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La moltitudine dei poveri

La Repubblica ... il governo dell'intera moltitudine dei poveri e dei subordinati di ogni specie, senza riguardo per gli altri ordini della societ. (Sir Walter Raleigh, Maxims of State) Lumorismo e lo spirito di marinai, rinnegati e reietti va oltre gli scambi sociali raffinati di chi siede intorno a tavoli di mogano. E cos devessere. Il cappio in agguato sui colli di innumerevoli milioni di persone al giorno doggi, e per loro, lumorismo inguaribile rappresenta unasserzione di vita e sanit mentale contro la minaccia onnipresente di distruzione e di un mondo caotico. (C.L.R. James, Marinai, rinnegati e reietti: la storia di Herman Melville e il mondo in cui viviamo)

Moltitudine: il nome dei poveri


Dato che la forma dominante della repubblica definita dalla propriet, la moltitudine, nella misura in cui caratterizzata dalla povert, l'opposto della repubblica. Questo conflitto non deve essere inteso come una contrapposizione tra ricchezza e povert, ma dal punto di vista delle forme di soggettivit che si costituiscono nel conflitto. La propriet privata crea delle soggettivit nella forma singolare dell'individualit (e della loro competizione reciproca) e nella forma collettiva e unificata della classe che chiamata a difendere la propriet (contro i poveri). La storia costituzionale delle grandi repubbliche borghesi la storia della mediazione tra l'individualismo e l'interesse di classe. Considerata da questo punto di vista, la povert della moltitudine non va intesa come uno stato di miseria o di deprivazione, e neppure come una specie di mancanza, essa invece denota la produzione di un genere di soggettivit che si afferma in un corpo politico plurale e aperto, opposto sia all'individualismo sia all'unitario ed esclusivo corpo sociale dei proprietari. I poveri, in altre parole, non sono coloro che non hanno nulla, ma la grande molteplicit di coloro che stanno all'interno della produzione sociale indipendentemente dall'ordine della propriet. Gli elementi originari per comprendere la relazione costitutiva tra moltitudine e povert sono stati fissati nel corso delle lotte politiche nell'Inghilterra del Seicento. A quel tempo, nei discorsi politici popolari e nei pamphlet, il termine moltitudine aveva un'accezione, per cos dire, tecnica con cui sindicava la compagine costituente il corpo politico a prescindere dallo status e dalla propriet. Se da un lato era scontato che questa definizione della moltitudine in realt era indicativa degli strati pi bassi della societ e dei senza propriet, dato che costoro sono gli elementi pi chiaramente esclusi dall'ordine politico, dall'altro, la nozione di moltitudine denotava un corpo sociale aperto e inclusivo, caratterizzato dalla mancanza di confini e dal suo essere, sin dal principio, una formazione in progress e mista in cui confluiscono i gruppi e gli ordini sociali pi diversi. Nahum Tate, nella sua riscrittura di Shakespeare, il Riccardo 11 (1681), con la sua descrizione della moltitudine in base a una lista di attivit e occupazioni, d un'idea della mescolanza che caratterizza il corpo sociale dei poveri: Ciabattini, maniscalchi, tessitori, conciatori, birrai, macellai, barbieri., e innumerevoli altri i cui nomi si mescolano tra loro come un rumore confuso. Tuttavia, i lavori elencati da Tate, che possono essere considerati come gli antecedenti della classe operaia, non rendono adeguatamente conto della natura aperta della moltitudine il suo consistere

