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DIELETTRICO ED ELASTICO
S. Sanguinetti - 2008
Questa dispensa 1 contiene gli appunti del corso da me tenuto di Fisica del Continuo
Dielettrico ed Elastico presso il Corso di Laurea in Scienza dei Materiali - Università
degli Studi di Milano Bicocca nell’a.a. 2004-2008. Essa non vuole essere la dispensa
ufficiale del corso (il testo di rifermento è il libro di Y. K. Lim) ma piuttosto un
sintetico sommario degli argomenti trattati.
Ringrazio sentitamente Roberto Bergamaschini per l’aiuto fornito nella stesura di
questi appunti.
Stefano Sanguinetti
Le informazioni contenute sono ricavate dagli appunti delle lezioni e dai seguenti libri:
1 Copyright (C) 2006,2008 Stefano Sanguinetti. Questa dispensa è in libera distribuzione solo per gli
studenti del CdL in Scienza dei Materiali dell’Università di Milano Bicocca come supporto al corso. Per
qualsiasi altro uso contattare l’autore.
Indice
1 Elettrodinamica Classica 5
1.1 Elettrostatica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5
1.1.1 Campo elettrico E . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5
1.1.2 Potenziale elettrostatico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7
1.1.3 Conservatività del campo elettrostatico . . . . . . . . . . . . 9
1.1.4 Teorema di Gauss . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10
1.1.5 Campi elettrici nei materiali . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11
1.1.6 Vettore spostamento elettrico D . . . . . . . . . . . . . . . . 13
1.2 Magnetostatica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15
1.2.1 Corrente elettrica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15
1.2.2 Induzione magnetica B . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17
1.2.3 Calcolo della divergenza di B . . . . . . . . . . . . . . . . . 18
1.2.4 Legge di Ampère e non conservatività di B . . . . . . . . . . 19
1.2.5 Magnetizzazione M . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20
1.2.6 Intensità magnetica H . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21
1.3 Elettrodinamica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22
1.3.1 Corrente di spostamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22
1.3.2 Legge di induzione di Faraday-Lenz . . . . . . . . . . . . . . 26
2 Equazioni di Maxwell 27
2.1 Equazioni di Maxwell . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27
2.1.1 Equazioni di Maxwell nel vuoto . . . . . . . . . . . . . . . . 27
2.1.2 Equazioni di Maxwell nella materia . . . . . . . . . . . . . . 28
2.1.3 Equazioni di Maxwell in forma integrale . . . . . . . . . . . 29
2.1.4 Equazioni di Maxwell in mezzi omogenei, isotropi e lineari . 30
2.2 Condizioni al contorno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31
2.2.1 Induzione magnetica B . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31
2.2.2 Spostamento elettrico D . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32
2.2.3 Intensità elettrica E . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33
2.2.4 Intensità magnetica H . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34
2.3 Potenziali vettore e scalare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35
2.3.1 Potenziali vettore A e scalare φ . . . . . . . . . . . . . . . . 35
2.3.2 Trasformazioni di gauge . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 36
2.4 Teorema di Poynting . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39
3
4 INDICE
3 Onde elettromagnetiche 41
3.1 Equazioni delle onde elettromagnetiche . . . . . . . . . . . . . . . . 41
3.1.1 Onde elettromagnetiche piane . . . . . . . . . . . . . . . . . 43
3.2 Teorema di Fourier . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47
3.2.1 Sintesi di Fourier . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47
3.2.2 Analisi di Fourier . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 48
3.2.3 Rappresentazione in forma complessa . . . . . . . . . . . . . 51
3.2.4 Trasformata di Fourier . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 52
3.3 Analisi di Fourier di onde elettromagnetiche . . . . . . . . . . . . . . 54
3.3.1 Sovrapposizione di onde elettromagnetiche . . . . . . . . . . 55
3.3.2 Equazione d’onda in forma vettoriale . . . . . . . . . . . . . 57
3.4 Fenomeni di riflessione e rifrazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . 58
3.4.1 Leggi di Snell . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 58
3.4.2 Leggi di Fresnel . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 61
B Operatori differenziali 69
B.1 Gradiente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69
B.2 Rotore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69
B.3 Divergenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 70
B.4 Laplaciano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 70
B.5 Proprietà degli operatori differenziali . . . . . . . . . . . . . . . . . . 70
B.6 Combinazioni di operatori differenziali . . . . . . . . . . . . . . . . . 71
B.6.1 Rotore di un gradiente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71
B.6.2 Divergenza di un rotore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71
B.6.3 Rotore di un rotore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 72
Elettrodinamica Classica
1.1 Elettrostatica
L’elettrostatica è la teoria che descrive i fenomeni fisici dovuti all’interazione fra cariche
elettriche stazionarie o distribuzioni di carica nello spazio racchiuse all’interno di con-
fini stazionari.
Sperimentalmente l’interazione fra corpi carichi, stazionari può essere descritta in
termini di forza meccanica agente fra i due corpi. Sia F la forza agente su una parti-
cella, caricata con carica q e posta in r, dovuta alla presenza, nell’origine degli assi, di
una particella di carica Q. Secondo la legge di Coulomb questa forza, nel vuoto, è data
da:
Qq r
F= . (1.1)
4πε0 |r|3
In unità SI, la forza F è misurata in Newton (N), la carica elettrica q in Coulomb (C) e
le lunghezze |r| in metri (m). La costante ǫ0 = 107 /(4πc2 ) ≈ 8.8542 × 10−12 Farad
per metro (F/m) è la costante dielettrica del vuoto (c ≈ 2.9979 × 108 m/s è la velocità
della luce).
dove F è la forza elettrostatica, definita in eq. (1.1), generata da una carica sorgente Q
su una piccola particella di test con carica q. Il ricorso al limite è reso necessario per
assicurare l’assenza di interferenze fra la carica esploratrice q e la sorgente Q. In realtà,
essendo la carica una grandezza quantizzata la cui unità minima è la carica elementare
e, l’applicabilità del limite è valida solo quando si considerano fenomeni macroscopici,
per cui la carica e può essere considera infinitesimamente piccola. L’interpretazione dei
fenomeni microscopici è comunque possibile estendendo in tale contesto le conclusioni
relative al mondo macroscopico. Il campo elettrico E non dipende esplicitamente dalla
carica q ma solo dalla carica sorgente Q e dal vettore distanza relativa r. Ciò significa
5
6 CAPITOLO 1. ELETTRODINAMICA CLASSICA
Figura 1.1: Apparato sperimentale di Cavendish per la misura della forza di Coulomb
che una la presenza di una carica netta genera un campo elettrico nello spazio che la
circonda, e ciò avviene anche in assenza di una seconda carica.
Applicando la definizione di campo elettrico, generato da una particella di carica Q
posta nell’orgine, otteniamo
Q r
E(r) = (1.3)
4πε0 r3
Il campo elettrostatico può essere eventualmente generato, anzichè da una carica
puntiforme singola, da un numero finito N di cariche qi . In tal caso esso può essere
definito attraverso l’applicazione del principio di sovrapposizione 1 come somma dei
campi generati indipendentemente dalle singole cariche. In tale operazione occorre
prestare però attenzione alla definizione delle distanze: fissato un sistema di riferimen-
to, si individua il punto in cui calcolare il campo elettrico mediante il vettore posizione
r e le N cariche sorgenti mediante i vettori r′i ; poiché le distanze coinvolte nel calcolo
del campo elettrico sono quelle tra ciascuna carica generatrice e il punto considerato si
definiscono r∗i = r − r′i i vettori differenza fra il punto di osservazione e la posizione
delle cariche. Il campo elettrostatico della distribuzione di carica data è quindi
N N
X 1 X r∗i
E(r) = Ei = qi (1.4)
i=1
4πε0 i=1 ri∗ 3
Quanto costruito per cariche discrete può essere direttamente trasferito al caso di
distribuzioni continue di carica, sia di superficie (σS (r′ )) che di volume (ρ(r′ )), at-
traverso la sostituzione della somma sulle cariche con l’operazione di integrazione
1 Ilprincipio di sovrapposizione lineare di campi nel vuoto è valido nell’ambito delle distanze e delle
intensità raggiungibili classicamente. Nel campo dei fenomenti atonici e subatomici esistono, però, piccoli
effetti non lineari di tipo quantistico, la cui origine risiede nell’accoppiamento fra le particelle cariche ed
il campo elettromagnetico. Essi modificano le interazioni fra particelle cariche e provocano interazioni fra
campi elettromagnetici anche in assenza di particelle fisiche.
1.1. ELETTROSTATICA 7
estesa a tutte le superfici e i volumi occupati dalla distribuzione di carica. Data una
superficie S sulla quale è presente una distribuzione di carica σS (r′ ), il campo elettrico
generato da tale distribuzione di carica in un punto r dello spazio sarà:
1 r∗
Z
E(r) = σS (r′ ) ∗ 3 dS ′ (1.5)
4πε0 S r
dove l’integrale di superficie 2 è fatto sulle coordinate delle sorgenti (r′ ). Se la carica
si trova distribuita in un volume V secondo una densità di carica di volume ρ(r′ ) il
campo elettrico in P può essere espresso come:
1 r∗
Z
E(r) = ρ(r′ ) ∗ 3 dV ′ (1.6)
4πε0 V r
Q Dx y zE Q r
= · 3, 3, 3 = =E 2
4πε0 r r r 4πε0 r3
L’equazione qui determinata per il caso del campo elettrostatico generato da una
carica singola può essere estesa in maniera immediata al caso di una sorgente di cam-
po costituita da un insieme finito di cariche, con l’unico accorgimento di effettuare
il gradiente rispetto alle componenti della distanza fra carica sorgente qi e punto di
osservazione.
