignorato le istruzioni di Scott e, invece di scendere, era salito al
Campo Due per trascorrervi la notte.
Quando aveva raggiunto le tende, nel tardo pomeriggio, ormai delirava, incespicando come un ubriaco e
sputando a ogni colpo di tosse della schiuma rosea mista a sangue: tutti sintomi che indicavano un caso
avanzato di edema polmonare causato dall'altitudine, una malattia misteriosa e potenzialmente letale,
causata dall'ascesa troppo rapida a una quota eccessivamente alta per cui i polmoni si riempiono di siero.
[23]L'unica cura realmente valida per l'edema polmonare una rapida discesa; se la vittima resta a lungo
ad alta quota, l'esito pi probabile la morte.
A differenza di Hall, il quale insisteva perch tutto il gruppo restasse unito durante le scalate al di sopra
del campo base, sotto la stretta sorveglianza delle guide, Fischer era un fautore dell'opportunit di
lasciare liberi i clienti di spostarsi su e gi per la montagna durante il periodo di acclimatazione. Di
conseguenza, quando si era scoperto che Ngawang era grave, al Campo Due c'erano quattro clienti di
Fischer, ossia Dale Kruse, Pete Schoening, Klev Schoening e Tim Madsen, ma nessuna guida. La
responsabilit del soccorso di Ngawang era ricaduta quindi sulle spalle di Klev Schoening e di Madsen;
quest'ultimo, che aveva trentatre anni, era una semplice guardia forestale di Aspen, nel Colorado, e non
aveva mai superato i 4200 metri di altitudine prima di quella spedizione, alla quale era stato convinto a
unirsi dalla sua ragazza, la veterana dell'Himalaya Charlotte Fox.
Quando entrai nella tenda-mensa di Hall, la dottoressa Mackenzie era alla radio che diceva a qualcuno
al Campo Due: Somministrate a Ngawang acetazolamide, dexamethasone e dieci milligrammi di
nifedipina sublinguale... S, conosco il rischio. Dategliela comunque... Vi assicuro che il rischio che muoia
di edema polmonare prima che riusciamo a portarlo gi molto, ma molto pi alto del pericolo che la
nifedipina gli faccia calare la pressione del sangue a un livello pericoloso. Vi prego, fidatevi di me! Dategli
quei farmaci, presto!

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Tuttavia nessuna delle medicine produsse un miglioramento, e neppure la somministrazione a Ngawang


di ossigeno supplementare o l'espediente di introdurlo in un sacco di Gamow, una camera d'aria
gonfiabile di plastica delle dimensioni di una bara, in cui si aumenta la pressione atmosferica per simulare
un'altitudine inferiore. E cos, alla luce sempre pi fioca del crepuscolo, Schoening e Madsen
cominciarono laboriosamente a trascinare Ngawang gi per il pendio, usando il sacco di Gamow sgonfio
come uno slittino improvvisato, mentre la guida Neal Beidleman e una squadra di sherpa salivano pi in
fretta che potevano dal campo base verso di loro.
Beidleman raggiunse Ngawang al tramonto, presso la sommit della seraccata, e assunse il comando
delle operazioni di salvataggio, consentendo a Schoening e Madsen di tornare al Campo Due per
proseguire l'acclimatazione. Lo sherpa aveva tanto liquido nei polmoni, rifer in seguito Beidleman, che
respirando emetteva un suono simile a quello di una cannuccia quando si risucchia il frullato dal fondo del
bicchiere. A met della discesa sulla seraccata, Ngawang si tolse la maschera dell'ossigeno, frugando
all'interno per liberare la valvola di afflusso da un grumo di muco, ma quando ritir la mano puntai verso il
guanto la luce della lampada che portavo sul casco, e mi accorsi che era tutto rosso, impregnato del
sangue che aveva riversato nella maschera a ogni colpo di tosse. Poi spostai la luce sul suo viso e vidi che
era coperto di sangue anche quello.
Quando gli occhi di Ngawang incontrarono i miei, capii quanto fosse spaventato, continu Beidleman.
Dopo una rapida riflessione mentii, dicendogli di non preoccuparsi, perch il sangue proveniva da un
taglio sul labbro. Questo lo calm leggermente, dopodich riprendemmo la discesa. Per evitare che
Ngawang compisse sforzi che avrebbero aggravato l'edema, pi volte durante la discesa Beidleman
sollev di peso lo sherpa sofferente, portandolo in spalla. Quando arrivarono al campo base, era gi
mezzanotte passata.
La mattina dopo, marted, Fischer prese in considerazione l'idea di chiamare un elicottero per trasferire
Ngawang dal campo base a Kathmandu, per un costo stimato dai cinquemila ai diecimila dollari. Ma
tanto Fischer quanto la dottoressa Hunt confidavano che le condizioni dello sherpa sarebbero migliorate
in fretta, ora che si trovava oltre millecento metri pi in basso del Campo Due; di solito, infatti, per
ottenere la guarigione completa dall'edema polmonare sufficiente scendere di novecento metri. Il
risultato fu che, invece di portarlo via con l'elicottero, si decise di accompagnare Ngawang a piedi verso
il fondovalle. Appena lasciato il campo base, per, lo sherpa ebbe un collasso e fu necessario riportarlo
per le cure necessarie al campo della Mountain Madness, dove le sue condizioni continuarono a
peggiorare per tutto il giorno. Quando Hunt tent di rimetterlo nel sacco di Gamow, Ngawang si oppose,
sostenendo di non avere n l'edema polmonare n qualsiasi altra forma di mal di montagna. Allora fu
convocato via radio il medico americano Jim Litch, che era un'autorit nel campo della medicina di alta
quota e quella primavera prestava servizio di volontariato nella clinica dell'Himalayan Rescue Association,
a Pheriche.
A quel punto Fischer si era allontanato alla volta del Campo Due per riportare gi Tim Madsen, che si
era stancato trasportando Ngawang lungo il Cwm occidentale e quindi era stato colpito a sua volta da un
lieve attacco di edema polmonare. Durantel'assenza di Fischer, Hunt consult altri medici del campo
base, ma fu costretta a prendere da sola delle decisioni cruciali e, come osserv uno dei suoi colleghi
medici, non sapeva che pesci pigliare.
Ingrid Hunt era una dottoressa sui venticinque anni priva di esperienze alpinistiche, che aveva appena
completato l'internato in medicina generica, aveva lavorato parecchio come volontaria nel campo
dell'assistenza medica sulle pendici del Nepal orientale, ma non aveva esperienze di medicina d'alta
quota. Aveva conosciuto per caso Fischer qualche mese prima, a Kathmandu, mentre lui completava le
pratiche per l'autorizzazione a scalare l'Everest, e Fischer l'aveva invitata a unirsi alla sua successiva

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spedizione nel duplice ruolo di medico della squadra e organizzatrice del campo base.
Pur esprimendo una certa ambivalenza riguardo a quella proposta in una lettera inviata a Fischer in
gennaio, Hunt accett alla fine quell'incarico non retribuito e arriv nel Nepal alla fine di marzo, ansiosa di
contribuire al successo della spedizione. Tuttavia il peso della gestione del campo base e delle esigenze
mediche di circa venticinque persone si era rivelato superiore alle sue previsioni. (Tanto per fare un
confronto, Rob Hall stipendiava a tempo pieno due persone di notevole esperienza, la dottoressa
Caroline Mackenzie e l'organizzatrice del campo base Helen Wilton, per sbrigare il lavoro che Hunt
faceva da sola, e per giunta gratis.) A peggiorare le sue difficolt, inoltre, Hunt aveva problemi di
acclimatazione e per quasi tutto il soggiorno al campo base accus forti mal di testa e affanno.
Dopo che Ngawang era crollato durante il tentativo di scendere a valle, marted mattina, ed era stato
riportato a braccia al campo base, non gli fu somministrato di nuovo ossigeno, bench le sue condizioni
continuassero a peggiorare, in parte perch sosteneva ostinatamente di non essere malato. Alle sette di
quella mattina arriv di gran carriera da Pheriche il dottor Litch, che sugger energicamente a Hunt di
cominciare a somministrare ossigeno a Ngawang, aprendo la valvola al massimo, e di chiamare un
elicottero.
Ormai Ngawang perdeva conoscenza di continuo e aveva gravi difficolt respiratorie. Il mercoled
mattina, 24 aprile, fu richiesto un elicottero, ma le nuvole e le nevicate impedivano il volo, cos Ngawang
fu caricato in una cesta e, sotto le cure di Hunt, fu trasportato a Pheriche a dorso di sherpa.
Quel pomeriggio l'espressione accigliata di Hall trad la sua preoccupazione. Ngawang molto grave,
osserv. Ha uno dei peggiori casi di edema polmonare che abbia mai visto. Avrebbero dovuto portarlo
via con l'elicottero ieri, quando ce n'era la possibilit. Se fosse stato uno dei clienti di Scott a sentirsi cos
male, anziche uno sherpa, non credo che lo avrebbero curato con tanta superficialit. Quando arriver
gi a Pheriche forse sar troppo tardi per salvarlo.
Quando lo sherpa ammalato raggiunse la clinica della HRA il mercoled pomeriggio, dopo un tragitto di
dodici ore, le sue condizioni continuarono a peggiorare, nonostante ora si trovasse a 4267 metri
(un'altitudine non molto superiore a quella del villaggio in cui aveva trascorso quasi tutta la vita), e questo
costrinse Hunt a metterlo, contro la sua volont, nel sacco di Gamow pressurizzato. Ngawang, che ne
era terrorizzato e non riusciva d'altronde a comprenderne i benefici, fece convocare un lama buddhista e,
dopo aver acconsentito a farsi chiudere con la lampo all'interno, cosa che evidentemente gli causava un
senso di claustrofobia, chiese di poter avere con s nel sacco i libri di preghiera.
Perch il sacco di Gamow funzioni a dovere, necessario che un assistente immetta continuamente
all'interno dell'aria pura mediante una pompa a pedale. Il mercoled sera Hunt, esausta dopo aver
assistito ininterrottamente Ngawang per quarantotto ore, affid la responsabilit della pompa ad alcuni
sherpa amici di Ngawang. Mentre lei schiacciava un pisolino, uno degli sherpa si accorse, attraverso la
finestrella di plastica trasparente del sacco, che Ngawang aveva la bocca ricoperta di schiuma e non
dava pi segno di respirare.
Svegliata con questa notizia, la dottoressa Hunt apr subito il sacco, diede inizio alla rianimazione
cardiopolmonare, e chiam il dottor Larry Silver, uno dei volontari che lavoravano alla clinica della HRA.
Dopo che Silver ebbe inserito un tubo nella trachea di Ngawang, immettendogli a forza dell'aria nei
polmoni con un tubicino di gomma {una pompa amano), Ngawang riprese a respirare, ma soltanto dopo
un periodo di almeno quattro o cinque minuti in cui l'ossigeno non era affluito al cervello.
Due giorni dopo, venerd 26 aprile, il tempo finalmente miglior quanto bastava per consentire il
trasporto in elicottero e Ngawang fu trasferito in un ospedale di Kathmandu, ma i medici annunciarono

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che aveva riportato gravi danni cerebrali; ormai era ridotto a poco pi che un vegetale. Nelle settimane
seguenti langu in ospedale, con lo sguardo vacuo rivolto al soffitto, le braccia distese lungo i fianchi e i
muscoli atrofizzati, arrivando a pesare meno di quaranta chili. Verso la met di giugno mor, lasciando la
moglie e quattro figlie nella Rolwaling.

Quello che desta stupore che il caso di Ngawang fosse noto, pi che agli scalatori impegnati nella
scalata dell'Everest, a decine di migliaia di persone che si trovavano ben lontane dalla montagna. Questo
ghiribizzo dell'informazione era dovuto a Internet, e a noi che eravamo al campo base faceva un effetto
addirittura surreale. Un compagno di squadra, per esempio, poteva chiamare la famiglia con il telefono
satellitare e apprendere quello che facevano i sud africani al campo base dalla moglie che navigava sul
World Wide Web dalla Nuova Zelanda o dal Michigan.
Almeno cinque siti Internet diffondevano rapporti[24]inviati da corrispondenti al campo base
sull'Everest. La squadra sudafricana aveva aperto un sito tutto suo sul Web, cos come la International
Commercial Expedition di Mal Duff. Nova, lo spettacolo televisivo della PBS, produceva un bollettino in
rete complesso e molto ricco di informazioni, trasmettendo aggiornamenti quotidiani grazie a Liesl Clark e
all'eminente storico dell'Everest Audrey Salkeld, che facevano parte della spedizione MacGillivray
Freeman IMAX. (La squadra dell'IMAX, diretta dall'abile regista ed esperto scalatore David
Breashears, che aveva guidato Dick Bass sull'Everest nel 1985, stava girando un film sulla scalata del
costo di cinque milioni e mezzo di dollari, destinato al grande schermo.) La spedizione di Scott Fischer
aveva non meno di due corrispondenti che inviavano messaggi online per un paio di siti Web in
concorrenza fra loro.
Jane Bromet, che inviava ogni giorno rapporti telefonici per Outside Online,[25]era una delle due
corrispondenti della squadra di Fischer, ma, non essendo una cliente, non era autorizzata a salire pi in
alto del campo base. L'altra corrispondente nella spedizione di Fischer, invece, era una cliente che
intendeva arrivare alla vetta e lungo il percorso inviava messaggi quotidiani per la Interactive Media della
NBC: si chiamava Sandy Hill Pittman, e sulla montagna non c'era personaggio pi in vista di lei o pi
bersagliato dai pettegolezzi.
Pittman, una miliardaria interessata ai problemi sociali e appassionata di alpinismo, era tornata a dare
l'assalto all'Everest per la terza volta. Quell'anno era pi decisa che mai a raggiungere la vetta,
completando cos la sua crociata molto pubblicizzata per scalare le Sette Sorelle.
Nel 1993 si era unita a una spedizione guidata che tentava la via del Colle Sud e della Cresta Sud-Est, e
aveva fatto scalpore presentandosi al campo base con il figlio di nove anni, Bo e una bambinaia che
doveva occuparsi di lui. Tuttavia aveva accusato una serie di problemi ed era arrivata appena a 7300
metri, prima di essere costretta a tornare indietro.
Nel 1994 era tornata sull'Everest, dopo avere raccolto oltre duecentocinquantamila dollari da sponsor
commerciali per assicurarsi le prestazioni di quattro dei migliori alpinisti del Nordamerica: Breashears
(che aveva un contratto per filmare la spedizione per la rete NBC), Steve Swenson, Barry Blanchard e
Alex Lowe. Lowe - a detta di alcuni il migliore scalatore del mondo - era stato ingaggiato come guida
personale di Sandy, incarico per il quale aveva ricevuto un generoso compenso. I quattro erano partiti
prima della Pittman per attrezzare con le corde una parte della parete Kangshung, una parete
estremamente difficile e rischiosa sul versante tibetano della montagna. Con una buona dose di assistenza
da parte di Lowe, Pittman era salita con le corde fisse fino a 6700 metri, ma ancora una volta era stata
costretta a rinunciare prima di raggiungere la vetta; stavolta il problema era costituito dalle condizioni
pericolosamente instabili della neve, che avevano costretto l'intera squadra ad abbandonare la montagna.

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Finch non mi ero imbattuto casualmente in lei a Gorak Shep, durante la marcia verso il campo base,
non avevo mai incontrato Pittman faccia a faccia, pur avendo sentito parlare di lei da anni. Nel 1992, la
rivistaMen's Journal mi aveva incaricato di scrivere un articolo su un viaggio che avrei dovuto compiere
da New York a San Francisco in sella a una motocicletta Harley-Davidson in compagnia di Jann Wenner
{il leggendario e iperbolicamente ricco editore diRolling Stone ,Men's Journal eUs ) e di alcuni dei suoi
ricchi amici, fra cui Rocky Hill, il fratello di Pittman, e il marito, Bob Pittman, il cofondatore della MTV.
La Hog grondante di cromature e dal rombo assordante che Jann mi aveva prestato era un veicolo
eccitante, e i miei compagni di viaggio d'alto bordo erano abbastanza cordiali, ma avevo ben poco in
comune con loro e sia a loro sia a me riusciva impossibile dimenticare che partecipavo al viaggio dietro
compenso di Jann. A cena Bob, Jann e Rocky confrontavano il modello di aereo privato che
possedevano (Jann mi raccomand un Gulfstream IV, non appena fossi stato in grado di permettermi un
jet personale), discutevano delle loro tenute in campagna e parlavano di Sandy, che guarda caso in quel
periodo stava scalando il monte McKinley. Ehi, sugger Bob quando apprese che ero anch'io un
appassionato di alpinismo, tu e Sandy dovreste scalare qualche montagna insieme, una volta o laltra.
Ed era quello che stavamo facendo adesso, a quattro anni di distanza.
Alta un metro e ottanta, Sandy Pittman mi sopravanzava di circa sei centimetri e i capelli corti da
monello apparivano pettinati con eleganza anche lass a cinquemila metri. Esuberante e spiccia nei modi,
era cresciuta nella California settentrionale, dove il padre l'aveva iniziata da bambina alle gioie del
campeggio, delle escursioni a piedi e dello sci. Apprezzando la libert e i piaceri della collina, aveva
continuato a dilettarsi di escursioni anche durante gli anni del college e oltre, bench la frequenza delle sue
gite in montagna fosse diminuita notevolmente dopo il trasferimento a New York verso la met degli anni
Settanta, in seguito al fallimento del primo matrimonio.
A Manhattan, Sandy Pittman avevalavorato comebuyer per la casa Bonwit Teller, come esperta di
merchandising per Mademoiselle e come redattrice di bellezza in una rivista chiamataBride's , prima di
sposare Bob Pittman. Infaticabile nell'attirare su di s l'attenzione del pubblico, Sandy si era fatta un
nome e compariva regolarmente nelle rubriche mondane di New York, frequentando Blaine Trump, Tom
e Meredith Brokaw, Isaac Mizrahi e Martha Stewart. Per poter fare pi comodamente i pendolari fra la
loro opulenta residenza nel Connecticut e un appartamento in Central Park West carico di opere d'arte e
gestito da domestici in livrea, lei e il marito avevano acquistato un elicottero, che impararono a pilotare.
Nel 1990 Sandy e Bob Pittman erano apparsi sulla copertina della rivistaNew York con il titolo La
coppia del momento.
Poco dopo Sandy aveva intrapreso la costosa e reclamizzata campagna per diventare la prima donna
americana che avesse mai scalato le Sette Sorelle. Tuttavia l'ultima, e precisamente l'Everest, continuava
a sfuggirle, e nel marzo 1994 Sandy aveva perso la gara contro il tempo a favore di una quarantasettenne
alpinista e ostetrica dell'Alaska, Dolly Lefever. Ciononostante, aveva continuato la sua ostinata caccia
all'Everest.
Come osserv Beck Weathers una sera al campo base, quando Sandy va a scalare una montagna, non
lo fa esattamente come voi e me. Nel 1993 Beck era stato nellAntartide per un'ascensione guidata al
Mount Vinson nello stesso periodo in cui Pittman scalava la montagna con un altro gruppo guidato, e
ricordava con una risatina che lei si trascinava dietro una gigantesca sacca piena di ghiottonerie da
gourmet , che richiedeva quattro persone solo per sollevarla. Inoltre si era portata anche un televisore
portatile e un videoregistratore per poter guardare i film nella sua tenda. Voglio dire, bisogna ammettere
che non sono in molti a scalare le montagne con questo stile. Beck riferiva inoltre che Sandy aveva
diviso generosamente con gli altri partecipanti alla scalata tutto quel bendidio e che era una persona
simpatica e interessante da avere accanto.

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Per l'assalto all'Everest del 1996, Pittman aveva messo insieme ancora una volta un equipaggiamento
che non si vede di solito negli accampamenti degli scalatori. Il giorno precedente alla partenza per il
Nepal, in uno dei primi messaggi Web per la Interactive Media della NBC, aveva annunciato entusiasta:

Tutta la mia roba pronta. A quanto pare avr tanto il computer e lapparecchiatura elettronica quanto
lattrezzatura per la scalata... Due computer portatili IBM, una videocamera, tre macchine fotografiche
da 35mm, una macchina fotografica digitale Kodak, due registratori a nastro, un lettore di CD-ROM,
una stampante, pi pannelli solari e batterie sufficienti per alimentare il tutto (almeno spero) ...Non mi
sognerei mai di lasciare la citt senza una buona scorta di miscela Dean & DeLuca's Near East e .la
macchinetta per lespresso. Dal momento che arriveremo sullEverest verso Pasqua, mi sono portata
quattro uova di cioccolato. Una caccia all'uovo di Pasqua a seimila metri di quota ? Vedremo !

Quella sera, il cronista mondano Billy Norwich aveva organizzato un ricevimento di addio per Sandy
Pittman da Nell's, nel centro di Manhattan. La lista degli ospiti comprendeva Bianca Jagger e Calvin
Klein. Amante dei travestimenti, Sandy si era presentata indossando sopra l'abito da sera la tuta da
alpinista, con tanto di scarponi da montagna, ramponi, piccozza da ghiaccio e una bandoliera di
moschettoni.
Al suo arrivo sull'Himalaya, aveva dato l'impressione di voler mantenere il pi possibile le abitudini
dell'alta societ. Durante la marcia fino al campo base, un giovane sherpa di nome Pemba era addetto ad
arrotolare ogni mattina il suo saccopiuma e prepararle lo zaino. Quando giunse ai piedi dell'Everest
insieme al resto del gruppo di Fischer, ai primi di aprile, il suo bagaglio comprendeva pile di ritagli di
giornali che la riguardavano da distribuire agli altri residenti del campo base. Entro pochi giorni
cominciarono ad arrivare regolarmente dei corrieri sherpa che le recapitavano dei pacchetti spediti al
campo base tramite la DHL Worldwide Express; contenevano fra laltro gli ultimi numeri diVogue ,
Vanity Fair ,People ,Allure . Gli sherpa erano affascinati dalle fotografie pubblicitarie della biancheria e
consideravano un bottino ambito le striscette imbevute di profumo inserite nelle riviste come campioni di
prova.
La squadra di Scott Fischer era affiatata e compatta; quasi tutti i compagni di Sandy Pittman accettarono
le sue manie e parvero accoglierla in seno al gruppo senza eccessive difficolt. Sandy poteva essere una
compagnia estenuante, perch doveva stare sempre al centro dell'attenzione e non faceva che parlare di
s, ricorda Jane Bromet. Ma non era una persona negativa; non abbassava il morale del gruppo, anzi
era piena di energia e su di tono quasi tutti i giorni.
Ci nonostante, parecchi esperti alpinisti che non facevano parte del suo gruppo consideravano la
Pittman una dilettante esibizionista. Dopo il tentativo fallito di scalata della parete Kangshung nel 1994,
uno spot pubblicitario della Vaseline Intensive Care (principale sponsor della spedizione) era stato
sonoramente deriso dagli esperti perch presentava la Pittman come un'alpinista di classe mondiale.
Tuttavia lei non aveva mai rivendicato questo ruolo; anzi, in un articolo pubblicato suMen's Journal
sottoline che voleva che Breashears, Lowe, Swenson e Blanchard capissero che non ho mai
scambiato le mie capacit di dilettante avida di emozioni con la loro abilit di scalatori di livello
internazionale.
I suoi illustri compagni di scalata nel tentativo del 1994 non la criticarono mai, almeno non in pubblico.
Dopo quella spedizione, anzi, Breashears divenne un suo grande amico e Swenson la difese spesso dai

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detrattori. Vedi, mi aveva spiegato una volta Swenson durante un ricevimento a Seatt.le, poco dopo il
loro ritorno dall'Everest, forse Sandy non una grande alpinista, ma sulla parete Kangshung ha
riconosciuto i suoi limiti. S, vero che Alex, Barry e David e io abbiamo fatto tutto il lavoro di
preparazione e fissato tutte le corde, ma a modo suo anche lei ha contribuito al tentativo, mostrando un
atteggiamento positivo, raccogliendo i fondi e trattando con i media.
Comunque non le mancavano certo le critiche. Molti erano offesi dal suo ostentato sfoggio di denaro e
dall'impudenza con la quale cercava le luci della ribalta. Come riferiva Joanne Kaufman sulWall Street
Journal :

La signora Pittman nota in alcuni circoli pi come arrampicatrice sociale che come scalatrice di
montagne. Lei e il signor Pittman erano ospiti abituali in tutte le soiree mondane e le manifestazioni di
beneficenza, oltre che protagonisti fissi di tutte le rubriche mondane. Pi d'uno si sentito tirare per le
falde della giacca dalle dita tenaci di Sandy Pittman, commenta un ex socio in affari del signor Pittman
che desidera mantenere l'anonimato. A lei interessa la pubblicit. Se avesse dovuto restare
nell'anonimato, non credo che si sarebbe dedicata a scalare montagne.

Che sia giusto o. no, agli occhi dei suoi detrattori Sandy Pittman incarnava tutto ci che vi era di
reprensibile nella volgarizzazione delle Sette Sorelle per opera di Dick Bass e nella successiva
degradazione della montagna pi alta del mondo. D'altronde lei, isolata dal suo denaro, da un folto
gruppo di collaboratori pagati e da un'incrollabile fede in s stessa, restava all'oscuro del risentimento e
del disprezzo che ispirava agli altri, altrettanto ignara della Emma di Jane Austen.
Se racconttiamo delle storie a noi stessi per poter vivere...Andiamo in cerca della predica in un suicidio
della lezione sociale o morale nellomicidio di cinque persone. Interpretiamo ci che vediamo optando
per la soluzione pi funzionale fra le tante che si offrono alla nostra scelta. Soprattutto se siamo scrittori;
tutta la nostra vita consiste nel sovrapporre una linea narrativa a immagini disparate nel dipanare le idee
con le quali abbiamo imparato a cristallizzare la cangiante fantasmagoria della nostra esperienza.
JOAN DIDION
The White Album

Alle quattro del mattino, quando la sveglia del mio orologio da polso cominci a trillare, ero gi
sveglio; avevo passato quasi tutta la notte in bianco, lottando per respirare in quell'aria pi rarefatta. E
adesso era gi l'ora di incominciare l'odiato rituale di emergere dal calore del bozzolo di piume d'oca per
esporsi al freddo agghiacciante dei 6500 metri di altitudine. Due giorni prima, venerd 26 aprile, avevamo
risalito tutto il percorso dal campo base al Campo Due in un solo giorno per dare inizio alla terza e ultima
escursione di acclimatazione, preparandoci all'assalto finale alla vetta. Quella mattina, secondo il grande
piano di Rob, avremmo dovuto salire dal Campo Due al Campo Tre per trascorrere una notte a 7300
metri.
Rob ci aveva detto di tenerci pronti a partire alle quattro e tre quarti in punto, vale adire dopo tre
quarti d'ora, quindi la tabella oraria mi concedeva appena il tempo di vestirmi, mandare gi a forza una
barretta dolce con una tazza di t emettere i ramponi. Mentre puntavo la lampada del casco su un

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termometro da quattro soldi fissato alla giacca a vento che avevo usato come cuscino, vidi che la
temperatura all'interno dell'angusta tenda per due persone era scesa aventi gradi sotto zero. Doug!
gridai alla massa informe sepolta nel saccopiuma accanto a me. Ora di alzarsi, Slick. Sei sveglio, l
dentro?
Sveglio? mi rispose con voce roca e stanca. Che cosa ti fa pensare che sia riuscito a dormire?
Ho l'impressione di avere qualcosa che non va alla gola. Amico, sto diventando troppo vecchio per
questa vita.
Durante la notte, le fetide esalazioni del nostro respiro si erano condensate sul tessuto della tenda,
formando un fragile strato interno di brina; quando mi sedetti e cominciai a frugare attorno a me nel buio,
in cerca dei vestiti, mi riusc impossibile non sfiorare le basse pareti di nylon, e ogni volta scatenavo una
tormenta all'interno della tenda, ricoprendo ogni cosa di una pioggia di cristalli di ghiaccio. Scosso da
violenti brividi, mi riparai con tre strati di soffice biancheria in pile chiusa dalle lampo, vi sovrapposi un
guscio esterno di nylon antivento, poi infilai gli scarponi di plastica scricchiolante. Latto di stringere i lacci
mi strapp una smorfia di dolore; nelle ultime due settimane le condizioni delle mie dita screpolate e
sanguinanti non avevano fatto che peggiorare nell'aria gelida.
Fuori dal campo alla luce delle lampade, sulle orme di Rob e Frank, cominciai a procedere a zigzag
fra torri di ghiaccio e cumuli di sassi per raggiungere il corpo principale del ghiacciaio. Nelle due ore
successive salimmo lungo un pendio lievemente inclinato come un campetto da sci per principianti, prima
di arrivare alla crepaccia terminale che delimitava l'estremit superiore del ghiacciaio del Khumbu. Subito
s'innalz sopra di noi la parete del Lhotse, un vasto mare inclinato di ghiaccio che scintillava come un
mucchio di cromature sporche alla luce obliqua dell'alba. Da quella superficie gelata scendeva sinuosa,
come se pendesse dal cielo, una sola corda da nove millimetri, che ammiccava invitante verso di noi,
come il gambo di fagiolo della favola di Jack. Afferrandone lestremit inferiore, assicurai la maniglia
jumar[26]alla corda leggermente logora e cominciai la salita.
Fin da quando avevo lasciato il campo soffrivo un freddo fastidioso, perch avevo indossato
indumenti pi leggeri del solito in previsione dell'effetto forno che si verificava tutte le mattine quando il
sole investiva il Cwm occidentale. Invece quella mattina la temperatura rimase rigida per effetto di un
vento tagliente che soffiava dall'alto della montagna, creando un gelo che scendeva forse addirittura a
quaranta gradi sotto zero. Nello zaino avevo un altro maglione in pile, ma per indossarlo avrei dovuto
prima togliermi i guanti, lo zaino e la giacca a vento, sempre restando sospeso alla corda fissa.
Preoccupato al pensiero che mi cadesse qualcosa, decisi di aspettare finche non avessi raggiunto un
tratto di parete meno ripido, dove tenermi in equilibrio senza stare aggrappato alla corda. Cos continuai
a salire, e a sentire sempre pi freddo.
Il vento sollevava enormi onde turbinanti di neve farinosa che scorrevano gi per la montagna come
frangenti, incollando ai miei abiti uno strato di brina. Sugli occhiali si form un guscio di ghiaccio che mi
appannava la vista. Cominciavo a perdere la sensibilit nei piedi e mi sentivo le dita delle mani legnose.
Proseguire in quelle condizioni diventava sempre meno prudente. io ero in testa alla fila, a settemila metri,
quindici minuti pi avanti della guida Mike Groom, e decisi di aspettarlo per parlare con lui della
situazione. Ma proprio un attimo prima che lui mi raggiungesse, la voce di Rob risuon brusca alla radio
che Mike portava dentro la giacca, e lui interruppe la salita per rispondere alla chiamata. Rob vuole che
scendiamo tutti! annunci, gridando per farsi sentire al di sopra del vento. Via di qui!
Era mezzogiorno quando rientrammo al Campo Due e cominciammo a valutare i danni. io ero
stanco, ma per il resto stavo bene. John Taske, il medico australiano, aveva un lieve principio di
congelamento alla punta delle dita. Doug, invece, aveva riportato guai seri: togliendosi gli scarponi, scopr
di avere un principio di congelamento a parecchie dita dei piedi. Nel 1995, durante il primo tentativo

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sull'Everest, si era congelato i piedi in modo tanto grave da perdere una parte di tessuto da un alluce,
danneggiando la circolazione in modo permanente, e questo lo rendeva particolarmente sensibile al
freddo; ora quel congelamento supplementare lo rendeva ancor pi vulnerabile alle condizioni
atmosferiche rigide che regnavano nella parte superiore della montagna.
Ancora pi gravi, comunque, erano i danni al suo apparato respiratorio. Meno di due settimane
prima della partenza per il Nepal, Doug aveva dovuto sottoporsi a un piccolo intervento chirurgico alla
gola, che aveva lasciato la trachea estremamente sensibile. Quella. mattina, aspirando boccate di aria
caustica e satura di neve, si era evidentemente congelato la laringe. Sono fottuto, gracchi con un
sussurro appena percettibile, apparentemente distrutto. Non riesco neanche a parlare. Per me finita.
Non darti ancora per vinto, Douglas, lo rincuor Rob. Aspetta di vedere come ti sentirai fra un paio
di giorni. Sei un bastardo con la pelle dura. Penso che tu abbia ancora una buona probabilit di arrivare
sulla vetta, quando ti sarai rimesso. Tutt'altro che convinto, Doug si ritir nella tenda che dividevamo,
avvolgendosi nel saccopiuma fin sopra la testa. Era dura vederlo cos avvilito; per me era diventato un
buon amico, che dispensava generosamente la saggezza acquisita durante il fallito tentativo di scalata del
1995. Al principio della spedizione mi aveva regalato un amuleto sacro buddhista benedetto dal lama del
monastero di Pangboche, che portavo orgogliosamente al collo in segno del legame che mi univa a lui.
Desideravo che arrivasse in cima anche lui quasi con la stessa intensit con la quale volevo raggiungerla
io.
Per il resto della giornata aleggi sul campo unatmosfera di shock e di blanda depressione. Pur senza
mostrarci il suo volto peggiore, la montagna ci aveva costretti a rintanarci con la coda fra le gambe. E non
tocc solo alla nostra squadra ritrovarsi mortificata e piena di dubbi: il morale sembrava basso in
parecchie delle spedizioni al Campo Due.
Il malumore si manifest in modo particolarmente evidente nel dissidio che scoppi fra Hall e i capi delle
spedizioni di Taiwan e del Sudafrica a proposito del compito di installare oltre un chilometro e mezzo di
corde per assicurare il percorso di salita sulla parete del Lhotse. Verso la fine di aprile era stata gi
fissata una serie di corde fra l'estremit superiore del Cwm e il Campo Tre, a circa met della parete. Per
completare il lavoro, Hall, Fischer, Ian Woodall, Makalu Gau e Todd Burleson (il capo americano della
spedizione guidata dell'Alpine Ascents) si erano accordati sul fatto che il 26 aprile uno o due membri di
ogni squadra avrebbero unito le loro forze per installare le corde sul resto della parete che rappresentava
il passaggio fra il Campo Tre e il Campo Quattro, a 7986 metri di altitudine. Ma non era andata secondo
le previsioni.
Quando Ang Dorje e Lhakpa Chhiri, della squadra di Hall, la guida Anatoli Boukreev, della squadra di
Fischer, e uno sherpa della squadra di Burleson erano partiti dal Campo Due, la mattina del 26 aprile, gli
sherpa che avrebbero dovuto unirsi a loro dalle squadre del Sudafrica e di Taiwan erano rimasti nei
sacchipiuma, rifiutandosi di collaborare. Quel pomeriggio Hall, appena lo aveva saputo al suo arrivo al
Campo Due, aveva fatto delle chiamate radio per scoprire come mai il piano era andato a monte. Kami
Dorje Sherpa, ilsirdar della spedizione di Taiwan, si era profuso in scuse, promettendo di rimediare, ma
quando Hall aveva chiamato alla radio Woodall, l'incorreggibile organizzatore della spedizione
sudafricana gli aveva risposto con un fuoco di fila di oscenit e insulti.
Manteniamo la questione su un piano civile, amico, lo aveva rimbeccato Hall. Credevo che avessimo
concluso un accordo. Woodall aveva replicato che i suoi sherpa erano rimasti nelle tende solo perch
nessuno era venuto a svegliarli per informarli che c'era bisogno del loro aiuto. Hall aveva ribattuto che in
realt Ang Dorje aveva cercato pi volte di scuoterli, ma loro avevano ignorato le sue insistenti richieste.
A quel punto Woodall aveva dichiarato: O sei uno spudorato bugiardo, oppure lo il tuo sherpa.

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Dopodich aveva minacciato di mandare. un paio di sherpa della sua squadra a sistemare Ang Dorje a
suon di pugni.
A due giorni di distanza da quello sgradevole scambio di battute, l'ostilit fra la nostra squadra e quella
sudafricana non accennava a diminuire, e ad accentuare il malumore che regnava nel Campo Due
contribuivano le notizie frammentarie che ci giungevano sul peggioramento delle condizioni di Ngawang
Topche. Quando continu a peggiorare anche a bassa quota, i medici ipotizzarono che il suo male non
fosse un semplice edema polmonare, ma piuttosto un caso di edema complicato dalla tubercolosi o da
qualche affezione polmonare preesistente. Gli sherpa, invece, avevano una diagnosi diversa: erano
convinti che uno degli scalatori della squadra di Fischer avesse mandato in collera l'Everest - o meglio
Sagarmatha, la dea del cielo e che la divinit si fosse vendicata su Ngawang.
Lo scalatore in questione aveva intrecciato una relazione con una componente di una spedizione che
tentava la scalata del Lhotse. Poich la privacy non esisteva entro i ristretti confini del campo base, le
effusioni amorose che si svolgevano nella tenda della donna erano doverosamente registrate dagli altri
membri della squadra, specie gli sherpa, che durante quei convegni se ne stavano seduti fuori, puntando il
dito e ammiccando. [X] e [Y] fanno porcherie, fanno porcherie, commentavano fra un risolino e l'altro,
e mimavano l'atto sessuale inserendo un dito nel pugno chiuso formato con l'altra mano.
Nonostante le risate (per non parlare delle loro abitudini notoriamente libertine), comunque, gli sherpa
disapprovavano il sesso fra coppie non sposate sulle divine pendici del Sagarmatha. Ogni volta che il
tempo volgeva al brutto, accadeva che l'uno o l'altro sherpa puntasse il dito verso le nuvole che
ribollivano in alto, dichiarando con seriet: Qualcuno ha fatto porcherie. Porta sfortuna. Ora verr la
tempesta.
Sandy Pittman aveva riportato questa superstizione in una nota del suo, diario della spedizione nel 1994,
immesso su Internet nel 1996:

24 aprile 1994
Campo base dell'Everest (metri 5350),
Parete Kangshung, Tibet
Questopomeriggio... arrivato un
corriere postale che ha portato lettere da
casa per tutti pi una rivista porno,
inviata per scherzo da qualcuno che .laggi
in patria ha a cuore il benessere degli
scalatori. ...Met degli sherpa se l'
portata nella tenda per dedicarle
un'ispezione pi attenta, mentre l'altra

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met era inquieta al pensiero del disastro


che a suo parere quell'esame avrebbe
provocato. La dea Chomolungma, a sentir
loro, non tollera jiggy-jiggy
(qualsiasiatto impuro) sulla montagna che
le sacra.

Il buddhismo praticato sulle alte pendici del Khumbu ha un sapore nettamente animistico; gli sherpa
venerano un intricato miscuglio di divinit e spiriti che abiterebbero le gole, i fiumi e le vette della regione,
e rendere il dovuto omaggio a questo insieme di divinit , ritenuto di importanza fondamentale per
assicurare un passaggio senza incidenti attraverso il terreno pieno di insidie.
Per placare Sagarmatha, quell'anno, come del resto tutti gli anni, gli sherpa avevano costruito oltre una
dozzina di bellissimichorten di pietra, edificati con cura meticolosa, uno per ogni spedizione. L'altare del
nostro campo, un cubo perfetto del lato di un metro e mezzo, era sormontato da un triumvirato di pietre
appuntite scelte con cura, sopra le quali s'innalzava un palo di legno alto tre metri, coronato da un
elegante ramoscello di ginepro. Inoltre cinque lunghe catene di bandiere di preghiera[27]multicolori
s'irradiavano dal palo sopra le nostre tende per proteggere l'accampamento dal male. Ogni mattina prima
dell'alba ilsirdar del nostro campo base, uno sherpa benevolo e molto rispettato che aveva superato la
quarantina e si chiamava Ang Tshering, bruciava bastoncini di incenso di ginepro e innalzava preghiere al
chorten ; prima di dirigersi verso la seraccata, tanto gli occidentali quanto gli sherpa passavano accanto
all'altare, lasciandolo sempre sulla destra e attraversando le nubi di fumo dolciastro per ricevere la
benedizione di Ang Tshering.
A parte l'attenzione che si dedicava a certi riti, comunque, il buddhismo praticato dagli sherpa era una
religione cos elastica e priva di dogmi da risultare riposante. Per restare nelle grazie di Sagarmatha, per
esempio, nessuna squadra poteva affrontare per la prima volta la seraccata senza celebrare un'elaborata
puja , una cerimonia religiosa. Ma quando, nel giorno stabilito, il lama fragile e rinsecchito che doveva
presiedere allapuja non era riuscito a compiere il tragitto dal suo lontano villaggio, Ang Tshering aveva
decretato che dopo tutto potevamo benissimo salire lo stesso sulla seraccata, perch Sagarmatha capiva
che avevamo intenzione di celebrare comunque il rito al pi presto.
A quanto pare, altrettanto lassista era latteggiamento che regnava sulle pendici dell'Everest riguardo alla
fornicazione. Per quanto a parole rispettassero il divieto, alcuni sherpa facevano uneccezione per s: nel
1996 sbocci persino un romanzetto fra uno sherpa e unamericana della spedizione IMAX. Sembrava
quindi strano che gli sherpa attribuissero la colpa della malattia di Ngawang agli incontri extraconiugali
che si svolgevano in una delle tende della Mountain Madness. Ma quando feci notare questa
contraddizione a Lopsang Jangbu Sherpa, il ventitreennesirdar scalatore di Fischer, lui insistette che il
vero problema non era che una delle clienti di Fischer avesse fatto porcherie al campo base, ma
piuttosto che continuasse ad andare a letto con l'amante anche sulle pendici della montagna.
Il monte Everest Dio... per me, per tutti, dichiar con solennit Lopsang dieci settimane dopo la
spedizione. Se marito e moglie vanno a letto assieme, buono. Ma quando [X] e [Y] vanno a letto

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insieme, sfortuna per la mia squadra... Cos dico a Scott: 'Per favore, Scott, tu sei capo. D per favore
a [X] di non dormire con ragazzo al Campo Due. Ti prego'. Ma Scott ride e basta. Il primo giorno che
[X] e [Y] sono insieme in tenda, subito dopo Ngawang Toche si ammala al Campo Due. E ora morto.
Ngawang era lo zio di Lopsang; i due uomini erano stati molto uniti e Lopsang aveva fatto parte della
squadra di soccorso che aveva trasportato Ngawang sulla seraccata la sera del 22 aprile. Poi, quando
Ngawang aveva smesso di respirare a Pheriche ed era stato trasferito a Kathmandu, Lopsang si era
precipitato a valle dal campo base (con la benedizione di Fischer), in tempo per accompagnare lo zio
durante il volo in elicottero. Il breve viaggio a Kathmandu e il rapido ritorno a piedi al campo base lo
avevano lasciato molto affaticato e relativamente male acclimatato, e questo non era di buon auspicio per
la squadra di Fischer, che contava su di lui almeno quanto Hall contava sul suosirdar scalatore, Ang
Dorje.
Nel 1996 erano presenti sul versante nepalese dell'Everest numerosi abilissimi scalatori dell 'Himalaya,
veterani come Hall, Fischer, Breashears, Pete Schoening, Ang Dorje, Mike Groom e Robert Schauer, un
austriaco della squadra dell'IMAX. Eppure anche in quella compagnia selezionata spiccavano quattro
astri fuori del comune, degli scalatori che avevano mostrato una tale straordinaria abilit al di sopra dei
7900 metri da formare un gruppo a s: Ed Viesturs, l'americano che interpretava da protagonista il film
dell'IMAX; Anatoli Boukreev, una guida del Kazakhistan che lavorava per Fischer; Ang Babu Sherpa,
che era stato ingaggiato dalla spedizione sudafricana, e Lopsang.
Socievole e attraente, gentile fin quasi all'eccesso, Lopsang era straordinariamente spavaldo e
incredibilmente ricco di fascino. Figlio unico, era cresciuto nella regione della Rolwaling e non fumava n
beveva, fatto piuttosto insolito fra gli sherpa; sfoggiava un incisivo d'oro e aveva la risata facile. Benche
avesse l'ossatura minuta e non fosse alto di statura, la disinvoltura, l'attitudine a lavorare sodo e le
straordinarie doti atletiche gli erano valse la fama di Deion Sanders del Khumbu. Fischer mi disse che a
suo parere Lopsang aveva il potenziale necessario per diventare la reincamazione di Reinhold
Messner, il celebre alpinista altoatesino che di gran lunga il pi grande scalatore himalayano di tutti i
tempi.
Lopsang aveva fatto il suo debutto nel 1993, all'et di vent'anni, quando era stato assunto come
portatore da una squadra congiunta indo-nepalese guidata da un'indiana, Bachendri Pal, e composta in
gran parte da donne. Lopsang, essendo il pi giovane della spedizione, era stato relegato all'inizio in un
ruolo secondario, ma la sua forza era cos impressionante che all'ultimo momento era stato assegnato alla
squadra destinata a scalare la vetta, e l'aveva raggiunta il 16 maggio senza l'ausilio dell'ossigeno.
Cinque mesi dopo la scalata dell'Everest, Lopsang aveva conquistato anche il Cho Oyu, insieme con una
squadra giapponese. Nella primavera dd 1994 aveva lavorato per Fischer nella Sagarmatha
Environmental Expedition, raggiungendo per la seconda volta la vetta dell'Everest, anche stavolta senza
bombole di ossigeno. Nel settembre successivo stava tentando la scalata della Cresta Ovest dell'Everest
con una squadra norvegese, quando era stato travolto da una valanga; dopo un volo di sessanta metri gi
dalla montagna, era riuscito chiss come ad arrestare la caduta con la piccozza, salvando cos la vita a s
stesso e a due compagni di cordata, mentre uno zio che non era legato agli altri, Mingma Norbu Sherpa,
era rimasto ucciso. Quella perdita aveva molto scosso Lopsang, ma non aveva assolutamente attenuato
la sua passione per l'alpinismo.
Nel maggio 1995 aveva scalato l'Everest senza ossigeno per la terza volta, in quel caso come
componente della spedizione di Hall, e tre mesi dopo aveva conquistato la vetta del Broad Peak (8047
metri), nel Pakistan, mentre lavorava per Fischer. Quando Lopsang sal sull'Everest con Fischer nel
1996, arrampicava solo da tre anni, ma in quel periodo aveva partecipato a non meno di dieci spedizioni
sull'Himalaya e si era conquistato la fama di alpinista di altissimo livello.

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Scalando insieme l'Everest ne11994, Fischer e Lopsang avevano sviluppato un'immensa ammirazione
reciproca. Entrambi erano dotati di unenergia illimitata, di un fascino irresistibile e di una vocazione a far
struggere di desiderio le donne. Considerando Fischer il suo mentore e il suo modello, Lopsang aveva
persino cominciato a portare i capelli legati a coda di cavallo, come lui. Scott molto forte, io sono
molto forte, mi spieg con la sua tipica mancanza di modestia. Formiamo buona squadra. Scott non mi
paga bene come Rob o i giapponesi, ma io non ho bisogno di soldi; io guardo al futuro, e Scott il mio
futuro. Lui mi dice: 'Lopsang, mio forte sherpa! Ti far diventare famoso!'... Io penso che Scott ha molti
progetti per me con Mountain Madness.
Il pubblico americano non aveva una innata simpatia per l'alpinismo, a differenza delle nazioni alpine
dell'Europa o della Gran Bretagna, dove esso era nato. In quei paesi esiste una maggiore disponibilit a
comprendere e, sebbene l'uomo della strada nel complesso ritenga che le imprese alpinistiche siano un
incosciente rischio della vita, riconosce tuttavia che debbano essere compiute. In America non esiste
niente di simile .
WALT UNSWORTH
Everest

A un giorno di distanza dal primo tentativo di raggiungere il Campo Tre, frustrato dal vento e dal
freddo glaciale, tutti i membri della squadra di Hall eccetto Doug (che rimase al Campo Due per
consentire alla laringe di cicatrizzarsi) compirono un altro tentativo. A trecento metri di altezza dalla base
dell'immensa lastra inclinata della parete del Lhotse, incominciai l'ascesa lungo una sbiadita corda di nylon
che sembrava proseguire all'infinito; ma pi salivo, pi i miei movimenti diventavano torpidi. Con la mano
guantata facevo scivolare verso l'alto la maniglia jumar sulla corda fissa, restavo sospeso al congegno per
tirare due lunghi respiri faticosi, che mi bruciavano i polmoni; poi spostavo in alto il piede sinistro
conficcando il rampone nel ghiaccio e aspiravo disperatamente altre due boccate d'aria; piantavo il piede
destro vicino al sinistro, inspiravo ed espiravo dal fondo del torace, inspiravo ed espiravo di nuovo e
spostavo ancora pi su la maniglia jumar. Erano almeno tre ore che davo fondo a tutte le mie energie e
prevedevo che sarebbe passata ancora unora prima di potermi prendere una pausa di riposo. Salivo in
quel modo estenuante per raggiungere un crocchio di tende appollaiate chiss dove su quella parete
liscia, pi in alto, ma i miei progressi si potevano valutare in termini di centimetri.
Chi non pratica l'alpinismo, e cio la stragrande maggioranza dell'umanit, tende a ritenere che questo
sport sia una ricerca sfrenata e dionisiaca di emozioni sempre pi intense. Ma l'idea che gli scalatori siano
semplici drogati di adrenalina a caccia di uno sballo ipocrita del tutto falsa, almeno nel caso
dell'Everest. Quello che facevo lass non aveva quasi niente in comune con il salto con l'elastico o i lanci
liberi col paracadute o le corse in motocicletta a duecento chilometri l'ora.
Una volta lasciate alle nostre spalle le comodit del campo base, la spedizione divenne in effetti
un'impresa quasi calvinista. Il rapporto fra sofferenza e piacere era superiore in ordine di grandezza a
quello di qualsiasi altra montagna che avessi mai scalato; arrivai ben presto a capire che scalare l'Everest
era innanzi tutto una questione di resistenza al dolore. E mentre ci assoggettavamo una settimana dopo
l'altra a fatiche, tedio e sofferenza, mi colp l'idea che probabilmente la maggior parte di noi inseguiva
soprattutto qualcosa di simile a uno stato di grazia.
Certo, per alcuni scalatori dell'Everest entravano in gioco una miriade di altri motivi meno virtuosi: la
celebrit, l'avanzamento nella carriera, la titillazione del proprio ego, la solita vanagloria, lo sporco

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profitto; d'altra parte questi ignobili incentivi erano un fattore meno importante di quanto molti critici
potessero presumere. In realt quello che ho osservato col passare delle settimane mi costrinse a
rivedere in modo sostanziale i preconcetti che nutrivo su alcuni dei miei compagni di squadra.
Prendiamo per esempio Beck Weathers, che in quel momento sembrava un minuscolo puntolino rosso
sul ghiaccio, centocinquanta metri pi in basso, verso la fine di una lunga coda di scalatori. La mia
impressione iniziale su Beck non era stata favorevole: quel patologo cordialone di Dallas, dotato di
capacit alpinisti che men che mediocri, a prima vista faceva l'impressione di un ricco parolaio
repubblicano deciso ad acquisire la cima dell'Everest per il suo carnet di trofei. Invece, pi lo conoscevo
e pi si guadagnava il mio rispetto. Anche se gli scarponi nuovi gli avevano ridotto i piedi come due
hamburger al sangue, Beck tirava avanti, un giorno dopo l'altro, senza quasi accennare a quello che
doveva essere un dolore terribile. Era tenace, motivato, stoico. E quella che all'inizio avevo scambiato
per arroganza si rivelava sempre pi come pura e semplice esuberanza. Beck non sembrava nutrire
malanimo per nessuno al mondo (fatta eccezione per Hillary Clinton), mentre la sua allegria e il suo
sconfinato ottimismo erano cos accattivanti che, mio malgrado, cominciai a provare una forte simpatia
per lui.
Figlio di un militare di carriera dell'aeronautica, Beck aveva trascorso l'infanzia trasferendosi da una base
militare all'altra prima di approdare a Wichita Falls, dove aveva frequentato il college. Dopo la laurea in
medicina si era sposato, aveva avuto due figli e aveva aperto senza problemi, a Dallas, uno studio medico
che rendeva molto bene. Poi, nel. 1986, alle soglie dei quarant'anni, aveva trascorso una vacanza nel
Colorado e, dopo aver sentito il richiamo della sirena delle alte quote, si era iscritto a un corso
elementare di alpinismo nel Rocky Mountain National Park.
Non raro che i medici siano iperattivi cronici, e Beck non era il primo che si lasciasse prendere la
mano da un nuovo hobby; ma l'alpinismo non era come il golf o il tennis o i vari altri passatempi che
appassionavano i suoi colleghi. Le esigenze della montagna - le prove fisiche ed emotive da superare, i
rischi estremamente concreti - ne facevano qualcosa di pi di un gioco. Arrampicare somigliava alla vita,
solo che era pi ricco di luci e ombre, e finora nulla aveva affascinato Beck a tal punto. La moglie,
Peach, era sempre pi preoccupata dalla sua passione per l'alpinismo e dal modo in cui questa privava la
famiglia della sua presenza. Era tutt'altro che soddisfatta, dunque, quando Beck, poco tempo dopo aver
iniziato a praticare questo sport, aveva annunciato la sua decisione di tentare la scalata delle Sette
Sorelle.
Per quanto egoistica e megalomane possa essere stata l'ossessione di Beck, non era frivola, e
cominciavo a riconoscere la stessa seriet d'intenti in Lou Kasischke, l'avvocato di Bloomfield Hills; in
Yasuko Namba, la taciturna giapponese che ogni mattina mangiava tagliolini per colazione; e in John
Taske, il cinquantaseienne anestesista di Brisbane che si era dedicato all'alpinismo dopo il congedo
dall'esercito.
Quando ho lasciato l'esercito, mi sono sentito come sbandato, si lamentava Taske, parlando con un
marcato accento australiano. Era rimasto a lungo nell'esercito, fino a raggiungere il grado di colonnello
dello Special Air Service, l'equivalente australiano dei Berretti verdi. Dopo aver prestato servizio per due
turni nel Vietnam all'apice del conflitto, si era ritrovato penosamente impreparato alla piattezza della vita
in borghese. Ho scoperto che non riuscivo proprio a parlare con i civili, mi spieg. il mio matrimonio
andato a rotoli. Non riuscivo a vedere altro che questo lungo tunnel buio che si chiudeva davanti a me
con la malattia, la vecchiaia e la morte. Poi ho cominciato a praticare l'alpinismo, e lo sport mi ha fornito
gran parte di quello che mi mancava nella vita civile: la sfida, il cameratismo, il senso della missione da
compiere.
Man mano che la mia simpatia per Taske, Weathers e alcuni altri compagni aumentava, mi sentivo

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sempre pi a disagio nel ruolo di giornalista. Non provavo alcuno scrupolo di coscienza quando si
trattava di scrivere con franchezza di Hall, Fischer o Sandy Pittman, ciascuno dei quali cercava da anni di
attirare l'attenzione dei media, e in modo aggressivo; ma per gli altri clienti il discorso era diverso.
Quando avevano firmato il contratto con la spedizione di Hall, nessuno di loro sapeva che ci sarebbe
stato anche un giornalista, intento a scrivere di continuo, a registrare in silenzio le loro parole e i loro gesti
per dare in pasto le loro debolezze a un pubblico potenzialmente poco incline alla comprensione.
Dopo la conclusione della spedizione, Weathers fu intervistato per il programma televisivo Turning Point.
In un segmento dell'intervista che non fu incluso nella versione montata per la trasmissione, il
commentatore della NBC Forrest Sawyer gli domand: Che ne pensa della presenza di un giornalista
nella spedizione? E Beck rispose:

Ha contribuito allo stress in misura notevole. Ero sempre un popreoccupato all'idea... capisce, questo
tale al ritorno dovr scrivere un articolo che sar letto da un paio di milioni di persone. E poi, voglio dire,
gi abbastanza sgradevole andare lass e rendersi ridicolo se si tratta solo di te e del gruppo di
compagni di scalata. Che qualcuno possa descriverti sulle pagine di una rivista come un buffone e un
pagliaccio non pu non incidere sul livello delle tue prestazioni, sull'intensit del tuo sforzo, e io ero
preoccupato al pensiero che ci potesse spronare gli altri a oltrepassare i loro limiti. E questo poteva
valere anche per le guide; insomma, vogliono portare i clienti sulla vetta della montagna perch, a loro
volta, saranno oggetto di un articolo e saranno giudicati.