indipendentemente dalla propriet e dagli status sociali e della sua potenza in quanto corpo sociale e politico. Un nesso ancora pi chiaro tra povert e moltitudine ci offerto i dibattiti tra i Levellers e le fazioni della New Model Army che si svolsero a Putney nel 1647 che vertevano sulla natura della nuova , costituzione e, in particolare, sul diritto di voto. I Levellers si battevano energicamente contro la riserva del diritto di voto ai proprietari. Il colonnello Thomas Rainsborough, il portavoce dei Levellers, non usa il termine moltitudine nei suoi argomenti, tuttavia vi allude quando parla di un corpo politico aperto e caratterizzato da ogni sorta di mescolanza. A questo riguardo Rainsborough sostiene che: Io penso che l'essere pi povero che vi sia in Inghilterra abbia una vita da vivere non meno del pi grande e quindi, in verit, signore, credo sia chiaro che ogni uomo che abbia da vivere sotto un governo debba prima con il suo proprio consenso sottoporsi a quel governo; e penso che il pi povero degli uomini in Inghilterra non sia affatto vincolato in senso stretto a quel governo per il quale egli non ha avuto modo di esprimere il proprio consenso. Rainsborough si riferisce a un corpo politico nel momento in cui evoca il suo limite estremo l'essere pi povero che vi sia in Inghilterra, e tuttavia, i poveri sono irriducibili all'immagine di un soggetto qualificato da una mancanza. La moltitudine un corpo politico che non definito da alcuna distinzione attribuibile alla propriet, un corpo politico misto e senza limiti prestabiliti, che include e a un tempo trascende le attivit elencate da Tate. Per Rainsborough, questa concezione della moltitudine dei poveri come un corpo politico inclusivo e aperto implica necessariamente il suffragio universale (o almeno un diritto di voto notevolmente esteso) e una rappresentanza ugualitaria. Il Commissario militare Ireton, il principale interlocutore di Rainsborough nei Dibattiti di Putney, in questa rivendicazione di una nuova rappresentanza vede chiaramente una minaccia al potere della propriet. Se tutti hanno diritto di voto, cos controbatte Ireton, perch tutti non dovrebbero possedere una propriet? Questa era esattamente la conseguenza logica degli argomenti di Rainsborough. La ricostruzione della storia del termine moltitudine comporta una limitazione d'ordine filologico poich la documentazione che si riferisce ai discorsi e agli scritti dei suoi sostenitori piuttosto scarsa. La grande maggioranza dei documenti raccolti negli archivi del XVII secolo inglese sono negativi, sono cio i documenti e i discorsi scritti o pronunciati da chi si proponeva di distruggere, denigrare e negare la moltitudine. A quel tempo, il termine era di solito preceduto da un peggiorativo per aggravare il peso che gi gravava sulla sua esistenza: la moltitudine ex leggi, la moltitudine acefala, la moltitudine ignorante e cos via. Filmer e Hobbes, per citare due figure di primo piano, si propongono di negare non solo i diritti, della moltitudine, ma la sua stessa esistenza. Basandosi sull'autorit delle Scritture considerate come dei testi storici, Filmer attacca la tesi, sostenuta tra gli altri dal cardinale Bellarmino, secondo cui la moltitudine, in virt dei suoi diritti naturali, ha il potere di determinare l'ordine civile. Filmer, al contrario, ritiene che il potere non sia stato attribuito a tutta la moltitudine per diritto naturale, ma solo ad Adamo, il padre primordiale del genere umano, la cui autorit stata poi trasmessa per intero a tutti i patriarchi: Non c' mai stata una moltitudine indipendente che in origine possedeva il diritto naturale di creare una comunit osserva Filmer, questa una fantasia e un'invenzione troppo in voga oggi. Hobbes contesta l'esistenza della moltitudine su un terreno pi apertamente politico. La moltitudine non un corpo politico, egli afferma. Se la moltitudine intende divenire un corpo politico deve trasformarsi in un popolo definito dall'unit della volont e dell'agire. I molti, in altre parole, devono essere ridotti all'uno, deve cio essere negata l'essenza stessa della moltitudine: D'altra parte quando la moltitudine unita in un corpo politico, e perci un popolo [...] e le sue volont sono riunite virtualmente nel sovrano, l i diritti e le richieste dei singoli cessano; e chi ha il potere sovrano, fa per esso tutte le domande e rivendica sotto il nome di suo quel che prima si chiamava col plurale loro Filmer e Hobbes sono gli esponenti della linea dominante del pensiero politico inglese del XVII secolo in cui ci sono prevalentemente reazioni e riflessioni negative

