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Le donne al Sepolcro – Sr. Abir Hanna osa - Collegio S.

Monica – 23 marzo 2023

Meditazione biblica: Le donne al Sepolcro

La liturgia della settimana della Settimana Santa ci immerge nei racconti della passione e
morte di Gesù. Viviamo questa immersione ogni anno con più o meno coinvolgimento e
consapevolezza. Ma resta vero che tale evento ha la pretesa di voler essere centrale nella
nostra vita, d’altra parte anche noi abbiamo scommesso la nostra vita sulla centralità di Gesù
e sul mistero pasquale. Questi giorni quindi si presentano fondamentali nel nostro cammino
esistenziale e di fede-fiducia. Il fatto poi che tutto si vive nella liturgia: narrazione,
celebrazione e partecipazione, ci ricorda la dimensione ludica della liturgia che è importante
da recuperare in quanto ne va della qualità della nostra partecipazione. La narrazione dei
vangeli ha il potere di tirarci dentro al mondo del testo, mentre la liturgia crea ci offre la
condizione di possibilità perché ciò che ascoltiamo e i gesti che compiamo diventino
celebrazione effettiva della realtà narrata a patto di accettare di metterci in gioco, di metterci
al seguito.
Per questa nostra meditazione ho scelto di metterci al seguito delle donne che si recano al
sepolcro. Provando appunto a metterci in gioco di fronte alla realtà del Triduo e della
Risurrezione, s’impongono alla nostra fede e alla nostra vicenda umana alcune domande che
semplificando esprimerei così:

1- Quale posizione avrei preso io se fossi stato/a lì, mentre tutto ciò accadeva?
2- Nei giorni intorno alla prima Pasqua, quale delle reazioni narrate avrei fatto mia?
La risposta non può essere automatica ma richiede un’immersione in questi testi.
- La Risurrezione nell’esposizione di Paolo non porta le tracce della Tomba Vuota,
sottolinea piuttosto attraverso l’annuncio del Kerygma, la potenza creatrice di Dio che
farà risorgere anche noi. Il suo concetto è quello del seme e della pianta, della
trasformazione. Ma noi oggi non seguiremo questa pista.
- L’altra tradizione della fede è quella delle donne e la tomba vuota che troviamo nel
racconto di tutti i 4 Evangelisti. O meglio i vangeli non usano l’espressione “Tomba
vuota” che dobbiamo invece al Crisostomo nell’omelia 89 sul vangelo di Matteo.
Parlano invece del corpo di Gesù che “non è qui”. (per comodità useremo
l’espressione della tomba vuota)

Perché metterci al seguito delle donne? Che cosa ci consegna il loro racconto?
Come tocca le nostre relazioni e il nostro destino ciò che è accaduto a Gesù e quello che le
donne scoprono il mattino di Pasqua?

Il nostro cammino è guidato dal brano di Marco 16,1-8 attraverso il racconto della
tomba vuota. Un’impresa rischiosissima, ma resta pur vero che è l’unica tradizione disponibile
perché i vangeli ci forniscono questo racconto, insieme alle apparizioni del Risorto alle donne
e ai discepoli. L’esegesi fatta col metodo storico-critico ha speso fiumi di parole su questi

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racconti rimanendo intrappolata poi nel registro dell’alternativa del naturale e del
soprannaturale. Ma in questo nostro meditare ci serve una visione genuina di ambedue i
registri. Stare davanti agli eventi dei giorni della prima Pasqua tenendo conto del piano
teologico e di quello antropologico ci permette di guardare senza pregiudizio ai fenomeni
visionari, pneumatici ed estatici che si sono verificati, senza finire subito per paura dello
straordinario con termini magici come “leggenda” o “prodotto della comunità”.
Il racconto della tomba vuota, per sua natura reale (perché non rappresenta un racconto
isolato) e simbolica (perché la pietra rimossa per mano angelica diventa un oggetto simbolico
e spirituale non più una cosa nello spazio soltanto), va necessariamente letto come
illustrazione simbolica di un dato fondamentale della fede, altrimenti i testi più importanti del
cristianesimo si disgregano in prove che colpiscono per la loro ingenuità.