Poco dopo, Sawyer domand: Ha avuto l'impressione che la presenza di un giornalista al seguito abbia
sottoposto Rob Hall a una pressione eccessiva, superiore alla media? Beck rispose:

Non posso pensare altrimenti. il suo mestiere e la cosa peggiore che possa capitare a una guida che
uno dei suoi clienti resti ferito. [...] Senza dubbio un paio d'anni fa aveva avuto una grande stagione,
aveva portato tutti sulla vetta, ed era stata un'impresa straordinaria. E credo proprio che ritenesse il
nostro gruppo abbastanza forte da poter ripetere l'exploit. Penso che esista una certa motivazione a far s
che, quando finisci di nuovo sui giornali, tutto sia riportato in modo favorevole.

La mattina era ormai avanzata quando infine mi trascinai nel Campo Tre, un terzetto di piccole tende
gialle, a met della vertiginosa distesa della parete del Lhotse, addossate l'una all'altra su una piattaforma
che era stata ritagliata dagli sherpa nel pendio glaciale. Quando arrivai, Lhakpa Chhiri e Arita erano
ancora al lavoro, intenti a ricavare una piattaforma per una quarta tenda, cos mi tolsi di spalla lo zaino
per aiutarli a scavare. A quella quota, 7300 metri, mi bastava vibrare sette od otto colpi di piccozza per
essere costretto a fermarmi un minuto intero a riprendere fiato. Inutile dire che il mio contributo fu
trascurabile; occorse quasi un'ora per completare il lavoro.
Il nostro minuscolo accampamento, una trentina di metri al di sopra delle tende delle altre spedizioni,
sembrava un posatoio arroccato in una posizione spettacolare. Per settimane avevamo sgobbato in una
specie di canyon; ora, per la prima volta dall'inizio della spedizione, il nostro orizzonte abbracciava pi

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cielo che terra. Branchi di paffute nubi cumuliformi correvano al sole, stampando sul paesaggio un
disegno mutevole di ombre e luci accecanti. In attesa dell'arrivo dei miei compagni, mi sedetti con i piedi
penzoloni nell'abisso, fissando le nuvole, guardando dall'alto le vette dei seimila che un mese prima
svettavano sopra di noi. Finalmente avevo davvero l'impressione di avvicinarmi al tetto del mondo.
La vetta, comunque, distava ancora milleseicento metri in verticale, avvolta in un alone di condensa
creato dal vento. Ma mentre la parte superiore della montagna era sferzata da venti che soffiavano a oltre
centosessanta chilometri l'ora, l'aria al Campo Tre si muoveva appena, e con il progredire del pomeriggio
cominciai a sentirmi sempre pi stordito dall'intensit delle radiazioni solari; o almeno speravo che fosse il
caldo a farmi sentire inebetito, e non l'inizio di un edema cerebrale.
L'edema cerebrale dovuto all'altitudine meno frequente dell'edema polmonare, ma tende a essere pi
grave. un disturbo sconcertante, che si verifica quando i vasi sanguigni del cervello, a causa della
carenza di ossigeno, trasudano siero ematico, provocando cos un notevole rigonfiamento del cervello
stesso, e pu colpire con un preavviso minimo, o anche senza il minimo segnale di avvertimento. Man
mano che la pressione all'interno del cranio aumenta, le capacit motorie e mentali si deteriorano con
allarmante rapidit - nei casi tipici in poche ore, o anche meno - e spesso senza che la vittima si renda
conto del cambiamento. Il passos:uccessivo il coma e poi, a meno che la persona colpita non sia
rapidamente trasportata a quote inferiori, la morte.
Quel pomeriggio si dava il caso che pensassi all'edema cerebrale, perch appena due giorni prima un
cliente di Fischer che si chiamava Dale Kruse, un dentista quarantaquattrenne del Colorado, era dovuto
ridiscendere dal Campo Tre proprio a causa di una forma grave di edema cerebrale. Amico da tempo di
Fischer, Kruse era un alpinista forte e molto esperto. Il 26 aprile era salito dal Campo Due al Campo
Tre, aveva preparato del t per s e per i suoi compagni e poi si era steso nella tenda per fare un
sonnellino. Mi addormentai subito, ricorda ora Kruse, e finii per dormire quasi ventiquattr'ore, fino
alle due del pomeriggio del giorno seguente. Quando infine qualcuno mi svegli, per gli altri fu subito
evidente che la mia mente non funzionava, anche se io non me ne rendevo conto. Scott mi disse:
'Dobbiamo portarti subito gi'.
Kruse incontr difficolt incredibili persino nel tentativo di vestirsi. Si mise l'imbracatura a rovescio,
facendola passare attraverso la patta della tuta termica, e non si ricord di chiudere la fibbia; per fortuna
Fischer e Neal Beidleman si accorsero del pasticcio prima che Kruse cominciasse la discesa. Se avesse
tentato di calarsi a corda doppia in quel modo, osserva Beidleman, sarebbe schizzato subito fuori
dall'imbracatura, precipitando ai piedi .della. parete del Lhotse..
Era come se fossi ubriaco, rievoca Kruse. Non riuscivo a camminare senza incespicare e avevo
perso del tutto la capacit di pensare o di parlare. Era una sensazione davvero strana. Avevo una parola
in mente, ma non sapevo come farla arrivare alle labbra. Cos Scott e Neal dovettero vestirmi e
controllare che l'imbracatura fosse sistemata correttamente, poi Scott mi cal in basso lungo le corde
fisse. Una volta raggiunto il campo base, aggiunge, ci vollero ancora tre o quattro giorni prima che
riuscissi a camminare dalla mia tenda alla mensa senza inciampare di continuo.

Quando il sole al tramonto cal dietro il Pumori, la temperatura al Campo Tre scese di colpo di oltre
dieci gradi, e con il freddo mi si schiar la mente; l'ansia che provavo riguardo all'edema cerebrale si rivel
infondata, almeno per il momento. La mattina dopo, trascorsa una notte tormentosa e insonne a 7300
metri di altitudine, scendemmo al Campo Due e un giorno dopo, il 1 maggio, proseguimmo verso il
campo base per rimetterci in forze prima dell'assalto finale alla vetta.

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La nostra acclimatazione era ormai ufficialmente completata, e con mia piacevole sorpresa la strategia di
Hall pareva funzionare. Dopo tre settimane sull'Everest, trovavo l'aria del campo base densa, ricca e
voluttuosamente satura di ossigeno, in confronto all'atmosfera brutalmente rarefatta degli accampamenti in
alto.
Non tutto andava bene, comunque, nel mio organismo. Avevo perso circa nove chili di massa
muscolare, per lo pi sulle spalle, sul dorso e sulle gambe; inoltre avevo consumato in pratica tutto il
grasso sottocutaneo, e questo mi rendeva enormemente pi sensibile al freddo. Il problema peggiore,
per, era il torace: la tosse secca che avevo contratto alcune settimane prima a Lobuje era diventata cos
grave che mi ero lesionato alcune cartilagini, durante un accesso di tosse particolarmente violento al
Campo Tre. La tosse era continuata imperterrita e ogni attacco mi procurava la sensazione di un calcio
secco fra le costole.
Quasi tutti gli altri alpinisti al campo base erano altrettanto malconci: era uno dei tanti aspetti ordinari
della vita sull'Everest. Entro cinque giorni quelli di noi che facevano parte della squadra di Hall e di
Fischer avrebbero lasciato il campo base per raggiungere la vetta. Sperando di arrestare il mio declino
fisico, decisi di riposare, mandare gi pastiglie di ibuprofene, un antidolorifico, e ingerire il maggior
numero possibile di calorie nel tempo che ci restava.
Fin dall'inizio Hall aveva progettato che avremmo raggiunto la vetta il 10 maggio. Delle quattro volte
che ho scalato l'Everest, ci aveva spiegato, due volte hanno coinciso con il 10 maggio. Per usare le
parole degli sherpa, il dieci un giorno 'fausto'. Ma c'era un motivo pi prosaico per scegliere quella
data: l'annuale avvicendarsi del monsone aumentava le probabilit che le condizioni atmosferiche pi
favorevoli dell'anno coincidessero all'incirca con il 10 maggio.
Per tutto il mese di aprile la corrente a getto era rimasta puntata sull'Everest come un idrante antincendio,
investendo la piramide della vetta con venti della violenza di un uragano. Persino nei giorni in cui il campo
base era perfettamente calmo e inondato di sole, dalla cima della montagna garriva un immenso
stendardo di neve sospinta dal vento; ma ai primi di maggio si sperava che l'avvicinarsi del monsone dal
golfo del Bengala deviasse i venti a nord, verso il Tibet. Se quell'anno era come tutti gli altri, fra il calare
del vento e l'arrivo delle tempeste monsoniche ci sarebbe stato un breve lasso di tempo limpido e calmo,
durante il quale sarebbe stato possibile dare l'assalto alla vetta.
Purtroppo l'andamento annuale delle condizioni meteorologiche non era un segreto e tutte le spedizioni
avevano appuntato le loro mire sulla stessa finestra di sereno. Nella speranza di evitare pericolosi ingorghi
sul crinale della vetta, Hall tenne un grande consiglio di guerra con i capi delle altre spedizioni presenti al
campo base. Fu deciso che Goran Kropp, un giovane svedese che era arrivato in bicicletta nel Nepal da
Stoccolma, sarebbe stato il primo a tentare la scalata, in solitaria, il 3 maggio. Poi sarebbe stata la volta
di una squadra del Montenegro e ancora pi tardi, l'8 o il 9 maggio, sarebbe toccato alla spedizione
dell'IMAX.
La squadra di Hall, fu stabilito, avrebbe condiviso la data del 10 maggio con la spedizione di Fischer. Lo
scalatore solitario norvegese, Petter Neby, se n'era gi andato dopo avere rischiato la morte a causa di
una roccia precipitata nella parte inferiore della parete sudovest; una mattina si era allontanato in silenzio
dal campo base per tornarsene in Scandinavia. Il gruppo guidato dagli americani Todd Burleson e Pete
Athans, cos come la squadra commerciale di Mal Duff e un'altra spedizione commerciale inglese,
promisero di restare alla larga dalla vetta il giorno 10, imitati dai taiwanesi. Ian Woodall, viceversa,
dichiar che i sudafricani sarebbero saliti sulla vetta quando gli pareva e piaceva, magari proprio il 10
maggio, e se a qualcuno non stava bene poteva anche andare all'inferno.
Hall, di solito estremamente calmo, and su tutte le furie quando seppe del rifiuto di Woodall a

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collaborare. Non voglio neanche avvicinarmi alla vetta se ci sono lass quegli scalzacani, dichiar
incollerito.
Fino a che punto il fascino dellalpinismo consiste nella semplificazione che opera sui rapporti personali,
nella riduzione dellamicizia a una semplice interazione, come la guerra, nella sostituzione di un Altro da s
(la montagna, la sfida) al rapporto in s stesso? Dietro la mistica dell'avventura, della vita rude, del
vagabondaggio senza impegno - tutti antidoti pi che necessari alla nostra cultura costruita sulla comodit
e sulla convenienza - potrebbe nascondersi una sorta di rifiuto adolescenziale a prendere sul serio la
vecchiaia, la fragilit altrui; la responsabilit interpersonale, ogni sorta di debolezza, il lento e monotono
scorrere dell'esistenza...
I grandi scalatori ...possono essere soggetti a una profonda commozione, anzi, a un sentimentalismo
sdolcinato; ma solo nei confronti di ex compagni di valore, esaltati come martiri. In realt dagli scritti di
Buhl, John Harlin, Bonatti, Bonington e Haston emerge una certa freddezza, sorprendentemente simile nel
tono: la freddezza della competenza. Forse proprio su questo che s'impernia l'alpinismo estremo:
raggiungere un punto in cui, per usare le parole di Haston, se qualcosa va storto, sar un duello mortale;
se lallenamento stato sufficiente, la sopravvivenza possibile; altrimenti sar la natura a esigere il suo
credito.
DAVID ROBERTS
Patey Agonistes
(Moments of Doubt)

Lasciammo il campo base alle quattro e mezza di mattina del 6 maggio per dare inizio alla fase
finale della scalata. La vetta dell'Everest, tremilacinquecento metri pi in alto, sembrava cos.
incommensurabilmente distante che tentai di limitare i miei pensieri al Campo Due, la meta di quel giorno.
Quando il primo raggio di sole invest il ghiacciaio ero gi a 6100 metri di altezza, al centro del Cwm
occidentale, grato al pensiero di essermi lasciato alle spalle la seraccata, che avrei dovuto superare
ancora una sola volta, nella discesa finale.
Ogni volta che avevo attraversato il Cwm ero stato tormentato dal caldo, e anche quel giorno non
fece eccezione. Salendo in testa al gruppo insieme a Andy Harris, non facevo che ficcarmi neve sotto il
berretto e muovermi alla velocit massima che mi era consentita dalle gambe e dai polmoni, sperando di
arrivare all'ombra delle tende prima di soccombere alle radiazioni solari. Man mano che la mattinata si
trascinava e il sole picchiava sul ghiacciaio, cominciai a sentirmi la testa pesante; mi si gonfi la lingua al
punto che mi riusciva difficile respirare dalla bocca e notai che era sempre pi arduo riflettere con
lucidit.
Andy e io ci trascinammo nel Campo Due alle dieci e mezza del mattino. Solo dopo aver
tracannato due litri di Gatorade, cominciai a ritrovare l'equilibrio. bello puntare finalmente verso la
vetta, non vero? esclam Andy. Era stato afflitto da vari disturbi intestinali per quasi tutta la durata
della spedizione e solo allora cominciava a riacquistare le forze. Insegnante di talento, dotato di una
straordinaria pazienza, di solito veniva incaricato di vegliare sui clienti che restavano in coda al gruppo
perch procedevano lentamente, per cui si era sentito tutto eccitato quando Rob gli aveva concesso
quella mattinata di libert per procedere in testa. Essendo la guida pi giovane della squadra di Hall, e la
sola che non fosse mai stata sull'Everest, Andy era ansioso di dare buona prova di se di fronte ai colleghi
pi esperti. Penso proprio che lo stenderemo, questo grosso bastardo, mi confid con un gran sorriso,

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guardando in alto verso la cima.


Quel giorno stesso, qualche ora dopo, pass dal Campo Due il norvegese Goran Kropp, il
ventinovenne scalatore solitario, che tornava al campo base con l'aria distrutta dalla fatica. Era partito da
Stoccolma il 16 ottobre 1995 su una bicicletta su misura carica di centootto chili di attrezzatura, con
l'intenzione di viaggiare dalla Svezia, sul livello del mare, fino alla cima dell'Everest facendo ricorso solo
alle sue forze, senza l'aiuto n di sherpa n di bombole di ossigeno. Era un obiettivo straordinariamente
ambizioso, ma Kropp aveva le credenziali giuste per farcela: aveva gi partecipato a sei spedizioni
sull'Himalaya e aveva compiuto scalate solitarie del Broad Peak, del Cho Oyu e del K2.
Durante il viaggio in bicicletta fino a Kathmandu, lungo 13.000 chilometri., era stato rapinato da
studenti rumeni e assalito dalla folla nel Pakistan; in Iran, un motociclista adirato gli aveva spaccato una
mazza da baseball sulla testa, fortunatamente protetta da un casco. Ci nonostante, ai primi di aprile era
arrivato incolume ai piedi dell'Himalaya, seguito da una troupe cinematografica, e subito aveva
cominciato l'acclimatazione sulle pendici inferiori della montagna. Infine, mercoled 1 maggio era partito
dal campo base per conquistare la vetta.
Il gioved pomeriggio si era accampato a 7900 metri di quota, sul Colle Sud, e il giorno dopo era
partito per la vetta poco dopo mezzanotte. Tutti al campo base erano rimasti incollati alla radio per
l'intera giornata, in ansiosa attesa di ricevere notizie sui suoi progressi. Helen Wilton aveva appeso nella
tenda-mensa un cartello che diceva: Forza, Goran, vai!
Per la prima volta da mesi non soffiava quasi un alito di vento sulla vetta, ma la neve nel tratto finale
era alta fino alla coscia e rendeva l'avanzata penosamente lenta e faticosa. Comunque Kropp aveva
proseguito imperterrito verso la cima, creandosi un varco nella neve accumulata dal vento, e alle due del
pomeriggio di gioved era arrivato a 8750 metri, proprio sotto la Cima Sud. E a quel punto, anche se la
cima distava ormai non pi di un'ora, aveva deciso di tornare indietro, convinto che se avesse continuato
a salire sarebbe stato troppo stanco per ridiscendere incolume;
Tornare indietro quando era cos vicino alla vetta..., osserv Hall scuotendo la testa il 6 maggio,
mentre Kropp superava il Campo Due diretto verso la base della montagna. Questo giovane Goran s
che ha dimostrato un'incredibile capacit di giudizio. Sono colpito... molto pi colpito, in effetti, che se
avesse continuato la scalata fino alla cima. Nel corso dei mesi precedenti, Rob ci aveva fatto molte
prediche sull'importanza di calcolare in anticipo il limite di tempo utile per il ritorno - nel nostro caso
sarebbe stato probabilmente l'una del pomeriggio, o al massimo le due - e di rispettarlo, per quanto
fossimo vicini alla vetta. Qualunque idiota pu salire in cima a questa collina, se abbastanza deciso a
farlo, osserv Hall. Il punto tornare indietro vivi.
La disinvoltura di Hall mascherava un intenso desiderio di successo, che lui definiva, in termini
abbastanza semplici, il condurre alla vetta il maggior numero possibile di clienti. Per assicurarselo,
prestava una meticolosa attenzione ai dettagli: la salute degli sherpa, l'efficienza del sistema elettrico
alimentato a batterie solari, l'affilatura dei ramponi dei clienti. Hall amava fare la guida e lo addolorava
che alcuni celebri scalatori (compreso sir Edmund Hillary) non riconoscessero le difficolt della sua
professione, o non le concedessero il rispetto che a suo parere meritava.

Rob decret una giornata di riposo per il marted 7 maggio, cos ci alzammo tardi e restammo in
ozio nei pressi del Campo Due, carichi di tensione nervosa per l'imminente assalto alla vetta. Io mi
gingillai con i ramponi e il resto dell'attrezzatura, poi tentai di leggere un romanzo di Carl Hiaasen in
edizione tascabile, ma ero tanto concentrato sulla scalata, che seguitavo a leggere sempre le stesse frasi

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senza riuscire a cogliere il significato delle parole.


Alla fine piantai il libro, scattai qualche foto a Doug, in posa con una bandierina che gli scolari di
Kent gli avevano chiesto di portare con s sulla vetta, e cercai di estorcergli informazioni dettagliate sulle
difficolt della piramide finale, che ricordava bene dall'anno precedente. Quando arriveremo in cima,
replic accigliandosi, ti garantisco che sarai l'ombra di te stesso. Doug era fermamente deciso a
partecipare all'assalto finale alla vetta, anche se la gola lo infastidiva ancora e le sue forze sembravano
ridotte al minimo. Come mi fece notare: Ho investito troppo di me stesso su questa montagna per
mollare proprio adesso, senza dare tutto quello che ho.
Quello stesso pomeriggio, Fischer attravers il nostro campo con le mascelle serrate, si diresse
verso le sue tende con un'andatura stranamente lenta. Di solito riusciva a conservare sempre un
atteggiamento entusiastico; una delle sue frasi preferite era: Se ti lasci andare, non arriverai mai in cima,
quindi finch siamo qui tanto vale godersela. In quel momento, per, Scott non sembrava affatto
godersela, anzi appariva ansioso ed estremamente stanco.
Poich aveva incoraggiato i suoi clienti a muoversi su e gi per la montagna in modo indipendente
durante il periodo di acclimatazione, aveva finito per avere un gran numero di escursioni improvvisate e
non programmate fra il campo base e gli accampamenti pi in alto, in occasione delle quali parecchi
clienti avevano avuto dei problemi e avevano dovuto essere accompagnati a valle. Aveva gi compiuto
dei viaggi speciali per andare in soccorso di Tim Madsen, Pete Schoening e Dale Kruse e ora, in quello
che avrebbe dovuto essere un giorno e mezzo di riposo estremamente necessario, era stato costretto a
un frettoloso tragitto di andata e ritorno dal Campo Due al campo base e viceversa per assistere il suo
amico Kruse, che era sceso accusando in apparenza i sintomi di una ricaduta dell'edema cerebrale.
Fischer era arrivato al Campo Due verso le dodici del giorno precedente, poco dopo Andy e me,
precedendo i suoi clienti in arrivo dal campo base; prima della partenza, aveva dato istruzioni alla guida
Anatoli Boukreev di restare alla retroguardia, vicino al gruppo, per tenere d'occhio tutti. Invece
Boukreev aveva ignorato le istruzioni: anzich accompagnare la squadra, aveva dormito fino a tardi, si
era fatto una doccia ed era partito dal campo base circa cinque ore dopo l'ultimo dei clienti. Cos,
quando Kruse era crollato a 6100 metri, assalito da un mal di testa lancinante, Boukreev non si trovava
nelle vicinanze, e questo aveva costretto Fischer e Beidleman a precipitarsi gi dal Campo Due per
fronteggiare l'emergenza, non appena era giunta la notizia delle condizioni di Kruse, riferita dagli scalatori
che risalivano il Cwm.
Poco dopo che Fischer aveva raggiunto Kruse e cominciato la difficile discesa verso il campo base, i
due avevano incontrato Boukreev in cima alla seraccata, mentre saliva da solo, e Fischer aveva
redarguito aspramente la guida per essersi sottratto alle sue responsabilit. S, rammenta Kruse, Scott
fece un'autentica sfuriata a Toli. Voleva sapere come mai era cos indietro rispetto a tutti gli altri... come
mai non saliva insieme alla squadra.
Secondo Kruse e altri clienti di Fischer, la tensione fra lui e Boukreev si era andata accumulando fin
dall'inizio della spedizione. Fischer pagava a Boukreev venticinquemila dollari, un compenso insolitamente
generoso per fare la guida sull'Everest (la maggior parte delle altre guide riceveva da diecimila a
quindicimila dollari, e gli sherpa esperti solo da millequattrocento a duemilacinquecento dollari), e le
prestazioni di Boukreev non erano state all'altezza delle sue aspettative. Toli era molto forte, un alpinista
tecnicamente molto abile, spiega Kruse, ma povero di attitudini sociali. Non si prodigava per gli altri,
non , era adatto al gioco di squadra. A Scott avevo gi detto in precedenza che non volevo scalare la
parte alta della montagna con Toli," perch dubitavo di poter contare su di lui nei momenti di reale
necessit.

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Il problema implicito era che il concetto di responsabilit di Boukreev era notevolmente diverso da
quello di Fischer. Boukreev, russo, proveniva da una cultura alpinistica rude, fiera e austera, che non
credeva nella necessit di proteggere i deboli. Nell'Europa orientale le guide erano addestrate a
comportarsi pi come sherpa - trasportando carichi, fissando corde, stabilendo il percorso - che come
governanti. Alto e biondo, con un bel viso dai lineamenti tipicamente slavi, Boukreev era uno degli
scalatori d'alta quota pi completi del mondo, con vent'anni di esperienza himalayana, comprese due
scalate dell'Everest senza ossigeno. E nel corso della sua prestigiosa carriera era giunto a formulare un
certo numero di opinioni poco ortodosse ma molto consolidate sul modo di scalare la montagna; era
molto esplicito nell'esprimere la sua convinzione che da parte delle guide fosse un errore viziare i clienti.
Se il cliente non riesce a scalare l'Everest senza grande aiuto da parte della guida, mi aveva detto
Boukreev, quel cliente non dovrebbe trovarsi sull'Everest. Altrimenti possono sorgere gravi problemi
lass.
Tuttavia il rifiuto o l'incapacit di Boukreev di interpretare il ruolo della guida convenzionale secondo la
tradizione occidentale esasperava Fischer, oltre a costringere lui e Beidleman ad accollarsi una parte
eccessiva dei compiti di assistenza nei confronti del gruppo, e nella prima settimana di maggio quello
sforzo aveva inciso in modo indiscutibile sulle condizioni fisiche di Fischer. La sera del 6 maggio, dopo
l'arrivo al campo base insieme con Kruse, ancora sofferente, Fischer fece due telefonate satellitari a
Seattle in cui si lament amaramente dell'intransigenza di Boukreev con la sua socia in affari, Karen
Dickinson, e con la sua agente, Jane Bromet.[28]Nessuna delle due immaginava che quelle sarebbero
state le ultime conversazioni che avrebbero avuto con Fischer.

L'8 maggio tanto la squadra di Hall quanto quella di Fischer partirono dal Campo Due per intraprendere
l'estenuante ascesa lungo le corde fisse su per la parete del Lhotse. Circa seicento metri pi in alto del
Cwm, poco al di sotto del Campo Tre, un masso delle dimensioni di un piccolo televisore cadde dalle
pareti rocciose soprastanti colpendo al torace Andy Harris. Lo gett a terra, lasciandolo senza fiato,
sospeso alla corda fissa in stato di shock per parecchi minuti. Se non fosse stato assicurato con una
maniglia jumar, sarebbe certamente precipitato incontro alla morte.
Quando raggiunse le tende, Andy aveva l'aria molto scossa, ma sosteneva di non essere ferito. Forse
domattina mi sentir un poirrigidito, insistette, ma penso che quel dannato sasso non mi abbia fatto
altro che un grosso livido. Poco prima che la roccia lo colpisse, si era piegato in avanti, a testa bassa, e
aveva alzato gli occhi solo un attimo prima che lo investisse, quindi il masso gli aveva sfiorato appena il
mento prima di colpirlo allo sterno, ma era arrivato paurosamente vicino a sfondargli il cranio. Se quella
roccia mi avesse colpito alla testa..., riflette Andy con una smorfia mentre deponeva lo zaino, lasciando
in sospeso la frase.
Poich il Campo Tre era il solo accampamento su tutta la montagna che non dividessimo con gli sherpa
(il ripiano era troppo esiguo per accogliere un numero di tende sufficiente per tutti), lass dovevamo
cucinare da soli; il che di solito consisteva nello sciogliere incredibili quantit di ghiaccio per ricavarne
acqua da bere. A causa dell'accentuata disidratazione che era una conseguenza inevitabile del respiro
affannoso in unaria cos asciutta, ciascuno di noi consumava circa quattro litri di liquido al giorno. Quindi
per soddisfare le esigenze di otto clienti e tre guide dovevamo produrre all'incirca quarantacinque litri
d'acqua al giorno.
Dal momento che quel giorno, 8 maggio, ero stato il primo a raggiungere le tende, il compito di spezzare
blocchi di ghiaccio toccava a me e per tre ore, mentre i miei compagni raggiungevano il campo alla

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spicciolata, sistemandosi nei sacchipiuma, rimasi all'aperto a sgobbare sul pendio con la becca della
piccozza, riempiendo di schegge di ghiaccio tanti sacchi di plastica della spazzatura e distribuendoli fra le
varie tende per farli sciogliere. A 7300 metri d'altezza, era un lavoro molto faticoso. Ogni volta che uno
dei miei compagni di squadra gridava: Ehi, Jon! Ci farebbe comodo ancora un podi ghiaccio, qui!
capivo un podi pi quanto facevano di solito gli sherpa per noi, e quanto poco lo apprezzassimo.
Verso la fine del pomeriggio, mentre il sole calava verso l'orizzonte frastagliato e la temperatura
cominciava ascendere, tutti erano arrivati al campo, tranne Lou Kasischke, Frank Fischbeck e Rob, che
si era offerto volontario per chiudere il gruppo, risalendo per ultimo. Intorno alle quattro e mezza, la guida
Mike Groom ricevette una chiamata da Rob sul walkie-talkie. Lou e Frank erano ancora una sessantina
di metri pi in basso delle tende e si muovevano con estrema lentezza: Mike poteva scendere ad aiutarli,
per favore? Mike si mise in fretta i ramponi e scese lungo le corde fisse senza lagnarsi.
Pass quasi un'ora prima che ricomparisse, precedendo di poco gli altri. Lou, cos stanco da lasciar
portare il suo zaino a Rob, arriv al campo barcollando, con la faccia pallida e stravolta, mormorando:
Sono finito, distrutto, completamente spompato. Frank comparve pochi minuti dopo, ancor pi
esausto, anche se si era rifiutato di cedere lo zaino a Mike. Fu uno shock vedere ridotti in quello stato
degli uomini che negli ultimi tempi se l'erano cavata bene. In particolare l'apparente crollo di Frank fu un
colpo per me: avevo dato per scontato fin dall'inizio che, se fra noi c'era qualcuno che avrebbe raggiunto
la vetta, sarebbe stato Frank, che era gi salito tre volte sulla montagna e sembrava cos forte ed esperto.

Mentre l'accampamento scivolava nell'oscurit, le guide consegnarono a tutti noi bombole di ossigeno,
valvole di regolazione e maschere: per il resto dell'ascensione avremmo respirato gas compresso.
La pratica di far affidamento sulle bombole di ossigeno come ausilio nella scalata ha sollevato un vivace
dibattito fra gli esperti fin dalla prima volta che gli inglesi portarono l'ossigeno sull'Everest a titolo di
esperimento, nel 1921. (Gli sherpa scettici battezzarono subito quelle fastidiose bombole con il nome di
aria inglese.) Inizialmente il pi critico nei confronti dell'ossigeno fu George Leigh Mallory, il quale
protest dicendo che il suo uso era antisportivo, e quindi non inglese. Ma ben presto apparve evidente
che nella cosiddetta Zona della morte, oltre i 7600 metri, senza un supplemento di ossigeno il corpo
molto pi sottoposto ai rischi di edema polmonare e cerebrale, di ipotermia, congelamento e una quantit
di altri disturbi letali. Nel 1924, quando torn sulla montagna per la terza spedizione, anche Mallory si era
convinto che la vetta non sarebbe mai stata raggiunta senza ossigeno, e si era rassegnato a usarlo.
Gli esperimenti condotti nella camera di decompressione avevano dimostrato che un essere umano
prelevato al livello del mare e depositato sulla cima dell'Everest, dove l'aria contiene solo un terzo di
ossigeno, perderebbe conoscenza entro pochi minuti e morirebbe subito dopo. Eppure un certo numero
di alpinisti idealisti continuava a insistere che un atleta abile e fornito di rare doti fisiologiche avrebbe
potuto, dopo un lungo periodo di acclimatazione, scalare la vetta senza ricorrere alle bombole di
ossigeno. Portando alle estreme conseguenze logiche quel ragionamento, i puristi asserivano che l'uso
dell'ossigeno era quindi un espediente fraudolento.
Negli anni Settanta, Reinhold Messner si mise. in luce come principale sostenitore delle scalate senza
ossigeno, dichiarando che avrebbe scalato l'Everest by fair means o niente. Poco dopo, lui e il suo
compagno di antica data, l'austriaco Peter Habeler, sbalordirono il mondo dell'alpinismo internazionale
mantenendo la promessa: all'una del pomeriggio dell'8 maggio 1978 raggiunsero la cima attraverso il
Colle Sud e la Cresta Sud-Est senza usare le bombole di ossigeno e la loro scalata fu accolta in certi
ambienti come la prima vera conquista dellEverest.

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La storica impresa di Messner e Habeler non stata osannata in tutti gli ambienti, per, specialmente fra
gli sherpa. La maggior parte di loro si rifiut semplicemente di credere che degli occidentali fossero
capaci di una prodezza del genere, che non era riuscita neppure agli sherpa pi forti. Corsero voci che
Messner e Habeler avessero inalato ossigeno da bombole in miniatura nascoste sotto i vestiti. Tenzing
Norgay e altri sherpa di prestigio firmarono una petizione per chiedere che il governo del Nepal
svolgesse un'inchiesta ufficiale su quella presunta scalata.
Tuttavia le prove che confermavano la scalata senza ossigeno erano irrefutabili. Due anni dopo, inoltre,
Messner mise a tacere tutti gli scettici raggiungendo il versante tibetano dell'Everest e compiendo un'altra
scalata senza ossigeno, stavolta senza l'ausilio degli sherpa o di chiunque altro. Quando raggiunse la vetta
alle tre del pomeriggio del 20 agosto 1980, superando uno strato di fitte nubi e una nevicata, Messner
dichiar: stata una continua sofferenza; non mi sono mai sentito cos stanco in tutta la mia vita. Nel
suo libro sulla scalata,Orizzonti di ghiaccio , descrive la lotta per coprire gli ultimi metri fino alla cima:

Quando mi fermo la debolezza tale che mi pare di perdere i sensi, solo la gola mi brucia quando
inspiro. ...Non ce la faccio quasi pi. Nessuna disperazione, nessuna gioia, nessuna paura. Non ho perso
la padronanza dei miei sentimenti, il fatto che non ci sono assolutamente pi sentimenti. Ora sono fatto
solamente di volont; Ma anche questa muore ogni volta che faccio pochi metri, soffocata da una
stanchezza infinita. Allora non penso pi a nulla, non sento pi nulla; mi lascio cadere e rimango l,
completamente privo di volont per un tempo indeterminato. Solo dopo un poriesco ancora a fare
qualche passo.

Dopo il suo ritorno alla civilt, la scalata di Messner fu esaltata in quasi tutti gli ambienti come la pi
grande impresa alpinistica di tutti i tempi.
Dopo che Messner e Habeler ebbero dimostrato che l'Everest si poteva scalare senza ossigeno, una
ristretta elite di alpinisti ambiziosi convenne chesi doveva scalare senza ossigeno. Dunque se qualcuno
aspirava a essere considerato un membro dell'elite himalayana; doveva d'obbligo astenersi dall'uso delle
bombole. Nel 1996 gi una sessantina di uomini e donne avevano raggiunto la cima senza ossigeno,
anche se cinque non erano riusciti a tornare indietro vivi.
Per quanto grandiose potessero essere le nostre ambizioni individuali, nessuno della squadra di Hall
prese mai in considerazione l'idea di scalare la vetta senza bombole di ossigeno. Persino Mike Groom,
che tre anni prima aveva scalato l'Everest senza ossigeno, mi spieg che stavolta intendeva usarlo perch
doveva svolgere il compito di guida, e sapeva per esperienza che senza bombole di ossigeno le sue
capacit mentali e fisiche sarebbero state seriamente compromesse, al punto che non sarebbe stato in
grado di compiere i suoi doveri professionali. Come la maggior parte delle guide veterane dell'Everest,
Groom riteneva che, sebbene fosse accettabile, anzi esteticamente preferibile, fare a meno delle bombole
quando si arrampicava in modo indipendente, sarebbe stato estremamente irresponsabile non usarle
guidando dei clienti sulla vetta.
Il sistema di ossigeno in bombole utilizzato da Hall, l'ultimo ritrovato della tecnica russa, consisteva in una
maschera di plastica rigida, del tipo usato dai piloti dei caccia MIG durante la guerra nel Vietnam,
collegata attraverso un tubo di gomma e un rudimentale congegno regolatore a una bombola in acciaio e
kevlar di colore arancione. (Pi piccole e molto pi leggere delle bombole da sub, pesavano circa tre chili

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l'una quando erano piene.) Anche se durante i precedenti soggiorni al Campo Tre non avevamo dormito
con l'ossigeno, ora che l'assalto finale alla vetta era cominciato, Rob insistette caldamente per farci
respirare ossigeno durante la notte. Ogni minuto che trascorrete a questa altitudine e oltre, ci ammon,
la vostra mente e il vostro corpo si deteriorano. Le cellule cerebrali morivano; il sangue diventava
pericolosamente denso e vischioso; i capillari della retina erano soggetti a emorragie spontanee. Persino a
riposo, il cuore batteva a un ritmo frenetico. Rob ci assicur che l'ossigeno rallenter il declino delle
vostre condizioni fisiche e vi aiuter a dormire.
Tentai di seguire il consiglio di Rob, ma la mia latente claustrofobia ebbe la meglio. Quando mi applicavo
la maschera sul naso e sulla bocca avevo l'impressione che mi soffocasse, quindi, dopo un'ora di infelicit
me la tolsi e trascorsi il resto della notte senza ossigeno, rigirandomi e agitandomi irrequieto e senza fiato,
controllando l'orologio ogni venti minuti per vedere se era ora di alzarsi.
Incassate nel pendio a una trentina di metri al di sotto del nostro campo, in una posizione altrettanto
precaria, c'erano le tende di quasi tutte le altre squadre, compresi il gruppo di Scott Fischer, i sudafricani
e i taiwanesi. Nella prima mattinata del giorno seguente, gioved 9 maggio, mentre mi stavo infilando gli
scarponi per la salita al Campo Quattro, Chen Yu-Nan, un metalmeccanico trentaseienne di Taipei, usc
carponi dalla tenda per evacuare calzando solo le scarpe interne degli scarponi da montagna, ovviamente
con la suola liscia: un grave errore di valutazione.
Mentre si accovacciava al suolo, perse la presa sul ghiaccio e precipit lungo la parete del Lhotse.
Incredibile a dirsi, dopo un salto di ventuno metri fin a capofitto in un crepaccio, che arrest la sua
caduta. Gli sherpa che avevano assistito all'incidente gli calarono una corda, recuperandolo subito dalla
fenditura nel ghiaccio e aiutandolo a risalire fino alla sua tenda. Sebbene fosse contuso e molto
spaventato, non sembrava che avesse riportato ferite gravi. In quel momento nessuno della squadra di
Hall, me compreso, sapeva dell'incidente.
Poco dopo, Makalu Gau e il resto della squadra di Taiwan si allontanarono alla volta del Colle Sud,
lasciando Chen da solo in una tenda a riposare. Bench Gau avesse assicurato a Rob e a Scott che non
aveva intenzione di attaccare la vetta il 10 maggio, era evidente che aveva cambiato idea e ora intendeva
salire lo stesso giorno che avevamo scelto noi.
Quel pomeriggio uno sherpa di nome Jangbu, scendendo al Campo Due dopo aver trasportato un
carico al Colle Sud, si ferm al Campo Tre per controllare le condizioni di Chen e scopr che l'alpinista di
Taiwan era molto peggiorato: adesso era disorientato e soffriva molto. Decise che era necessario
portarlo via e reclut altri due sherpa che lo accompagnassero nella discesa dalla parete del Lhotse. A un
centinaio di metri dal fondo del pendio ghiacciato, Chen si accasci di colpo a terra e perse i sensi. Un
attimo dopo, al Campo Due, la radio di David Breashears cominci a crepitare: era Jangbu, che riferiva
in preda al panico che Chen aveva smesso di respirare.
Breashears e il suo compagno dell'IMAX Ed Viesturs si precipitarono su per vedere se riuscivano a
rianimarlo, ma quando raggiunsero Chen, una quarantina di minuti dopo, non riscontrarono segni di vita.
Quella sera, dopo che Gau era arrivato al Colle Sud, Breashears lo chiam alla radio. Makalu,
annunci al capo della spedizione di Taiwan, Chen morto.
Okay, rispose Gau. Grazie dell'informazione. Poi assicur alla sua squadra che la morte di Chen
non avrebbe minimamente influito sui loro piani per conquistare la cima, quella notte stessa. Breashears
rimase sbigottito. Avevo appena chiuso gli occhi al suo amico, commenta ancor oggi sconvolto.
Avevo appena trasportato gi al campo il corpo di Chen, e Makalu non ha saputo dirmi altro che:
'Okay'. Non so, forse si tratta di un fatto culturale. Forse pensava che il modo migliore per onorare la
morte di Chen fosse continuare fino alla vetta.

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Nelle sei settimane precedenti si erano verificati vari incidenti gravi: la caduta di Tenzing nel crepaccio
prima ancora che arrivassimo al campo base; il caso di edema polmonare di Ngawang Topche e il suo
successivo peggioramento; il grave attacco cardiaco subito in cima alla seraccata da Ginge Fullen, uno
scalatore inglese giovane e apparentemente in forma che faceva parte della squadra di Mall Duff;
l'incidente occorso al danese Kim Sejberg, anche lui della squadra di Duff, che era stato investito dal
crollo di un seracco e aveva riportato la frattura di varie costole. Fino a quel momento, per, non c'erano
stati morti.
La morte di Chen gett un velo cupo sulla montagna, man mano che la notizia dell'incidente si diffondeva
da una tenda all'altra, ma da l a poche ore trentatre scalatori sarebbero partiti per conquistare la cima
dell'Everest, e l'angoscia fu scacciata dalla nervosa anticipazione di quello che ci aspettava. Eravamo
quasi tutti troppo presi dalla febbre della vetta per impegnarci in riflessioni sulla morte di uno di noi. Ci
sarebbe stato tanto tempo per riflettere dopo, pensavamo, una volta scalata la cima e ritornati tutti a
valle.
Guardai verso il basso. Non mi sorrideva affatto l'idea di scendere. ...Troppe fatiche, troppe notti
insonni e troppi sogni erano stati investiti per arrivare fin lass. Non potevamo tornare per ritentare nel
prossimo weekend. Scendere adesso, anche se avessimo potuto farlo, significava avviarsi verso un futuro
contrassegnato da un enorme punto interrogativo: che cosa sarebbe potuto essere?
THOMAS P. HORNBEIN
Everest: The West Ridge

La mattina del gioved 9 maggio, alzandomi sonnolento e stordito dopo una notte insonne al
Campo Tre, fui lento a vestirmi, a fondere il ghiaccio per ricavare l'acqua e a uscire dalla tenda. Quando
ebbi finito di preparare lo zaino e di agganciarmi i ramponi, la maggior parte del gruppo di Hall stava gi
salendo lungo le corde verso il Campo Quattro. Mi sorprese la presenza fra loro di Lou Kasischke e
Prank Pischbeck. A causa delle loro condizioni disastrose quando erano arrivati al campo la sera prima,
avevo dato per scontato che avessero deciso entrambi di gettare la spugna. Su con la vita, amici,
esclamai, prendendo in prestito un'espressione tipica del contingente neozelandese, colpito dalla tenacia
con la quale i miei compagni avevano fatto appello a tutte le loro forze nel decidere di andare fino in
fondo.
Mentre mi affrettavo a unirmi ai compagni di squadra, guardando in basso vidi una coda di circa
cinquanta scalatori delle altre spedizioni che salivano anche loro lungo le corde; i primi erano proprio
sotto di me. Non volendo restare intrappolato in quello che sarebbe diventato senz'altro un colossale
ingorgo (prolungando fra l'altro la mia esposizione alle salve intermittenti di sassi che schizzavano dalla
parete in alto), accelerai il passo e decisi di spostarmi verso la parte iniziale della fila. Poich tuttavia c'era
una sola corda che scendeva serpeggiando lungo la parete del Lhotse, non era facile superare gli scalatori
pi lenti.
L'episodio di Andy colpito dalla pietra mi tornava alla mente ogni volta che mi sganciavo dalla
corda per aggirare qualcuno; anche un piccolo proiettile sarebbe stato sufficiente per spedirmi in fondo
alla parete, se mi avesse colpito mentre ero sganciato dalla corda. Aggirare gli altri, oltre tutto, non era
solo snervante ma anche spossante. Come un trattore privo di potenza che arranca nel tentativo di
sorpassare una fila di veicoli su una ripida salita, ogni volta che intendevo superare qualcuno dovevo
tenere premuto l'acceleratore per un periodo di tempo angosciosamente lungo, e mi ritrovavo ad

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ansimare cos forte da aver paura di vomitare nella maschera a ossigeno.


Poich era la prima volta che arrampicavo usando l'ossigeno, ci misi qualche tempo per abituarmi.
Anche se l'uso dell'ossigeno a quell'altitudine (7300 metri) offriva dei vantaggi oggettivi, era difficile
rendersene conto di primo acchito. Anzi, mentre mi sforzavo di riprendere fiato dopo avere sorpassato
tre scalatori, la maschera mi diede l'impressione di asfissiarmi, cosicch me la tolsi dal viso scoprendo
che respirare senza di essa era ancora pi difficile.
Quando riuscii a superare la parete di calcare friabile color ocra nota con il nome di Fascia Gialla,
ero ormai arrivato in testa alla fila e potei adottare un'andatura pi confacente alle mie possibilit.
Avanzando a ritmo lento ma costante, compii una traversata verso sinistra fino alla sommit della parete
del Lhotse, poi scalai uno spuntone di scisto nero frammentato chiamato Sperone dei Ginevrini.
Finalmente avevo imparato a respirare dalla maschera e avevo oltre un'ora di vantaggio sul mio
compagno pi vicino. La solitudine era un bene raro sull'Everest, e ringraziai il cielo di averne conquistata
almeno una scheggia quel giorno, in uno scenario cos impressionante.
A 7850,metri di quota, mi soffermai sulla sommit dello Sperone per bere un sorso d'acqua e
ammirare il paesaggio. L'aria rarefatta ,aveva una trasparenza cristallina e baluginante, nella quale anche
le vette pi lontane parevano tanto vicine da poterle quasi toccare, mentre la piramide superiore
dell'Everest, illuminata in pieno dal sole di mezzogiorno, traspariva a intermittenza da un sipario
impalpabile di nubi. Osservando la parte superiore della Cresta Sud-Est attraverso il teleobiettivo della
macchina fotografica, restai sorpreso nel vedere quattro figure piccole come formiche spostarsi in modo
quasi impercettibile verso la Cima Sud. Ne dedussi che dovevano essere componenti della spedizione
montenegrina; se fossero arrivati in cima sarebbero stati i primi a scalarla, quell'anno. Inoltre avrebbe
voluto dire che le voci che avevamo sentito sull'altezza della neve, tale da impedire l'avanzata, erano
infondate: se ce la facevano loro, forse avremmo avuto una possibilit anche noi. E tuttavia il pennacchio
di neve che ora soffiava dal crinale della vetta era un brutto segno: i montenegrini salivano a fatica,
lottando contro un vento feroce.
Raggiunsi il Colle Sud, la nostra rampa di lancio per l'assalto finale alla vetta, all'una del pomeriggio.
Quel punto, un desolato altopiano di ghiaccio a prova di proiettile e massi spazzati dal vento a 7986 metri
sul livello del mare, occupa un ampio incavo che si apre fra i bastioni superiori del Lhotse e dell'Everest.
Di forma grossolanamente rettangolare, equivalente all'incirca a quattro campi di football in lunghezza e
due in larghezza, il Colle Sud si affaccia a strapiombo sul Tibet con i 2000 metri della parete Kangshung,
mentre l'altro lato si stende fino al Cwm occidentale. Discoste di poco dall'orlo di questo abisso,
all'estremit occidentale del Colle, sorgevano le tende del Campo Quattro, rannicchiate su un tratto di
terreno spoglio circonato da oltre mille bombole di ossigeno vuote.[29]Se esiste al mondo un abitato pi
desolato e inospitale di quello, spero di non vederlo mai.
Poich la corrente a getto si scontra con il massiccio dell'Everest restando racchiusa entro i
contorni a V del Colle Sud, il vento accelera fino a raggiungere velocit inimmaginabili; non insolito che
sul Colle i venti siano addirittura pi impetuosi di quelli che sferzano la vetta. L'uragano che in primavera
soffia quasi ininterrottamente sul Colle spiega per quale motivo esso sia ridotto a una nuda distesa di
roccia e ghiaccio anche quando i pendii adiacenti sono ricoperti da uno spesso manto di neve: tutto.ci
che non ghiacciato viene spazzato via, in direzione del Tibet.
Quando raggiunsi il Campo Quattro, sei sherpa si sforzavano di montare la tenda di Hall in mezzo a una
tempesta con il vento che soffiava a cinquanta nodi di velocit. Aiutandoli a innalzare il mio rifugio, lo
ancorai ad alcune bombole di ossigeno vuote, incastrate sotto i sassi pi grossi che mi riusc di sollevare,
poi mi tuffai all'interno per scaldarmi le mani ghiacciate mentre aspettavo i miei compagni.