intorno alla moltitudine. L'intensit di queste reazioni la paura e l'odio che la moltitudine suscita in Filmer e in Hobbes indubbiamente indicativa della potenza della questione. Un'altra strategia per comprendere la politica della moltitudine nel pensiero politico del XVII secolo volgersi al mondo della fisica, poich lo stesso sistema di leggi fondamentali era considerato ugualmente valido per i fenomeni fisici e per i corpi politici. Robert Boyle, contesta la concezione secondo cui tutti i corpi esistenti sono composti di elementi semplici e omogenei e sostiene che la mescolanza e le miscele sono le caratteristiche originarie della natura. Innumerevoli sciami di corpuscoli scrive si muovono in tutte le direzioni.. Moltitudini di corpuscoli si aggregano non in un unico grande corpo, ma in corpi singolari.. Tutti i corpi sono per loro natura costituiti da elementi molteplici aperti a ulteriori combinazioni attraverso la logica delle associazioni corpuscolari. Dal momento che i corpi fisici e politici obbediscono alle stesse leggi, la fisica delle moltitudini illimitate di Boyle implica immediatamente l'affermazione della moltitudine politica e del suo corpo misto. Non dunque sorprendente che Hobbes, riconoscendo questa minaccia, se la sia presa violentemente con Boyle. Per completare il discorso sul nesso tra le declinazioni fisiche e politiche della nozione di moltitudine occorre attraversare la Manica e raggiungere l'Olanda. La fisica di Spinoza, come quella di Boyle, si oppone all'atomismo dei corpi semplici e teorizza i processi di mescolanza e di composizione. Senza entrare nel merito delle loro rispettive epistemologie e cio la differenza tra una teoria meccanicistico-razionalista e una concezione sperimentale dell'universo corpuscolare - ricordiamo che entrambi concepiscono la natura come un composto costituito da incontri tra particelle elementari Dalla decomposizione degli incontri e dei concatenamenti derivano corpi pi piccoli, mentre dalla composizione discendono nuovi corpi alcuni pi grandi. Nella politica di Spinoza, la moltitudine uno di questi corpi misti e complessi costituito secondo la medesima logica del clinamen e dell'incontro. In tal senso, la moltitudine un corpo inclusivo, esso cio un corpo aperto agli incontri con altri corpi. Conseguentemente, la sua vita politica dipende dalla qualit degli incontri, se sono gioiosi da essi deriva la composizione di corpi pi potenti; se gli incontri sono invece tristi provocano delle decomposizioni da cui discendono corpi meno potenti. L'inclusivit radicale l'elemento che caratterizza pi incisivamente la moltitudine spinoziana come moltitudine dei poveri. La moltitudine dei poveri non intesa da Spinoza come il termine che indica chi sta ai livelli pi bassi della societ, ma come un ambito aperto a tutti indipendentemente dal rango e dalla propriet. Il passo decisivo in tal senso la definizione della moltitudine come unico possibile soggetto della democrazia. Per comprendere ancora meglio il rapporto tra moltitudine e povert occorre muoversi ancora pi a ritroso nel tempo per vedere lo spettacolo offerto dalla moltitudine dei poveri di fronte ai tribunali civili ed ecclesiastici nel Medioevo italiano. L'ordine mendicante di Francesco d'Assisi esaltava le virt dei poveri nella sua lotta contro la salda connessione tra la corruzione della Chiesa e la corruzione delle istituzioni della propriet privata. I francescani prendevano alla lettera i motti del Decretum di Graziano iure naturali sunt omnia omnibus (per diritto naturale tutto appartiene a tutti quanti) e iure divino omni sunt communia (per diritto divino le cose sono comuni a tutti) nei quali echeggiavano i principi dei Padri della Chiesa e degli Apostoli habebat omnia communia (che tra di voi tutte le cose siano in comune) (Atti degli Apostoli 2, 44). Anticipando gli eventi di Putney, tra il papato e i francescani (e tra gli stessi francescani) si sviluppa un aspro dibattito tra i fautori dell'ordine della propriet, e che per questo motivo negano la comunione dei beni prescritta dalle leggi naturali, e quei francescani che credono che sulla terra una societ buona e giusta possa essere costituita solo sulla comunanza dei beni. Solo alcuni anni pi tardi, nel 1324, Marsilio da Padova avrebbe considerato la povert come l'unico fondamento non solo della perfezione cristiana ma, ed ci che ci interessa maggiormente, della societ democratica.

Nei secoli della modernit, il termine moltitudine al di fuori dell'Inghilterra del XVII secolo non ha lo stesso significato tecnico-politico. Tuttavia lo spettro della moltitudine dei poveri circola intorno al mondo e minaccia la propriet ovunque aveva messo radici. Esso appare nelle grandi guerre dei contadini scatenate da Munzer e dagli anabattisti contro i principi tedeschi 5 Nelle ribellioni contro i regimi coloniali degli europei, da La Paz nel 1857 nell'attacco di Tupac Katari al dominio spagnolo, alla ribellione degli indiani contro il dominio della Compagnia delle Indie Orientali, la moltitudine dei poveri ha sfidato la repubblica della propriet. Sui mari, la moltitudine ha popolato i circuiti della produzione e del consumo, come la rete dei pirati che li hanno infestati. Un'immagine negativa ed estrema conviene con i nostri propositi: la moltitudine come l'idra dalle mille teste che minaccia la propriet e l'ordine 51. L'aspetto pi immediatamente minaccioso della moltitudine rappresentato dalla sua eterogeneit costituita da un amalgama di marinai, mulatti, servi, soldati, artigiani, contadini, rinnegati, spostati, pirati e molti altri soggetti che circolavano sui mari e gli oceani. Un altro serio motivo di preoccupazione che questa moltitudine minaccia gravemente la propriet e la sua struttura di potere. Quando i detentori del potere mettono in guardia sull'idra che si aggira per i mari non stanno raccontando una favola, parlano di una sfida reale e potente. Jacques Rancire ha concettualizzato la politica in termini molto simili a quelli che abbiamo rilevato nelle discussioni seicentesche intorno alla moltitudine. Per Rancire: Il principio della politica la lotta tra ricchi e poveri o pi precisamente, egli prosegue, la lotta tra i senza parte nell'organizzazione del comune e chi lo controlla. Come sottolinea Rancire, la politica si manifesta quando coloro che non hanno il diritto di essere contati impongono che si tenga conto di loro. La parte di chi non ha parte, la parte dei poveri, un'eccellente definizione iniziale della moltitudine, che va integrata da un corollario secondo il quale la parte dei poveri non in nessun modo omologa alla parte dei ricchi. La parte dei ricchi avanza falsi argomenti per giustificare la propria universalit e pretende, sotto le sembianze della repubblica della propriet, di rappresentare la societ intera mentre, in realt, essa non rappresenta altro che un'identit parziale, l'unit e omogeneit della quale garantita dal monopolio della propriet. La parte dei poveri, al contrario, irriducibile a una componente specifica della societ; essa indicativa di una formazione aperta in cui sono inclusi tutti coloro che sono coinvolti nei meccanismi della produzione sociale a prescindere dall'appartenenza a un rango o dal possesso della propriet, e in tutti gli aspetti della loro diversit, sono caratterizzati da una produzione aperta e plurale della soggettivit. Per la sua sola esistenza, la moltitudine dei poveri costituisce una minaccia oggettiva per la repubblica della propriet.