Accogliere la sfida

Ora l’immagine della tomba vuota mette al centro un tema scottante per l’umanità: la
domanda sulla vita oltre la morte e sulla risurrezione. È un tema ricorrente in tanti miti e
presentissimo nella domanda instancabile dell’umanità riguardo al destino ultimo delle
persone e delle relazioni. Tuttavia, mentre in tutti gli altri racconti da quelli egizi a quelli
mesopotamici e ugaritici, la prospettiva dell’azione viene sviluppata dal punto di vista
dell’”eroe”, in Mc 16,1-8, al centro dell’azione stanno le donne. Gesù è il presente-assente
in questo racconto. Per loro, non per Gesù morto e sepolto è chiusa la tomba; la domanda
di Mc 16,1-8 suona pertanto non come abbia fatto Gesù a risorgere, ma come hanno fatto le
donne (cioè come facciamo noi stessi) a conoscere che Gesù è Risorto?!
In questo andare delle donne al sepolcro ciò che è determinante non è il dato oggettivo (cioè
se Gesù sia risorto o come abbia fatto a risorgere) ma il processo dell’esperienza soggettiva.
Cioè come mi colloco di fronte alla realtà della risurrezione, in definitiva come fare a parlare
di esperienze che cambiano la vita, che segnano un passaggio?
L’umanità da tempi remoti ha creduto nell’immortalità e certamente ci consola credere e
sapere che qualcosa in noi non verrà distrutto, ma questo non toglie il dolore che proviamo
per la perdita delle persone che amiamo, né ci libera dall’angoscia della morte. L’esperienza
tremenda del Venerdì Santo mette in evidenza che è possibile distruggere tutto quello che
ci dà vita. Se le cose stanno così è difficile per noi sopportare la vita.
Per questo bisogna accompagnare la Maddalena e le sue compagne che vanno al sepolcro
il mattino di Pasqua. percorrendo questa via faremo anche come un cammino a ritroso capace
di portarci alla speranza.

Lettura del brano di Mc 16,1-8


Passato il sabato, Maria di Magdala, Maria di Giacomo e Salome comprarono olii aromatici
per andare a ungerlo. Molto presto, il primo giorno della settimana, al sorgere del sole
vennero al sepolcro. Dicevano tra sé: “Chi ci rotolerà via la pietra dall’ingressi del sepolcro?”.

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Alzando lo sguardo, videro che la pietra era già stata rotolata via. Era molto grande. Entrando
nel sepolcro videro un giovane seduto alla destra, avvolto in una veste bianca e si
spaventarono. Egli disse loro: “Non spaventatevi. Voi cercate Gesù, il Nazareno, che è stato
crocifisso. È risorto. Non è qui. Ecco il luogo dove lo avevano posto. Andate a dire ai suoi
discepoli e a Pietro che egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi aveva detto”. Uscite
esse fuggirono dal sepolcro; erano infatti piene di terrore e di stupore. E non dissero niente
a nessuno. Erano infatti intimorite.