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Col passare delle ore, le condizioni del tempo peggiorarono. Comparve Lopsang Jangbu, ilsirdar di
Fischer, con un carico da spezzare la schiena; circa trentasei chili, di cui quasi quattordici erano costituiti
da un telefono satellitare con tanto di unit periferiche: Sandy Pittman doveva inviare messaggi su Internet
da un'altitudine di 7986 metri. L'ultimo dei miei compagni arriv solo alle quattro e mezza, mentre i
ritardatari del gruppo di Fischer giunsero ancora pi tardi, quando ormai era in pieno corso una violenta
tempesta. A sera fatta, ridiscesero verso il Colle i montenegrini, riferendo che la vetta era rimasta
inviolata: erano tornati indietro poco pi in basso dello Hillary Step.
Fra le condizioni meteorologiche e la sconfitta dei montenegrini, gli auspici non erano certo favorevoli
per il nostro assalto alla vetta, programmato di l ameno di sei ore. Appena arrivati sul Colle, tutti si
ritirarono nei loro rifugi di nylon, facendo del loro meglio per dormire, ma il crepitio da mitragliatrice delle
tende che svolazzavano e l'ansia per la giornata che ci attendeva imped alla maggior parte di noi di
riposare.
Scott Hutchison, il giovane cardiologo canadese, e io eravamo stati assegnati a una tenda; Rob, Frank,
Mike Groom, John Taske e Yasuko Namba a un'altra; Lou, Beck Weathers, Andy Harris e Doug
Hansen ne occupavano una terza. Lou e i suoi compagni stavano sonnecchiando, quando una voce
sconosciuta grid dall'esterno, in mezzo alla tempesta: Fatelo entrare, presto, altrimenti morir, l fuori!
Lou apr la lampo dell'entrata e un attimo dopo gli cadde supino sulle ginocchia un uomo barbuto. Era
Bruce Herrod, il cordiale vicecapo trentasettenne della squadra sudafricana, che ormai era anche l'unico
di quella spedizione ad avere delle autentiche credenziali di alpinista.
Bruce era davvero nei guai, ricorda Lou. Scosso da brividi irrefrenabili, si comportava in modo
molto bizzarro e irrazionale; in pratica era incapace di provvedere a se stesso. Era in uno stato di
ipotermia tale che riusciva a stento a parlare. A quanto pareva, il resto del suo gruppo era sul Colle, o sul
punto di raggiungerlo; ma lui non sapeva dove e non aveva idea di come trovare la sua tenda, quindi gli
offrimmo qualcosa da bere, cercando di scaldarlo.
Anche Doug non stava troppo bene. Non aveva una buona cera, ricorda Beck. Si lamentava da un
paio di giorni di non riuscire n a dormire, n a mangiare, ma al momento cruciale era deciso a bardarsi
con l'attrezzatura e salire. Ero preoccupato, perch ormai avevo imparato a conoscerlo abbastanza bene
da sapere che si era angustiato per un nno intero al pensiero di essere arrivato ameno di novanta metri
dalla vetta prima di dover tornare indietro. E intendo dire che questo fatto lo aveva tormentato ogni
singolo giorno. Era chiaro che non intendeva farsi respingere per la seconda volta. Doug era deciso a
salire verso la vetta finch avesse avuto fiato in corpo.
Quella sera sul Colle c'erano oltre cinquanta persone, rannicchiate nelle tende montate fianco a fianco,
eppure nellaria aleggiava una strana sensazione di isolamento. Il rombo del vento impediva di
comunicare fra una tenda e l'altra. In quel posto dimenticato da Dio, mi sentivo privo di contatti con gli
alpinisti intorno a me, in senso emotivo, spirituale e fisico, a un livello che non avevo mai sperimentato
nelle spedizioni alle quali avevo partecipato in precedenza. Formavamo una squadra solo di nome, ero
costretto a riconoscere con amarezza: anche se fra poche ore avremmo lasciato il campo in gruppo,
avremmo compiuto la scalata singolarmente, senza essere uniti l'uno all'altro n da una corda n da un
profondo senso di lealt. Ogni cliente era l per se stesso, in sostanza. E io non ero da meno degli altri:
speravo sinceramente che Doug raggiungesse la vetta, per esempio, eppure avrei fatto tutto il possibile
per continuare, anche se lui avesse fatto dietrofront.
In un altro contesto sarebbe stata un'intuizione deprimente, ma ero troppo preoccupato per le condizioni
del tempo per indugiare su quell'idea. Se il vento non calava, e presto, la vetta sarebbe rimasta un
miraggio per tutti. Durante la settimana precedente, gli sherpa di Hall avevano trasportato sul Colle una
riserva di cinquantacinque bombole di ossigeno. Anche se possono sembrare molte, erano appena

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sufficienti per un solo tentativo da parte di tre guide, otto clienti e quattro sherpa. E il contatore correva:
anche riposando nelle tende, stavamo consumando ossigeno prezioso. Se necessario, potevamo chiudere
le valvole dell'ossigeno e restare lass senza danni per ventiquattro ore al massimo; ma una volta superato
quel termine, avremmo dovuto o salire o scendere.
Eppure,mirabile visu , alle sette e mezza del pomeriggio il vento di bufera cess improvvisamente.
Herrod usc carponi

dalla tenda di Lou per andare incespicando in cerca dei suoi compagni. La temperatura era di parecchio
inferiore allo zero, ma non cera quasi vento: le condizioni ideali per una scalata alla vetta. L'istinto di Hall
era incredibile; sembrava che avesse studiato alla perfezione i tempi per il nostro tentativo. Jonno!
Stuart! grid dalla tenda vicina. A quanto pare ci siamo, ragazzi. Fatevi trovare pronti per il ballo alle
undici e mezza!
Mentre, bevendo il t, mettavamo a punto lattrezzatura per la scalata, nessuno parlava granch.
Avevamo sofferto molto per arrivare fino a quel momento. Come Doug, anch'io mangiavo poco e non
dormivo affatto da quando avevamo lasciato il Campo Due, un paio di giorni prima. Ogni volta che
tossivo, il dolore causato dalla cartilagine lacerata nel torace mi dava l'impressione che qualcuno mi
ficcasse un coltello sotto le costole, facendomi salire le lacrime agli occhi. Ma se volevo tentare di
raggiungere la vetta, sapevo di non avere altra scelta che ignorare gli acciacchi e salire.
Venticinque minuti prima di mezzanotte, mi infilai la maschera di ossigeno, accesi la lampada frontale e
cominciai a salire nell'oscurit. Nel gruppo di Hall eravamo in quindici: tre guide, gli otto clienti al gran
completo e gli sherpa Ang Dorje, Lhakpa Chhiri, Ngawang Norbu e Kami. Hall diede istruzioni ad altri
due sherpa, Arita e Chuldum, di restare alle tende pronti a entrare in azione in caso di necessit.
La squadra della Mountain Madness - composta dalle guide Fischer, Beidleman e Boukreev, da sei
sherpa e dai clienti Charlotte Fox, Tim Madsen, Klev Schoening, Sandy Pittman, Lene Gammelgaard e
Martin Adams - part dal Colle Sud unora dopo di noi.[30]Lopsang aveva pensato che solo cinque
sherpa della Mountain Madness avrebbero accompagnato la squadra fino alla vetta, mentre due
sarebbero rimasti di riserva al Colle, ma poi, afferma: Scott si mette una mano sul cuore e dice ai miei
sherpa: 'Potete salire tutti.[31]
Alla fine Lopsang, all'insaputa di Fischer, ordin a uno sherpa, il cugino Big Pemba, di restare.
Pemba in collera con me, ammise Lopsang, ma io gli dico: 'Tu devi restare, altrimenti non ti dar pi
lavoro'. Cos lui resta a Campo Quattro.
Lasciando il campo subito dopo la squadra di Fischer, Makalu Gau inizi l'ascensione insieme a due
sherpa, ignorando spudoratamente la promessa che nessuno della spedizione di Taiwan avrebbe tentato
di conquistare la vetta nel nostro stesso giorno. Anche i sudafricani avrebbero voluto salire, ma la terribile
scalata dal Campo Tre al Colle li aveva sfiniti al punto che non riuscirono neanche a uscire dalle tende.
In tutto furono trentatr gli scalatori che partirono nel cuore della notte alla volta della vetta. Anche se
lasciavamo il Colle come membri di tre spedizioni separate, i nostri destini cominciavano gi a intrecciarsi,
e ad ogni metro di salita sarebbero stati sempre pi legati.

La notte aveva una bellezza gelida ed eterea che si accentu man mano che salivamo. Il cielo glaciale era
chiazzato di stelle, pi numerose di quante ne avessi mai viste. Una luna gibbosa sorse alle spalle del

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Makalu, alto 8463 metri, inondando il pendio sotto i miei scarponi di una luce spettrale che consentiva di
risparmiare le batterie della lampada. In lontananza, a sud-est, lungo la frontiera indo-nepalese, colossali
nubi temporalesche fluttuavano sulle paludi malariche del Terai, rischiarando il cielo con surreali
deflagrazioni di lampi arancioni e azzurrini.

Meno di tre ore dopo la partenza dal Colle, Frank decise che qualcosa nella giornata non gli
suonava giusto. Uscendo dalla fila, fece dietrofront e discese verso le tende: il suo quarto tentativo di
conquistare l'Everest finiva l.
Poco dopo, anche Doug si fece da parte. In quel momento era poco pi avanti di me, ricorda Lou.
Tutt'a un tratto usc dalla fila e si ferm. Quando lo affiancai, mi disse che aveva freddo e si sentiva
male, per cui voleva tornare gi. Poi lo raggiunse Rob, che guidava la retroguardia, e cominci fra loro
una breve conversazione. Nessuno sent il dialogo, quindi non c' modo di sapere che cosa si siano detti,
ma il risultato fu che Doug rientr nella fila per riprendere l'ascesa.

Il giorno prima della partenza dal campo base, Rob aveva riunito la squadra nella tenda-mensa per
tenerci una conferenza sull'importanza di obbedire ai suoi ordini nel giorno dell'ascensione alla vetta.
Lass non ammetter dissensi, ci aveva ammonito, fissandomi con intenzione. La mia parola sar
legge assoluta, senza appello. Se non vi piacer una particolare decisione che prender, sar lieto di
discuterne con voi in seguito, ma non mentre siamo sulla montagna.
La fonte pi ovvia di potenziali conflitti era la probabilit che Rob decidesse di farci tornare indietro
prima della vetta, ma c'era un altro problema per il quale era particolarmente , preoccupato. Durante le
ultime fasi del periodo di acclimatazione aveva allentato un pole redini, lasciandoci liberi di salire alla
nostra andatura; per esempio, a volte Hall mi aveva consentito di salire precedendo il gruppo principale
di due ore o pi. Ora invece sentiva il bisogno di sottolineare che per la prima met della scalata voleva
che tutti restassero in stretto contatto fra loro. Finch non raggiungeremo la sommit della Cresta
Sud-Est, aveva dichiarato, riferendosi a un promontorio ben riconoscibile all'altezza di 8410 metri, noto
col nome di Balcone, dovete restare tutti a meno di cento metri l'uno dall'altro. Questo molto
importante. Saliremo al buio, e voglio che le guide possano seguirvi da vicino.
Quindi durante la salita nelle ore che precedettero l'alba del 10 maggio, noi che eravamo in testa al
gruppo ci vedemmo costretti pi volte a fermarci per aspettare che i compagni pi lenti ci raggiungessero,
restando fermi in un gelo tale da spaccare le ossa. In una particolare occasione Mike Groom, ilsirdar
Ang Dorje e io restammo seduti su una cengia coperta di neve per oltre quarantacinque minuti, tremando
di freddo e battendo mani e piedi per evitare il congelamento, in attesa che arrivassero gli altri; ma il
pensiero del tempo sprecato era un tormento ancora pi angoscioso del freddo.
Alle tre e tre quarti del mattino, Mike annunci che eravamo andati troppo avanti e dovevamo fermarci
di nuovo ad aspettare. Addossandomi a un affioramento di scisto, nel tentativo di sfuggire alla brezza di
temperatura inferiore allo zero che ora soffiava da ovest, guardai in basso verso il pendio ripidissimo,
cercando di identificare gli scalatori che avanzavano palmo a palmo verso di noi al chiaro di luna. Mentre
procedevano, notai che alcuni membri del gruppo di Fischer ci avevano raggiunti: ora la squadra di Hall,
quella della Mountain Madness e il gruppo di Taiwan erano mescolati in una lunga fila intermittente. E poi
la mia attenzione fu attirata da uno spettacolo insolito.
Una ventina di metri sotto di noi, una figura alta, che indossava giacca e pantaloni imbottiti di piume di un
bel giallo vivace, veniva issata in alto da uno sherpa molto pi piccolo mediante un tratto di corda lungo

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circa un metro; lo sherpa, che non portava la maschera di ossigeno e ansimava forte, trainava il
compagno su per il pendio come un cavallo che tira l'aratro. La strana coppia procedeva a un'andatura
discreta, superando altri scalatori, ma quel procedimento, utilizzato di solito per assistere un alpinista
debole o ferito -appariva rischioso ed estremamente scomodo per entrambi. A poco a poco riconobbi
nello sherpa l'esuberantesirdar di Fischer, Lopsang Jangbu, e nella figura in giallo Sandy Pittman.
La guida Neal Beidleman, che osserv come me Lopsang trainare Pittman, ricorda: Mentre salivo, vidi
Lopsang proteso verso il pendio, aggrappato alla roccia come un ragno, che sorreggeva Sandy per
mezzo di un pezzo di corda. Mi sembr una soluzione scomoda e molto pericolosa; non sapevo che cosa
pensarne
Verso le quattro e un quarto, Mike ci diede l'assenso per riprendere la salita, e Ang Dorje e io
cominciammo ad arrampicare pi in fretta che potevamo per scaldarci. Quando il primo accenno di
aurora schiar lorizzonte a oriente, il terreno roccioso e terrazzato sul quale stavamo salendo cedette il
posto a un ampio canalone di neve non consolidata. Alternandoc in testa per aprire un sentiero nella
neve farinosa alta fino al polpaccio, Ang Dorje e io raggiungemmo il crinale della Cresta Sud-Est alle
cinque e mezza, proprio mentre il sole saliva in cielo. Tre delle cime pi alte del mondo si stagliavano in
rilievo sullo sfondo color pastello dell'alba: il mio altimetro indicava 8412 metri.
Hall aveva messo bene in chiaro che non dovevo salire oltre finch tutto il gruppo non si fosse raccolto
su quella sporgenza simile a un balcone, cos mi sedetti sullo zaino in attesa: quando finalmente arrivarono
Rob e Beck, in coda al branco, ero seduto l da oltre un'ora e mezzo. Mentre aspettavo, tanto il gruppo
di Fischer quanto quello di Taiwan mi raggiunsero e mi sorpassarono. Mi sentivo frustrato per tutto quel
tempo sprecato, oltre che stizzito perch ero rimasto indietro.a tutti, ma comprendevo la razionalita della
regola di Hall, quindi tenni sotto controllo la collera.
Durante i miei trentaquattro anni .di attivit alpinistica, avevo notato che gli aspetti pi gratificanti dell
alpinismo sono legati all'enfasi che si attribuisce in questo sport alla capacit di fare affidamento su s
stessi, di prendere decisioni critiche e di affrontarne le conseguenze, assumendosi una responsabilit
personale. Ora invece avevo scoperto che, quando firmi il contratto come cliente, sei costretto a
rinunciare a tutto questo e ad altro ancora. Per motivi di sicurezza, una guida responsabile insiste sempre
per avere l'ultima parola: non pu assolutamente permettere che ogni cliente prenda delle decisioni
importanti di testa propria.
Per tutta la spedizione, quindi, si era incoraggiata la passivit dei clienti. Erano gli sherpa a stabilire il
percorso, a montare le tende dell'accampamento, a cucinare e a trasportare tutti i carichi. Questo ci
consentiva di mantenere intatte le energie e aumentava enormemente le nostre possibilit di scalare
l'Everest, ma io lo trovavo terribilmente frustrante. A volte avevo l'impressione di non essere io a scalare
davvero la montagna: erano altri a farlo per me. Pur avendo accettato coscientemente queste regole per
poter scalare l'Everest con Hall, non ero riuscito ad abituarmici del tutto. Per questo fremevo di collera
quando, alle sette e dieci di mattina, Hall raggiunse la sommit del Balcone e mi diede l'assenso per
proseguire la scalata.
Una delle prime persone che superai nel riprendere la salita fu Lopsang, che sorpresi in ginocchio nella
neve, chino su una pozza di vomito. Di solito era lui il pi forte di ogni gruppo con il quale arrampicava,
pur senza fare mai ricorso all'ossigeno. Come dichiar con fierezza dopo la spedizione: Su ogni
montagna che devo scalare, vado per primo, sistemo corda. Nel '95 su Everest con Rob Hall io vado
prima da campo base a vetta, sistemo tutte corde. La sua posizione in coda al gruppo di Fischer la
mattina del 10 maggio, mentre vomitava l'anima, sembrava indicare che cera qualcosa di grave.
Il pomeriggio precedente, Lopsang si era sfinito nello sforzo di trasportare, oltre al resto, un telefono

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satellitare per Sandy Pittman dal Campo Tre al Campo Quattro. Quando Beidleman lo aveva visto
caricarsi in spalla quel peso enorme, circa trentasei chili, al Campo Tre, aveva detto allo sherpa che non
era necessario portare il telefono al Colle Sud, suggerendogli di lasciarlo dov'era. io non voglio portare
telefono, ammise in seguito Lopsang, in parte perch al Campo Tre aveva funzionato male e sembrava
improbabile che tornasse in perfetta efficienza nell'ambiente ancora pi freddo e ostile del Campo
Quattro.[32]Ma Scott mi disse: 'Se non lo porti tu, lo porto io'. Cos prendo telefono, lo lego fuori dello
zaino e lo porto a Campo Quattro. ...Questo mi affatica molto.
E ora per giunta Lopsang aveva appena trainato Pittman di peso per cinque o sei ore, fino in cima al
Colle Sud; quello sforzo aveva inferto il colpo di grazia alle sue energie, impedendogli di assumere il
solito ruolo che occupava in testa al gruppo, decidendo il percorso. Poich la sua inattesa assenza in
testa alla fila incise sull'esito della giornata, la sua decisione di trainare Pittman suscit in seguito critiche e
perplessit. Non ho idea del motivo per cui Lopsang abbia trainato Sandy, afferma Beidleman.
Immagino che avesse perso di vista il compito che doveva svolgere lass e lordine delle priorit.
Dal canto suo, Pittman non aveva chiesto di essere trainata: era stato Lopsang a prenderla bruscamente
in disparte mentre lasciava il Campo Quattro in testa al gruppo di Fischer, a passare un'asola di corda
nella parte frontale della sua imbracatura e poi, senza chiedere il suo parere, ad agganciare laltra
estremit alla propria imbracatura, cominciando a trainarla. Lei sostiene che Lopsang la iss su per il
pendio in gran parte contro i suoi desideri. A questo punto sorge spontanea una domanda: come mai lei,
una newyorkese notoriamente autoritaria (era cos energica che alcuni neozelandesi al campo base
l'avevano soprannominata Sandy Pit Bull) non si era limitata semplicemente a liberarsi dal metro di
corda che la teneva legata a Lopsang, gesto che avrebbe richiesto semplicemente di allungare la mano e
sganciare un moschettone?
Pittman spiega che non si sganci dallo sherpa per rispetto della sua autorit. Per usare le sue parole:
Non volevo ferire i sentimenti di Lopsang. Inoltre dichiara che, pur non avendo controllato l'orologio,
la sua impressione fu che lui l'avesse trainata solo per un periodo di tempo lungo da un'ora a un'ora e
mezzo,[33]e non cinque, sei ore, come sostenevano altri scalatori e come ha confermato Lopsang.
Dal canto suo, quando gli stato chiesto per quale motivo avesse trainato Pittman, per la quale aveva
espresso apertamente disprezzo in varie occasioni, Lopsang ha fornito spiegazioni contraddittorie.
All'avvocato di Seattle Peter Goldman, che aveva scalato il Broad Peak con Scott e Lopsang nel 1995
ed era uno dei primi e pi fedeli clienti di Fischer, disse che nell'oscurit aveva scambiato Pittman con la
cliente danese Lene Gammelgaard e che aveva smesso di trainarla appena si era reso conto del suo
errore, all'alba. Invece, in una lunga intervista registrata con me, Lopsang ha insistito in modo molto
convincente sul fatto che sapeva benissimo di trainare Sandy Pittman e che aveva deciso di farlo perch
Scott vuole che tutti i clienti arrivano in cima, e io penso che Sandy sar la pi debole, penso che andr
piano, e cos porto lei per prima.
Lopsang, un giovane dotato di grande intuito, era estremamente devoto a Fischer e capiva quanto fosse
importante per il suo amico e datore di lavoro far arrivare sulla vetta la Pittman. In effetti, in una delle
ultime comunicazioni con Jane Bromet dal campo base, Scott aveva osservato: Se riesco a portare sulla
vetta Pittman, scommetto che la inviteranno come ospite a tutti gli spettacoli televisivi. Tu pensi che far
entrare anche me nel suo alone di fama e di celebrit?
Come ha spiegato Goldman: Lopsang era totalmente devoto a Scott. Per me inconcepibile che abbia
trainato qualcuno, e non era fortemente convinto che Scott lo volesse.
Qualunque fosse il motivo, sul momento la decisione di Lopsang di trainare una cliente non sembr un
errore particolarnente grave; ma avrebbe finito per diventare uno dei tanti piccoli fattori cruciali nel lento

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processo di accumulo che puntava in modo costante e impercettibile verso la formazione di un ammasso
di critiche.
Basti dire che [l'Everest] ha i crinali pi ripidi e i precipizi pi spaventosi che abbia mai visto, e tutto quel
parlare che si fa di un facile pendio di neve non che una favola...
Mia cara, questa un'esperienza davvero emozionante, non so dirti fino a che punto si impadronita
delta mia anima, e quali prospettive mi schiude. E poi, la bellezza di tutto questo!
GEORGE LEIGH MALLORY,
in una lettera a sua moglie,
28 giugno 1921

Al di sopra del Colle Sud, nella cosiddetta Zona della morte, la sopravvivenza si riduce a poco
pi di una corsa contro il tempo. Alla partenza dal Campo Quattro, il 10 maggio, ciascuno dei clienti
portava con s due bombole di ossigeno da tre chili circa, e ne avrebbe prelevata una terza sulla Cima
Sud, attingendo a un deposito rifornito dagli sherpa. Al ritmo piuttosto blando di due litri al minuto ogni
bombola durava da cinque a sei ore, quindi verso le quattro o le cinque del pomeriggio l'ossigeno
sarebbe finito per tutti. A seconda dell'acclimatazione e della tenuta fisiologica individuale, saremmo stati
ancora in grado di funzionare al di sopra del Colle Sud, ma non bene e non per molto. Saremmo diventati
subito pi vulnerabili all'edema polmonare e cerebrale, all'ipotermia, a errori di giudizio e al
congelamento. li rischio di morte sarebbe salito alle stelle.
Hall, che aveva gi scalato l'Everest quattro volte, comprendeva meglio di chiunque altro l'esigenza
di salire e ridiscendere in fretta. Riconoscendo che le capacit tecniche di alcuni dei suoi clienti erano
molto discutibili, intendeva far affidamento sulle corde fisse per salvaguardare tanto il nostro gruppo
quanto quello di Fischer e consentirci di superare in fretta il terreno pi difficile. Il fatto che quell'anno non
fosse ancora giunta in vetta alcuna spedizione lo preoccupava, quindi, perch significava che per gran
parte del percorso non erano state installate delle corde.
Il 3 maggio Goran Kroppe, lo scalatore solitario svedese, era arrivato a meno di cento metri dalla
vetta, ma non si era curato di installare delle corde. I montenegrini, che erano arrivati ancora pi in alto,
avevano sistemato un tratto di corda fissa, ma nella loro inesperienza avevano usato tutta quella che
avevano nei primi 430 metri al di sopra del Colle Sud, sprecandola su un pendio relativamente facile,
dove non ce n'era un vero bisogno. Cos, la mattina della nostra ascesa, le uniche corde tese lungo le
ripide seghettature del tratto superiore della Cresta Sud-Est erano alcuni residui vecchi e sbrindellati,
avanzi delle spedizioni precedenti, che emergevano dal ghiaccio qua e l.
In previsione di quell'eventualit, prima di lasciare il campo base Hall e Fischer avevano indetto una
riunione di guide delle due squadre, durante la quale avevano concordato che ogni spedizione avrebbe
inviato dal Campo Quattro due sherpa - compresi isirdar scalatori, Ang Dorje e Lopsang -con novanta
minuti di anticipo sul grosso del gruppo. Questo avrebbe concesso agli sherpa il tempo di installare delle
corde fisse nei tratti pi esposti delle pendici superiori prima che arrivassero i clienti. Rob sottoline con
estrema chiarezza l'importanza di questa misura, ricorda Beidleman. Voleva evitare a tutti i costi un
ingorgo che ci avrebbe fatto perdere tempo.
Non si sa per quale motivo, tuttavia, la notte del 9 maggio nessuno sherpa lasci il Colle Sud prima

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di noi. Forse la violenta bufera, che si plac soltanto alle sette e mezza del mattino, imped loro di
mettersi in movimento di buon'ora come avevano sperato di fare. Dopo la spedizione, Lopsang insistette
nel dire che all'ultimo momento Hall e Fischer avevano scartato il piano di far installare le corde prima
dell'arrivo dei clienti, perch avevano ricevuto l'informazione errata che i montenegrini avevano gi
completato il lavoro fino alla Cima Sud.
Tuttavia, se l'asserzione di Lopsang esatta, n Beidleman, n Groom n Boukreev (le tre guide
superstiti) furono informate del cambiamento di piani. E se il progetto di installare le corde fosse stato
abbandonato intenzionalmente, non si vede perch Lopsang e Ang Dorje sarebbero dovuti partire con i
cento metri di corda a testa che portavano con s al momento di lasciare il Campo Quattro, in testa alle
rispettive squadre.
In ogni caso, al di sopra degli 8350 metri non erano state installate corde fisse. Quando Ang Dorje
e io arrivammo per primi sul Balcone, alle cinque e mezza, avevamo oltre un'ora di vantaggio sul resto del
gruppo di Hall: a quel .punto avremmo potuto facilmente precederlo per andare a installare le corde, ma
Rob mi aveva proibito esplicitamente di farlo e Lopsang era ancora molto pi in basso, intento a trainare
Pittman, quindi non c'era nessuno che potesse accompagnare Ang Dorje.
Silenzioso e ombroso per natura, Ang Dorje sembrava particolarmente serio mentre stavamo
seduti insieme ad aspettare, ammirando il sorgere del sole: tutti i miei tentativi di attaccare discorso
caddero nel vuoto. Pensai che il malumore fosse dovuto all'ascesso a un dente che lo tormentava da due
settimane. O forse meditava sulla visione inquietante che aveva avuto quattro giorni prima: l'ultima sera
trascorsa al campo base, lui e altri sherpa avevano festeggiato l'imminente assalto alla vetta bevendo una
gran quantit dichhang , una birra densa e dolce ricavata dalla fermentazione di riso e miglio. La mattina
dopo, oppresso dai postumi della sbornia, Ang Dorje era apparso molto agitato e prima di affrontare la
seraccata aveva confidato a un amico di avere visto degli spettri durante la notte. Ang Dorje, un giovane
estremamente attento agli aspetti spirituali della vita, non era tipo da prendere alla leggera certi portenti.
Comunque c'era anche la possibilit che fosse semplicemente in collera con Lopsang, .che
giudicava un esibizionista. Nel 1995 Hall li aveva ingaggiati entrambi per la sua spedizione sull'Everest,
ma i due sherpa non avevano lavorato bene insieme.
Quell'anno, il giorno dell'assalto alla vetta la squadra di Hall era arrivata tardi alla Cima Sud, verso
l'una e mezza del pomeriggio, e aveva trovato l'ultimo tratto del crinale della vetta ricoperto da una coltre
di neve alta e instabile. Hall aveva mandato Lopsang, anzich Ang Dorje, ad accertare la fattibilit della
scalata insieme a una guida neozelandese che si chiamava Guy Cotter; e Ang Dorje, che era ilsirdar della
spedizione, lo aveva considerato un insulto. Poco dopo, quando Lopsang era salito fino alla base dello
Hillary Step, Hall aveva deciso di rinunciare alla conquista della vetta, segnalando a Cotter e Lopsang di
tornare indietro; ma Lopsang aveva ignorato l'ordine, si era staccato dalla guida per continuare da solo
l'ascesa fino alla vetta. Hall era andato in collera per l'insubordinazione di Lopsang, e Ang Dorje aveva
condiviso il suo malcontento.
Ora, anche se facevano parte di squadre diverse, Ang Dorje aveva ricevuto di nuovo la richiesta di
collaborare con Lopsang il giorno della scalata alla vetta, e ancora una volta l'altro sherpa si era
comportato in modo irresponsabile. Per sei lunghe settimane Ang Dorje aveva fatto ben pi del suo
dovere; ora, evidentemente, era stanco di fare pi della sua parte. Con un'espressione imbronciata, rest
seduto sulla neve insieme a me, aspettando l'arrivo di Lopsang, e le corde non furono fissate.
Di conseguenza m'imbattei nel primo ingorgo un'ora e mezzo dopo aver lasciato il Balcone, alla quota di
8530 metri; in quel punto le squadre delle varie spedizioni, ormai mescolate fra loro, incontrarono una
serie di massicci gradoni di pietra che richiedevano l'uso delle corde per garantire un passaggio sicuro. I

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clienti si raggrupparono irrequieti per quasi un'ora alla base della roccia, mentre Beidleman, assumendosi
il compito che sarebbe toccato all'assente Lopsang, tendeva laboriosamente la corda. .
A quel punto l'impazienza e l'inesperienza tecnica della cliente di Hall, Yasuko Namba, rischi di
provocare una catastrofe. Abile funzionaria della Federal Express di Tokyo, Yasuko non corrispondeva
affatto allo stereotipo della giapponese di mezza et mite e deferente; in casa, mi aveva spiegato con una
risatina, era suo marito a cucinare e fare le pulizie. La sua ambizione di scalare l'Everest si era trasformata
per il Giappone in una piccola ma autenticacause celbre . Nelle fasi precedenti della spedizione aveva
rivelato una tecnica alpinistica lenta e incerta, ma quel giorno, in vista della vetta, era galvanizzata come
non mai. Da quando eravamo arrivati sul Colle Sud, dice John Taske, che aveva diviso la tenda con lei
al Campo Quattro, Yasuko era tutta concentrata sulla vetta; era come se fosse in trance. Fin da
quando aveva lasciato il Colle era estremamente motivata e faceva di tutto per raggiungere i primi posti
della fila.
Ora, mentre Beidleman era aggrappato alla roccia in equilibrio precario, cento metri al di sopra dei
clienti, Yasuko in un eccesso di impazienza agganci la sua maniglia jumar alla corda penzolante prima
che la guida ne avesse ancorato l'estremit. Proprio quando stava per affidare tutto il peso del suo corpo
alla corda, manovra che avrebbe fatto precipitare Beidleman, intervenne Mike Groom, appena in tempo,
rimproverandola con dolcezza per la sua eccessiva impazienza.
L'ingorgo di traffico ai piedi delle corde cresceva a ogni nuovo arrivo, cosicch quelli in fondo al gruppo
restavano sempre pi indietro. Alla fine della mattmata, tre clienti di Hall Stuart Hutchison, John Taske
e Lou Kasischke, che salivano fra gli ultimi insieme a Hall - incominciarono a preoccuparsi di
quell'andatura pigra. Subito prima di loro c'era la squadra di Taiwan, che si muoveva a un ritmo
particolarmente lento. Salivano con uno stile davvero curioso, stando molto vicini fra loro, osserva
Hutchinson, quasi come fette in una forma di pane, uno dietro l'altro, il che rendeva quasi impossibile
superarli. Si perdeva un sacco di tempo ad aspettare che salissero lungo le corde.
Al campo base, nei giorni precedenti alla scalata della vetta, Hall aveva preso in esame due possibili
orari limite, l'una o le due del pomeriggio, allo scadere dei quali saremmo dovuti tornare indietro; per
non aveva mai dichiarato quale dei due orari avremmo dovuto rispettare, e questo era curioso se si pensa
a quanto aveva insistito sull'importanza di indicare un limite invalicabile e di attenervisi a tutti i costi.
Eravamo rimasti con la vaga intesa che Hall avrebbe rinviato la decisione finale all'ultimo giorno, dopo
aver valutato le condizioni del tempo e altri fattori, e poi si sarebbe assunto personalmente la
responsabilit di far tornare indietro tutti all'ora giusta.
Verso la met della mattinata del 10 maggio, Hall non aveva ancora annunciato quale sarebbe stato il
limite orario alla scadenza del quale si doveva tornare indietro. Hutchison, conservatore per natura,
partiva dal presupposto che fosse fissato per l'una; verso le undici, Hall disse a Hutchison e Taske che
mancavano ancora tre ore per raggiungere la vetta, poi scatt in avanti per tentare di superare i taiwanesi.
Sembrava sempre meno probabile che avremmo avuto la possibilit di salire sulla vetta prima del limite
dell'una, osserva Hutchison. Ne nacque una breve discussione. Da principio Kasischke era restio ad
accettare la sconfitta, ma Taske e Hutchison si mostrarono convincenti. Alle undici e mezza i tre
voltarono le spalle alla vetta, decidendo di tornare indietro, e Hall incaric gli sherpa Kami e Lhakpa
Chhiri di accompagnarli.
Decidere di scendere dev'essere stato estremamente difficile per quei tre clienti, come del resto per
Frank Fischbeck, che era tornato indietro gi da qualche ora. La passione per la montagna fa s che gli
alpinisti, uomini o donne che siano, non si lascino sviare facilmente dai loro obiettivi: a quel punto della
spedizione, ormai prossimi alla meta, tutti noi avevamo subto disagi e pericoli che gi da tempo
avrebbero fatto scappare a gambe levate degli individui pi equilibrati. Per arrivare fino a quel punto era

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necessario avere una personalit insolitamente tenace.


Purtroppo il tipo di individuo che programmato per ignorare i disagi personali e continuare a puntare
verso la vetta, spesso programmato anche per ignorare i segnali di pericolo grave e imminente. Questo
il nocciolo di un dilemma di fronte al quale prima o poi si ritrovano tutti gli scalatori dell'Everest: per
raggiungere il successo bisogna essere estremamente motivati, ma se si troppo motivati si rischia la
morte. Sopra i 7900 metri, inoltre, la linea di confine fra la giusta dose di zelo e la sfrenata febbre della
vetta diventa pericolosamente sottile: per questo che le pendici dell'Everest sono costellate di cadaveri.
Taske, Hutchison, Kasischke e Fischbeck avevano speso come minimo settantamila dollari a testa e
trascorso settimane infernali per vedersi concedere quell'unico tentativo di raggiungere la vetta. Erano tutti
uomini ambiziosi, non avvezzi a perdere e meno ancora a mollare; eppure, posti di fronte a una decisione
difficile, furono tra i pochi a fare la scelta giusta, quel giorno.
Al di sopra del gradino di roccia sul quale John, Stuart e Lou tornarono indietro, le corde fisse finivano
di colpo. Da quel punto in poi il percorso si impennava e la cresta di neve compattata dal vento
culminava nella Cima Sud, dove arrivai alle undici di mattina ritrovandomi bloccato in un secondo
ingorgo, ancora peggiore del primo. Poco pi in alto, in apparenza a non pi di un tiro di sasso, c'era il
risalto verticale dello Hillary Step, e appena pi avanti la cima vera e propria. Istupidito dal timore
reverenziale e dalla stanchezza, scattai alcune foto, poi mi sedetti insieme alle guide Andy Harris, Neal
Beidleman e Anatoli Boukreev in attesa che gli sherpa fissassero le corde lungo il crinale della vetta,
racchiuso in quella cornice spettacolare.
Notai che Boukreev non usava l'ossigeno, come Lopsang. Anche se il russo aveva gi scalato due volte
l'Everest senza ricorrere all'ossigeno, e Lopsang tre volte, mi sorprese che Fischer avesse consentito loro
di fare da guide fino alla vetta senza ossigeno, perch questo non mi sembrava nell'interesse dei clienti.
Mi sorprese anche il fatto che Boukreev non portasse lo zaino: per consuetudine ogni guida porta uno
zaino che contiene corda, necessario per il pronto soccorso, materiale per il recupero dai crepacci, capi
di abbigliamento in pi e altri generi necessari per assistere i clienti in caso di emergenza. Boukreev era la
prima guida che avessi mai visto ignorare questa convenzione, su qualsiasi montagna.
Salt fuori che era partito dal Campo Quattro portando con s tanto lo zaino quanto la bombola di
ossigeno; in seguito mi disse che, pur non avendo intenzione di usare lossigeno, voleva averne una
bombola a portata di mano nel caso che si sentisse fiacco e ne avesse bisogno sulla vetta. Dopo avere
raggiunto il Balcone, tuttavia, si era liberato dello zaino, consegnando a Beidleman la bombola, la
maschera e il regolatore perch glieli portasse lui. poich Boukreev non ricorreva all'ossigeno per
respirare, aveva deciso evidentemente di ridurre il carico al minimo indispensabile, per essere pi
avvantaggiato in quell'aria spaventosamente rarefatta.
Il crinale era spazzato da un vento alla velocit di venti nodi, che sollevava un turbine di nevischio in alto
sopra la parete Kangshung, ma, sopra, il cielo era di un azzurro cos intenso da ferire gli occhi. Oziando
al sole all'altezza di 8750 metri, protetto dalla pesante tuta imbottita e immerso nella contemplazione del
tetto del mondo, persi del tutto la nozione del tempo, scivolando in un torpore causato dall carenza di
ossigeno. Nessuno di noi prest molta attenzione al fatto che Ang Dorje e Ngawang Norbu, un altro
sherpa della squadra di Hall, erano seduti accanto a noi e si dividevano un thermos di t, senza mostrare
la minima fretta di salire pi in alto. Verso le undici e quaranta Beidleman chiese finalmente: Ehi, Ang
Dorje, non dovresti fissare le corde, o qualcosa del genere? La risposta di Ang Dorje fu un secco e
inequivocabile: No, forse perch non c'era nessuno degli sherpa di Fischer a dividere il lavoro con lui.
Sempre pi allarmato al pensiero della folla che si formava sulla Cima Sud, Beidleman riscosse infine
Harris e Boukreev, suggerendo energicamente di installare tutti e tre le corde, di persona. Sentendo le

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sue parole, mi offrii subito volontario per aiutarli. Beidleman estrasse dallo zaino un tratto di corda di
quarantacinque metri e, a mezzogiorno, ci mettemmo all'opera insieme a Boukreev e Harris per fissare le
corde fino al crinale della vetta; ma intanto era trascorsa un'altra ora.
Non bisogna credere che respirando l'ossigeno della bombola la vetta dell'Everest diventi come il livello
del mare. Salendo oltre la Cima Sud con il regolatore che lasciava passare poco meno di due litri di
ossigeno al minuto, dovevo fermarmi ad aspirare tre o quattro boccate d'aria dopo ogni passo compiuto
con ponderazione. Poi facevo un altro passo e dovevo fermarmi di nuovo a respirare altre quattro
boccate; e quella era l'andatura pi veloce che riuscissi a mantenere. Poich il sistema che usavamo
erogava una miscela di gas compresso e aria atmosferica, un'altitudine di 8840 metri con l'ossigeno
equivaleva all'incirca a una di 7900 metri senza. Comunque l'ossigeno assicurava altri vantaggi, che non
era altrettanto facile quantificare.
Mentre salivo lungo il filo della cresta sommitale aspirando ossigeno nei polmoni malconci, assaporavo
uno strano e ingiustificato senso di calma. Il mondo oltre la maschera di gomma era stupendamente
vivido, ma non sembrava del tutto reale, come se mi proiettassero davanti agli occhiali un film al
rallentatore. Mi sentivo stordito, distaccato, del tutto isolato dagli stimoli esterni. Dovevo rammentare di
continuo a me stesso che ai lati c'erano oltre duemila e cento metri di vuoto, che l tutto era a rischio, che
ogni passo falso lo avrei pagato con la vita.
Mezz'ora dopo aver superato la Cima Sud mi trovai ai piedi dello Hillary Step, uno dei luoghi pi famosi
della storia dell'alpinismo. Con i suoi dodici metri di roccia e ghiaccio quasi verticali appariva
impegnativo, ma, come ogni altro scalatore che si rispetti, avrei voluto con tutte le mie forze prendere il
comando e guidare la cordata sullo Step. Era chiaro, tuttavia, che anche Boukreev, Beidleman e Harris
nutrivano tutti la stessa ambizione, e pensare che uno di loro fosse disposto a cedere a un cliente un
compito cos ambito era, da parte mia, una pura illusione scaturita dall'ipossia.
Alla fine fu Boukreev a rivendicare quell'onore per s, dal momento che era la guida pi anziana e l'unico
di noi che avesse gi scalato l'Everest; con Beidleman che svolgeva la corda, si esib in un'arrampicata
magistrale. Tuttavia fu un procedimento lento e, mentre lui saliva con pedante lentezza verso la sommit
dello Step, io controllavo nervosamente l'orologio, chiedendomi se l'ossigeno mi sarebbe bastato. La
prima bombola si era esaurita alle sette di mattina sul Balcone, dopo sette ore: utilizzando questo dato
come riferimento, sulla Cima Sud avevo calcolato che la seconda bombola sarebbe finita verso le due, e
stupidamente avevo creduto che questo mi lasciasse tempo in abbondanza per raggiungere la vetta e
tornare alla Cima Sud per recuperare la terza bombola di ossigeno. Ormai, per, era l'una passata e
cominciavo ad avere seri dubbi in proposito.
Una volta in cima allo Step, esposi la mia ansia a Beidleman, per chiedere se gli dispiaceva che mi
affrettassi verso la vetta invece di aiutarlo ad assicurare l'ultimo tratto di corda lungo la cresta. Vapure,
mi rispose lui con generosit. Alla corda penser io.
Percorrendo a fatica gli ultimi passi verso la vetta, provai la sensazione di muovermi sott'acqua, di
procedere al rallentatore. E poi mi ritrovai in cima a un gradino di ghiaccio, adorno di una bombola di
ossigeno vuota e di un ammaccato tripode di alluminio del servizio geodetico: non cera pi nulla da
scalare. Una fila di bandiere di preghiera buddhiste schioccava furiosamente al vento. Ai miei piedi, in
fondo a un versante della montagna sul quale non avevo mai posato lo sguardo, si stendeva fino
all'orizzonte l'arido altopiano del Tibet, una sconfinata distesa di terra color ocra.
Si ritiene che la conquista della vetta dell'Everest dovrebbe far scattare un'ondata di intensa esultanza;
dopo tutto, ero appena riuscito a raggiungere, contro ogni speranza, un obiettivo che sognavo fin da
bambino. Ma la vetta, in realt, era solo il punto centrale del viaggio: ogni tentazione di congratularmi con

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me stesso fu spenta dalla crescente apprensione per la lunga e rischiosa discesa che mi attendeva.
Non solo in salita, ma anche in discesa la mia forza di volont si spegne. Pi scendo, meno importante mi
appare la meta, pi mi sento indifferente verso me stesso. Lattenzione ha ceduto, la memoria
indebolita. La spossatezza mentale ora ancora pi grande di quella fisica. Ecos piacevole starsene
seduti senza fare nulla e per questo tanto pericoloso. La morte per sfinimento, come quella per
congelamento, una morte piacevole.
REINHOLD MESSNER
Orizzonti di ghiaccio

Avevo nello zaino una bandierina della rivistaOutside , un piccolo stendardo abbellito da una
lucertola fantastica ricamata da mia moglie Linda, pi alcuni altri ricordi con i quali intendevo posare per
una serie di foto trionfali. Tuttavia, cosciente che la mia riserva di ossigeno era ormai agli sgoccioli, lasciai
tutto nello zaino, sostando in cima al mondo appena il tempo sufficiente per scattare in fretta quattro
istantanee di Andy Harris e Anatoli Boukreev in posa davanti al palo di segnalazione fissato sulla vetta
dal servizio geodetico, e poi mi voltai per tornare indietro. Una ventina di metri pi in basso incrociai
Neal Beidleman e un cliente di Fischer, che si chiamava Martin Adams, diretti verso la cima. Dopo avere
scambiato un saluto esultante con Neal, palma contro palma, afferrai una manciata di sassi da un tratto
scoperto di scisto battuto dal vento, infilai quei souvenir nella tasca della tuta imbottita e mi affrettai a
scendere dalla cresta.
Un attimo prima avevo notato che le vallate a sud si erano riempite di bioccoli di nubi che
oscuravano tutte le vette, tranne le pi alte. Adams, piccolo e battagliero texano che ha fatto fortuna
vendendo obbligazioni durante il boom degli anni ottanta, anche un pilota esperto, che ha al suo attivo
molte ore di volo al di sopra del tetto di nuvole; in seguito mi ha detto che in quegli sbuffi di vapore
acqueo dall'aria cos innocua aveva riconosciuto la sommit di minacciose nubi temporalesche subito
dopo avere raggiunto la vetta. A bordo di un aereo, quando vedi uno di quei nuvoloni, mi spieg, la
prima reazione che hai filartela, ed esattamente quello che ho fatto.
A differenza di Adams, io non avevo labitudine di osservare cumulonembi in formazione all'altezza
di ottomilaottocento metri, e quindi rimasi all'oscuro della tempesta che si stava addensando proprio in
quel momento. Le mie ansie, invece, erano tutte imperniate sulla riserva di ossigeno sempre pi scarsa,
della mia bombola.
Un quarto d'ora dopo aver lasciato la vetta, arrivai in cima allo Hillary Step, dove m'imbattei in un
gruppo di scalatori che risalivano ansimando lungo l'unica corda, e la mia discesa conobbe una sosta
obbligata. Mentre aspettavo che si diradasse la folla, mi raggiunse Andy, anche lui in discesa. Jon, mi
disse ho limpressione che non mi arrivi aria a sufficienza. Potresti dirmi se per caso la valvola di
alimentazione della mia bombola ghiacciata?
Un rapido controllo rivel che un grumo di saliva ghiacciata grosso quanto un pugno bloccava la
valvola di gomma che immetteva nella .maschera l'aria atmosferica. Lo spezzai con la piccozza, poi chiesi
a Andy di ricambiarmi il. favore chiudendo il regolatore, perch volevo risparmiare ossigeno finch lo
Step non fosse stato libero. Lui per. errore apr la valvola invece di chiuderla, e dieci minuti dopo il mio
ossigeno era finito. Le mie funzioni razionali, che gi prima erano molto ridotte, scesero subito in
picchiata; mi sentivo come se mi avessero propinato un'overdose di un potente sedativo.

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Mentre aspettavo, ricordo vagamente di aver visto Sandy Pittman salire, diretta verso la cima,
seguita dopo un periodo di tempo indeterminato da Charlotte Fox e poi da Lopsang Jangbu. Subito
dopo, proprio al di sotto della mia precaria posizione, si materializz Yasuko, tutta presa dalle difficolt
tecniche dall'ultimo tratto dello Step, che era anche il pi ripido. Nell'impossibilit di aiutarla, la guardai
lottare per quindici minuti nello sforzo di issarsi sulla cornice superiore di roccia, troppo esausta per
riuscirci. Alla fine Tim Madsen, che aspettava impaziente proprio alle sue spalle, la sospinse oltre il ciglio
assestandole una spinta con le mani sotto le natiche.
Poco dopo comparve Rob Hall e io, mascherando il panico crescente, lo ringraziai per avermi
guidato sulla vetta dell'Everest. S, in effetti si rivelata una spedizione piuttosto valida, replic,
aggiungendo che Frank Fischbeck, Beck Weathers, Lou Kasischke, Stuart Hutchison e John Taske
erano tornati indietro. Bench mi trovassi in uno stato di imbecillit ipossica, mi pareva evidente che Hall
era profondamente deluso dal fatto che cinque dei suoi otto clienti avessero ceduto le armi, sentimento
che sospettavo fosse amplificato dalla constatazione che invece il gruppo di Fischer sembrava
intenzionato a puntare verso la vetta al gran completo. Avrei voluto soltanto riuscire a portare in vetta un
maggior numero di clienti, si lament infatti Rob, prima di proseguire.
Subito dopo arrivarono Adams e Boukreev, che in attesa di proseguire la discesa si fermarono
poco pi in alto di me per aspettare che il traffico si diradasse. Un minuto dopo, l'affollamento in cima
allo Step aument, man mano che Makalu Gau, Ang Dorje e parecchi altri sherpa risalivano lungo la
corda, seguiti da Doug Hansen e Scott Fischer. Poi, finalmente, lo Hillary Step fu libero, ma solo dopo
che ormai avevo trascorso oltre un'ora all'altezza di ottomilaottocento metri senza ossigeno
supplementare.
A quel punto ebbi l'impressione che interi settori della mia corteccia cerebrale avessero chiuso per
ferie. Stordito e preoccupato di non perdere i sensi, fui assalito dalla frenesia di raggiungere la Cima Sud,
dove mi aspettava la terza bombola di ossigeno. Incominciai cautamente la discesa lungo le corde fisse,
irrigidito dal terrore. Appena oltrepassato lo Step, Anatoli e Martin mi superarono e continuarono in
fretta la discesa. Proseguii con estrema cautela lungo la corda tesa della cresta, ma quindici metri al di
sopra del deposito di bombole la corda fin e io mi fermai, esitando al pensiero di proseguire senza
ossigeno.
Sulla sommit della Cima Sud, intravidi Andy Harris intento a esaminare una pila di bombole di
ossigeno arancioni. Ehi, Harold! gridai. Potresti portarmi una bombola'nuova?
Qui non c' ossigeno! mi grid di rimando la guida. Queste bombole sono tutte vuote! Era una
notizia sconvolgente. Il mio cervello reclamava ossigeno a gran voce, e io non sapevo cosa fare. Proprio
in quel momento mi raggiunse Mike Groom, che scendeva dalla vetta. Mike aveva scalato l'Everest nel
1993 senza ossigeno e non si preoccupava troppo di restare senza, quindi mi cedette la sua bombola e
insieme ci affrettammo a raggiungere la Cima Sud.
Quando arrivammo, un esame del deposito di ossigeno rivel subito che c'erano almeno sei bombole
piene. Andy, per, si rifiutava di crederci; seguitava a insistere che erano tutte vuote, e niente di quello
che Mike o io dicevamo riusc a convincerlo del contrario.
L'unico modo per sapere quanto ossigeno c' in una bombola collegarla al proprio regolatore e leggere
il quadrante; probabilmente in questo modo che Andy controll le bombole alla Cima Sud. Dopo la
spedizione, Neal Beidleman fece notare che, se il regolatore di Andy si era inceppato a causa del
ghiaccio, forse l'indicatore registrava vuoto anche se le bombole erano piene; in effetti questo avrebbe
spiegato la sua curiosa ostinazione. E se il regolatore era bloccato e non immetteva ossigeno nella
maschera, questo avrebbe giustificato l'apparente mancanza di lucidit di Andy.