Chi odia i poveri?


Spesso si ha l'impressione che qualcuno odi i poveri. In primo luogo, sicuramente li odiano i ricchi, anche se ammantano il loro risentimento con il moralismo come se la povert fosse sintomo di qualche mancanza interiore o lo mascherano con la compassione e la piet. Anche chi non ancora povero odia i poveri, in parte perch vede in loro un'immagine di quello che potrebbe presto diventare. Ci che sotteso all'odio per i poveri nelle sue molteplici manifestazioni la paura. I poveri rappresentano una minaccia diretta rivolta contro la propriet, non solo perch non hanno risorse e ricchezza e potrebbero anche essere giustificati a rubare, come il nobile Jean Valjean, ma soprattutto perch hanno il potere di destabilizzare e di rovesciare la repubblica della propriet. la vile moltitudine e non il popolo che vogliamo escludere proclamava Adolphe Thiers in una sessione dell'Assemblea nazionale nel 1850. La moltitudine pericolosa e va esclusa con la legge, prosegue Thiers, poich mobile e dunque impossibile da fissare come un oggetto sottomesso al potere. Queste espressioni della paura e dell'odio della povert vanno lette in controluce, in quanto affermazioni, o perlomeno come dei sintomi di un'intuizione circa la potenza dei poveri.

Nella storia delle tattiche per dividere i poveri, per privarli degli strumenti per agire e per esprimersi, c' una lunga lista di tecniche e di operazioni discorsive per indebolirne, minarne e annullarne la potenza. Le principali manovre ideologiche sono state condotte all'interno della teologia e della dottrina cristiana forse per la ragione che la minaccia che la povert ha rappresentato per la propriet stata sempre lucidamente compresa nella storia del Cristianesimo. Papa Benedetto XVI, nell'enciclica del 2006 dal titolo Deus caritas est, si propone di affrontare direttamente la tradizione scritturale della potenza della povert al fine di mistificarla. Il papa sostiene che l'ingiunzione apostolica di condividere tutte le cose in comune impraticabile nel mondo moderno e che, di conseguenza, la comunit cristiana non ha il dovere di dare indicazioni in merito alla giustizia sociale, ma deve delegare la questione alla responsabilit dei governi. Il papa invece insiste sul dovere delle attivit caritatevoli in favore dei poveri e dei bisognosi considerando perci stesso i poveri non dei soggetti ma degli oggetti della piet. Non c' dunque nulla di veramente originale nell'approccio di Benedetto XVI. Egli solo l'ultimo epigono nella lunga linea delle crociate ideologiche della Chiesa contro i poveri. Uno dei vertici (o dei crepuscoli) della tensione ideologica volta alla cancellazione della potenza dei poveri la breve lezione del 1945 tenuta da Heidegger intitolata semplicemente Povert (Die Armut). Il contesto della lezione significativo per la sua drammaticit. A partire dal marzo di quell'anno, dopo l'attraversamento del Reno da parte delle truppe francesi, Heidegger, insieme con alcuni colleghi del Dipartimento di Filosofia dell'Universit di Friburgo, aveva trovato rifugio in un castello a est della citt di Wildenstein sulle colline della Foresta nera, ove costoro continuavano la loro attivit didattica. Alla fine di giugno, mentre l'arrivo dei francesi al castello imminente, Heidegger molto preoccupato per l'occupazione delle rive dell'Elba da parte dei sovietici. Nel frattempo, Vienna era caduta e Berlino era prossima a cadere. Per la sua ultima lezione Heidegger aveva scelto di commentare una frase di Hlderlin scritta negli ultimi anni del XVIII secolo durante la Rivoluzione francese: Da noi, tutto si concentra nello spirituale, noi siamo diventati poveri per diventare ricchi. A margine del manoscritto, nel punto in cui Heidegger cita per la prima volta la frase, egli scrive: Il motivo per cui in questo momento della storia mondiale ho scelto di commentare questa frase sar chiarito dallo stesso commento. Di fronte a un disastro di immani proporzioni storiche la fine del nazionalsocialismo, la fine della Germania e del popolo tedesco cos come erano stati concepiti dal nazismo, e l'avanzata del comunismo Heidegger decide di articolare un discorso ontologico sulla povert. Iniziamo a esaminare il contenuto filosofico della lezione e questo anche se Heidegger ha gi avvertito che il suo significato sar rivelato pienamente in relazione al momento della storia mondiale. Seguendo il suo metodo abituale, Heidegger procede interrogando il significato di ogni termine della frase di Hlderlin. Di chi parla Hlderlin con il termine da noi? La risposta semplice: i tedeschi. Che cosa intende con il termine spirituale? I lettori di Heidegger non si sorprendono neanche per questa seconda risposta: con spirituale Hlderlin intende la relazione ontologica fondamentale, il fatto che l'essenza umana definita dal suo rapporto con l'Essere. Questa concentrazione sullo spirituale, e quindi l'accento posto sull'Essere, per Heidegger la premessa della lettura ontologica dei temi della povert e della ricchezza che costituiscono il contenuto della seconda parte della frase. La povert, dice Heidegger, contrariamente a quanto suggerisce il senso comune per cui sarebbe uno stato di privazione delle necessit materiali, non ha nulla a che fare con il possesso. La povert non riguarda l'avere, ma l'essere: L'essenza della povert risiede in un essere. Essere davvero povero significa: essere in un modo che non manca di nulla, fuorch del non-necessario. A questo punto Heidegger rischia di concludere con la banale osservazione che la povert caratterizzata dalla necessit e dunque qualcosa che costringe, mentre la ricchezza, che il privilegio di dedicarsi al non-necessario, libera. Questa rappresentazione, oltre a essere banale, non dice nulla sulla causalit immanente alla frase di Hlderlin che conduce dal divenire poveri al divenire ricchi.