Il campo elettrico E generato da una una serie di cariche discrete {qi } distribuite
nello spazio sarà:
N N
1 X r∗i 1 X 1
E(r) = qi ∗ 3 = − qi ∇∗(i) ∗ (1.9)
4πε0 i=1 ri 4πε0 i=1 ri
2 Per la definizione di integrale di superficie, vedere appendice A.2
3 Per la definizione di gradiente, vedere appendice B.1
8 CAPITOLO 1. ELETTRODINAMICA CLASSICA
dove con r∗i , r e r′i hanno il medesimo significato attribuito nel paragrafo precedente.
L’operatore ∇∗(i) denota l’operatore gradiente rispetto alle componenti di r∗i .
Nella valutazione del potenziale occorre tenere presente rispetto a quale sistema
di coordinate viene effettuato nel calcolo del gradiente. Indicando con x∗i = x − xi
una qualsiasi delle componenti di r∗i e con f una qualsiasi funzione scalare, valgono le
seguenti relazioni:
∂f ∂f ∂x∗i ∂f ∂f ∂f ∂x∗i ∂f
= · = = · =− ∗
∂x ∂x∗i ∂x ∂x∗i ∂xi ∂x∗i ∂xi ∂xi
quindi
∇∗ f = ∇f ; ∇∗ f = −∇ ′ f (1.11)
In generale la differenza di potenziale tra due punti rappresenta il lavoro che è
necessario compiere contro le forze del campo per spostare una carica positiva unitaria
da un punto A iniziale a un punto B finale. Se infatti calcoliamo tale grandezza 4
otteniamo:
Z B Z B Z B
L
− =− E · dr = ∇φ · dr = dφ = φB − φA (1.12)
q A A A
dove nella risoluzione dell’integrale si è tenuto presente che:
∂φ ∂φ ∂φ
∇φ · dr = dx + dy + dz = dφ (1.13)
∂x ∂y ∂z
Poiché la dipendenza tra potenziale e campo elettrico in un punto è definita mediante
un’operazione di gradiente, la funzione φ è in generale indeterminata, nel senso che
non è possibile definire in maniera univoca il potenziale elettrico in un punto dello
spazio ma solo la differenza di potenziale che sussiste tra due punti. Se infatti fissi-
amo arbitrariamente la funzione φ, qualunque funzione φ′ = φ + costante soddisfa
la definizione di potenziale. Possiamo allora stabilire un punto di riferimento di riferi-
mento in corrispondenza del quale il potenziale è fissato: per semplicità si assume che
il potenziale di un punto a distanza infinita dalla sorgente del campo sia nullo e pertanto
si definisce il potenziale in un qualsiasi punto P come il lavoro che è necessario svol-
gere contro le forze del campo per spostare una carica, inizialmente a distanza infinita,
nel punto considerato.
Z P
φ(P) = − E · dr (1.14)
∞
Alla luce della definizione data possiamo facilmente calcolare il potenziale gener-
ato da una distribuzione qualsiasi di sorgenti del campo elettrostatico. Nel caso di un
sistema di N cariche discrete si ottiene:
Z P N N Z P
1 X r∗i 1 X 1
φ(P) = − qi ∗ 3 · dr = qi ∇∗(i) ∗ · dr∗i
∞ 4πε0 i=1 ri 4πε0 i=1 ∞ ri
N
1 X qi
= (1.15)
4πε0 i=1 ri∗
4 Per la valutazione dell’integrale di linea vedi appendici A.1 e C.1
1.1. ELETTROSTATICA 9
1 σ(r′ ) ′ 1 ρ(r′ ) ′
Z Z
φ(P) = ∗
dS + dV (1.16)
4πε0 S r 4πε0 V r∗
da cui si ricava che la circuitazione è identicamente nulla se il flusso del rotore del
campo è nullo sulla superficie concatenata al circuito C. Tale condizione risulta in
generale sempre verificata per il campo elettrostatico in quanto esso è definito come
gradiente di un potenziale (il rotore di un gradiente è sempre nullo6 ).
I
E = −∇φ ⇒ ∇×E = ∇×(−∇φ) = 0 ⇒ E · dr = 0 (1.18)
C
Il valore della circuitazione del termine di campo elettrico non conservativo viene
definita tensione del circuito elettrico o forza elettromotrice e rappresenta il lavoro
svolto contro le forze del campo per muovere una carica unitaria lungo l’intero cammi-
no chiuso C.
Figura 1.2: L’angolo solido sotteso nel punto di osservazione P da una superficie da′
è dato da: dΩ = (da′ cos θ)/|x′ − x|2
♣ Dimostrazione Si consideri una regione dello spazio ove siano presenti delle cariche
qi inviduate dai vettori posizione ri , i = 1, . . . N . All’interno di questa regione
consideriamo una superficie chiusa P S che racchiuda un sottoinsieme delle cariche qi
(qj j = 1, . . . M ) la cui carica totale j qj = Q. Il flusso del campo elettrico, generato
da ogni singola carica qi , sulla superficie S può essere cosı̀ calcolato:
1 r∗ 1 r∗i
I I
Ei = qi ∗i3 ⇒ Ei · dS = qi ∗3
· dS
4πε0 ri S 4πε0 S ri
L’integrando nella parte destra dell’equazione non è altro che l’angolo solido sotteso
dall’elemento di superficie dS e individuato dal vettore r∗i (vedi figura 1.2):
r∗i ˆ∗ 1 r∗i ˆ∗ dS
∗ 3 = ri ∗ 2 ⇒ ∗ 3 · dS = ri · n̂ ∗ 2 = dΩs
ri ri ri ri
si ha quindi che:
1
I I
Ei · dS = qi dΩs
S 4πε 0 S
H
L’integrale S dΩs vale 4π se ri è interno alla superficie S e zero altrimenti. Otteniamo
quindi che: P
qj Q
I
j
E · dS = = 2
S ε0 ǫ0
Il teorema di Gauss può essere espresso anche in termini di distribuzioni continue
di carica: detta ρ la densità di carica volumica, se V è il volume delimitato da una
superficie chiusa S si ricava che
1
I Z
E · dS = ρdV (1.21)
S ε0 V
1.1. ELETTROSTATICA 11
Consideriamo allora un punto P individuato dal vettore posizione r, tale che r >>
l, ovvero collocato a distanza molto maggiore rispetto alla dimensione del dipolo (con-
dizione sperimentale in generale sempre valida) e calcoliamo il potenziale presente in
tale posizione:
+q 1 −q 1
φ(r) = + =
4πε0 |r − l| 4πε0 |r − l′ |
q 1 1
= − =
4πε0 |r − l| |r + l|
!
q 1 1
= p −p =
4πε0 (r − l) · (r − l) (r + l) · (r + l)
q 1 1
= √ −√ =
4πε0 r2 + l2 − 2r · l r2 + l2 + 2r · l
q 1 1
= r −r
4πε0 r
l 2
2r · l l 2
2r · l
1+ 2 − 2 1+ 2 + 2
r r r r
Tenendo conto del fatto che l/r << 1 possiamo semplificare i termini tra parentesi
definendo una variabile x = l/r << 1 e ricorrendo allo sviluppo di Taylor fermato al
primo ordine:
− 12 2 !− 12
l2 − 21
2r · l l l
f = 1+ 2 ± 2 = 1+ ± 2r̂ · l̂ · = 1 + x2 ± 2r̂ · l̂x
r r r r
3
∂f 1 − 2
=− 1 + x2 ± 2r̂ · l̂x (2x ± 2r̂ · l̂)
∂x 2
∂ l
⇒ f ≈ f(x=0) + f(x=0) x = 1 ∓ r̂ · l̂ ·
∂x r
Sostituendo le approssimazioni calcolate nell’equazione relativa al calcolo del poten-
1.1. ELETTROSTATICA 13
La formula generale del potenziale di un dipolo posto nell’origine può essere scritta
come:
1 1
φ=− p·∇ (1.26)
4πε0 r
volumiche si può osservare che il potenziale dovuto al dielettrico è definito dalla som-
ma di due termini. Il primo termine è costituito dall’integrale sulla superficie chiusa
S e corrisponde al potenziale generato da una distribuzione superficiale di carica di
densità σp = P · n̂ (n̂ è il versore normale alla superficie S). Il secondo elemento che
definisce il potenziale consiste nell’integrale di volume corrispondente ad una carica,
detta carica di polarizzazione, distribuita entro il volume V con densità ρp = −∇·P.
Alla luce di quanto sin qui considerato possiamo valutare ∇·E anche nel caso di un
sistema di cariche immerso in un dielettrico. Se indichiamo con ρ la densità di carica
reale e con ρp la densità di carica di polarizzazione del dielettrico otteniamo:
ρ + ρp ρ − ∇·P
∇·E = =
ε0 ε0
Riordinando l’equazione precedente e introducendo un nuovo vettore di campo
D = ε0 E + P (1.29)
∇·D = ρ (1.30)
Applicando il teorema della divergenza possiamo allora ottenere l’espressione in for-
ma integrale del teorema di Gauss generalizzato anche alla presenza di eventuali
dielettrici: Z I
∇·DdV = D · dS = q (1.31)
V S
Le equazioni sin qui riportate esprimono D in funzione dei due campi vettoriali, P
ed E. In realtà esiste una relazione di dipendenza tra la polarizzazione del mezzo ed il
campo elettrico applicato. Infatti, la polarizzazione del mezzo avviene in quanto questo
è sottoposto a un campo E che induce la creazione (o l’orientamento) di dipoli elettri-
ci nel materiale. Per definire le relazioni suddette occorre caratterizzare il mezzo dal
punto di vista delle sue proprietà elettriche. Un materiale può definirsi omogeneo se,
sottoposto a un campo E, è caratterizzato da una polarizzazione uniforme; se gli effetti
legati al campo elettrico sono indipendenti dall’orientazione del corpo rispetto alla di-
rezione del campo elettrico il mezzo si dice isotropo e, nel caso in cui la polarizzazione
sia proporzionale al campo applicato si parla di mezzo lineare.
