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Patrick O'Brian

La Nave Corsara
The Letter of Marque © 1988

Mariae duodecies sacrum

CAPITOLO I
Fin da quando era stato allontanato dalla marina, fin da quando il suo
nome, con l'anzianità ormai priva di significato, era stato depennato
dall'elenco dei capitani di vascello, Jack Aubrey aveva la sensazione di
vivere in un mondo radicalmente diverso; ogni cosa restava per lui del
tutto familiare, dall'odore dell'acqua di mare e del sartiame incatramato
fino al movimento gentile del ponte sotto i piedi, ma l'essenza era svanita
ed egli non era che un estraneo.
Forse altri comandanti cacciati dal servizio, condannati da una corte
marziale, si trovavano in condizioni peggiori delle sue, e in verità ne aveva
accolti a bordo un paio che, tra tutti e due, non possedevano nemmeno una
cassa da marinaio; rispetto a loro poteva dirsi eccezionalmente fortunato.
Ma se questo pensiero avrebbe potuto essere un conforto per la mente, non
lo era affatto per il suo cuore. Né lo era il fatto che fosse innocente del
reato per il quale era stato condannato.* [* Cfr. Patrick O'Brian, Il
rovescio della medaglia, Longanesi, Milano, 2001. (N.d.T.)]. Tuttavia non
si poteva negare che dal punto di vista materiale egli si trovasse piuttosto
bene. La sua vecchia, ma bella, fregata, la Surprise, era stata venduta dalla
marina e Stephen Maturin l'aveva comprata come nave da guerra privata, o
nave con patente per la guerra di corsa, allo scopo di combattere il nemico;
e Jack Aubrey ne era il comandante.
La Surprise era in quel momento su una sola ancora a Shelmerston, un
piccolo porto fuori mano, con una brutta secca e un pericoloso
ribollimento di marea, un porto evitato dalle navi della marina e dai
mercantili, ma molto frequentato da contrabbandieri e corsari, dei quali si
vedevano i velieri veloci, arroganti, rapaci, ormeggiati lungo la banchina.

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Girando su se stesso nel suo andirivieni meccanico sul lato destro del
cassero, Jack lanciò un'occhiata all'abitato e una volta di più cercò di
capire che cosa rendesse Shelmerston così simile agli insediamenti di pirati
e bucanieri che aveva visto molto tempo prima nelle parti più remote delle
Indie Occidentali e nel Madagascar, quando era un giovanissimo allievo a
bordo di quella stessa Surprise. Shelmerston non possedeva ondeggianti
palme da cocco, né spiagge coralline abbaglianti, eppure la somiglianza
esisteva; forse a dare quell'impressione erano le taverne grandi e
appariscenti, un'aria di negligenza e di denaro facile, le numerosissime
prostitute e la sensazione che soltanto una squadra di arruolatori
singolarmente decisa e ben armata avrebbe osato avvicinarvisi. Notò anche
due imbarcazioni che si erano staccate dal molo per raggiungere la
Surprise e che facevano a gara per arrivare prime; in nessuna delle due,
però, si vedeva il dottor Maturin, il chirurgo della nave (soltanto pochi
sapevano che ne era anche il proprietario), il quale avrebbe dovuto essere a
bordo quel giorno. Al timone di una delle due imbarcazioni stava una
ragazza straordinariamente graziosa, con i capelli color rame, appena
arrivata nella cittadina dove evidentemente si trovava benissimo; era la
favorita tra i corsari e gli uomini rispondevano ai suoi strilli di incitamento
con tale entusiasmo che un remo si ruppe. Sebbene non potesse in verità
essere ritenuto un frequentatore di bordelli, Jack Aubrey non era nemmeno
un uomo molto casto; dalla sua prima giovinezza e fino a quel momento
aveva sempre tratto un grandissimo piacere dalla bellezza femminile, e
quella giovane piena di vita era bella in modo assurdo, là, in piedi quasi,
animata da una viva emozione. Ma adesso si limitò a prenderne atto e, con
un'indifferenza genuina, disse a Tom Pullings: «Non lasciate salire a bordo
quella donna. E prendete soltanto tre dei migliori».
Continuò la sua passeggiata pensierosa mentre Pullings, il nostromo, il
capocannoniere e Bonden, il timoniere del comandante, mettevano alla
prova i nuovi arrivati. Dovevano correre a riva, i loro tempi registrati per
mezzo di un'ampolla da solcometro, mollare e imbrogliare un velaccio,
manovrare e puntare un cannone, sparare con un moschetto a una bottiglia
appesa alla varea di un pennone e fare un piede di pollo doppio sotto gli
occhi di una folla di marinai esperti. Di regola completare l'equipaggio di
una nave del re era una faccenda piena d'ansia, con il servizio di
arruolamento che faceva ciò che poteva, con preghiere e suppliche per
avere un contingente, talvolta di criminali comuni provenienti dalle navi

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caserma, e con le scialuppe che incrociavano nella Manica per prelevare
uomini dai mercantili diretti in patria o dalle cittadine della costa, spesso
con un successo così scarso che si era costretti a prendere il mare con un
centinaio di uomini in meno degli effettivi previsti. Lì a Shelmerston al
contrario pareva che la Surprise si stesse equipaggiando in paradiso. Non
soltanto viveri e scorte affluivano come una marea da fornitori disponibili
e competitivi, i cui magazzini ben provvisti si allineavano lungo la
banchina, ma non vi era nessun bisogno di arruolare a forza gli uomini,
nessun bisogno di sollecitazioni, di battere la grancassa per convocarli.
Jack Aubrey era conosciuto da lungo tempo tra i marinai come un
comandante di fregata di grande successo, un combattente
eccezionalmente fortunato nella cattura delle prede, tanto da meritare il
soprannome di Jack Aubrey il Fortunato; e alla notizia che la sua fregata,
un magnifico veliero, se ben manovrato, sarebbe stata trasformata in una
nave armata per la guerra di corsa al suo comando, gli uomini delle altre
corsare si erano precipitati per offrire i loro servigi. Poteva scegliere il
meglio del meglio, il che non accadeva mai sulle navi della marina in
tempo di guerra; e ora gli mancavano soltanto tre uomini per completare
gli effettivi. Molti tra i gabbieri e i sottufficiali avevano già navigato sulla
Surprise e, rimasti senza impiego quando la fregata era stata ceduta dalla
marina, erano evidentemente riusciti a sfuggire alle squadre
dell'arruolamento forzato, anche se il comandante aveva forti sospetti che
parecchi di loro avessero disertato da altre navi del re, in alcuni casi con la
connivenza di comandanti suoi amici, quali Heneage Dundas, per esempio:
e naturalmente si trovavano a bordo anche quelli che seguivano
abitualmente il comandante Aubrey, come il famiglio, il timoniere e alcuni
altri che non lo avevano mai lasciato. Una parte degli uomini che non
conosceva proveniva da mercantili, ma il grosso era costituito da
contrabbandieri e corsari, marinai espertissimi, lupi di mare indipendenti, i
quali, pur non molto abituati alla disciplina e ancor meno alle sue forme
esteriori, sebbene tutti o quasi fossero stati arruolati di forza nella marina
in un momento o nell'altro della loro vita, erano tuttavia desiderosi di
servire sotto un comandante che rispettavano. E in quel momento Jack
Aubrey, agli occhi di un corsaro, era un comandante ancora più degno di
rispetto di quanto egli stesso non avrebbe potuto supporre: pur smagrito,
aveva le spalle larghe ed era ancora ben più alto della media; la faccia
aperta, florida, allegra si era fatta più vecchia, meno piena, segnata e seria,

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con una traccia di durezza latente, e chiunque fosse aduso ai modi bruschi
del mare capiva immediatamente che non era una faccia con la quale si
potesse scherzare: contrariato, un uomo così avrebbe reagito senza un
istante di preavviso e al diavolo le conseguenze; un uomo pericoloso
perché indifferente a tutto, ormai.
Probabilmente la Surprise aveva così un equipaggio più efficiente, più
esperto di ogni altro vascello della sua stessa stazza, un fatto che avrebbe
dovuto riempire di gioia il cuore del suo comandante: e in verità, quando
rifletteva su questo, avvertiva un certo piacere cosciente e la gioia che il
suo animo poteva contenere: ben poca. Si sarebbe detto che il cuore del
comandante Aubrey si fosse chiuso ermeticamente, così da poter accettare
la sua disgrazia senza spezzarsi, e che quella chiusura ermetica lo avesse
reso eunuco per quanto riguardava le emozioni. Una spiegazione troppo
semplice, forse, ma laddove il comandante Aubrey, al pari del suo eroe
Nelson e di tanti suoi contemporanei, era stato in certo modo incline a
commuoversi, se aveva pianto di gioia in testa d'albero al suo primo
comando, se le lacrime avevano talvolta bagnato la parte inferiore del suo
violino in passaggi particolarmente emozionanti e singhiozzi prorompenti
lo avevano scosso a molti funerali di suoi compagni in mare e sulla
terraferma, egli era diventato ormai così duro e incapace di piangere che
più non sarebbe stato possibile. Aveva detto addio a Sophia e ai bambini
ad Ashgrove Cottage soltanto con una stretta in gola, il che aveva reso i
suoi addii penosamente aspri e privi di sentimento. E in quanto al violino,
giaceva nella sua custodia cerata, senza essere stato toccato da quando il
comandante era salito a bordo.
«Questi sono i tre uomini migliori, signore, prego», annunciò Pullings,
togliendosi il cappello. «Harvey, Fisher e Whitaker.»
I marinai si toccarono la fronte, tre cugini con lo stesso naso lungo e
facce segnate dalle intemperie, facce piene di esperienza, tutti e tre
contrabbandieri e magnifici lupi di mare - nessun altro avrebbe potuto
superare il breve ma severissimo esame -, e, guardandoli con una certa
soddisfazione mascherata, Aubrey fece loro questo discorsetto: «Harvey,
Fisher, Whitaker, sono contento di avervi a bordo. Ma sapete che siete solo
in prova e che dovrete superare la visita del chirurgo?» Lanciò un'occhiata
alla banchina, ma non vide nessuna scialuppa del chirurgo. «E conoscete le
condizioni per quanto riguarda la paga, la suddivisione delle parti, la
disciplina e le punizioni?»

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«Sì, signore, sarebbe che il nostromo ce le ha lette.»
«Molto bene, allora. Potete portare a bordo le vostre casse.» Riprese il
su e giù regolare, ripetendo: «Harvey, Fisher e Whitaker»; era dovere del
comandante ricordare i nomi dei suoi uomini e qualcosa della loro storia
personale, e fino a quel giorno non aveva incontrato nessuna difficoltà a
farlo, perfino su un vascello di linea con sei o settecento membri
dell'equipaggio. Naturalmente conosceva tutti i suoi vecchi compagni di
navigazione della Surprise, compagni non soltanto nell'ultima missione nel
lontano Pacifico,* [* Cfr. Patrick O'Brian, Ai confini del mare, Longanesi,
Milano, 2000. (N.d.T.)] ma in alcuni casi da molti anni; i nuovi però
sfuggivano alla sua memoria in modo vergognoso e spesso doveva fare
uno sforzo persino per ricordare chi fossero gli ufficiali. Non Tom
Pullings, ovviamente, un tempo suo allievo e attualmente comandante di
fregata a mezza paga della Royal Navy, magnifico marinaio, ma senza
nessuna speranza di ottenere una nave, il quale, in licenza a tempo
indeterminato, era adesso suo comandante in seconda; e nemmeno il
secondo e il terzo ufficiale, entrambi provenienti dalla marina reale,
uomini che conosceva abbastanza bene e di cui ricordava i processi
davanti alla corte marziale (West per duello e Davidge per una questione
complicata, una firma apposta senza esaminare i libri contabili di un
commissario di bordo disonesto); ma ricordava il nome del nostromo
soltanto grazie all'associazione con il suo aspetto massiccio; per fortuna
nessun carpentiere faceva obiezione a essere chiamato Truciolo e nessun
cannoniere Mastro cannoniere; e senza dubbio, col tempo, avrebbe
imparato a ricordare i nomi dei suoi nuovi sottufficiali.
Su e giù, su e giù, guardando la costa a ogni giro, sinché alla fine le
alghe scoperte sulla gomena e lo sciabordio dell'acqua non lo informarono
che avrebbe perso la preziosa marea, se non avesse preso il largo al più
presto. «Signor Pullings, portiamoci al di là della secca», ordinò.
«Aye, aye, sir», rispose Pullings. «Signor Bulkeley, tutti gli uomini a
salpare le ancore!» gridò.
I rapidi trilli dei fischietti e lo scalpiccio affrettato seguirono
immediatamente, a dimostrazione che gli uomini di Shelmerston erano
perfettamente consapevoli del pescaggio della fregata e della pericolosità
della secca. Il viradore fu portato al cabestano, le barre furono montate e
messe in forza rapidamente come se a manovrarle fossero tutti vecchi
marinai della Surprise, ma quando il cabestano cominciò a girare e la

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fregata scivolò nella rada verso la sua ancora, qualcuno intonò una
cantilena:

Vira, vira, la nave vira,


forza, oh, forza, oh,

cosa mai successa nella sua vita di nave del re, non essendo ammessi
nella marina da guerra i canti di lavoro. Pullings lanciò uno sguardo a
Jack, il quale scosse il capo, mormorando: «Lasciateli cantare».
Fino a quel momento non c'era stato cattivo sangue tra i vecchi marinai
della fregata e le nuove leve, ed egli avrebbe dato qualsiasi cosa o quasi
per evitarlo. Con Pullings aveva fatto del suo meglio per mescolare
squadre ai cannoni e turni di guardia, ma non aveva dubbi che l'elemento
di gran lunga più importante in quel rapporto stranamente pacifico tra due
gruppi dissimili fosse quella situazione senza precedenti: tutti gli
interessati, in particolare gli uomini della Surprise, sembravano stupefatti,
incerti su che cosa dire o pensare, non essendoci una formula pronta; e se
soltanto quello stato d'animo fosse durato fino a quando una burrasca di tre
o quattro giorni all'imboccatura di ponente della Manica o, meglio ancora,
un'azione vittoriosa non li avesse forgiati in un corpo unico, esisteva una
buona possibilità di fare della fregata una nave felice.
«A picco, signore!» annunciò West dal castello.
«Gabbieri di trinchetto!» disse Jack, alzando la voce. «Mi sentite
laggiù?» Avrebbero dovuto essere sordi come campane per non udirlo,
dato che il «laggiù» era riecheggiato forte e chiaro dalle facciate delle case
in fondo alla baia. «A riva!» Le sartie di trinchetto brulicarono di uomini
che si arrampicavano veloci. «Molla, molla.»
Gli imbrogli della gabbia furono sciolti fulmineamente dalla guardia di
sinistra, poi, senza bisogno di una parola, gli uomini corsero alle drizze. Il
pennone s'innalzò senza sforzo, la gabbia si gonfiò, la Surprise acquistò
l'abbrivo sufficiente a spedare l'ancora e, in una curva perfetta e agevole, si
diresse verso la secca dell'imboccatura, già di un brutto colore nel mare
verde grigio, orlata di bianco alle estremità.
«Ben al centro del canale, Gillow», disse Jack all'uomo alla ruota.
«Ben al centro del canale, sì, signore», confermò Gillow, un uomo di
Shelmerston, guardando a dritta e a sinistra e girando la ruota di una
caviglia o poco più.

