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Massimo Angelini NOTA SUGLI ARCHETIPI

[in Il Ludus Triumphorum, a cura di Paolo A. Rossi e Ida Li Vigni, Nova Scripta, Genova 2011:-168]

Ogni essere vivente fa supporre unintelligenza che lo plasma. Le sue molecole ne recano la formula in codice, e questa rinvia a una forma formante e informante. Gli antichi parlavano della causa formale che informa di s ogni essere vivente; a noi capita di poterne leggere la scrittura. Ma mentre decifriamo il codice biologico, non osiamo pi immaginare linterna intelligenza codificatrice; essa divenuta irraggiungibilmente interna, nota a pochi e diffamata: esoterica.1

La lettura dei tarocchi fatta sulla filigrana degli archetipi moneta corrente, forse anche inflazionata, fra chi si occupa di esoterismo. Non perci in questa sede il caso di ripercorrere la storia dellinterpretazione archetipica dei tarocchi: mi limito a ricordare che si tratta di una lettura relativamente recente, che prende corpo nel secolo XVII e acquista notoriet a partire dal Monde Primitif, curato nel 1781 da Antoine Court de Gbelin. Da allora, su questa interpretazione si detto molto, forse troppo e talvolta pi di quanto non sia lecito dire; del resto sappiamo che i significati delle cose vivono nei segni che li custodiscono, ma anche in noi che amiamo trovarceli e riconoscere quello che la nostra immaginazione ci suggerisce, e qualche volta sistemiamo cosa desideriamo vedere secondo un ordine necessitante che piace pensare esterno al nostro desiderio. Tutto pu essere riempito o vuotato di senso: cos le figure dei tarocchi, la loro composizione, il loro ordine, il loro numero. Gli arcani maggiori sono 22, e in questo numero, dai pi ricondotto alla kabbalh, riconosciuto un significato particolare; ma suppongo che il numero ci potrebbe apparire ancora pi rilevante se gli arcani maggiori fossero 12 o 27, e che sapremmo trovare un significato altrettanto particolare se fossero 14, 26 o 61. In assenza di capisaldi e orienti della ricerca e della riflessione, ogni interpretazione, anche nata dalla fantasia e dal desiderio, pu essere enunciata senza argomentazione e pu pretendere di essere accolta senza obiezione; per altro, non c modo, n vale la fatica, di discutere quello che appartiene alla repubblica dei gusti e delle opinioni. Loccasione di questo incontro intorno ai tarocchi mi permette di parlare degli archetipi e presentare una breve nota a beneficio di chi conosca largomento da lontano; e questa non e non pu essere pi che una nota, ch sarebbe superbia affrontare e trattare un tema cos vasto nel breve spazio di una relazione: non

Traccia della comunicazione presentata al convegno di studi Il Ludus Triumphorum: carte da gioco o alfabeto del destino, Genova (Museo del Mare), 17-18 settembre 2010.
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Zolla, 1982 / 2006: 697.

basterebbero 10 convegni come questo per circoscrivere il tema degli archetipi e per parlarne con pi ragionevole compiutezza, ammesso che degli archetipi si possa parlare. La parola, archetipo, deriva dal greco archtypos, parola composta da arch e da typos. Arch il principio, l origine, sia in senso temporale, sia in senso ontologico; typos ilmodello, oppure il sigillo: due significati ben diversi che condizionano un diverso modo di pensare gli archetipi. Soffermiamoci qui. Il significato di modello si inscrive nellorizzonte del pensiero platonico [2], dove il mondo sensibile copia e riflesso del mondo ideale, e dove le idee, staccate dai fenomeni che riflettendosi in esse le riproducono, sono lontane, immobili, vivono altrove. allinterno di questo orizzonte che possiamo leggere il ricorso agli archetipi proposto nel secolo scorso, tra altri, da Carl G. Jung e Mircea Eliade. Per il primo, sono immagini antiche che appartengono al tesoro comune dellumanit e che si ritrovano in tutte le mitologie [3], ma soprattutto sono strumenti di analisi e interpretazione della psicologia del profondo, evocati per spiegare cosa d forma allinconscio collettivo e personale, un inconscio popolato di tipi arcaici, di universali presenti dai tempi pi remoti; il secondo li impiega per ricostruire luniverso mentale delle societ premoderne e tradizionali, dove ogni fenomeno terrestre, astratto o concreto corrisponde a un termine celeste, invisibile, a unidea nel senso platonico, e dove ogni gesto rituale riconducibile a un gesto primordiale, originario, attuato da un dio, da un eroe o da un antenato mitico; nelle civilt arcaiche e native agli archetipi si conformano tutte le cose del mondo, eccetto cosa sia informe e assimilabile al caos.4 Ben diverso da modello sigillo (ed questo il significato di typos che desidero mettere in evidenza), ovvero calco, ci che genera unimpronta: ancora oggi nellarte tipografica lo dice la parola il tipo il carattere mobile che stampa linchiostro sulla carta. Larchetipo qui non staccato dalle cose, ma d forma al vuoto e genera lapparenza delle cose, e ha, dunque, un ruolo attivo nella continua creazione del mondo, non separato e non indifferente a quello che esiste. Ritrovo la pregnanza e la profondit di questo significato in Pavel A. Florenskij,5 che parla, non di mondi separati ma, di aspetti complementari della stessa unica realt, e in Elmire Zolla, che mostra negli archetipi le forme formanti che danno forma alle cose formate, le immagini immaginanti per le immagini immaginate, e insegna a coglierli attraverso un
aggiramento delle apparenze sensibili, un salto controcorrente, quale fa il salmone, [che] porta dal piano dei participi passati a quello dei presenti: dalla natura naturata a quella naturante, dallesperienza vissuta alla creazione vivente.6