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Tuttavia in quel momento questa possibilit, che ora sembra cos evidente, non venne in mente n a me
n a Mike. A ripensarci adesso, Andy si comportava in modo irrazionale ed era chiaramente scivolato
ben oltre lo stadio di ipossia abituale, ma ero cos stordito anch'io che non me ne resi conto.
La mia incap,acit di riconoscere anche le realt pi ovvie era accentuata in una certa misura dal
protocollo che regola i rapporti fra guida e cliente. Andy e io eravamo simili dal punto di vista delle
capacit atletiche e dell'esperienza tecnica e, se fossimo saliti alla pari come compagni di scalata, in una
situazione svincolata dal rapporto guida-cliente, sarebbe stato inconcepibile che non mi rendessi conto
del suo stato; ma in quella spedizione lui era stato proiettato nel ruolo di guida infallibile, che era l per
prendersi cura di me e degli altri clienti. Eravamo stati indottrinati. in modo specifico a non mettere mai in
discussione il giudizio delle guide, e quindi non mi pass neanche per la mente - per quella mente
ottenebrata - che in effetti Andy potesse trovarsi nel pieno di una crisi terribile, che una guida potesse
avere urgente bisogno di aiuto da parte mia.
Mentre Andy continuava a sostenere che sulla Cima Sud non c'erano bombole piene, Mike mi guard
con aria interrogativa. lo ricambiai l'occhiata con una scrollata di spalle e, rivolgendomi a Andy, gli dissi:
Non fa niente, Harold. Molto rumore per nulla. Poi afferrai una bombola nuova, la collegai al mio
regolatore e ripresi la discesa. Tenuto conto degli avvenimenti delle ore seguenti, la facilit con la quale
abdicai alle mie responsabilit, ignorando del tutto la possibilit che Andy si trovasse in seri guai, fu un
errore che probabilmente continuer a ossessionarmi per tutta la vita.
Verso le tre e mezza lasciai la Cima Sud, precedendo Mike, Yasuko e Andy, per ritrovarmi quasi subito
in mezzo a un fitto strato di nubi. Cominci una leggera nevicata. In quella luce piatta e sempre pi fioca
riuscivo a stento a capire dove finiva la montagna e dove cominciava il cielo. Sarebbe stato facilissimo
finire oltre la sommit del crinale e scomparire per sempre nel nulla; e la situazione continu a peggiorare
man mano che scendevo.
Arrivato in fondo ai gradini di roccia della Cresta Sud-Est, mi fermai insieme a Mike per aspettare
Yasuko, che era in difficolt con le corde fisse. Mike tent di chiamare Rob alla radio, ma la sua
trasmittente funzionava solo a intermittenza e lui non riusc a stabilire il contatto. Con Mike che si
occupava di Yasuko, e tanto Rob quanto Andy che accompagnavano Doug Hansen - l'unico altro cliente
che si trovava ancora pi in alto di noi - immaginai che la situazione fosse sotto controllo. Cos, quando
Yasuko ci raggiunse, chiesi a Mike il permesso di proseguire da solo. Va bene, mi rispose. Bada solo
a non finire gi dalle cornici.
Verso le quattro e tre quarti del pomeriggio, quando arrivai al Balcone, il promontorio alto 8410 metri
sulla Cresta Sud-Est dove mi ero seduto a contemplare l'alba con Ang Dorje, restai sbalordito
nell'incontrare Beck Weathers che se ne stava l impalato, da solo, sotto la neve, scosso da violenti
brividi. Avevo dato per scontato che fosse sceso al Campo Quattro gi da qualche ora. Beck!
esclamai. Che diavolo ci fai, quaggi?
Anni prima, Beck si era sottoposto a un intervento di cheratotomia radiale[34]per correggere la miopia.
Un effetto collaterale dell'operazione, che aveva scoperto fin dai primi giorni di permanenza sull'Everest,
era che la bassa pressione barometrica delle alte quote gli causava un abbassamento della vista. Pi
saliva in alto e la pressione barometrica scendeva e pi la sua vista peggiorava.
Il pomeriggio precedente, mentre saliva dal Campo Tre al Campo Quattro, mi confess Beck, la sua
vista era peggiorata al punto che non riuscivo a vedere pi in l di qualche metro. Cos non ho fatto altro
che mettermi alle calcagna di John Taske e, quando sollevava un piede, non facevo altro che mettere il
mio nell'orma che lui aveva lasciato.

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In precedenza Beck aveva parlato apertamente del suo problema, ma con l'avvicinarsi della vetta aveva
omesso di accennare a quel peggioramento con Rob o con chiunque altro. Nonostante i disturbi agli
occhi, arrampicava senza problemi e si sentiva pi forte che all'inizio della spedizione e, come mi spieg
poi: Non volevo darmi per vinto prima del tempo.
Durante la notte, salendo dalla Cima Sud, Beck era riuscito a tenersi al passo con il gruppo adottando la
stessa strategia che aveva utilizzato il pomeriggio precedente, mettendo i piedi sulle orme della persona
che lo precedeva. Quando per aveva raggiunto il Balcone e il sole si era levato alto nel cielo, lui si era
accorto che la sua vista era ulteriormente peggiorata; per giunta, inavvertitamente si era sfregato sugli
occhi dei cristalli di ghiaccio, procurandosi delle lesioni a entrambe le cornee.
A quel punto, rivel Beck, avevo un occhio completamente appannato, mentre con l'altro riuscivo a
stento a vedere e avevo perso la percezione della profondit. Mi sono reso conto che non ci vedevo
abbastanza bene per salire pi in alto senza .diventare un pericolo per me o un peso per qualcun altro,
cos ho spiegato a Rob quello che stava succedendo.
Mi spiace, amico, aveva decretato subito Rob, ma devi , scendere. Mander gi con te uno degli
sherpa. Beck, per, non era del tutto pronto a rinunciare alle speranze di raggiungere la vetta: Ho
spiegato a Rob che esistevano buone probabilit che la vista migliorasse, una volta che il sole fosse salito
pi in alto e le pupille si fossero contratte. Dissi che volvo aspettare ancora un poe poi, se avessi
cominciato a vederci meglio, salire alla svelta seguendo le orme di qualcun altro.
Rob aveva riflettuto sulla proposta di Beck, poi aveva deciso: D'accordo, mi sembra abbastanza
ragionevole. Ti conceder mezz'ora per scoprire se possibile, ma non posso lasciarti scendere da solo
fino al Campo Quattro. Se la tua vista non migliora entro trenta minuti, voglio che tu resti qui, in modo da
sapere esattamente dove sei finch non ridiscendo dalla vetta, e poi potremo andare gi insieme. Devo
insistere su questo punto: o scendi adesso, oppure promettimi che resterai qui fino al mio ritorno.
Cos ho giurato con una croce sul cuore e 'potessi morire', mi spieg Beck di buon umore, mentre
stavamo fermi l sotto le raffiche di neve e la luce diminuiva sempre pi. E ho mantenuto la parola, ecco
perch sono ancora qui.
Poco dopo mezzogiorno, Stuart Hutchison, John Taske e Lou Kasischke erano passati di l durante la
discesa insieme con Lhakpa e Kami, ma Weathers aveva deciso di non accompagnarli. Il tempo era
ancora buono, mi spieg, e a quel punto non vedevo motivo di mancare alla promessa fatta a Rob.
Ora, per, stava facendo buio e le condizioni del tempo cominciavano a diventare proibitive. Scendi
con me, lo pregai, Ci vorranno almeno due o tre ore prima che Rob si faccia vedere. io sar i tuoi
occhi. Ti porter gi senza problemi. Beck si era quasi lasciato convincere a venire con me, quando
commisi l'errore di accennare al fatto che Mike Groom stava scendendo con Yasuko, pochi minuti dietro
di me. In una giornata costellata di errori, quello si sarebbe rivelato uno dei pi gravi Grazie lo stesso,
mi disse Beck. Penso che aspetter Mike. Lui ha una corda e potr portarmi in cordata fino al campo.
D'accordo, Beck, replicai. Sta a te decidere.. Ci vediamo al campo, allora. Dentro di me, ero
sollevato al pensiero di non dovermi occupare di lui nella discesa che mi aspettava lungo pendii
problematici, in gran parte non protetti da corde fisse. La luce del giorno stava svanendo, il tempo
peggiorava, le mie riserve di energia erano allumicino; eppure non avevo ancora la percezione che il
disastro era in agguato dietro l'angolo. Anzi, dopo aver parlato con Beck persi anche del tempo a
recuperare una bombola vuota che avevo lasciato sepolta nella neve all'andata, dieci ore prima.
Desiderando portare via dalla montagna tutti i miei rifiuti, la ficcai nello zaino insieme con le altre due (una

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vuota, una piena solo in parte), prima di affrettarmi a riprendere la discesa verso il Colle Sud, 480 metri
pi in basso.

Dal Balcone scesi senza problemi per alcune centinaia di metri lungo un canalone ampio e poco ripido,
pieno di neve, ma poi la situazione cominci a farsi critica. Il percorso procedeva a zigzag fra affioramenti
di sfasciumi ricoperti da una coltre di neve fresca alta quindici centimetri. Superare quel terreno instabile e
infido richiedeva una concentrazione ininterrotta, impresa quasi impossibile nel mio stato paragonabile a
quello di un ubriaco.
Poich il vento aveva cancellato le tracce degli alpinisti che erano scesi prima di me, stentavo a
individuare il giusto percorso. Proprio in quel punto, nel 1993, il compagno di Mike Groom, Lopsang
Tshering Bhutia, un esperto scalatore himalayano, nipote di Tenzing Norgay, aveva sbagliato una svolta
ed era precipitato, trovando la morte. Nel tentativo spasmodico di mantenere la presa sulla realt,
cominciai a parlare a voce alta. testa a posto, testa a posto, testa a posto ripetevo ininterrottamente,
come un mantra. Non puoi permetterti di mandare tutto a puttane, quass. Questa una situazione
molto seria. Testa a posto.
Mi sedetti a riposare su un'ampia cengia inclinata, ma pochi, minuti dopo un boato assordante mi
spavent, spingendomi ad , alzarmi. Ormai si era accumulata tanta neve fresca da farmi temere che una
massiccia valanga si fosse messa in moto sulle pendici soprastanti, ma quando mi voltai non vidi niente.
Poi si sentun altro boato, accompagnato da un lampo che illumin per un attimo il cielo, e mi resi conto
che quel fragore era il rombo del tuono.
Al mattino, durante la salita mi ero sforzato di studiare di continuo il percorso in quel tratto della
montagna, cercando di individuare punti di riferimento che fossero utili nella discesa e imprimendomi il
terreno nella memoria con insistenza ossessiva: Ricordati di svoltare a sinistra all'altezza di quel bastione
che somiglia alla prua di una nave. Poi segui quella cresta sottile di neve fin che devia bruscamente a
destra. Era un esercizio al quale mi ero allenato molti anni prima, un rituale che mi imponevo di seguire
ogni volta che compivo una scalata e che forse sull'Everest mi ha salvato la vita. Alle sei del pomeriggio,
mentre il temporale si trasformava in una tormenta in piena regola, con folate di neve e venti di velocit
superiore ai sessanta nodi, m'imbattei nella fune che era stata fissata dai montenegrini sul pendio innevato,
circa centottanta metri al di sopra del Colle Sud. Reso pi lucido dalla violenza della tempesta che si
andava scatenando, mi resi conto di avere superato il tratto pi insidioso appena in tempo.
Avvolgendomi la corda fissa intorno alle braccia per calarmi, continuai a scendere in mezzo alla tormenta
di neve. Qualche minuto dopo, assalito da una fastidiosa sensazione familiare di soffocamento, mi accorsi
che l'ossigeno si era esaurito di nuovo. Tre ore prima, quando avevo collegato il regolatore alla terza e
ultima bombola di ossigeno, avevo notato che l'indicatore segnalava che la bombola era piena solo per
met, ma avevo calcolato che mi sarebbe bastata per gran parte della discesa, e quindi non mi ero curato
di scambiarla con una piena. E ora l'ossigeno era finito.
Mi tolsi la maschera dal viso, lasciandola penzolare intorno al collo, e proseguii con sorprendente
indifferenza; tuttavia senza l'aiuto dell'ossigeno i miei movimenti erano rallentati e dovevo fermarmi pi
spesso a riposare.
La letteratura dell'Everest ricca di racconti di allucinazioni che si possono attribuire alla stanchezza e
alla carenza di ossigeno. Nel 1933, il noto scalatore inglese Frank Smythe aveva osservato due curiosi
oggetti che fluttuavno nel cielo proprio sopra di lui, a 8230 metri circa: [Uno] possedeva delle
appendici simili ad ali tozze e poco sviluppate, mentre laltro aveva una protuberanza che faceva pensare

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a un becco. Si libravano nell'aria restando immobili, ma sembravano pulsare lentamente. Nel 1980,
durante la sua scalata solitaria, Reinhold Messner aveva immaginato che un compagno invisibile salisse
accanto a lui. Pian piano mi resi conto che anche la mia mente era partita per la tangente, osservando con
un misto di attrazione affascinata e orrore il mio lento distacco dalla .realt.
Mi ero spinto a tal punto oltre i limiti della normale spossatezza fisica, che provavo una sorta di bizzarro
distacco dal mio corpo, come se stessi osservando la mia discesa stando a qualche metro di altezza.
Immaginavo di indossare un cardigan verde, con un paio di babbucce a punta ai piedi e, nonostante che il
vento producesse un calo della temperatura che andava oltre i 20 gradi sotto zero, avvertivo un calore
strano e fastidioso.
Alle sei e mezzo, mentre svaniva dal cielo l'ultimo chiarore diurno, ero arrivato a meno di sessanta metri
in verticale dal Campo Quattro. Un solo ostacolo, ormai, si frapponeva fra me e la salvezza: una gobba
di ghiaccio duro e vetroso che avrei dovuto superare senza corda. Pungenti pallottole di neve, sospinte
da raffiche di vento da settanta nodi, mi bersagliavano il viso e qualunque porzione di pelle restasse
scoperta si congelava all'istante. Le tende, a meno di duecento metri di distanza da me, si scorgevano
solo a tratti nel biancore accecante della nevicata: non c'era margine per gli errori. Preoccupato al
pensiero di commettere uno sbaglio fatale, mi sedetti per recuperare le forze prima di proseguire la
discesa.
Una volta seduto, l'inerzia prese il sopravvento. Era tanto pi facile restare l a riposarmi, anzich fare
appello alle ultime energie per affrontare quell'insidioso pendio di ghiaccio; cos rimasi inerte, immobile
mentre la tempesta infuriava intorno a me, lasciando vagare i pensieri, senza fare nulla per circa tre quarti
d'ora.
Avevo stretto i lacci del cappuccio, lasciando solo una minuscola apertura intorno agli occhi, e stavo
slacciando la maschera dell'ossigeno che mi pendeva sotto il mento, ormai ghiacciata e inutile, quando
all'improvviso dall'oscurit accanto a me sbuc Andy Harris. Proiettando nella sua direzione il raggio
della mia lampada, sussultai istintivamente nel vedere lo stato spaventoso in cui era ridotto il suo viso.
Aveva le guance ricoperte da una maschera di ghiaccio e un occhio chiuso dal gelo, oltre al fatto che
pronunciava le parole con voce fortemente impastata. Era in seri guai. Da che parte per le tende?
biascic, freneticamente impaziente di mettersi al riparo.
Gli indicai la direzione del Campo Quattro, poi lo misi in guardia sul ghiaccio che si stendeva sotto di noi.
E pi ripido di quanto sembra! gridai, alzando la voce per farmi sentire al di sopra della tempesta.
Forse dovrei scendere prima io per andare a procurarmi una corda al campo... Mentre ancora
parlavo, Andy si volt bruscamente e scomparve oltre il ciglio del pendio, piantandomi l, sconcertato.
Slittando sul posteriore, cominci a calarsi lungo la parte pi ripida del pendio. Andy, gli gridai dietro,
da pazzi tentare cos! Ti caccerai sicuramente in un guaio! Lui mi grid qualcosa di rimando, ma le
sue parole furono trasportate lontano dall'ululato del vento. Un attimo dopo perse la presa, rote su se
stesso come una trottola e si ritrov all'improvviso a scivolare a capofitto sul ghiaccio.
Sessanta metri pi in basso, riuscii a stento a individuare la sagoma immobile, inerte ai piedi del pendio.
Ero sicuro che si fosse fratturato come minimo una gamba, se non l'osso del collo. Invece,
incredibilmente, si alz in piedi, agit le braccia per segnalare che era tutto a posto e si avvi traballando
verso il Campo Quattro, che in quel momento era perfettamente visibile, a circa centocinquanta metri di
distanza.
Scorsi le sagome incerte di tre o quattro persone in piedi all'esterno delle tende; le loro lampade
scintillavano oltre cortine di neve sospinta dal vento. Osservai Harris dirigersi verso il campo

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attraversando un tratto pianeggiante e coprendo la distanza in meno di dieci minuti. Quando le nubi si
chiusero, un attimo dopo, oscurandomi la visuale, era a meno di venti metri dalle tende, forse ancora pi
vicino. Da allora non lo rividi pi, ma ero sicuro che avesse raggiunto la sicurezza del campo, dove senza
dubbio Chuldum e Arita lo aspettavano con un bel t bollente. Seduto all'aperto sotto la tempesta, con la
gobba di ghiaccio che ancora mi separava dalle tende, provai una fitta di invidia. Ero in collera perch la
guida non mi aveva aspettato.
Il mio zaino conteneva poco pi che tre bombole di ossigeno vuote e mezzo litro di limonata ghiacciata.
Probabilmente non pesava pi di sette, otto chili, ma io ero stanco e preoccupato al pensiero di dover
scendere quel pendio senza rompermi una gamba; cos gettai lo zaino oltre il ciglio, sperando che si
fermasse in un punto dove avrei potuto recuperarlo. Poi mi alzai e cominciai la discesa sul ghiaccio, che
era liscio e duro come la superficie di una palla da bowling.
Quindici minuti di discesa insidiosa e faticosa con i ramponi mi portarono sano e salvo in fondo al
pendio, dove individuai facilmente lo zaino, e dopo altri dieci minuti ero anch'io al campo. Mi tuffai nella
tenda con i ramponi ancora ai piedi, chiusi la lampo dell'apertura e crollai disteso sul pavimento
ghiacciato, cos sfinito da non riuscire nemmeno a stare seduto. Per la prima volta ebbi la percezione di
quanto fossi esausto; ero pi stanco di quanto mi fossi mai sentito in vita mia, ma almeno ero in salvo.
Andy era in salvo. Gli altri sarebbero arrivati al campo fra poco. Ce l'avevamo fatta, accidenti: avevamo
scalato l'Everest! A tratti c'era stato qualche inconveniente, ma alla fine tutto era andato a meraviglia.
Dovevano passare molte ore prima che scoprissi che non tutto era andato a meraviglia, e che diciannove
fra uomini e donne erano bloccati sulla montagna dalla tempesta, impegnati in una lotta disperata per la
vita.
Ci sono molti gradi di rischio nelle tempeste e nelle avventure, e solo di tanto in tanto emerge, dalla
superficie dei fatti, una sinistra intenzionalit di violenza - quel qualcosa di indefinibile che si impone alla
mente e al cuore delluomo e gli fa capire che questo concatenamento di incidenti questa furia degli
elementi, sono diretti deliberatamente contro di lui; con uno scopo maligno, con una virulenza
incontrollabile, con una crudelt senza limiti, che vuole strappargli la speranza e la paura, il dolore della
fatica e la bramosia del riposo; e questo significa frantumare, distruggere, annientare tutto ci che egli ha
visto, conosciuto, amato, goduto o odiato; tutto ci che non ha prezzo e che necessario - la luce del
sole, i ricordi; il futuro - e questo significa spazzar via del tutto dai suoi occhi questo prezioso mondo, con
il semplice e terribile atto di togliergli la vita.
JOSEPH CONRAD
Lord Jim

Neal Beidleman raggiunse la vetta all'una e venticinque del pomeriggio, guidando il cliente Martin
Adams. Quando vi arrivarono, Andy Harris e Anatoli Boukreev erano gi sulla cima, mentre io mi ero
allontanato da otto minuti. Dando per scontato che il resto della squadra sarebbe comparso di l a poco,
Beidleman scatt delle foto, scambi qualche battuta con Boukreeve si sedette ad aspettare. Alle 13.45,
il cliente Klev Schoening super il tratto finale, estrasse una foto della moglie e dei figli e diede inizio a
una commossa celebrazione del suo arrivo sul tetto del mondo.
Dalla cima, una gobba nel crinale impediva la vista del resto del percorso, e alle due - ora
designata per il rientro - non si vedeva ancora traccia di Fischer o degli altri clienti. Beidleman incominci
a preoccuparsi dell'ora tarda.

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Trentaseienne, formatosi come ingegnere aerospaziale, era un tipo tranquillo, un guida prudente ed
estremamente coscienziosa, molto apprezzata dalla maggior parte dei membri della sua squadra e di
quella di Hall; inoltre era uno degli scalatori pi forti che fossero presenti in quel momento sulla montagna.
Due anni prima lui e Boukreev, che considerava un buon amico, avevano scalato insieme il Makalu, alto
8463 metri, in un tempo quasi da record, senza l'ausilio dell'ossigeno o degli sherpa. Beidleman aveva
conosciuto Fischer e Hall nel 1994, sulle pendici del K2, e aveva fatto a entrambi un'impressione positiva
con la sua competenza e il suo temperamento affabile e tranquillo. D'altra parte, poich aveva
un'esperienza limitata alle alte quote (il Makalu era l'unica grande vetta himalayana che avesse scalato), la
sua posizione nella catena gerarchica era inferiore a quella di Fischer e Boukreev e la sua paga rifletteva
tale condizione: aveva accettato di fare la guida sull'Everest per diecimila dollari, mentre a Boukreev
Fischer ne dava venticinquemila.
Beidleman, sensibile per natura, era ben cosciente del posto che occupava nella gerarchia della
spedizione. Ero considerato decisamente la terza guida, ha ammesso in seguito, quindi tentavo di non
mostrarmi troppo invadente. Di conseguenza non sempre facevo sentire la mia voce quando avrei
dovuto, e ora mi prenderei a calci per questo.
Beidleman ha dichiarato che secondo il piano di massima formulato da Fischer per il giorno della
scalata, Lopsang Jangbu avrebbe dovuto trovarsi in testa alla fila, portando con s una radio e due rotoli
di corda da installare prima dell'arrivo dei clienti; Boukreev e Beidleman (ai quali non era stata assegnata
una radio) dovevano trovarsi al centro o in testa, a seconda di come si muovevano i clienti; e Scott, che
portava con s una seconda radio, sarebbe rimasto in coda al gruppo per raccogliere i ritardatari. Dietro
suggerimento di Rob, avevamo deciso di fissare il limite massimo per il rientro alle due del pomeriggio;
chiunque per quell'ora non fosse a un tiro di sputo dalla vetta doveva fare dietrofront e cominciare a
scendere.
Sarebbe toccato a Scott riportare indietro i clienti, spieg Beidleman. Ne avevamo parlato. Gli
avevo detto che io, in veste di semplice terza guida, non me la sentivo di annunciare a clienti che avevano
sborsato sessantacinquemila dollari a testa che dovevano tornare indietro. E Scott aveva ammesso che
quella responsabilit spettava a lui; invece, non so perch, non andata cos. In effetti le uniche persone
ad arrivare sulla vetta prima delle due del pomeriggio fummo Boukreev, Harris, Beidleman, Adams,
Schoening e io; se Fischer e Hall avessero rispettato le regole stabilite in anticipo, tutti gli altri sarebbero
dovuti tornare indietro prima di raggiungere la vetta.
Nonostante la crescente ansia di Beidleman per il passare del tempo, lui non aveva la radio e quindi
non poteva discuterne con Fischer. Lopsang, che invece la radio l'aveva, si trovava ancora in basso, fuori
della sua visuale. La mattina presto, quando Beidleman aveva incontrato Lopsang sul Balcone, mentre
vomitava accovacciato sulla neve, gli aveva preso i due rotoli di corda da installare sui ripidi gradoni di
roccia pi in alto. Tuttavia, come lamenta adesso: Non mi venne assolutamente in mente di prendergli
anche la radio.
Il risultato, ricorda Beidleman, fu che finii per restare seduto a lungo sulla vetta, guardando di
continuo l'orologio in attesa dell'arrivo di Scott, pensando di scendere; ma ogni volta che mi alzavo per
andarmene, compariva un altro dei nostri clienti che superava il ciglio del crinale, e io tornavo a sedermi
per aspettarlo.
Sandy Pittman comparve sul pendio sommitale intorno alle due e dieci, poco prima di Charlotte
Fox, Lopsang Jangbu, Tim Madsen e Lene Gammelgaard; ma si muoveva con estrema lentezza e a
breve distanza dalla vetta cadde di colpo in ginocchio sulla neve. Lopsang, accorrendo in suo aiuto,
scopr che aveva esaurito anche la terza bombola di ossigeno; quella mattina presto, quando aveva

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cominciato a trainarla, aveva anche aperto al massimo l'erogazione dell'ossigeno (quattro litri al minuto) e
di conseguenza lei aveva esaurito le riserve relativamente in fretta. Per fortuna Lopsang, che non usava
ossigeno, aveva una bombola di scorta nello zaino: colleg la maschera e il regolatore di Pittman alla
bombola nuova, e poi salirono insieme gli ultimi metri fino alla vetta, unendosi ai festeggiamenti in corso.
Anche Rob Hall, Mike Groom e Yasuko Namba raggiunsero la cima pi o meno alla stessa ora, e
Hall si colleg via radio con Helen Wilton, al campo base, per darle la buona notizia. Rob mi disse che
lass c'era freddo e vento, ha rievocato Wilton, ma sembrava in buona forma. Mi disse: 'Doug sta
appena comparendo all'orizzonte; subito dopo comincer la discesa... Se non mi sentirai pi, vorr dire
che va tutto bene' . Wilton inform la sede dell' Adventure Consultants, in Nuova Zelanda, e subito part
un turbine di fax diretti ad amici e parenti in tutto il mondo, per annunciare l'esito trionfale della
spedizione.
Tuttavia in quel momento Doug Hansen non era poco pi in basso della cima, come credeva Hall,
e neppure Fischer. In effetti sarebbero arrivate le tre e quaranta prima che Fischer raggiungesse la vetta,
e Hansen non avrebbe fatto la sua comparsa se non dopo le quattro del pomeriggio.

Il giorno precedente, gioved 9 maggio, quando eravamo saliti tutti dal Campo Tre al Campo
Quattro, Fischer aveva raggiunto le tende del Colle Sud solo alle cinque del pomeriggio, e quando infine
era arrivato appariva visibilmente stanco, anche se faceva del suo meglio per nascondere la stanchezza ai
clienti. Quella sera, ricord la sua compagna di tenda, Charlotte Fox, non avrei mai immaginato che
Scott fosse stato male. Era pieno di entusiasmo e caricava tutti, come un allenatore di football prima della
finale.
In realt Fischer era sfinito dallo sforzo fisico e mentale sostenuto nelle settimane precedenti;
bench possedesse straordinarie riserve di energia, le aveva letteralmente sperperate, tanto che quando
arriv al Campo Quattro erano quasi esaurite. Scott persona forte, riconobbe Boukreev dopo la
spedizione, ma prima dell'assalto alla vetta stanco, ha molti problemi, spreca molte energie. Pensieri,
pensieri, pensieri, pensieri. Scott nervoso, ma tiene tutto dentro.
Inoltre Fischer per tutta la scalata tenne nascosto a tutti anche il fatto che probabilmente era affetto
da una grave malattia. Nel 1984, durante una spedizione sul massiccid dell'Annapurna, nel Nepal, aveva
contratto una misteriosa malattia che era degenerata in un'affezione cronica del fegato. Nel corso degli
anni si era fatto visitare da molti medici, si era sottoposto a intere batterie di esami clinici, ma una diagnosi
definitiva non era stata mai pronunciata. Fischer si riferiva al suo disturbo definendolo semplicemente una
cisti epatica, ne parlava solo a pochi intimi e tentava di fingere che non ci fosse nulla di cui
preoccuparsi.
Di qualunque cosa si trattasse, osserva Jane Bromet, una dei pochi intimi al corrente della malattia,
produceva sintomi simili a quelli della malaria, anche se malaria non era. Scott veniva assalito da violenti
attacchi di brividi, accompagnati da sudorazione profusa. Le crisi lo lasciavano esausto, ma duravano
solo da dieci a quindici minuti, poi passavano. A Seattle ne aveva una alla settimana, pi o meno, ma
quando era sotto stress diventavano pi frequenti. Al campo base ne aveva pi spesso... a giorni alterni,
e qualche volta tutti i giorni.
Se Fischer soffr di questi attacchi al Campo Quattro o pi in alto, non ne parl mai con nessuno. Fox
rifer che il gioved sera, subito dopo essere strisciato all'interno della tenda che dividevano, Scott si
addorment come un sasso e dorm sodo per circa due ore. Quando si svegli, alle dieci di sera, si
mostr lento nel prepararsi e rimase al campo molto tempo dopo la partenza degli ultimi clienti, guide e

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sherpa, diretti verso la vetta.


Non chiaro a che ora abbia lasciato esattamente il Campo Quattro; forse soltanto all'una del mattino di
venerd 10 maggio. Si trascin verso la vetta con molto ritardo su tutti gli altri e non raggiunse la Cima
Sud che intorno all'una del pomeriggio. Io lo vidi per la prima volta verso le due e tre quarti, durante la
discesa dalla vetta, mentre aspettavo insieme a Andy Harris che la folla si diradasse sullo Hillary Step.
Fischer fu l'ultimo a salire lungo la corda, con un aspetto estremamente stanco.
Dopo uno scambio di cordialit, parl in breve con Martin Adams e Anatoli Boukreev, che erano fermi
poco pi su di Harris e me, in attesa di scendere oltre lo Step. Ehi, Martin., disse Fischer attraverso la
maschera a ossigeno, tentando di ostentare un tono scherzoso, pensi di farcela a scalare l'Everest?
Ehi, Scott, ribatte Adams, apparentemente irritato che l'altro non gli avesse fatto le congratulazioni,
l'ho appena scalato.
Subito dopo Scott scambi qualche parola con Boukreev. Secondo quanto ricorda Adams, Boukreev
disse a Fischer: io scendo con Martin. Dopodich Fischer riprese lentamente e faticosamente l'ascesa
verso la vetta, mentre Harris, Boukreev, Adams e io ci voltavamo per calarci lungo le corde dello Step.
Nessuno fece commenti sull'aspetto esausto di Fischer; a nessuno di noi venne in mente che potesse
essere in crisi.

Alle 15.10 di venerd, Fischer non era ancora arrivato in vetta, afferma Beidleman, che aggiunge: Decisi
che era ora di filarcela di l, anche se Scott non si era ancora fatto vedere. Radun Pittman,
Gammelgaard, Fox e Madsen e cominci a guidarli nella discesa lungo la cresta della vetta. Venti minuti
dopo, poco pi in alto dello Hillary Step, incrociarono Fischer. In realt non gli dissi nulla, ricorda
Beidleman. Lui alz la mano. Mi sembr affaticato, ma dal momento che era Scott non mi preoccupai in
modo particolare. Immaginavo che sarebbe salito fino alla vetta e ci avrebbe raggiunti in tempo per
aiutarci a portare gi i clienti.
La preoccupazione principale di Beidleman era Sandy Pittman: A quel punto erano tutti piuttosto
esausti, ma Sandy sembrava particolarmente incerta sulle gambe. Pensai che, se non la tenevo d'occhio,
c'erano buone probabilit che finisse gi dalla cresta. Cos mi accertai che fosse agganciata alla corda
fissa e nei punti in cui non c'era la corda l'afferravo per l'imbracatura, da dietro, e la reggevo saldamente
finch non raggiungeva la corda successiva. Era cos stravolta che non sono neanche sicuro che. si.
accorgesse della mia presenza.
Poco .pi in basso della Cima Sud, mentre gli scalatori scendevano In mezzo alla neve e a un denso
strato di nuvole, Pittman ebbe un'altra crisi e preg Fox di praticarle una iniezione di un potente steroide,
il dexamethasone. Il dex, come viene chiamato familiarmente, pu annullare per qualche tempo gli
effetti negativi dell'altitudine; ogni componente della squadra di Fischer ne portava una siringa gi pronta
per i casi di emergenza, custodita in un contenitore di plastica per lo spazzolino da denti all'interno della
tuta, dove non c'era il rischio che ghiacciasse. Scostai un po' i pantaloni di Sandy, ricorda Fox, e le
conficcai l'ago nella natica, attraverso i mutandoni e tutto il resto.
Beidleman, che si era soffermato sulla Cima Sud per fare l'inventario dell'ossigeno, arriv sul posto in
tempo per vedere Fox che affondava la siringa nelle carni di Pittman, stesa bocconi sulla neve. Quando
superai il risalto e vidi Sandy l distesa, mentre Charlotte sopra di lei brandiva una siringa ipodermica,
pensai: 'Oh, accidenti, mi sembra una brutta situazione'. Cos domandai a Sandy che cosa succedeva, e
quando tent di rispondermi le usc di bocca solo un balbettio confuso. Estremamente preoccupato,

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Beidleman ordin a Gammelgaard di scambiare la sua bombola di ossigeno piena con quella semivuota di
Pittman, si accert che il regolatore fosse aperto al massimo, poi afferr per l'imbracatura Pittman, che
era scivolata in uno stato di semincoscienza, cominciando a trascinarla gi per il ripido pendio innevato
della Cresta Sud-Est. Una volta preso il via, spiega, la precedevo scivolando verso il basso; poi, a
intervalli di cinquanta metri, mi fermavo, mi assicuravo con le mani alla corda fissa e facevo forza per
bloccare la sua scivolata con il corpo. La prima volta che Sandy mi piomb addosso, le punte dei suoi
ramponi penetrarono nella mia tuta imbottita, e volarono piume dappertutto. Con sollievo generale,
dopo una ventina di minuti l'iniezione e l'ossigeno supplementare rianimarono Pittman, che pot
proseguire la discesa con i suoi mezzi.
Verso le cinque del pomeriggio, mentre Beidleman accompagnava i clienti gi per la cresta, Mike
Groom e Yasuko Namba stavano per raggiungere il Balcone, circa centocinquanta metri sotto di loro.
Da quel promontorio, all'altezza di 8410 metri, il percorso devia bruscamente verso sud in direzione del
Campo Quattro. Tuttavia quando Groom guard nella direzione opposta, gi per il lato nord della cresta,
oltre la cortina di neve soffiata dal vento nella luce incerta, not un alpinista solitario finito
irrimediabilmente fuori strada: era Martin Adams, che era rimasto disorientato dalla tempesta e per errore
aveva cominciato la discesa della parete Kangshung, verso il Tibet.
Appena Adams vide Groom e Namba sopra di s, comprese il suo errore e risal lentamente verso il
Balcone. Quando raggiunse Yasuko e me, Martin era stravolto, ricorda Groom. Aveva la maschera
dell'ossigeno staccata e il viso incrostato di neve. Mi domand: 'Da che parte sono le tende?' Groom
glielo indic e Adams riprese subito ascendere dalla parte giusta della cresta, seguendo il percorso che
avevo tracciato io una decina di minuti prima.
Mentre aspettava che Adams risalisse lungo la cresta, Groom mand avanti Yasuko Namba e si dedic
alla ricerca dell'astuccio di una macchina fotografica, che aveva lasciato l all'andata. Guardandosi
attorno, si accorse per la prima volta che sul Balcone con lui c'era un'altra persona. Dal momento che
era quasi mimetizzato con la neve, lo scambiai per un componente del gruppo di Fischer e lo ignorai. Poi
questa persona mi si par davanti, dicendo: 'Salve, Mike', e mi accorsi che era Beck.
Groom, altrettanto sorpreso di vedere Beck quanto lo ero stato io, tir fuori la corda, cominciando a
trainarlo verso il Colle Sud. Beck era letteralmente accecato, riferisce Groom, al punto che ogni dieci
metri faceva un passo nel vuoto ed ero costretto a trattenerlo con la corda. Ero preoccupato, perch pi
di una volta rischi di farmi precipitare con s. Era un procedimento terribilmente snervante: dovevo fare
bene attenzione ad assicurarmi con la piccozza e ad avere tutti i punti d'appoggio ben ancorati a qualcosa
di solido in ogni momento.
Uno alla volta, seguendo la pista che avevo tracciato quindici o venti minuti prima, Beidleman e gli altri
clienti di Fischer scesero in fila attraverso la tormenta che peggiorava costantemente. Adams era dietro di
me; poi venivano Namba, Groom e Weathers, Schoening e Gammelgaard, Beidleman e infine Pittman,
Fox e Madsen.
Centocinquanta metri pi su, al Colle Sud, dove la ripida parete di scisto cedeva il posto a un pendio
innevato meno erto, Namba esaur l'ossigeno: a quel punto la minuscola giapponese si sedette,
rifiutandosi di muoversi. Ogni volta che tentavo di toglierle la maschera di ossigeno in modo che potesse
respirare meglio, riferisce Groom, lei insisteva per rimetterla. Nessun argomento riusc a persuaderla
che aveva finito l'ossigeno e anzi la maschera rischiava di soffocarla. Ormai Beck si era indebolito al
punto da non riuscire pi a camminare da solo e dovevo portarlo in spalla. Per fortuna, proprio in quel
momento ci raggiunse Neal. Beidleman, vedendo che Groom aveva il suo daffare con Weathers,
cominci a trascinare Namba verso il Campo Quattro, nonostante non facesse parte del gruppo di
Fischer.

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Ormai erano quasi le sei e tre quarti di sera e l'oscurit era quasi totale. Beidleman, Groom, i loro clienti
e due sherpa della squadra di Fischer che si erano materializzati dalla nebbia - Tashi Tshering e Ngawang
Dorje - avevano formato un gruppo unico. Bench procedessero lentamente, erano riusciti ad arrivare a
meno di sessanta metri di dislivello dal Campo Quattro.
In quel momento io stavo raggiungendo le tende, probabilmente con un vantaggio non superiore ai
quindici minuti sul primo del gruppo di Beidleman; ma in quel breve lasso di tempo la tempesta si era
bruscamente tramutata in un uragano in piena regola e la visibilit era scesa al di sotto dei sei metri.
Volendo evitare la pericolosa gobba di ghiaccio, Beidleman guid il suo gruppo lungo una deviazione
che descriveva un arco verso est, dove il pendio era meno ripido, e verso le sette e mezzo il gruppo
raggiunse incolume la vasta e dolce pendenza del Colle Sud. Ormai, per, soltanto tre o quattro persone
avevano le lampade del casco con le batterie ancora funzionanti, mentre tutti erano sull'orlo del collasso
fisico. Fox si affidava sempre pi all'assistenza di Madsen, mentre Weathers e Namba erano incapaci di
camminare senza il sostegno, rispettivamente di Groom e Beidleman.
Beidleman sapeva che si trovavano sul versante orientale, tibetano, del Colle, mentre le tende sorgevano
sul lato occidentale; ma per puntare in quella direzione era necessario procedere controvento,
cacciandosi proprio nelle fauci della tormenta. Granuli di neve e ghiaccio trasportati dal vento colpivano
con violenza il volto degli scalatori, ferendoli agli occhi e rendendo impossibile vedere dove andavano.
Era cos difficile e doloroso, spiega Schoening, che si tendeva inevitabilmente a deviare per sfuggire
all'impatto del vento, scartando sulla sinistra, e fu cos che sbagliammo.
A volte era impossibile persino vedere i propri piedi, tanto soffiava con violenza, continua. Mi
preoccupava l'idea che qualcuno si sedesse o restasse separato dal gruppo, perch non lo avremmo
rivisto pi. Una volta raggiunto il tratto pianeggiante del Colle cominciammo a seguire gli sherpa, e
immaginai che loro sapessero dov'era il campo. Poi all'improvviso si fermarono e tornarono indietro, e
allora fu chiaro che neanche loro avevano idea di dove fossimo. A quel punto provai una sensazione di
nausea alla bocca dello stomaco. Fu allora che mi resi conto per la prima volta che eravamo nei guai.
Per due ore Beidleman, Groom, i due sherpa e i sette clienti brancolarono alla cieca nella tempesta,
sempre pi esausti e in preda all'ipotermia, nella speranza di trovare il campo, per pura fortuna. Una volta
s'imbatterono in un paio di bombole di ossigeno vuote, segno che le tende erano vicine, ma non
riuscirono a localizzarle. Era il caos totale, ricorda Beidleman. La gente si aggira qua e l; io grido con
tutti, tentando di convincerli a seguire un solo capo. Alla fine, verso le dieci di sera, risalii una piccola
altura e provai la sensazione di trovarmi sull'orlo della terra. Avvertivo un vuoto immenso al di l.
Il gruppo era finito senza saperlo sul ciglio pi orientale del Colle, sull'orlo di un precipizio alto 2000
metri che si affacciava sulla parete Kangshung. Si trovavano alla stessa altezza del Campo Quattro, a soli
trecento metri dalla salvezza,[35]ma, come dice Beidleman: Compresi che, se avessimo continuato a
vagare nella tormenta, ben presto avremmo perso qualcuno. Io ero sfinito dallo sforzo di trascinare
Yasuko, Charlotte e Sandy erano a stento in grado di reggersi in piedi. Cos gridai a tutti di rannicchiarsi
l dove si trovavano, in attesa di una tregua della tempesta.
Beidleman e Schoening cercarono un posto riparato per sfuggire al vento, ma non c'erano ripari. Tutti
avevano esaurito da tempo l'ossigeno, e questo rendeva il gruppo pi vulnerabile al gelo prodotto dal
vento, che superava i trentasette gradi Sottozero. Al riparo di un masso non pi grande di una
lavastoviglie, gli scalatori si rannicchiarono l'uno vicino all'altro, un patetico grappolo di corpi su un tratto
di ghiaccio sferzato dal vento. Ormai il freddo mi aveva quasi stroncato, rievoca Charlotte Fox.
Avevo gli occhi ghiacciati e non vedevo in che modo avremmo potuto uscirne vivi. Il freddo era cos

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doloroso che non credevo di riuscire a resistere oltre. Mi limitai a raggomitolarmi a palla, augurandomi
che la morte arrivasse presto. Cercammo di tenerci caldo colpendoci a vicenda, ricorda Weathers.
Qualcuno ci urlava di continuare a muovere gambe e braccia. Sandy era isterica; non faceva che
strillare: 'Non voglio morire! Non voglio morire!' Ma nessuno degli altri parlava granch.

Trecento metri a ovest, nella mia tenda, io ero scosso da brividi irrefrenabili, anche se ero chiuso nel
saccopiuma e indossavo la tuta imbottita di piume e tutti i capi di vestiario che avevo. La bufera
minacciava di squarciare la tenda. Ogni volta che si apriva la porta, il riparo veniva invaso da folate di
vento carico di neve, cosicch tutto l'interno era ricoperto da uno strato alto un paio di dita. Ignaro della
tragedia che si svolgeva all'esterno nella tempesta, scivolavo a tratti nell'incoscienza e nel delirio, causati
dallo sfinimento, dalla disidratazione e dall'effetto cumulativo della mancanza di ossigeno.
A un certo punto, nelle prime ore della sera, entr Stuart Hutchison, il mio compagno di tenda, che mi
scroll con violenza per chiedermi se volevo uscire con lui a battere sulle pentole e agitare torce al cielo
nella speranza di guidare al rientro gli alpinisti smarriti, ma ero troppo debole e incoerente per rispondere.
Hutchison, che era rientrato al campo alle due del pomeriggio ed era quindi molto meno debilitato di me,
tent allora di svegliare i clienti e gli sherpa delle altre tende, ma erano tutti troppo infreddoliti o troppo
esausti; quindi usc nella tormenta da solo.
Quella notte Hutchison lasci la tenda ben sei volte in cerca dei dispersi, ma la tormenta era cos violenta
che non os mai avventurarsi pi in l di qualche metro oltre i confini del campo. I venti erano
violentissimi, sottolinea. La neve trasportata dal vento sembrava un getto di sabbia abrasiva, o
qualcosa del genere. Riuscivo a restare all'aperto solo quindici minuti di seguito, prima di sentirmi troppo
infreddolito e di essere costretto a rientrare nella tenda.

Fuori, fra gli scalatori rannicchiati sul ciglio orientale del Colle, Beidleman s'imponeva di restare all'erta,
in attesa di un segnale che la tempesta stesse per placarsi. Poco prima di mezzanotte, la sua vigilanza fu
premiata: not all'improvviso alcune stelle in cielo e grid agli altri di guardare. Il vento sferzava ancora la
superficie in una furiosa sarabanda, ma in alto il cielo aveva cominciato a schiarirsi, rivelando le sagome
massicce dell'Everest e del Lhotse. Da quei punti di riferimento, Klev Schoening credette di aver
calcolato in quale posizione si trovava il gruppo rispetto al Campo Quattro e, dopo una breve
discussione urlata con Beidleman, convinse la guida che conosceva la via per raggiungere le tende.
Beidleman tent di indurre tutti ad alzarsi, spronandoli nella direzione indicata da Schoening, ma Pittman,
Fox, Weathers e Namba erano troppo deboli per camminare. Ormai agli occhi della guida appariva
evidente che, se qualcuno del gruppo non fosse riuscito a raggiungere le tende e mettere insieme un
gruppo di soccorso, sarebbero morti tutti quanti. Cos Beidleman riun quelli che erano in grado di
muoversi, e poi si avvi a passi incerti nella tempesta, insieme con Schoening, Gammelgaard, Groom e i
due sherpa, per andare in cerca di aiuto, lasciando dietro di s i quattro clienti incapaci di camminare,
affidati alle cure di Tim Madsen. Restio ad abbandonare Charlotte Fox, che era la sua ragazza, Madsen
si era offerto volontario per restare a sorvegliare tutti finch non fossero giunti gli aiuti.
Venti minuti dopo, il contingente di Beidleman entr zoppicando nel campo, dove ci fu un caloroso
incontro con Anatoli Boukreev, molto preoccupato. Schoening e Beidleman, a stento in grado di parlare,
spiegarono al russo dove poteva rintracciare i cinque clienti che erano rimasti all'aperto in balia degli
elementi, poi si accasciarono nelle rispettive tende, completamente sfiniti.

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Boukreev era sceso al Colle Sud prima di tutti gli altri componenti della squadra di Fischer. Anzi, alle
cinque del pomeriggio, mentre i suoi compagni erano ancora impegnati nella discesa tra le nubi a 8530
metri di altitudine, lui era gi nella sua tenda a riposare e bere il t. In seguito, guide esperte avrebbero
messo in discussione la sua decisione di scendere con tanto anticipo sui clienti, un comportamento
estremamente poco ortodosso per una guida. Uno dei clienti di quel gruppo ha mostrato tutto il suo
disprezzo per Boukreev, sottolineando il fatto che, nei momenti cruciali, la guida se la squagliava.
Anatoli aveva lasciato la vetta verso le due del pomeriggio e ben presto si era ritrovato coinvolto
nell'ingorgo all'altezza dello Hillary Step. Appena la folla si era diradata, lui era sceso in fretta lungo la
Cresta Sud-Est senza aspettare i clienti, nonostante che sullo Step avesse detto a Fischer che andava gi
con Martin Adams. Quindi era arrivato al Campo Quattro molto prima che si scatenasse la tormenta.
Dopo la spedizione, quando chiesi ad Anatoli come mai si fosse affrettato a scendere prima del gruppo,
mi consegn una copia di un'intervista che aveva rilasciato qualche giorno prima aMen's Journal
avvalendosi di un interprete russo. Mi disse che l'aveva letta e ne confermava la fedelt. Leggendola a
mia volta, arrivai in fretta alle domande sulla discesa, alle quali aveva risposto come segue:

Sono rimasto [sulla vetta] per circa un'ora. ...Fa molto freddo, naturalmente, ti divora le energie. ...La
mia idea era che non sarebbe servito a niente se fossi rimasto l, a congelarmi nell'attesa. Sarei stato pi
utile tornando al Campo Quattro, in modo da portare su l'ossigeno agli scalatori impegnati nel rientro o
da poter risalire ad aiutarli se qualcuno si fosse sentito debole durante la discesa. ...A quell'altitudine, se
resti fermo, perdi energia per il freddo, e allora non riesci pi a fare niente.

L'ipersensibilit di Boukreev al freddo era senza dubbio fortemente accentuata dal fatto che non usava
ossigeno supplementare; in assenza di ossigeno non poteva certo fermarsi ad aspettare i clienti pi lenti
sulla cresta della vetta senza rischiare congelamenti e ipotermia. Qualunque sia il motivo, comunque, si
precipit a valle prima del gruppo, comportamento che in effetti gli era stato abituale per tutta la
spedizione, come dimostravano le ultime lettere e telefonate di Fischer dal campo base a Seattle.
Quando gli chiesi se fosse opportuno lasciare i clienti sulla cresta della vetta, Anatoli insistette che era
per il bene della squadra: molto meglio che vada a scaldarmi al Colle Sud, per tenermi pronto a
portare su ossigeno se clienti restano senza. In realt, poco dopo il calar della sera, dopo il mancato
rientro del gruppo di Beidleman e il peggioramento della tempesta all'intensit di uragano, Boukreev si
rese conto che dovevano essere in pericolo e comp un coraggioso tentativo di portare loro l'ossigeno.
Ma il suo stratagemma aveva una grossa pecca: dal momento che n lui n Beidleman avevano la radio,
Anatoli non poteva conoscere la reale situazione dei dispersi, e neppure in quale punto dell'enorme
distesa in cima alla montagna potessero trovarsi.
In ogni modo, verso le sette e mezzo del pomeriggio, Boukreev lasci il Campo Quattro per andare in
cerca del gruppo. A quel punto, ricorda:

La visibilit era ridotta all'incirca a un metro, poi divenne pari a zero. Avevo una lampada e cominciai a
usare l'ossigeno per accelerare l'andatura in salita. Portavo con me tre bombole. Tentai di andare pi in
fretta, ma la visibilit era nulla. ... come essere senza; occhi, era impossibile vedere. Questo molto
pericoloso, perch si pu cadere in un crepaccio, si pu cadere lungo il versante sud del Lhotse, in un

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precipizio profondo tremila metri. Tentai di salire, ma era buio e non riuscii a trovare la corda fissa.