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Una volta in mare aperto, la Surprise ripiegò le ali un'altra volta, mollò
l'ancora dal capone e filò un tratto di gomena sufficiente perché fosse
trattenuta dolcemente. Un'operazione semplice alla quale Jack aveva
assistito migliaia di volte, ma che gli procurò un certo piacere. Meglio
così, perché da parecchio tempo ormai un sentimento di indignazione per il
ritardo di Maturin andava crescendo nel suo animo: la sua enorme
disgrazia egli la poteva, se non accettare, perlomeno sopportare senza
lamentele o proteste, ma i piccoli contrattempi erano capaci di irritarlo,
come avevano sempre fatto, anzi molto di più, ed egli aveva già scritto un
biglietto da lasciare a terra, un biglietto di poche parole secche per
Stephen, nel quale gli dava un altro appuntamento dopo quindici giorni.
«Signor Davidge, vado sottocoperta», disse. «Se l'ammiraglio dovesse
doppiare il capo, vi prego di farmi avvertire subito.» L'ammiraglio Russell,
che viveva ad Allacombe, due cale più a sud, aveva fatto sapere che, vento
e tempo permettendo, si sarebbe concesso il piacere di fare visita al signor
Aubrey nel corso del pomeriggio, sperando che il signor Aubrey volesse
passare la serata ad Allacombe con lui: mandava i suoi complimenti al
dottor Maturin e, se fosse stato a bordo, sarebbe stato felice di vederlo.
«Certamente, signore», disse Davidge, soggiungendo più esitante:
«Come dobbiamo riceverlo, signore?»
«Come una qualsiasi altra nave da guerra privata», rispose Jack.
«Guardamano, naturalmente, ma niente di più.» Aveva orrore di
scimmiottare la marina, aveva sempre detestato l'imitazione degli usi della
Royal Navy sulle navi della Compagnia delle Indie e sulle corsare più
grandi e più ambiziose; e in quel momento era vestito con una giubba di
lana e un paio di pantaloni di tweed. D'altro canto era assolutamente deciso
a far sì che la Surprise, pur senza fiamma, ricami dorati, fanti di marina e
molte altre cose, fosse condotta come una vera nave da guerra in tutto ciò
che era essenziale, ed era abbastanza fiducioso che le due cose non fossero
inconciliabili.
Avrebbe dato un occhio della testa per evitare l'incontro con
l'ammiraglio Russell, ma aveva prestato servizio sotto di lui da allievo e
nutriva un grande rispetto e un vivo senso di riconoscenza per quell'uomo,
dal momento che doveva alla sua influenza il brevetto di ufficiale.
L'infelice invito, formulato nel modo più gentile e con le più gentili
intenzioni, non poteva essere rifiutato, ma Jack desiderava ardentemente
che Stephen fosse lì per aiutarlo a superare la serata. Al momento presente

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non aveva nessuna risorsa di gaiezza mondana cui attingere e paventava la
presenza di ospiti, in particolare di ospiti della marina, paventava la
partecipazione ai suoi sentimenti, di tutti tranne dei più intimi amici, e la
cortesia altezzosa e distante di quanti non lo avevano in simpatia.
Dalla cabina chiamò: «Killick! Killick!»
«Che c'è, ora?» rispose il famiglio in tono acuto e irritato dal punto in
cui era appesa la branda di Jack; e per amore della forma, soggiunse:
«Signore».
«La mia giacca verde bottiglia e un paio di brache decenti!»
«Sarebbe che le ho già prese, no? E per dieci minuti non ve le posso
dare, bisogna riattaccare tutti i bottoni.»
Né Killick, né Bonden avevano mai accennato al processo e alla
condanna del comandante Aubrey. Per quanto riguardava le cose
importanti, possedevano la grande delicatezza d'animo che Jack, dopo anni
e anni di esperienze comuni e di stretto contatto, sapeva di potersi
aspettare dal ponte di corridoio; nessuna manifestazione palese di
solidarietà, a parte la loro presenza attenta, e Killick era se mai ancor più
bisbetico del solito, per dimostrare che nulla era cambiato.
Lo si sentiva borbottare nella cabina dove il comandante dormiva: «...
dannato ago spuntato... c'era da diventare ricchi ad avere uno scellino per
tutti i bottoni che quella specie di vacca lardosa di Ashgrove aveva
attaccato male... nessuna idea di come si fissasse il gambo nel modo della
marina... e il filo non era del verde giusto».
A tempo debito, tuttavia, il comandante Aubrey, in un abito ben
spazzolato e stirato, aveva ripreso la sua abituale passeggiata solitaria sul
cassero, guardando ora la costa, ora il capo a sud.

*
Da quando era diventato ricco, Stephen Maturin era afflitto di tanto in
tanto da attacchi di avarizia. Per la maggior parte della sua vita era stato
povero e talvolta poverissimo, ma tranne quando l'indigenza gli aveva
impedito di soddisfare i suoi modestissimi bisogni, aveva tenuto in ben
poco conto il denaro. Eppure, ora che aveva ereditato dal suo padrino (il
migliore amico di suo padre, cugino in terzo grado della madre e ultimo
della sua doviziosa stirpe), ora che le pesanti cassette cerchiate di ferro,
contenenti l'oro di don Ramon, si stipavano nella cassaforte del suo

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banchiere al punto che quasi non si riusciva a chiuderne lo sportello,
Stephen stava improvvisamente attento anche agli spiccioli.
In quel momento camminava su una vasta distesa priva di vegetazione e
lievemente ondulata, procedendo svelto sul terreno soffice verso la
direzione del sole sorto da poco; culbianchi maschi dai colori brillanti nel
loro piumaggio migliore volavano di qua e di là; e naturalmente
innumerevoli allodole lassù in alto: una giornata rara. Era arrivato da
Londra con la diligenza lenta, scendendo a Clotworthy così da poter
tagliare attraverso i campi fino a Polton Episcopi, dove lo aspettava il suo
amico, il reverendo Nathaniel Martin; e di là avrebbero preso insieme la
vettura merci per Shelmerston dove li attendeva la Surprise, pronta a
salpare con la marea della sera. Secondo i calcoli di Stephen, in quel modo
avrebbe risparmiato ben undici scellini e quattro pence. Calcoli errati,
poiché, a dispetto delle sue grandi capacità in alcune materie, quali la
medicina, la chirurgia e l'entomologia, l'aritmetica non era tra queste e in
genere Stephen aveva bisogno di un angelo custode fornito di abaco per
moltiplicare per dodici; un errore non grave, tuttavia, dal momento che il
suo non era un caso di reale ingorda avarizia, bensì piuttosto di coscienza;
riteneva che nella ricchezza vi fosse un certa mancanza di decenza,
mancanza di decenza alla quale si poteva in piccola parte rimediare con
gesti di quella specie, restando fedeli alle proprie abitudini di vita modeste.
Rimediare solo in piccola parte, come ammetteva sinceramente con se
stesso, perché quegli attacchi erano saltuari e in altri momenti egli era ben
poco coerente: per esempio, di recente si era concesso il lusso di un paio di
mezzi stivali meravigliosamente morbidi, confezionati da un artigiano
eminente di St. James's Street, e quello addirittura peccaminoso di un paio
di calze di cachemire. Di norma portava pesanti scarpe dalla punta
quadrata, rese ancor più pesanti dal piombo nelle suole, perché senza
piombo, così riteneva, avrebbe avuto il piede troppo leggero; in verità, per
le prime tre miglia, aveva proceduto speditamente sul terreno erboso,
godendo coscientemente della facilità dei movimenti e del buon odore del
verde primaverile che riempiva l'aria. Ora, però, più o meno un furlong di
distanza davanti a lui, la figura di un uomo si drizzava stranamente scura
su quel pallido paesaggio orizzontale, abitato soltanto da remote e amorfe
greggi di pecore e da alte nuvole bianche che si muovevano dolcemente da
ovest sud-ovest; anche quell'uomo camminava sull'ampio terreno
alluvionale, segnato dal passaggio delle greggi e dai solchi tracciati da

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un'occasionale capanna su ruote di qualche pastore, ma procedeva assai
più lentamente di Stephen: non soltanto, ma a tratti si fermava del tutto e
gesticolava con grande veemenza, quando non si metteva a procedere a
balzi e salti. Giunto a portata di voce, Maturin si accorse che l'individuo
stava parlando, talvolta con foga, talvolta con estrema passione, per
assumere in certi momenti il tono acuto e trillante di una donna del bel
mondo: un uomo appartenente alla classe media, a giudicare dalle brache
blu e dalla giubba bordeaux, e che non mancava di una certa erudizione,
perché a un tratto si mise a gridare: «Ah, potessero quei cani mentitori
soffocare nei loro stessi escrementi!» in un greco rapido e senza esitazioni;
ma un uomo che certamente si credeva solo in quella verde mattina e che
si sarebbe sentito orribilmente mortificato dall'essere raggiunto da
qualcuno che certamente aveva udito le sue esclamazioni dell'ultima
mezz'ora.
Tuttavia non era possibile evitarlo: Brache Blu si fermava sempre più
spesso e, se non si fosse allontanato molto presto dal sentiero, a Stephen
non sarebbe rimasto che raggiungerlo oppure trascinarsi a quel passo
desolante, giungendo forse tardi all'appuntamento.
Stephen provò a tossire e perfino a emettere una specie di canto roco, ma
non servì a niente, e già si apprestava a sgattaiolargli accanto per superarlo
con tutto il contegno che fosse riuscito a darsi, quando Brache Blu,
fermandosi di botto, si voltò a guardarlo.
«Avete un messaggio per me?» gridò, quando Stephen fu a un centinaio
di iarde.
«No!» rispose Stephen.
«Chiedo venia, signore», disse Brache Blu a Stephen ormai vicino, «ma
aspetto un messaggio da Londra e, avendo lasciato detto a casa che mi
sarei recato nella mia valletta, credevo... Ma, signore», soggiunse,
arrossendo per l'imbarazzo, «temo di aver offerto un triste spettacolo di me
stesso, declamando mentre camminavo.»
«Assolutamente no, signore», affermò Stephen. «Molti parlamentari,
molti avvocati di mia conoscenza arringano l'aria senza darsene nessun
pensiero, nessun pensiero al mondo. E forse che Demostene non si
rivolgeva alle onde? Certamente è un comportamento naturale in molte
professioni.»
«Il fatto è che io sono uno scrittore», spiegò Brache Blu dopo che ebbero
percorso un po' di strada; e, in risposta alle domande cortesi di Stephen,

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disse che scriveva in massima parte storie del passato e romanzi in stile
gotico. «Ma in quanto al numero, oggetto della vostra gentile domanda»,
soggiunse, con un'espressione dolente, «temo che sia così piccolo che mi
vergogno a dirlo: non credo di aver pubblicato più di una ventina di opere.
Non che, badate bene», disse, con un salterello, «io non abbia concepito,
elaborato, composto interamente almeno dieci volte tanto, e proprio su
queste zolle erbose, racconti eccellenti, magnifici, che mi hanno fatto
ridere forte di piacere, anche se io sono un giudice parziale, lo confesso.
Dovete comprendere, però, signore, che ognuno ha il suo modo particolare
di comporre, e il mio è di recitare i miei pezzi ad alta voce mentre
cammino: trovo che il movimento fisico liberi dagli umori grassi e
incoraggi il flusso delle idee. Eppure, ecco dove sta il pericolo: se le
incoraggio con troppo vigore, se il mio brano è formato con mia piena
soddisfazione, giusto come ora ho appena concepito il capitolo in cui
Sofonisba rinchiude Rodrigo nella gabbia di ferro fingendo che sia per
gioco, e comincia a girare le viti che fanno uscire le punte acuminate, be',
allora è tutto fatto, finito, e la mia mente, la mia immaginazione rifiutano
di avere ancora a che fare con ciò: rifiutano perfino di metterlo per iscritto
o, se costrette, registrano soltanto un semplice elenco freddo di
dichiarazioni improbabili. Per me, l'unico modo di riuscire è arrivare
soltanto vicino al successo, a un coitus interruptus con la mia musa, se mi
perdonate l'espressione, per poi correre a casa alla mia penna e consumare
completamente l'atto. E non riesco a farlo capire al mio libraio: ho un bel
dirgli che il lavoro della mente è fondamentalmente diverso dal lavoro
manuale, che nel secondo caso operosità e applicazione possono abbattere
una foresta di legname e trasportare un oceano d'acqua, laddove nel
primo... Ma ecco che costui mi manda a dire che la stampa è ferma, che
deve avere le venti cartelle promesse a giro di posta.» Brache Blu ripeté la
sua invettiva in greco e soggiunse: «Ma qui, signore, le nostre vie si
dividono; a meno che non riesca a tentarvi e a farvi visitare la mia
valletta».
«È forse un luogo druidico, signore?» domandò Stephen, sorridendo nel
vederlo scuotere la testa.
«Druidico? Oh, no, assolutamente no. Anche se si potrebbe tentare
qualcosa con i druidi: La maledizione del druido. Oppure Lo spettro del
dolmen. No, il valloncello è soltanto un luogo dove io siedo a contemplare
le mie ottarde.»