Come capita spesso, Heidegger risolve il mistero ricorrendo all'etimologia. Il termine alto-tedesco fri, da cui discende freie, libero, significa preservare e proteggere, permettere a qualcosa di mantenersi nella propria essenza. Heidegger prosegue dicendo che liberare qualcuno significa salvaguardare la sua essenza contro le costrizioni della necessit. La liberazione della libert rovescia e trasforma la necessit: La necessit non in nessun modo, cos come intesa in tutta la storia della metafisica, il contrario della libert, bens solo la libert , in s stessa, la conversione della necessit. Questa mossa permette a Heidegger di cambiare le carte in tavola. Non c' dubbio che i poveri siano privi del non-necessario, che il fondamento della libert. Ci di cui siamo privi non lo possediamo, mentre ci di cui siamo privi che ci possiede. Diventiamo consapevoli di questo nella misura in cui tutto si concentra nello spirituale, e cio nella misura in cui diventiamo consapevoli che la relazione con l'Essere l'essenza dell'umanit. Anche nello stato di privazione apparteniamo in un certo modo alla libert del non-necessario: Una volta che l'essenza dell'uomo consiste finalmente nella relazione tra la liberazione dell'Essere e l'umanit, e cio quando l'essenza umana privata del non-necessario, allora l'umanit diventa veramente povera. Diventare poveri conduce a diventare ricchi poich la povert indicativa di una relazione all'Essere, e cio di una relazione in cui la necessit convertita nella libert, nella preservazione e nella protezione dell'essenza autentica della libert. Diventare poveri significa in s e per s, cos conclude Heidegger, diventare ricchi. Chi non addentro ai grovigli della filosofia heideggeriana a questo punto potrebbe chiedersi: perch mai tutta questa ginnastica speculativa solo per confondere povert e ricchezza? La risposta, come ci ha suggerito Heidegger nella nota a margine all'inizio della lezione, nella situazione storico-mondiale che egli ha di fronte a s e, in particolare, nell'imminente disfatta nazista e nell'avvicinarsi delle truppe sovietiche. Un decennio prima, nell'Introduzione alla metafisica, Heidegger aveva scritto che, dal punto di vista della storia della metafisica, gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica erano accomunati dal medesimo progetto dello scatenamento della tecnica. Sia per il popolo americano sia per il popolo russo nulla si concentrato nello spirituale. E allora, perch nel giugno del 1945 Heidegger decide di occuparsi dello statuto ontologico della povert? E probabile che Heidegger ritenesse che a fondamento del comunismo ci fosse una certa idea della povert e cos si risolto a combattere il nemico sul suo stesso terreno. In effetti, la battaglia di Heidegger contro il comunismo si esplicita nelle pagine finali della lezione. I poveri non sono contro i ricchi, contrariamente a quanto ritiene il comunismo. L'autentico significato della povert pu essere scoperto solo da una prospettiva spirituale che mostra la relazione costitutiva dell'essenza umana con l'Essere. Quella di Heidegger senza dubbio una sfida piuttosto singolare e inefficace al comunismo. Quello che invece ci preme sottolineare il modo in cui Heidegger mistifica la potenza dei poveri, il modo in cui, con l'intenzione di salvare filosoficamente la povert, egli in realt la condanna. Anche se nella prospettiva di Heidegger la povert definita in relazione all'Essere, in questa relazione i poveri sono totalmente passivi, sono delle creature del tutto impotenti di fronte a un dio onnipotente. In tal senso, l'approccio di Heidegger alla povert una versione pi sofisticata della carit cristiana citata nel discorso di Benedetto XVI. I poveri sono oggetto di piet e di generosit quando e solo quando il loro potere stato completamente neutralizzato e la loro passivit stata assicurata. La paura della povert, che solo debolmente velata da questa benevolenza di facciata, discende direttamente dalla paura del comunismo (che per il papa anche paura della teologia della liberazione). Heidegger collega esplicitamente il tema della povert al comunismo, ma non bisogna dimenticare che l'odio per la povert ha spesso mascherato il razzismo. Seguendo l'analisi critica di Adorno, nella speculazione heideggeriana c', a proposito della Germania hitleriana, una concettualizzazione del nesso tra l'apologia della personalit autoritaria e l'antisemitismo. Se spostiamo il nostro sguardo sulle Americhe