Un’impresa improbabile

Passato il sabato… chissà come abbiano potuto vivere quel sabato queste donne, come
avranno potuto attendere e di cosa era fatta la loro attesa? Comprano gli aromi, vanno per
ungere un corpo dilaniato deposto lì da due notti e ora siamo già all’inizio del terzo giorno.
È un’impresa assurda e poco organizzata visto che comprano l’occorrente all’ultimo minuto
e forse sbagliano anche strumenti, dato che prendono aromi anziché unguenti come è solito
fare. Soprattutto stanno andando ad un sepolcro chiuso con una grande pietra come ci
ricorda Marco e non sanno chi le può aiutare a spostarla!
Ma è un errore? Forse speravano ci fosse qualcuno dei suoi amici spariti nel momento della
sua consegna? O è una scelta dettata da un amore che non si attarda a fare troppi conti
perché non sa stare lontano dall’amato e ora che non è più possibile incontrarlo, sentirlo e
vederlo corre all’alba per stare lì dove è stato deposto, in un sepolcro. E che cosa c’è di più
sicuro di un sepolcro, di una lapide che ci dice: qui c’è la persona che ami! È il luogo del
ricordo per antonomasia.
Che le donne di cui ci parla Marco non sappiano stare lontano, Maro ce lo dice da subito.
Con l’inizio della passione di Gesù piano piano gli uomini spariscono ed emergono figure
che fino a questo momento sono state poco rilevanti. Qualcuna addirittura mai citata prima,
eppure ora Marco ci fa sapere che esse lo seguivano da tempo, che lo avevano
accompagnato qui dalla Galilea. Una fra tutte è Maria Maddalena che troviamo in tutti i 4
vangeli nel momento della Risurrezione, tanto che diventa la figura più autorevole
dell’annuncio della Risurrezione. Ora queste donne, Mc ci dice che avevano visto tutto “da
lontano”, l’hanno visto soffrire, essere crocifisso e morire. Ma l’hanno anche seguito fino al
sepolcro dove Giuseppe d’Arimatea, un uomo giusto che aspettava il Regno, si era
premurato di prendere il corpo di Gesù per dargli sepoltura prima della notte_
contrariamente a quanto era previsto per un condannato a morte come un criminale. Questa,
infatti, era la condanna nella condanna per uno giudicato malfattore e considerato un
maledetto da Dio (Dt 21,22-23) perché appeso al legno. Il suo corpo doveva rimanere lì
appeso ed esposto agli uccelli rapaci per poi essere gettato in una fossa comune. Giuseppe
non permette che ciò accada e si immischia in questa faccenda esponendosi di persona,
prendendo posizione davanti a Pilato e al Sinedrio per dare sepoltura a Gesù prima della
notte. Ma anche questo momento non sfugge allo sguardo e alla cura delle donne che

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continuano a seguirlo e fissano nella loro mente e nei loro occhi dove e come viene posto.
Assistiamo al loro stare lì “da lontano” che progressivamente diventa un’estrema vicinanza.
Queste tre donne, Maria di Magdala, Maria la madre di Giacomo e Salome, soltanto loro
resistono al mondo maschile della distruzione e del potere con la loro semplice presenza.
Sono anche loro a diventare le prime testimoni della Risurrezione di Gesù in Mc.
La parola decisiva che il cristianesimo rivolge al mondo è specificamente un messaggio di
donne! Ma perché affidare a delle donne tale annuncio quando la loro testimonianza era
ritenuta inaffidabile per la loro natura leggera e fallibile come asserisce Giuseppe Flavio?
C’è forse qualcosa nel loro essere che s’impone sopra la logica delle leggi?