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«Le vostre ottarde, signore?» esclamò Stephen, scrutando con gli occhi
chiarissimi il viso dell'uomo. «Otis tardai»
«Precisamente.»
«Non ne ho mai vista una in Inghilterra», disse Stephen.
«È vero, si sono fatte molto rare: quando ero bambino, se ne vedevano
dei piccoli branchi, molto simili a pecore. Ma esistono ancora; sono
creature abitudinarie e io le ho osservate fin da quando ero molto giovane,
come avevano fatto mio padre e mio nonno prima di me. Dalla mia valletta
potrei certamente mostrarvi una femmina che cova; ed esiste una discreta
possibilità di vedere due o tre maschi.»
«E sarebbe lontana?»
«Oh, non più di un'ora di cammino, andando di buon passo; e dopotutto
ho finito il capitolo.»
Stephen guardò l'orologio. Martin, un'autorità sul chiurlo maggiore, gli
avrebbe perdonato il ritardo per una simile causa; ma Jack Aubrey aveva
un rispetto navale per il tempo, era pignolo in modo assurdo per quanto
riguardava la puntualità e l'idea di affrontare un Jack Aubrey alto sette
piedi e gonfio d'ira a malapena contenuta per aver dovuto aspettare due ore
intere, centoventi minuti, fece esitare Stephen, ma non a lungo.
«Noleggerò una carrozza a Polton Episcopi, un tiro a quattro. E così
recupererò il ritardo», disse tra sé.

*
Il Marquess of Granby, unica locanda di Polton, aveva una panca lungo
il muro esterno, esposta al sole del pomeriggio; e su quella panca,
incorniciato da una rosa rampicante da un lato e da un caprifoglio
dall'altro, sonnecchiava Nathaniel Martin. Le rondini, i cui nidi stavano
prendendo forma sotto il cornicione, ogni tanto lasciavano cadere su di lui
una pallottola di fango e Martin si trovava lì da tante ore che la spalla
sinistra ne era generosamente ricoperta. Solo confusamente avvertiva il
minuscolo impatto, il fruscio delle ali e il verso acuto e frettoloso degli
uccelli, così come quello basso e continuo, più remoto, di un prato gremito
di mucche di là dallo stagno per abbeverare i cavalli della locanda; ma non
si ridestò completamente al mondo finché non ebbe udito il grido: «Ehilà,
marinaio!»
«Oh, mio caro Maturin, come sono felice di vedervi!» esclamò e poi,

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dandogli un'altra occhiata, aggiunse: «Ma confido che non abbiate avuto
un incidente». Perché il volto di Maturin, per solito di un malsano colorito
giallastro, era in quel momento completamente soffuso di un rossore
altrettanto malsano; era anche coperto di polvere e il sudore, scorrendo, vi
aveva disegnato tracce o solchi distinguibili.
«Assolutamente no, amico mio. Sono così dispiaciuto, così veramente
desolato di avervi fatto aspettare: perdonatemi, vi prego.» Sedette sulla
panca, respirando affannosamente. «Ma volete che vi dica che cosa mi ha
trattenuto?»
«Oh, sì, certamente», rispose Martin, e, rivolto verso la finestra:
«Locandiere, un boccale di birra scura per il gentiluomo, se non vi
dispiace: una pinta della birra più fredda che riusciate a spillare».
«Farete fatica a credermi, ma, scrutando al riparo dell'erba alta al
limitare di un valloncello, noi dentro il valloncello e guardando verso
l'esterno, capite, abbiamo visto un'ottarda che covava le uova a meno di
cento iarde di distanza. Con lo strumento ottico del gentiluomo le ho
potuto osservare l'occhio, che è di un marrone giallastro brillante. E dopo
che eravamo lì da un po', essa si è alzata e ha raggiunto due maschi di
un'altezza mostruosa e un giovane, poi è svanita dietro il pendio e così
abbiamo potuto avvicinarci al nido senza paura. E, Martin, ho udito
perfettamente i pulcini dentro quelle belle uova grosse pigolare, pio, pio,
pio, come il fischietto lontano di un nostromo, parola mia d'onore.»
Martin giunse le mani, ma prima che potesse emettere qualcosa di più di
un'esclamazione inarticolata di stupore e di ammirazione, arrivò la birra
scura e Stephen soggiunse: «Locandiere, prego, una carrozza a nolo che ci
porti a Shelmerston non appena avrò finito di bere questa birra
formidabile: perché suppongo che il carro delle merci sia partito da un bel
pezzo».
«Che Dio vi benedica, signore!» disse il locandiere, ridendo di tanta
ingenuità. «Non c'è nessuna carrozza a Polton Episcopi e nemmeno c'è mai
stata. O povero me, no. In quanto a Joe del carro merci, sarà già a
Wakeley, a quest'ora.»
«Be', in questo caso un paio di cavalli o un uomo con un calessino o un
carretto.»
«Signore, dimenticate che a Plashett è giorno di mercato. Non c'è anima
di calesse o di carretto in paese. E, non dubito, nemmeno l'ombra di un
cavallo; anche se il mulo di Waites potrebbe portare due uomini e il

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maniscalco gli ha dato la medicina ieri sera. Chiederò a mia moglie, per
via che Anthony Waites è suo cugino, per così dire.»
Una pausa, durante la quale si udì un voce di donna gridare dall'alto
delle scale: «Che cosa vanno a fare a Shelmerston?» poi il locandiere
ritornò con l'espressione soddisfatta di chi ha visto realizzati i propri
catastrofici timori. «No, signori, nemmeno la minima speranza di trovare
un cavallo», disse. «E il mulo di Waites è morto.»

*
Camminarono in silenzio per un po' e poi Stephen disse: «Comunque
sia, si tratta soltanto di qualche ora».
«C'è anche la questione della marea», osservò Martin.
«Signore Iddio, stavo dimenticando la marea!» esclamò Stephen. «E i
marinai ne fanno un tale problema.» Un quarto di miglio dopo, affermò:
«Temo che le mie ultime lettere non vi abbiano dato tutte le informazioni
che forse vi aspettavate». Ciò era profondamente vero. Da tanto tempo
Stephen Maturin era coinvolto nei Servizi d'informazioni, navali e politici,
e la sua vita era dipesa così a lungo dalla segretezza che il mettere
qualcosa per iscritto gli ripugnava; e in ogni caso era un mediocre
corrispondente. Martin protestò: «Niente affatto», ma Stephen riprese: «Se
avessi avuto buone notizie da darvi, credetemi, ve le avrei fatte conoscere
subito con la più grande gioia, ma sono obbligato a dirvi che il vostro
libello, il vostro per altro informatissimo libello contro la prostituzione e le
punizioni corporali nella marina reale, rende praticamente impossibile che
vi venga offerto in futuro un altro posto di cappellano di bordo. L'ho
sentito dire proprio a Whitehall, sono desolato di dovervi riferire».
«E ciò che ha detto l'ammiraglio Caley a mia moglie qualche giorno fa»,
convenne Martin con un sospiro. «Era meravigliato della mia temerarietà,
ha detto. E tuttavia continuo a pensare che fosse mio dovere protestare in
qualche modo.»
«Certo, certo, un gesto di coraggio», lo rassicurò Stephen. «Ora veniamo
al signor Aubrey. Avete seguito il suo processo e la condanna, immagino.»
«Sì, e con la più grande indignazione. Gli ho scritto due volte, ma ho
strappato entrambe le lettere, temevo di essere indiscreto, di ferirlo con
una dimostrazione inopportuna di simpatia. È stato un enorme, grossolano
errore giudiziario. Il comandante Aubrey non potrebbe ideare una frode in

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Borsa più di quanto non lo possa fare io: ancor meno, in verità, avendo
così poca esperienza del mondo del commercio, figuriamoci poi della
finanza.»
«E sapete che è stato radiato dalla marina?»
«Non può essere vero!» gridò Martin, arrestandosi di botto. Passò un
carretto e il conducente li guardò a bocca aperta, finendo per girarsi
completamente, così da poter guardare più a lungo.
«Il venerdì successivo il suo nome è stato depennato dall'elenco dei
capitani di vascello.»
«Questo lo avrà quasi ucciso», mormorò Martin, guardando da un'altra
parte per nascondere l'emozione. «La marina era tutto per il comandante
Aubrey. Così leale e coraggioso, ed essere cacciato...»
«Sì, ha ucciso in lui la gioia di vivere», commentò Stephen.
Camminarono lentamente e dopo un poco il medico riprese: «Ma ha una
grande forza d'animo; e una moglie ammirevole...»
«Oh, quale efficace consolazione è una moglie per un uomo!» esclamò
Martin, e un sorriso si fece strada sul suo volto sinceramente addolorato.
La moglie di Stephen, Diana, non era un'efficace consolazione per lui,
bensì una pena nel cuore, talvolta sorda, talvolta acuta in modo quasi
insopportabile, mai del tutto assente; perciò disse in tono pacato: «Sì, c'è
molto da dire in favore del matrimonio. E hanno i bambini, anche. Nutro
buone speranze per lui, in particolare perché la sua nave, quando Aubrey è
stato allontanato dal servizio, è stata venduta dalla marina. I suoi amici
l'hanno comprata e armata per la guerra di corsa, e Aubrey ne è il
comandante».
«Buon Dio, Maturin! La Surprise una corsara? Naturalmente sapevo che
sarebbe stata venduta dalla marina, ma non avrei mai immaginato che...
Avevo sempre pensato che le corsare fossero piccoli bastimenti di dubbia
reputazione, pirateschi quasi, da dieci, dodici cannoni al massimo,
trabaccoli, brigantini e simili.»
«Senza dubbio la maggior parte di quelle che svolgono la loro attività
nella Manica corrisponde a questa descrizione, ma sono numerose anche le
navi corsare molto più grandi che si spingono in mari lontani. Negli anni
'90 una corsara francese da cinquanta cannoni fece danni terribili al
commercio con l'Oriente; e non potete aver dimenticato la velocità
prodigiosa della nave che abbiamo inseguito un giorno dopo l'altro e che
per poco non abbiamo raggiunto quando stavamo tornando dalle Barbados:

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era una nave che portava trentadue cannoni.»
«Naturalmente, naturalmente: la Spartan. Ma era americana, non è
vero?»
«E dunque?»
«Quel Paese è così grande che si ha l'idea confusa che tutto vi sia più
grande, perfino le navi corsare.»
«Ascoltate, Martin», riprese Stephen, dopo una breve pausa. «Posso
dirvi una cosa?»
«Ve ne prego.»
«La parola 'corsara' ha un suono sgradevole per un marinaio, e potrebbe
essere considerata ingiuriosa se applicata alla cara Surprise, che in ogni
caso non è una comune nave corsara: niente affatto. In una comune corsara
gli uomini s'imbarcano alla condizione che, se non ci sono prede, non ci
sia nemmeno la paga; ricevono il vitto, ma niente più, e tutto il denaro
devono guadagnarselo con le catture. Questo li rende indisciplinati e
insolenti; è loro abitudine saccheggiare senza nessuna pietà e spogliare le
loro sfortunate vittime; e nel caso dei più cattivi e brutali si racconta che i
prigionieri che non possono pagare il riscatto vengano gettati fuoribordo,
mentre gli stupri e i maltrattamenti sono fatti consueti. Sulla Surprise
invece tutto si svolgerà come su una nave della marina; gli uomini
riceveranno la paga; il comandante Aubrey ha intenzione di accettare
soltanto marinai scelti e di buon carattere, secondo il giudizio che se ne
sarà formato; e chi non si sottometterà alla disciplina navale verrà respinto.
Ha intenzione di salpare subito per una breve navigazione di prova, o forse
due, una a ovest e un'altra a nord, probabilmente nel Baltico, e quanti
risulteranno insoddisfacenti saranno lasciati a terra prima della vera
missione. Perciò, avendo presenti tutte queste cose, riferendovi alla nave
sarebbe consigliabile che la definiste nave da guerra privata o, se preferite,
nave con patente.»
«Vi sono grato dell'avvertimento e cercherò di non recare offesa: ma le
occasioni di definirla in qualche modo saranno ben poche per me, dal
momento che, per quanto possa essere diversa da una comune nave cor...
dalla specie discutibile di navi, perfino la nave da guerra privata meglio
condotta ben difficilmente potrebbe richiedere un cappellano a bordo. O
sbaglio?» Il desiderio angoscioso di sentirsi rispondere che effettivamente
sbagliava era così palese sulla sua faccia scarna, ansiosa di ecclesiastico
senza beneficio che Stephen fu addolorato di dover rispondere: «Ahimè,

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come sapete, tra i marinai è diffuso un pregiudizio superstizioso del tutto
assurdo: credono che un uomo di Chiesa a bordo porti sfortuna. E in
un'impresa di questo genere la fortuna è tutto. Per tale ragione sono così
numerosi gli uomini che vogliono imbarcarsi con Jack Aubrey il
Fortunato. Ma non era mia intenzione prendermi gioco di voi quando vi ho
chiesto di incontrarmi a Polton: la mia intenzione era di chiedervi se i
vostri progetti, i vostri piani o desideri fossero cambiati da quando ci
siamo visti l'ultima volta o se foste disposto a permettermi di domandare al
signor Aubrey di nominarvi assistente chirurgo. Dopo queste navigazioni
preliminari la Surprise farà rotta per l'America del Sud e, in una traversata
così lunga, ovviamente dovranno esserci due uomini di medicina. La
vostra conoscenza in questo campo è già superiore a quella della maggior
parte degli aiuti di un chirurgo di bordo; e io preferirei di gran lunga avere
un assistente che fosse anche un compagno di navigazione civile e un
naturalista per soprammercato. Vi prego di riflettere su questa proposta. Se
potessi avere la vostra risposta tra quindici giorni, alla fine della prima
crociera, ve ne sarei grato».
«La nomina dipende soltanto dal comandante Aubrey?» domandò
Martin, il volto addirittura raggiante.
«Sì.»
«Allora non potremmo forse correre un po'? Come potete vedere, la
strada è in discesa a perdita d'occhio.»