vediamo che, quasi sempre, nell'odio per i poveri traspare un razzismo malcelato. Nelle Americhe, la povert e la questione razziale sono legate cos intimamente che l'odio per la povert saldamente intrecciato con il disgusto per la negritudine dei corpi e per la colorazione scura o ambrata della pelle dei meticci: Le differenze razziali e di classe in questo Paese affondano le loro radici cos profondamente in un crogiolo di miseria e di squallore scrivono Cornell West e Henry Louis Gates Jr sugli Stati Uniti che pochi sanno dove finiscono le une e dove cominciano le altre Ogniqualvolta si manifesta l'odio per i poveri, esso si accompagna alla paura razziale e all'odio per chiunque si aggira nelle vicinanze. Un altro nesso, forse meno visibile, lega la subordinazione ontologica della povert concettualizzata da Heidegger alla teologia politica di Schmitt e alla sua concezione della trascendenza della sovranit. Questo legame in un certo senso contro intuitivo data l'insistenza di Heidegger sulla fine della metafisica e il suo rifiuto di pensare l'Essere come un'essenza trascendente che, nella teologia politica di Schmitt, invece lo statuto ontologico della sovranit politica. Il legame diventa pi chiaro se lo esaminiamo al limite opposto dello spettro, e cio alla luce della denigrazione e della paura dell'immanenza sia da parte di Heidegger sia da parte di Schmitt. Il concetto schmittiano della sovranit e la sua teorizzazione del potere del Fhrer si propongono di contenere politicamente la moltitudine dei poveri e la loro potenza, cos come aveva fatto Heidegger da un punto di vista ontologico. Non pu essere considerato un mero aneddoto il fatto che entrambi abbiano sostenuto il nazismo. Nonostante ci sia sempre da imparare dai pensatori reazionari, e sebbene molti intellettuali di sinistra abbiano studiato a fondo i testi di Schmitt e Heidegger, non bisogna mai dimenticare che sono dei reazionari, un dato che emerge indiscutibilmente dalle loro opere.` Quello che Heidegger e Schmitt non riescono a negare, e che cercano di mistificare e di contenere, un rapporto dei poveri con una prospettiva diametralmente opposta, rappresentata dall'innovazione, dalla soggettivit e dalla potenza con cui i poveri intervengono nel reale e creano nuovo essere. Questo rapporto pu essere caratterizzato come un rapporto spirituale tra l'umanit e l'essere, ma anche come un rapporto assolutamente materiale costituito da una serie di pratiche corporee e costruttive. Questa la potenza ontologica dei poveri che intendiamo approfondire la stessa potenza che la sostanza di una declinazione del comunismo che tanto Heidegger quanto Schmitt non avevano alcuna idea di come affrontare.

Povert e potere
Nel corso delle grandi rivoluzioni borghesi del XVII e del XVIII secolo, il concetto di moltitudine espulso dal lessico politico e giuridico. Anche grazie a questa rimozione la concezione della repubblica (res publica piuttosto che res communis) stata caratterizzata come uno strumento per affermare e salvaguardare la propriet. La propriet la chiave della definizione della repubblica e del popolo, dal momento che entrambi sono stati confezionati come concetti universali, fondati cio sul presupposto dell'esclusione della moltitudine dei poveri. Questa esclusione rappresenta il contenuto essenziale della distinzione operata da Hobbes tra la moltitudine e il popolo. Hobbes dichiara che il re il popolo dat che quest'ultimo, a differenza della moltitudine, un soggetto unico per cui pu essere rappresentato da un'unica persona. In apparenza, questa distinzione semplicemente geometrica: il popolo uno (e dunque capace di esercitare la sovranit) mentre la moltitudine plurale ( incoerente e dunque incapace di autogovernarsi). Da questo punto di vista, la contrapposizione hobbesiana tra popolo e moltitudine sembra tradurre il dibattito tra Boyle e Spinoza di cui sono state messe in evidenza le implicazioni politiche. A questo punto proviamo a chiederci: cosa c' dietro l'unit del popolo per Hobbes? Nel discorso politico del XVII secolo non