Le donne appaiono fin dai tempi remoti fortemente segnate, nel loro stesso corpo,
da una fiducia nel potere della vita. Sono abituate a fare i conti con il mistero dell’invisibile.
L’origine della vita stessa, il suo morire, il suo rinascere nel corso naturale rivela l’esistenza di
un segreto col quale le donne sono per essenza più in confidenza rispetto agli uomini. Non
a caso tanti simboli della vita eterna che l’umanità ha sviluppato si legano alla vita della
donna. Il mistero della vita racchiuso nel corpo della donna, grazie alla gestazione e al parto,
ha accresciuto nella storia dell’umanità la certezza che la vita è indistruttibile.
Forse spinte da questa inconscia convinzione, le vediamo arrivare verso la tomba, al mattino
presto, il primo giorno della settimana, al sorgere del sole. Mc moltiplica i riferimenti al tempo
quasi per fissare questo momento che sfugge da tutte le parti ed eccede la nostra
comprensione. Vengono per salvare almeno il ricordo di quell’uomo che ha cambiato
radicalmente la loro vita, che le aveva restituite a loro stesse. Mentre stanno arrivando si
pongono una domanda angosciante: “chi rotolerà la pietra per noi?”. Quella pietra così
pesante sembra mettere in evidenza un “chi” che rende palpabile una solitudine generata
dalla morte, uno stare con le spalle scoperte. Allo stesso tempo riecheggia della domanda
che i figli di Israele si pongono nel primo versetto del libro dei giudici a seguito della morte
di Giosuè: “Chi salirà per noi per combattere contro il cananeo affinché noi possiamo
ereditare la terra?”. Domanda alla quale Dio stesso risponderà dicendo che sarà Giuda a
salire per prendere la terra in eredità. Giuda sarà la tribù dalla quale Gesù stesso discenderà.
Anche a questo “chi” delle donne la risposta arriva da Dio stesso, che anticipa il loro arrivo,
perché non appena le donne alzano lo sguardo vedono la pietra già rotolata. L’angoscia di
tale domanda è legata a ciò che hanno vissuto nella crocifissione: se è possibile distruggere
in questo modo colui che ha salvato la loro vita e la vita di molti altri, come sarà possibile
continuare a vivere? Eppure, ciò che hanno sperimentato nel legame con questo uomo tiene
incredibilmente oltre ogni distruzione. Perché loro stesse hanno provato nel loro intimo il
riverbero della vita ogni volta che l’hanno sentito parlare, ogni volta che l’hanno visto
infuocarsi per l’ingiustizia che vedeva attorno a lui, ogni volta che si è commosso nel vedere
il popolo come pecore senza pastore.
Come è possibile che il giusto venga distrutto così e venga appeso come un
maledetto?

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La fedeltà di queste donne non nasce dai costumi, ma dal loro legame con Gesù che non sa
arrendersi alla morte. E quindi vanno al sepolcro, ma arrivano e ciò che poteva essere la loro
unica certezza e consolazione, cioè prendersi cura del suo corpo, anche questa svanisce
perché non lo trovano. Le accoglie invece un giovane avvolto di lenzuolo bianco seduto a
destra, e si spaventano. Il giovane si affretta subito a dir loro di non spaventarsi e rivela loro
di sapere perché fossero lì: “cercate Gesù il Nazareno, il Crocifisso”. Il giovane ci rivela
qualcosa che forse neanche le donne sapevano bene. Loro non venivano semplicemente a
fare visita ad una tomba, ma venivano in ricerca, cercavano Gesù! Il giovane mostra di sapere
bene in che stato si trovano e cosa sperano, ma ci rivela anche il loro profondo sentimento
del momento (lo spavento). E continua dicendo: “è risuscitato non è qui, ecco il luogo dove
l’avevano posto” (v.6b).

Risurrezione, quale accessibilità?

Come mai questo profondo stato di spavento?


Mc esprime questo loro stato con lo stesso verbo che usa per Gesù nel Getsemani (εκθαμβεω,
εξεθαμβὴθησαν). È un verbo che si trova solo in Mc, sempre al passivo, e solo in due
circostanze: per Gesù nel Getsemani e qua per le donne davanti al sepolcro vuoto. Non è un
semplice sentimento di paura, ma è uno stato profondo di sentirsi radicalmente scossi,
provocato da qualcosa di esterno che stravolge una intima convinzione che uno ha ed esige
una presa di posizione. La scelta di Marco di usare lo stesso verbo per queste due situazioni
non può essere casuale. Le donne di fronte alla tomba vuota sono poste di fronte ad una
visione che impone loro di decidersi, non tanto riguardo a ciò che vedono, ma a ciò che non
vedono. Chi è responsabile dell’assenza del corpo di Gesù? È stato trafugato oppure c’è qui
la mano di qualcun altro? La caduta delle certezze a cui si erano rassegnate, un corpo, un
sepolcro, una unzione…le pone nella stessa situazione in cui Gesù si era trovato nel
Getsemani quando si è giocato il tutto per tutto scommettendo sul Padre. Mc ci mette nella
condizione di cogliere che le donne e ciascuno di noi sarà in grado di interpretare il senso
della tomba vuota, solo a partire dal Getsemani, dalla propria Getsemani. M che cosa avviene
nel Getsemani? O forse la domanda necessaria che la Getsemani stessa ci pone, potrebbe
suonare così: È possibile restare persone e compiere la nostra identità quando sappiamo di
dover morire?
A questo interrogativo profondo della vita umana, Gesù ha cercato di rispondere con tutta la
sua persona. Per questo per vedere aperta la tomba di Gesù e per notare il giovane interprete
di Dio che scende a rotolare la pietra dall’ingresso del sepolcro, bisogna avere assolutamente
davanti agli occhi il modo in cui Gesù morì.