*
«Ponte!» chiamò la vedetta in testa d'albero. «Tre vele di navi...
quattro... cinque vele di navi al mascone di dritta!» Erano nascoste al ponte
della Surprise dalle alture all'estremità settentrionale di capo Penlea, ma la
vedetta, un uomo del posto, le vedeva chiaramente e poco dopo soggiunse,
in tono di conversazione: «Navi da guerra: parte della squadra di Brest,
immagino. Ma non c'è da preoccuparsi, non ci sono né corvette, né fregate
e poi stanno per virare». L'implicazione era che, se fossero state
accompagnate da corvette o da fregate, una di queste avrebbe potuto essere
mandata a vedere se ci fosse qualcosa da arraffare in fatto di uomini su
quella nave ancorata al largo di Shelmerston. Ben presto le navi
spuntarono dal capo Penlea: due vascelli da settantaquattro cannoni,
seguiti da una nave a tre ponti, probabilmente la Caledonia, sul cui albero

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di trinchetto sventolava l'insegna di un ammiraglio della divisione centrale
della squadra, poi altri due vascelli da settantaquattro cannoni, l'ultimo dei
quali quasi certamente la Pompée. Abbatterono in successione e si
diressero al largo di buon braccio con un vento da velacci, formando una
linea dritta come se fosse stata tracciata con un righello, ogni nave a due
gomene di distanza da quella che la precedeva; la loro bellezza disinvolta,
noncurante non poteva non commuovere il cuore di ogni marinaio, ma
feriva amaramente chi era stato escluso da quel mondo. Tuttavia doveva
accadere, prima o poi, e Jack fu contento che l'impatto non fosse stato
peggiore di così.
Il suo particolare tormento presentava molteplici aspetti, non ultimo la
consapevolezza pratica, immediata, acuta di essere una preda potenziale
per la sua stessa marina; ma, non essendo molto portato ad analizzare le
proprie emozioni, quando la squadra fu scomparsa alla vista, riprese il suo
va e vieni ostinato finché, a un ennesimo giro su se stesso, non scorse un
trabaccolo che spiegava la sua vela nella rada. Ai masconi una figuretta
stava sventolando qualcosa di bianco e, dopo essersi fatto prestare il
cannocchiale da Davidge, Jack vide che la piccola figura sventolante era
Stephen Maturin. Il trabaccolo si accinse a virare di bordo per superare la
secca con mure a dritta e Stephen, allontanato senza tanti complimenti, si
sedette su una nassa da aragoste a metà nave; ma anche di lì continuò a
gracidare debolmente e a sventolare il fazzoletto; e, con sua sorpresa, Jack
si accorse che era accompagnato dal reverendo Martin, venuto in visita,
senza dubbio.
«Bonden», disse, «il dottore sarà qui molto presto, con il signor Martin.
Fatelo sapere a Padeen, nel caso la cabina del suo padrone abbia bisogno
di una ripulita, e tenetevi pronto a farli salire a bordo con i piedi asciutti, se
possibile.»
I due gentiluomini, sebbene abituati al mare da lungo tempo, erano
afflitti entrambi da una certa incapacità mentale, da un infelice difetto di
sviluppo che impediva loro di apprendere i modi di quell'elemento; erano
terrazzani inguaribili e in particolare il dottor Maturin, nei suoi tentativi di
salire lungo la murata, era caduto tra la nave e l'imbarcazione che ve lo
aveva trasportato più volte di quante non si potessero enumerare. Quella
volta però erano pronti a riceverlo; braccia robuste lo issarono a bordo
ansimante e Jack Aubrey gridò: «Eccovi qui, dottore, signor Martin! Ne
sono veramente felice. Mio caro signore», aggiunse, stringendo la mano a

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Martin, «benvenuto sulla Surprise una volta di più. State bene, non è
vero?»
Martin era palesemente congelato, sfinito, perché il vento umido del
mare era penetrato attraverso il tessuto sottile del suo abito durante tutto il
tragitto e, benché sorridesse e dicesse tutto quanto era appropriato, non
poté fare a meno di battere i denti. «Venite sottocoperta», li invitò Jack,
facendo strada, «permettetemi di offrirvi qualcosa di caldo. Killick, presto,
un bricco di caffè.»
«Jack, chiedo umilmente perdono per il ritardo», cominciò Stephen. «È
stata interamente colpa mia, sì... un'imperdonabile debolezza verso le
ottarde; e ti sono infinitamente obbligato per averci aspettato.»
«Niente affatto, niente affatto», ribatté Jack. «Ho un impegno con
l'ammiraglio Russell questa sera e non farò vela sino all'inizio della marea.
Killick, Killick! I miei complimenti al comandante Pullings, che è nella
stiva; e due suoi amici sono saliti a bordo.»
«Prima che Tom compaia, vorrei chiarire un punto», intervenne Stephen.
«La Surprise ha bisogno di un assistente chirurgo, specialmente perché è
possibile che, nei primi tempi, io debba assentarmi di tanto in tanto. Tu
conosci la competenza del signor Martin in materia. Subordinatamente alla
tua approvazione, ha acconsentito ad accompagnarci come mio assistente.»
«Come assistente chirurgo, non come cappellano?»
«Precisamente.»
«Sarei davvero felice di avere di nuovo con noi il signor Martin,
soprattutto dal lato medico. Perché devo dirvi, signore», fece, rivolto a
Martin, «che perfino sulle navi della marina del re gli uomini non amano
molto avere a bordo un ecclesiastico e su una nave da guerra privata, be',
sono ancora più inclini alle superstizioni pagane e temo che non lo
gradirebbero affatto. Anche se non dubito che, nel caso di una disgrazia,
preferirebbero essere seppelliti con stile. Perciò, fintanto che sarete a bordo
come assistente chirurgo, potranno godere di entrambi i benefici.»
Pullings, entrato in tutta fretta, diede loro un benvenuto dei più calorosi;
Padeen cercò di esprimersi nel suo inglese primitivo per chiedere al
dottore se volesse il suo panciotto di flanella; e Davidge mandò a riferire
che la scialuppa dell'ammiraglio sarebbe stata sottobordo entro cinque
minuti.
Il cutter dell'ammiraglio accostò alla murata di sinistra per evitare ogni
cerimonia e, con uguale mancanza di pompa, Stephen vi fu calato come un

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sacco di patate. «Siete stato molto gentile a invitare anche me, signore»,
ringraziò, «ma sono pieno di vergogna nel presentarmi in questo
abbigliamento: non ho avuto un minuto per cambiarmi da quando sono
arrivato.»
«State benissimo come siete, dottore, benissimo davvero. Siamo soltanto
Polly, la mia pupilla, che conoscete già, l'ammiraglio Schank che
conoscete ancor meglio, e io. Avevo sperato nell'ammiraglio Henry,
appassionato di questioni di medicina ora che ne ha il tempo; ma era
impegnato. Tuttavia ha lasciato i suoi omaggi e, per voi, la sua ultima
fatica, un libro molto carino.»
Il libro molto carino era intitolato Un resoconto dei metodi con i quali
l'ammiraglio Henry ha curato i reumatismi, una tendenza alla gotta, il tic
douloureux, i crampi e altri disordini; e con i quali è stata tolta una
cataratta dall'occhio, e Stephen ne stava guardando le illustrazioni mentre
Polly, un'incantevole giovane dai capelli neri e dagli occhi azzurri che gli
riportarono Diana ancor più alla mente, suonava alcune variazioni su un
tema di Pergolesi, quando l'ammiraglio Schank si svegliò di colpo,
esclamando: «Povero me, credo di essermi appisolato. Di che cosa
stavamo parlando, dottore?»
«Stavamo parlando di palloni aerostatici, signore, e voi cercavate di
ricordare i particolari di un marchingegno che avevate ideato per eliminare
l'inconveniente, inconveniente letale, di salire troppo in alto.»
«Sì, sì. Ora ve lo disegno.» L'ammiraglio, noto in tutto il servizio come
Vecchia Puleggia a causa della sua branda ingegnosa che, per mezzo di
doppie e triple pulegge, poteva essere inclinata, sollevata, abbassata e
spostata da un punto all'altro dall'uomo che vi era coricato, perfino se era
un debole invalido, e per via di molte altre invenzioni, disegnò un
aerostato con una rete di cime intorno all'involucro e spiegò che, per
mezzo di un sistema di bozzelli, si poteva ridurre il volume del gas e di
conseguenza la forza ascensionale del pallone. «Ma, comunque sia, non ha
funzionato», si rammaricò. «Il solo modo per non salire troppo in alto,
come accadde al povero Senhouse che nessuno ha mai più rivisto, o a
Charlton, che congelò, è di lasciar sfuggire una parte del gas; dopodiché,
se la giornata si fa più fredda, si rischia di ridiscendere con una velocità
spaventosa e di essere ridotto in pezzi come il misero Crowle, con il suo
cane e il suo gatto. Siete mai stato in pallone, Maturin?»
«Sono salito su un pallone, è vero, nel senso che la navicella mi ha

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contenuto; ma si trattava di un aerostato pigro e non ha voluto innalzarsi,
così non mi è restato che scendere e il mio compagno è salito da solo,
atterrando tre campi più in là, proprio dentro i confini della contea di
Roscommon. Tuttavia, ora che sono tornati di gran moda, spero di poter
fare un altro tentativo e di poter osservare il volo degli avvoltoi a distanza
ravvicinata.»
«Il vostro era un pallone ad aria calda o riempito di gas?»
«Avrebbe dovuto essere ad aria calda, ma la torba non era ben asciutta e
quel giorno piovigginava su tutta la zona, perciò, benché soffiassimo come
mantici, non riuscimmo a farlo innalzare davvero.»
«Meglio così. Se lo aveste fatto e se l'involucro avesse preso fuoco,
come accade tanto spesso, voi avreste trascorso gli ultimi secondi di vita a
rimpiangere la vostra temerarietà. Sono oggetti cattivi, pericolosi, Maturin;
non nego che un pallone a gas correttamente ancorato, che s'innalzi,
diciamo, a tre o quattromila piedi, possa costituire un buon posto di
osservazione per un generale, ma credo davvero che soltanto i criminali
condannati dovrebbero essere spediti lassù.»
Una pausa, poi l'ammiraglio Schank domandò: «Che ne è di Aubrey?»
«L'ammiraglio Russell lo ha portato in biblioteca per mostrargli un
modello della Santissima Trinidad.»
«Allora vorrei che lo riportasse qui. L'ora di cena è trascorsa da parecchi
minuti, Evans si è già affacciato due volte e, se non ricevo il nutrimento
quando sono abituato a riceverlo, i vostri avvoltoi non sono niente a
paragone di me: sbrano i miei compagni e ruggisco, come i leoni della
Torre. Detesto la mancanza di puntualità. E voi, Maturin? Polly, mia cara,
non credete che il vostro tutore possa essersi sentito male? L'ora è suonata
già da molto tempo.»
Nella biblioteca, in piedi davanti al modello della nave, l'ammiraglio
Russell stava dicendo: «Tutti coloro con i quali ho parlato convengono con
me che l'azione del governo contro di voi, o piuttosto contro vostro padre e
i suoi associati, sia stata la cosa più brutta alla quale la marina abbia
dovuto assistere dopo l'assassinio giudiziario del povero Bying. Potete star
certo che i miei amici e io faremo tutto quanto è in nostro potere per
vedervi reintegrato nei ruoli». Pur essendo consapevole che
quell'interessamento si sarebbe rivelato per lui assai peggio che inutile,
visto che Russell e i suoi amici appartenevano all'opposizione, Jack
s'inchinò e avrebbe espresso in modo appropriato il suo apprezzamento, se

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l'ammiraglio non avesse alzato una mano, dicendo: «Non una parola. Ciò
che volevo dirvi, in verità, è questo: non deprimetevi; non evitate la
compagnia degli amici, Aubrey. Da chi non vi conosce bene può essere
interpretato come cattiva coscienza; e in ogni caso porta all'umor nero, alla
malinconia e alla nevrastenia. Non evitate gli amici. Ne conosco parecchi
che sono rimasti male per il vostro rifiuto di vederli e non sono i soli, a
quanto ho sentito».
«È stato davvero generoso da parte loro invitarmi, ma la mia visita li
avrebbe compromessi», spiegò Jack. «Inoltre la competizione per ottenere
una nave e una promozione è così forte in questo momento che non avrei
mai voluto che i miei amici fossero in qualche modo ostacolati
all'Ammiragliato. Con voi è diverso, signore: so che non cercate un
comando e un ammiraglio della squadra di avanguardia che ha già rifiutato
un titolo non ha niente da temere da nessuno, Ammiragliato o no. Ma
seguirò il vostro consiglio nella misura...»
«Oh, signore», proruppe Polly sulla soglia, «la cucina è tutta in
subbuglio! La cena era a metà in tavola quando l'orologio grande ha
battuto l'ora e adesso questa metà è ritornata in cucina. Ed Evans e la
signora Payne litigano nel corridoio.»
«Che Dio mi fulmini!» esclamò l'ammiraglio, lanciando uno sguardo
all'orologio della biblioteca, un silenzioso regolatore. «Aubrey, dobbiamo
correre come lepri.»
La cena seguì il suo piacevole corso e, sebbene il soufflé avesse visto
tempi migliori, il chiaretto, un Latour, era vicino alla perfezione, tanto che
non si sarebbe potuto desiderare di meglio. Al successivo rintocco delle
ore, Polly augurò la buonanotte; e una volta di più la grazia particolare
della sua riverenza, l'inclinazione del capo, offrì a Stephen un'immagine
vivida di Diana, una donna nella quale la grazia sostituiva la virtù,
sebbene, in verità, ella rispettasse abitualmente una sua etica personale,
sorprendentemente rigorosa sotto certi aspetti. Stephen le tenne aperta la
porta e fu un piacere per lui vederla arrossire: Polly era così giovane
ancora che il gesto costituiva una grande rarità nella sua esperienza.
Quando gli uomini si furono seduti di nuovo, l'ammiraglio Russell tirò
fuori una lettera dalla tasca ed esordì: «Aubrey, so quanto veneriate il
ricordo di Nelson, perciò voglio darvi questa; e spero che vi porti fortuna
nella vostra missione. Me la mandò nel 1803, quando ero con Lord Keith
nell'Oresund e Nelson era nel Mediterraneo. Prima ve la leggerò, non per