Arrivato circa centoottanta metri al di sopra del Colle, Boukreev riconobbe la futilit dei suoi sforzi
e torn al campo, ma, ammette, rischi di perdersi anche lui. Comunque fu un bene che avesse rinunciato
a quel tentativo di salvataggio, perch a quel punto i suoi compagni non erano pi sulla vetta in alto, verso
la quale si era diretto; in realt, quando Boukreev sospese la ricerca, il gruppo di Beidleman stava
vagando sul Colle, centoottanta metrial di sotto del russo.
Quando torn al Campo Quattro intorno alle nove di sera, Boukreev era preoccupato per i
diciannove scalatori che mancavano all'appello, ma, non sapendo dove potevano trovarsi, non poteva
fare nulla se non mordere il freno. Poi, a mezzanotte e tre quarti, Beidleman, Groom, Schoening e
Gammelgaard entrarono vacillando nel campo. Klev e Neal erano privi di forze e riuscivano a parlare a
stento, ricorda Boukreev. Mi dissero che Charlotte, Sandy e Tim avevano bisogno di aiuto e Sandy
stava per morire. Poi mi diedero le indicazioni generali per rintracciarli.
Sentendo arrivare gli scalatori, Stuart Hutchison usc per assistere Groom. Portai Mike nella sua
tenda, ha rievocato Hutchison, e vidi che era davvero esausto. Era in grado di esprimersi chiaramente,
ma questo gli richiedeva uno sforzo spaventoso, come per un moribondo pronunciare le ultime parole.
'Devi andare a cercare qualche sherpa', mi disse. 'Mandali a prendere Beck e Yasuko.' E poi indic il
versante Kangshung .del Colle.
I tentativi di Hutchison di organizzare una squadra di soccorso, tuttavia, si rivelarono inutili.
Chuldum e Arita, gli sherpa della squadra di Hall che non avevano accompagnato la spedizione fino alla
vetta ed erano rimasti di riserva al campo Quattro proprio in vista di un'emergenza del genere, erano fuori
combattimento a causa di un'intossicazione da monossido di carbonio per avere cucinato in una tenda
poco ventilata; anzi, Chuldum vomitava addirittura sangue. Quanto agli altri quattro sherpa della nostra
squadra, erano troppo infreddoliti e debilitati per i postumi della scalata alla vetta.
Dopo la spedizione, chiesi a Hutchison come mai, una volta appresa la posizione degli scalatori
dispersi, non aveva cercato di svegliare Frank Fischbeck, Lou Kasischke o John Taske, oppure di fare
un secondo tentativo per svegliare me, per chiedere il nostro contributo alla spedizione di soccorso. Era
cos evidente che tutti voi eravate completamente esausti, che non ho neanche pensato di chiederlo. Tu
avevi superato a tal punto il livello della normale stanchezza che ho pensato che, se avessi tentato di
partecipare a una spedizione di soccorso, non avresti che peggiorato la situazione: saresti rimasto l fuori
e avremmo dovuto venire a salvare te. Il risultato fu che Stuart usc nella tormenta da solo, ma ancora
una volta costeggi il confine del campo, preoccupato di non riuscire a trovare la via del ritorno se fosse
andato oltre.
Contemporaneamente anche Boukreev stava cercando di organizzare una squadra di salvataggio,
ma non si mise in contatto con Hutchison e non venne alla mia tenda, cosicch i tentativi di Hutchison e
Boukreev rimasero privi di coordinamento e io non venni a conoscenza di nessuno dei due piani. Alla fine
Boukreev scopr, come Hutchison, che tutti coloro che riusciva a svegliare erano troppo sofferenti o
sfiniti o spaventati per essere di qualche utilit; cos il russo decise di riportare il gruppo al campo da solo.
Cacciandosi coraggiosamente nelle fauci della tempesta, perlustr il Colle per quasi un'ora, ma senza
riuscire a trovare nessuno.
Non si diede comunque per vinto; tornato al campo, ottenne delle indicazioni pi dettagliate da
Beidleman e Schoening, poi usc di nuovo, sotto la tormenta. Stavolta scorse il fioco chiarore della
lampada di Madsen e quindi fu in grado di localizzare gli scalatori dispersi. Erano stesi sul ghiaccio,

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immobili, ricorda Boukreev. Non erano in grado di parlare. Madsen era ancora cosciente e capace di
prendersi cura di s, mentre Pittman, Fox e Weathers erano del tutto privi di forze e Yasuko sembrava
morta.
Dopo che Beidleman egli altri erano usciti dal crocchio di corpi per andare in cerca di. aiuto,
Madsen aveva riunito gli scalatori restanti, dando istruzioni a tutti di muoversi in continuazione per stare
caldi. Ordinai a Yasuko di sedersi in grembo a Beck, ricorda Madsen, ma lui ormai era quasi privo di
reazioni e Yasuko non si muoveva affatto. Poco dopo vidi che si era stesa supina, con la neve che le
cadeva sul cappuccio. Non so come, aveva perduto un guanto; la mano destra era scoperta e le dita
erano contratte in modo tale che non si riusciva a stenderle. Sembravano proprio congelate fino all'osso.
Diedi per scontato che fosse morta, continua Madsen. Invece poco dopo si mosse
all'improvviso, tanto che mi spavent: inarc leggermente il collo, come se tentasse di mettersi a sedere, e
il braccio destro si sollev, poi pi niente. Yasuko ricadde al suolo e non si mosse pi.
Quando Boukreev trov il gruppo, fu evidente che avrebbe potuto portare in salvo un solo alpinista
alla volta. Aveva con s una bombola di ossigeno, che lui e Madsen applicarono alla maschera di
Pittman. Poi Boukreev fece capire a Madsen che sarebbe tornato al pi presto e cominci a trasportare
Fox verso le tende. Quando si allontanarono, dice Madsen, Beck rimase raggomitolato in posizione
fetale, senza muoversi per parecchio tempo, mentre Sandy era rannicchiata fra le mie braccia, anche lei
senza muoversi granch. Le gridai: 'Ehi, continua a muovere le dita! Fammi vedere le mani!' E quando lei
si mette seduta e tira fuori le mani, vedo che non ha i guanti... che le mani penzolano inerti dai polsi.
Cos cerco di infilarle di nuovo i guanti, quando tutt'a un tratto Beck mormora: 'Ehi, ho calcolato
tutto'. Poi si allontana un po', quasi rotolando, si accovaccia su un grosso sasso e si alza in piedi, con la
faccia rivolta al vento e le braccia allargate ai lati. Un attimo dopo si alza una raffica di vento che lo
spinge all'indietro nell'oscurit, oltre il raggio di luce della mia lampada, .come un soffio che spegne una
candelina. E quella stata l'ultima volta che l'ho visto.
Poco dopo Toli tornato e ha afferrato Sandy, cos mi sono limitato a prendere la mia roba e ho
cominciato ad arrancare dietro di loro, tentando di seguire la lampada di Toli e di Sandy. Ormai davo per
scontato che Yasuko fosse morta e che Beck fosse una causa persa. Quando finalmente arrivarono al
campo, erano le quattro e mezzo del mattino e il cielo cominciava a schiarirsi all'orizzonte orientale.
Apprendendo da Madsen che Yasuko non ce l'aveva fatta, Beidleman ebbe un crollo e pianse per
quarantacinque minuti nella sua tenda.
Diffido delle sintesi, di ogni genere di carrellata nel tempo, di ogni pretesa eccessiva di tenere sotto
controllo ci che si racconta; a mio parere, chi pretende di comprendere pur essendo palesemente
tranquillo, chi sostiene di scrivere tenendo a freno l'emotivit, uno sciocco e un bugiardo. Capire
significa tremare. Rievocare significa rientrare nei fatti e farsene lacerare... Ammiro l'autorit
dell'inginocchiarsi di fronte all'evento.
HAROLD BRODKEY
Manipulations

Alle sei del mattino dell'11 maggio, Stuart Hutchison riusc finalmente a svegliarmi scrollandomi.
Andy non nella sua tenda, mi disse con un'espressione cupa, e pare che non sia neppure in una delle
altre. Credo che non sia mai arrivato qui.

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Harold scomparso? esclamai. Impossibile, l'ho visto con i miei occhi dirigersi verso il campo!
Scosso e confuso, mi infilai gli scarponi, precipitandomi fuori a cercare Harris. Il vento era ancora forte,
tanto da gettarmi a terra pi volte, ma l'alba era limpida e luminosa, con una visibilit perfetta. Perlustrai
per oltre un'ora tutto il versante occidentale del Colle, sbirciando dietro i massi e facendo capolino sotto
tende lacere e abbandonate da tempo, ma senza trovare traccia di Harris. sentii un fotto di adrenalina
affluirmi nelle vene mentre le lacrime mi salivano agli occhi, sigillandomi all'istante le palpebre con una
frangia di ghiaccio. Come poteva essere scomparso Andy? Era impossibile.
Tornai nel punto in cui si era lasciato scivolare sul ghiaccio per scendere dal Colle, ripercorrendo
metodicamente la via che aveva seguito verso il campo, un itinerario che costeggiava un ampio canalone
di ghiaccio quasi pianeggiante. Nel punto in cui avevo visto Harris per l'ultima volta, prima che calassero
le nubi, una brusca svolta a sinistra lo avrebbe portato a risalire per dieci o quindici metri un rilievo
roccioso sul quale sorgeva l'accampamento di tende.
Mi resi conto, tuttavia, che, se non avesse svoltato a sinistra, ma proseguito diritto lungo il canalone
- sarebbe stato facile in mezzo a quel biancore, anche se non fosse stato sfinito e inebetito dal mal di
montagna - avrebbe raggiunto ben presto l'estremo ciglio occidentale del Colle. Pi in basso, la ripida
superficie di ghiaccio grigio della parete del Lhotse precipitava in verticale per 1200 metri sul fondo del
Cwm occidentale. Mentre ero l immobile, timoroso di muovere ancora un passo verso l'orlo del
precipizio, notai una serie appena visibile di tracce di ramponi che proseguivano verso l'abisso. Temevo
che quelle tracce fossero state lasciate da Andy Harris.
La sera prima, dopo il mio arrivo al campo, avevo detto a Hutchison di aver visto Harris
raggiungere sano e salvo le tende. Hutchison aveva inviato la notizia via radio al campo base, e di l era
stata ritrasmessa attraverso il telefono satellitare alla donna con la quale Harris viveva nella Nuova
Zelanda, Fiona McPherson. Lei si era sentita sopraffare dal sollievo apprendendo che Harris era in salvo
al Campo Quattro. Ora, invece, Jan Arnold, la moglie di Hall laggi a Christchurch, avrebbe dovuto fare
l'inimmaginabile: richiamare McPherson per informarla che c'era stato un terribile equivoco, che in realt
Andy era disperso e presumibilmente morto. Immaginando quella conversazione telefonica e ripensando
al mio ruolo nei fatti che l'avevano causata, caddi in ginocchio, squassato da conati secchi, vomitando in
modo spasmodico mentre il vento gelido soffiava alle mie spalle.
Dopo un'ora di vane ricerche, tornai alla mia tenda in tempo per sentire casualmente una
trasmissione radio fra il campo base e Rob Hall; scoprii cos che era ancora in alto, sulla cresta della
vetta, e chiedeva aiuto. Hutchison mi rifer allora che Beck e Yasuko erano morti e Scott Fischer era
disperso chiss dove sulla vetta che ci sovrastava. Poco dopo le batterie della radio si esaurirono,
isolandoci dal resto della montagna. Allarmati per avere perso il contatto radio con noi, i membri della
squadra IMAX al Campo Due chiamarono il gruppo dei sudafricani, che avevano piantato le tende sul
Colle a pochi metri da noi. David Breashears, il capo dell'IMAX, un alpinista che conosco da vent'anni,
riferisce oggi: Sapevamo che i sudafricani avevano una radio potente e funzionante, cos chiedemmo a
uno dei loro al Campo Due di chiamare Woodall sul Colle Sud per dirgli: 'Senti, questa un' emergenza.
Lass c' gente che muore. Dobbiamo riuscire a comunicare con i superstiti della squadra di Hall per
coordinare il salvataggio. Per favore, presta la radio a Jon Krakauer'. E Woodall rispose di no. Era ben
chiaro quale fosse la posta in gioco, eppure non vollero cedere la radio.

Subito dopo la spedizione, mentre svolgevo le ricerche per il o mio articolo sulla rivistaOutside , ho
intervistato il maggior numero possibile di persone che avevano partecipato alle spedizioni di Hall e
Fischer fino alla vetta, parlando pi volte con quasi tutti. Solo Martin Adams, diffidando dei giornalisti, si

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era defilato dopo la tragedia, sottraendosi ai miei ripetuti tentativi di intervistarlo fin quando non stato
pubblicato l'articolo su
Outside.
Quando riuscii finalmente a rintracciarlo al telefono, verso la met di luglio, e lui acconsent a
parlarmi, cominciai col chiedergli di riferire tutto ci che ricordava dell'assalto finale alla vetta. Adams,
uno dei clienti pi forti saliti quel giorno sulla montagna, era rimasto in testa al gruppo e mi aveva
preceduto o seguito di poco per gran parte della scalata. poich era dotato di una memoria che
sembrava insolitamente affidabile, ero interessato in particolare a scoprire fino a che punto la sua versione
combaciasse con la mia. Adams mi raccont che verso la fine del pomeriggio, mentre ridiscendeva dal
Balcone, a 8410 metri, io ero ancora visibile, forse con una quindicina di minuti di vantaggio su di lui, ma
poich scendevo pi in fretta, ero scomparso ben presto dal suo raggio visivo. E la volta successiva che
ti ho visto, aggiunse, era quasi buio e stavi attraversando il tratto pianeggiante del Colle Sud, a una
trentina di metri dalle tende. Ti ho riconosciuto dalla tuta rossa.
Poco dopo, Adams era sceso su un declivio piatto, poco pi su del ripido pendio ghiacciato che mi
aveva dato tanti problemi, ed era precipitato in un piccolo crepaccio. Era appena riuscito a uscirne,
quando era caduto in un altro crepaccio, pi profondo. Mentre giacevo in quel crepaccio, pensavo:
'Forse stavolta finita', ricorda oggi. Ci voluto un po' di tempo, ma alla fine sono riuscito a uscire
anche da quello. Quando sono risalito all'aperto, avevo il viso ricoperto di neve, che si tramutata subito
in ghiaccio. Poi ho visto qualcuno seduto sul ghiaccio alla mia sinistra, con la lampada accesa sul casco, e
mi sono avviato in quella direzione. Non era ancora buio pesto, ma l'oscurit era tale che non riuscivo pi
a vedere le tende.
Cos mi sono avvicinato a quel tale e gli ho chiesto: 'Ehi, dove sono le tende?' e lui, chiunque
fosse, mi ha indicato la strada. Allora gli ho risposto: 'Gi, quello che pensavo'. Poi il tizio mi ha detto
qualcosa come: 'Fa' attenzione, il ghiaccio qui pi ripido di quanto sembra. Forse dovremmo scendere
a procurarci una corda e qualche chiodo da ghiaccio'. Dentro di me ho pensato: 'Col cavolo. Io ne sono
fuori'. Cos ho fatto due o tre passi, sono inciampato e sono scivolato sul ghiaccio bocconi, con la testa in
avanti. Mentre scivolavo, non so come la punta della mia piccozza si impigliata e mi ha fatto girare su
me stesso, dopodich mi sono fermato in fondo alla discesa. Mi sono alzato, ho raggiunto barcollando le
tende, e questo quanto.
Mentre Adams descriveva il suo incontro con l'anonimo scalatore, e poi la scivolata sul ghiaccio, mi
sentii inaridire la bocca e drizzare di colpo i capelli sulla nuca. Martin, gli domandai alla fine, pensi che
potrei essere io quello in cui ti sei imbattuto?
No, che diamine! rispose lui ridendo. Non so chi fosse, ma senz'altro non eri tu. Ma poi gli
parlai del mio incontro con Andy Harris e della sconcertante serie di coincidenze: io mi ero imbattuto in
Harris pi o meno alla stessa ora in cui Adams aveva incontrato l'uomo misterioso, e all'incirca nello
stesso punto. Gran parte del dialogo fra Harris e me era stranamente simile al dialogo fra Adams e
l'uomo misterioso. E poi Adams era scivolato sul ghiaccio a capofitto, pi o meno nello stesso modo in
cui avevo visto scivolare Harris.
Dopo aver parlato ancora per qualche minuto, Adams si convinse. Allora con te che ho parlato
lass sul ghiaccio, dichiar, stupito, ammettendo che doveva essersi sbagliato quando aveva creduto di
vedermi attraversare il tratto pianeggiante del Colle Sud poco prima del buio. Ed con me che hai
parlato. Il che significa che non si trattava affatto di Harris. Accidenti, amico, penso che avrai qualche
spiegazione da dare.

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Ero sbigottito. Da due mesi andavo ripetendo che Harris era morto precipitando dal ciglio del
Colle Sud, e ora saltava fuori che invece non era andata affatto cos. Il mio errore aveva aggravato di
molto, e inutilmente, il dolore di Fiona McPherson, dei genitori di Andy, Ron e Mary Harris, del fratello
David e di tanti suoi amici.
Andy era un omone del peso di novanta chili, alto pi di un metro e ottanta, che parlava con un
forte accento neozelandese; Martin era pi basso di almeno quindici centimetri, pesava al massimo
sessanta chili e parlava con un accento strascicato del Texas. Come avevo potuto commettere un errore
cos marchiano? Ero davvero sfinito al punto da guardare in faccia un semisconosciuto e scambiarlo con
un amico col quale avevo trascorso le sei settimane precedenti? E se Andy non era mai arrivato al
Campo Quattro dopo avere scalato la vetta, che cosa gli era accaduto, in nome di Dio?
Il nostro fallimento dovuto senza dubbio a questa improvvisa ondata di maltempo, che apparentemente
non ha alcuna spiegazione esauriente. Sono convinto che mai essere umano abbia dovuto sopportare un
mese come quello che stato inflitto a noi: eppure ce l' avremmo fatta anche a dispetto del tempo, non
fosse stato per l'infermit di un secondo compagno, il capitano Oates, per una carenza di combustibile nei
nostri depositi di cui non so darmi ragione e, infine, per la tempesta che si abbattuta su di noi a meno di
undici miglia dal deposito nel quale confidavamo di assicurarci le ultime provviste. Di certo la mala sorte
avrebbe potuto risparmiarci almeno questo ultimo colpo. [...l Abbiamo corso dei rischi e lo abbiamo fatto
in piena coscienza; la situazione si rivolta contro di noi, e quindi non abbiamo motivo di lamentarci, ma
ci inchiniamo alla volont della Provvidenza, decisi ancora a fare del nostro meglio per resistere...Se
fossimo sopravvissuti: avrei potuto narrare esempi di tale ardimento, resistenza e coraggio da parte dei
miei compagni da intenerire il cuore di ogni inglese. La storia ormai affidata a queste poche note
approssimative, oltre che ai nostri corpi.
ROBERT FALCON SCOTT
inMessaggio al pubblico ,
vergato poco prima della morte
nell'Antartide, il 29 maggio 1912,
daScott's Last Expedition

Raggiungendo la vetta intorno alle 15.40 dello maggio, Scott Fischer trov ad aspettarlo il suo devoto
amico e sirdar, Lopsang Jangbu. Lo sherpa estrasse dalla tuta la radiotrasmittente, stabil il contatto con
Ingrid Hunt, al campo base, quindi consegn a Fischer il walkie-talkie. Ce l'abbiamo fatta tutti quanti,
rifer Fischer a Hunt, 3500 metri pi in basso. Dio, come sono stanco. Pochi minuti dopo, arriv
Makalu Gau con due sherpa. C'era anche Rob Hall, che aspettava impaziente l'arrivo di Doug Hansen,
mentre una marea di nubi lambiva minacciosa la cresta della vetta.
Secondo Lopsang, nei quindici o venti minuti che trascorse sulla vetta, Fischer si lament pi volte
di non sentirsi bene, cosa che la guida, gioviale fino allo stoicismo, non faceva quasi mai. Scott mi disse:
'Sono troppo stanco. Mi sento anche male, ho bisogno della medicina per lo stomaco', ricorda lo
sherpa. Gli offrii del t, ma lui ne bevve solo un poco, appena la met. Allora gli dico: 'Scott, per favore,
andiamo gi presto'. E cos scendiamo.
Fischer cominci la discesa per primo, verso le 15.55. Lopsang riferisce che, sebbene Scott

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avesse fatto ricorso all'ossigeno per tutta la salita e la terza bombola fosse ancora piena per tre quarti
quando aveva lasciato la vetta, a quel punto - non si sa perch - si tolse la maschera e smise di usarla.
Poco dopo che Fischer si era allontanato, anche Gau e lo sherpa si misero in marcia, e da ultimo
scese Lopsang, lasciando Hall solo sulla vetta ad aspettare Hansen. Un attimo dopo la partenza di
Lopsang, verso le quattro, comparve finalmente Hansen, che tirava il fiato con i denti e avanzava con
penosa lentezza per superare la gobba finale che porta alla vetta. Appena lo vide, Hall si affrett ad
andargli incontro.
Il limite orario da lui stesso fissato per la discesa era arrivato, anzi era gi passato da due ore
abbondanti. Dato il temperamento conservatore ed esasperatamente meticoloso della guida, molti dei
suoi colleghi sono rimasti perplessi di fronte a quell'errore di giudizio, cos poco in carattere con lui. Per
quale motivo, si sono chiesti, non aveva fatto tornare indietro Hansen molto tempo prima, non appena
era apparso evidente che lo scalatore americano era in ritardo?
Esattamente un anno prima, Hall aveva costretto Hansen a tornare indietro sulla Cima Sud alle due
e mezza del pomeriggio, e vedersi negare la conquista della vetta quando era gi cos vicino aveva
rappresentato per Hansen una delusione cocente. Doug mi aveva detto pi volte che era tornato sull
'Everest nel 1996 in gran parte per effetto delle capacit di persuasione di Hall - mi rifer che Rob lo
aveva chiamato dalla Nuova Zelanda .una dozzina di volte scongiurandolo di ritentare - e che stavolta
era assolutamente deciso a raggiungere la vetta. Voglio farlo per potermi liberare da questa ossessione,
mi aveva detto tre giorni prima al Campo Due. Non voglio essere costretto a tornare un' altra volta. Sto
diventando troppo vecchio per queste stronzate.
Non appare inverosimile l'ipotesi che, dal momento che era stato proprio lui a convincere Hansen.
a tornare sull'Everest, Hall trovasse particolarmente arduo negargli per la seconda volta la possibilit di
raggiungere la vetta. E molto difficile indurre qualcuno a desistere quando gi arrivato in alto,
ammonisce Guy Cotter, una guida neozelandese che aveva scalato l'Everest con Hall nel 1992 e gli aveva
fatto da guida nel 1995 , in occasione del primo tentativo di Hansen. Se i clienti vedono che la vetta
vicina e sono fermamente decisi a raggiungerla, ti ridono in faccia e proseguono. Come ha dichiarato il
veterano delle guide americane Peter Lev alla rivistaMagazine , dopo le disastrose vicende sull'Everest:
Noi crediamo che la gente ci paghi perch prendiamo buone decisioni, ma in realt ci paga perch li
portiamo sulla vetta.
Comunque sia, Hall non indusse Hansen a tornare indietro alle due, e neanche alle quattro, quando
incontr il suo cliente poco al di sotto della vetta. Anzi, secondo Lopsang, Hall si mise intorno al collo un
braccio di Hansen e sostenne il cliente esausto per gli ultimi dodici metri che lo separavano dalla vetta; si
trattennero lass solo un paio di minuti prima di cominciare la lunga discesa.
Quando Lopsang vide che Hansen barcollava, rallent l'andatura quanto bastava per accertarsi che
Doug e Rob superassero incolumi una zona di pericolose cornici, poco pi in basso della vetta. Poi,
ansioso di raggiungere Fischer, che ormai aveva oltre mezz'ora di vantaggio su di lui, lo sherpa riprese a
scendere lungo la cresta, lasciando Hansen e Hall in cima allo Hillary Step.
Poco dopo che Lopsang era scomparso oltre lo Step, Hansen a quanto pare esaur l'ossigeno ed
ebbe un collasso; aveva speso fino all'ultima stilla di energia per raggiungere la vetta, e ora non gli
restavano riserve per la discesa. Pi o meno la stessa cosa che gli era successa nel '95, osserva Ed
Viesturs, che quell'anno aveva lavorato come guida per Hall, insieme a Cotter. Durante la salita stava
benissimo, ma appena cominciata la discesa si era smarrito, sul piano fisico e mentale; si era trasformato
in uno zombie, come se avesse esaurito tutte le forze.

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Alle 16.30, e poi di nuovo alle 16.41, Hall us la radio per segnalare che lui e Hansen erano nei
guai sulla cresta sommitale e avevano urgente bisogno di ossigeno. C'erano due bombole piene che li
aspettavano alla Cima Sud; se Hall lo avesse saputo, avrebbe potuto recuperarle abbastanza in fretta e
poi risalire per fornire a Hansen una bombola nuova. Tuttavia Andy Harris, che si trovava ancora presso
il deposito dell'ossigeno, in preda alla demenza provocata dall'ipossia, sent quelle comunicazioni alla
radio e intervenne per dire a Hall - erroneamente, come aveva fatto con Mike Groom e me - che tutte le
bombole alla Cima Sud erano vuote.
Groom ud la conversazione fra Harris e Hall alla radio, mentre scendeva dalla Cresta Sud-Est
insieme a Yasuko Namba, poco pi su del Balcone. Tent di chiamare'Hall per rettificare l'errore e
informarlo che in realt c'erano delle bombole piene che lo aspettavano alla Cima Sud, ma, come spiega
Groom: La mia radio non funzionava bene. Ero in grado di ricevere quasi tutte le chiamate, ma le mie
trasmissioni venivano captate di rado. In un paio di occasioni furono intercettate da Rob, e io tentai di
dirgli dov'erano le bombole piene, ma subito m'interrompeva Andy, che trasmetteva la notizia che alla
Cima Sud non c'era ossigeno.
Non sapendo se lo avrebbe trovato o no, Hall decise che la linea d'azione migliore era restare con
Hansen e tentare di far scendere senza ossigeno il cliente, ormai quasi incapace di procedere con le
proprie forze. Ma quando arrivarono in cima allo Hillary Step, Hall non riusc a far superare a Hansen
quel salto verticale di dodici metri e furono costretti a fermarsi.
Poco prima delle cinque, Groom riusc finalmente a comunicare con Hall per informarlo che in
realt c'era dell'ossigeno alla Cima Sud. Un quarto d'ora dopo, Lopsang, scendendo dalla vetta,
raggiunse la Cima Sud, dove trov Harris.[36]A quel punto, secondo Lopsang, Harris doveva aver
capito finalmente che almeno due delle bombole riposte l dovevano essere piene, perch preg lo sherpa
di aiutarlo a portare l'ossigeno vitale a Hall e Hansen, bloccati sullo Hillary Step. Andy dice che mi
pagher cinquecento dollari per portare ossigeno a Rob e Doug, rifer Lopsang. Ma io devo pensare al
mio gruppo. Devo prendermi cura di Scott. Cos rispondo a Andy: 'No, io vado subito gi.
Alle 17.30, quando lasci la Cima Sud per riprendere la discesa, Lopsang si volt a guardare Harris che doveva essere estremamente debilitato, se ci si pu basare sulle sue condizioni quando lo avevo visto
sulla Cima Sud, due ore prima - e lo vide risalire lentamente la cresta della vetta per andare in soccorso
di Hall e Hansen. Fu un atto di eroismo che gli sarebbe costato la vita.

Poche centinaia di metri pi in basso, Scott Fischer lottava per scendere dalla Cresta Sud-Est, in preda
a una debolezza sempre pi devastante. Appena raggiunta la sommit dei gradini di roccia, a 8650 metri
di altezza, si trov di fronte a una serie di tratti da superare a corda doppia, brevi ma impegnativi, che
traversavano la cresta in diagonale. Troppo esausto per affrontare la complessit delle manovre con la
corda, Fischer prefer scendere scivolando su un vicino pendio innevato, sedendosi direttamente sulla
neve. Era pi facile calarsi cos che seguendo le corde fisse, ma una volta sceso al di sotto dei gradini di
roccia gli restava da compiere una laboriosa traversata a piedi di un centinaio di metri, attraverso la neve
alta fino al ginocchio, per tornare sul percorso giusto.
Tim Madsen, che scendeva con il gruppo di Beidleman, alzando casualmente lo sguardo dal Balcone
verso le 17.20 vide Fischer cominciare la traversata. Sembrava davvero stanco, ricorda Madsen.
Faceva una decina di passi, poi si sedeva a riposare, faceva ancora un paio di passi e riposava di
nuovo. Si muoveva davvero piano. Ma poi vidi Lopsang scendere lungo la cresta, poco pi in alto di lui,
e pensai, che diamine, con Lopsang l a vegliare su di lui, Scott era a cavallo.

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Lopsang dichiar di avere raggiunto Fischer verso le sei, poco pi su del Balcone. Scott non usava
l'ossigeno, cos gli misi la maschera. Lui mi dice: 'Sono stanco, mi sento troppo male per scendere. Far
un salto'. Lo ripete pi di una volta, come un pazzo, cos lo assicuro subito alla corda, altrimenti salta gi
nel Tibet.
Assicurando Fischer con un tratto di corda di una ventina di metri, Lopsang persuase l'amico a non
saltare e lo indusse ad avanzare lentamente verso il Colle Sud. Ora la tempesta molto forte, ricorda
Lopsang. Boom Boom! Due volte come rumore di cannone, tuono forte. Due volte il fulmine colpisce
molto vicino a me e Scott, molto forte, molto spavento.
Cento metri al di sotto del Balcone, il canalone innevato dalla lieve pendenza in cui stavano scendendo
con cautela cedeva il passo ad affioramenti di scisto ripido e instabile e Fischer, nelle condizioni in cui si
trovava, non era in grado di superare quel terreno insidioso. Ora Scott non pu camminare, ho grande
problema, dice Lopsang. Tento di portarlo in spalla, ma sono molto stanco anch'io. Scott grosso, io
molto piccolo; non posso trasportarlo. Lui mi dice: 'Lopsang, scendi tu. Scendi tu'. 'No, resto qui con
te.'
Intorno alle otto di sera, Lopsang stava rannicchiato insieme a Fischer su una cengia coperta di neve,
quando Makalu Gau e i suoi due sherpa sbucarono dalla tormenta che ululava. Gau era debilitato quasi
come Fischer e altrettanto incapace di scendere oltre quella difficoltosa fascia di scisto, cos gli sherpa lo
misero a sedere vicino a Lopsang e Fischer prima di riprendere la discesa senza di lui.
Io resto con Scott e Makalu un'ora, forse di pi, ricorda Lopsang. Ho molto freddo e sono sfinito.
Scott mi dice: 'Scendi e manda su Anatoli'. Cos rispondo: 'Okay, vado gi e mando subito sherpa e
Anatoli'. Poi preparo un buon posto per Scott e scendo.
Lopsang lasci Fischer e Gau su una cengia, 350 metri al di sopra del Colle Sud, e affront la bufera per
rientrare al campo. Non riuscendo a vederci, fin fuori strada, a ovest e al di sotto del livello del Colle
prima di rendersi conto del suo errore, dopodich fu costretto a risalire fino al limite settentrionale della
parete del Lhotse[37]per localizzare il Campo Quattro. Verso mezzanotte, comunque, riusc a
raggiungere la salvezza. Vado alla tenda di Anatoli, ha riferito Lopsang. Dico ad Anatoli:'Per favore,
va' lass, Scott sta molto male, non pu camminare'. Poi entro nella mia tenda e mi addormento subito, e
dormo come un sasso.

Nel pomeriggio del 10 maggio Guy Cotter, vecchio amico di Hall e di Harris, si trovava casualmente a
qualche chilometro di distanza dal campo base dell'Everest, impegnato come guida in una spedizione sul
Pumori, e aveva seguito alla radio per tutto il giorno le comunicazioni di Hall. Alle 14.15, quando parl
all'amico sulla vetta, tutto sembrava filare liscio. Alle 16.30 e di nuovo alle 16.41, tuttavia, Hall chiam il
campo base per annunciare che Doug era rimasto senza ossigeno e non riusciva a muoversi, e Cotter si
allarm. Alle 16.53 si attacc alla radio, insistendo con Hall perch scendesse dalla Cima Sud. Lo
chiamai soprattutto per convincerlo a scendere e prendere un po' di ossigeno, osserva Cotter, perch
sapevamo che senza di esso non avrebbe potuto fare niente per Doug. Rob diceva che avrebbe potuto
scendere senza problemi da solo, ma non insieme a Doug.
Invece, quaranta minuti dopo, non si era mosso ed era ancora con Hansen in cima allo Hillary Step.
Durante le comunicazioni radio da parte di Hall alle 17.36, e poi di nuovo alle 17.57, Cotter implor
l'amico di lasciare Hansen per scendere da solo. So di aver fatto la figura del bastardo, esortando Rob
ad abbandonare il suo cliente, ammise Cotter, ma ormai era evidente che lasciare Doug era la sua
unica speranza. Hall, comunque, non volle saperne di scendere senza Hansen.

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Non ci furono ulteriori comunicazioni da parte sua fin verso la met della notte. Alle 02.46 del mattino,
Cotter si svegli nella sua tenda, ai piedi del Pumori, sentendo una lunga trasmissione frammentaria,
probabilmente non intenzionale: Hall infatti portava un microfono a distanza, agganciato a uno spallaccio
dello zaino, che di tanto in tanto veniva azionato per errore. In quel caso, dice Cotter, ho il sospetto
che Rob non sapesse neanche di trasmettere. Sentivo qualcuno gridare... forse era lui, ma non posso
averne la certezza perch si udiva il vento cos forte in sottofondo. Comunque diceva qualcosa come:
'Continua a muoverti! Non smettere!' probabilmente rivolto a Doug, per incitarlo a proseguire.
Se davvero era cos, significa che nelle prime ore del mattino Hall e Hansen, forse accompagnati da
Harris, si sforzavano ancora di procedere dallo Hillary Step verso la Cima Sud, in mezzo alla tormenta;
ma significa pure che avevano impiegato pi di dieci ore per coprire in discesa un tratto di cresta che in
genere veniva percorso dagli scalatori in meno di mezz'ora.
Naturalmente, tutto questo puramente ipotetico; l'unica certezza che Hall chiam il campo base alle
17.57. In quel momento, lui e Hansen erano ancora sullo Step, mentre alle 04.43 dell'11 maggio, quando
parl di nuovo con il campo base, era sceso fino alla Cima Sud. A quel punto, per, Hansen e Harris
non erano pi con lui.
In una serie di trasmissioni nel corso delle due ore successive, Rob apparve confuso e irrazionale in
modo preoccupante. Durante la comunicazione delle ore 04.43 disse a Caroline Mackenzie, il nostro
medico del campo base, che le gambe non gli obbedivano pi e che era troppo impacciato per
muoversi. Con voce incrinata e quasi impercettibile, mormor: Stanotte Harold era con me, ma ora mi
sembra che non ci sia pi. Era molto debole. Poi, chiaramente confuso, domand: Harold era con me?
Sapete dirmelo?[38]
A quel punto Hall era in possesso di due bombole piene di ossigeno, ma le valvole della sua maschera
erano intasate al punto che non riusciva a far affluire il gas. Comunque fece capire che stava tentando di
scongelare la valvola dell'ossigeno. E questo, osserva Cotter, ci fece sentire tutti un po' meglio. Era la
prima notizia positiva che ci arrivava.
Alle cinque del mattino, grazie al telefono satellitare, il campo base riusc a stabilire una comunicazione
con la moglie di Hall, Jan Arnold, che si trovava a Christchurch, in Nuova Zelanda. Nel 1993 era salita
anche lei con Hall sulla vetta dell'Everest, quindi non si faceva illusioni sulla gravit della situazione del
marito. Quando udii la sua voce, mi sentii davvero sprofondare, ricorda. Parlava con la voce
impastata. Sembrava un vecchio decrepito, o qualcosa del genere, come se la sua voce stesse per
spegnersi da un momento all'altro. Ero stata lass e sapevo come poteva essere, in condizioni
atmosferiche avverse. Rob e io avevamo parlato dell'impossibilit di un'operazione di salvataggio sulla
cresta della vetta. Come aveva detto lui stesso: 'Tanto varrebbe trovarsi sulla luna'.
Alle 05.31, Hall assunse per via orale quattro milligrammi di dexamethasone e fece capire che stava
ancora cercando di liberare dal ghiaccio la maschera dell'ossigeno. Parlando con il campo base, chiese
pi volte notizie sulle condizioni di Makalu Gau, Beck Weathers, Yasuko Namba, e degli altri clienti.
Sembrava preoccupato soprattutto per Andy Harris, visto che continuava a chiedere dove si trovasse.
Cotter riferisce che tentarono di sviare la conversazione da Harris, che con ogni probabilit era morto,
perch non volevamo che Rob avesse un altro motivo per restare lass. A un certo punto intervenne Ed
Viesturs dal Campo Due e ment, assicurandogli: 'Non preoccuparti per Andy; quaggi con noi'.
Poco dopo, Mackenzie domand a Rob come stava Hansen, e lui rispose: Doug se n' andato. Non
disse altro, e quello fu il suo ultimo accenno a Hansen.

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Il 23 maggio, quando David Breashears e Ed Viesturs raggiunsero la vetta insieme, non trovarono alcuna
traccia del corpo di Hansen; tuttavia scoprirono una piccozza conficcata nel ghiaccio circa quindici metri
pi in alto della Cima Sud, lungo un tratto molto esposto della cresta, dove le corde fisse si arrestano di
colpo. perfettamente plausibile l'ipotesi che Hall e/o Harris siano riusciti a calare Hansen lungo le corde
fino a quel punto, solo per vederlo perdere l'equilibrio e precipitare per oltre duemila metri lungo la
parete sud-est, lasciando la piccozza conficcata nella cresta nel punto da cui era scivolato; ma anche
questa solo una congettura.
Che cosa possa essere accaduto a Harris resta ancor pi difficile da accertare. Fra la testimonianza di
Lopsang, le comunicazioni via radio di Hall e il fatto che sulla Cima Sud fu ritrovata un'altra piccozza
identificata come quella di Andy, possiamo dedurre con ragionevole certezza che la notte del 10 maggio
si trovava anche lui sulla Cima Sud insieme a Hall. A parte questo, per, non si sa praticamente nulla del
modo in cui la giovane guida perse la vita.
Alle sei del mattino, Cotter chiese a Hall se il sole era gi arrivato fino a lui. Quasi, rispose Rob; e
questo era un bene, perch un attimo prima aveva accennato al fatto che era scosso da brividi
incontrollabili per il freddo spaventoso. Insieme alla precedente rivelazione che non era pi in grado di
camminare, quella era stata una notizia sconvolgente per coloro che ascoltavano dal campo base.
Comunque era di per s incoraggiante il fatto che Hall fosse ancora vivo dopo avere trascorso una notte
intera all'aperto senza ossigeno, a 8750 metri, esposto a venti della violenza di un uragano e a una
temperatura di quaranta gradi sottozero.
Durante la stessa comunicazione radio, Hall chiese ancora una volta notizie di Harris: Qualcuno ha visto
Harold la notte scorsa, a parte me? Circa tre ore dopo, Rob era ancora ossessionato dalla sorte di
Andy. Alle 08.43 osserv alla radio: Quass c' ancora una parte dell'attrezzatura di Andy. Ho pensato
che fosse sceso prima di me durante la notte. Sentite, potete darmi sue notizie, o no? Wilton tent di
eludere la domanda, ma Rob insistette: Okay. Voglio dire che qui ci sono la sua piccozza, la giacca e
altre cose.
Rob, replic Viesturs dal Campo Due, se riesci a infilarti la sua giacca, fallo. Continua ascendere e
pensa solo a te stesso. Tutti gli altri stanno provvedendo al resto del gruppo. Tu pensa solo ascendere.
Dopo ore di tentativi per sbloccare la maschera ghiacciata, Hall riusc finalmente a rimetterla in funzione
e alle nove di mattina respirava per la prima volta l'ossigeno della bombola; ormai aveva trascorso oltre
sedici ore senza ossigeno al di sopra degli 8750 metri. Centinaia di metri pi in basso, gli amici
moltiplicarono gli sforzi per indurlo ascendere. Rob, parla Helen, dal campo base, insisteva Wilton,
chiaramente sull'orlo del pianto. Pensa al tuo bambino. Fra un paio di mesi vedrai la sua faccina, quindi
continua a muoverti.
Hall annunci pi volte la sua intenzione di scendere, e a un certo punto eravamo certi che avesse
finalmente lasciato la Cima Sud. Gi al Campo Quattro, Lhakpa Chhiri e io restammo fuori delle tende a
rabbrividire, scrutando un minuscolo puntolino scuro che scendeva lentamente dalla parte superiore della
Cresta Sud-Est. Convinti che fosse Rob che stava finalmente scendendo, Lhakpa e io ci scambiammo
pacche sulle spalle, incoraggiandolo con le nostre grida. Ma un'ora dopo il mio ottimismo si spense di
colpo quando notai che il puntolino era sempre fermo nello stesso punto; in realt non era altro che una
roccia... un ennesimo esempio di allucinazione causata dall'altitudine. In realt, Rob non si era mai mosso
dalla Cima Sud.

Verso le nove e mezza di mattina, Ang Dorje e Lhakpa Chhiri lasciarono il Campo Quattro,

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cominciando a risalire verso la Cima Sud con un thermos pieno di t bollente e due bombole
supplementari di ossigeno, decisi a soccorrere Hall. Li attendeva un compito addirittura spaventoso. Per
quanto fosse apparso sbalorditivo e coraggioso il salvataggio di Sandy Pittman e Charlotte Fox per
opera di Boukreev, la sera prima, impallidiva al confronto con quello che i due sherpa si proponevano di
fare adesso. Pittman e Fox erano a venti minuti di cammino dalle tende, su un terreno relativamente
pianeggiante; Hall si trovava oltre novecento metri pi in alto del Campo Quattro, una scalata estenuante
di otto o nove ore anche nelle condizioni ideali.
E quelle non erano davvero condizioni ideali: il vento soffiava a oltre quaranta nodi di velocit, senza
contare che tanto Ang Dorje quanto Lhakpa erano infreddoliti e sfiniti dalla scalata della vetta compiuta
appena il giorno prima. Inoltre, se anche fossero riusciti in un modo o nell'altro a raggiungere Hall,
sarebbe stato gi tardo pomeriggio, e questo lasciava loro soltanto un paio d'ore di luce per
intraprendere il compito ancora pi impegnativo di portarlo gi. Eppure la loro lealt nei confronti di Hall
era tale che quei due uomini ignorarono le schiaccianti probabilit contrarie, avviandosi verso la Cima
Sud al massimo della loro andatura.
Poco dopo, due sherpa della squadra della Mountain Madness - Tashi Tshering e Ngawang Sya Kya
(un uomo piccolo di statura e atletico, dalle tempie brizzolate, padre di Lopsang) - pi uno sherpa della
spedizione di Taiwan si diressero verso l'alto per riportare al campo Scott Fischer e Makalu Gau.
Arrivato a 365 metri al di sopra del Colle Sud, il terzetto di sherpa trov gli scalatori in difficolt sulla
stessa cengia dove li aveva lasciati Lopsang. Bench tentassero di somministrare dell'ossigeno a Fischer,
lui non reag; respirava ancora, sia pure a stento, ma aveva gli occhi sbarrati e i denti serrati con forza.
Concludendo che ormai era senza speranze, lo lasciarono sulla cengia e intrapresero la discesa con Gau,
il quale, dopo avere ricevuto t bollente e ossigeno, riusc a scendere fino alle tende per proprio conto,
anche se legato a una corda e con l'assistenza dei tre sherpa.
La giornata appena iniziata era limpida e serena, ma il vento era ancora violento e nella tarda mattinata la
parte superiore della montagna era avvolta da fitte nuvole. Gi al Campo Due, la squadra dell'IMAX
rifer che il vento sulla vetta produceva un rombo simile a quello di uno stormo di 747, persino a distanza
di oltre 2000 metri. Nel frattempo, nella parte superiore della Cresta Sud-Est, Ang Dorje e Lhakpa
Chhiri procedevano risoluti verso Hall, in mezzo alla tempesta sempre pi violenta. Alle tre del
pomeriggio, tuttavia; quando si trovavano ancora 200 metri al di sotto della Cima Sud, il vento e la
temperatura sotto lo zero si rivelarono superiori alle loro forze egli sherpa non poterono proseguire. Era
stato un tentativo coraggioso, ma era fallito; e quando intrapresero la discesa, le probabilit di
sopravvivenza per Hall si ridussero quasi a zero.
Per tutta la giornata dell'll maggio, amici e compagni lo supplicarono senza posa di fare uno sforzo per
scendere con le sue forze. Pi di una volta Hall annunci che si accingeva a scendere, ma ogni volta
cambiava idea e restava immobile sulla Cima Sud. Alle 15.20 Cotter, che ormai si era trasferito dal suo
campo sotto il Pumori al campo base dell'Everest, lo redargu via radio, dicendogli: Rob, comincia
ascendere da quella cresta.
In tono seccato, Hall ribatte: Ascolta, se pensassi di farcela a sciogliere i nodi sulle corde fisse con
queste mani congelate, sarei sceso sei ore fa, amico. Manda quass un paio di ragazzi con un thermos
bello grosso di roba calda, e allora s che star bene.
Il fatto , amico, che i ragazzi che hanno cercato di salire oggi hanno incontrato vento forte e sono
dovuti tornare indietro, replic Cotter, cercando di fargli capire con la massima delicatezza possibile che
l'idea di una spedizione di soccorso era stata ormai abbandonata, quindi pensiamo che la soluzione
migliore per te sia scendere.

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Posso resistere ancora una notte, quass, se domattina presto mandate su un paio di ragazzi con un po'
di t, non pi tardi delle nove e mezza, dieci, rispose Rob.
Sei un tipo tosto, capo, disse Cotter, con la voce incrinata. Domattina ti manderemo su dei ragazzi.
Alle 18.20 Cotter si mise in contatto con Hall per annunciargli che Jan Arnold era in comunicazione sul
telefono satellitare da Christchurch e aspettava di potergli parlare. Concedimi un minuto, disse Rob.
Ho la gola secca. Voglio mangiare un po' di neve prima di parlare con lei. Poco dopo si fece sentire di
nuovo, mormorando con una voce lenta e terribilmente distorta: Ciao, tesoro. Spero che tu stia comoda
in un bel letto caldo. Come va? .
Non so dirti quanto ti penso, rispose la moglie. Mi sembri in forma migliore di quanto pensassi... Sei
al caldo, tesoro?
Considerata l'altitudine e la situazione, sto abbastanza comodo, rispose Hall, facendo del suo meglio
per non allarmarla.
Come vanno i piedi?
Non mi sono tolto gli scarponi per controllare, ma credo di avere un principio di congelamento...
Non vedo l'ora di rimetterti in sesto, quando tornerai a casa, disse Jan. So che verranno a salvarti.
Non devi sentirti solo. Ti sto trasmettendo tutta la mia energia positiva.
Prima di chiudere la comunicazione, Hall disse alla moglie: Ti amo. Dormi bene, tesoro. Ti prego, non
preoccuparti troppo.
Sarebbero state le ultime parole che qualcuno lo sentiva pronunciare: i tentativi di stabilire un contatto
radio con Hall quella sera e il giorno seguente rimasero senza risposta. Dodici giorni dopo, quando
Breashears e Viesturs salirono fino alla Cima Sud diretti alla vetta, trovarono Hall disteso sul fianco
destro in una conca poco profonda, con la parte superiore del corpo sepolta sotto un cumulo di neve
formato dal vento.
L'Everest era l'incarnazione delle forze materiali del mondo, alle quali Mallory intendeva contrapporre lo
spirito dell'uomo, Qualora fosse riuscito nell' impresa, gli pareva gi di scorgere la gioia sul volto dei
compagni; gli pareva di percepire l'emozione che il suo successo avrebbe destato fra tutti gli altri alpinisti;
il prestigio che avrebbe fruttato all'Inghilterra; l' interesse che avrebbe suscitato in tutto il mondo; la fama
che avrebbe procurato a lui; la durevole soddisfazione personale di sentire che aveva reso la sua vita
degna di essere vissuta." Forse non formul mai l'idea in modo preciso, eppure nella sua mente doveva
essere presente l' idea: O tutto o niente, Fra le due possibilit, tornare indietro o morire, per Mallory
probabilmente era pi accettabile .la seconda, La sofferenza della prima sarebbe stata superiore alle sue
capacit di sopportazione, come alpinista e come artista,
SIR FRANCIS YOUNGHUSBAND
The Epic ofMount Everest(1926)

Alle quattro del pomeriggio del 10 maggio, all'incirca la stessa ora in cui Doug Hansen era giunto
estenuato sulla vetta, sorretto da Rob Hall, tre scalatori della provincia del Ladakh, nell'India

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settentrionale, trasmisero via radio al capo del gruppo di cui facevano parte che avevano raggiunto anche
loro la cima dell'Everest, Membri di una spedizione di trentanove persone organizzata dalla polizia di
frontiera indo-tibetana, Tsewahg Smanla, Tsewang Paljor e Dorje Morup avevano compiuto la scalata
dal versante tibetano lungo la Cresta Nord-Est, la via lungo la quale nel 1924 erano misteriosamente
scomparsi George Leigh Mallory e Andrew Irvine,
Partendo in sei dal loro campo a 8300 metri, gli scalatori del Ladakh non avevano abbandonato le
tende prima delle cinque e tre quarti di mattina.[39]A met pomeriggio, quando si trovavano ancora a pi
di trecento metri di dislivello dalla vetta, erano stati avviluppati dalle stesse nubi temporalesche che noi
avevamo incontrato sull'altro versante della montagna. Tre membri della spedizione avevano gettato la
spugna, ed erano tornati indietro verso le due del pomeriggio, ma Smanla, Paljor e Morup avevano
proseguito, nonostante il peggioramento delle condizioni atmosferiche. Erano stati sopraffatti dalla
febbre della vetta, spieg Harbhajan Singh, uno dei tre che tornarono indietro.
Gli altri tre raggiunsero quella che credevano fosse la vetta alle quattro del pomeriggio, quando le
nubi erano ormai diventate cos fitte che la visibilit era ridotta a non pi di trenta metri. Comunicarono
via radio con il loro campo base, sul ghiacciaio di Rongbuk, per informare che erano arrivati sulla vetta,
dopodich il capo della spedizione, Mohindor Singh, chiam Nuova Delhi con il telefono satellitare per
annunciare con orgoglio quel trionfo al primo ministro Narashima Rao. Per festeggiare il successo, la
squadra lasci bandierine di preghiera,kata e chiodi da roccia come offerta su quello che a loro
sembrava il punto pi elevato, poi intraprese la discesa, in mezzo alla tormenta che infuriava sempre pi
violenta.
In realt, quando tornarono indietro, gli scalatori del Ladakh si trovavano a 8700 metri di altitudine,
e cio a circa due ore di distanza dalla vetta vera e propria, che in quel momento era nascosta alla vista
dalle nubi pi alte. Il fatto che senza saperlo si fossero fermati circa centocinquanta metri pi in basso
della loro meta spiega come mai non videro lass Hansen, Hall o Lopsang, e come mai non furono visti a
loro volta.
In seguito, poco dopo il calar della sera, gli scalatori che si trovavano pi in basso sulla Cresta
Nord-Est riferirono di aver visto due lampade in prossimit degli 8625 metri, poco sopra una parete
rocciosa notoriamente problematica che porta il nome di Second Step, o Secondo Gradino; ma quella
notte nessuno dei tre alpinisti del Ladakh torn alle tende, e non vi furono neppure altri contatti radio.
All'una e tre quarti del mattino seguente, 11 maggio - all'incirca la stessa ora in cui Anatoli
Boukreev stava freneticamente perlustrando il Colle Sud alla ricerca di Sandy Pittman, Charlotte Fox e
Tim Madsen - due scalatori giapponesi, accompagnati da tre sherpa, partirono per scalare la vetta dallo
stesso campo sulla Cresta Nord-Est usato dagli scalatori del Ladakh, nonostante il forte vento che
imperversava sulla cima. Alle sei del mattino, mentre aggiravano un ripido promontorio di roccia
chiamato First Step, o Primo Gradino, il ventunenne Eisuke Shigekawa e il trentaseienne Hiroshi Hanada
rimasero sbalorditi nel vedere uno degli scalatori del Ladakh, probabilmente Paljor, steso sulla neve,
spaventosamente congelato ma ancora vivo dopo una notte trascorsa all'addiaccio, senza riparo n
ossigeno, tanto che emetteva gemiti incomprensibili. Tuttavia i giapponesi, non volendo compromettere le
loro probabilit di successo fermandosi ad assisterlo, proseguirono la scalata verso la vetta.
Alle sette e un quarto di mattina raggiunsero la base del Secondo Gradino, uno sperone
perfettamente verticale di scisto friabile che di solito si supera per mezzo di una scaletta di alluminio
fissata alla parete da una squadra cinese nel 1975. Con grande costernazione dei giapponesi, tuttavia, la
scala era in pezzi e si era staccata in parte dalla roccia, per cui furono necessari novanta minuti di ardua
scalata per superare una parete di sei metri.

