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Sartre
Linferno una noia mortale
Se vi dico inferno, a cosa pensate?
Listinto probabilmente porta ad immaginare scenari biblici o danteschi, fiamme e gironi, la perduta
gente dannata in eterno. Ma se invece vi chiedessi di nominare la cosa terrena che, pi di tutte, vi fa
penare e vi conferma lesistenza di un cosiddetto inferno in terra, cosa mi direste? La guerra, la
carestia? Linquinamento? Linterminabile, labirintica burocrazia? La coda allufficio postale?
Ognuno, credo, ha il suo personale concetto di inferno privato.
In A Porte Chiuse, opera teatrale in cinque scene di Jean Paul Sartre, linferno non altro che una
semplice stanza, arredata in stile secondo impero in cui Garcin, Estelle e Ins sono destinati a
convivere per leternit. Nessun giornale, nessun orologio funzionante, nessuna finestra, nessun
diversivo, nessun oggetto che possa fungere da arma con cui suicidarsi o eliminare gli altri due (e
anche se ci fosse, sarebbe inutile tentare di uccidere qualcuno che gi morto), nessun secondino,
nessuna tortura. Niente. Solo la compagnia degli altri due, la propria coscienza e la possibilit di
vedere, durante i primi tempi, il modo in cui i propri conoscenti ancora in vita reagiscono alla loro
morte, immagini che si rarefanno quando essi imparano a tollerare lassenza del/la defunto/a e
lasciano affievolire i ricordi ad esso/a legati.
Garcin, Estelle e Ins sono allinferno per motivi diversi: dei tre, Ins la prima a realizzare che ad
infliggere loro una qualche tortura non sar un demonio o un boia, ma saranno loro stessi a
tormentarsi reciprocamente. anche lunica a capire perfettamente il motivo per cui si trova l e ad
assumersi le sue responsabilit, sapendo bene di meritarselo.
Questa consapevolezza la distingue da Garcin ed Estelle, e in un certo senso la innalza ad un livello
diverso, portando gli altri due (Garcin in particolare) a chiederle una sorta di perdono, di
assoluzione, come se questo potesse graziarli e porre fine al loro soggiorno infernale. Ma lei si rifiuta
di stare al gioco, costringendoli invece a fare i conti con le loro azioni e il modo in cui esse sono state
percepite dagli altri. Da qui la frase pi famosa del dramma Lenfer, cest les autres*, linferno
sono gli altri, da intendersi non come un inno alla misantropia ma piuttosto come lamara
constatazione che esistiamo solo attraverso e grazie agli altri, e sono i loro giudizi, la loro
percezione di noi a definirci 1. Se gli altri decidessero di ignorarci o dimenticarci, noi non esiteremmo
pi. Questa la vera condanna dellinferno sartriano: essere relegati al giudizio altrui, consapevoli
che qualsiasi cosa noi facciamo per alterarlo ed apparire migliori, lultima parola spetter sempre agli
altri, e il mondo continuer comunque, con o senza di noi.
Ins non cerca lapprovazione degli altri due, non vuole la loro compagnia n le serve il loro
perdono, e questo la rende diversa, quasi invulnerabile. Estelle e Garcin, schiavi dellopinione altrui,
sono condannati ad uneternit di noia e oblio, senza assoluzione, senza uscita.
Fra le mie (tante) passioni c anche il teatro. Quando mi capita di leggere o di assistere ad una pice
che mi piace particolarmente, mi ritrovo a pensare a come lo porterei in scena, a che attori sceglierei,
1
(1) Linferno sono gli altri la frase dellopera che pi di ogni altra stata male interpretata e per cui Sartre stato pi
criticato.
a che costumi farei loro indossare. Se dovessi rappresentare A Porte Chiuse, lo ambienterei, senza
alcun dubbio, in una sala daspetto, un luogo in cui si attende, invano, di essere chiamati, ma il
proprio turno non arriva mai. Un posto in cui si attende, ma si ignora la durata e il motivo dellattesa.
Immagino sedie anonime, n comode n scomode, e un tavolino di finto legno (mio odio cordiale fin
dalla prima infanzia). Nessuna musica, nessuna rivista, un orologio fermo, forse una pianta finta,
congelata nella sua eterna primavera. A terra una moquette beige, ai muri nessun quadro n carta da
parati, per eliminare qualsiasi tipo di fantasia o cornice con cui ci si possa intrattenere, contando o
immaginando ripetizioni, per ingannare il tempo. Lanonimato, la mancanza di evasione: la noia
totale. La sola indicazione che rispetterei nessuno specchio o superficie in cui ci si possa
riflettere: lunico specchio, di cui peraltro si farebbe volentieri a meno, sono gli occhi degli altri e le
loro impressioni su di noi, da cui non si sfugge (almeno secondo Sartre) nemmeno da morti.
In questo dramma i tre protagonisti sono chiusi in una stanza dell'inferno e non fanno altro che
accusarsi a vicenda dei peccati commessi in vita, cercando allo stesso tempo di essere capiti e
perdonati dagli altri due. Morale della favola? La porta della stanza era sempre rimasta aperta ma i
tre sono rimasti intrappolati nelle loro discussioni, nei rapporti che si sono creati, nel giudicarsi l'un
altro. Non c' amore, non c' fiducia. L'inferno quindi per ciascuno dei tre rappresentato dai giudizi
degli altri due, che lo bloccano pur se la porta era aperta da sempre. Siamo bloccati nei rapporti con
gli altri e questo il vero inferno. Possiamo svincolarcene? S, certamente sembra dire Sartre se
sappiamo vivere da soli. Se non abbiamo bisogno degli altri e del loro giudizio del loro amore della
loro comprensione del loro perdono, possiamo essere liberi. Purtroppo spesso finiamo intrappolati
nel desiderio folle di piacere a qualcuno, di farci amare, di farci capire, di non esser soli. Questo
l'inferno in terra, forse proprio perch ce lo aspettiamo come un paradiso che non esiste. Siamo soli,
senza scuse, dice Sartre in un altro testo. Tutte le aspettative che abbiamo verso gli altri costruiscono
giorno dopo giorno la nostra stanza infernale.
dei rapporti infernali. Ora, proprio tutta unaltra cosa ci che volevo dire. Io voglio dire che se i
rapporti con gli altri sono distorti, viziati, allora laltro non pu essere che linferno. Perch? Perch
gli altri sono, in fondo, ci che vi di pi importante in noi stessi, per la nostra propria conoscenza di
noi stessi. Quando pensiamo a noi, quando cerchiamo di conoscerci, in fondo usiamo delle
conoscenze che gli altri hanno gi su di noi, noi ci giudichiamo con gli strumenti che gli altri hanno,
che ci hanno dato, di giudicarci. Qualunque cosa dico di me, il giudizio degli altri sempre in
mezzo. Qualunque cosa io provi per me, il giudizio degli altri entra in mezzo. Ci vuol dire che, se i
miei rapporti sono cattivi, io mi metto a totale dipendenza degli altri e allora, in effetti, io sono
nellinferno. Ed esiste nel mondo una quantit di gente che nellinferno perch dipende troppo dal
giudizio altrui. Ma ci non significa affatto che non si possa avere altri rapporti con gli altri, questo
delinea semplicemente limportanza capitale di tutti gli altri per ciascuno di noi.