Al di qua delle differenti letture, patrimonio comune e condiviso la consapevolezza che gli archetipi sono raccontati dal mito, sono riattualizzati nel rito e
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Platone, in particolare Fedro e il libro VII della Repubblica (514 b 520 a). Jung, 1940, in Ries: 168. Eliade, 1949 / 1966: 19. Florenskij, 1921-1922 / 2008. Zolla, 1982 / 2006: 698. Lo stesso Autore ha dedicato agli archetipi un lungo saggio [1981]. Cfr anche: Zolla, 1975.

si incarnano attraverso il simbolo e attraverso il simbolo diventano visibili. Il simbolo dal greco syn-ballein mettere insieme, congiungere in relazione agli archetipi non semplice manifestazione o, meno ancora, rappresentazione, ma ponte, o piuttosto porta. esemplare cosa insegna Florenskij sul passaggio che mette in comunicazione i mondi, come proprio del sacro, e ci permette di guardare ci che sta al di l da questo piano di realt, ma permette anche a ci che sta al di l di guardarci. Come licona, cos il simbolo pu mettere in comunicazione reciproca il mondo visibile e quello invisibile, il noumeno con il fenomeno; e come fa la mente dei fedeli attraverso licona, cos attraverso il simbolo la nostra mente si solleva dalle immagini agli archetipi e con essi entra in diretto contatto ontologico.7 Tutto quello che finora ho detto noto a chi conosce largomento e potrebbe essere di qualche utilit solo per chi con esso ancora non abbia guadagnato familiarit. Invece, potrebbe forse apparire meno consueto lo spunto di riflessione che desidero presentare in conclusione di questo intervento. Tutto ci che esiste formato da una forma formante ed illuminato da una luce illuminante della quale espressione vivificata: forse la forma formante delluomo proprio il dio che racconta la Scrittura lo ha creato a sua immagine e somiglianza.8 Forse non azzardato pensare che, non solo universalmente ma, anche singolarmente siamo espressione di un archetipo che ci individua e anima la nostra parte originaria, quella pi intima, ed agisce personalmente in noi come forma formante; ma proprio questa parte originaria e intima quella formata dal nostro archetipo personale vive nellombra della nostra coscienza, coperta, camuffata da tutto quanto nel tempo si stratifica come posa, maniera, atteggiamento: questa la parte genuina e ignota di noi, quella che deformiamo con mimiche e automatismi, e spesso nascondiamo con le parole, le troppe parole, qualche volta pi numerose di quanto sappiamo dire, e con le uniformi e gli abiti sociali sotto i quali desideriamo apparire, fino a divenire la nostra caricatura, la scimmia di noi stessi. Ed in questo gioco di specchi contrapposti e deformati che con facilit ci allontaniamo dal profondo di noi stessi e ci allontaniamo reciprocamente gli uni dagli altri. Questo un modo di vedere larchetipo personale; e lo si potrebbe leggere anche in modo diametralmente diverso, come demone interiore: cos fa E. Zolla in Archetipi, dove parla del loro dominio su di noi e, con riferimento al bordello universale raccontato nel dramma Le Balcon di Jean Gnet, annota cos:
il Bordello Universale del dramma listituzione sociale che a ciascuno d modo di recitare, con la compagnia e con i sussidi teatrali opportuni, la scena archetipica che lo ossessiona e definisce.9 E, poco pi avanti, aggiunge: Talvolta addirittura la scena archetipica si eredita: quante figlie continuano a inscenare la farsa coatta della madre, quanti figli proseguono la recita del padre, e quanti infine disperatamente eseguono addirittura larchetipo del genitore di opposto sesso, sfidando glincredibili ostacoli con invincibile, demente fedelt.