Per un mezzo omogeneo, isotropo e lineare, la polarizzazione P è sempre parallela
e proporzionale al campo elettrico E e può quindi essere espressa mediante la relazione
1.2 Magnetostatica
Mentre l’elettrostatica tratta gli effetti delle cariche elettriche statiche, la magnetostat-
ica descrive gli effetti di correnti elettriche stazionarie, ossia cariche che si muovono a
velocità costante, e le interazioni fra queste .
Figura 1.4: La direzione di J in ogni punto del conduttore è data dalla direzione del
flusso di carica.
si ottiene: PN
i=1 qi
J= · v = ρv (1.34)
dV
In generale, il moto delle cariche elettriche è dovuto alla presenza di un campo elet-
trico E. Nel caso di particolari mezzi omogenei, isotropi e lineari si può ritenere J
proporzionale al campo applicato (legge di Ohm microscopica):
J = σE (1.35)
Equazione di continuità
L’equazione di continuità della corrente elettrica è una diretta conseguenza del princi-
pio di conservazione della carica: la quantità di carica in uscita da una certa superficie
chiusa, stazionaria, nell’unità di tempo, deve essere uguale alla velocità di diminuzione
della carica in essa contenuta. In termini matematici, quanto sopra enunciato si traduce
in:
d ∂ρ
I Z Z
J · dS = − ρdV = − dV (1.36)
S dt V V ∂t
dove V è un volume arbitrario delimitato dalla superficie S. Applicando il teorema
della divergenza e considerando che V è arbitrariamente definito
∂ρ
I Z Z
J · dS = ∇·JdV = − dV
S V V ∂t
∂ρ
⇒ ∇·J + =0 (1.37)
∂t
Una corrente si dice stazionaria se non si hanno né accumuluni né sorgenti di carica
in qualsiasi punto del suo percorso. Tale condizione equivale a dire
∂ρ
=0 ⇒ ∇·J = 0 (1.38)
∂t
1.2. MAGNETOSTATICA 17
dove con ∇∗ si intende che l’operazione è riferita alle coordinate delle differenze tra
punti di campo e sorgenti. Considerando il primo termine dell’equazione riportata
possiamo notare che esso è identicamente nullo in quanto J è definita in funzione
delle coordinate delle sorgenti ed è quindi costante quando differenziata rispetto alle
coordinate del campo, a cui si riferisce l’operatore rotore:
∇×J(r′ ) = 0
∇·B = 0 (1.45)
Tale conclusione risulta immediata tenendo presente che non esistono monopoli mag-
netici ma solo sistemi dipolari e correnti tali da generare campi magnetici le cui linee
di campo sono sempre chiuse. Il campo magnetico B è quindi solenoidale.
Si ha quindi:
∇×B = µ0 J (1.47)
Poiché ∇×B 6= 0 è possibile concludere che il campo magnetico non è conservativo,
ovvero non può essere associato ad una funzione potenziale scalare.
La validità della legge di Ampère nella forma indicata è limitata al caso di cor-
renti stazionarie. Se nel circuito considerato sono presenti eventualmente dei punti in
cui si può verificare accumulo di carica, cadono le ipotesi di stazionarietà e pertanto
10 Vedi appendice B.6
11 appendice C.2
20 CAPITOLO 1. ELETTRODINAMICA CLASSICA
l’equazione non può essere più applicata. Tale fatto può essere infatti evidenziato con-
siderando un semplice circuito elettrico, percorso da una certa corrente e contenente
un condensatore a piatti paralleli: calcolando la circuitazione relativa ad un percorso
chiuso C che circonda un tratto del conduttore, se si valuta l’integrale utilizzando come
superficie delimitata da C una qualsiasi superficie S intersecante il conduttore, si ot-
tiene un valore non nullo (la corrente passante nel circuito è infatti concatenata alla su-
perficie), mentre, per superfici S, ugualmente delimitate da C ma passanti per lo spazio
compreso tra le armature del condensatore, la circuitazione dovrebbe invece avere val-
ore nullo (non vi sono correnti concatenate). La legge di Ampère conduce quindi ad
una contraddizione che è dovuta alla mancanza di stazionarietà della corrente.
1.2.5 Magnetizzazione M
In presenza di materiali, bisogna considerare la possibilità i materiali presentino un
carattere magnetico proprio. La materia è infatti costituita da cariche in moto: all’in-
terno di ciascun atomo (o molecola), indipendentemente da stimoli esterni, gli elettroni
sono in moto continuo nei corrispondenti orbitali e pertanto generano correnti micro-
scopiche assimilabili a quelle generate da spire percorse da corrente. Queste correnti
intrinseche al materiale generano deboli campi magnetici caratterizzabili mediante una
grandezza che, in analogia con la polarizzazione dei dielettrici, è definita momento
di dipolo magnetico m. Poiché ciascun atomo (o molecola) può essere caratterizzato
da un proprio momento magnetico, a livello macroscopico il comportamento com-
plessivo del materiale si può caratterizzare mediante il vettore magnetizzazione M,
corrispondente al momento di dipolo magnetico netto per unità di volume:
PN
i=1 mi
M= (1.48)
dV
Se la magnetizzazione è uniforme (mezzo isotropo), tutte le correnti microscopiche
relative a ciascun atomo (o molecola) sono identiche e, pertanto, l’effetto complessi-
vo è la presenza di una corrente solo sulla superficie esterna del materiale in quanto,
all’interno, le correnti relative a dipoli magnetici adiacenti sono uguali ed opposte e
non danno quindi luogo ad alcun effettivo spostamento di carica. Nel caso in cui la
magnetizzazione non sia uniforme, non si verifica annullamento dei termini di corrente
interni al materiale poiché la corrente associata a ciascun dipolo magnetico è differ-
ente. In questo caso all’interno del materiale è presente una corrente risultante non
nulla, chiamata corrente di magnetizzazione, la cui densità è definita pari a 12
Jm = ∇×M (1.49)
∇×(B − µ0 M) = µ0 J (1.52)
B
H= −M (1.53)
µ0
definito intensità magnetica e la cui utilità si presenta nel momento in cui si consider-
ano campi magnetici in mezzi materiali. In base alla definizione data possiamo allora
esprimere la relazione precedente come
∇×H = J (1.54)
Quanto sin qui affermato è valido in generale per un qualsiasi mezzo materiale
magnetizzabile. Tuttavia, considerando mezzi isotropi, omogenei e lineari possiamo
ricavare l’esistenza di una relazione di proporzionalità tra l’intensità magnetica H e la
magnetizzazione M del materiale tale per cui:
M = χm H (1.55)
B = µ0 H + M = µ0 (1 + χm )H = µ0 µr H = µH (1.56)
1.3 Elettrodinamica
Come visto nelle sezioni precedenti, le leggi dell’elettrostatica e della magnetostatica,
anche in presenza di materiali polarizzabili o magnetizzabili, possono essere riassunte
in due coppie di equazioni vettoriali disaccoppiate e indipendenti dal tempo. Equazioni
dell’elettrostatica classica:
∇·B(r) = 0 (1.59)
∇×H(r) = J(r) (1.60)
∂E
J′ = J + ε0
∂t
La legge di Ampère può essere allora estesa al caso di correnti non stazionarie nel
modo seguente:
Z
∂E
I Z
′
B · dr = µ0 J · dS = µ0 J + ε0 · dS =
C S S ∂t
d dΦE
Z
= µ0 I + µ0 ε0 E · dS = µ0 I + µ0 ε0
dt S dt
L’equazione sopra riportata riassume in sé le modalità con cui è possibile generare
un campo magnetico: mediante una corrente elettrica I oppure mediante induzione
attraverso un flusso di campo elettrico variabile nel tempo. Applicando il teorema di
Stokes possiamo ottenere l’espressione del rotore del campo magnetico B anche nel
caso di correnti non stazionarie:
Z
∂E
I Z
B · dr = (∇×B) · dS = J + ε0 · dS
C S S ∂t
∂E
⇒ ∇×B = µ0 J + µ0 ε0 (1.61)
∂t
Nel caso sia presente un materiale magnetizzabile la (1.61) si trasforma in
∂E
∇×H = J + ε0 (1.62)
∂t
In base alla definizione di momento di dipolo elettrico (vedi sezione 1.4.1), sfruttando
la relazione precedente, otteniamo che
dp d ∂ρ
Z Z Z
= ρrdV = rdV = − r∇·(ρv)dV
dt dt V0 V0 ∂t V0
dove ∇x è il versore relativo alla componente x considerata. Alla luce della re-
lazione evidenziata per ciascuna componente, attraverso l’applicazione del teorema
della divergenza al primo termine dell’equazione precedente, si ricava che
dp
I Z
=− rρv · dS + ρvdV
dt S0 V0
dp
I Z
rρv · dS = 0 ⇒ = ρvdV
S0 dt V0
∂P
Jtot = J +
∂t
poiché, in generale, Jtot può non essere stazionaria, occorre inoltre definire, medi-
ante applicazione del principio di continuità, una densità di corrente equivalente J′ ,
stazionaria. A tale scopo è necessario tenere in conto che il mezzo è polarizzato e
1.3. ELETTRODINAMICA 25
pertanto, oltre alle cariche effettive, di densità volumica ρ, sono presenti cariche di
polarizzazione di densità volumica ρp .
∂ρtot ∂P ∂
∇·J′ = ∇·Jtot + = ∇· J + + (ρ + ρp ) = 0
∂t ∂t ∂t
da cui si può notare che la polarizzazione del mezzo può essere tenuta in conto per
semplice sostituzione di E con D.