Il paradosso della lontananza


Nel suo racconto del Getsemani Mc ci mostra Gesù in compagnia dei discepoli e ci
dice che Gesù comincia a spaventarsi e ad angosciarsi, si getta a terra e prega il Padre per

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tre volte. Da ora in poi la sua solitudine diventerà assoluta. Degli amici non rimarrà nessuno
se non quel gruppo di donne che lo segue da lontano. Ma “da lontano” lo segue anche
Pietro che progressivamente, più che rinnegare Gesù lo vediamo negare la sua identità in
relazione al suo legame con Gesù. L’agonia di Gesù si gioca dentro ad un legame preciso
che staglia sempre di più la sua identità di Figlio e la rende sempre più drammaticamente
evidente. Gesù da quel legame non si sposta neanche di un centimetro. Nell’interrogatorio
che gli viene fatto da parte del sinedrio, Mc ci fotografa un Gesù che non si difende davanti
alle false testimonianze o riguardo alle sue opere, ma ad una sola domanda non riesce a
rimanere in silenzio: “Sei tu il Cristo, il figlio del Benedetto?”. “Sono Io”. Una cosa Gesù non
vuole tacere: l’affermazione della sua identità di figlio in relazione al Padre. Un padre che
paradossalmente quanto più Gesù lo menziona e tanto più sembra lontano.
Il “da lontano” delle donne e quello di Pietro ci sembrano quasi comprensibili, ma c’è
un “da lontano” del Padre che ci urta. Dov’è il Padre in tutto questo? Quello che rimane
evidente fino alla fine è che il Padre sembra presente solo in quello che Gesù rende presente
di lui, il suo nome! Negli ultimi istanti sulla croce, Gesù grida il nome del Padre Elohi, Elohi
lemà sabactàni? In quel grido disarticolato di uno che muore torturato, il figlio fissa il nome
del Padre per sempre nelle nostre orecchie, Elohì, Dio mio e non più Elohim, un nome
collettivo di un dio impersonale. Da allora Dio assumerà un volto preciso, quello del Padre!
Ma quel nome non viene capito da tutti e pensano che stia chiamando Elia. Il profeta che
sterminò i 450 profeti del Baal in nome della legge. I soldati gli vogliono porgere la bevanda
inebriante che usavano i falsi profeti per andare in estasi. Ma Gesù dando un grido forte spirò.
Vedendolo spirare in quel modo il centurione dice: “Davvero questo uomo era Figlio di Dio”.
E uno si chiede: ma in quel modo, come? Che cosa avrà visto e sentito quel centurione tanto
da darci la terza affermazione del vangelo di Mc riguardo all’identità di Gesù come Figlio di
Dio. Le prime due affermazioni sono pronunciate dal Padre nel momento del Battesimo
(Mc1,1) e nella trasfigurazione (Mc 9,7), ma la terza Mc ce la mette sulla bocca di un pagano.
Un altro che “da lontano” assume la bocca di Dio.
In qualunque modo Gesù sia spirato, quello che è certo è che in quel momento e in quel
modo di spirare di Gesù, la sua relazione con il Padre si è resa visibile così tanto da essere
percepita da un soldato romano, ignaro di tutta la storia di Gesù e della salvezza.
Proprio qui, dopo questa professione del centurione, Mc ci informa che le donne erano anche
loro presenti là e osservavano tutto “da lontano” (Mc 15,40). È un punto di lontananza che le
renderà così partecipi da diventare vicinissime. Soltanto loro in quell’ora morirono nell’anima
insieme con lui e perciò soltanto loro sono in condizione di vedere quello che è il senso reale,
il significato autentico del Venerdì Santo e della Pasqua: la morte non esiste più!
Che cosa avrebbero da dirci ancora i sepolcri?