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Florenskij, 1921-1922 / 1977: 66. Genesi, 1, 26-27. Zolla, 1981 / 2005: 77.

Riecheggiando, cos mi pare di sentire, le teorie che attraverso la ripetizione dei copioni familiari spiegano i tratti di personalit o i meccanismi di coazione nei comportamenti.10 Sotto questa luce, larchetipo personale che esercita potere, genera automatismi, spinge a cercare sfoghi camuffati e oscuri [e] costringe le sue vittime a strambe mimiche gratuite, a penosi e grotteschi tic.11 Al di l di questa interpretazione, torno a riflettere sullarchetipo personale come nostro sigillo e matrice particolare della nostra esistenza, e osservo che provare a cercarlo dentro di noi un buon compito e, a ben guardare, proprio il compito che una delle massime pi nobili del pensiero universale conosci te stesso ha suggerito, e che, come voce esperanta e senza tempo, si riverbera, tra i molti, nelloracolo delfico e nel socrate platonico, in Marco Aurelio e in Agostino, in Lao Tze e in Krishnamurti. Ma, tornando alla metafora della luce oscurata da cosa la ricopre, dellessenza sottile nascosta e deformata sotto lo spessore dei travestimenti sociali, per cercare larchetipo che in noi possiamo provare a dismettere maschere e maniere, quasi spogliarci stato questo il primo atto di rinascita in Francesco di Assisi , e persino a parlare un po di meno. E oltre a essere un buon compito per noi per tornare semplicemente quello che siamo la ricerca del nostro archetipo anche socialmente conveniente, se consideriamo che le differenze tra i nostri archetipi, perch pi vicini allarchetipo comune, ragionevolmente sono assai minori di quanto lo siano le nostre maschere! Sarebbe pi facile riconoscersi e meno faticoso stare insieme. E come non pensare la leggera sincerit dellessere e la convivialit come buoni punti cardinali per la nostra vita? Tutto quanto possa aiutare in questo cammino interiore per noi un buon viatico. I tarocchi, letti alla luce degli archetipi, se ci portano su una strada coltivata di concetti che parlano di concetti e nozioni che si assommano ad altre nozioni, possono diventare motivo di intrattenimento e distrazione e Dio sa per il poco tempo che la vita ci lascia a disposizione quanto poco bisogno abbiamo di distrarci , ma se ci riportano a noi stessi e ci aiutano a ripercorrere una strada a ritroso alla ricerca di quella parte di luce che conserviamo nel nostro profondo, allora possono essere viatico eccellente.

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Il concetto di copione familiare patrimonio caratteristico dellAnalisi transazionale; vedi: Eric BERNE, Ciao e poi? [titolo originale, postumo 1972], ed. Bompiani, Milano 1994. E. ZOLLA, Archetipi: pagina 78.

Bibliografia
Eliade, Mircea. 1949 Le mythe de lternel retour. Ed. cons.: Il mito delleterno ritorno. Archetipi e ripetizione, Borla, Torino 1966. Florenskij, Pavel A. 1921-1922 Ikonostas. Ed. cons.: Le porte regali: Saggio sullicona, a cura di E. Zolla, trad. di Pietro Modesto, Adelphi, Milano 1977; Iconostasi, trad. e cura di Giuseppina Giuliano, Medusa, Milano 2008. Jung, Carl G. 1940 Psychologie und Religion. Ed. cons.: Psicologia e religione, trad. di Bruno Veneziani, Edizioni di Comunit, Milano 1962. Ries, Julien. Le costanti del sacro. Mito e rito, Jaca Book, Milano 2008. Zolla, Elmire 1975 Pinocchio e gli archetipi, in Conoscenza Religiosa, 2. 1981 Archetypes. Ed. cons.: Archetipi, a cura di Grazia Marchian, Marsilio, Venezia 2005. 1982 Esoterismo e fede, in Conoscenza Religiosa, 1-2. Ed. cons.: in E. Zolla, Conoscenza religiosa. Scritti 1969-1983, a cura di Grazia Marchian, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2006: pagina 697

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