Definita la densità di corrente equivalente J′ possiamo esprimere il rotore del cam-
po magnetico B, in presenza di materiali polarizzabili, come
∂D
∇×B = µ0 J′ = µ0 J + µ0
∂t
La presenza di materiali magnetizzabili modifica l’equazione (1.3.1):
∂D
∇×H = J + (1.63)
∂t
Equazioni di Maxwell
27
28 CAPITOLO 2. EQUAZIONI DI MAXWELL
ρ
∇·E = (2.3)
ε0
∇·B = 0 (2.4)
∂ρ
∇·J + =0 (2.5)
∂t
Confrontando tra loro le equazioni relative al campo elettrico e quelle relative
al campo magnetico, si osserva una sostanziale asimmetria giustificata dal fatto che
mentre esistono cariche elettriche elementari, non esistono equivalenti “cariche mag-
netiche” (ovvero monopoli magnetici). In quest’ottica è possibile giustificare la dif-
ferenza che sussiste tra le equazioni (2.3) e (2.4), considerando che, mentre per E ha
senso parlare di densità di carica ρ, ciò non è possibile considerando B.
∂B
∇×E = − (2.6)
∂t
∂D
∇×H = J + (2.7)
∂t
∇·D = ρ (2.8)
∇·B = 0 (2.9)
a cui si aggiunge l’equazione di continuità della corrente:
∂ρ
∇·J + =0 (2.10)
∂t
E’ importante tenere presente che l’introduzione di D e H non è concettualmente
necessaria in quanto le equazioni (2.7) e (2.8), nelle quali tali grandezze compaiono,
possono comunque essere espresse in termini dei vettori E, B, P (polarizzazione del
mezzo) e M (magnetizzazione del mezzo) nella forma seguente:
∂E ∂P
∇×B = µ0 ε0 + + ∇×M + J
∂t ∂t
1
∇·E = (−∇·P + ρ)
ε0
∂B
I Z
E · dr = − · dS (2.11)
C S ∂t
Z
∂D
I
H · dr = J+ · dS (2.12)
C S ∂t
I Z
D · dS = ρdV = q (2.13)
S V
I
B · dS = 0 (2.14)
S
dove nelle equazioni (2.11) e (2.12) S è una superficie qualsiasi, aperta, di cui il circuito
chiuso C è il bordo, mentre nelle equazioni (2.13) e (2.14) S è una superficie chiusa di
cui V è il volume interno. Anche l’equazione di continuità della corrente può essere
espressa in forma integrale, sfruttando il teorema della divergenza:
∂ρ dq
I Z
J · dS = − dV = − (2.15)
S V ∂t dt
d
I
B · dS = 0
dt S
che significa che il flusso del campo magnetico sulla superficie S chiusa è necessaria-
mente costante. Del resto è empiricamente noto che non esistono monopoli magnetici
ma solamente elementi dipolari tali da generare linee di campo chiuse e quindi, con-
siderando la superficie chiusa S, le linee di campo entranti sono necessariamente pari
alle linee di campo uscenti e ciò implica che il flusso netto è nullo ovvero
I
B · dS = 0. (2.16)
S
campo chiuse. Per quanto riguarda l’equazione di Maxwell (2.13), questa può essere
interpretata considerando l’equazione (2.12), nel caso di superficie S chiusa:
d
I I
D · dS + J · dS = 0
dt S S
D = εE
B = µH
J = σE
∂B
∇×E = − (2.17)
∂t
2.2. CONDIZIONI AL CONTORNO 31
∂E
∇×B = µσE + µε (2.18)
∂t
ρ
∇·E = (2.19)
ε
∇·B = 0 (2.20)
1 ∂ρ
∇·E + =0 (2.21)
σ ∂t
h h
dove δ1 e δ2 sono i valori relativi al flusso sulla superficie laterale di spessore
2 2
infinitesimo del cilindro. Tenendo presente che n̂1 = −n̂2 e considerando che,
per ipotesi, h → 0 si ricava:
h h
dove δ1 e δ2 sono i valori relativi al flusso sulla superficie laterale di spessore
2 2
infinitesimo del cilindro. Tenendo presente che n̂1 = −n̂2 e considerando che,
per ipotesi, h → 0 si ricava:
Z
(D1 · n̂1 + D2 · n̂2 )A = σdA
A
D2 · n̂2 − D1 · n̂2 = σ
2.2. CONDIZIONI AL CONTORNO 33
∂B
I Z
E · dr = − · dA
C A ∂t
h h h h
E1 · t̂1 l + E1 · n̂1 + E2 · n̂1 + E2 · t̂2 l + E2 · n̂2 + E1 · n̂2 =
2 2 2 2
∂B
=− · n̂A l · h
∂t
Si tenga presente che: (i) |∂B/∂t| è normalmente limitato superiormente da
una costante; (ii) tra i versori tangenziali considerati sussistono le relazioni t̂1 =
34 CAPITOLO 2. EQUAZIONI DI MAXWELL
h h h h
H1 · t̂1 l + H1 · n̂1 + H2 · n̂1 + H2 · t̂2 l + H2 · n̂2 + H1 · n̂2 =
2 2 2 2
= J′ · n̂A · h · l
B = ∇×A (2.26)
infatti
∇·B = ∇·(∇×A)) = 0
condizione sempre verificata in base alla definizione degli operatori rotore e divergen-
za1 .
Anche il campo elettrico può essere espresso in termini di funzioni potenziale. In
questo caso è necessario affiancare al potenziale vettore A un potenziale scalare. Con-
siderando l’equazione di Maxwell (2.6) (anch’essa indipendente dalle e dalla presenza,
o meno, di materiali polarizzabili o magnetizzabili) e sostituendo la definizione data di
B in termini del potenziale vettore A si ottiene:
∂B ∂ ∂A
∇×E = − = − (∇×A) = −∇×
∂t ∂t ∂t
∂A
∇× E + =0
∂t
∂A
⇒ E=− − ∇φ (2.27)
∂t
dove la funzione scalare φ = φ(r, t) è definita potenziale scalare.
I campi B ed E definiti mediante i potenziali A e φ (equazioni (2.26) e (2.27)) soddis-
fano automaticamente le due equazioni di Maxwell omogenee (equazioni (2.6) e (2.9)).
Il comportamento dinamico di A e φ e la loro dipendenza dalle sorgenti è determinato
dalle due rimanenti equazioni di Maxwell (equazioni (2.7) e (2.8)).
Nel seguito limiteremo la nostra attenzione a mezzi omogenei, isotropi e lineari
Per ottenere le equazioni differenziali che correlino i potenziali vettore e scalare con
le sorgenti del campo elettromagnetico sostituiamo dunque nelle restanti equazioni
di Maxwell (2.18) e (2.19) le definizioni di B ed E in termini dei potenziali A e φ
∂B ∂ ∂A′
∇×E = − = − (∇×A′ ) = −∇×
∂t ∂t ∂t
∂A′
⇒ E=− − ∇φ′ (2.31)
∂t
dove φ′ = φ′ (r, t) è la nuova funzione potenziale scalare associata al potenziale vettore
A′ .
E’ evidente che, per ottenere una rappresentazione dello stesso campo elettrico
E, se viene modificata la definizione del potenziale vettore A è necessario introdurre
una variazione del potenziale scalare φ. La trasformazione dalle definizioni originarie
(A, φ) a quelle finali (A′ , φ′ ) prende il nome di trasformazione di gauge. Il poten-
ziale scalare φ′ associato ad A′ può essere ricavato dalle espressioni precedentemente
2.3. POTENZIALI VETTORE E SCALARE 37
Fissati i valori iniziali A, φ dei potenziali (in base alla configurazione particolare delle
sorgenti), definita la funzione ψ arbitraria, i valori dei nuovi potenziali A′ e φ′ (detti
gauges) sono definiti di conseguenza dalle relazioni precedentemente ricavate:
A′ = A + ∇ψ
∂ψ
φ′ = φ− + cost (2.34)
∂t
Per una qualsiasi trasformazione di gauge i vettori di campo B ed E non variano.
L’invarianza rispetto a questo tipo di trasformazioni dei potenziali vettore e scalare è
detta invarianza di gauge.
Gauge di Lorentz
Poiché in generale i potenziali vettore e scalare sono funzioni non definite in maniera
univoca, anche le equazioni (2.28) e (2.29) che ne esprimono la dipendenza dalle sor-
genti non sono univocamente determinate ma ammettono infinite soluzioni (non cosı̀ i
campi B ed E, che per l’invarianza di gauge, risultano univocamente determinati). Per
selezionare una soluzione particolare possiamo allora ricorrere all’imposizione di una
condizione iniziale. Considerando le equazioni (2.28) e (2.29) suddette
∂2A
∂φ
∇2A − µε 2 + µJ = ∇ ∇·A + µε
∂t ∂t
∂A ρ
∇· + ∇2φ = −
∂t ε
∂φ′
∇·A′ + µε =0 (2.35)
∂t
38 CAPITOLO 2. EQUAZIONI DI MAXWELL
∂ 2 A′
2 ′
∇· ∇ A − µε = −µ∇·J
∂t2
∂ 2 φ′
∂ ∂ ρ
µε ∇2φ′ − µε 2 = −µε
∂t ∂t ∂t ε
2
∇2 (∇·A′ ) − µε ∂ (∇·A′ ) = −µ∇·J
2
∂t 2
′
∂φ′
∂φ ∂ ∂ρ
∇2 µε − µε 2 µε = −µ
∂t ∂t ∂t ∂t
2.4. TEOREMA DI POYNTING 39
D = εE B = µH J = σE
2
1 ∂E 1 ∂ 1 ∂E ∂E ∂E ∂D
ε = ε (E · E) = ε ·E+E· = εE · =E·
2 ∂t 2 ∂t 2 ∂t ∂t ∂t ∂t
2
1 ∂H 1 ∂ 1 ∂H ∂H ∂H ∂B
µ = µ (H · H) = µ ·H+H· = µH · =H·
2 ∂t 2 ∂t 2 ∂t ∂t ∂t ∂t
e pertanto l’equazione (2.42) può essere riscritta come
∂ 1 2 1
∇·(E×H) + σE 2 + εE + µH 2 = 0 (2.43)
∂t 2 2
Il vettore di Poynting N è definito come il prodotto vettoriale tra i due campi, elettrico
E e magnetico H:
N = E×H (2.44)
40 CAPITOLO 2. EQUAZIONI DI MAXWELL
e il suo significato può essere interpretato in base alla sua divergenza (teorema di
Poynting):
2 ∂ 1 2 1 2
∇·N + σE = − εE + µH
∂t 2 2
dove il termine σE 2 rappresenta l’espressione microscopica della legge di Joule e cor-
risponde alla densità di energia dissipata nell’unità di tempo per effetto Joule da una
densità di corrente J in un mezzo a conduttività σ. La quantità 21 εE 2 corrisponde alla
densità di energia associata al campo elettrico e 12 µH 2 è la densità di energia relativa al
campo magnetico. Considerando quindi il significato fisico dell’operatore divergenza
possiamo interpretare il teorema di Poynting come un bilancio energetico relativo al
campo elettromagnetico, in base al quale si ottiene che l’energia che fuoriesce da un
elemento di volume, racchiuso da una superficie chiusa S, nell’unità di tempo sommata
a quella dissipata per effetto Joule all’interno del medesimo volume è esattamente pari
al flusso del vettore di Poyinting attraverso la superficie S.