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Un finale aperto

Alle donne verrà affidata una missione: Andate a dire ai suoi discepoli e a Pietro che vi
precede in Galilea; là lo vedrete, come vi ha detto”. I discepoli e Pietro non sono destinati a
rimanere in quella dimensione indicata con il “da lontano”, il loro fallimento non è l’ultima
parola, l’ultima parola è la promessa di Dio che richiede di essere assunta proprio a partire
da quel luogo di lontananza, dal punto più distante e più estremo in cui ci troviamo, appunto
dalla Galilea delle genti. Forse anche quella lontananza espressa dal padre nel momento
della croce, non era altro che stare nel punto più estremo rispetto al Figlio, affinché tutti
possiamo stare dentro, in quello spazio che intercorre tra loro due, cosicché nessuno rimane
fuori.
“E, uscite, fuggirono via dal sepolcro, perché erano prese da tremore e stupore, e
non dissero niente a nessuno: erano infatti intimorite”.
Stupisce e lascia di stucco questo versetto della chiusa breve di Mc. Si rimane in difficoltà
riguardo alla sua interpretazione. Ma Marco non vuole illudere nessuno, non c’è nessun
trionfalismo in questa risurrezione, piuttosto siamo posti di fronte a tutta la drammaticità che
è racchiusa in essa. Da un lato il messaggio delle donne, che non ci fornisce un’informazione
su un’altra vita dopo la morte; la loro esperienza descrive piuttosto come la nostra vita può
trasformarsi da un perenne andare ai sepolcri, in un pellegrinaggio verso la Galilea dove tutto
può avere un nuovo inizio. Dall’altro, il soldato romano ci offre l’unico punto di vista da cui
cogliere la vicenda di un Figlio e di un Padre, che si articola in un continuo e reciproco
chiamarsi per nome, dove ognuno gioca il tutto per tutto fidandosi dell’altro.
Non è un azzardo o frutto di mera immaginazione dire che il Padre abbia risuscitato il Figlio
chiamandolo per nome. Proprio nel vangelo di Mc 5,41 sentiamo Gesù risuscitare una ragazza
chiamandola: Talita Qum. Così avrà fatto il Padre: Gesù, figlio mio, alzati!
E noi ci troviamo tirati dentro, coinvolti fino al midollo e resi messaggeri di qualcosa che non
comprendiamo fino in fondo. Proprio questo ci spiega perché l’immagine fondamentale della
risurrezione è una tomba vuota, che se da un lato indica la vittoria del Figlio e del Padre
grazie alla custodia reciproca del nome, dall’altro indica l’incertezza dell’esito finale, che
aspetta la nostra risposta. Non soltanto nel momento che sarà, ma già ora.
“La Tomba vuota resta un posto aperto per ciascuno, in attesa di sapere se per ciascuno il
nome del Padre potrà essere la custodia del proprio nome”.

Come usciremo da questo sepolcro? Dai tanti sepolcri della nostra vita? Il nostro nome è
affidato ad una lapide sepolcrale oppure è custodito nel nome del Padre?
Saremo capaci di legare il nostro nome al suo?
Saremo capaci di pronunciare il suo nome nel nome del Figlio?

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