infrequente la sovrapposizione tra il concetto di popolo e la nozione di liberi proprietari (freeholders) e cio l'identificazione tra il popolo e chi possiede una propriet indipendente e sufficiente per votare i membri dei Parlamento. L'adesivo che unisce questi soggetti e la cui mancanza qualifica la pluralit della moltitudine, la propriet. Nel Behemoth, Hobbes ancora pi esplicito nel sottolineare la funzione della propriet per espellere la moltitudine dal popolo. L'unica gloria dei mercanti, scrive Hobbes quella di diventare eccezionalmente ricchi per la loro sapienza nel comprare e nel vendere questo fa s che i poveri vendano le loro fatiche (labour) a costoro, al prezzo che costoro vogliono; tanto che la povera gente, penopi, potrebbe meglio guadagnarsi da vivere lavorando a [nella prigione di] Bridewell che non filando, tessendo e facendo lavori che i poveri sanno fare.62 Per Hobbes, la mancanza della propriet, che la ragione dell'esclusione dei poveri dal popolo, non un fatto contingente, ma una condizione necessaria e continuamente riprodotta che consente a chi possiede di conservare e di incrementare la propriet. La moltitudine dei poveri la condizione di possibilit del popolo e della repubblica della propriet. Machiavelli ci mostra questa relazione da un punto diametralmente opposto da cui mette in luce la resistenza che anima i poveri: Spogliateci tutti ignudi: voi ci vedrete simili cos Machiavelli fa dire a un anonimo ribelle della rivolta dei Ciompi contro il popolo grasso; rivestite noi delle vesti loro ed eglino delle nostre cos continua l'anonimo agitatore rivolgendosi ai ricchi proprietari dell'arte delle manifatture della lana noi senza dubio nobili ed eglino ignobili parranno. Non c' alcuna ragione per cui i poveri provino rimorso per la violenza della loro ribellione dato che dove , come in noi, la paura della fame e delle carceri, non pu n debbe quella dello inferno capere. I servi fedeli sono sempre servi, e gli uomini buoni sono sempre poveri. venuto il momento, egli dice: Non solamente di liberarsi da loro, ma di diventare in tanto loro superiore, ch'eglino abbiano pi a dolersi e temere da voi che voi di loro 63 Il contenuto pi importante di questo passaggio il fatto che la povert non una caratteristica intrinseca della natura umana. In altri testi Machiavelli inclina a una visione umanistica e naturalistica della fragilit e della povert umana, e parla della triste condizione dell'uomo abbandonato in un universo ostile e indifferente, come ne aveva parlato Lucrezio prima di lui e come ne parler Leopardi in seguito. Ogni animai tra noi nasce vestito egli scrive nell'Asino d'oro. Sol nasce l'uomo d'ogni difesa ignudo, e non ha cuoio, spine o piume o vello, setole o scaglie, che li facciano scudo. Questapproccio in linea con la tradizione realista, che deriva dall'impianto statico del materialismo antico, non soddisfa tuttavia Machiavelli. Il metodo materialista deve essere declinato in termini gioiosi il realismo deve diventare dinamico e ribelle, come ha insegnato la lotta dei Ciompi, contro la propriet e contro le sue istituzioni. Machiavelli ci mostra l'esistenza di una straordinaria linea alternativa che corre all'interno del pensiero politico moderno per la quale i poveri non sono i muti e impotenti testimoni delle violente appropriazioni condotte dal potere del capitale che si sta affermando, non sono i prigionieri delle nuove condizioni di produzione e di riproduzione, sono una potenza resistente che si riconosciuta come una forza sfruttata in un regime che sostiene i segni del comune: i poveri sono il fondamento di una vita sociale comune e di una ricchezza comune. La condizione dei poveri in tal senso paradossale, essi sono infatti a un tempo inclusi ed esclusi, condizione da cui deriva una catena di contraddizioni - tra ricchezza e povert, in primo luogo, ma anche tra subordinazione e produzione, e tra gerarchia e comune. L'aspetto pi importante di questa prospettiva aperta da Machiavelli che queste contraddizioni sono dinamiche, esse sono cio animate dall'antagonismo e dalla resistenza. Il punto focale della storiografia e del pensiero politico di Machiavelli la progressione che conduce dall'indignazione all'organizzazione dei disordini e dello scontro sociale (tumulti) e determina le condizioni dell'insorgenza della moltitudine esclusa dalla ricchezza ma inclusa nella sua produzione. L'umanit non mai nuda, non mai caratterizzata dalla nuda vita, l'umanit sempre vestita, segnata non solo da una storia di sofferenze, ma dalla capacit di produrre e dal potere di insorgere.