Tale interpretazione può essere resa più immediata mediante rappresentazione del
teorema di Poynting in forma integrale:
Z
d 1 2 1
Z I Z
∇·NdV = N · dS = − E · JdV − εE + µH 2 dV
V S V dt V 2 2
dove, nel primo passaggio, si è fatto uso del teorema della divergenza. Analizzando i
termini che compaiono a destra si evidenzia come essi rappresentino valori di potenza:
l’integrale relativo alle densità di corrente corrisponde alla potenza dissipata per effetto
Joule; gli integrali corrispondenti alle densità di energia dei campi elettrico e magneti-
co forniscono l’energia elettromagnetica contenuta nel volume considerato e, poiché
tale quantità è derivata rispetto al tempo, nell’equazione di Poynting essa corrisponde
alla velocità di variazione dell’energia totale contenuta nel volume considerato. Allora,
il vettore di Poynting N integrato sulla superficie S che racchiude il volume V rapp-
resenta il flusso complessivo di energia e pertanto N corrisponde alla densità di flusso
elettromagnetico ovvero alla quantità di energia elettromagnetica che fluisce nell’unità
di tempo, attraverso una superficie unitaria, normale alla direzione del flusso.
Capitolo 3
Onde elettromagnetiche
∂H
∇× −µ = ∇×(∇×E)
∂t
∂
−µ (∇×H) = ∇(∇·E) − ∇2E
∂t
∂ ∂E
−µ ε +J = ∇(∇·E) − ∇2E
∂t ∂t
2
∂ E ∂J
−µε 2 − µ = ∇(∇·E) − ∇2E
∂t ∂t
Considerando la legge di Ohm microscopica (J = σE) e l’equazione di Maxwell
(2.19), in assenza di cariche libere, si ricava
∂ 2E ∂E
∇2E − µε 2
− µσ =0 (3.1)
∂t ∂t
che rappresenta l’equazione d’onda generale del campo elettrico.
L’equazione relativa alla propagazione del campo magnetico può essere ricavata
in modo analogo al campo elettrico calcolando il rotore di entrambi i membri dell’e-
quazione di Maxwell (2.18) e sostituendo nel risultato ottenuto l’espressione fornita
41
42 CAPITOLO 3. ONDE ELETTROMAGNETICHE
dall’equazione (2.17):
∂E
∇× ε +J = ∇×(∇×H)
∂t
∂
ε (∇×E) + ∇×J = ∇(∇·H) − ∇2H
∂t
∂ ∂H
ε −µ + ∇×J = ∇(∇·H) − ∇2H
∂t ∂t
∂2H
−µε 2 + ∇×J = ∇(∇·H) − ∇2H
∂t
Considerando l’equazione (2.20) di Maxwell e la legge di Ohm microscopica (J = σE)
si ottiene
∂2H
−µε 2 + σ∇×E = −∇2H (3.2)
∂t
∂2H ∂H
∇2H − µε 2 − µσ =0 (3.3)
∂t ∂t
che corrisponde all’equazione d’onda generale del campo magnetico.
Osservando le due equazioni ottenute per la propagazione dei campi elettrico e
magnetico, occorre tener presente che, in generale, le due soluzioni non sono indipen-
denti tra loro ma sono legate tramite le equazioni di Maxwell: è quindi sufficiente ri-
cavare la soluzione relativa all’equazione d’onda di un campo per ottenere l’espressione
corrispondente per l’altro.
Dal punto di vista della struttura matematica è possibile rilevare che le due equazioni
∂2
ottenute sono caratterizzate dalla somma di un termine periodico (dato da ∇2 + 2 ) e
∂t
∂
un termine aperiodico (corrispondente a µσ ) che esprime un decadimento esponen-
∂t
ziale dell’ampiezza dell’onda, dovuto allo smorzamento indotto dal mezzo. A seconda
del tipo di materiale in cui l’onda si propaga si possono ottenere situazioni in cui uno
dei termini presenti risulta praticamente nullo. Nel caso di un dielettrico ideale il ter-
mine di smorzamento è trascurabile in quanto σ ≈ 0 e pertanto le equazioni d’onda
diventano
∂2E
∇2E − µε = 0 (3.4)
∂t2
2
∂ H
∇2H − µε 2 = 0 (3.5)
∂t
Se consideriamo invece che la propagazione del campo elettromagnetico avvenga al-
∂2
l’interno di un materiale conduttore il termine µε 2 può essere a ragione trascurato e
∂t
pertanto le equazioni che ne derivano sono corrispondenti a quelle di un fenomeno di
diffusione, senza propagazione di onde:
∂E
∇2E − µσ = 0
∂t
∂H
∇2H − µσ = 0
∂t
Nel seguito tratteremo solo esclusivamente le soluzioni dell’equazione delle onde
elettromagnetiche in presenza di un dielettrico perfetto (σ = 0), cioè delle equazioni
3.1. EQUAZIONI DELLE ONDE ELETTROMAGNETICHE 43
(3.5). Si noti che in (3.5), ciascuna delle componenti cartesiane dei vettori E e H
soddisfa l’equazione
∂2G
∇2G − µǫ 2 = 0 (3.6)
∂t
Una generica soluzione di questa equazione differenziale omogenea è data dalla
funzione
G(x, t) = g1 (x + vt) + g2 (x − vt) (3.7)
dove g1 e g2 sono funzioni scalari indeterminate. v ha le dimensioni di una velocità e
definisce quindi la velocità di propagazione della perturbazione elettromagnetica. Pos-
siamo verificare che le funzioni G(x, t) definite in (3.7) sono soluzioni dell’equazione
(3.6). Scegliamo G = g2 (u), con u = x − vt. Trasformiamo le derivate spaziali
e temporali in (3.6) in derivate rispetto alla nuova variabile u sfruttando le regole di
derivazione della funzione composta:
∂g ∂g ∂u ∂g
= = −v
∂t ∂u ∂t ∂u
∂2g ∂2g
∂ ∂g ∂ ∂g ∂ ∂g
2
= = −v = −v −v = v2 2
∂t ∂t ∂t ∂t ∂u ∂u ∂u ∂u
∂g ∂g ∂u ∂g
= =
∂x ∂u ∂x ∂u
∂2g ∂2g
∂ ∂g ∂ ∂g ∂ ∂g
= = = =
∂x2 ∂x ∂x ∂x ∂u ∂u ∂u ∂u2
∂2g 2
2∂ g
− µεv = 0 (3.8)
∂u2 ∂u2
∂2g
1 − µεv 2
= 0 (3.9)
∂u2
Ponendo
1
v= √ (3.10)
µε
soddisfo l’equazione (3.9). L’equazione (3.10) definisce il valore della velocità di
propagazione della perturbazione elettromagnetica in funzione della costante dielet-
√
trica e permeabilità magnetica del materiale. Quindi, ponendo v = 1/ µε, G =
g2 (x − vt) è soluzione dell’equazione (3.6). Ragionamento analogo può essere fatto
nel caso in cui G = g1 (x + vt). Dal momento che l’equazione (3.6) è lineare, ogni
combinazione lineare di soluzioni è a sua volta soluzione, si dimostra che G(x, t) =
g1 (x + vt) + g2 (x − vt) è soluzione di (3.6).
analisi di Fourier, qualunque tipo di onda può essere descritto come sovrapposizione di
opportune onde piane sinussoidali.
Un’onda piana è definita a mezzo di fronti d’onda piani. Ciò significa che, con-
siderando un qualsiasi istante, la perturbazione presente su ciascun piano perpendi-
colare alla direzione di propagazione è uniforme e funzione solamente della distan-
za del piano da un’origine fissata lungo il cammino di propagazione. Considerando
quindi un’onda elettromagnatica piana che si propaga lungo la direzione dell’asse x,
essa sarà caratterrizzata da un campo elettrico E = E(x, t) e da un campo magnetico
H = H(x, t) e pertanto ne consegue che
∂E ∂Ex ∂Ey ∂Ez
=0 ⇒ = = =0
∂y ∂y ∂y ∂y
∂E ∂Ex ∂Ey ∂Ez
=0 ⇒ = = =0
∂z ∂z ∂z ∂z
considerazioni analoghe valgono per il campo magnetico H.
∂H ∂Hx ∂Hy ∂Hz
=0 ⇒ = = =0
∂y ∂y ∂y ∂y
∂H ∂Hx ∂Hy ∂Hz
=0 ⇒ = = =0
∂z ∂z ∂z ∂z
In presenza in assenza di distribuzioni di carica libera e per mezzi dielettrici per-
fetti (anche se quest’ultima ipotesi non è strettamente necessaria), l’onda piana è inoltre
caratterizzata dall’assenza di campo elettrico e magnetico nella direzione di propagazione,
ovvero essa consiste in un’onda trasversale:
Ex = 0 Hx = 0
che significa che il campo su x è stazionario. Si conclude quindi che il campo elettrico,
lungo la direzione di propagazione dell’onda è uniformemente e costantemente nullo.