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vanagloria, ma perché la scrisse con la sinistra, naturalmente, e potreste
fare fatica a decifrarla. Dopo il solito inizio, dice: 'Eccomi qui, aspettando i
comodi di quei signori di Tolone, e noi non abbiamo che un desiderio,
quello di essere al più presto bordo contro bordo con loro. Oso dire che vi
sarà qualche cappello di troppo quando avremo finito. Siete un compagno
piacevole in ogni tempo; e, come disse il commodoro Johnstone del
generale Meadows, non ho dubbi che nel giorno della battaglia la vostra
compagnia sarà graditissima agli amici e maledettamente sgradita ai
nemici. Desidero, mio caro Russell, che mi consideriate sempre uno dei
più sinceri tra i primi'». Gli allungò la lettera, ancora aperta.
«Ah, che lettera amabilissima!» esclamò Jack, contemplandola con
un'espressione di gioia genuina. «Non penso ne siano mai state scritte di
più amabili. E posso averla davvero, signore? Ve ne sono enormemente
grato, la terrò carissima... non so dirvi quanto la terrò cara. Grazie, signore,
grazie, grazie!» disse, con una stretta di mano ferrea.
«Possono dire quello che vogliono di Nelson, quei tipi con la prima
pietra sempre pronta in mano», osservò Vecchia Puleggia. «Ma anche
costoro devono ammettere che sapeva dire molto bene le cose. Mio nipote
Cunningham era uno degli allievi più piccoli sull'Agamemnon e un giorno
Nelson gli disse: 'Tre cose dovete ricordare costantemente, mio giovane
signore. Primo, ubbidire sempre supinamente agli ordini, senza cercare di
farsi un'opinione personale riguardo alla loro fondatezza. Secondo,
considerare nemico chiunque parli male del nostro re. E, terzo, odiare un
francese come se fosse il diavolo'.»
«Mirabilmente espresso», commentò Jack.
«Ma, senza dubbio», intervenne Stephen, il quale amava la Francia non
napoleonica, «non può aver voluto dire tutti i francesi.»
«Credo invece di sì», disse Schank.
«Si è fatto forse leggermente travolgere dall'impeto», disse Russell, «ma
d'altronde anche le sue vittorie erano travolgenti. Ed effettivamente,
sapete, c'è ben poco di buono nei francesi: si dice che sia possibile
imparare molte cose su una nazione dalle sue espressioni proverbiali, e
quando i francesi vogliono descrivere qualcosa di veramente sudicio,
dicono sale comme un peigne, il che la dice lunga sulla loro pulizia
personale. Quando hanno altre cose per la mente dicono che hanno altre
gatte da pelare: una cosa assolutamente inumana. E quando devono virare
di bordo, il comando è: A Dieu va, ovvero 'dobbiamo correre il rischio e

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confidare in Dio', e questo fa capire molte cose sulle loro capacità
marinaresche. Non saprei concepire niente di più criminale.»
Jack stava dicendo all'ammiraglio Schank come Nelson una volta gli
avesse chiesto di passargli il sale nel modo più squisito che si potesse
immaginare e come, in un'altra occasione, avesse detto: «Non
preoccupatevi delle manovre; puntate dritto contro il nemico». E Stephen
era sul punto di suggerire che forse esisteva qualche francese buono,
portando a esempio coloro che avevano prodotto il sublime bordeaux che
stavano gustando, quando l'ammiraglio Russell, ridestandosi da una breve
fantasticheria, dichiarò: «No, no. Possono esistere alcune eccezioni, ma
nell'insieme non so che farmene dei francesi, a qualsiasi rango
appartengano. È stato un comandante francese, di ottima famiglia per
come la pensano loro, a giocarmi il tiro più infame di cui abbia mai sentito
parlare in guerra, un tiro sporco proprio come un pettine francese».
«Prego, signore, raccontate», lo invitò Jack, accarezzando di nascosto la
sua lettera.
«Ve ne darò soltanto un brevissimo resoconto, perché non devo
trattenervi, se volete salpare con la marea. Fu quando avevo il comando
della Hussar, la vecchia Hussar, alla fine dell'ultima guerra contro gli
americani, nell'83, una bella piccola fregata, buona boliniera, molto simile
alla vostra Surprise, anche se non così veloce di bolina; Nelson aveva
l'Albemarle nella stessa base e ci intendevamo a meraviglia. Io stavo
incrociando piuttosto a nord del capo Hatteras, a quota scandaglio,
burrasca moderata da nord nord-ovest e un tempo brumoso di febbraio, e
inseguivo una vela che faceva rotta a ovest con mure tesate. Guadagnai su
di lei, e quando fummo molto vicini - era un tempaccio maledettamente
brumoso - vidi che aveva un'alberatura di fortuna molto ben fatta e che
all'anca aveva qualche foro di proiettile. Perciò, quando issò una bandiera
inglese rovesciata sulle sartie di maestra, i colori inglesi sopra quelli
francesi sull'asta, mi apparve chiaro che si trattava di una nave catturata da
una delle nostre navi, danneggiata durante la cattura, e che l'equipaggio di
preda aveva bisogno di aiuto, che si trovava in difficoltà.»
«Non c'era altra spiegazione possibile.»
«Oh, sì che c'era, amico mio», ribatté l'ammiraglio. «La spiegazione era
che la nave aveva per comandante un miserabile, un individuo senza
onore. Io mi portai sottovento per comunicare alla voce e chiedere di che
cosa avessero bisogno e, saltando sull'impavesata con il mio megafono per

Patrick O'Brian 24 1988 - La Nave Corsara


farmi sentire al di sopra del vento, vidi un brulicare di uomini sul ponte,
niente affatto un equipaggio di preda, ma due o trecento uomini, e in
quello stesso momento la nave mise i cannoni in batteria, poggiò per
tagliarmi la rotta, portarmi via il bompresso, spazzarmi i ponti d'infilata e
abbordarmi: si vedevano decine di arrembatoti a metà nave, tutti sulla
punta dei piedi, tutti con un ghigno sulla faccia. Ancora con il megafono in
mano, gridai: 'Poggia tutto!' e i miei uomini ebbero la prontezza di spirito
di far fileggiare le vele di poppa anche prima che avessi dato il comando.
La Hussar rispose immediatamente e così evitammo la maggior parte del
fuoco d'infilata, che però mi colpì l'albero di trinchetto e mi portò via quasi
tutte le sartie di dritta. Avevamo preso a collo tutti e due, eravamo quasi
bordo contro bordo e i miei uomini lanciavano palle di cannone fredde
contro gli arrembatoti, con effetti prodigiosi, mentre i fanti di marina
sparavano più in fretta che potevano. Poi diedi il comando:
'All'arrembaggio!' e allora il miserabile mise la barra al vento, abbatté e
filò via con il vento in poppa. Lo inseguimmo. Dopo un'ora di
combattimento il suo fuoco rallentò, poi lui mise la barra a dritta per
portarsi sopravvento con mure a sinistra. Virai anch'io per fermarlo al
vento, ma, ahimè, il mio albero di trinchetto era sul punto di essere portato
via, e il bompresso anche, e non fummo in grado di stringere il vento
finché non furono ben assicurati. Tuttavia alla fine riuscimmo a farcela e
stavamo guadagnando sulla francese quando la bruma si dileguò e là,
sopravvento, vedemmo una nave di linea - scoprimmo presto che era la
Centurion - e sottovento una corvetta che riconoscemmo per la Terrier.
Così corremmo con tutte le vele a riva e dopo un paio d'ore fummo al loro
fianco... e sparammo una bordata. Rispose con due cannoni e ammainò i
colori. La nave risultò essere la Sybille, da trentotto cannoni, anche se ne
aveva buttati a mare una dozzina durante l'inseguimento, con un
equipaggio di trecentocinquanta uomini e qualche soprannumerario
americano, e il verme al comando era il comte de Kergariou, Kergariou de
Locmaria,* [* Thibaud René, comte de Kergariou-Locmaria (1739-1795),
capitano di vascello al comando della Sybille, da trentadue cannoni, nel
1783 combatté contro la Russar al comando di MacNamara Russell, dopo
averla attirata con una ruse de guerre, giudicata inammissibile dallo stesso
Russell, il quale, in segno di spregio, spezzò in due la spada consegnatagli
dal comandante francese dopo la resa. Allo scoppio della Rivoluzione,
Kergariou fu tra gli émigrés alleati della corona inglese. Partecipò

Patrick O'Brian 25 1988 - La Nave Corsara


all'attacco del porto di Quiberon, ma fu catturato dalle forze repubblicane e
fucilato come traditore. (N.d.T.)] ricordo.»
«Che cosa gli faceste, signore?»
«Zitto», sussurrò l'ammiraglio, lanciando un'occhiata a Schank.
«Vecchia Puleggia sta dormendo della grossa. Usciamo alla chetichella e
io vi riaccompagnerò alla nave; il vento è favorevole e non perderete
nemmeno un minuto della vostra marea.»

CAPITOLO II
L'alba trovò la Surprise già lontana sulla distesa grigia, solitaria che era
il suo ambiente naturale; da sud-ovest soffiava una bella brezza da velacci,
con nuvole basse e occasionali scrosci di pioggia, ma con la promessa di
un miglioramento del tempo; e aveva spiegato i velacci sebbene l'ora fosse
così mattutina, perché Jack desiderava portarsi fuori delle rotte battute
dalle navi dirette alle varie basi della marina o di ritorno da esse. Non
aveva nessun desiderio di vedersi arruolare di forza una parte dei suoi
uomini - e nessun ufficiale del re avrebbe resistito alla tentazione davanti a
un equipaggio così numeroso e scelto -, né aveva il minimo desiderio di
essere convocato a bordo di un vascello della marina per mostrare i suoi
documenti, per rendere conto, forse per essere trattato con disinvolta
familiarità o con scarso riguardo. In marina non si trovavano soltanto
uomini dotati di grande tatto, naturale o acquisito, e Jack aveva già dovuto
affrontare qualche sgarbo; senza dubbio col tempo vi avrebbe fatto
l'abitudine, ma per il momento ne era ferito come sulla carne viva.
«Andiamo, Joe», disse il quartiermastro, girando la clessidra, e una
forma infagottata si diresse a prua per suonare i tre colpi della diana.
L'aiuto del nocchiere filò il solcometro e riferì: sei nodi e due braccia, una
velocità che poche navi avrebbero potuto raggiungere in quelle condizioni
e forse nessuna superare.
«Signor West, vado sottocoperta per un po'», disse Jack all'ufficiale di
guardia. «Dubito che il vento tenga, ma sembra che ci aspetti una giornata
piacevole.»
«Proprio così, signore», convenne West, abbassando la testa sotto un
improvviso scroscio di spruzzi, perché la Surprise stava navigando di
bolina stretta verso sud sud-est con un mare corto che batteva contro il

Patrick O'Brian 26 1988 - La Nave Corsara


mascone di dritta e volava verso poppa mescolato a pioggia. «Che piacere
essere di nuovo in mare!»
In quel primo stadio della missione, Jack Aubrey era tre persone in una.
Era il comandante della nave, naturalmente; e dato che non aveva trovato
adatto nessun candidato tra i molti che si erano presentati, era anche il suo
nocchiere, responsabile, tra le altre cose, della navigazione; ed era inoltre il
commissario di bordo. Di regola gli ufficiali al comando di una nave
inviata in esplorazione svolgevano le funzioni di commissario, ma, fino a
quel momento, Jack non aveva mai dovuto svolgere quelle mansioni e,
sebbene, in quanto comandante, si supponesse una sua supervisione dei
compiti del commissario e la firma dei registri, era stupito del volume e
della complessità dei conti necessari, ora che doveva occuparsene in
dettaglio.
La luce era già sufficiente a lavorare accanto alla vetrata di poppa, una
vetrata arrotondata che occupava tutta la larghezza della cabina e che gli
aveva sempre dato piacere perfino nei momenti di massima infelicità, così
come glielo dava la cabina stessa, un ambiente singolarmente bello, senza
quasi un angolo retto, arrotondato il pagliolo, arrotondato il bordo
dell'osteriggio, arrotondati i lati: un ambiente che, con i suoi ventiquattro
piedi di larghezza e quattordici di lunghezza, gli offriva uno spazio
maggiore che a tutti gli altri ufficiali messi insieme; e non bastava, perché
due ambienti più piccoli si aprivano sulla grande cabina, uno per
consumare i pasti e uno per dormire. Il primo, tuttavia, era stato ceduto a
Stephen Maturin, e Jack, dopo aver sistemato quasi un terzo delle fatture,
degli avvisi di pagamento e delle note di consegna, quando vide arrivare la
colazione domandò, accennando alla porta: «Il dottore ha dato segni di
vita?»
«Nemmeno un suono, signore», rispose Killick. «Sarebbe che era stanco
morto ieri sera, stanco come un cavallo azzoppato. Ma forse lo sveglierà
l'odore; lo fa spesso.»
L'odore, una combinazione di caffè, di bacon, di salsicce e di pane
tostato, lo aveva svegliato a molte latitudini, perché in fatto di cibo, come
la maggior parte dei marinai, Jack Aubrey era fortemente conservatore, e
perfino in traversate lunghissime, fatta eccezione per il pane tostato,
riusciva generalmente ad avere più o meno lo stesso tipo di prima
colazione all'equatore o al circolo polare, portandosi a bordo galline,
maiali, una capra robusta e sacchi di caffè. Un pasto che Maturin

Patrick O'Brian 27 1988 - La Nave Corsara


considerava il principale motivo per cui l'Inghilterra poteva dirsi una
nazione civile; eppure quella volta nemmeno l'aroma del caffè lo ridestò.
Né lo fece il chiasso degli uomini che lavavano il cassero proprio sopra la
sua testa o la chiamata delle brande in coperta ai sette colpi o quella degli
uomini a colazione agli otto colpi, con il frastuono, lo scalpiccio affrettato
e i muggiti che sempre l'accompagnavano. Continuò a dormire mentre il
vento andava calando gradualmente e ancora dormiva quando la nave virò
con mure a sinistra, con i marinai che alavano, bracciavano i pennoni a
ventaglio, addugliavano le cime, operazioni che sempre accompagnavano
la manovra; e non emerse che a guardia del mattino avanzata, sbadigliando
e stirandosi, con le brache slacciate al ginocchio e la parrucca in mano.
«Il Signore e la Madonna con voi, signore», lo salutò Padeen, che lo
stava aspettando.
«Il Signore, la Madonna e san Patrizio con te, Padeen», salutò a sua
volta Stephen.
«Volete una camicia pulita e l'acqua calda per radervi?»
Il medico rifletté, stropicciandosi il mento. «Sì, puoi portare l'acqua»,
rispose. «Il tempo è buono, il movimento lieve, il pericolo di tagliarsi
trascurabile. In quanto alla camicia», continuò, alzando la voce per farsi
sentire al di sopra dell'allegra conversazione di una squadra undici pollici
sopra la sua testa, «in quanto alla camicia, ne ho già una indosso e non
intendo togliermela. Ma puoi domandare a Preservato Killick di favorirmi
con un bricco di caffè.» Le ultime parole furono pronunciate a voce ancora
più alta e in inglese, essendo elevata la probabilità che Killick, sempre
curiosissimo, li stesse ascoltando.
Poco dopo, rasato e rinfrescato, il dottor Maturin uscì in coperta: vale a
dire che uscì dalla cabina attraverso la porta verso prua, percorse il
passaggio fino alla parte centrale della nave e di lì salì la scaletta del
cassero, sul quale il comandante, il comandante in seconda, il nostromo e
il capocannoniere si stavano consultando. Stephen si fece strada fino al
coronamento e lì rimase al sole, guardando verso prua la nave in tutta la
sua lunghezza, quaranta iarde circa, fino al punto in cui il bompresso si
spingeva ancora più lontano; la giornata si era fatta realmente piacevole,
ma il vento scemava sempre di più e, nonostante un nobile spiegamento di
vele, la Surprise non faceva più di due o tre nodi, con il ponte solo
leggermente inclinato.
In superficie tutto sembrava identico a come era sempre stato, le curve