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Appena superata la sommit del Secondo Gradino, s'imbatterono negli altri due scalatori del
Ladakh, Smanla e Morup. Secondo un articolo apparso sulFinancial Times , scritto dal giornalista
inglese Richard Cowper, che intervist Hanada e Shigekawa a 6400 metri di altitudine, subito dopo la
scalata, uno degli alpinisti del Ladakh era chiaramente prossimo alla morte, mentre l'altro era
rannicchiato sulla neve. Non si scambiarono una parola. Non ci furono scambi d'acqua, n di viveri, n di
ossigeno. I giapponesi proseguirono, fermandosi una cinquantina di metri pi avanti per riposarsi e
cambiare le bombole di ossigeno.
Hanada disse a Cowper: Noi non li conoscevamo. No, non abbiamo offerto acqua e non
abbiamo parlato con loro. Avevano una forma grave di mal di montagna. Davano l'impressione di essere
pericolosi.
Shigekawa spieg: Eravamo troppo stanchi per aiutarli. Al di sopra degli ottomila metri non ci si
pu permettere il lusso della moralit.
Voltando le spalle a Smanla e Morup, la squadra giapponese riprese l'ascesa, superando le
bandierine di preghiera e i chiodi lasciati dagli scalatori del Ladakh a 8700 metri e, con una straordinaria
dimostrazione di tenacia, raggiunse la vetta alle undici e tre quarti, in mezzo all'ululare della tormenta. In
quel momento Rob Hall lottava per restare in vita rannicchiato sulla Cima Sud, a mezz'ora di distanza da
loro, lungo la Cresta Sud-Est.
Durante il ritorno gi per la Cresta Nord-Est fino al loro campo in alta quota, i giapponesi
ritrovarono Smanla e Morup ancora sul Secondo Gradino. Ormai Morup sembrava morto, mentre
Smania, bench fosse ancora vivo, era impigliato in modo inestricabile in una corda fissa. Pasang Kami,
uno sherpa della squadra giapponese, lo liber dalla corda prima di riprendere la discesa lungo la cresta.
Invece quando superarono il Primo Gradino, nel punto in cui all'andata erano passati accanto a Paljor
che delirava riverso sulla neve, i giapponesi non videro traccia del terzo alpinista indiano.
Sette giorni dopo, la spedizione della polizia di frontiera indo-tibetana lanci un altro tentativo di
scalata della vetta. Lasciando il campo in alta quota all'una e un quarto del mattino del 17 maggio, due
scalatori del Ladakh e tre sherpa s'imbatterono ben presto nei corpi congelati dei compagni. Riferirono
che uno degli uomini, in preda agli spasmi dell'agonia, si era strappato quasi tutti i vestiti di dosso, prima
di cedere infine alla furia degli elementi. Smanla, Morup e Paljor furono lasciati sulla montagna dov'erano
caduti, e i cinque scalatori proseguirono verso la vetta dell'Everest, che raggiunsero alle sette e quaranta
di mattina.
Ruotando e roteando nella spirale che sempre pi si allarga,
Il falco non pu udire il falconiere;
Le cose si dissociano; il centro non pu reggere;
E la pura anarchia si rovescia sul mondo,
La torbida marea del sangue dilaga, e in ogni dove
Annega il rito dell'innocenza.
WILLIAM BUTLER YEATS
Il Secondo Avvento

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Quando rientrai barcollando al Campo Quattro, verso le sette e mezzo del mattino di sabato 11
maggio, la realt di quanto era accaduto - di quanto stava ancora accadendo - cominci a penetrare nella
mia mente con tale intensit da paralizzarla. Ero fisicamente ed emotivamente distrutto dopo una sola ora
trascorsa a perlustrare il Colle Sud in cerca di Andy Harris; quella ricerca mi aveva convinto che era
morto. Le comunicazioni radio che il mio compagno di squadra Stuart Hutchison aveva ricevuto da Rob
Hall sulla Cima Sud indicavano chiaramente che il capo della nostra spedizione era in una situazione
disperata e che Doug Hansen era morto. I membri della squadra di Scott Fischer che avevano trascorso
quasi tutta la notte sperduti, vagando sul Colle, riferivano che Yasuko Namba e Beck Weathers erano
morti. E Scott Fischer e Makalu Gau erano dati per morti o quasi, appena 365 metri al di sopra delle
tende.
Di fronte a quel bilancio, la mia mente si ritrasse inorridita, chiudendosi in uno stato di distacco
quasi robotico. Mi sentivo emotivamente anestetizzato e nello stesso tempo estremamente percettivo,
come se mi fossi rifugiato in un bunker in fondo al mio cranio da cui sbirciavo fuori, tra le rovine che mi
circondavano, attraverso una stretta feritoia blindata. Quando fissai inebetito il cielo, mi parve di
un'innaturale sfumatura di azzurro chiaro, depurata di tutto ci che non fosse appena una vaga eco di
colore. L'orizzonte dentellato era illuminato da un chiarore simile a un'aura, che baluginava e pulsava
davanti ai miei occhi. Mi domandai se non fosse gi cominciata per me la discesa a spirale nel territorio
da incubo della follia.
Dopo una notte intera trascorsa a 7986 metri senza ossigeno supplementare, mi sentivo ancora pi
debole ed esausto della sera prima, quando ero steso dalla vetta. Sapevo che, se non fossimo riusciti a
procurarci dell'altro ossigeno o non fossimo scesi a un'altitudine inferiore, i miei compagni e io avremmo
continuato a peggiorare in fretta.
Il piano di rapida acclimatazione seguito da Hall e dalla maggior parte dei moderni scalatori
dell'Everest notevolmente efficiente, poich consente di affrontare la vetta dopo avere trascorso il
periodo relativamente breve di quattro settimane al di sopra dei 5000 metri, con un unico pernottamento
di acclimatazione a 7300 metri.[40]Tuttavia questa strategia si basa sul presupposto che al di sopra dei
7300 metri tutti avranno una riserva inesauribile di bombole di ossigeno; se questo non avviene, le
premesse non valgono pi.
Andando in cerca del resto della squadra, trovai Frank Fischbeck e Lou Kasischke distesi in una
tenda vicina. Lou era in delirio, accecato dall'oftalmia nivale; del tutto incapace di vedere e di badare a se
stesso, biascicava parole incoerenti. Frank sembrava in preda a un grave stato di shock, ma faceva del
suo meglio per assistere Lou. John Taske era in un'altra tenda insieme con Mike Groom; entrambi
sembravano addormentati o privi di sensi. Per quanto mi sentissi fiacco e malfermo sulle gambe, era
evidente che tutti gli altri stavano peggio, con la sola eccezione di Stuart Hutchison.
Passando da una tenda all'altra, cercai dell'ossigeno, ma tutte le bombole che trovavo erano vuote.
Il prolungarsi dello stato di ipossia, insieme al profondo affaticamento, acuivano il senso di caos e
disperazione. A causa dell'incessante schioccare dei lembi di nylon delle tende dovuto al vento, le
comunicazioni fra una tenda e l'altra erano impossibili. Le batterie dell'unica radio che ci restava erano
quasi scariche. Tutto il campo era pervaso da un'atmosfera di entropia terminale, accentuata dal fatto che
la nostra squadra, che nelle sei settimane precedenti era stata incoraggiata a far affidamento sulle guide in
tutto e per tutto, era rimasta di colpo senza un capo: Rob e Andy non c'erano pi e, sebbene.
Groom.fosse presente, la dura prova della notte pre cedente gli aveva richiesto un prezzo molto alto.
Colpito da una seria forma di congelamento, giaceva nella sua tenda in delirio, e almeno per il momento

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era incapace persino di parlare.


Con tutte le guide fuori combattimento, Hutchison si fece avanti per riempire il vuoto al posto di
comando. Stuart, un giovane e brillante esponente dell'alta borghesia anglofona di Montreal abituato a
prendersi molto sul serio, era un autorevole ricercatore nel campo medico che ogni due o tre anni si
concedeva una grande spedizione alpinistica, ma per il resto aveva poco tempo da dedicare alle scalate.
Con l'aggravarsi della crisi al Campo Quattro, fece del suo meglio per mostrarsi all'altezza della
situazione.
Mentre tentavo di riprendermi dalla ricerca infruttuosa di Harris, Hutchison organizz una squadra
di quattro sherpa per localizzare i corpi di Weathers e Namba, che erano rimasti sul versante opposto del
Colle quando Anatoli Boukreev aveva riportato al campo Charlotte Fox, Sandy Pittman e Tim Madsen.
La squadra di ricerca degli sherpa, guidata da Lhakpa Chhiri, part precedendo Hutchison, esausto e
disorientato al punto da dimenticare di infilarsi gli scarponi, allontanandosi dal campo con le pedule,
leggere dalla suola liscia; solo quando Lhakpa glielo aveva fatto notare, Hutchison era rientrato nella
tenda per mettersi gli scarponi. Seguendo le istruzioni di Boukreev, gli sherpa trovarono i due corpi su un
pendio di ghiaccio grigio punteggiato di massi, vicino al ciglio della parete Kangshung. Estremamente
superstiziosi, come .molti sherpa, .nei confronti dei morti, si fermarono a quindici o venti metri, in attesa di
Hutchison.
Entrambi i corpi erano parzialmente sepolti dalla neve, ricorda Hutchison. Gli zaini si trovavano
una trentina di metri a monte. Avevano il viso e il torace ricoperti di neve, da cui sporgevano solo le mani
e i piedi. Il vento continuava a ululare sul Colle. Il primo corpo nel quale s'imbatt era quello di Namba,
ma Hutchison non riusc a riconoscerla fin quando non s'inginocchi nella tempesta, e le stacc dal viso
un guscio di ghiaccio alto sette od otto centimetri. Scopr con stupore che respirava ancora; aveva perso
entrambi i guanti e le mani nude apparivano pietrificate dal congelamento. Gli occhi erano dilatati e il viso
aveva il colore della porcellana bianca. Fu terribile, ricorda Hutchison. Ero sopraffatto dall'angoscia.
Era in punto di morte, e io non sapevo che fare.
Rivolse allora la sua attenzione a Beck, che giaceva a circa sei metri di distanza, anche lui con la
testa ricoperta da una spessa corazza di ghiaccio. Sui capelli e sulle palpebre aveva dei grumi di ghiaccio
grossi come chicchi d'uva. Dopo avergli ripulito il viso, Hutchison scopr che anche il texano era ancora
vivo: Beck farfugliava qualcosa, credo, ma non riuscii a capire che cosa stesse tentando di dire. Gli
mancava il guanto destro e aveva gravissimi segni di congelamento. Tentai di metterlo a sedere, ma lui
non ci riusc. Era prossimo alla morte, eppure respirava ancora.
Terribilmente scosso, Hutchison si rivolse agli sherpa per chiedere il parere di Lhakpa, un veterano
dell'Everest rispettato tanto dagli altri sherpa quanto daisahib per la sua esperienza della montagna; e lui
sugger a Hutchison di lasciare Beck e Yasuko dov'erano. Se anche fossero sopravvissuti quanto bastava
per trascinarli al Campo Quattro, sarebbero morti senza dubbio prima del trasporto al campo base e il
tentativo di soccorso avrebbe messo inutilmente a repentaglio la vita degli altri scalatori presenti sul Colle,
la maggior parte dei quali avrebbe gi avuto sufficienti problemi a mettersi in salvo.
Hutchison decise che Lhakpa aveva ragione: c'era una sola decisione possibile, per quanto difficile da
prendere, e cio lasciare che la natura seguisse il suo inevitabile corso con Beck e Yasuko, e risparmiare
le energie del gruppo per coloro che si potevano effettivamente aiutare. Era un classico caso di scelta
obbligata per la sopravvivenza. Quando torn al campo, Hutchison era sul punto di piangere e sembrava
uno spettro. Dietro sua insistenza, svegliammo Taske e Groom e ci riunimmo nella loro tenda per
discutere il da farsi riguardo a Beck e Yasuko. La conversazione che segu fu angosciosa e punteggiata di
silenzi. Evitavamo tutti di guardarci negli occhi. Dopo cinque minuti, comunque, fummo tutti e quattro
d'accordo nel riconoscere che la decisione di Hutchison di lasciare Beck e Yasuko dov' erano era la pi

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corretta.
Discutemmo inoltre se tornare al Campo Due quel pomeriggio stesso, ma Taske insistette per rinviare la
discesa dal Colle finch Hall era ancora bloccato sulla Cima Sud. Non intendo neanche prendere in
considerazione l'idea di andarcene senza di lui, dichiar. In ogni caso era un falso problema: Kasischke
e Groom erano in condizioni tali che per ora ogni spostamento era fuori discussione.
A quel punto ero molto preoccupato al pensiero che ci avviassimo verso una replica di quello che era
accaduto sul K2 nel 1986, dice Hutchison. Il 4 luglio di quell'anno sette veterani dell'Himalaya,
compreso il leggendario Kurt Diemberger, erano partiti alla conquista della vetta della seconda montagna
pi alta del mondo. Sei su sette l'avevano raggiunta, ma durante la discesa una violenta tempesta aveva
colpito le pendici superiori del K2, inchiodando gli alpinisti nel campo ad alta quota, a ottomila metri di
altitudine. poich la tormenta aveva continuato a infuriare senza interruzione per cinque giorni, si erano
indeboliti sempre pi e, quando finalmente la tempesta era cessata, soltanto Diemberger e un altro erano
ancora vivi.

Il sabato mattina, mentre noi discutevamo cosa fare per Namba e Weathers e se scendere o meno, Neal
Beidleman stanava dalle loro tende i componenti della squadra di Fischer, passandoli in rivista e
incitandoli a intraprendere la discesa dal Colle. Erano tutti cos sconvolti dalla nottata trascorsa che fu
una vera impresa farli alzare e uscire dalle tende. Fui costretto a prenderne a pugni qualcuno per
convincerlo a mettersi gli scarponi, ricorda oggi. Comunque mi mostrai inflessibile sulla necessit di
partire subito. A mio parere, restare pi dello stretto necessario a 7986 metri significa andare in cerca di
guai. Sapevo che le spedizioni di soccorso per Scott e Rob erano gi partite, quindi dedicai tutta la mia
attenzione al compito di portare via i clienti dal Colle, trasferendoli in un campo inferiore.
Mentre Boukreev restava al Campo Quattro in attesa di Fischer, Beidleman radun il suo gruppo
guidandolo in una lenta discesa dal Colle. A quota 7600 fece una pausa per praticare a Pittman un'altra
iniezione di dexamethasone, poi tutti si fermarono a lungo al Campo Tre per riposare e reidratarsi.
Vedendoli arrivare, dice David Breashears, che era al Campo Tre quando vi giunse il gruppo di
Beidleman, rimasi sbigottito. Sembravano reduci da cinque mesi di guerra. Sandy era sul punto di
crollare... ripeteva piangendo: ' stato terribile! Sono crollata e mi sono stesa sulla neve ad aspettare la
morte! ' Sembravano tutti vittime di un forte shock.
Poco prima di sera, l'ultimo contingente del gruppo di Beidleman si stava calando lungo il ripido pendio
ghiacciato della parte inferiore del versante del Lhotse, quando, a centocinquanta metri dalla fine delle
corde fisse, incontrarono alcuni sherpa di una spedizione ecologica nepalese che erano saliti ad aiutarli.
Quando ripresero la discesa, dall'alto della montagna part sibilando una scarica di pietre grosse come
ananas e una di esse colp uno sherpa alla nuca. La roccia lo stese, letteralmente, riferisce Beidleman,
che assistette all'incidente dall'alto, a breve distanza.
Fu uno spettacolo terribile, concorda Klev Schoening. Sembrava che fosse stato colpito con una
mazza da baseball. La forza del colpo stacc dal cranio dello sherpa un frammento grande come un
dollaro d'argento, facendogli perdere i sensi e causandogli un arresto cardiocircolatorio. Quando si
accasci in avanti, cominciando a scivolare in basso lungo la corda, Schoening lo precedette con un
balzo, riuscendo ad arrestare la sua caduta; ma un attimo dopo, mentre lo teneva fra le braccia, un
secondo sasso precipit dall'alto, investendo di nuovo lo sherpa, che fu colpito ancora una volta alla
nuca.
Nonostante il secondo colpo, qualche minuto dopo l'uomo colpito ansim con violenza e riprese a

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respirare. Beidleman riusc a calarlo ai piedi della parete del Lhotse, dov'erano in attesa una dozzina di
altri sherpa, che trasportarono il ferito al Campo Due. A quel punto, dice Beidleman: Klev e io
restammo a guardarci, increduli. Era come se ci chiedessimo: 'Che sta succedendo, qui? Che cosa
abbiamo fatto per mandare cos in collera la montagna?'

Per tutto il mese di aprile e i primi di maggio, Rob Hall aveva espresso la sua preoccupazione che una o
pi squadre meno competenti si cacciassero in una brutta situazione, costringendo il nostro gruppo ad
accorrere in loro aiuto, compromettendo cos le nostre possibilit di raggiungere la vetta. Ora, per ironia
della sorte, era la spedizione di Hall a trovarsi in serio pericolo mentre altre squadre dovevano venire in
nostro aiuto. Comunque tre gruppi, la spedizione dell'Alpine Ascents International di Todd Burleson, la
spedizione dell'IMAX di David Breashears e la spedizione commerciale di Mal Duff, rinviarono subito i
loro piani per la conquista della vetta allo scopo di assistere gli scalatori in difficolt.
Il giorno prima, venerd 10 maggio, mentre noi delle squadre di Hall e Fischer salivamo verso la vetta dal
Campo Quattro, la spedizione dell'Alpine Ascents International guidata da Burleson e Pete Athans era
arrivata al Campo Tre. Il sabato mattina, appena ricevuta la notizia del disastro che si stava verificando in
vetta, Burleson e Athans lasciarono i loro clienti a 7300 metri, affidandoli alle cure della terza guida, Jim
Williams, per affrettarsi a salire sul Colle Sud in nostro soccorso.
In quel momento Breashears, Ed Viesturs e il resto della squadra dell'IMAX si trovavano casualmente al
Campo Due: Breashears sospese subito le riprese per contribuire al tentativo di soccorso con tutte le
risorse della sua spedizione. Innanzi tutto, invi un messaggio per informarmi che c'erano delle batterie di
riserva immagazzinate in una delle tende dell'IMAX sul Colle; a met pomeriggio le trovai e ci consent
alla squadra di Hall di ristabilire i contatti radio con i campi alle quote inferiori. Poi Breashears offr la
riserva di ossigeno della sua spedizione - cinquanta bombole che erano state trasportate laboriosamente
a 7986 metri - agli scalatori sofferenti e agli eventuali soccorritori che si trovassero sul Colle. Sebbene
questo potesse compromettere il suo progetto cinematografico da cinque milioni e mezzo di dollari, mise
a nostra disposizione senza esitare tutto quell'ossigeno, che era di importanza vitale.
Athans e Burleson raggiunsero il Campo Quattro a met della mattinata, e cominciarono subito a
distribuire le bombole dell'IMAX a tutti noi che avevamo fame di ossigeno, poi aspettarono di vedere i
risultati del tentativo degli sherpa di recuperare Hall, Fischer e Gau. Alle quattro e trentacinque del
pomeriggio Burleson era all'esterno delle tende quando vide qualcuno avvicinarsi lentamente al campo,
con una curiosa andatura a ginocchia rigide. Ehi, Pete, grid rivolto ad Athans. Vieni un po' a vedere,
sta arrivando qualcuno. La mano destra del nuovo venuto, nuda ed esposta al vento rigido, congelata in
modo grottesco, era protesa in una sorta di strano saluto ghiacciato. Chiunque fosse, ad Athans
rammentava una mummia in un film dell'orrore, ma, quando la mummia entr barcollando nel campo,
Burleson si accorse che non era altri che Beck Weathers,risorto chiss come dalla morte.
La sera prima, quando si era rannicchiato insieme a Groom, Beidleman, Namba e agli altri membri di
quel gruppo, Weathers si era sentito diventare sempre pi freddo. Avevo perduto il guanto destro.
Avevo il viso gelato, le mani gelate. Mi sentivo tutto intorpidito e mi riusciva davvero difficile conservare
la lucidit, cos alla fine scivolai in una specie di oblio.
Per tutto il resto della notte e gran parte del giorno successivo, Beck era rimasto disteso sul ghiaccio,
esposto al vento spietato, in stato di catalessi e pi morto che vivo. Non ricorda l'arrivo di Boukreev,
venuto a salvare Pittman, Fox e Madsen, e non ricorda neppure Hutchison, che lo trov fra la neve e gli
tolse il ghiaccio dal viso. Era rimasto per oltre dodici ore in uno stato simile al coma; poi, nel tardo
pomeriggio del sabato, per qualche ragione incomprensibile una luce si era accesa nel nucleo rettiliano del

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cervello inanimato di Beck, riportandolo alla coscienza.


Da principio credevo di sognare, ricorda Beck. Quando sono rinvenuto, credevo di essere a letto.
Non sentivo n freddo n disagio; mi sono girato semplicemente sul fianco, aprendo gli occhi, ed ecco l
davanti a me la mia mano destra. Allora ho visto com'era congelata, e questo mi ha aiutato a tornare alla
realt. Finalmente mi sono svegliato quanto bastava per capire che ero nella merda fino al collo e che la
cavalleria non sarebbe venuta a salvarmi e quindi era il caso che facessi qualcosa io.
Sebbene fosse cieco dall'occhio destro e in grado di mettere a fuoco il sinistro solo per un raggio di
poco superiore a un metro, si avvi contro vento, deducendo correttamente che il campo si trovava in
quella direzione. Se avesse sbagliato strada, sarebbe precipitato subito dalla parete Kangshung, il cui
ciglio si trovava a meno di dieci metri nella direzione opposta. Dopo un'ora e mezzo circa, invece, si era
trovato davanti a delle rocce di colore bluastro, lisce in modo innaturale, che si rivelarono le tende del
Campo Quattro.
Hutchison e io eravamo nella nostra tenda, intenti a ricevere una comunicazione radio da Rob Hall, sulla
Cima Sud, quando Burleson arriv a precipizio. Dottore! Abbiamo un gran bisogno di lei! grid a
Stuart dall'esterno della porta. Prenda la sua roba. Beck appena arrivato, ma in cattive condizioni!
Sbalordito dalla miracolosa resurrezione di Beck, Hutchison strisci esausto all'esterno della tenda per
rispondere all'appello.
Lui, Athans e Burleson sistemarono Beck in una tenda rimasta libera, lo avvolsero in due sacchipiuma
insieme con parecchie borse di acqua calda e gli applicarono sul viso una maschera a ossigeno. In quel
momento, confessa Hutchison, nessuno di noi pensava che Beck avrebbe superato la notte. Riuscivo a
stento a sentire la pulsazione dell'arteria carotidea, che l'ultima a svanire prima della morte. Era in
condizioni critiche e, se anche fosse riuscito a sopravvivere fino al mattino, non riuscivo a immaginare in
che modo lo avremmo portato gi.
Ormai i tre sherpa che erano saliti per recuperare Scott Fischer e Makalu Gau erano tornati al campo
riportando con s solo quest'ultimo e lasciando Fischer su una cengia a 8290 metri, dal momento che
ritenevano che per lui non ci fosse niente da fare. Tuttavia,avendo visto Beck tornare al campo dopo
essere stato dato per morto, Anatoli Boukreev non era disposto a rinunciare a Fischer. Alle cinque del
pomeriggio, mentre la tempesta aumentava di intensit, il russo sal da solo nel tentativo di salvarlo.
Trovo Scott alle sette, o forse erano le sette e mezzo o le otto, rievoca ora Boukreev. Ormai buio.
Il vento molto forte. Ha la maschera a ossigeno sul viso, ma la bombola vuota. Non porta i guanti, ha
le mani del tutto nude. La tuta imbottita ha la lampo aperta ed abbassata su una spalla, rimasta
scoperta, mentre il braccio rimasto all'interno. Non c' niente da fare. Scott morto. Con la morte nel
cuore, Boukreev assicur lo zaino di Fischer sul suo volto, come un sudario, e lo lasci sulla cengia dov'
era disteso. Poi prese la macchina fotografica di Scott, la sua piccozz e il suo temperino preferito, che in
seguito Beidleman avrebbe consegnato al figlio di nove anni, a Seattle, e scese in mezzo alla bufera.
La tormenta che infuri sull'Everest il sabato sera era ancor pi potente di quella che aveva investito il
Colle la sera prima. Quando Boukreev riusc a raggiungere il Campo Quattro, la visibilit era ridotta a
pochi metri, e per poco non si lasci sfuggire le tende.
Respirando per la prima volta dopo trenta ore.l'ossigeno delle bombole (grazie alla squadra dell'IMAX),
scivolai in un sonno tormentato e irregolare, nonostante il fracasso prodotto dai lembi delle tende che
schioccavano furiosamente. Poco dopo mezzanotte, ero immerso in un incubo che riguardava Andy precipitava dalla parete del Lhotse, portandosi dietro una corda e chiedendomi come mai non ne avevo
assicurato l'altro capo - quando Hutchison mi scroll per svegliarmi. Jon, grid per farsi sentire al di

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sopra del rombo della tempesta, sono preoccupato per la tenda. Pensi che resister?
Mentre mi riscuotevo insonnolito, risalendo dagli abissi di quel sogno angoscioso come un uomo sul
punto di annegare che riemerge dall'oceano, impiegai qualche istante a capire per quale motivo Stuart
fosse preoccupato: il vento aveva schiacciato per met il nostro rifugio, che veniva scosso con violenza
da ogni raffica incalzante. Parecchi dei picchetti erano piegati di netto, e la luce della lampada rivel che
due delle cuciture principali correvano il rischio di lacerarsi da un momento all'altro. Nell'aria all'interno
della tenda turbinava un pulviscolo di particelle di neve finissima, che ricoprivano tutto di brina. Il vento
soffiava pi forte di quanto avessi mai sperimentato, persino sulla calotta glaciale della Patagonia, un
luogo che ha la fama di essere il pi ventoso del pianeta. Se la tenda si fosse disintegrata prima del
mattino, ci saremmo trovati in guai seri.
Stuart e io radunammo gli scarponi e tutto il nostro vestiario, poi ci mettemmo in posizione sul lato della
tenda contro il quale soffiava il vento. Facendo forza con il dorso e le spalle contro i pali danneggiati,
nonostante la stanchezza, resistemmo per tre ore all'uragano, aggrappandoci a quella malandata cupola di
nylon come se da quello dipendesse la nostra vita. Non facevo che pensare a Rob, lass sulla Cima Sud,
a 8760 metri, senza ossigeno, esposto in pieno alla furia di quella tempesta senza alcun riparo... ma era
un pensiero cos angoscioso che tentai di non indugiarvi.
Poco prima dell'alba della domenica 12 maggio, Stuart esaur l'ossigeno. Senza ossigeno cominciai a
sentire davvero il freddo e l'ipotermia, osserva. Stavo perdendo la sensibilit nelle mani e nei piedi. Ero
preoccupato al pensiero di superare il limite della mia resistenza, di non riuscire ascendere dal Colle. Ed
ero preoccupato all'idea che, se non fossi sceso quel giorno, forse non sarei sceso mai pi. Cedendo a
Stuart la mia bombola, frugai in giro fino a trovarne un'altra in cui era rimasto un po' di gas, poi
cominciammo tutti e due a prepararci per la discesa.
Quando mi avventurai all'esterno, vidi che almeno una delle tende libere era stata spazzata via dal Colle;
poi notai Ang Dorje che se ne stava solo in mezzo a quel vento terribile, singhiozzando in modo
inconsolabile per la perdita di Rob. Dopo la spedizione, quando parlai di quel dolore alla sua amica
canadese Marion Boyd, lei mi spieg: Ang Dorje ritiene che il suo compito sulla terra sia mantenere la
gente al sicuro... lui e io ne abbiamo parlato spesso. E estremamente importante per lui in termini religiosi,
oltre che come preparazione alla prossima reincarnazione.[41]Anche se Rob era il capo della spedizione,
Ang Dorje considerava una sua responsabilit quella di assicurare l'incolumit di Rob, Doug Hansen e
degli altri. Cos, quando sono morti, non ha potuto fare ameno di sentirsi colpevole.
Temendo che Ang Dorje fosse tanto sconvolto da rifiutarsi di allontanarsi, Hutchison lo scongiur di
scendere subito dal Colle. Poi, alle otto e mezzo {convinto che ormai Rob, Andy, Doug, Scott, Yasuko
e Beck fossero tutti sicuramente morti) Mike Groom, nonostante i gravi sintomi di congelamento,
s'impose di uscire dalla sua tenda e radunare coraggiosamente Hutchison, Taske, Fischbeck e
Kasischke, per cominciare a guidarli nella discesa dalla montagna.
Dato che non c'erano altre guide, mi offrii volontario per svolgere quel ruolo e chiudere la marcia.
Mentre il nostro gruppo sfilava lentamente, abbattuto, lasciando il Campo Quattro in direzione dello
Sperone dei Ginevrini, mi feci forza per un'ultima visita a Beck, che ritenevo fosse morto durante la notte.
Localizzai la sua tenda, che era stata appiattita dall'uragano, e vidi che aveva tutt'e due le porte aperte.
Quando sbirciai all'interno, per, scoprii sorpreso che Beck era ancora vivo.
Era disteso supino sul pavimento della tenda crollata, scosso da brividi convulsi. Aveva il viso
spaventosamente gonfio, ricoperto da chiazze di congelamento profondo, nere come l'inchiostro, sul naso
e sulle guance. La tempesta gli aveva strappato di dosso tutt'e due i sacchipiuma, lasciandolo esposto al
vento glaciale, e lui, con le mani congelate, non aveva potuto coprirsi di nuovo n chiudere la lampo della

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tenda. Ges Cristo! gemette vedendomi, con il viso contorto in un rictus di angoscia e disperazione.
Che cosa bisogna fare per avere un po' di aiuto, da queste parti? Invocava aiuto da due o tre ore, ma
la tempesta aveva soffocato le sue grida.
Svegliandosi nel cuore della notte, aveva scoperto che la tormenta aveva abbattuto la tenda e la stava
trascinando via. Il vento mi premeva il telo della tenda sul viso con tanta forza che non riuscivo a
respirare. Mollava per un secondo, poi tornava a premere sul viso e sul petto, lasciandomi senza fiato.
Oltre tutto, il braccio destro mi si stava gonfiando, e avevo al polso questo stupido orologio, cos il
braccio diventava sempre pi gonfio e il cinturino sempre pi stretto, finch non mi ha bloccato l'afflusso
del sangue alla mano. Ma con le mani cos conciate non riuscivo a togliermi quel dannato affare. Gridavo
aiuto, ma nessuno veniva. stata una lunga notte infernale. Amico, sono stato contento di vedere la tua
faccia, quando ti sei affacciato all'apertura.
Appena scoperto Beck nella sua tenda, ero rimasto cos scosso dalle sue condizioni spaventose - e dal
modo imperdonabile in cui lo avevamo lasciato ancora una volta a s stesso - che per poco non ero
scoppiato in lacrime. Tutto andr bene, mentii, soffocando i singhiozzi mentre gli rincalzavo intorno i
sacchipiuma chiudevo le aperture della tenda e tentavo di rimettere in piedi il telone danneggiato. Non
preoccuparti, amico. Ora tutto sotto controllo.
Dopo aver messo a suo agio Beck come meglio potevo, chiamai alla radio la dottoressa Mackenzie, al
campo base. Caroline! implorai in tono isterico. Che cosa devo fare con Beck? ancora vivo, ma
non credo che possa sopravvivere ancora a lungo. davvero in cattive condizioni!
Cerca di stare calmo, Jon, rispose lei. Tu devi scendere con Mike e il resto del gruppo. Dove sono
Pete e Todd? Chiedi a loro di assistere Beck, poi scendi. Scrollai freneticamente Athans e Burleson,
che si precipitarono subito verso la tenda di Beck con una borraccia di t bollente. Mentre mi affrettavo
a lasciare il campo per raggiungere i miei compagni, Athans si preparava a iniettare quattro milligrammi di
dexamethasone nella coscia del texano moribondo. Erano gesti degni di lode, ma era difficile credere che
gli potessero giovare molto.
L'unico grande vantaggio che l'inesperienza conferisce all'aspirante alpinista , la mancanza di rispetto
reverenziale verso la tradizione e i predecessori. Tutto gli appare semplice, e sceglie soluzioni dirette ai
problemi che gli si presentano. Spesso, naturale, fallisce gli obiettivi che si prefigge, talvolta con
conseguenze tragiche, tuttavia, quando inizia la grande avventura ignaro di tutto questo. Maurice
Wilson, Earl Denman, Klavs Becker-Larsen -nessuno di loro conosceva molto l'alpinismo, altrimenti non
si sarebbero impegnati nella loro lotta senza speranze. Purtuttavia, senza gli impacci della tecnica, la sola
determinazione li condusse molto lontano.
WALT UNSWORTH
Everest

Quindici minuti dopo la partenza dal Colle Sud, la mattina di domenica 12 maggio, raggiunsi i miei
compagni che scendevano lo Sperone dei Ginevrini. Offrivamo uno spettacolo patetico: eravamo tutti
cos debilitati che il gruppo impieg un tempo incredibilmente lungo solo per scendere le poche centinaia
di metri che ci separavano dal pendio innevato immediatamente al di sotto. L'aspetto pi impressionante,
comunque, era la nostra riduzione a un numero cos sparuto: tre giorni prima, quando eravamo saliti su
quello stesso terreno, eravamo in undici, e adesso eravamo ridotti a sei.

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Stuart Hutchison, che si trovava alla retroguardia del gruppo, era ancora in cima allo sperone
quando lo raggiunsi, e si accingeva a calarsi lungo le corde fisse. Notai che non portava gli occhialoni:
eppure, anche se il cielo era coperto, i raggi ultravioletti a quell'altitudine erano abbastanza maligni da
causare in brevissimo tempo l'oftalmia nivale. Stuart! gli gridai per farmi sentire nonostante il vento,
puntandomi il dito verso gli occhi. Gli occhialoni!
Ah, gi, replic lui con voce stanca. Grazie di avermelo ricordato. Ehi, gi che sei qui, potresti
controllarmi l'imbracatura, per favore? Sono cos stanco che non riesco pi a connettere. Ti sarei molto
grato se mi tenessi d'occhio. Esaminando la sua imbracatura, vidi subito che la fibbia non era ben stretta;
se lui si fosse agganciato alla corda con il moschettone di sicurezza, si sarebbe aperta sotto il peso del
corpo, facendolo precipitare lungo la parete del Lhotse. Quando glielo feci notare, mi disse: S, ci ho
pensato anch'io, ma avevo le mani troppo gelate per stringerla bene. Togliendomi i guanti nel vento
tagliente, mi affrettai a stringergli ben bene l'imbracatura intorno alla cintola, poi lo calai dallo Spur subito
dopo gli altri.
Mentre agganciava il moschettone alla corda fissa, si lasci sfuggire la piccozza, poi la dimentic
sulle rocce mentre prendeva il via per il primo tratto a corda doppia. Stuart! gli gridai. La piccozza!
Sono troppo stanco per portarla, mi grid di rimando Lsciala dov'. Ero cos esausto io
stesso che non obiettai. Abbandonando l la piccozza, mi agganciai alla corda eseguii Stuart gi per il
ripido costone dello sperone.

Un'ora dopo raggiungemmo la Fascia Gialla, dove si form un ingorgo mentre gli scalatori
scendevano cautamente, uno alla volta, la parete verticale. Mentre aspettavo in fondo alla fila, ci
raggiunsero parecchi sherpa di Scott Fischer; fra loro c'era anche Lopsang Jangbu, quasi impazzito per il
dolore e la spossatezza. Posandogli una mano sulla spalla, gli dissi che mi dispiaceva per Scott. Lopsang
si batt sul petto e proruppe fra le lacrime: Porto grande,sfortuna. Scott morto: colpa mia. Io porto
grande sfortuna. E colpa mia. lo porto grande sfortuna.

Approdai con lentezza al Campo Due intorno all'una e mezza del pomeriggio. Bench a rigor di
termini si trovasse ancora a un'altitudine notevole (6500 metri), si trattava di un luogo del tutto diverso dal
Colle Sud. Il vento micidiale si era placato del tutto; invece di rabbrividire e preoccuparmi dei
congelamenti, ora sudavo a profusione sotto un sole ardente; non avevo pi l'impressione di aggrapparmi
alla sopravvivenza grazie a un filo sottile.
Notai che la tenda-mensa era stata trasformata in un ospedale da campo improvvisato, diretto da
Henrik Jessen Hansen, un medico danese della squadra di Mal Duff, e da Ken Hamler, un medico
americano cliente della spedizione di Todd Burleson. Alle tre del pomeriggio, mentre bevevo una tazza di
t, sei sherpa scortarono nel locale Makalu Gau, che aveva l' aria stordita, e i medici entrarono subito in
azione.
Lo fecero distendere, lo spogliarono e gli inserirono l'ago della flebo nel braccio. Esaminandogli le
mani e i piedi congelati, che erano ricoperti di uno strato biancastro e opaco, simile a quello di un
lavandino sporco, Kamler osserv con aria truce: Questo il caso di congelamento peggiore che abbia
mai visto. Quando gli chiese il permesso di fotografare i suoi arti a scopo di documentazione, lo
scalatore di Taiwan acconsent con un largo sorriso; come un soldato che esibisce le ferite ricevute in
combattimento, sembrava quasi fiero delle terribili lesioni che aveva riportato.

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Novanta minuti dopo, i medici erano ancora al lavoro su Makalu, quando si ud la voce di David
Breashears che annunciava a gran voce alla radio: Stiamo scendendo con Beck. Arriveremo al Campo
Due verso sera.
Pass un lungo istante prima che mi rendessi conto che Breashears non parlava di trasportare un
cadavere dalla montagna; lui e i suoi compagni stavano riportando Beck a valle vivo. Non potevo
crederci. Quando lo avevo lasciato sul Colle Sud, sette ore prima, ero terrorizzato al pensiero che non
sarebbe riuscito a superare la mattina.
Dato per morto per l'ennesima volta, Beck si era semplicemente rifiutato di soccombere. .In
seguito avrei appreso da Pete Athans che, poco dopo aver iniettato a Beck il dexamethasone, il texano
aveva mostrato una capacit di recupero sorprendente: Verso le dieci e trenta lo abbiamo vestito, gli
abbiamo applicato l'imbracatura e abbiamo scoperto che era addirittura in grado di stare in piedi e
camminare. Eravamo tutti sbalorditi.
Avevano cominciato la .discesa dal Colle con .Athans che precedeva Beck, indicandogli dove
mettere i piedi. Con Beck che teneva un braccio sulle spalle di Athans e Burleson che reggeva
saldamente l'imbracatura del texano stando dietro di lui, si erano calati con cautela gi dalla montagna.
A tratti dovevamo aiutarlo parecchio, riferisce Adams, ma si muoveva sorprendentemente bene.
A 7600 metri, appena al di sopra delle pareti di calcare della Fascia Gialla, si erano visti venire
incontro Ed Viesturs e Robert Schauer, che avevano calato con efficienza Beck gi per la roccia ripida.
Al Campo Tre erano stati assistiti da Breashears, Jim Williams, Veikka Gustafsson e Araceli Segarra; in
effetti gli otto scalatori sani avevano trasportato gi dalla parete del Lhotse Beck, gravemente impedito
nei movimenti, in un tempo notevolmente inferiore a quello impiegato dai miei compagni e da me, qualche
ora prima.
Quando appresi che Beck stava scendendo, mi diressi verso la tenda, infilai stancamente gli
scarponi e mi avviai lentamente incontro al gruppo di soccorso, aspettandomi di incontrarli sulle pendici
inferiori della parete del Lhotse. Invece restai stupito nell'imbattermi nel gruppo al completo a circa venti
minuti dal Campo Due. Pur lasciandosi trainare, Beck si muoveva con le proprie forze. Breashears e
compagni lo sospingevano lungo il ghiacciaio a un'andatura tale che io, ridotto com'ero in condizioni
pietose, riuscivo a stento a restare al passo con loro.
Beck fu sistemato nell'ospedale da campo accanto a Makalu Gau, dopodich i medici
cominciarono a spogliarlo. Mio Dio! esclam il dottor Kamler quando vide la mano destra di Beck. Il
suo congelamento anche peggiore di quello di Makalu. Tre ore dopo, quando m'infilai nel saccopiuma,
i medici stavano ancora scaldando delicatamente gli arti congelati di Beck in un contenitore di acqua
tiepida, lavorando alla fioca luce delle lampade.
La mattina dopo, luned 13 maggio, lasciai le tende alle prime luci dell'alba per percorrere i quattro
chilometri della conca del Cwm occidentale fino all'orlo della seraccata. L, eseguendo le istruzioni
inviate via radio da Guy Cotter dal campo base, perlustrai la zona in cerca di un'area pianeggiante che
potesse servire da pista di atterraggio per un elicottero.
Nei giorni precedenti Cotter aveva lavorato con ostinazione al telefono satellitare per organizzare
l'evacuazione via elicottero dall'estremit inferiore del Cwm, in modo che Beck non dovesse discendere
le corde e le scalette insidiose della seraccata, che sarebbero state difficili e molto pericolose, con le mani
cos gravemente lesionate. In precedenza nel Cwm erano gi atterrati degli elicotteri, nel 1973, quando
una spedizione italiana ne aveva usati un paio per trasportare i carichi dal campo base; tuttavia si trattava
di un volo estremamente rischioso, ai limiti delle possibilit dell'apparecchio, e uno degli elicotteri italiani si

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era schiantato sul ghiacciaio. Nei ventitre anni trascorsi da allora, nessuno aveva pi tentato l'atterraggio
sulla seraccata.
Cotter tuttavia insistette e, grazie ai suoi sforzi, l'ambasciata americana persuase l'esercito del
Nepal a tentare un'operazione di salvataggio con l'elicottero nel Cwm. Verso le otto del luned mattina,
mentre cercavo invano un posto accettabile per far atterrare il velivolo fra i seracchi caotici all'orlo della
cascata di ghiaccio, sentii la voce di Cotter gracchiare alla radio: L'elicottero gi in volo, Jon.
Dovrebbe arrivare a minuti. meglio che trovi un posto per farlo atterrare, e alla svelta. Sperando di
trovare un terreno pianeggiante a un livello pi alto del ghiacciaio, m'imbattei poco dopo in Beck che
veniva trainato gi per il Cwm da Athans, Burleson, Gustafsson, Breashears, Viesturs e il resto della
spedizione IMAX.
Breashears, che aveva lavorato spesso con gli elicotteri nel corso di una lunga e onorata carriera di
regista, scov subito un'area di atterraggio delimitata da due crepacci aperti a 6050 metri. Io legai una
kata di seta a un bastone di bamb perch facesse da manica a vento, mentre Breashears, utilizzando
una bottiglia di Kool-Aid rosso come colorante, tracciava una gigantesca X sulla neve al centro della
zona di atterraggio. Pochi minuti dopo apparve Makalu Gau, trascinato lungo il ghiacciaio sopra un telo
di plastica da una mezza dozzina di sherpa. Un attimo dopo sentimmo il caratteristico rumore dei rotori di
un elicottero che sferzavano l'aria rarefatta.
Pilotato dal tenente colonnello Madan Khatri Chhetri, dell'esercito nepalese, l'elicottero B2 Squirrel
verde oliva, privo del combustibile e l'equipaggiamento superflui, fece due passaggi, ma entrambe le volte
rinunci all'ultimo momento all'atterraggio. Al terzo tentativo, tuttavia, Madan deposit lo Squirrel
tremante sul ghiacciaio, con la coda sospesa su un crepaccio senza fondo. Mantenendo i rotori al
massimo regime, senza mai staccare gli occhi dal pannello dei comandi, Madan alz un dito, indicando
che poteva prendere a bordo un solo passeggero; a quell'altitudine, qualsiasi sovraccarico di peso poteva
farlo precipitare durante il decollo.
Poiche i piedi congelati di Gau erano stati scongelati al Campo Due, lo scalatore di Taiwan non
poteva pi camminare n stare in piedi, quindi Breashears, Athans e io convenimmo che doveva essere
lui a partire. Mi spiace, gridai a Beck per farmi sentire al di sopra del fragore delle turbine
dell'elicottero. Forse riuscir a fare un secondo volo. Beck annu con aria filosofica.
Issammo Gau nel retro dell'elicottero e l'apparecchio si lev in aria a fatica. Appena i pattini di
Madan si staccarono dal ghiacciaio, lui punt in avanti e piomb come un sasso oltre il ciglio della
seraccata scomparendo fra le ombre. Un silenzio profondo scese sul Cwm.
Mezz'ora dopo eravamo ancora fermi intorno alla pista di atterraggio a discutere sul modo di
trasportare gi Beck, quando si sent un lieve rumore provenire dalla valle sottostante. Pian piano il
rumore aument di volume, e infine il piccolo elicottero verde entr nella nostra visuale. Madan risal per
un breve tratto il Cwm prima di virare, cosicch il muso dell'apparecchio ora puntava a valle. Poi, senza
esitazioni, depose nuovamente lo Squirrel sulla croce disegnata con il Kool-Aid, e Breashears e Athans si
affrettarono a caricare a bordo Beck. Pochi secondi dopo, l'elicottero era in volo che sfiorava la Spalla
Ovest dell'Everest come una bizzarra libellula di metallo. Un'ora dopo, Beck e Makalu Gau ricevettero le
prime cure in un ospedale di Kathmandu.
Dopo che la squadra di soccorso si fu dispersa, restai seduto a lungo da solo sulla neve, con lo
sguardo fisso sui miei scarponi, nel tentativo di assimilare gli avvenimenti delle ultime settantadue ore.
Come potevano essere andate cos storte le cose? Come potevano essere morti davvero Andy e Rob e
Scott e Doug e Yasuko? Ma per quanto tentassi, non ricevevo risposte. Le proporzioni di quella sciagura
erano cos superiori alle mie peggiori previsioni, che il mio cervello semplicemente entr in corto circuito

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e si oscur. Abbandonando ogni speranza di comprendere quello che era accaduto, mi misi in spalla lo
zaino e ridiscesi nel caos di ghiaccio stregato della seraccata, nervoso come un gatto, per un ultimo
tragitto attraverso il labirinto di seracchi in disfacimento.
Mi verr inevitabilmente richiesto un giudizio equilibrato sulla spedizione, di quel genere che era
impossibile quando eravamo tutti troppo vicini ai fatti... Da un lato, Amundsen che si reca laggi senza
intoppi; arriva per primo e torna indietro senza perdere un solo uomo e senza aver esposto s stesso e i
suoi uomini a sforzi maggiori di quanto fosse previsto nel lavoro quotidiano di esplorazione polare.
Dall'altro, la nostra spedizione, che ha comportato rischi agghiacdanti, compiuto prodigi di resistenza
sovrumana, ottenuto fama immortale, stata commemorata con sermoni nelle auguste cattedrali e con
statue pubbliche, ma ha raggiunto il Polo solo per scoprire che il nostro terribile viaggio era stato
superfluo, lasciando morti sul ghiaccio gli uomini migliori. Ignorare un simile contrasto sarebbe ridicolo:
scrivere un libro senza darne conto, una mera perdita di tempo.
APSLEY CHERRY-GARRARD
The Worst Journey in the World,
resoconto della tragica spedizione
di Robert Falcon SCOtt al Polo Sud,
nel 1912

Arrivato in fondo alla seraccata del Khumbu, la mattina di luned 13 maggio, trovai ad attendermi in
fondo al pendio, ai margini del ghiacciaio, Ang Tshering, Guy Cotter e Caroline Mackenzie. Guy mi offr
una birra, Caroline mi abbracci, e un attimo dopo mi ritrovai seduto sul ghiaccio col viso fra le mani e le
guance rigate di lacrime, a piangere come non facevo da quando ero bambino. Ormai al sicuro, con la
tensione spasmodica dei giorni precedenti che si allentava, piangevo per i compagni perduti, piangevo
perch ero grato di essere vivo, piangevo perch mi sentivo un mostro per il solo fatto che ero
sopravvissuto mentre altri erano morti.
Il marted pomeriggio, Neal Beidleman presiedette una funzione commemorativa
nell'accampamento della Mountain Madness. Il padre di Lopsang Jangbu, Ngawang Sya Kya, che era
stato ordinato lama, bruci dei bastoncini di incenso di ginepro e recit testi buddhisti Sotto un cielo di un
grigiore metallico. Neal pronunci poche parole, e dopo di lui parlarono Guy e Anatoli Boukreev,
piangendo la perdita di Scott Fischer. Io mi alzai in piedi per balbettare qualche parola in ricordo di Doug
Hansen. Pete Schoening tent di risollevare gli animi incoraggiandoci a guardare al futuro, e non al
passato; ma quando la cerimonia fin e ci disperdemmo tutti nelle tende, sul campo base aleggiava
un'atmosfera funerea.
La mattina dopo di buon'ora arriv un elicottero per portare via Charlotte Fox e Mike Groom,
giacch i piedi congelati di entrambi richiedevano cure mediche immediate. John Taske, che era medico,
si un a loro per assistere Charlotte e Mike durante il viaggio. Poi, poco dopo mezzogiorno, mentre Helen
Wilton e Guy Cotter restavano per sovrintendere allo smantellamento del campo dell'Adventure
Consultants, Lou Kasischke, Stuart Hutchison, Frank Fischbeck, Caroline e io ci allontanammo a piedi
dal campo base, diretti a casa.
Gioved 16 maggio ci trasferirono in elicottero da Pheriche al villaggio di Syangboche, poco pi su

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di Namche Bazaar. Mentre stavamo attraversando la pista non asfaltata per attendere un secondo volo
per Kathmandu, Stuart, Caroline e io ci vedemmmo venire incontro tre giapponesi dal volto cinereo. Il
primo disse di chiamarsi Muneo Nukita; era un esperto scalatore dell'Himalaya che aveva raggiunto due
volte la vetta dell'Everest e ci spieg cortesemente che faceva da guida e da interprete per gli altri due,
che ci present come il marito di Yasuko Namba, Kenichi Namba, e il fratello. Nei tre quarti d'ora
seguenti ci rivolsero molte domande, a poche delle quali ero in grado di rispondere.
Ormai la notizia della morte di Yasuko era finita sulle prime pagine dei giornali giapponesi. Anzi, il
12 maggio - meno di ventiquattro ore dopo la sua morte sul Colle Sud - un elicottero si era posato al
centro del campo base, sbarcando due giornalisti giapponesi muniti di maschere a ossigeno. Rivolgendosi
alla prima persona che vedevano, un alpinista americano che si chiamava Scott Darsney, gli avevano
chiesto informazioni su Yasuko. Ora, a quattro giorni di distanza, Nukita ci avvert che uno sciame
altrettanto vorace di giornalisti della stampa e della televisione ci attendeva all'arrivo a Kathmandu.
Quel pomeriggio sul tardi ci stipammo a bordo di un gigantesco elicottero Mi-17 e decollammo
approfittando di un varco fra le nuvole. Un'ora dopo l'elicottero atterrava all'aeroporto internazionale di
Tribhuvan, dove appena sbarcati ci trovammo in mezzo a una selva di microfoni e telecamere. Essendo
un giornalista, trovai istruttivo sperimentare la situazione dall'altro lato della barricata. La folla di
giornalisti, per lo pi giapponesi, volevano una versione ben sceneggiata del disastro, con tanto di buoni e
cattivi; ma il caos e le sofferenze a cui avevo assistito non si lasciavano ridurre facilmente a semplici
impulsi sonori. Dopo venti minuti di terzo grado sulla pista, mi trasse in salvo David Schensted, il console
dell'ambasciata americana, che mi accompagn al Garuda Hotel.
Seguirono altri colloqui pi difficili,on altri cronisti, e poi le forche caudine degli accigliati funzionari
del ministero del Turismo. Il venerd sera, aggirandomi per i vicoli del quartiere di Thamel, a Kathmandu,
cercai scampo a una depressione sempre pi profonda porgendo a un macilento ragazzo nepalese una
manciata di rupie e ricevendo in cambio un minuscolo pacchetto avvolto nella carta decorata con una
tigre ringhiante. Una volta al sicuro nella mia camera d'albergo, svolgendo l'involucro ne sbriciolai il
contenuto su una cartina di sigaretta. Le gemme di un verde pallido erano appiccicose di resina e
odoravano di frutti marci. Mi preparai uno spinello, lo fumai fino in fondo, ne arrotolai un altro piuttosto
consistente e fumai per met anche quello, prima che la stanza cominciasse a rotearmi intorno. Allora lo
spensi.
Mi stesi nudo sul letto ad ascoltare i suoni della notte che filtravano nella stanza dalla finestra
aperta. Il tintinnio dei campanelli dei risci si fondeva con i clacson delle auto, i richiami dei venditori
ambulanti, le risa di una donna, la musica di un bar vicino. Steso supino, troppo fatto per muovermi,
chiusi gli occhi e mi lasciai colare addosso, come un balsamo, il caldo colloso della stagione
premonsonica; avevo l'impressione di sciogliermi, fondendomi con il materasso. Sul retro delle mie
palpebre chiuse sfilava un corteo di girandole ricoperte di incisioni intricate e di figure di cartone dal
grosso naso, il tutto a colori fluorescenti.
Quando voltai la testa di lato, sfiorai con l'orecchio un punto umido e mi accorsi che le lacrime mi
scorrevano sul viso e andavano a inzuppare le lenzuola. Sentivo una bolla gonfia e gorgogliante di
sofferenza e di vergogna che si gonfiava lungo la mia spina dorsale, scaturendo da chiss dove. Al primo
singhiozzo, che proruppe dal naso e dalla bocca con un fiotto di muco, ne segu un altro, poi un altro e un
altro ancora.