Spinoza porta avanti l'alternativa mostrata da Machiavelli e tra le sue numerose innovazioni teoriche occorre mettere in evidenza l'accentuazione della dimensione corporea del potere della moltitudine. Spinoza non si limita a individuare nel corpo il luogo di espressione della povert e dei bisogni, contestualmente egli mette in evidenza il fatto che nel corpo c' un potere i cui limiti sono ignoti: Nessuno, in- fatti, ha determinato che cosa possa il Corpo .65 Spinoza riunisce queste due condizioni, la povert e il corpo, in una dinamica che inclina verso la produzione del comune. Quando Spinoza parla dell'ignoranza dei fanciulli, della debolezza dei nostri corpi o della brutalit delle condizioni sociali in cui vivono gli uomini, egli assume questi stati della povert come punti di partenza di una logica della trasformazione che si lascia alle spalle la solitudine e l'impotenza per costruire una nuova socialit e l'amore. La potenza che Spinoza rileva in queste figure pu essere intesa come l'esigenza di costituire il comune. Cos come in una prospettiva epistemologica Spinoza parla delle nozioni comuni come sostanza della razionalit da cui ricaviamo una pi grande potenza di pensare, e nell'etica egli orienta l'azione verso la creazione di beni comuni, nella politica, Spinoza pensa le condizioni che permettono ai singoli corpi di concatenarsi per costituire una potenza comune. Questa potenza comune con cui la moltitudine si batte contro la povert e crea una ricchezza comune l'energia politica che giustifica la possibilit della democrazia. Marx prolunga questa traiettoria. Conferma l'intuizione di Machiavelli secondo cui la potenza dei poveri l'anima della rivolta e la tesi di Spinoza sull'essenzialit della potenza della moltitudine per la democrazia. Come i suoi predecessori, anche Marx inizia il suo ragionamento identificando l'origine della forma capitalistica della povert nel lungo e complesso processo della cosiddetta accumulazione originaria del capitale. Dopo essere stati separati dalla terra e dagli altri mezzi di produzione, i lavoratori sono liberi in un duplice senso: liberi in quanto non sono pi subordinati ai rapporti della servit, e liberi nel senso che non possiedono pi alcuna sovrastruttura e cio non possiedono alcuna propriet e alcun titolo giuridico per possedere la terra. Il proletariato stato creato come una moltitudine di poveri: La capacit di lavoro scrive Marx spogliata dei mezzi di lavoro e dei mezzi di sussistenza quindi l'assoluta povert come tale, e il lavoratore, in quanto semplice personificazione di essa [...] secondo il suo concetto, il povero. Il povero di cui sta parlando Marx non chi vive in miseria ai limiti della sopravvivenza, ma l'insieme dei lavoratori il cui lavoro vivo separato dal lavoro oggettivato derivato dall'accumulazione del capitale. La spoliazione e la povert costituiscono tuttavia soltanto un aspetto della questione. Come Machiavelli e Spinoza, Marx collega analiticamente la povert del proletariato alla sua potenza nel senso che il lavoro vivo la generale possibilit della ricchezza materiale nella societ capitalistica. Il lavoro vivo cos, al contempo, in quanto oggetto assoluta povert e in quanto soggetto la possibilit generale della ricchezza. Per Marx la miscela esplosiva tra potenza e povert una minaccia mortale nel seno della propriet privata" Ci saranno sicuramente dei lettori che a questo punto osserveranno che con la nostra attenzione per i concetti di povert e moltitudine travisiamo completamente le categorie marxiane con la conseguenza di confondere la differenza tra la miseria precapitalistica, provocata dalla violenza dell'appropriazione, e la miseria in senso propriamente capitalistico provocata dallo sfruttamento del lavoro salariato. In questo modo tradiamo il metodo materialistico di Marx e sorvoliamo sull'impostazione classista delle sue analisi. Neanche il socialismo utopistico, proseguono i nostri critici, potrebbe mistificare in modo cos grossolano l'analisi dello sfruttamento da parte di Marx e del socialismo scientifico! Di fronte a queste osservazioni ribadiamo che il nostro approccio materialistico quanto le analisi di Marx, e tuttavia, soprattutto a causa della mutata natura del lavoro e dello sfruttamento, che esamineremo dettagliatamente negli ultimi capitoli, abbiamo forzato i limiti che circoscrivono convenzionalmente l'esistenza della classe operaia. Un primo mutamento assai importante che oggi lo sfruttamento non ha pi una funzione prevalentemente interna alla produzione, ma diventato un mero strumento di dominio. Ci corrisponde al fatto che, in

varie maniere e in contesti differenti, nella misura in cui le forme di vita e di lavoro caratterizzate dalla mobilit, dalla flessibilit e dalla precariet sono duramente imposte dai regimi capitalistici di produzione e di sfruttamento, i lavoratori salariati e i poveri non sono sottoposti a condizioni fondamentalmente differenti, bens sono assimilati in ugual misura nella moltitudine dei produttori. I poveri, a prescindere dal fatto che ricevano o no un salario, non sono pi confinati alle origini storiche o ai limiti geografici della produzione capitalistica, ma sono al suo cuore per questo la moltitudine dei poveri emerge al centro del progetto della trasformazione rivoluzionaria".

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