Patrick O'Brian 28 1988 - La Nave Corsara


familiari piene di sole in alto, il sartiame tesato con le sue ombre severe, e
Stephen dovette interrogarsi per un certo tempo prima di capire dove
stesse la differenza. Non stava nella mancanza di uniformi della marina,
perché, fatta eccezione per una nave ammiraglia e alcune altre, dirette da
comandanti molto formali, era ormai una consuetudine affermata che gli
ufficiali indossassero anonimi abiti da lavoro, a meno di non essere invitati
a pranzo dal comandante stesso o impegnati in qualche dovere ufficiale; in
quanto ai marinai, si erano sempre vestiti a modo loro. E la differenza non
consisteva nemmeno nel fatto che mancasse la fiamma di nave da guerra
sventolante in testa d'albero, cosa che Stephen non avrebbe mai notato.
No: in parte era da attribuirsi all'assenza delle giubbe scarlatte dei fanti di
marina, sempre una macchia vivace sullo sfondo pallido del ponte e del
mare, dalle variazioni di colore poco appariscenti; in parte era da attribuirsi
alla mancanza di ragazzi di qualsiasi specie, mozzi o giovani gentiluomini.
Gli allievi non servivano a molto a bordo, portavano via tempo prezioso,
era difficile farli stare davvero attenti ai loro doveri; però davano alla nave
una certa stridula allegria. L'allegria esisteva ancora sulla nave; in effetti,
le risate degli uomini sulle coffe, sui passavanti e sul castello erano
notevolmente più udibili di quanto non lo sarebbero state su una nave della
marina reale guidate da un comandante severo quanto Jack Aubrey; ma era
un'allegria di natura diversa. Stephen stava meditando su questa ulteriore
differenza quando Bonden venne a poppa per occuparsi della bandiera, una
bandiera rossa che si era impigliata. Scambiarono qualche parola.
«Gli uomini sono davvero contenti della lettera di Nelson, signore»,
rivelò Bonden, dopo che ebbero discusso del vento e della possibilità di
pescare i merluzzi piccoli con l'amo e la lenza. «La vedono come un
segno, per così dire.» A quel punto il fischietto del nostromo chiamò
Bonden e tutti gli uomini a calare in mare il cutter blu e Jack venne a
poppa.
«Buongiorno», lo salutò Stephen. «Mi dispiace di non averti visto a
colazione, ma ho dormito come avrebbe dormito il personaggio di Plutarco
che corse da Maratona ad Atene senza fermarsi mai, se non fosse morto, la
misera creatura. Il povero Martin dorme ancora, vesciche e tutto quanto.
Signore Iddio, quanto abbiamo corso, eravamo così preoccupati di perdere
la nave! In certi punti, nelle salite più faticose, mi ha tirato per la mano.»
«Buongiorno, dottore; e buono lo è davvero», disse a sua volta Jack. «Il
signor Martin è a bordo, dunque? Avevo creduto che sarebbe andato a casa

Patrick O'Brian 29 1988 - La Nave Corsara


per fare i suoi preparativi e che ci avrebbe raggiunto a Shelmerston al
nostro prossimo scalo.»
«Ieri pomeriggio non ho avuto in verità il tempo di parlarti di lui né di
niente altro, e la sera mi sono addormentato ancora prima che tu scendessi
sottocoperta. E perfino ora, sebbene qui non siamo alla tavola
dell'ammiraglio», disse a bassa voce, lanciando un'occhiata alla ruota che
sulla Surprise era immediatamente a proravia dell'albero di mezzana, a
dieci piedi di distanza, dove si trovavano il timoniere e il quartiermastro,
per non parlare dell'ufficiale di guardia al cabestano e di una squadra di
marinai che correvano sulle sartie per occupare la coffa di mezzana,
«perfino ora non siamo in un luogo che io sceglierei per una conversazione
riservata.»
«Andiamo in cabina», propose Jack.
«Ma anche lì», riprese Stephen, «anche lì, nei penetrali della fregata, per
così dire, poco viene detto che non sia risaputo prima di sera in tutta la
nave, in una forma più o meno distorta. Non accuso nessuno,
assolutamente nessuno, di malafede, di intenzioni malevole, ma è un fatto
che tutti sanno già della lettera di Nelson. Sanno, o meglio credono di
sapere, che la Surprise è stata comprata da un consorzio del quale io sarei
il portavoce, mentre i suoi membri includerebbero quasi certamente il mio
paziente di un tempo, il principe William. E credono che Martin abbia
abbandonato la sua funzione ecclesiastica per assumere quella di chirurgo,
essendo stato privato dell'abito talare per aver infilato... conosci
quest'espressione, infilare, Jack?»
«Credo di averla sentita.»
«... la moglie del suo vescovo; spretato, e perciò incapace di portarci
sfortuna. In quanto alla sua presenza a bordo, io gli avevo suggerito di
tornare a casa con un anticipo sulla sua paga, come avevi avuto la bontà di
dare a me tanto, tanto tempo fa, e di salire a bordo con il suo bagaglio
durante il nostro prossimo scalo; ma ha preferito mandare l'anticipo alla
moglie e rimanere sulla nave. Temo che lo stato delle sue finanze sia
disperato: nessuna speranza di un beneficio ecclesiastico, nessuna di un
posto di cappellano navale dopo il suo sciagurato libello, e un suocero
ostile; correrebbe persino il pericolo di essere arrestato per debiti, se
facesse ritorno a casa. Inoltre, pur restando noi in mare soltanto per una
quindicina di giorni, sopporterebbe volentieri l'incomodo di non avere una
camicia di ricambio e quello delle scarpe con le suole bucate, nella

Patrick O'Brian 30 1988 - La Nave Corsara


speranza che noi catturiamo una preda. Gli ho spiegato il nostro sistema di
ripartizione, che non aveva capito, e pochi spiccioli lo renderebbero felice.
Sono, però, davvero impaziente di parlarti anche di altre cose. E se
salissimo sulla coffa, quando quegli uomini avranno finito di fare ciò che
stanno facendo?»
«Ne avranno ancora per un bel po'», disse Jack, il quale era salito sulla
coffa con Stephen molte altre volte. «Forse un piano migliore sarebbe di
fare il giro della Surprise sul tuo battellino dopo l'esercitazione ai cannoni.
Desidero in ogni caso osservare l'assetto della nave.»
«Intenderesti far esercitare subito gli uomini ai cannoni?»
«Ma sì. Non hai visto la scialuppa calata in mare con i bersagli? Ora che
siamo in un angolo di mare fuori mano, voglio vedere come se la cavano i
nuovi arrivati a sparare davvero. Intendiamo fare fuoco prima di pranzo
con una mezza dozzina di volate, guardia di dritta contro guardia di
sinistra. Bisognerà stare ben svegli.»
«Bersagli fuori, signore», annunciò Pullings sulla porta della cabina: e
infatti egli aveva un'aria ben sveglia, smanioso come un terrier cui
avessero mostrato un ratto, in stridente contrasto con Jack Aubrey.
Stephen aveva l'impressione che al suo amico sarebbe importato ben
poco se i bersagli fossero affondati quietamente di loro spontanea volontà
e quell'impressione si rafforzò durante la prima parte dell'esercitazione. Lo
stimolo della lettera di Nelson e della gentilezza dell'ammiraglio si era da
lungo tempo dissolto; era tornata la tristezza. Una tristezza che non era
accompagnata da nessuna mancanza di diligenza; il senso del dovere di
Aubrey verso la sua nave era di gran lunga troppo forte perché egli fosse
meno che preciso e puntiglioso. Eppure Stephen osservò che perfino
l'odore della miccia a combustione lenta, perfino lo schianto lacerante
delle cannonate, lo stridore e la vibrazione riecheggiante del rinculo e il
fumo della polvere da sparo che fluttuava sul ponte non lo emozionavano
più. Osservò anche che Pullings, il quale era affezionatissimo a jack
Aubrey, lo guardava con ansia.
Stephen non notò tuttavia che la prova ai cannoni e ai moschetti si stava
rivelando miserrima, perché quelle attività si erano sempre svolte di sera,
quando tutti gli uomini venivano chiamati ai posti di combattimento e,
come chirurgo, il suo posto era stato molto più in basso, dove venivano
ricoverati i feriti. Aveva perciò ben poca esperienza e quasi nessuna idea
di quale fosse stata la qualità dell'artiglieria della fregata in altri momenti.

Patrick O'Brian 31 1988 - La Nave Corsara


Jack Aubrey, fin da quando aveva avuto l'uso della ragione navale e ancor
più, certamente, dal suo primo comando, si era convinto che un fuoco di
artiglieria rapido e preciso avesse a che fare con la vittoria più degli ottoni
luccicanti: aveva operato in base a questo principio su ogni sua nave,
portando a un livello di eccellenza la Surprise, la nave di cui era stato il
comandante più a lungo. In condizioni buone la nave di Sua Maestà
Surprise aveva sparato tre bordate ben mirate in tre minuti e otto secondi,
un record che a suo parere nessun'altra nave della marina poteva
uguagliare, e ancor meno superare.
La Surprise presente, sebbene non fosse più una fregata di Sua Maestà,
aveva ciò nonostante tutti i suoi vecchi cannoni, Wilful Murder, Jumping
Billy, Belcher, Sudden Death, Tom Cribb e gli altri, insieme con molti dei
suoi vecchi serventi ai pezzi; tuttavia per arrivare a una buona armonia o
piuttosto per prevenire animosità e divisioni più di quante fossero
inevitabili, Jack e Pullings avevano mescolato marinai vecchi e nuovi e il
risultato era stato penosamente lento, maldestro e impreciso. Quasi tutti i
marinai delle navi corsare erano abituati ad andare all'arrembaggio più che
a combattere a distanza (prescindendo da ogni altra considerazione,
cannoneggiare una nave voleva dire danneggiare sicuramente le mercanzie
nella stiva della vittima), e pochi erano in grado di puntare un cannone con
un minimo di precisione. Molte furono le occhiate ansiose che i vecchi
marinai della Surprise lanciarono al loro comandante, in generale un
critico inesorabile; eppure non scorsero nessuna reazione se non una
gravità immutabile. Soltanto una volta fece sentire la sua voce, quando uno
dei nuovi si avvicinò troppo al suo cannone. «Il servente del numero sei:
James. Allontanatevi dal pezzo o perderete un piede nel rinculo.»
L'ultimo colpo fu sparato, spugna, ricarica, stoppaccio, scovolo e il
cannone venne riportato in batteria.
«Bene, signore...» cominciò Davidge, imbarazzato.
«Vediamo che cosa sanno fare con i cannoni di sinistra, signor
Davidge», ordinò Jack.
«Ritirate i cannoni!» gridò Davidge; e poi: «Tutti gli uomini pronti a
virare».
I nuovi arrivati potevano anche essere scadenti per quanto riguardava
l'artiglieria, ma certamente non avevano nulla da rimproverarsi come
marinai e corsero rapidi quanto gli uomini della Surprise alle scotte, alle
mure, alle boline, ai bracci e ai paterazzi e i comandi familiari si

Patrick O'Brian 32 1988 - La Nave Corsara


succedettero: «Vieni all'orza!» «Molla le mure e le scotte!» ma il grido a
voce spiegata di: «Borda il trevo!» fu seguito immediatamente da quello
acuto dalla testa d'albero: «Ponte! Vela a una quarta al mascone di
sinistra!»
La vela, visibile anche dal ponte, stringeva il vento a una buona
andatura: ovviamente la vedetta aveva osservato l'esercitazione anziché
l'orizzonte. La Surprise abbatté; Jack mise a collo il parrocchetto e salì
sulla coffa con il cannocchiale a tracolla. Dalla coffa era visibile lo scafo
della nave e, anche senza l'aiuto dello strumento, Jack riuscì a riconoscerla
per un grosso cutter, uno di quei velieri veloci, agili, buoni bolinieri, di due
o trecento tonnellate di stazza, usati dai contrabbandieri o da chi ai
contrabbandieri dava la caccia. Sembrava molto ben tenuta per essere una
nave dedita al contrabbando: troppo ben tenuta; e ben presto il
cannocchiale gli rivelò la fiamma di una nave da guerra stagliata
nettamente contro la gabbiola. Aveva il vantaggio del vento, ma la
Surprise avrebbe potuto batterla in velocità al gran lasco; tuttavia ciò
avrebbe voluto dire correre dritto verso le rotte abituali di navigazione, con
la probabilità di essere fermato da qualche nave di linea di una classe
superiore che gli avrebbe portato via molti più uomini di quanto non
avrebbe potuto fare il cutter. E sfuggirgli navigando di bolina era fuori
discussione: nessuna nave a vele quadre poteva stringere il vento così.
Ridisceso sul ponte, il comandante Aubrey disse all'ufficiale di guardia:
«Signor Davidge, resteremo in panna finché non ci avrà raggiunto e
continueremo l'esercitazione più tardi. Tenetevi pronti ad ammainare i
velacci e la bandiera». Si levò un mormorio di forte disapprovazione dai
nuovi alle carronate del cassero, per la maggior parte poco disposti a farsi
arruolare di forza, e una voce disse: «È soltanto la Viper, signore, non ci
batte di sicuro con il vento in poppa».
«Silenzio, laggiù!» gridò Davidge, assestando un colpo con il megafono
sulla testa del marinaio che aveva parlato.
Jack scese sottocoperta e, dopo un momento, mandò a chiamare
Davidge. «Ah, signor Davidge», disse, «l'ho già detto al signor West e al
signor Bulkeley, ma non credo di averne fatto parola con voi: non si
useranno le mani su questa nave e nemmeno ingiurie e insulti. Su una nave
da guerra privata non c'è posto per ufficiali abituati a certi metodi.»
Davidge avrebbe voluto replicare, ma uno sguardo al volto di Jack bastò
a farlo ammutolire: se mai c'era stato un ufficiale pronto a menare le mani