In maniera del tutto analoga si dimostra che anche il campo magnetico H è costan-
temente e uniformemente nullo secondo la direzione di propagazione. Dall’equazione
4 di Maxwell si ricava
∂Hx ∂Hy ∂Hz ∂Hx
∇·H = 0 ⇒ + + =0 ⇒ =0
∂x ∂y ∂z ∂x
che indica l’uniformità del campo; dall’equazione 1 di Maxwell relativa alla compo-
nente x si ottiene
∂Hx
(∇×E)x = −µ
∂t
∂Ez ∂Ey ∂Hx
− = −µ
∂y ∂z ∂t
∂Hx
= 0
∂t
che indica la stazionarietà del campo. Di conseguenza risulta corretto affermare che
Hx = 0.
Sfruttando la proprietà di uniformità delle onde piane, l’equazione vettoriale delle onde
elettromagnetiche
∂2E
∇2E − µε 2 = 0
∂t
si riduce a due equazioni scalari relative alle componeneti del campo non nulle: mentre
sull’asse x il campo è, per ipotesi, uniformemente e costantemente nullo, lungo la
direzione dell’asse y esso è dato da
∂ 2 Ey ∂ 2 Ey ∂ 2 Ey ∂ 2 Ey
2
+ 2
+ 2
− µε = 0
∂x ∂y ∂z ∂t2
2
∂ Ey ∂ 2 Ey
− µε = 0 (3.11)
∂x2 ∂t2
secondo l’asse z, invece, si ottiene
∂ 2 Ez ∂ 2 Ez ∂ 2 Ez ∂ 2 Ey
2
+ 2
+ 2
− µε 2 = 0
∂x ∂y ∂z ∂t
∂ 2 Ez ∂ 2 Ez
− µε 2 = 0 (3.12)
∂x2 ∂t
Come si può notare le due equazioni sono a variabili separate ovvero non esiste alcuna
dipendenza funzionale tra la componente del campo elettrico sull’asse y (Ey ) e quella
relativa all’asse z (Ez ).
Analogamente si ricavano le equazioni relative alla propagazione del campo mag-
netico
∂ 2 Hy ∂ 2 Hy
− µε = 0
∂x2 ∂t2
2
∂ Hz ∂ 2 Hz
2
− µε = 0
∂x ∂t2
46 CAPITOLO 3. ONDE ELETTROMAGNETICHE
anche in questo caso le equazioni sono disaccoppiate tra loro e quindi non esiste alcuna
interdipendenza tra i valori che il campo assume sull’asse y e quelli relativi all’asse z.
Si noti che, come previsto dalla definizione di onda piana, il campo elettromagnetico
ha valore non nullo solo nelle direzioni perpendicolari a quella di propagazione (rapp-
resentata dal vettore velocità v).
In virtù delle equazioni di Maxwell (2.17) e (2.18), i campi elettrico e magnetico non
sono indipendenti tra loro. Se consideriamo l’equazione 2 e ci limitiamo alla sola
componente lungo l’asse y otteniamo:
∂Ey
(∇×H)y = ε
∂t
∂Hx ∂Hz ∂Ey
− =ε
∂z ∂x ∂t
∂Hz ∂Ey
− =ε
∂x ∂t
Poiché in generale tutte le soluzioni dell’equazione d’onda sono definite rispetto alla
forma g = g(u) con u = x ± vt, tenendo presente le relazioni
∂g ∂g ∂g ∂g
= ±v =
∂t ∂u ∂x ∂u
∂Hz ∂Ey
Z Z
du = ±εv du
∂u ∂u
1 ε
r
Hz = ±εvEy = ±ε √ Ey = ± Ey
µε µ
ǫ
r
H= k̂ × E (3.13)
µ
Polarizzazione
Considerazione particolarmente importante è legata al concetto di polarizzazione. Un’on-
da elettromagnetica è definita linearmente polarizzata se il campo elettrico (e di con-
seguenza il campo magnetico) è caratterizzato da una direzione di oscillazione fissata
e invariante nel tempo. La possibilità di ottenere onde elettromagnetiche polarizzate è
mostrata direttamente dal fatto che le due equazioni relative alle componenti del cam-
po elettrico su due assi ortogonali alla direzione di propagazione sono disaccoppiate e
pertanto fissata l’oscillazione del campo nella direzione di uno degli assi (ad esempio
l’asse y), rispetto all’asse ortogonale (z) il campo si mantiene inalterato e costante-
mente nullo. Il piano contenente la direzione di propagazione dell’onda, all’interno del
quale avviene l’oscillazione del campo elettrico viene detto piano di polarizzazione
e, di conseguenza, il campo magnetico oscilla perpendicolarmente ad esso. Un’on-
da elettromagnetica si definisce invece non polarizzata o polarizzata casualmente se la
direzione di oscillazione del campo elettrico (e quindi del campo magnetico) varia in
ogni istante e in ogni punto in maniera completamente irregolare. In questo caso l’onda
ha uguale probabilità di oscillare lungo qualsiasi direzione del piano yz e pertanto le
componenti Ey ed Ez presentano, in media, la stessa intensità ma sono in relazione di
fase completamente casuale; l’onda non polarizzata può allora essere descritta tramite
le due componenti ortogonali del campo elettrico Ey ed Ez , definite dalla medesima
ampiezza ma da sfasamento del tutto casuale: si tratta quindi di considerare l’onda non
polarizzata come composizione di due identiche onde linearmente polarizzate i cui pi-
ani di polarizzazione sono mutuamente perpendicolari.
dove l’uso di funzioni seno e coseno per ciascuna armonica è legato alla differenza di
fase tra fra queste due funzioni. La sommatoria può essere espressa in maniera più
semplice sfruttando le seguenti relazioni:
2 T
Z
0 m 6= n
cos (2πnν0 t) · cos (2πmν0 t)dt =
T 0 1 m=n
Z T
2 0 m 6= n
sin (2πnν0 t) · sin (2πmν0 t)dt =
T 0 1 m=n
Z T
cos (2πnν0 t) · sin (2πmν0 t)dt = 0
0
T T
T
Z Z
2
= Bm sin (2πmν0 t)dt = Bm sin2 (2πmν0 t)dt = Bm (3.23)
0 0 2
T
2
Z
⇒ Bm = F (t) sin (2πmν0 t)dt (3.24)
T 0
Occorre allora procedere al calcolo dei coefficienti Am relativi alle sole armoniche
coseno. Applicando la formula precedentemente ricavata si ottiene
1
T
2
Z Z 2ν0
Am = F (t) cos (2πmν0 t)dt = 2ν0 F (t) cos (2πmν0 t)dt (3.26)
T 0 − 2ν1
0
tenendo presente che l’ampiezza della pulsazione è h entro il solo tempo b, mentre
per il resto del periodo la funzione d’onda è nulla possiamo sostituire gli estremi di
integrazione ottenendo
Z b
2
Am = 2ν0 h cos (2πmν0 t)dt (3.27)
− 2b
La funzione analizzata può essere allora espressa mediante la seguente serie di Fourier:
∞
X
F (t) = hν0 b + 2hν0 b [sinc(πmν0 b) cos (2πmν0 t)] (3.28)
m=1
2 T 2 T
Z Z
Cn = An − iBn = F (t) cos(2πnν0 t)dt − i F (t) sin(2πnν0 t)dt =
T 0 T 0
2 T
2πinν0 t
+ e−2πinν0 t e2πinν0 t − e−2πinν0 t
e
Z
= F (t) −i dt =
T 0 2 2i
Z T
2
= F (t)e−2πinν0 t dt (3.33)
T 0
rappresenta lo spettro a righe già descritto, che aperiodiche, definendo una funzione
Φ(ν) continua. L’espressione generale di Φ(ν) per una funzione aperiodica può essere
ricavata a partire della serie di Fourier passando al limite per variazioni di frequenza
infinitesime (ν → 0) e quindi per T → ∞. In questo modo è possibile trattare an-
che funzioni F (t) aperiodiche come un caso limite di quelle periodiche (per ν → 0
infatti le armoniche componenti costituiscono una distribuzione continua di frequen-
ze). Effettuando l’operazione di limite descritta la serie di Fourier assume la forma di
un’integrale:
∞
X
F (t) = lim [an cos (2πnν0 t) + bn sin (2πnν0 t)] =
ν→0
n=−∞
Z ∞ Z ∞
= [a(ν)dν cos (2πνt)] + [b(ν)dν sin (2πνt)] =
−∞ −∞
Z ∞
= r(ν) cos (2πνt + φ(ν)) dν
−∞
cosı̀ definita:
Z ∞
Φ(ν) = F (t)e−2πiνt dt
−∞
Z ∞
F (t) = Φ(ν)e2πiνt dν
−∞
La relazione qui riportata è del tutto generale nel senso che t e ν possono essere due
variabili qualsiasi. Essa sancisce, in particolare, una relazione di intima corrispondenza
tra tali variabili al punto che esse si possono correttamente definire come variabili coni-
ugate. In definitiva la trasformazione di Fourier comporta una corrispondenza biunivo-
ca tra lo spazio dei tempi e quello delle frequenze consentendo, tramite le trasformate,
di passare direttamente dall’uno all’altro:
Dal punto di vista pratico si può notare che, in generale, anche se F (t) è reale,
Φ(ν) può essere sia reale che complessa. Per evitare che Φ(ν) sia definita da una parte
immaginaria è necessario allora che F (t) sia simmetrica pari (F (−t) = F (t)), ovvero
che essa contenga solamente termini coseno:
Z ∞
F (t) = a(ν) cos (2πνt) dν (3.38)
−∞
In questo caso allora la trasformata Φ(ν) è semplicemente definita in termini reali come
Z ∞
Φ(ν) = a(ν) = F (t) cos (2πνt) dt (3.39)
−∞
Come già notato quindi la soluzione è definita da una funzione qualsiasi applicata al-
la coordinata spaziale u = x ± vt. Tuttavia, spesso è particolarmente utile definire
3.3. ANALISI DI FOURIER DI ONDE ELETTROMAGNETICHE 55
la dipendenza funzionale dell’onda da una coordinata temporale che può essere cosı̀
ottenuta:
u x
t′ = = ± t (3.41)
v v
Se limitiamo la nostra analisi al caso di un’onda progressiva, che si propaga lungo la
sola direzione positiva, possiamo esprimere il campo elettrico come
ovvero otteniamo una relazione che lega il campo al tempo e ciò permette di descri-
vere l’onda rispetto allo spazio delle frequenze, mediante calcolo della corrispondente
trasformata di Fourier:
′
E(x, t) = Ey (x − vt) = Ey (t′ ) ⇐⇒ fy (ν) (3.43)
Z ∞
′
′
Ey (t ) = fy′ e2πiνt dν (3.44)
−∞
ω
Introducendo le grandezze ω = 2πν e k = v si ottiene
si richiede la condizione
kx − ωt = 2nπ
n ω
xn = + t
k k
xn = nλ + vt
dove n rappresenta il numero del punto considerato rispetto alla lunghezza d’onda e
v = ωk = λν è la velocità di propagazione dell’onda.