Il 19 maggio rientrai in aereo negli Stati Uniti, portando con me due sacche di effetti personali di
Doug Hansen da restituire alle persone che lo amavano. All'aeroporto di Seattle vennero a prendermi i

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figli, Angie e Jaime, la sua ragazza, Karen Marie, pi altri amici e parenti. Di fronte alle loro lacrime, mi
sentii stupido e impotente.
Respirando la densa aria marina che portava con se la fragranza della bassa marea, ammirai la
fecondit della primavera di Seattle, apprezzandone come non mai il fascino umido e muscoso. Pian
piano, a piccoli passi esitanti, Linda e io cominciammo a ritrovare la confidenza fra noi. Riacquistai tutti i
dodici chili che avevo perduto nel Nepal, con gli interessi. I normali piaceri della vita in famiglia - fare la
prima colazione con mia moglie, guardare il tramonto del sole sul Puget Sound, potermi alzare nel cuore
della notte e andare a piedi nudi in una stanza da bagno calda - mi procuravano lampi di gioia che
sconfinava nell'estasi. Ma quei momenti erano oscurati dalla lunga ombra gettata dall'Everest, che non
sembrava diminuire affatto, nonostante il passare del tempo.
Rimuginando sul mio senso di colpa, rinviai le telefonate alla compagna di Andy Harris, Fiona
McPherson, e alla moglie di Rob Hall, Jan Arnold, per tanto tempo che alla fine furono loro a chiamarmi
dalla Nuova Zelanda. Quando fu stabilita la comunicazione, non riuscii adire nulla che potesse mitigare
l'ira o lo sconcerto di Fiona, mentre nella conversazione con Jan fu soprattutto lei a confortare me,
anzich il contrario.
Avevo sempre saputo che l'alpinismo era una sfida ad alto rischio. Accettavo il fatto che il pericolo
fosse una componente essenziale del gioco: senza di esso, arrampicare sarebbe stato ben poco diverso
da cento altri modi di passare il tempo. Quello che mi titillava era proprio sfiorare di proposito l'enigma
della mortalit, lanciare un'occhiata oltre la frontiera proibita. Arrampicare era un'attivit meravigliosa, ne
ero fermamente convinto, non a dispetto dei rischi impliciti, ma proprio per quelli.
Prima di salire sull'Himalaya, per, non avevo mai visto la morte cos da vicino. Diamine, prima di
scalare l'Everest non ero mai stato neanche a un funerale. La mortalit era rimasta un concetto
comodamente ipotetico, un'idea su cui riflettere in astratto. Prima o poi era inevitabile che una tale
innocenza privilegiata fosse infranta, ma quando infine accadde, lo shock fu ingigantito dall'assoluta inanit
della strage: nella primavera del 1996 l'Everest ha ucciso in tutto dodici persone fra uomini e donne, il
bilancio di morte pi pesante da quando gli alpinisti vi avevano messo piede per la prima volta,
settantacinque anni prima.
Dei sei scalatori della spedizione di Hall che avevano raggiunto la vetta, solo Mike Groom e io
eravamo riusciti a ridiscendere, mentre avevano perso la vita quattro compagni insieme ai quali avevo
riso, vomitato, intrattenuto lunghe conversazioni intime. Le mie azioni, o meglio le mie omissioni, avevano
svolto un ruolo diretto nella morte di Andy Harris; e mentre Yasuko Namba giaceva morente sul Colle
Sud, io ero a meno di trecentocinquanta metri di distanza, raggomitolato nella mia tenda, ignaro della sua
lotta contro la morte, preoccupato solo della mia incolumit. La macchia che questo ha lasciato sulla mia
psiche non di quel tipo che sbiadisce dopo qualche mese di dolore e di recriminazioni intrise di senso di
colpa.
Infine parlai della mia perdurante inquietudine con Klev Schoening, che vive non lontano da casa
mia. Klev mi disse che si sentiva male anche lui per la perdita di tante vite, ma non provava il senso di
colpa del superstite. Mi spieg: L fuori sul Colle, quella sera, ho sfruttato tutte le risorse che avevo
per salvare me stesso e quelli che erano con me. Quando sono tornato alle tende, non mi restavano pi
energie da spendere. Avevo una cornea congelata ed ero praticamente cieco, in preda all'ipotermia, al
delirio e a brividi incontrollabili. Perdere Yasuko stato terribile, ma mi sono rappacificato con me stesso
su questo punto, perch in fondo al cuore so che non c'era nient'altro che potessi fare per salvarla. Non
dovresti essere cos severo con te stesso. Era una tempesta spaventosa. Nelle condizioni in cui eri che
cosa avresti potuto fare per lei?

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Forse niente, ero d' accordo. Ma a differenza di Schoening, non ne sar mai sicuro, e l'invidiabile
pace di cui parla continua a sfuggirmi. Con tanti alpinisti poco qualificati che affluiscono sull'Everest
attualmente, molti credono che una tragedia di queste dimensioni fosse inevitabile; ma nessuno
immaginava che al centro del disastro si trovasse una spedizione condotta da Rob Hall. Hall gestiva le
spedizioni pi sicure e meglio organizzate della montagna, nessuna esclusa. Temperamento metodico fino
all'ossessione, aveva elaborato e messo in atto dei sistemi che avrebbero dovuto prevenire una simile
catastrofe. E allora che cosa accadde? Com' possibile spiegare l'accaduto, non solo ai cari rimasti, ma
anche a un pubblico critico?
Forse un' eccessiva sicurezza in se stesso ha giocato un certo ruolo. Hall era diventato cos abile nel
condurre su e gi per l'Everest alpinisti di qualsiasi livello tecnico, che probabilmente era diventato un po'
arrogante. In pi di un'occasione si era vantato di poter guidare sulla vetta chiunque fosse discretamente
in forma, e il suo curriculum sembrava confermarlo; inoltre aveva rivelato una notevole abilit nel vincere
le avversit.
Nel 1995, per esempio, Hall e le sue guide non avevano dovuto affrontare solo i problemi di Hansen
presso la vetta, ma anche tenere testa al collasso totale di un'altra cliente, Chantal Mauduit, una nota
alpinista francese, che compiva il settimo tentativo di conquista dell'Everest senza ossigeno. A 8748
metri, la Mauduit aveva perso i sensi ed era stato necessario trascinarla e trasportarla di peso per tutto il
percorso dalla Cima Sud al Colle Sud come un sacco di patate, per usare le parole di Guy Cotter. Dal
momento che tutti erano usciti vivi da quel tentativo di conquista della vetta, pu darsi benissimo che Hall
abbia pensato che c'erano ben poche situazioni che non fosse in grado di fronteggiare.
Prima del 1996, tuttavia, Hall aveva avuto una straordinaria fortuna con le condizioni atmosferiche, e
questo potrebbe aver viziato le sue capacit di giudizio. Una stagione dopo l'altra, conferm David
Breashears, che ha partecipato a oltre una dozzina di spedizioni himalayane e ha scalato tre volte
l'Everest, Rob ha avuto un tempo straordinario nel giorno dell'assalto alla vetta. Non era mai stato
sorpreso da una tormenta in alta quota. In effetti la tempesta del 10 maggio, per quanto violenta, non
era niente di straordinario; era una manifestazione temporalesca abbastanza tipica dell'Everest. Se avesse
infuriato due ore dopo, probabile che non ci sarebbero stati morti. Viceversa, se fosse arrivata anche
solo un'ora prima, avrebbe potuto uccidere facilmente diciotto o venti scalatori, me compreso.
Senza dubbio ha pesato molto anche il calcolo dei tempi, oltre alle condizioni atmosferiche, e ignorare l'
orologio non si pu liquidare come un atto divino. I ritardi rispetto agli orari limite prestabiliti erano
prevedibili e in larga misura evitabili; i tempi fissati per il ritorno furono tranquillamente ignorati. Il rinvio
dell'orario limite fissato per il rientro pu essere stato influenzato in una certa misura dalla rivalit tra
Fischer e Hall. Fischer non aveva mai fatto la guida sull'Everest prima del 1996; da un punto di vista
commerciale, risentiva in misura fortissima della pressione che lo spingeva al successo. Era
eccezionalmente motivato a portare fino alla vetta i suoi clienti, soprattutto un personaggio celebre come
Sandy Hill Pittman.
Allo stesso modo, per Hall, dal momento che nel 1995 non aveva portato nessuno sulla vetta, sarebbe
stato un grosso guaio se avesse fallito di nuovo nel 1996... soprattutto se Fischer avesse avuto successo.
Scott aveva una personalit carismatica, e il suo fascino magnetico era stato commercializzato in modo
aggressivo da lane Bromet. Egli stava portando un serio attacco alle risorse di Hall che ne era
consapevole. Date le circostanze, la prospettiva di far tornare indietro i suoi clienti mentre quelli
dell'avversario premevano per raggiungere la vetta poteva essere abbastanza sgradevole da offuscare la
capacit di giudizio di Hall.
Non verr mai sottolineato abbastanza, inoltre, che Hall, Fischer e tutti noi eravamo costretti a prendere
decisioni critiche mentre eravamo gravemente menomati dalla carenza di ossigeno. Nel ricostruire in che

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modo possa essersi verificato il disastro, essenziale ricordare che del tutto impossibile riflettere con
lucidit a un'altitudine di 8840 metri.
facile ragionare con il senno di poi. Scossi dal prezzo pagato in termini di vite umane, i critici sono stati
pronti a suggerire tattiche e procedure per far s che non si ripetano le catastrofi di questa stagione. Si
avanzata per esempio la proposta che sull'Everest si instauri la regola della proporzione di una guida per
ogni cliente; vale adire che ogni cliente dovrebbe arrampicare con una guida personale e restare
assicurato alla guida in ogni momento.
Forse, per, il modo pi semplice per evitare stragi future sarebbe bandire l'uso delle bombole di
ossigeno, se non nei casi di emergenza medica. Qualche anima irrequieta potr anche perire nel tentativo
di raggiungere la vetta senza ossigeno, ma la grande massa degli alpinisti incompetenti sarebbe costretta a
tornare indietro dai ptopri limiti fisici, prima di salire abbastanza in alto da cacciarsi in guai seri. E la
regola di abolire l'ossigeno avrebbe il beneficio collaterale di ridurre automaticamente l'accumulo di rifiuti
e l'affollamento, perch il numero degli aspiranti scalatori dell'Everest diminuirebbe in misura notevole, se
sapessero che non ne ammesso l'uso.
Comunque l'esercizio della professione di guida sull'Everest regolato da norme molto elastiche, gestite
da burocrazie del terzo mondo bizantineggianti e incredibilmente impreparate a valutare le qualifiche delle
guide stesse o dei clienti. Per giunta le due nazioni che controllano l'accesso alla vetta, Nepal e Cina,
sono paurosamente povere. Spinti da un disperato bisogno di valuta, i governi di entrambe le nazioni
nutrono un interesse immediato nella concessione del maggior numero possibile di costosi permessi di
scalata che il mercato in grado di assorbire, ed improbabile che attuino una politica che possa limitare
in modo significativo i loro introiti.
L'analisi degli errori commessi sull'Everest abbastanza utile, in quanto pu servire a prevenire il
ripetersi di altri casi del genere; ma credere che sezionare i tragici eventi del 1996 nei minimi dettagli
possa effettivamente ridurre in modo significativo il tasso di morti nel futuro un pio desiderio. L'urgenza
di catalogare la miriade di errori per imparare da essi per lo pi un esercizio di negazione e
autoinganno. Se riuscite a convincervi che Rob Hall morto perch ha commesso una sfilza di stupidi
errori e che voi siete troppo intelligenti per ripetere questi stessi errori, vi sar pi facile tentare la
conquista dell'Everest alla faccia di tutte le prove tese a dimostrare che farlo sia poco giudizioso.
In effetti il tragico esito del 1996 stato per molti aspetti una storia del tutto banale. Bench in quella
stagione primaverile sull'Everest sia stato toccato il record delle vittime, i dodici caduti di quell'anno
ammontano appena al tre per cento dei 398 scalatori che sono saliti oltre il campo base, vale a dire un
po' meno della media storica del 3,3 per cento di incidenti fatali. C' anche un altro modo di considerare
la questione: fra il 1921 e il maggio 1996, sono morte 144 persone, mentre la vetta stata scalata 630
volte, il che equivale a una proporzione di una vittima ogni quattro scalate. La primavera scorsa, sono
morti 12 scalatori, mentre 84 hanno raggiunto la vetta: una proporzione di uno su sette. Considerando
questi dati storici, il 1996 stato in effetti un anno pi sicuro della media.
A dire la verit, scalare l'Everest sempre stata un'impresa straordinariamente pericolosa, e senza
dubbio lo sar sempre, che gli interessati siano neofiti dell'Himalaya guidati per mano fino alla vetta
oppure alpinisti di livello mondiale che arrampicano insieme ai loro pari. Vale la pena di notare che la
montagna, prima di reclamare la vita di Hall e Fischer, aveva gi spazzato via un intero battaglione di
scalatori di prim'ordine, fra cui Peter Boardman, Joe Tasker, Marty Joey, Jake Breitenbach, Mick
Burke, Michel Parmentier, Roger Marshall, Ray Genet e George Leigh Mallory.
Nel caso specifico delle spedizioni guidate, nel 1996 mi fu ben presto chiaro che pochi dei clienti sulla
vetta (me compreso) erano realmente in grado di valutare la gravit dei rischi che affrontavano, la fragilit

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del margine che protegge la vita umana oltre i 7600 metri. Tutti coloro che sognano l'Everest devono
tenere a mente che quando le cose vanno male nella Zona della morte - e prima o poi accade sempre
anche le guide pi forti del mondo possono non essere in grado di salvare la vita di un cliente; anzi, come
hanno dimostrato i fatti del 1996, a volte le guide pi forti del mondo non sono in grado di salvare la
propria vita. I miei quattro compagni sono morti non perch i metodi di Rob Hall fossero sbagliati (anzi,
non ce n'erano di migliori), ma perch sull'Everest rientra nella natura dei metodi stessi il fallimento
spettacolare.
Immersi come siamo in tutti questi ragionamenti a posteriori, facile perdere di vista il fatto che
l'alpinismo non sar mai un'attivit sicura, prevedibile, soggetta a norme ben precise. Si tratta di un'attivit
che idealizza il rischio; le figure pi celebrate di questo sport sono sempre state quelle che rischiano di pi
e riescono a cavarsela. Gli scalatori, come specie, non si distinguono certo per l'eccesso di prudenza, e
questo particolarmente vero nel caso degli scalatori dell'Everest: quando si trovano di fronte a una
possibilit di raggiungere la vetta pi alta del pianeta, la storia insegna che gli uomini fanno
sorprendentemente in fretta ad abbandonare il buon senso. Prima o poi, ammonisce Tom Hornbein,
trentatr anni dopo la sua scalata della Cresta Ovest, quello che accaduto sull'Everest in questa
stagione si ripeter senz'altro. A riprova del fatto che gli errori del 10 maggio non hanno insegnato
niente, basta considerare quello che accaduto sull'Everest nelle settimane immediatamente successive.

Il 17 maggio, due giorni dopo che la squadra di Hall aveva lasciato il campo base, sul versante tibetano
della montagna l'austriaco Reinhard Wlasich e un compagno ungherese, arrampicando senza ossigeno, si
accamparono a 8300 metri di quota sulla Cresta Nord-Est, dove occuparono una tenda abbandonata
dalla sfortunata spedizione del Ladakh. La mattina dopo, Wlasich accus un malessere e subito dopo
perse i sensi; un medico norvegese, presente per caso, accert che l'austriaco era stato colpito
contemporaneamente da edema polmonare e cerebrale. Nonostante il medico gli avesse somministrato
ossigeno e farmaci, a mezzanotte Wlasich era gi morto.
Nel frattempo, sul versante nepalese dell'Everest, la spedizione dell'IMAX di David Breashears si riun
per riflettere sulle possibilit che si offrivano loro. Dato che erano stati gi investiti cinque milioni e mezzo
di dollari sul loro progetto cinematografico, avevano un forte incentivo per restare sulla montagna e
tentare la conquista della vetta. Con Breashears, Ed Viesturs e Robert Schauer, non c'erano dubbi sul
fatto che fossero la squadra pi forte e competente sull'Everest. Nonostante che avessero ceduto met
della loro riserva di ossigeno per assistere i soccorritori e gli scalatori in difficolt, erano in grado di
accaparrarsi ossigeno a sufficienza per rimpiazzare quasi tutto quello perduto ottenendolo dalle spedizioni
che lasciavano la montagna.
Paula Barton Viesturs, la moglie di Ed, era stata di servizio alla radio in veste di organizzatrice del campo
base della troupe dell'IMAX al momento del disastro, il 10 maggio. Dal momento che era stata amica
tanto di Hall quanto di Fischer, era rimasta sconvolta; Paula aveva dato per scontato che dopo una
tragedia cos terrificante la squadra dell'IMAX avrebbe automaticamente tolto le tende per tornare a
casa. Poi ascolt per caso una comunicazione radio fra Breashears e un altro scalatore, in cui il capo
dell'IMAX dichiarava con disinvoltura che la squadra intendeva trascorrere una breve pausa di riposo al
campo base prima di scalare la vetta.
Dopo tutto quello che era successo, non potevo credere che volessero davvero salire lass, ammette
Paula. Quando ho sentito la trasmissione radio, non ci ho visto pi. Rimase scossa al punto da lasciare
il campo base per scendere a piedi a Tengbocht, dove si ferm cinque giorni per riordinare le idee.
Mercoled 22 maggio, la squadra dell'IMAX arriv sul Colle Sud, in condizioni climatiche perfette, e

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quella notte stessa part alla volta della vetta. Ed Viesturs, che aveva il ruolo di protagonista nel film,
raggiunse la vetta alle undici del gioved mattina, senza ricorrere all'ossigeno.[42]Breashears arriv venti
minuti dopo, seguito da Araceli Segarra, Robert Schauer e Jamling Norgay Sherpa, figlio del primo
scalatore, Tenzing Norgay, e nono componente del clan dei Norgay che scalava la vetta. In tutto furono
sedici gli alpinisti che raggiunsero la vetta quel giorno, compreso lo svedese che era arrivato in bicicletta
nel Nepal da Stoccolma, Goran Kropp, e Ang Rita Sherpa, che quel giorno compiva la sua decima visita
sulla cima dell'Everest.
Nel salire, Viesturs era passato vicino ai cadaveri congelati di Fischer e Hall. Tanto Jean [la moglie di
Fischer], quanto Jan [la moglie di Hall] mi avevano chiesto di portare loro degli effetti personali, ricorda
Viesturs con un certo imbarazzo. Sapevo che Scott portava la fede appesa al collo, e avrei voluto
riportarla a Jeannie, ma non ce l'ho fatta a frugare il corpo. Non me la sentivo. Invece di raccogliere dei
ricordi personali, Viesturs si sedette vicino a Fischer, lungo la discesa, trascorrendo qualche minuto da
solo con lui. Ehi, Scott, come te la passi? chiese tristemente Ed al suo amico. Che cosa ti successo,
amico?
Il venerd pomeriggio, 24 maggio, la squadra dell'IMAX, scendendo dal Campo Quattro al Campo
Due, incontr quel che restava della spedizione sudafricana - Ian Woodall, Cathy O'Dowd, Bruce
Herrod e tre sherpa - sulla Fascia Gialla, mentre erano diretti l Colle Sud per tentare anche loro la
conquista della vetta. Bruce sembrava in gran forma, aveva un viso che sprizzava salute, ricorda
Breashears. Mi strinse la mano con grande energia, si congratul con noi e disse che si sentiva un leone.
A mezz'ora di distacco da lui c'erano Ian e Cathy, piegati in due sulle piccozze, con un'aria stravolta...
davvero spompati.
Mi premurai di trascorrere un po' di tempo con loro, continua Breashears. Sapevo che erano molto
inesperti, cos dissi: 'Siate prudenti, per favore. Avete visto che cosa successo pochi giorni fa.
Ricordate che raggiungere la vetta facile; il difficile tornare indietro'.
I sudafricani tentarono di raggiungere la vetta quella notte. O'Dowd e Woodall lasciarono le tende venti
minuti dopo mezzanotte insieme agli sherpa Pemba Tendi e Ang Dorje,[43]mentre Jangbu portava loro
l'ossigeno. Pare che Herrod abbia lasciato il campo pochi minuti dopo il gruppo principale, ma rest
sempre pi indietro man mano che proseguiva la salita. Sabato 25 maggio, alle 09.50 di mattina, Woodall
chiam alla radio Patrick Conroy, l'operatore del campo base, per annunciare che era arrivato sulla vetta
con Pemba e che O'Dowd sarebbe stata l un quarto d'ora pi tardi insieme ad Ang Dorje e Jangbu.
Woodall rifer che Herrod, privo di radio, si trovava pi in basso, a una distanza imprecisata.
Herrod, che avevo incontrato pi volte sulla montagna, era un amabile trentasettenne con la stazza di un
orso. Pur non avendo esperienza ad alta quota, era un alpinista preparato che aveva trascorso diciotto
mesi nei gelidi deserti dell' Antartide lavorando come geofisico, ed era di gran lunga lo scalatore
tecnicamente pi abile rimasto nella squadra sudafricana. Dal 1988 lavorava sodo per imporsi come
fotografo indipendente e sperava che raggiungere la vetta dell'Everest avrebbe impresso alla sua carriera
la spinta di cui aveva bisogno.
Mentre Woodall e O'Dowd erano sulla vetta, si seppe poi, Herrod era rimasto molto pi in basso, e si
sforzava di risalire da solo la Cresta Sud-Est a un'andatura pericolosamente lenta. Verso mezzogiorno e
mezzo aveva incrociato Woodall, O'Dowd e i tre sherpa che ridiscendevano. Ang Dorje gli aveva
consegnato una radio e gli aveva indicato il punto in cui era stata sepolta una bombola di ossigeno per lui,
poi Herrod aveva proseguito da solo verso la vetta; l'aveva raggiunta solo dopo le cinque del pomeriggio,
sette ore pi tardi degli altri, quando ormai Woodall e O'Dowd erano gi rientrati nella loro tenda al
Colle Sud.

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Per coincidenza, nello stesso momento in cui Herrod si metteva in comunicazione radio con il campo
base per riferire che era sulla vetta, la sua ragazza, Sue Thompson, chiamava Conroy al telefono
satellitare del campo base dalla sua casa di Londra. Quando Patrick mi disse che Bruce era sulla vetta,
ricorda Thompson, esclamai: 'Accidenti! Non pu trovarsi sulla vetta cos tardi.;. sono le cinque e un
quarto! Non mi sembra una bella cosa.
Un attimo dopo, Conroy mise in comunicazione Sue Thompson con Herrod, in vetta all'Everest. Bruce
sembrava lucido, racconta lei. Sapeva di aver impiegato molto per arrivarci, ma sembrava normale,
almeno per quanto possibile a quell'altitudine, dal momento che doveva togliersi la maschera
dell'ossigeno per parlare. Non pareva neppure che avesse il respiro affannoso.
In ogni modo, Herrod aveva impiegato diciassette ore per salire dal Colle Sud alla cima: bench il vento
fosse debole, le nubi ormai avviluppavano la parte superiore della montagna e il buio si avvicinava in
fretta. Completamente solo sul tetto del mondo, estremamente affaticato, doveva aver esaurito l'ossigeno,
o quasi. Era pazzesco che fosse lass cos tardi, senza qualcun altro in giro, commenta il suo ex
compagno Andy de Klerk. assolutamente allucinante.
Herrod era rimasto sul Colle Sud dalla sera del 9 maggio fino a tutto il 12 maggio. Aveva sperimentato
la ferocia dl quella tempesta, udito le disperate invocazioni di aiuto alla radio, visto Beck Weathers
mutilato da terribili sintomi di congelamento. All'inizio della scalata del 25 maggio era passato accanto al
corpo di Scott Fischer e alcune ore dopo, sul Colle Sud, doveva avere scavalcato le gambe senza vita di
Rob Hall. Eppure, a quanto pare, quei cadaveri gli avevano fatto ben poca impressione, visto che,
nonostante l'andatura troppo lenta e l'ora tarda, aveva insistito per raggiungere la vetta.
Non vi furono altre trasmissioni radio da parte di Herrod, dopo quella delle cinque e un quarto dalla
vetta. Restammo ad aspettarlo al Campo Quattro, riuniti attorno alla radio accesa, ha spiegato
O'Dowd in un'intervista pubblicata dalMail & Guardian di Johannesburg. Eravamo terribilmente
stanchi e alla fine ci addormentammo. Quando mi svegliai la mattina dopo verso le cinque, senza che
avesse richiamato, capii che lo avevamo perduto.
Bruce Herrod ora disperso, presumibilmente morto; la dodicesima vittima della stagione.
Ora sogno le carezze delicate delle donne, il canto degli uccelli la.fragranza della terra sbriciolata tra le
dita e il verde lucente delle piante che coltivo con diligenza. Cerco della terra da comprare, che popoler
di cervi e cinghiali e uccelli, pioppi e sicomori; scaver uno stagno, dove verranno a posarsi le anatre e i
pesci salteranno in aria al crepuscolo, catturando al volo gli insetti nelle fauci. In questa foresta ci saranno
sentieri, lungo i quali ci perderemo nelle morbide curve e pieghe del terreno. Arriveremo in riva allo
stagno, stendendoci sull'erba, e vicino ci sar un piccolo cartello discreto che dice:QUESTO IL
MONDO VERO, MUCHACHOS, E NOI CI SIAMO DENTRO TUTTI -B. TRAVEN.
CHARLES BOWDEN
Blood Orchid

Parecchi di coloro che si trovavano sull'Everest nel maggio del 1996 sono riusciti a superare la
tragedia. Verso la met di novembre ho ricevuto una lettera da Lou Kasischke, in cui mi scriveva:

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Nel mio caso ci sono voluti alcuni mesi perch gli aspetti positivi cominciassero a venire alla luce, eppure
ce ne sono. L'Everest stato l'esperienza peggiore della mia vita, ma lo stato allora. Adesso adesso.
Mi concentro sui lati positivi. Ho appreso delle verit importanti sulla vita, sul prossimo e su me stesso.
Ora sento di avere una prospettiva pi chiara, e vedo cose che prima non avrei mai visto.

Lou era appena rientrato a casa da un weekend trascorso con Beck Weathers a Dallas. Dopo
l'evacuazione in elicottero dal Cwm, Beck aveva subito l'amputazione del braccio destro al di sotto del
gomito, insieme all'asportazione delle dita della mano sinistra. Anche il naso era stato amputato e
ricostruito con tessuti prelevati dall'orecchio e dalla fronte. Durante la visita a Beck, Lou aveva osservato:

Era al tempo stesso triste e trionfante. Fa male vedere Beck ridotto cos: il naso ricostruito, le cicatrici
sul viso, invalido per tutta la vita, costretto a chiedersi se potr mai tornare a fare il medico. Eppure
stato istruttivo vedere come un uomo pu accettare tutto questo e continuare a vivere. Sta superando
tutto e ne uscir vincitore.
Beck ha avuto solo parole di elogio per tutti; non intende distribuire premi e biasimi. Forse non sarai
d'accordo con le sue idee politiche, ma dovresti condividere il mio orgoglio per il modo in cui ha
affrontato la situazione. In un modo o nell'altro, un giorno, la faccenda si risolver in modo positivo per
Beck.

Mi rincuora il fatto che Beck, Lou e gli altri siano apparentemente in grado di guardare al lato
positivo di questa esperienza, ma nello stesso tempo mi riempie di invidia. Forse fra qualche tempo
anch'io sar in grado di riconoscere che da tante sofferenze scaturito un bene pi grande, ma ora come
ora non ci riesco.
Mentre scrivo queste parole, sono passati sei mesi dal mio ritorno dal Nepal, e in questi sei mesi
non c' stato giorno in cui l'Everest non abbia monopolizzato i miei pensieri per almeno due o tre ore.
Non trovo pace neanche nel sonno: le immagini della scalata e delle sue drammatiche conseguenze
continuano a ossessionare i miei sogni.
Dopo la pubblicazione sul numero di settembre diOutside del mio articolo sulla spedizione, la
rivista ha ricevuto un numero insolitamente alto di lettere. In gran parte la corrispondenza esprimeva
sostegno e simpatia per noi che eravamo tornati, ma c'erano anche numerosissime lettere aspramente
critiche. Un avvocato della Florida, per esempio, ammoniva:

Tutto ci che posso dire che concordo con il signor Krakauer quando afferma: Le mie azioni, o
meglio le mie omissioni, hanno svolto un ruolo diretto nella morte di Andy Harris. Concordo con lui
anche quando dice che: [si trovava] ameno di trecentocinquanta metri [di distanza], raggomitolato nella
mia tenda, senza fare assolutamente niente... Non so come possa guardarsi allo specchio ogni giorno.

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Alcune delle lettere pi dure, e di gran lunga pi difficili da leggere, provenivano dai parenti delle
vittime. La sorella di Scott Fischer, Lisa Fischer-Luckenbach, mi ha scritto:

A giudicare dalle sue parole, si ha indubbiamente l'impressione che LEI abbia l'arcana abilit di sapere
esattamente che cosa passava per la mente e per il cuore di tutti i singoli partecipanti alla spedizione. Ora
che LEI in casa, sano e salvo, giudica le ragioni degli altri e ne analizza le intenzioni, il comportamento,
la personalit e le motivazioni. Non ha fatto che commentare quello che AVREBBERO DOVUTO fare
gli organizzatori, gli sherpa, i clienti, lanciando accuse arroganti sui loro errori. Sempre secondo Jon
Krakauer, che dopo aver avuto un assaggio del giorno del giudizio, si rintanato nella sua tenda per
mettersi al sicuro...
Forse comincia a intravedere quello che combina con questa apparenza da So TUTTO IO. Ha gi
sbagliato con le sue ILLAZIONI sulla sorte di Andy Harris, causando tanto dolore e angoscia alla sua
famiglia e ai suoi amici, e ora ha bollato il personaggio di Lopsang con la sua descrizione per sentito
dire.
Quello che vedo nelle sue parole il suo EGO, che si sforza freneticamente di ricavare un senso
dall'accaduto. Per quanto si affatichi ad analizzare, criticare, giudicare o ipotizzare, nulla le porter la
pace che va cercando. Non ci sono risposte. Nessuno ha colpa. Non c' nessuno da biasimare. In quel
momento hanno fatto tutti del loro meglio, tenuto conto delle circostanze.
Nessuno intendeva fare del male al prossimo. Nessuno voleva morire.

Quest'ultima lettera stata particolarmente sconvolgente per me, perch l'ho ricevuta subito dopo
aver appreso che la lista delle vittime era aumentata, includendo anche Lopsang Jangbu. In agosto, dopo
la fine della stagione dei monsoni in Himalaya, Lopsang era tornato sull'Everest per fare da guida a un
cliente giapponese sulla via del Colle Sud e della Cresta Sud-Est. Il 25 settembre, mentre salivano dal
Campo Tre al Campo Quattro per lanciare l'assalto finale alla vetta, una valanga ha travolto Lopsang, un
altro sherpa e uno scalatore francese poco pi in basso dello Sperone dei Ginevrini, trascinandoli lungo la
parete del Lhotse e provocandone la morte. Lopsang ha lasciato a Kathmandu una giovane moglie e un
figlioletto di due mesi.
Le cattive notizie non erano finite. Il 17 maggio, dopo due giorni di riposo al campo base al ritorno
dall'Everest, Anatoli Boukreev era partito da solo per scalare il Lhotse. Sono stanco, mi aveva detto,
ma lo faccio per Scott. Continuando l'impresa di scalare tutti i quattordici Ottomila del mondo, in
settembre Boukreev and nel Tibet e conquist tanto il Cho Oyu quanto lo Shisha Pangma (8013 metri).
Ma a met di novembre, durante una visita nella sua citt natale, nel Kazakhistan, la corriera sulla quale
viaggiava ebbe un incidente; il conducente rimase ucciso e Anatoli sub gravi ferite alla testa, fra cui una
lesione seria e forse permanente a un occhio.
Il 14 ottobre 1996, stato diffuso su Internet il seguente messaggio, nell'ambito di un forum
sull'Everest organizzato in Sudafrica:

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Sono l' orfano di uno sherpa. Mio padre


rimasto ucciso sulla seraccata del Khumbu,
mentre faceva da portatore per una
spedizione verso la fine degli anni
Sessanta. Mia madre morta poco pi a
valle di Pheriche, quando il suo cuore ha
ceduto sotto il peso del carico che stava
trasportando per un'altra spedizione, nel
1970. Tre dei miei fratelli sono morti per
vari motivi, mia sorella e io siamo stati
inviati presso famiglie adottive in Europa
e negli Stati Uniti.
Non sono mai tornato nel mio paese perch
sento che maledetto. I miei avi giunsero
nella regione del Solo-Khumbu per sfuggire
alle persecuzioni nelle pianure, e l
trovarono asilo all'ombra di
Sagarmathaji, la dea madre della
terra .In cambio ci si aspettava da loro
che proteggessero dagli estranei il
santuario della dea.
Invece il mio popolo si rivolto nella
direzione opposta, aiutando gli estranei a
insinuarsi in quel santuario e a violare
ogni parte del suo corpo montandovi sopra,

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gettando grida stridule di trionfo,


insozzando e profanando il suo seno.
Alcuni di essi hanno dovuto sacrificarsi,
altri sono scampati per il rotto della
cuffia, oppure hanno offerto altre vite in
vece loro...
Quindi credo che anche gli sherpa siano
da biasimare per la tragedia del 1996 su
Sagarmatha .Non rimpiango di non essere
tornato, perch so che la popolazione
della zona condannata, e lo sono anche
quegli stranieri ricchi e arroganti che
credono di poter conquistare il mondo .
Ricordatevi delTitanic .Anche
l'Inaffondabile affond, e cosa sono degli
stupidi mortali come Weathers, Pittman,
Fischer, Lopsang, Tenzing, Messner,
Bonington, al cospetto della Dea Madre?
Pertanto ho giurato di non tornare mai in
patria, per non prendere parte a quel
sacrilegio.

L'Everest, a quanto pare, ha avvelenato la vita a molti di noi. Alcuni rapporti sentimentali
apparentemente felici sono falliti; la moglie di una delle vittime stata ricoverata in preda alla depressione.
L'ultima volta che ho parlato con uno dei miei compagni di squadra, la sua vita era in pieno caos: mi ha
spiegato che lo sforzo di superare le ripercussioni della spedizione minacciava di rovinare il suo
matrimonio. Inoltre non riusciva a concentrarsi sul lavoro, e aveva ricevuto provocazioni e insulti da
estranei.

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Al ritorno a Manhattan, Sandy Pittman ha scoperto di essere diventata un parafulmine per la vigorosa
scarica di indignazione collettiva scatenata dai fatti accaduti sull'Everest. La rivistaVanity Fair ha
pubblicato un articolo tagliente su di lei nel numero di agosto del 1996; una troupe televisiva del
programma di attualitHard Copy la braccava all'uscita dal suo appartamento. Lo scrittore Christopher
Buckley ha usato le sue tormentate vicende in alta quota per la battuta di una vignetta sulla pagina di
fondo delNew Yorker . In autunno, la situazione era peggiorata al punto che ha confessato in lacrime a
un'amica che suo figlio veniva ridicolizzato e ostracizzato dai compagni di classe, in una costosa ed
esclusiva scuola privata. L'intensit bruciante dell'indignazione collettiva per l'Everest, e il fatto che tale ira
fosse diretta in gran parte su di lei, ha colto del tutto di Sorpresa Pittman, lasciandola disorientata.
Quanto a Neal Beidleman, ha contribuito a salvare la vita di cinque clienti guidandoli nella discesa dalla
montagna, eppure resta ossessionato da una morte che non riuscito a evitare, quella di una cliente che
non apparteneva alla sua squadra e che non era neanche affidata alla sua responsabilit.
Ho parlato con Beidleman dopo che entrambi ci eravamo riacclimatati nel nostro ambito familiare e lui
ha ricordato l'atmosfera angosciosa di quella notte sul Colle Sud, rannicchiato insieme al suo gruppo in
quel vento terribile, nel tentativo disperato di mantenere tutti in vita. Non appena il cielo si schiarito
abbastanza da fornirci un'indicazione sulla posizione del nostro campo, ha ricordato, stato Come
dire: 'Ehi, questa schiarita non potr durare a lungo, quindi VIA!' Gridavo a tutti di muoversi, ma era
chiaro che alcuni non avevano forza sufficiente per camminare, e neanche per reggersi in piedi.
Gridavano tutti. Ho sentito qualcuno strillare: 'Non lasciatemi qui a morire! ' Era evidente che si trattava
di un adesso o mai pi. Ho tentato di rimettere in piedi Yasuko, e lei mi ha afferrato per il braccio, ma era
troppo debole per sollevarsi al di sopra delle ginocchia. Ho cominciato a camminare trascinandola per un
passo o due, poi ha allentato la presa ed ricaduta. Io dovevo proseguire. Qualcuno doveva arrivare alle
tende per chiedere aiuto, altrimenti sarebbero morti tutti.
Beidleman si interrotto. Ma non posso fare a meno di ripensare a Yasuko, ha detto riprendendo a
parlare, sottovoce. Era cos fragile. Mi pare ancora di sentire le sue dita che scivolano sul mio braccio, e
poi lo lasciano andare. E non mi sono neanche voltato a guardarla.
NOTA DELL'AUTORE

L'articolo che ho pubblicato suOutside ha suscitato la collera di molte delle persone di cui ho
parlato, oltre a ferire gli amici e i familiari di alcune vittime dell'Everest, e di questo mi rammarico
sinceramente, perch non era nelle mie intenzioni nuocere ad alcuno. Il mio intento, .sia nel pezzo
giornalistico sia - a maggior ragione - in questo libro, era riferire con la massima precisione e onest
possibile quanto accaduto sulla montagna, e farlo in modo delicato e rispettoso. Sono fermamente
convinto che questa storia vada raccontata; evidente che non tutti la pensano come me, quindi chiedo
scusa a coloro che si sentono feriti dalle mie parole.
Inoltre vorrei esprimere le mie condoglianze a Fiona McPherson, Ron Harris, Mary Harris, David
Harris, Jan Arnold, Sarah Arnold, Eddie Hall, Millie Hall, Jaime Hansen, Angie Hansen, Bud Hansen,
Tom Hansen, Steve Hansen, Diane Hansen, Karen Marie Rochel, Kenichi Namba, Jean Price, Andy
Fischer-Price, Katie Rose Fischer-Price, Gene Fischer, Shirley Fischer, Lisa Fischer-Luckenbach, Rh
onda Fischer Salerno, Sue Thompson e Ngawang Sya Kya Sherpa.
Nel raccogliere il materiale per questo libro ho ricevuto un aiuto prezioso da molte persone, fra le
quali meritano di essere nominate in particolare Linda Mariam Moore e David S. Roberts; non solo la

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loro consulenza stata essenziale per la stesura del testo, ma senza il loro sostegno e incoraggiamento
non mi sarei mai imbarcato nella difficile impresa di scrivere per vivere, e non sarei riuscito a restarvi
fedele nel corso degli anni.
SullEverest ho beneficiato della compagnia di Caroline Mackenzie, Helen Wilton, Mike Groom,
Ang Dorje Sherpa, Lhakpa Chhiri Sherpa, Chhongba Sherpa, Ang Tshering Sherpa, Kami Sherpa,
Tenzing Sherpa, Arita Sherpa, Chuldum Sherpa, Ngawang Norbu Sherpa, Pemba Sherpa, Tendi
Sherpa, Beck Weathers, Stuart Hutchison, Frank Fischbeck, Lou Kasischke, John Taske, Guy Cotter,
Nancy Hutchison, Susan Allen, Anatoli Boukreev, Neal Beidleman, Jane Bromet, Ingrid Hunt, Ngima
Kale Sherpa, Sandy Hill Pittman, Charlotte Fox, Tiro Madsen, Pete Schoening, Klev Schoening, Lene
Gammelgaard, Martin Adams, Dale Kruse, David Breashears, Robert Schauer, Ed Viesturs, Paula
Viesturs, Liz Cohen, Araceli Segarra, Sumiyo Tsuzuki, Laura Ziemer, Jim Litch, Peter Athans, Todd
Burleson, Scott Darsney, Brent Bishop, Andy de Klerk, Ed February, Cathy O'Dowd, Deshun Deysel,
Alexandrine Gaudin, Philip Woodall, Makalu Gau, Ken Kamler, Charles Corfield, Becky Johnston, Jim
Williams, Mal Duff, Mike Trueman, Michael Burns, HenrikJessen Hansen, Veikka Gustafsson, Henry
Todd, Mark Pfetzer, Ray Door, Goran Kropp, Dave Hiddleston, Chris Jillet, Dan Mazur, Jonathan Pratt
e Chantal Mauduit.
Sono molto grato ai miei impareggiabili revisori editoriali, David Rosenthal e Ruth Fecych, della
Villard Books/Random House. I miei ringraziamenti vanno inoltre a Adam Rothberg, Annik LaFarge,
Dan Rembert, Diana Frost, Kirsten Raymond, Jennifer Webb, Melissa Milsten, Dennis Ambrose, Bonnie
Thompson, Brian McLendon, Beth Thomas, Caroline Cunningham, Dianne Russell, Katie Mehan e
Suzanne Wickham. Le pregevoli illustrazioni, realizzate con la tecnica dell'incisione su legno, si devono
invece a Randy Rackliff.
Questo libro ha avuto origine da un incarico assegnatomi dalla rivistaOutside ; devo quindi
particolare gratitudine a Mark Bryant, che ormai da quindici anni pubblica i miei lavori con intelligenza e
sensibilit non comuni, e a Larry Burke, che ha cominciato ancor prima di lui. Agli articoli sull'Everest
hanno apportato il loro contributo anche Brad Wetzler, John Alderman, Katie Arnold, John Tayman, Sue
Casey, Greg Cliburn, Hampton Sides, Amanda Stuermer, Lorien Warner, Sue Smith, Cricket Lengyel,
Lolly Merrell, Stephanie Gregory, Laura Hohnhold, Adam Horowitz, John Galvin, Adam Hicks,
Elizabeth Rand, Chris Czmyrid, Scott Parmalee, Kim Gattone e Scott Mathews.
Sono in debito con John Ware, il mio straordinario agente, e vorrei ringraziare anche David
Schensted e Peter Bodde dell'ambasciata degli Stati Uniti a Kathmandu, Lisa Choegyal della Tiger
Mountain e Deepak Lama della Wilderness Experience Trekking per l'assistenza prestata in occasione
della tragedia.
Per l'ispirazione, l'ospitalit, l'amicizia, le informazioni e i saggi consigli che mi hanno fornito, sono
riconoscente a Tom Hornbein, Bill Atkinson, Madeleine David, Steve Gipe, Don Peterson, Martha
Kongsgaard, Peter Goldman, Rebecca Roe, Keith Mark Johnson, Jim Clash, Muneo Nukita, Helen
Trueman, Steve Swenson, Conrad Anker, Alex Lowe, Colin Grissom, Kitty Calhoun, Peter Hackett,
David Shlim, Brownie Schoene, Michael Chessler, Marion Boyd, Graem Nelson, Stephen P. Martin,
Jane Tranel, Ed Ward, Sharon Roberts, Matt Hale, Roman Dial, Peggy Dial, Steve Rottler, David
Trione, Deborah Shaw, Nick Miller, Dan Cauthorn, Greg Collum, Dave Jones, Fran Kaul, Dielle Havlis,
Lee Joseph, Pierret Vogt, Paul Vogt, David Quammen, Tim Cahill, Paul Theroux, Charles Bowden,
Alison Lewis, Barbara Detering, Lisa Anderheggen-Leif, Helen Forbes e Heidi Baye.
Il mio lavoro stato facilitato dalla collaborazione di colleghi scrittori e giornalisti, quali Elizabeth
Hawley, Michael Kennedy, Walt Unsworth, Sue Park, Dile Seitz, Keith McMillan, Ken Owen, Ken
Vernon, Mike Loewe, Keith J ames, David Beresford, Greg Child, Bruce Barcott, Peter Potterfield,

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Stan Armington, Jennet Conant, Richard Cowper, Brian Blessed, Jeff Smoot, Patrick Morrow, John
Colmey, Meenakshi Ganguly, Jennifer Mattos, Simon Robinson, David Van Biema, Jerry Adler, Rod
Nordland, Tony Clifton, Patricia Roberts, David Gates, Susan Miller, Peter Wilkinson, Claudia Glenn
Dowling, Steve Kroft, Joanne Kaufman, Howie Masters, Forrest Sawyer, Tom Brokaw, Audrey
Salkeld, Liesl Clark, Jeff Herr, Jim Curran, Alex Heard e Lisa Chase.
POSTFAZIONE

Nel novembre 1997 arrivato nelle librerie americane un libro intitolatoThe Climb (Everest 1996
- Cronaca di un salvataggio impossibile , CDA 1998): si tratta del resoconto di Anatoli Bukreev del
disastro accaduto sull'Everest nel 1996 scritto insieme a un americano di nome G. Weston DeWalt. Dal
momento che Bukreev si era offeso molto per come era stato descritto inAria sottile , una sezione
considerevole diEverest 1996 dedicata alla difesa delle sue azioni e a mettere in dubbio l'esattezza del
mio resoconto cercando di denigrare la mia onest di giornalista.
Nonostante sia stato affascinante leggere gli avvenimenti di quel 1996 dalla prospettiva di Bukreev,
e devo dire che in alcune parti il libro mi ha profondamente commosso,Everest 1996 mi ha colpito per la
versione cos poco scrupolosa della tragedia che avvenuta.
Dal momento che non avevo la minima intenzione di mettere in difficolt Bukreev o DeWalt, decisi
di non confutare pubblicamente il loro libro, ma documentai alcuni dei suoi numerosi errori in una serie di
lettere che inviai a De Walt e ai suoi editor della St. Martin's Press. Un portavoce dell'editore dichiar
che sarebbero state apportate le correzioni nelle successive edizioni del libro.
Quando la St. Martin pubblic l'edizione tascabile diEverest 1996 , nel luglio 1998, rimasi
sconcertato nello scoprire che la maggior parte degli errori che avevo fatto notare sette mesi prima erano
ancora l nella nuova edizione. Quell'evidente disprezzo per la verit da parte di DeWalt e del suo editore
mi convinse a rompere il silenzio e sostenere e difendere l'accuratezza e l'onest diAria sottile . L'unico
modo per farlo, purtroppo, sottolineare alcune delle effettive lacune diEverest 1996 .
Delle sei guide professioniste che rimasero bloccate sull'Everest da una tormenta il 10 maggio
1996, solo tre sono sopravvissute: Bukreev, Michael Groom e Neil Beidleman. Un giornalista scrupoloso
spinto dall'intenzione di descrivere con cura quella tragedia nella sua complessit, probabilmente avrebbe
intervistato ciascuna delle guide sopravvissute (come ho fatto io perAria sottile ). Del resto, le decisioni
che le guide presero ebbero un peso enorme sull'esito del disastro. Inspiegabilmente De Walt ha
intervistato Bukreev ma ha trascurato di sentire sia Groom che Beidleman.
Non meno sconcertante stata l'omissione, da parte di DeWalt, di contattare Lopsang Jangbu,
capo sherpa scalatore. Lopsang,ha avuto uno dei ruoli chiave e pi controversi nel disastro. E stato lui a
trainare Sandy Hill Pittman; lui era con Fischer quando il leader della Mountain Madness crollato
durante la discesa; lui stato l'ultima persona a parlare con Fischer prima che morisse. Lopsang stato
anche l'ultimo a vedere Rob Hall, Andy Harris e Doug Hansen prima che morissero. Eppure De Walt
non ha mai contattato Lopsang nonostante lo sherpa abbia trascorso gran parte dell'estate del 1996 a
Seattle e fosse facilmente raggiungibile per telefono.
Si possono solo fare delle congetture sulle ragioni di un numero cos cospicuo di trascuratezze in
quel resoconto, ma il risultato finale un documento estremamente compromesso. Forse dipende dal
fatto che De Walt - regista amatoriale che soprintendeva alla ricerca e che l'effettivo scrittore diEverest
1996 - non aveva alcuna precedente conoscenza di montagna, non era mai stato sulle montagne del

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Nepal e aveva un'esperienza assai limitata di giornalismo della carta stampata. Fatto sta che Beidleman
rimase talmente esterrefatto nel leggere il libro, che nel dicembre 1997 scrisse una lettera a De Walt
affermando: Credo cheEverest 1996 sia un resoconto poco onesto della tragedia avvenuta a maggio
[...] Non sono mai stato interpellato, n da lei n dai suoi collaboratori, per appurare l'autenticit anche di
un solo dettaglio.
Nonostante le mancate interviste a Groom, Beidleman e Lopsang Jangbu costituiscano le
disattenzioni pi imbarazzanti di De Walt, egli ha omesso di intervistare anche qualsiasi altro sherpa
coinvolto, tre degli otto clienti della squadra di Bukreev stesso e gli altri numerosi scalatori che hanno
avuto un ruolo cruciale nella tragedia e/o nei salvataggi susseguenti. Pu darsi che sia una pura
coincidenza, ma la maggior parte delle persone che De Walt ha deciso di non contattare sono state
critiche nei confronti del comportamento di Bukreev sull'Everest.
Klev Schoening, Neal Beidleman e Lopsang Jangbu vengono ripetutamente citati in tutto il libro,
ma quelle citazioni sono state tratte dai nastri delle interviste registrati da Sandy Pittman al Campo Base
dell'Everest il 15 maggio 1996. DeWalt non ha verificato alcuna delle dichiarazioni registrate di Kruse,
Beidleman, Lopsang, Klev Schoening, o Pete Schoening. Beidleman e Klev Schoening mi hanno detto
che le loro parole sono state presentate al di fuori del contesto in cui erano inserite e interpretate
erroneamente da De Walt nel suo libro e non riflettono il vero senso di ci che era stato detto.
A causa delle ricerche sommarie, il libro di DeWalt abbonda di errori di fatto. Per citare un solo
esempio fra i tanti, la piccozza di Andy Harris - la cui posizione fornisce un importante indizio su come
Harris potrebbe essere morto - non fu ritrovata dove DeWalt racconta. Questo uno degli errori che ho
segnalato a DeWalt e al suo editore dopo la pubblicazione della prima edizione diEverest 1996 nel
novembre 1997, eppure non stato corretto nell'edizione tascabile. Tale indifferenza irritante per
coloro che come me sono stati trasformati da quella tragedia e che si torturano nel tentativo di capire
cosa sia veramente accaduto lass. Di sicuro i familiari di Andy Harris non considerano la posizione del
ritrovamento della sua piccozza un dettaglio trascurabile.
Ancora pi doloroso il fatto che alcuni degli errori contenuti inEverest 1996 non sembrano
essere il risultato di pura negligenza, quanto piuttosto deformazioni intenzionali della verit, volte a gettare
discredito sul mio resoconto. Per esempio, DeWalt dice che di alcuni importanti dettagli apparsi nel mio
articolo suOutside , non era stata appurata l'esattezza, bench egli fosse consapevole che un editor della
rivista di nome John Alderman si fosse incontrato di persona con Bukreev a Santa Fe, negli uffici del
giornale, per avere conferma dell'accuratezza di tutto il mio lavoro prima della pubblicazione. Come se
non bastasse, io, personalmente, ho avuto numerose conversazioni nell'arco di due mesi con Bukreev
stesso, durante le quali ho fatto ogni sforzo possibile per conoscere la verit.
La versione dei fatti fornita da Bukreev/DeWalt differisce da quella che io ritengo essere vera e
Outside ha pubblicato quella che gli editor e io ritenevamo essere la versione corretta. Nel corso delle
numerose interviste che ho fatto a Bukreev, ho scoperto che il suo racconto di certi episodi cambiava
sostanzialmente da una volta all'altra, inducendomi a dubitare della precisione della sua memoria. E le
versioni che Bukreev dava di alcuni episodi importanti in seguito si dimostrarono non corrispondenti alla
realt, in base ai racconti di altri testimoni, in particolare di Dale Kruse, Klev Schoening, Lopsang
Jangbu, Martin Adams e Neal Beidleman. In breve, ho scoperto che tanti dei ricordi di Bukreev erano
davvero inattendibili.
Forse il travisamento pi angosciante diEverest 1996 riguarda la conversazione tra Scott Fischer e
Jane Bromet (agente e confidente di Fischer che lo aveva accompagnato al Campo Base) a cui si allude
nel volume. DeWalt fa in modo che le parole della Bromet suggeriscano, erroneamente, che Fischer
avesse un piano predeterminato, secondo il quale Bukreev doveva scendere rapidamente dopo aver

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raggiunto la vetta, lasciando i suoi clienti sulle pi alte pendici dell'Everest. DeWalt insinua inoltre che il
fatto che io abbia omesso di menzionare, inAria sottile , l'esistenza di questo piano sia un perfido
tentativo di occultare la verit.
In realt inAria sottile non vi ho accennato perch ho trovato forti prove che quel piano non
esisteva affatto. Beidleman mi disse che se un piano c'era, lui di sicuro non ne sapeva niente quando il
gruppo della Mountain Madness sal sulla vetta il 10 maggio, ed egli certo che anche Bukreev non ne
fosse a conoscenza. Nell'anno successivo alla tragedia, Bukreev spieg la sua decisione di scendere
prima dei suoi clienti numerose volte - alla televisione, su Internet, in interviste su giornali e riviste - ,
eppure in nessuna di quelle circostanze ha dichiarato di aver agito secondo un piano prestabilito. Anzi,
nell'estate di quel 1996, Bukreev stesso, in un'intervista videoregistrata per il notiziario della ABC,
afferm che non esisteva alcun piano. Come spieg al corrispondente Forrest Sawyer, fino al
raggiungimento della vetta non sapevo come, quale fosse il mio piano. Ho bisogno di vedere la
situazione e poi agire [...] Perch non avevamo fatto quel piano.
Mostrando apparentemente di non aver capito le parole di Bukreev, un minuto dopo Sawyer gli chiese:
Dunque il suo piano, una volta sorpassato tutti, era di aspettare sulla vetta l'arrivo del gruppo.
Beffardo Bukreev ripete che niente era stato predeterminato: Non era proprio un piano. Non avevamo
fatto piani. Ho bisogno di vedere le cose come stanno e poi decido il mio piano.
Nella stesura del suo libro DeWalt ha deciso di ignorare il fatto che l'unica prova a supporto della sua
congettura riguardo a un piano prestabilito il ricordo della Bromet di un'unica conversazione con
Fischer. Come se non bastasse, la Bromet stessa ha sottolineato, sia a De Walt che a me, prima della
pubblicazione dei nostri rispettivi libri, che sarebbe un errore ritenere che i commenti di Fischer
rivelassero che ci fosse qualcosa che assomigliasse a un vero e proprio piano d'azione. Prima che venisse
pubblicatoEverest 1996 la Bromet invi una lettera a De Walt e ai suoi editor alla St. Martin, in cui si
lamentava del fatto che DeWalt aveva riportato la sua frase in un modo che ne cambiava notevolmente il
senso. Segnal che le sue parole erano state manipolate per far sembrare che la conversazione tra lei e
Fischer fosse intercorsa alcuni giorni prima dell'assalto alla cima, mentre in realt era avvenuta circa tre
settimane prima dell'ascesa finale. Non si tratta di una discrepanza da poco.
Come affermava la Bromet nella lettera a De Walt, la versione rivista della sua frase che compare nel
libro assolutamente erronea! Quella distorsione induce i lettori a trarre conclusioni sbagliate riguardo a
molti dei fattori principali che hanno portato alla tragedia. A causa di quella distorsione [...] i lettori
possono essere tratti in inganno e credere che la discesa di Bukreev [prima dei suoi clienti] fosse un
piano stabilito [...] Per come sono scritte quelle parole c' il rischio di cadere in un'analisi distorta e
calcolata dell'incidente, il cui solo scopo assolvere Anatoli Bukreev dalle sue colpe cercando di gettare
la responsabilit sugli altri [...] E stato dato troppo credito a quelle parole nel ricostruire le dinamiche
dell'incidente [...] Scott non aveva mai pi fatto cenno a un piano. Inoltre, Scott era una persona molto
estroversa; se un 'piano' ci fosse stato ne avrebbe parlato con Neal e Anatoli. (In successive
conversazioni, Neal mi disse che Scott non ne aveva parlato.) Ho la sensazione che quella citazione cos
come stata riportata sia grossolanamente fuorviante.
I fatti cruciali rimangono indiscutibili: Bukreev decise di non usare ossigeno supplementare il giorno
dell'ascensione alla vetta e, dopo averla raggiunta, scese da solo molte ore prima dei suoi clienti, in
spregio alle normali consuetudini delle guide professioniste in ogni parte del mondo. Ci che stato
ampiamente dimenticato nel dibattito a proposito del fatto che Bukreev abbia o meno agito con
l'approvazione di Fischer, che la decisione presa da Bukreev di guidare senza bombola d'ossigeno
determin la conseguente decisione di lasciare i suoi clienti sulla cresta sommitale per scendere
velocemente. Avendo scelto di salire senza ossigeno, Bukreev si era messo alle corde da solo: senza

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bombola la sua unica scelta ragionevole era scendere rapidamente, che Fischer gli avesse dato il
permesso di farlo o meno.
Il fattore decisivo non fu la stanchezza: fu la temperatura corporea. generalmente riconosciuta
l'importanza dell'ossigeno nel tenere sotto controllo la spossatezza, il mal di montagna, lo stordimento
dovuto all'altitudine estrema; ci che molto meno conosciuto che l'ossigeno svolge un'azione
ugualmente importante, se non addirittura pi importante, nel tenere a freno i devastanti effetti del freddo
a quelle quote.
Nel momento in cui Bukreev inizi a scendere dal Colle Sud, prima di tutti, quel 10 maggio, aveva
trascorso fra le tre e le quattro ore al di sopra degli 8750 metri, senza far ricorso a ossigeno
supplementare. Per gran parte di quel tempo era stato seduto ad attendere, colpito da un vento gelido, e
si era raffreddato in maniera incredibile come accadrebbe a qualsiasi alpinista in quelle circostanze. Come
spieg Bukreev stesso alMen's Journal , in un intervento a cui dette l'approvazione prima della
pubblicazione

sono rimasto [sulla vetta] per circa un'ora [...] Fa molto freddo, naturalmente, ti divora le energie [...] La
mia idea era che non sarebbe servito a niente se fossi rimasto l, a congelarmi nell'attesa. [...] A
quell'altitudine, se resti fermo, perdi energia per il freddo, e allora non riesci pi a fare niente.