Patrick O'Brian 33 1988 - La Nave Corsara


senza riguardo per nessuno, questi era il suo comandante in quel momento.
In silenzio Killick entrò portando una giacca molto dignitosa, blu, ma
senza segni distintivi della marina, né ricami o bottoni; Jack la indossò e
cominciò a raccogliere le carte che avrebbe dovuto presentare se fosse
stato convocato a bordo della Viper. Alzando lo sguardo, vide Stephen e
disse con un sorriso forzato: «Vedo che hai una carta in mano anche tu».
«Ascolta, fratello», replicò Stephen, ritirandosi con lui verso la vetrata di
poppa, «non è senza un conflitto interiore che ho tirato fuori questo
documento, perché esisteva un tacito accordo per cui avrebbe riguardato
soltanto la nostra missione sudamericana. Ma il carpentiere mi dice che
questa Viper sarebbe comandata da un giovincello spocchioso
particolarmente petulante, un ufficiale di nomina recente e di modi
indisponenti e sgarbati, perciò, se quel poppante ti provocasse, come io
temo, credo che tu potresti lasciarti trascinare e allora non ci sarebbe
nessuna missione sudamericana, nessuna missione di nessun genere.»
«Perdio, Stephen!» esclamò Jack, scorrendo il documento
dell'Ammiragliato che metteva l'intero equipaggio della nave al riparo
dall'arruolamento forzato. «Ammiro la tua preveggenza. Ho controllato
sull'Elenco della marina e la Viper è comandata dal figlio di quella nullità
di Port Mahon, Dixon. Mi sarebbe stato difficile non prenderlo a calci, se
avesse cominciato a darsi delle arie. Perdio, ora sono molto più
tranquillo.»
Anche così, tuttavia, a Jack Aubrey fu necessario tutto il proprio
dominio di sé, in verità più di quanto non pensasse di avere, per evitare di
prendere a calci il giovanotto: se in lui era scomparsa quasi totalmente la
capacità di provare emozioni piacevoli, era però rimasta intatta la capacità
di provare suscettibilità, irritazione, collera e ira, che anzi si erano
rafforzate, assenti solo durante i lunghi periodi di apatia; e quello non lo
era. Quando fu a distanza di voce, la Viper ordinò alla Surprise di portarsi
sottovento, di mandare a bordo il nocchiere con i documenti e di fare in
fretta, una fretta dannata, l'ordine sottolineato da un colpo di cannone
davanti alla prua.
Jack fu trasbordato sulla scialuppa che aveva rimorchiato i bersagli e,
salito a bordo della Viper, due soli balzi su per la murata, essendo quel tipo
di veliero molto basso sull'acqua, salutò il cassero: il giovane allievo di
guardia, un aiuto nocchiere, abbozzò un gesto vago in direzione del
cappello e gli disse che il comandante era occupato: avrebbe visto il signor

Patrick O'Brian 34 1988 - La Nave Corsara


Aubrey più tardi. Dopodiché riprese la conversazione con il segretario del
comandante, passeggiando avanti e indietro e parlando con una
disinvoltura affettata. Gli allievi imbarcati sui cutter avevano la cattiva
fama di essere molto maleducati e quelli della Viper non facevano
eccezione: appoggiati all'impavesata, con le mani in tasca, fissavano Jack
bisbigliando e ridacchiando tra loro. Verso prua, i sottufficiali riuniti in un
gruppetto osservavano la scena con evidente disapprovazione e un
marinaio di mezz'età che aveva navigato con Jack molti anni prima,
immobile alle bitte con un rotolo di cima in mano, aveva sulla faccia
un'espressione inorridita.
Finalmente Dixon, il comandante della Viper, si decise a riceverlo nel
bugigattolo che passava per cabina, seduto a un tavolo: non gli offrì una
sedia. Aveva sempre odiato Aubrey fin dai giorni lontani di Minorca e, da
quando era stata avvistata la Surprise, non aveva fatto che preparare frasi
sarcastiche particolarmente velenose. Tuttavia la vista della mole
imponente di Jack che riempiva il misero spazio - ancor più massiccia,
curvo com'era sotto i bagli -, del suo volto severo e l'autorità naturale che
emanava dalla sua persona furono troppo per il giovane Dixon, il quale
non disse niente quando Jack spostò alcuni oggetti da uno stipo e si mise a
sedere. Soltanto quando ebbe sfogliato i documenti, si decise a parlare:
«Vedo che il vostro equipaggio è più che completo, signor Aubrey. Dovrò
liberarvi di una ventina di uomini».
«Sono protetti», ribatté Jack.
«Sciocchezze. Non possono essere protetti, gli uomini delle navi corsare
non lo sono mai.»
«Leggete questo.» Jack gli allungò il documento, poi cominciò a
raccogliere le sue carte, rimanendo in piedi davanti a lui.
Dixon lesse, rilesse, tenne il foglio contro luce per controllare la
filigrana; nel frattempo Jack guardava fuori del portellino di murata i
cappelli del suo armo che si alzavano e si abbassavano sull'onda gentile.
«Be'», disse Dixon alla fine. «Suppongo che non ci sia più niente da
dire. Potete andare.»
«Che cosa avete detto?» domandò Jack, voltandosi bruscamente.
«Ho detto che non c'è più niente da dire.»
«Signore, buongiorno a voi.»
«Buongiorno a voi, signore.»
La ciurma della scialuppa lo accolse con sorrisi raggianti e quando

Patrick O'Brian 35 1988 - La Nave Corsara


furono vicini alla Surprise uno degli uomini di Shelmerston gridò agli
amici affacciati alle brande poste all'impavesata: «Marinai! Protetti
siamo!»
«Silenzio sulla scialuppa!» gridò il timoniere scandalizzato.
«Silenzio a poppa e a prua!» ordinò l'ufficiale di guardia mentre il
clamore delle acclamazioni si propagava a bordo della fregata.
La mente di Jack era ancora troppo occupata dal documento di Stephen e
dalle sue possibili implicazioni per fare caso alla confusione, mentre si
affrettava verso la cabina; ma aveva appena riposto le sue carte che a
bordo si scatenò un frastuono ancora più grande. Mentre la Viper faceva
portare e acquistava abbrivo, tutti gli uomini di Shelmerston e quelli della
Surprise che avevano disertato da altre navi corsero sulle sartie
sopravvento. Il quartiermastro alle scotte gridò in direzione del cutter:
«Uno, due, tre!» e da tutti gli altri si levò un muggito: «Uuh! Uuh! Uuh!»
Contemporaneamente gli uomini si batterono all'unisono la mano sulle
natiche, ridendo come matti.
«Silenzio, laggiù!» ruggì Jack con una voce possente da Capo Horn.
«Stramaledetto branco di scimuniti! Siamo forse in un bordello? Il primo
che si batte la mano sul culo se lo vedrà portar via a frustate. Signor
Pullings, il battellino del dottore subito in mare, per cortesia, e fate
preparare altri tre bersagli.»

*
«Stephen», esordì Jack, appoggiandosi sui remi quando furono a
duecento iarde dalla nave, «non so dirti quanto ti sia grato di questa
esenzione. Se fosse stato preso qualcuno dei nostri vecchi compagni che
hanno disertato, e sono certo che quel giovane segugio di scarso cervello
non li avrebbe risparmiati, avrebbero corso il rischio di essere impiccati: o
quanto meno di buscarsi parecchie centinaia di colpi di frusta. E noi
avremmo dovuto giocare perpetuamente a nascondino con le navi del re.
Anche se è possibile, con un po' di buon senso, tenersi alla larga da una
squadra navale, non si può mai essere sicuri di evitare una nave che incroci
al largo. Immagino di non poterti chiedere come l'hai ottenuta.»
«Te lo dirò, al contrario, perché so che sei muto come una tomba quando
è necessaria la discrezione», ribatté Stephen. «In questa missione
sudamericana spero di poter avere qualche contatto forse utile al governo.

Patrick O'Brian 36 1988 - La Nave Corsara


In un modo semi semi semiufficiale l'Ammiragliato lo sa; sa anche che non
potrei mai raggiungere l'America del Sud su una nave privata dei suoi
uomini; per questa ragione sono stati protetti. Avrei dovuto dirtelo prima.
In verità, sono molte le cose che avrei dovuto dirti prima, e lo avrei fatto,
se non fossimo stati così lontani e se fossero cose da poter essere affidate
alla corrispondenza.» Stephen s'interruppe per scrutare un gabbiano
tridattilo in lontananza, poi continuò: «Ascoltami, ora, Jack, mentre cerco
di raccogliere le idee per farti il quadro della situazione. È difficile, perché
non sono libero di dirti tutto, sapendo, come so, che gran parte mi è stata
rivelata confidenzialmente. Inoltre non sono in grado di ricordare con
precisione quanto io ti abbia già detto durante quell'orribile periodo: i
particolari sono confusi nella mia memoria. Grosso modo, tuttavia, e
includendo ciò che ovviamente sai già, le cose stanno così. L'argomento
per dimostrare la tua innocenza era che Palmer avesse verso di te un
grande obbligo di gratitudine e che, durante il viaggio di ritorno a Londra,
ti avesse rivelato che un trattato di pace era stato firmato, cosa che avrebbe
provocato un rialzo in Borsa, suggerendoti di comprare alcuni titoli in
previsione di quel rialzo. L'argomento dell'accusa era l'inesistenza di
Palmer, mentre le voci di una pace imminente sarebbero state messe in
giro da te: in breve, tu avresti manipolato il mercato. Noi non siamo stati in
grado di portare Palmer in aula e, con un giudice come quello, il nostro
caso era senza speranza. In seguito, però - e arrivo ora a una parte di cui
credo tu sappia poco o niente -, alcuni miei associati e io, aiutati da un
bravissimo segugio, abbiamo trovato il cadavere di Palmer...»
«Ma, allora...»
«Jack, ti prego di non chiedermi di essere più esplicito di così e di non
interrompere il filo del mio discorso. Come ho detto, non sono del tutto
libero e devo manovrare con molta attenzione.» Un'altra pausa di
riflessione, mentre la barca cavalcava dolcemente le onde. «I mandanti di
Palmer, gli uomini che lo avevano indotto a ingannarti, lo avevano
eliminato; in quanto cadavere, un cadavere mutilato, legalmente inutile,
non poteva comprometterli. I suoi mandanti sono agenti al servizio della
Francia, inglesi che occupano una posizione importante
nell'amministrazione pubblica; ma in questo caso il loro scopo principale
era di fare quattrini. Volevano manipolare il mercato, ma volevano farlo
attraverso un'altra persona. Uno di questi uomini era Wray... No, non
interrompermi, Jack, per favore... E, dal momento che egli era

Patrick O'Brian 37 1988 - La Nave Corsara


perfettamente al corrente dei tuoi movimenti e della tua presenza a bordo
della nave addetta allo scambio dei prigionieri, ha potuto dirigere gli
avvenimenti con stupefacente successo. Tutto ciò è apparso abbastanza
chiaro dopo gli eventi, ma forse non saremmo mai riusciti a scoprire che i
responsabili erano Wray e il suo amico, se un agente della Francia
scontento, in questo caso di nazionalità francese, non li avesse denunciati.»
Stephen rimase meditabondo per qualche istante, poi, frugandosi in tasca,
tirò fuori un grande diamante azzurro che quasi gli riempiva il cavo della
mano; lo mosse delicatamente così da farlo brillare alla luce del sole e
continuò: «Ti dirò anche questo, Jack: il francese era quel Duhamel con il
quale abbiamo avuto tanto a che fare a Parigi. Diana aveva cercato di
riscattarci con questa cosetta graziosa e, quando siamo stati rilasciati, parte
dell'accordo era che fosse col tempo restituito: Duhamel lo ha riportato. E
poi, in cambio di un favore che ho potuto fargli, non soltanto mi ha
rivelato il nome di Wray e del suo collega Ledward, Edward Ledward, ma
ha teso loro una trappola raffinata come quella che Wray aveva ideato per
te. Erano entrambi membri del Button e, mentre io li osservavo dalla
finestra del Black, Duhamel li ha incontrati in St. James's Street, proprio
davanti al loro club, ha dato loro un pacchetto di banconote e ha ricevuto
in cambio un rapporto sui movimenti militari e navali e sulle relazioni
inglesi con la corte svedese. I miei associati e io ci siamo precipitati ad
attraversare la strada, ma sono desolato, sono desolatissimo di dire che
abbiamo mandato a monte tutto quanto. Allorché abbiamo chiesto di Wray
e del suo amico, ci siamo sentiti dire che non desideravano ricevere visite.
Per colmo di sfortuna, uno dei miei compagni ha cercato di entrare di
forza, il che ha fatto un certo chiasso, e quando siamo tornati con il
necessario mandato, i due si erano dileguati, non passando dalle cucine o
dalla scuderia, perché avevamo messo uomini a ogni uscita, ma attraverso
un piccolo lucernario sul tetto. Di lì, camminando sui cornicioni, sono
arrivati da Mamma Abbott, dove una delle ragazze li ha fatti entrare,
pensando a una burla. Una volta in strada, sono spariti e fino a questo
momento coloro che si occupano della cosa non sono stati in grado di dire
dove siano. Ledward doveva aver avuto qualche sospetto di essere in
pericolo: le sue carte non hanno rivelato assolutamente niente ai miei
amici, e loro temono che si fosse assicurato da tempo un'astuta via di
scampo. Wray è stato meno cauto, però, e, da quanto è stato trovato in casa
sua, è risultato chiaro che era implicato nell'affare della Borsa e che ne