Osservando la formula ottenuta si può facilmente notare che essa consiste nel
prodotto della prima componente per un termine modulante legato alla differenza tra le
due componenti:
x · dk − t · dω
E(x, t) = 2 cos E1 (x, t) (3.49)
2
Onde modulate secondo le modalità descritte dando luogo al fenomeno dei battimenti.
Nel caso di sovrapposizione qui descritto occorre allora introdurre una distinzione sui
termini di velocità: la velocità con cui le singole componenti dell’onda si propagano
è detta velocità di fase e, in un dato mezzo di permettività elettrica ε e permeabilità
magnetica µ è pari a
ω 1
vf = = √ ; (3.50)
k εµ
la velocità con cui si muove il termine modulante è invece detta velocità di gruppo ed
è definita come
dω
vg = (3.51)
dk
Anche se in generale vg 6= vf , nel nel vuoto le due velocità sono uguali. Un mezzo
per il quale invece le due velocità differiscono prende il nome di mezzo dispersivo e
comporta un’alterazione della forma dell’onda ottenuta dalla sovrapposizione di due o
più onde sinussoidali (detta anche pacchetto d’onde) a mano a mano che essa si propaga
nello spazio.
3.3. ANALISI DI FOURIER DI ONDE ELETTROMAGNETICHE 57
1
x ± vt = k̂ · (r − r0 ) ± vt = (k · r ± kvt) − k̂ · r0 (3.53)
k
In base a questa ipotesi otteniamo allora che per una data componente sinusoidale della
generica onda elettromagnetica il campo elettrico ǫ oscilla secondo l’equazione
di cui solo la parte reale ha significato fisico. Risulta infine possibile caratterizzare an-
che il campo magnetico H associato all’onda elettromagnetica data, tenendo presente,
mediante introduzione di un prodotto vettoriale, che esso deve essere perpendicolare
sia alla direzione di propagazione, definita da k̂, sia a quella del campo elettrico E1 :
ε
r
H= k̂×E (3.56)
µ
εk εv ε 1 1
r r r
H= ×E = k×E = √ k×E = k×E (3.57)
µk µω µ ω εµ µω
Figura 3.4: Un’onda incidente (E) sulla supeficie di separazione fra due mezzi dà
orgine a un’onda riflessa (E”) e una rifratta (E’)
Le informazioni relative alle direzioni di propagazione dei raggi riflesso e rifratto pos-
sono essere ottenute ricavando le leggi di Snell. Per schematizzare i fenomeni suddetti
assumiamo una superficie piana S di separazione tra due mezzi dielettrici differenti
e consideriamo un raggio d’onda incidente di lunghezza d’onda molto minore del-
l’estensione dell’interfaccia. Fissiamo un sistema di riferimento avente origine sulla
superficie S e definito in modo che due degli assi cartesiani giacciano sul piano cor-
rispondente a S e il terzo sia parallelo alla normale alla superficie S stessa. Ricorrendo
alla rappresentazione vettoriale delle onde elettromagnetiche incidente, riflessa e rifrat-
ta, nell’ipotesi di singole componenti piane e sinusoidali possiamo esprimere i campi
3.4. FENOMENI DI RIFLESSIONE E RIFRAZIONE 59
corrispondenti come
E = E0 ei(k·r−ωt)
′ ′
E ′
= E′0 ei(k ·r−ω t)
′′
·r−ω ′′ t)
E′′ = E′′0 ei(k
dove la notazione senza apici si riferisce all’onda incidente, quella con un apice (′ )
corrisponde all’onda rifratta mentre le grandezze con due apici (′′ ) sono relative al-
l’onda riflessa. Se consideriamo le condizioni al contorno ricavate dalle equazioni di
Maxwell possiamo affermare che la componente tangenziale del campo elettrico rela-
tivo alle onde presenti nel primo mezzo (l’onda incidente e quella riflessa) si conserva
al passaggio nel secondo mezzo (cioé nell’onda rifratta):
Et + Et′′ = Et′
Affinché l’uguaglianza sia soddisfatta, per ogni scelta dell’origine dei tempi e del sis-
tema di rifermento, i termini esponenziali coinvolti devono essere necessariamente
identici. La validità della relazione per qualunque origine dell’asse dei tempi implica
quindi che
ω = ω ′ = ω ′′ (3.58)
il che significa che in seguito ai fenomeni di riflessione e rifrazione l’onda mantiene
inalterata la sua frequenza originaria. Per ottenere la validità dell’uguaglianza con-
siderata relativamente a qualunque sistema di riferimento spaziale si richiede inoltre
che
k · r = k′ · r = k′′ · r (3.59)
Se ridefinisco il sistema di riferimento cartesiano in modo da collocare l’origine lun-
go la retta di intersezione tra l’interfaccia S dei mezzi ed il piano normale al raggio
incidente e passante per il punto di incidenza, il vettore posizione r che individua il
punto di incidenza rispetto all’origine data è perpendicolare al vettore d’onda k, cor-
rispondente alla direzione del raggio incidente e pertanto, considerando l’uguaglianza
precedentemente ottenuta si ricava
il che permette di concludere che i tre raggi incidente, riflesso e rifratto sono tutti
perpendicolari alla direzione del vettore posizione r e giacciono tutti su uno stesso
piano. Anche la normale n alla superficie di incidenza è perpendicolare a r, essendo
quest’ultimo un vettore di S cui n è normale per definizione:
Anche n giace quindi nel piano in cui sono contenuti i raggi d’onda considerati. Tale
piano è pertanto caratteristico dei fenomeni di riflessione e rifrazione di onde elettro-
magnetiche all’interfaccia di separazione fra due mezzi materiali ed è detto piano di
incidenza. Possiamo allora enunciare la prima delle leggi di Snell: i raggi incidente,
riflesso e rifratto e la normale all’interfaccia appartengono ad uno stesso piano. Nel
caso particolare di incidenza normale i vettori k, k′ , k′′ e n sono collocati sulla stessa
retta e pertanto il piano di incidenza non è univocamente definito ma è un qualunque
piano normale a S, contenente la direzione di tali vettori.
Per definire le posizioni reciproche dei raggi relativamente al fenomeno di incidenza
60 CAPITOLO 3. ONDE ELETTROMAGNETICHE
Figura 3.5: Schema posizione origine nuovi assi rispetto alla superficie di separazione
e al piano d’incidenza.
dove i vettori d’onda sono stati collocati in modo da avere origine dal punto di inciden-
za. Calcolando i prodotti scalari considerati otteniamo
k·r = k sin θx
′
k ·r = k ′ sin θ′ x
k′′ · r = k ′′ sin θ′′ x
√
Tenendo presente che k = k ′′ = ωv = ω µ1 ε1 in quanto entrambi i vettori sono riferiti
allo stesso mezzo di propagazione, uguagliando tra la loro i due prodotti scalari relativi
ai raggi incidente e riflesso, in base a quanto detto sopra, è possibile ricavare la legge
di Snell relativa alla riflessione:
k·r = k′′ · r
k sin θx = k ′′ sin θ′′ x
sin θ = sin θ′′
⇒ θ = θ′′ (3.62)
3.4. FENOMENI DI RIFLESSIONE E RIFRAZIONE 61
dal momento che sia θ che θ′′ sono minori di π/2. Si è allora dimostrato che raggio
incidente e riflesso formano angoli uguali rispetto alla normale nel punto di incidenza.
Per ottenere la legge di Snell relativa ai fenomeni di rifrazione occorre introdurre
l’indice di rifrazione del mezzo, ovvero il rapporto tra la velocità di un’onda elettro-
magnetica nel vuoto (c) e la velocità effettiva (v) di propagazione nel mezzo consider-
ato:
c 1 √
n= = √ · µε (3.63)
v µ0 ε0
Occorre notare, in particolare, che poiché la costante dielettrica del mezzo ε è in gen-
erale sensibilmente dipendente dalla frequenza del campo elettromagnetico consider-
ato, l’indice di rifrazione sarà anch’esso variabile con la frequenza della radiazione
√ √
incidente. Ricordando che, per definizione, k = ωv = ω µ1 ε1 e k ′ = vω′ = ω µ2 ε2
possiamo eguagliare tra loro i prodotti scalari relativi all’onda incidente e a quella
rifratta, ottenendo
k·r = k′ · r
k sin θx = k ′ sin θ′ x
√ √
ω µ1 ε1 sin θ = ω µ2 ε2 sin θ′
√ √
µ1 ε1 sin θ = µ2 ε2 sin θ′
√ √ √
sin θ µ2 ε2 µ2 ε2 µ0 ε0 n2
⇒ ′
= √ = √ ·√ = (3.64)
sin θ µ1 ε1 µ1 ε1 µ0 ε0 n1
L’ultima uguaglianza ottenuta corrisponde alla legge di rifrazione di Snell: raggio in-
cidente e raggio rifratto formano angoli rispetto alla normale, tali per cui il rapporto tra
i loro seni è pari al reciproco del rapporto degli indici di rifrazione dei rispettivi mezzi
di propagazione.