Poich si stava raffreddando pericolosamente, e andava incontro ad assideramento e ipotermia, Bukreev


fu costretto alla discesa non dalla stanchezza, ma dal freddo.
Per dare un'idea di quanto si inasprisca l'effetto micidiale del gelo e del vento ad altitudini estreme, se
non si usa ossigeno supplementare, guardiamo cosa accadde a Ed Viesturs tredici giorni dopo il disastro
del 1996, quando raggiunse la cima con la squadra dell'IMAX. Viesturs era partito dal Campo Quattro
per l'assalto alla cima il 23 maggio, al mattino presto, circa venti - trenta minuti prima dei suoi compagni.
Aveva lasciato il campo prima di tutti perch, come Bukreev, non usava bombole d'ossigeno {Viesturs
era l per girare il film dell'IMAX, e non svolgeva il lavoro di guida in quell'occasione}, ed era
preoccupato di non riuscire a stare al passo della troupe, i cui componenti usavano tutti le bombole
d'ossigeno.
Viesturs era talmente forte, comunque, che nessuno riusc ad avvicinarglisi, nonostante fosse lui a
segnare il tracciato in mezzo alla neve profonda fino alle cosce. Dal momento che sapeva che era cruciale
per David Breashears fargli la ripresa durante l'attacco alla vetta, molto spesso Viesturs si fermava e
attendeva che la troupe cinematografica lo raggiungesse. Ma non appena smetteva di muoversi avvertiva i
micidiali effetti debilitanti del gelo, bench il 23 maggio facesse molto, molto pi caldo di quanto non
avesse fatto il 10. Temendo l'assideramento, ogni volta era costretto a riprendere l'ascesa prima che i
suoi compagni fossero abbastanza vicini per filmarlo. Ed forte almeno come Anatoli, spieg
Breashears un mese dopo la tragedia, eppure, senza ossigeno, tutte le volte che si fermava ad
aspettarci, cominciava a gelare. Di conseguenza Breashears dovette concludere l'impresa senza
immagini di Viesturs al di sopra del Campo Quattro (le immagini del giorno della vetta che compaiono
nel film furono in realt girate in un' altra occasione). Quel che sto cercando di dire che Bukreev
doveva continuare a muoversi per le stesse ragioni di Viesturs: evitare di congelare. Senza ossigeno
supplementare, nessuno neppure gli scalatori pi forti del mondo - pu indugiare sulle rigide creste
sommitali dell'Everest.

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Mi spiace, continua Breashears, ma stata un'incredibile irresponsabilit da parte di Anatoli salire


senza ossigeno. Non c'entra quanto tu sia forte, quando scali l'Everest senza ossigeno sei davvero al
limite; non sei nelle condizioni di aiutare i tuoi clienti. Anatoli dice una cosa non vera quando afferma che
la ragione per cui sceso che Scott lo ha mandato gi a fare il t. C'erano gli sherpa in attesa al Colle
Sud per fare il t. L'unico luogo in cui una guida dell'Everest deve trovarsi o con i suoi clienti, o subito
dietro di loro, con la bombola d'ossigeno, pronto a fornire assistenza.
Non ci sono dubbi: c' un forte consenso tra le guide d'alta quota pi rispettate, cos come tra i pi illustri
esperti nel campo della medicina/fisiologia d' alta quota, riguardo al fatto che un atto di estrema
irresponsabilit per una guida condurre i clienti in cima all'Everest senza usare bombole d'ossigeno.
Durante le ricerche per il suo libro, De Walt dette incarico a un suo collaboratore di interpellare il dottor
Peter Hackett - una delle autorit pi in vista a livello mondiale per quanto riguarda gli studi sugli effetti
debilitanti delle altitudini estreme - per richiedere il suo parere professionale sulla questione dell'ossigeno.
Il dottor Hackett - che aveva conquistato la vetta dell'Everest nel 1981 con una spedizione
medico-scientifica - rispose inequivocabilmente che dal suo punto di vista era pericoloso e sconsiderato
fare la guida sull'Everest senza ricorrere all'ossigeno supplementare, anche nel caso di uno scalatore
eccezionalmente forte come Bukreev. significativo che dopo aver ricevuto questo responso, DeWalt
non ne abbia fatto cenno inEverest 1996 .
In varie occasioni, durante la promozione del loro libro, Bukreev e De Walt affermarono che Reinhold
Messner - il pi completo e autorevole scalatore dell'era moderna - aveva approvato le azioni compiute
da Bukreev sull'Everest, inclusa la decisione di non usare bombole d'ossigeno. Nel novembre 1997
Bukreev mi disse, faccia a faccia: Messner dice che ho fatto le cose per bene sull'Everest. Nel libro,
riguardo alle critiche che avevo mosso nei confronti del suo comportamento sull'Everest, DeWalt cita
Bukreev che dichiara:

Mi sono sentito davvero calunniato da quelle poche voci che hanno conquistato l'immaginazione della
stampa americana. Se non fosse stato per l'appoggio di colleghi europei come [...] Reinhold Messner,
sarei rimasto avvilito dalla visione degli americani riguardo a ci che avevo da offrire alla mia professione.

Come tante altre affermazioni presenti inEverest 1996 , quella riguardo all'approvazione di Messner
risultata falsa.
Nel febbraio 1998, durante un incontro che ebbi con lui a New York, Messner dichiar, in un
registratore e senza equivoci, che pensava che Bukreev avesse sbagliato a scendere prima dei suoi
clienti. Messner, nella registrazione, afferm che secondo lui, se Bukreev fosse rimasto con i suoi clienti, l'
esito della tragedia sarebbe stato ben diverso. Messner dichiar: Nessuno dovrebbe guidare sull'Everest
senza l'aiuto delle bombole d'ossigeno, aggiungendo che Bukreev si sbagliava se pensava che lui avesse
approvato il suo comportamento in quell'occasione.
Molti di noi sull'Everest quel maggio, hanno fatto degli errori. Come ho scritto nelle pagine di questo
libro, le mie stesse azioni possono aver contribuito alla morte di due dei miei compagni di spedizione.
Non ho alcun dubbio sulle buone intenzioni di Bukreev il giorno dell'assalto alla vetta; quello che mi
indispone, invece, il suo rifiuto di prendere atto di aver preso anche solo una decisione sbagliata. Non
ha mai ammesso che forse non era stata l'idea migliore quella di salire senza ossigeno o di scendere prima

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dei clienti. Bukreev ha continuato ostinatamente ad affermare che avrebbe ripreso ancora le stesse
decisioni.
Anche se ho criticato alcune delle azioni di Bukreev, sono sempre stato pronto a sottolineare il suo
comportamento eroico nelle ore precedenti l'alba dell'll maggio. Non c' dubbio che Bukreev abbia
salvato la vita di Sandy Pittman e di Charlotte

Fox, a estremo rischio della propria incolumit: l'ho detto varie volte, in molteplici circostanze. Ammiro
Bukreev immensamente per essere uscito nella tormenta, mentre tutti noi giacevamo inermi nelle tende,
per recuperare gli altri scalatori che si erano persi. Ma alcune decisioni che aveva preso in precedenza,
quel giorno come in altri momenti della spedizione, rimangono comunque inopportune e di certo non
possono essere facilmente ignorate da un giornalista incaricato di scrivere un resoconto completo e
scrupoloso del disastro.
Come evidente, molte delle cose di cui sono stato testimone sull'Everest sono state sbagliate, anche se
non fosse successa quella tragedia. Mi fu dato l'incarico di andare in Nepal proprio per scrivere un
articolo sulle spedizioni a pagamento sulla montagna pi alta del mondo; era mio dovere professionale
valutare la preparazione delle guide e dei clienti e fornire ai lettori una testimonianza analitica di come
sono condotte le spedizioni guidate sull'Everest. Credo fermamente di aver avuto il dovere nei confronti
degli altri sopravvissuti, delle famiglie di coloro che sono scomparsi, della testimonianza storica, e dei miei
compagni che non sono pi tornati a casa - di fornire un rapporto dettagliato di ci che accaduto
sull'Everest nel 1996, a prescindere da come quel resoconto sarebbe stato accolto. E questo ci che
ho fatto, ricorrendo alla mia vasta esperienza di giornalista e di scalatore per comporre un quadro il pi
accurato e onesto possibile.

Il dibattito su ci che accadde effettivamente in quel maggio 1996 sull'Everest, prese una svolta tragica il
giorno di Natale del 1997, sei settimane dopo la pubblicazione in America diEverest 1996 , quando
Anatoli Bukreev rimase ucciso da una valanga sull'Annapurna, la decima montagna pi alta del mondo.
La sua morte stata pianta in tutto il mondo. Aveva 39 anni, era un atleta fantastico, dotato di
straordinario coraggio. A detta di tutti un uomo eccezionale e molto complesso.
Bukreev era cresciuto in una misera cittadina mineraria sugli Urali meridionali, nell'ex Unione Sovietica.
Secondo il giornalista britannico delLondon Mail , Peter Gillman, quando Bukreev era un ragazzino suo
padre

cercava di mettere insieme i soldi per la famiglia facendo scarpe e riparando orologi. Erano cinque figli e
vivevano in una piccola casa di legno senza impianto idraulico [...] Bukreev sognava di scappare. Le
montagne gli dettero questa possibilit.

Bukreev impar ad arrampicare quando aveva 9 anni e le sue inconsuete doti fisiche si misero presto in
luce. A 16 anni si fece onore ad un campo di allenamento per scalatori sulle montagne del Tien Shan nel
Kazakhstan. A 24 anni fu selezionato per entrare a far parte dell'esclusiva squadra nazionale di alpinismo
che gli procur un supporto finanziario, un grande prestigio e altri benefici sia morali che materiali. Nel
1989 scal il Kangchenjunga, la terza vetta pi alta del mondo, insieme a una spedizione sovietica, e

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quando torn a casa ad Almaty, nel Kazakhstan, il presidente Michail Gorbacev gli confer il titolo
nazionale di Maestro dello Sport.
A causa degli sconvolgimenti che accompagnarono il Nuovo Ordine mondiale, questa situazione rosea
non dur a lungo. Come racconta Gillman,

l'Unione Sovietica si stava sfasciando. Due anni pi tardi Gorbacev avrebbe lasciato la guida del Paese e
Bukreev - che nel frattempo aveva realizzato la sua conquista dell'Everest - vide svanire le sue fortune e i
suoi privilegi. Non c'era niente, raccont a [Linda] Wylie [la sua compagna americana]. Niente soldi,
ci trovavamo in brutte acque [...] Bukreev decise di non soccombere. Se il regime comunista era
crollato, lui doveva adeguarsi al nuovo mondo fatto di imprese private, sfruttando il suo bagaglio di
competenze alpinistiche e la sua determinazione.

In un ricordo di Bukreev su Internet, all'inizio del 1997 , la sua amica Fran Distefano-Arsentiev[44]
diceva:

Furono momenti di disperazione [per Bukreev] ; anche solo avere i soldi per mangiare era un lusso [...]
L'unica possibilit per uno scalatore sovietico di andare sull'Himalaya era entrare nel sistema e
conquistarsi quel privilegio. Andare sull'Himalaya, che tu fossi uno scalatore sufficientemente competente
o meno, non mai stata un opzione; era un sogno [...] Prima che Buka diventasse famoso c' stato un
periodo in cui niente fu facile per lui. Ma lui perseguiva i suoi sogni con tenacia, con un vigore che non ho
mai riscontrato in nessun altro

Bukreev era diventato una sorta di nomade in quella ricerca sia di montagne che di soldi per vivere. Per
racimolare denaro trov impiego come guida sull'Himalaya, in Alaska e Kazakhstan; teneva serate di
diapositive nei negozi specializzati dell'America e occasionalmente si dedicava a lavori pi usuali. Ma nel
frattempo continuava a far registrare straordinari record di ascensioni ad alta quota, avvicinandosi sempre
pi al traguardo che si era posto e cio scalare tutti i 14 Ottomila del mondo.
Pur amando scalare e vivere la montagna, non aveva mai nascosto che non amava far la guida. Nel suo
libro ne parla assai candidamente:

Speravo con tutte le forze di poter avere altre opportunit per guadaganre da vivere [...] troppo tardi
trovare adesso un altro modo per finanziare i miei obiettivi personali, eppure con grandi riserve che
lavoro per introdurre uomini e donne inesperti in questo mondo [della montagna d'alta quota].

E cos continu a portare scalatori novelli sulle alte vette, anche dopo aver vissuto in prima persona gli
orrori e le controversie del disastro del 1996.

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Nella primavera del 1997 , un anno dopo quindi, Bukreev accett di guidare una spedizione di ufficiali
indonesiani che speravano di diventare i primi abitanti di quella terra insulare a scalare l'Everest,
nonostante il fatto che nessuno di loro avesse alcuna precedente esperienza di montagna e che addirittura
nessuno avesse mai visto la neve prima di allora. Come assistenti, per guidare questi neofiti, Bukreek
chiam due scalatori russi molto esperti, Vladimir Bashkirov e Evgeny Vinogradski, insieme ad Apa
Sherpa, che aveva scalato l'Everest ben sette volte. Inoltre, nel 1997 , a differenza del 1996, tutti i
componenti della spedizione fecero ricorso alle bombole d'ossigeno per l'assalto finale, compreso
Bukreev, nonostante la sua insistenza sul fatto che per lui era pi sicuro salire senza ossigeno in modo da
evitare l'improvvisa perdita di acclimatazione che avviene quando si esauriscono le scorte di ossigeno
supplementare. Nel 1997 , occorre sottolineare, Bukreev non fu mai a pi di qualche passo dai suoi
clienti indonesiani il giorno dell'arrivo in vetta.
La spedizione part dal Colle Sud per l'assalto alla cima subito dopo la mezzanotte del 26 aprile. Verso
mezzogiono Apa Sherpa, in testa, giunse all'Hillary Step, dove si imbatte nel corpo di Bruce Herrod[45]
che penzolava da una vecchia corda fissa. Arrampicandosi sopra il corpo del fotografo britannico, Apa,
Bukreev e il resto della spedizione indonesiana procedettero faticosamente verso la cima.
Erano gi le 15.30 quando il primo indonesiano, Asmujiono Prajurit, segu Bukreev sulla cima. Rimasero
lass solo dieci minuti prima di ridiscendere, e Bukreev costrinse gli altri due indonesiani a tornare
indietro, anche se uno di loro era a soli trenta metri dalla vetta. Il gruppo riusc a scendere solo fino al
Balcone, quella sera, dove dovettero sopportare un misero bivacco a 8400 metri, ma grazie alle capacit
di Bukreev e a una rara notte senza vento, tutti riuscirono ad arrivare sani e salvi al Colle Sud il 27 aprile.
Siamo stati fortunati, ammise Bukreev.
Durante la discesa verso il Campo Quattro, Bukreev e Vinogradski si fermarono a coprire il corpo di
Scott Fischer con rocce e neve, a 8000 metri. Fu un atto di rispetto nei confronti di un uomo che io
ritengo la migliore e pi brillante espressione dell'essenza americana, confid Bukreev nel suo libro.
Penso spesso al suo splendente sorriso e al suo atteggiamento positivo. Io sono un uomo difficile e
spero di conservare il suo ricordo cercando di vivere seguendo il suo esempio. Il giorno dopo
attravers il Colle Sud fino all'estremit del versante Kangshung, dove individu il corpo di Yasuko
Namba, lo copr meglio che pot con delle pietre e raccolse alcuni oggetti personali per consegnarli alla
famiglia.
Un mese dopo aver scalato l'Everest con gli indonesiani, Bukreev tent una traversata in velocit del
Lothse e dell'Everest con un brillante alpinista italiano di trent'anni: Simone Moro. Bukreev e Moro si
misero in marcia verso la vetta del Lothse il 26 maggio, accompagnando otto membri di un'altra
spedizione russa, di cui faceva parte Vladimir Bashkirov, l'amico di Bukreev che lo aveva aiutato nella
guida del gruppo di indonesiani. Tutti e dieci raggiunsero la vetta senza ossigeno supplementare, ma molti
di loro non ce la fecero ad arrivare prima del tardo pomeriggio: erano gi passate le 16.00 quando
Bukreev e Moro arrivarono in vetta.
A quel punto sia Bukreev che Bashkirov stavano soffrendo acutamente. In prima serata giunse una
chiamata via radio da parte di Bukreev, il quale dichiar che Bashkirov stava collassando e che aveva
disperatamente bisogno di ossigeno. Due compagni della spedizione russa si misero immediatamente in
marcia, dal campo dove si trovavano, con l'ossigeno: ma era ormai troppo tardi. Bashkirov mor sulle alte
pendici del Lothse.
Bukreev aveva perso un altro amico sulle montagne, ma ci non lo dissuase dall'inseguire il suo
obiettivo di scalare tutti gli Ottomila. Sei settimane dopo la morte di Bashkirov, il 7 luglio 1997 sal in
solitaria il Broad Peak, in Pakistan. Esattamente una settimana dopo complet un'ascesa in velocit del
vicino Gasherbrum II. Per raggiungere il suo obiettivo gli mancavano solo altre tre cime: il Nanga Parbat,

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lo Hidden Peak e l'Annapurna I.


Qualche tempo dopo, quell'estate, Bukreev invit Reinhold Messner a unirsi a lui sul Tien Shan per
alcune salite in scioltezza. Durante la visita di Messner, Bukreev chiese al leggendario alpinista italiano
alcuni consigli per la propria carriera di scalatore. Dalla sua prima volta sull'Himalaya, nel 1989, Bukreev
aveva accumulato una straordinaria serie di ascensioni ad alta quota. Tranne due, tutte le imprese si erano
svolte su tracciati tradizionali, battuti relativamente spesso, senza troppe difficolt tecniche. Messner gli
segnal che se voleva essere annoverato tra i pi grandi scalatori del mondo, avrebbe dovuto spostare i
suoi sforzi verso vie pi impegnative, difficili e mai scalate.
Bukreev prese a cuore quel consiglio. Decise di tentare l'Annapurna I attraverso una via tante volte
tentata ma mai conquistata, dal versante sud della montagna, attraverso un picco satellite chiamato
Annapurna Fang. E per aumentare ancora di pi la difficolt, decise di effettuare la scalata in inverno.
Sarebbe stata un'impresa straordinariamente ambiziosa e pericolosa, che prevedeva una tecnica
alpinistica estrema in un freddo e un vento inimmaginabili. Anche quando si scala dalle vie pi facili,
l'Annapurna considerata una delle montagne pi difficili del mondo: per ogni due scalatori che ne hanno
raggiunta la vetta, uno morto. Se Bukreev fosse riuscito a salire dalla via che aveva preventivato, quella
sarebbe stata una delle imprese pi ardite nella storia dell'alpinismo himalayano. Come partner chiam di
nuovo Simone Moro - quel giovane e forte scalatore italiano con cui era andato sul Lothse - il quale
possedeva l'esperienza tecnica che mancava a lui.
Verso la fine di novembre, subito dopo la pubblicazione diEverest 1996 , Bukreev e Moro si
recarono in Nepal e raggiunsero in elicottero il Campo Base dell'Annapurna, accompagnati da un regista
del Kazahkstan, Dimitri Sobolev. L'inverno era giunto presto e cos si trovarono di fronte un insolito
accumulo di neve che rallentava la loro marcia e faceva aumentare drammaticamente il pericolo di
valanghe. Riluttanti, decisero di abbandonare il piano originario e tentare una via pi semplice - ancorch
di grande difficolt e molto rischiosa - ai margini del versante sud dell' Annapurna.
Dopo aver eretto il Campo Uno a 5100 metri, sotto alla prima delle grandi difficolt, Bukreev,
Moro e Sobolev partirono dalla loro tenda al sorgere del sole il giorno di Natale, con l'intento di fissare le
corde lungo un ampio canale fino a una cresta che torreggiava circa 900 metri sopra l'accampamento.
Moro, in testa, a mezzogiorno era arrivato a una sessantina di metri dalla cresta. Alle 12.27, fermatosi
per prendere qualcosa dallo zaino, ud un secco boato. Alz gli occhi e vide una valanga di enormi
blocchi di ghiaccio precipitare con fragore verso di lui. Riusc ad emettere un grido per avvisare Bukreev
e Sobolev che stavano risalendo il canale circa 200 metri sotto di lui, un attimo prima che il muro di neve
e ghiaccio lo facesse precipitare scaraventandolo gi dalla montagna.
Per un attimo Moro prov ad arrestare la sua caduta cercando di aggrapparsi alla corda fissata,
procurandosi solchi profondi sulle dita e sui palmi delle mani a causa dell'ustione da sfregamento della
corda, ma fu inutile. Precipit per circa 800 metri insieme alla cascata di ghiaccio, ma quando la massa
della valanga si ferm su un dolce pendio poco sopra il Campo Uno, per pura fortuna Moro si ritrov in
cima a tutti quei detriti ghiacciati. Dopo aver ripreso conoscenza, cerc freneticamente i suoi compagni,
ma non riusc a trovarne traccia. Ricerche aeree e sul luogo condotte la settimana successiva risultarono
vane. Bukreev e Sobolev furono dichiarati morti. La notizia della morte di Bukreev fu accolta con dolore
e sconcerto in tutti i continenti. Aveva viaggiato molto e aveva amici in tutto il mondo. Tante, tantissime
persone rimasero sconvolte dalla sua morte, prima fra tutte la donna con cui divideva la vita, Linda
Wylie, di Santa Fe, New Mexico.
La morte di Bukreev stata sconvolgente anche per me, per un sacco di ragioni complesse. In
seguito a quell'incidente sull'Annapurna, gran parte del dibattito su ci che era accaduto sull'Everest nel
1996, inizi a diventare futile e meschino e ormai marginale. Ho riflettuto a lungo su come le cose tra me

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e Bukreev fossero giunte a quello spiacevole punto. Essendo entrambi testardi, orgogliosi e restii a
indietreggiare di fronte a una disputa, il nostro disaccordo si era ingigantito fino ad assumere proporzioni
eccessive.
Vorrei aver descritto Bukreev in maniera diversa nel mio libro? No, non credo. Niente di ci che
ho appreso dal momento della pubblicazione diAria sottile o diEverest 1996 , mi induce a ritenere di
aver sbagliato. Ci che vorrei, forse, essere stato meno tagliente in un famoso scambio di lettere fra me
e lui su Internet, intercorso poco dopo il mio articolo sull'Everest pubblicato daOutside nel settembre
1996. Queste controversieonline hanno creato uno spiacevole tono che si inasprito nei mesi successivi
e hanno, da quel momento, polarizzato la sua attenzione.
Bench le critiche che avevo mosso a Bukreev nell'articolo suOutside e nel mio libro fossero
contenute e controbilanciate da elogi sinceri, Anatoli si sent comunque offeso e si indign. Bukreev e
DeWalt hanno risposto attaccando la mia credibilit e fornendo dei fatti interpretazioni a dir poco
fantasiose. Per difendere la mia onest sono stato costretto a svelare dei particolari che mi ero astenuto
dal presentare per evitare di ferire Bukreev senza motivo. Bukreev, DeWalt e la St. Martin's Press hanno
ribattuto intensificando i loro attacchi nei miei confronti e in un batter d'occhio il dibattito degenerato in
una folle guerra verbale.
La disputa ha raggiunto il culmine all'inizio del novembre 1997 al Mountain Book Festival di Banff.
Bukreev era uno dei partecipanti a una tavola rotonda di eminenti scalatori. Io avevo declinato l'invito per
timore che quella occasione potesse trasformarsi in un insano match di grida, ma feci l'errore di andarci in
veste di spettatore. Il risultato fu che a un certo punto mi ribellai all'acredine di Bukreev e per tutto
l'auditorium cominciarono a volare parole sconsiderate e piene di livore.
Mi scusai immediatamente di quell'esplosione. Dopo la conclusione della tavola rotonda, quando la
folla si era dileguata, corsi fuori in cerca di Anatoli e lo trovai con Linda Wylie che attraversava i prati
circostanti il Banff Centre. Dissi loro che mi sembrava opportuno scambiare due parole in privato per
cercare di alleggerire quella tensione. In un primo momento Anatoli esit di fronte alla mia proposta,
dichiarando che stava facendo tardi a un altro evento del Festival. Ma in seguito alla mia insistenza
concesse di dedicarmi qualche minuto. Per la mezz'ora successiva, io Linda Wylie e Anatoli siamo rimasti
l fuori, nel freddo di quella mattina canadese, a parlare con franchezza, ma con calma, dei nostri punti di
vista divergenti. A un certo punto lui mi ha messo una mano sulla spalla dicendomi: Non sono arrabbiato
con te, Jon, ma tu non capisci. Al termine del nostro colloquio, pronti a riprendere ciascuno la propria
strada, eravamo giunti alla conclusione che sia io che lui dovevamo fare uno sforzo per moderare il tono
della discussione e per non permettere che l'atmosfera fra noi continuasse ad essere cos emotivamente
tesa e carica di competitivit. Continuammo a non trovarci in accordo su certi punti - in primo luogo
sull'opportunit di guidare sull'Everest senza bombole d'ossigeno, e su ci che Bukreev e Fischer si
sarebbero detti nell'ultima conversazione in cima all'Hillary Step ma entrambi ci rendemmo conto di
concordare pienamente su quasi tutto il resto.
Bench il coautore diEverest 1996 , Mr. DeWalt, abbia continuato ad alimentare le fiamme della
discussione, io sono tornato da quell'incontro con Anatoli con la speranza di poter appianare le cose con
lui. Prevedevo gi la fine di quel pasticcio. Sette settimane dopo, per, Anatoli rimase ucciso
sull'Annapurna e io mi sono reso conto che i miei sforzi di riconciliazione erano giunti troppo tardi.

JON KRAKAUER
Boulder,Colorado-Agosto 1998

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[1]Non tutti coloro che si trovavano sul monte Everest nella primavera del 1996 sono inclusi nell'elenco
[2]Il Western Cwm (pronuncia: kuum) fu battezzato cos da George Leigh Mallory, che fu il primo a
vederlo durante l'esplorazione iniziale dell'Everest organizzata nel 1921 e partita dal Lho La, un passo
elevato sul confine fra Nepal e Tibet. Cwm una parola celtica che significa valle o circo morenico.
[3]I rilevamenti moderni, avvalendosi del laser e delle pi recenti tecniche
di trasmissione Doppler via satellite, hanno corretto questa misurazione accrescendola di soli 7,9248 metri e portandola quindi alla cifra oggi correntemente accettata di 8848 metri.
[4]Le vette pi alte dei sette continenti sono: Everest, 8848 metri (Asia); Aconcagua, 6960 metri
(America meridionale); McKinley, noto anche col nome di Denali, 6194 metri (America settentrionale);
Kilimangiaro, 5895 metri (Mrica); Elbrus, 5642 metri (Europa orientale); Mount Vinson, 5240 metri
(Antartide); Kosciuszko, 2228 metri (Australia). Dopo che Dick Bass li aveva scalati tutti e sette, Patrick
Morrow, un alpinista canadese, sostenne che, visto che la vetta pi alta dell'Oceania, il gruppo di terre
emerse che comprende lAustralia, non il monte Kosciuszko, bens la vetta molto pi ardua della
Carstenz pyramid, o Djaia (5040 metri), nella provincia indonesiana di Irian Barat, non era Bass il primo
ad avere compiuto la scalata delle Sette Sorelle, ma lui, Morrow. Pi d'uno dei detrattori del concetto
delle Sette Sorelle ha fatto notare che una sfida molto pi impegnativa della scalata delle cime pi alte di
ogni continente sarebbe quella delle cime classificate al secondo posto in ordine di altezza per ogni
continente, un paio delle quali richiedono in effetti scalate molto impegnative.
[5]Bass impieg quattro anni per scalare le Sette Sorelle.

[6]Il chorten un monumento religioso, di solito fatto di roccia e contenente spesso delle reliquie sacre;
si chiama anchestupa .
[7]Le pietre mani sono sassi piccoli e piatti, meticolosamente incisi con caratteri tibetani che esprimono
l'invocazione dei buddhisti tibetaniOm mani padme hum , e vengono ammucchiati al centro dei sentieri
fino a formare lunghi e bassi murettimani . L'etichetta buddhista prescrive ai viandanti di superarli sempre
sulla sinistra.
[8]Dal punto di vista tecnico, la maggior parte degli yak che si vedono sull'Himalaya sono in realt
dzopkyo , ossia ibridi di sesso maschile fra yak e bovini, odzom , ibridi femminili; inoltre le femmine di
yak, se di razza pura, si chiamano per l'esattezzanak . Comunque quasi tutti gli occidentali stentano a
distinguere fra loro questi bestioni pelosi e li definiscono tutti yak.
[9]A differenza del tibetano, al quale pure molto affine, la lingua degli sherpa non ha una tradizione
scritta, quindi gli occidentali sono costretti a ricorrere a trascrizioni fonetiche. Di conseguenza non esiste
una perfetta uniformit nella grafia delle parole o dei nomi sherpa; Tengboche, per esempio, si scrive
anche Tengpoche o Thyangboche, e incongruenze simili si notano anche nella grafia di altre parole
sherpa.

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[10]Sebbene il nome tibetano della vetta sia Jomolungma e quello nepalese Sagarmatha, nella
conversazione quotidiana gli sherpa indicano quasi sempre la montagna col nome di Everest, anche
parlando fra loro.
[11]Esistono quattordici vette definite Ottomila, ossia montagne che superano gli ottomila metri di
altitudine. Bench si tratti di una designazione piuttosto arbitraria, gli alpinisti hanno sempre attribuito un
particolare prestigio alla scalata di cime superiori agli ottomila metri. Il primo a scalarle tutte e quattordici
stato Reinhold Messner, nel 1986, e finora, solo altri quattro uomini hanno ripetuto l'impresa.
[12]Il gioco di parole del testo originale allude a unayellow brick road , che anche il titolo di una
celebre canzone di Elton John. (N.d.T)
[13]Fin dai primi tentativi di scalata dell'Everest, quasi tutte le spedizioni, commerciali o no, si sono
affidate agli sherpa per il trasporto della maggior parte del carico sulla montagna. Ma noi, in quanto clienti
di una spedizione guidata, non portavamo carichi di alcun genere tranne una modesta quantit di
attrezzatura personale, e in questo senso la nostra impresa era notevolmente diversa dalle spedizioni non
commerciali dei tempi andati.
[14]La crepaccia terminale una profonda fenditura che delimita l'estremit superiore del ghiacciaio; si
forma nel punto in cui la massa di ghiaccio si stacca dalla parete ripida immediatamente al di sopra,
lasciando un varco fra il ghiacciaio e la roccia.
[15]Anche se uso il termine commerciale per indicare qualunque spedizione organizzata basata sul
pagamento di quote per la partecipazione, non tutte le spedizioni commerciali sono guidate. Per esempio,
Mal Duff - che faceva pagare ai suoi clienti somme notevolmente inferiori ai sessantacinquemila

.dollari richiesti da Hall e Fischer - assicurava l'organizzazione e le infrastrutture essenziali per scalare
l'Everest (viveri, tende, bombole di ossigeno, corde fisse, aiutanti sherpa e cos via), ma non si proponeva
come guida; gli scalatori della sua squadra dovevano essere esperti a sufficienza per salire da soli
sull'Everest e ridiscendere senza rischi.
[16]Per assicurare corde e scale ai pendii innevati si usavano chiodi di alluminio lunghi novanta
centimetri, chiamati picchetti; nei punti in cui il terreno era costituito da ghiaccio vivo, si utilizzavano viti
da ghiaccio, ovvero chiodi cavi e filettati, lunghi una dozzina di centimetri, che si avvitavano nel
ghiacciaio.
[17]Bench Yasuko avesse gi usato i ramponi da ghiaccio durante le precedenti scalate
dell'Aconcagua, del McKinley, dell'Elbrus e del Vinson, nessuna di queste salite aveva richiesto
un'autentica scalata su ghiaccio, se non in minima parte; in ogni caso il terreno consisteva principalmente
in pendii relativamente moderati, di neve e/o di misto.
[18]Assicurazione un termine tecnico dell'alpinismo che designa l'atto di assicurare una corda per
proteggere l'alpinista e i suoi compagni di cordata durante l'ascesa.
[19]Bench la spedizione di Neby fosse classificata come una impresa solitaria, il norvegese aveva
ingaggiato diciotto sherpa perch gli trasportassero il carico, gli organizzassero il campo e lo guidassero
sulla montagna.
[20]Solo gli scalatori indicati nell'autorizzazione ufficiale, al costo di diecimila dollari a testa, sono

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ammessi al campo base. Questa regola viene fatta rispettare rigorosamente e coloro che la violano
rischiano multe proibitive, oltre all'espulsione dal Nepal.
[21]Non va confuso con l'omonimo sherpa della squadra sudafricana. Ang Dorje - come del resto
Pemba, Lhakpa, Ang Tshering, Ngawang, Dawa, Nima e Pasang - un nome molto diffuso fra gli
sherpa; il fatto che ciascuno di questi nomi fosse comune a due o pi sherpa fu all'origine di qualche
equivoco nella primavera del 1996.
[22]Ilsirdar il capo degli sherpa. La squadra di Hall comprendeva unsirdar del campo base, chiamato
Ang Tshering, che era a capo di tutti gli sherpa utilizzati dalla spedizione, mentre Ang Dorje, ilsirdar
scalatore, pur dovendo rispondere ad Ang Tshering, sovrintendeva a tutti gli sherpa scalatori finch si
trovavano sulla montagna al di sopra dd campo base.
[23]Si ritiene che l'origine del problema sia la scarsit di ossigeno nell'aria, aggravata dall'alta pressione
nelle arterie polmonari: questo fa s che il fluido trasudi dalle arterie nei polmoni.
[24]Nonostante il notevolebattage pubblicitario sui collegamenti diretti interattivi fra le pendici del
monte Everest e il World Wide Web, alcuni limiti tecnologici impedivano connessioni dirette fra il
campo base e Internet. I corrispondenti trasmettevano i loro rapporti a voce o via fax, con il telefono
satellitare, e in seguito questi rapporti venivano digitati sui computer per la diffusione sulla rete da
redattori dislocati a New York, Boston e Seattle. I messaggi di posta elettronica venivano ricevuti a
Kathmandu e l stampati, dopodich la copia veniva trasportata al campo base a dorso di yak. Allo
stesso modo, tutte le foto immesse sulla rete erano state prima spedite per mezzo di yak e poi per
corriere aereo a New York, da dove venivano trasmesse. Le sessioni chat si svolgevano grazie al
telefono satellitare e a un'operatrice alla tastiera che si trovava a New York.
[25]Vari periodici e quotidiani hanno riferito erroneamente che ero un corrispondente di Outside Online.
L'equivoco nato dal fatto che Jane Bromet mi ha intervistato al campo base e ha inviato una trascrizione
dell'articolo, diffusa dal sito Web di Outside Online. In realt io non avevo alcun rapporto con Outside
Online e sono andato sull'Everest per incarico della rivistaOutside , un'entit indipendente (con sede a
Santa Fe, nel Nuovo Messico), che intrattiene un rapporto di collaborazione aperta con Outside Online
(che ha sede legale nella zona di Seattle) per la pubblicazione di una versione online della rivistaOutside
su Internet. Ma la rivistaOutside e Outside Online sono autonome, al punto che prima di arrivare al
campo base ignoravo che Outside Online avesse inviato un corrispondente sull'Everest.
[26]La maniglia jumar un congegno non pi grande di un portafogli, che si aggancia alla corda per
mezzo di una camma metallica. La camma consente alla maniglia jumar di spostarsi verso l'alto senza
difficolt, ma serra con forza la corda, bloccandola, quando il congegno sottoposto all'azione di un
peso. In questo modo l'alpinista pu risalire lungo la corda, in sostanza: issandosi a braccia.
[27]Le bandiere di preghiera recano stampate delle invocazioni buddhiste, la pi comune delle. quali
Om mani padme hum , che vengono inviate a Dio a ogni sventolio della bandiera. Spesso, oltre alle
preghiere scritte, recano l'immagine di un cavallo alato, perch nella cosmologia degli sherpa i cavalli alati
sono creature sacre che si ritiene portino in cielo le preghiere con straordinaria celerit. Il termine usato
dagli sherpa per indicare le bandiere di preghiera lung ta , che tradotto alla lettera significa cavallo di
vento.
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[28]Bromet aveva lasciato il campo base verso la met di aprile per tornare a Seattle, da dove
continuava a diffondere su Internet rapporti rdativi alla spedizione di Fischer per Outside Online; come

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fonte principale, poteva far affidamento su regolari telefonate di aggiornamento da parte di Fischer.
[29]Le bombole di ossigeno vuote che deturpano il Colle Sud si sono accumulate sul posto fin dagli anni
Cinquanta, ma oggi, grazie a un programma tuttora in corso promosso dalla Sagarmatha Experimental
Expedition di Fischer nel 1994, ce ne sono meno di un tempo. Gran parte del merito va a un membro
della spedizione, Brent Bishop (figlio del defunto Barry Bishop, noto fotografo delNationalGeographic
che scal l'Everest nel 1963), il quale ha avviato una politica di incentivi dall'esito molto positivo,
finanziata dalla Nike; nell'ambito di questa iniziativa gli sherpa ricevono un premio in contanti per ogni
bombola di ossigeno che riportano gi dal Colle. Fra le numerose agenzie che organizzano spedizioni
guidate sull'Everest, l'Adventure Consultants di Rob Hall, la Mountain Madness di Scott Fischer e
l'Alpine Ascents International di Todd Burleson hanno adottato con entusiasmo il programma di Bishop,
con il risultato che oltre ottocento bombole vuote sono state rimosse dalle pendici superiori della
montagna negli anni dal 1994 al 1996.
[30]Dal gruppo dei clienti di Fischer mancavano Dale Kruse, che era rimasto al campo base in seguito al
recente attacco di edema cerebrale, e Pete Schoening, il leggendario veterano sessantottenne, che aveva
deciso di non salire oltre il Campo Tre dopo che un elettrocardiogramma, eseguito dai dottori Hutchison,
Taske e Mackenzie, aveva messo in evidenza un'anomalia potenzialmente grave nel battito cardiaco.
[31]La maggior parte degli sherpa scalatori presenti sull'Everest nel 1996 voleva avere un'opportunit di
raggiungere la vetta. Le loro motivazioni non erano meno varie di quelle degli scalatori occidentali, ma
almeno in parte l'incentivo era rappresentato dalla sicurezza dd lavoro. Come spieg Lopsang: Dopo
che uno sherpa ha scalato 1'Everest, facile trovare lavoro. Tutti vogliono questo sherpa.
[32]Al Campo Quattro il telefono non funzion affatto
[33]Sandy Pittman e io abbiamo discusso di questo e di altri fatti durante una conversazione telefonica
durata un'ora e dieci minuti e avvenuta sei mesi dopo il nostro ritorno dall'Everest; tuttavia mi ha chiesto
di non riportare in questo libro alcuna frase di quel colloquio, se non per chiarire certi punti a proposito
dell'episodio del traino, e io ho aderito alla sua richiesta.
[34]La cheratotomia radiale un procedimento chirurgico per correggere la miopia, in cui si praticano
delle incisioni a raggiera dal bordo esterno della cornea verso il centro, in modo da appiattirla.
[35]Sebbene un forte scalatore possa impiegare anche tre ore per salire trecento metri di dislivello, in
questo caso la distanza era su un terreno pi o meno pianeggiante, che il gruppo avrebbe dovuto essere
in grado di percorrere in una quindicina di minuti, se avesse saputo dove si trovavano le tende.
[36]Soltanto quando intervistai Lopsang a Seattle, il 25 luglio 1996, appresi che aveva visto Harris la
sera del 10 maggio. Pur avendo scambiato pi volte qualche parola con Lopsang, nei mesi precedenti,
non avevo mai pensato di chiedergli se aveva incontrato Harris sulla Cima Sud, perch a quell'epoca ero
ancora convinto di aver visto Harris al Colle Sud, 900 metri pi in basso, alle sei e mezza del pomeriggio.
Oltre tutto, Ed Cotter aveva gi chiesto a Lopsang se avesse visto Harris, ma in quella circostanza, non
so per quale motivo, forse per un semplice fraintendimento della domanda, Lopsang aveva risposto di
no.
[37]Nelle prime ore della mattina seguente, mentre cercavo Andy Harris sul Colle, notando sul ghiaccio
le tracce ormai quasi cancellate dei ramponi di Lopsang, che risalivano verso l'alto dall'orlo della parete
del Lhotse, credetti erroneamente che fossero le tracce di Harris che scendevano lungo la parete, e per
questo motivo mi convinsi che Harris doveva essere precipitato nel vuoto cadendo dal Colle.

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[38]Avevo gi riferito con assoluta sicurezza di aver visto Harris sul Colle Sud alle 18.30 dello maggio,
perci quando Hall disse che Harris era con lui sulla Cima Sud (900 metri pi in alto della posizione da
me indicata), quasi tutti, a causa del mio abbaglio, diedero erroneamente per scontato che le dichiarazioni
di Hall non fossero che i vaneggiamenti incoerenti di un uomo sfinito e in grave debito di ossigeno.
[39]Per evitare confusioni, tutte le ore indicate in questo capitolo sono state convertite nell'ora del
Nepal, anche se gli avvenimenti che descrivo si sono verificati nel Tibet, Qui infatti gli orologi sono
regolati sull' ora di Pechino, che in ritardo di due ore e quindici minuti sul fuso orario del Nepal; per
esempio, le 06.00 del Nepal corrispondono alle 08,15 in Tibet.

[40]Nel 1996 la squadra di Rob Hall trascorse solo otto notti al Campo Due (6500 metri) o a quote
superiori, prima di partire per la vetta dal campo base, e questo attualmente il periodo di acclimatazione
tipico. Prima del 1990, gli scalatori trascorrevano molto pi tempo al Campo Due o ancora pi in alto,
compresa almeno una puntata di acclimatazione a 7986 metri, prima di imbarcarsi per la vetta. Anche se
il valore dell'acclimatazione a 7986 metri discutibile (gli effetti deleteri del tempo trascorso a
un'altitudine cos estrema possono benissimo superare i vantaggi), non c' dubbio che estendere il
periodo attuale di acclimatazione, che prevede otto o nove notti a 6400 metri, anche ai 7300 metri
fornirebbe un margine di sicurezza pi ampio.
[41]I buddhisti credono che la somma delle buone azioni compiute nel corso della vita, se elevata, possa
affrancare l'individuo dal ciclo delle rinascite, liberandolo quindi per sempre da questo mondo di pene e
sofferenze.
[42]In precedenza Viesturs aveva gi scalato l'Everest senza ossigeno, nel 1990 e nel 1991. Nel 1994
lo aveva scalato una terza volta insieme a Rob Hall, ma nella salita aveva usato l'ossigeno perch in quella
circostanza faceva da guida e considerava irresponsabile condurre dei clienti senza l'ausilio dell'ossigeno.
[43]Occorre ricordare che lo sherpa chiamato Ang Dorje della spedizione sudafricana non lo stesso
della squadra di Rob Hall.
[44]Abitante a Norwood, in Colorado, Fran Distefano-Arsentiev conobbe Bukreev tramite il marito, il
noto scalatore sovietico Serguei Arsentiev. Nel maggio 1998 Fran e Serguei raggiunsero la vetta
dell'Everest dalla Cresta Nord-Est, senza ricorrere alle bombole d'ossigeno. Fran divenne cos la prima
donna americana ad aver conquistato l'Everest senza ricorrere all'ossigeno supplementare. Prima di dare
l'assalto finale, per, i due avevano trascorso tre notti al di sopra degli 8300 metri, senza ossigeno, e poi
furono costretti a trascorrerne un'altra ancora pi in alto durante la discesa, questa volta totalmente
esposti agli elementi, senza ossigeno, senza tenda, senza saccopiuma. Entrambi morirono prima di poter
raggiungere la salvezza ai campi pi bassi.
[45]Herrod fu trovato a capo all'ingi, sospeso alla corda. Sembra che sia caduto scendendo a corda
doppia dall'Hillary Step la sera nel 25 maggio 1996 senza riuscire a rigirarsi, forse per la troppa
spossatezza, o forse perch aveva perso i sensi. In ogni caso Bukreev e gli indonesiani lasciarono l il suo
corpo cos com'era. Un mese dopo, il 23 maggio 1997, Pete Athans liber il corpo di Herrod dalla
corda mentre saliva in vetta come membro di una spedizione incaricata di girare un filmato per il
programma Nova della PBS. Prima di liberarlo, Athans prese la macchina fotografica di Herrod che
conteneva la sua ultima fotografia: un autoritratto in cima all'Everest.

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