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Marco Giovenale Le tracce piccole, le tracce minori

1. Da diverso tempo sono persuaso che le scritture asemantiche, e altre prassi e strade che trovo sensato far resistenza a chiamare artistiche, non debbano necessariamente ambire a spazi ampi o privilegiati di esposizione, a occasioni particolari di visibilit e/o vendibilit. Se a tali spazi si accede, un vantaggio contingente, a volte. O (anche) o pu essere uno svantaggio politico. La visibilit sempre, anche, lo spettacolo della visibilit. Potenzialmente gi uno dei tanti bocconi e passaggi della digestione generale dei segni da parte di un indifferente mercato globale.

2. Quali sono le altre pratiche? Action writing, art brut, graffiti, fotografia a bassissima definizione, stampe mal realizzate, fotocopie, installazioni di materiali grafici, per esempio. Ossia quelle forme non ordinatamente alfabetiche, che tuttavia lasciano tracce accennate, frammentarie, grezze, violente o leggere,

sulle superfici, nei luoghi fisici, e/o in rete. (Ma anche scritture alfabetiche, s. Definibili minori, minime, minimali). (Liste, memorie futili, registrazioni parziali di tracce oniriche. E molto altro). In alcune di queste pratiche pu essere appunto inclusa la scelta di 'installare' da qualche parte (pi o meno pubblicamente, e meglio se non pubblicamente) il materiale scritto graffito graffiato disegnato sovraimpresso incollato scarabocchiato strappato abbozzato calligrafato. Lasciare e meglio ancora abbandonare tracce.

3. La diffusione di massa dei materiali per chi consuma e si consuma nella societ mercantile dello spettacolo sembra non poter avvenire che in presenza di feedback di massa. Ma ci che in questo modo si desidera e si ottiene una corda che ha necessariamente due capi: da un lato l'ego dell'artista che si sente gratificato da un pubblico, dall'altro la massa medesima che ingerisce materiali attraverso i canali distributivi consueti, mainstream nella sostanza. Ma allora... Se alla sola e semplice fruizione di massa che si punta, perch non disegnare sul muro di una stazione, magari a matita? Questa una prassi pubblica (e politica?), non spettacolare.

Perch non abbandonare prose, disseminarle, sulle panchine di un parco? Perch non lasciare in giro frammenti (asemantici o meno)? quasi troppo semplice, e altrettanto necessario. E comunque possibile. La massa, per altro la meno connotata da identit di fruitore-tipo, sicuramente deliba quel che viene cos abbandonato, scritto, disseminato. , chi osserva, davvero un lettore non preorientato. Le opere possono anche venir firmate, e filmate. E in tal modo un segno di propriet esservi inciso, magari legato a uno spazio web personale. Che non fa, in questo modo, spettacolo. E non nel mercato.

4. Un gran numero di artisti si nega a queste prassi perch rappresentano il paradossale (e a mio avviso del tutto positivo e libero) status in cui una corda ha un solo capo, non due. Da un lato infatti esiste chi fruisce e apprezza l'opera, e magari se ne impossessa, ma dallaltro non esiste feedback per l'autore, non esiste vendita. L'opera stessa esposta al rischio anzi alla certezza dell'anonimato, o di venir rovinata dalle

intemperie, o raccolta e conservata, o distrutta, o ignorata. Nessuno garantisce pi l'elemento della fruizione: si sa solo che molto probabilmente ci sar. Nient'altro. un passaggio e vicolo che non chiaro dove finisca; ma si sa che non cieco. Solo un capo della corda quello rappresentato dal rientro certo di energie per il narciso dell'autore non c'. Non esiste. N c' rientro economico. Talvolta non c' nemmeno documentazione dell'azione effettuata, dell'installance.

5. Spillare un foglio su un muro. Abbandonare un ritaglio asemantico nel parco o in metropolitana. Tracciare graffi o frasi assolutamente labili-delebili in un luogo pubblico. Lanciare nel fiume sassi scritti, al modo di Emilio Villa. Disseminare messaggi con destinatari indistinti ma reali, non grati, non gratificanti.

http://installance.blogspot.it/ dicembre 2013

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