Poiché
q il campo magnetico H è legato al campo elettrico E dalla relazione H =
ε
µ k̂ × E, tenendo presente che nell’onda elettromagnetica E, k̂ e H sono mutu-
amente perpendicolari, possiamo riscrivere la relazione precedente in funzione del
3.4. FENOMENI DI RIFLESSIONE E RIFRAZIONE 63
Figura 3.6: Riflessione e rifrazione al confine fra due mezzi dielettrici. L’onda in-
cidente è lineramente polarizzata con il campo elettrico perpendicolare al piano di
incidenza.
campo elettrico:
ε1 ε1 ′′ ε2 ′
r r r
E cos θ − E cos θ′′ = E cos θ′
µ1 µ1 µ2
ε1 ε2 ′
r r
(E − E ′′ ) cos θ = E cos θ′
µ0 µ0
√
ε2 cos θ′
E − E ′′ = √ E′
ε1 cos θ
dove per le legge di riflessione di Snell si è posto θ′′ = θ e si è inoltre sfruttata l’ap-
prossimazione µ1 ≈ µ2 ≈ µ0 . Applicando la legge di rifrazione di Snell (definita
rispetto all’approssimazione introdotta) all’equazione precedente otteniamo allora
cos θ′ sin θ
E − E ′′ = E ′ (3.70)
cos θ sin θ′
Le ampiezze relative dei campi elettrici riflesso e rifratto possono essere allora ottenute
risolvendo il sistema
E + E ′′ = E ′
′ (3.71)
E − E ′′ = E ′ cos θ sin θ
cos θ sin θ′
da cui si ricava, svolgendo i calcoli opportuni
2 sin θ′ cos θ sin(θ′ − θ)
E′ = E E ′′ = E (3.72)
sin(θ′ + θ) sin(θ′ + θ)
Figura 3.7: Riflessione e rifrazione al confine fra due mezzi dielettrici. L’on-
da incidente è lineramente polarizzata con il campo elettrico parallelo al piano di
incidenza.
Considerando
q la relazione che lega il campo magnetico H al campo elettrico E (H =
ε
µ k̂ × E) e tenendo presente che nell’onda elettromagnetica E, k̂ e H sono mu-
tuamente perpendicolari, possiamo riscrivere la relazione precedente in funzione del
campo elettrico:
ε1 ε1 ′′ ε2 ′
r r r
E− E = E
µ1 µ1 µ2
ε1 ε2 ′
r r
′′
(E − E ) = E
µ0 µ0
√
ε2
E − E ′′ = √ E ′
ε1
i casi intermedi possono essere descritti mediante loro opportune combinazioni. Rifer-
endoci allora ai due casi particolari precedentemente illustrati otteniamo, combinando
le equazioni (3.78) e (3.79) con le equazioni (3.72) e (3.76),
1. Piano di polarizzazione perpendicolare al piano di incidenza
A differenza degli integrali di linea di funzioni scalari, per funzioni vettoriali il segno
dell’integrale è dipendente dal verso di percorrenza della curva C:
Z Z
F · dr = − F · dr (A.4)
C −C
67
68 APPENDICE A. OPERAZIONI SUI CAMPI VETTORIALI
∂η(u, v)
Tu = (A.6)
∂u
∂η(u, v)
Tv = (A.7)
∂v
L’espressione vettoriale di un integrale di superficie richiede l’introduzione di un
vettore superficiale S di modulo pari alla superficie considerata, direzione normale ad
essa e orientamento opportunamente definito: se si considera una superficie S rego-
lare, aperta, assegnata dall’equazione parametrica η(u, v) il verso positivo del vettore
superficiale in un dato punto coincide con l’orientazione del versore normale
Tu ×Tv
n= (A.8)
|Tu ×Tv |
Se S è una superficie chiusa, ossia è la frontiera di una regione solida V , si scieglie con-
venzionalmente come orientazione positiva quella secondo la quale il versore normale
è uscente dal volume V .
Se F(r) è un campo vettoriale continuo definito su una superficie orientata di
equazione parametrica η(u, v), con versore normale n, si definisce integrale di su-
perficie (o flusso) di F su S la quantità
ZZ ZZ ZZ
F · dS = F · ndS = F · (Tu ×Tv ) dA (A.9)
S S D
Operatori differenziali
B.1 Gradiente
Data una funzione scalare f (x, y, z) il suo gradiente è un campo vettoriale su ℜ3 dato
da:
∂f ∂f ∂f
∇f = î + ĵ + k̂ (B.1)
∂x ∂y ∂z
B.2 Rotore
Dato un campo vettoriale F = Fx î + Fy ĵ + Fz k̂ su ℜ3 , se esistono le derivate parziali
prime di Fx , Fy e Fz è possibile definire il rotore di F come un vettore la cui compo-
nente nella direzione del versore n, normale alla superficie S di cui il cammino chiuso
C è il contorno, soddisfi l’equazione:
1
I
rotF · n = lim F · dr (B.2)
S→0 S C
∂Fz ∂Fy ∂Fx ∂Fz ∂Fy ∂Fx
⇒ rotF = − î + − ĵ + − k̂ (B.3)
∂y ∂z ∂z ∂x ∂x ∂y
Dal punto di vista formale il rotore può essere definito come il prodotto vettoriale
dell’operatore ∇ con il campo vettoriale F:
î ĵ k̂
∂ ∂ ∂
rotF = ∇×F = (B.4)
∂x ∂y ∂z
F Fy Fz
x
69
70 APPENDICE B. OPERATORI DIFFERENZIALI
B.3 Divergenza
Dato un campo vettoriale F = Fx î + Fy ĵ + Fz k̂ su ℜ3 , se esistono le derivate parziali
prime di Fx , Fy e Fz è possibile definire la divergenza di F come la funzione scalare
in tre variabili data da:
1 ∂Fx ∂Fy ∂Fz
I
divF = lim F · dS = + + (B.5)
V →0 V S ∂x ∂y ∂z
dove V rappresenta il volume racchiuso dalla superficie S. Dal punto di vista formale la
divergenza può essere definita come il prodotto scalare dell’operatore ∇ con il campo
vettoriale F:
divF = ∇·F (B.6)
Un campo F tale che divF = 0 si definisce solenoidale o incomprimibile.
B.4 Laplaciano
Data una funzione scalare f (x, y, z) il suo Laplaciano è una funzione scalare definita
come:
∂2f ∂2f ∂2f
∇2f = 2
+ 2 + 2 (B.7)
∂x ∂y ∂z
L’operatore Laplaciano può essere esteso anche a campi vettoriali F = Fx î+Fy ĵ+Fz k̂
su ℜ3 e, in tal caso, esso opera su ciascuna componente:
Dal punto di vista formale il Laplaciano può essere definito come divergenza di un
gradiente:
∇2f = div(∇f ) = ∇·∇f (B.9)
• Divergenza
B.6. COMBINAZIONI DI OPERATORI DIFFERENZIALI 71
• Rotore
1. ∇×(F1 + F2 ) = ∇×F1 + ∇×F2
2. ∇×(ψF) = ψ∇×F + ∇ψ×F
3. ∇×(F1 ×F2 ) = F1 · ∇·F2 − F2 ∇·F1 + (F2 · ∇)F1 − (F1 · ∇)F2
♣ Dimostrazione
î ĵ k̂
∂ ∂ ∂
∇×∇f = ∂x ∂y ∂z = (B.11)
∂f ∂f ∂f
∂x ∂y ∂z
2
∂ 2f
2
∂2f
2
∂ 2f
∂ f ∂ f ∂ f
= − î + − ĵ + − k̂ = (B.12)
∂y∂z ∂z∂y ∂z∂x ∂x∂z ∂x∂y ∂y∂x
= 0î + 0ĵ + 0k̂ = 0 (per il teorema di Clairaut) 2
Il teorema sopra enunciato permette quindi di concludere che, se il campo vettoriale
F = ∇f , allora F è conservativo.
♣ Dimostrazione
∂ ∂Fz ∂Fy ∂ ∂Fx ∂Fz ∂ ∂Fy ∂Fx
∇·(∇×F) = − + − + − =
∂x ∂y ∂z ∂y ∂z ∂x ∂z ∂x ∂y
(B.14)
72 APPENDICE B. OPERATORI DIFFERENZIALI
∂ 2 Fz ∂ 2 Fy ∂ 2 Fx ∂ 2 Fz ∂ 2 Fy ∂ 2 Fx
= − + − + − =0 (B.15)
∂x∂y ∂x∂z ∂y∂z ∂y∂x ∂z∂x ∂z∂y
(per il teorema di Clairaut) 2
Il teorema sopra enunciato permette quindi di concludere che, se il campo vettoriale
F = ∇×C, allora F è solenoidale.
Le due proprietà sono strettamente collegate tra loro: un’integrale di linea è indipen-
dente dal cammino se e solo se l’integrale di circuitazione è nullo su qualsiasi cammino
chiuso C.
Se F è un campo vettoriale continuo in una regione D aperta (tale da non contenere
punti di frontiera) e connessa (tale per cui due punti qualsiasi di D possano essere con-
giunti da un cammino interamente contenuto in D stesso) e se l’integrale di linea di F
è indipendente dal cammino in D, allora F è un campo vettoriale conservativo in D,
cioè esiste una funzione f tale che F = ∇f .
73
74 APPENDICE C. TEOREMI SUI CAMPI VETTORIALI