Patrick O'Brian 38 1988 - La Nave Corsara


aveva approfittato largamente. In ogni caso, il rapporto che avevano
consegnato a Duhamel era assolutamente compromettente, in particolare
perché alcune informazioni provenivano dall'interno dell'Ammiragliato.
Ecco. Credo di averti detto tutto ciò che posso. Non vale nemmeno la pena
di aggiungere che i miei colleghi, i quali non avevano mai pensato a
qualcosa di più di una semplice indiscrezione da parte tua con quelle vili
azioni e con quei miserandi titoli, sono ora assolutamente convinti della
tua innocenza».
Negli ultimi cinque minuti il cuore di Jack aveva battuto con forza e con
rapidità crescenti e ora sembrava che volesse riempirgli il petto.
Respirando profondamente e controllando la voce con un certo successo,
chiese: «Ciò significa che posso essere reintegrato?»
«Se esistesse una giustizia in questo mondo, sono sicuro che sarebbe
così, mio caro», disse Stephen, «ma non devi aspettartelo con nessuna
specie di certezza, non devi nutrire una grande speranza. Ledward e Wray
non sono stati presi: non possono essere portati davanti a un tribunale. Non
è impossibile che qualcuno più in alto di loro li stia proteggendo:
certamente esiste una strana riluttanza ad agire... In ogni caso, il governo
non ha nessun desiderio di offrire all'opposizione uno scandalo clamoroso
e grandemente disonorevole; e la raison d'état può avere la meglio molto
facilmente sui torti inflitti a un individuo, in particolare a un individuo
senza nessuna influenza politica: o piuttosto il contrario, perché sotto
questo aspetto mi permetterai di dire che il generale Aubrey è un ben triste
peso. E si aggiunga che, in ogni specie di autorità, è insita un'estrema
riluttanza ad ammettere i propri errori. D'altro canto io credo che un amico
ti consiglierebbe di non disperare; soprattutto di non lasciarti andare alla
malinconia. Non stare in ozio, non stare solo, come dice il caro Burton. In
quanto all'attività, la soluzione è l'attività navale, se soluzione esiste.»
«Mi dispiace di esserti sembrato così sconfortato stamani», disse Jack.
«Il fatto è che... non ho intenzione di lamentarmi, Stephen, ma il fatto è
che avevo appena fatto un sogno così reale che ancora adesso mi pare di
toccarlo. Ho sognato che tutto l'affare, il processo e ciò che è seguito, era
stato un incubo; e l'enorme sollievo, la gioia nel rendermene conto,
l'immensa felicità mi hanno svegliato. Ma anche allora ero in parte nel
sogno e per un attimo ho cercato la mia vecchia uniforme, convinto di
trovarla.» Riprese a remare e completò il giro della nave, osservando
attentamente il suo assetto: la sua ragione riconosceva la verità delle parole

Patrick O'Brian 39 1988 - La Nave Corsara


di Stephen, ma nella sua parte irrazionale una piccolissima luce stava
dissipando l'estrema infelicità. Mentre si dirigeva verso la fregata,
aggiunse: «Sono contento che tu abbia rivisto Duhamel. Mi è simpatico».
«Era un uomo buono», confermò Stephen. «E il fatto di aver riportato il
diamante quando stava tagliando tutti i legami con la sua patria, quando
stava andando in Canada, è stato un esempio notevolissimo di
comportamento nobile. Lo rimpiango molto.»
«È forse morto, poveretto?»
«Non avrei fatto menzione del suo nome, se fosse stato vivo. No.
Heneage Dundas, su mia garanzia, lo avrebbe portato in America, dove
Duhamel intendeva sistemarsi vicino a un fiume pieno di trote nella
provincia del Québec. Aveva convertito in oro tutto il suo non indifferente
patrimonio e aveva nascosto l'oro in una cintura che portava alla vita; si
accingeva a salire a bordo a Spithead con il mare mosso, ma, come è
successo a me qualche volta, è scivolato in acqua tra la scialuppa e la
murata: la sua ricchezza lo ha fatto affondare inesorabilmente.»
«Ne sono addolorato di tutto cuore», si rammaricò Jack, remando con
più forza. Si domandò se fosse il caso di parlare di Diana e del diamante:
non farlo gli sembrava un segno di indifferenza, ma decise che la
questione era tutto sommato troppo delicata, avrebbe potuto prendere a
collo molto facilmente; avrebbe potuto molto facilmente recare pena; e il
silenzio era preferibile finché non fosse stato Stephen a parlargliene per
primo.
Una volta a bordo, Aubrey fece di nuovo rimorchiare i bersagli. La
guardia di sinistra ebbe la sua occasione ai cannoni e la prova fu
leggermente migliore, accompagnata da un fuoco continuato di critiche, di
consigli e perfino di lodi dal cassero; e infine la Surprise si concesse il
lusso di due bordate a distanza ravvicinata. Bordate in successione, con i
cannoni che sparavano l'uno dopo l'altro da prua a poppa. Dato che i legni
della nave erano troppo vecchi, si evitava un fuoco simultaneo, tranne in
caso di grande emergenza; ma le navi da guerra private dovevano
approvvigionarsi a loro spese di polvere, una materia costosa, e perciò,
nella maggior parte dei casi, le bordate erano estremamente rare. E tutti gli
uomini interpretarono la cosa come una celebrazione del loro trionfo sulla
Viper. La celebrazione ebbe termine con il comandante e il
capocannoniere ai cannoni in caccia, due lunghe bocche da fuoco molto
belle da nove pollici, cannoni di lunga gittata e straordinariamente precisi,

Patrick O'Brian 40 1988 - La Nave Corsara


proprietà privata di Jack Aubrey. Spararono ai relitti galleggianti del
bersaglio sfracellato dalla bordata e, sebbene nessuno dei due facesse
meraviglie, suscitarono entrambi una calorosa acclamazione. Quando Jack
venne a poppa, pulendosi la faccia dalle tracce di polvere da sparo, Martin
disse a Stephen: «Di sicuro il comandante ha l'aria di essere più come una
volta, non credete? Ieri sera mi aveva terribilmente sconvolto».

*
La punta di estrema infelicità poteva forse essersi smussata, ma non
mancava lo spazio per una grandissima apprensione e una vera angoscia.
Anche prescindendo del tutto dalle riflessioni, inevitabili sebbene
importune, sulle complicazioni domestiche e legali (e non era più l'essere
ottimista e sicuro di sé anche solo di un anno prima), Jack non si era reso
conto della difficoltà, della quasi impossibilità di reclutare un equipaggio
che fosse interamente dello stesso livello. Non si era reso conto di quanto
anni di lavoro di squadra e di pratica costante allo stesso cannone con gli
stessi compagni avessero elevato gli uomini della Surprise al di sopra della
media. Gli uomini delle navi corsare erano robusti e volenterosi; nelle
esercitazioni finte - la forma ordinaria di esercitazione, essendo la polvere
così costosa - erano in grado di portare i cannoni in batteria e ritirarli con
grande impeto ed energia; ma era chiaro che sarebbero stati necessari mesi
e perfino anni per dare loro quella sincronia perfetta, quella coordinazione
e quella economia di sforzi che rendevano i vecchi marinai della Surprise
così pericolosi per i loro nemici. Nell'attesa, Jack avrebbe potuto restituire
i cannoni alle squadre di un tempo o cambiare strategia: in luogo di
indebolire l'avversario a distanza, forse perfino portandogli via un albero
di gabbia prima di manovrare per tagliargli la rotta o la scia, e prenderlo in
un fuoco d'infilata per poi, se necessario, abbordarlo, avrebbe potuto
seguire il consiglio di Nelson e puntare dritto sul nemico. Ma quel
consiglio era stato dato all'inizio dell'ultima guerra, quando l'artiglieria
francese e quella spagnola, nonché le qualità marinare della Francia e della
Spagna, erano così marcatamente inferiori; attualmente una nave che si
avvicinasse da sopravvento con un vento moderato su un mare calmo
sarebbe stata esposta di prua e impossibilitata a rispondere al fuoco, a tutta
la bordata del nemico, per venti o trenta minuti, e, una volta sottobordo,
sarebbe stata già così maciullata da rischiare di essere catturata invece di

Patrick O'Brian 41 1988 - La Nave Corsara


catturare: l'ingannatore ingannato. E poi egli aveva adottato la strategia di
Nelson quando comandava una nave della marina da guerra, sempre
contento, naturalmente, di catturare un mercantile o una nave armata per la
guerra di corsa, ma il suo primo scopo era stato di prendere, incendiare,
affondare o distruggere le navi delle marine avversarie. Il caso adesso era
diverso: ora le sue prede principali sarebbero stati i mercantili e il naviglio
corsaro, senza danneggiarli, se possibile; e ciò richiedeva una tattica
differente. Naturalmente, naturalmente, tre volte naturalmente, sarebbe
stato felicissimo di impegnarsi in combattimento con una nave di uguale
forza appartenente alla marina francese o americana, un combattimento
accanito senza pensiero di un guadagno materiale: per una nave da guerra
privata, infatti, per una nave scartata dalla marina, sconfiggere una fregata
nemica sarebbe stata vera gloria. Ma sfortunatamente la Surprise, sebbene
veloce e buona boliniera, apparteneva a un'altra era per quanto riguardava
la gloria. Nella marina britannica esistevano soltanto cinque fregate da
ventotto cannoni e, di queste cinque, quattro erano state messe a
disposizione, inutilizzate. Il dislocamento della maggior parte delle fregate
era ormai ben superiore alle mille tonnellate e tutte portavano trentotto
cannoni da diciotto libbre oltre alle carronate: la Surprise non sarebbe stata
in grado di affrontarle, come non sarebbe stata in grado di affrontare un
vascello di linea. La sua stazza era inferiore alle seicento tonnellate; aveva
cannoni da dodici libbre (e se i suoi braccioli non fossero stati
appositamente rinforzati, si sarebbe sentita più a suo agio con pezzi da
nove); e perfino con gli effettivi completi, numerosi come su una nave del
re, aveva meno di duecento uomini contro i più di quattrocento delle
grosse fregate americane. Nondimeno era pur sempre una fregata e per lei
non vi sarebbe stata nessuna gloria nel catturare una nave di classe
nominalmente inferiore, come un più pesante vascello di prima classe o
una corvetta, anche se armata a nave.
«Forse sarebbe meglio tornare alle carronate», disse a se stesso. In un
certo periodo la Surprise, a parte i cannoni prodieri, era stata armata
interamente con carronate, quei piccoli cannoni mozzi, più simili a mortai,
leggeri (una carronata che lanciava una palla da trentadue libbre non
pesava che millesettecento libbre contro le tremilaquattrocento dei lunghi
cannoni da dodici libbre) e facili da manovrare. Ciò dava alla nave una
bordata di quattrocentocinquantasei libbre. Certamente, quelle
quattrocentocinquantasei libbre non potevano essere sparate con grande

Patrick O'Brian 42 1988 - La Nave Corsara


precisione, né molto lontano; si trattava di pezzi a gittata corta. Una
carronata, però, non richiedeva grande abilità e anche se i suoi proiettili
massicci avevano un effetto terribile, tale da danneggiare gravemente una
preda o persino affondarla, la stessa arma caricata a mitraglia avrebbe
potuto tranciare il sartiame del nemico e spazzargli i ponti con grandissima
efficacia, soprattutto se quei ponti fossero stati gremiti di uomini pronti per
andare all'arrembaggio. Considerando quattrocento palle per riservetta, e
quattordici carronate per bordo, si arrivava a più di quattromila; e
quattromila palle di ferro che urlavano sul ponte a
milleseicentosettantaquattro piedi al secondo avrebbero prodotto un effetto
scoraggiante, anche se fossero state manovrate da mani inesperte... Forse
era quella la soluzione giusta, sebbene naturalmente eliminasse le finezze
di un combattimento individuale, la grande abilità di manovra per portarsi
nella posizione migliore, il fuoco deliberato dei cannoni più precisi,
separatamente e a lunga gittata, il fuoco sempre più rapido man mano che
la distanza diminuiva, fino al combattimento pennone contro pennone nel
parossismo della battaglia, un ruggito incessante tra spesse nubi di fumo.
«Ma tutto ciò appartiene a un mondo ormai quasi del tutto diverso, e
difficilmente posso sperare di essere tanto fortunato da vederlo di nuovo»,
rifletté. «Credo, però, che aprirò il mio animo a Stephen.»
Come comandante di una nave della marina britannica, Jack non si era
mai confidato con nessuno su certi problemi. Era sempre stato un
comandante taciturno per quanto riguardava le questioni di strategia, di
tattica, di condotta di un'azione e ciò non per principio, ma perché gli
sembrava ovvio che un comandante fosse lì per comandare più che per
chiedere consigli o presiedere un comitato. Aveva conosciuto comandanti
e ammiragli che convocavano consigli di guerra e il risultato era stato
quasi sempre una ritirata prudente o, in ogni caso, l'assenza di un'azione
decisiva. Tuttavia ora la situazione era diversa: non comandava più una
nave del re, bensì una nave che apparteneva al dottor Maturin. Poteva
anche trovare impossibile credere, se non con la parte più superficiale del
suo animo, che Stephen fosse realmente il proprietario della Surprise, ma
così stavano le cose e, benché sin dal principio fosse stato deciso che il
comando della fregata non sarebbe mutato in nulla e che a bordo il
comandante avrebbe avuto l'autorità assoluta, Jack sentiva che un certo
grado di consultazione era dovuto al proprietario della nave.
«Ben poco so di battaglie navali», si schermì Stephen, dopo aver

Patrick O'Brian 43 1988 - La Nave Corsara


ascoltato con attenzione gli argomenti pro e contro le carronate. «Anche se
mi sono trovato in Dio sa quanti combattimenti, quasi sempre vi ho
assistito per così dire da lontano, sotto la linea di galleggiamento, in attesa
dei feriti od occupandomi di loro, povere anime; e la mia opinione non
vale la pena di essere espressa. Comunque sia, in questo caso particolare,
perché non puoi cercare di avere la botte piena e la moglie ubriaca? Perché
non addestrare le nuove squadre con molte esercitazioni ai cannoni e poi,
se non dovessero imparare, cambiare con le carronate? Perché, se ho ben
capito, sei deciso a non avere squadre con gli uomini della Surprise e
squadre con i nuovi, non è così?»
«Precisamente. Sarebbe il modo migliore di dividere l'equipaggio, una
divisione delle più spiacevoli anche: i bravi da una parte e i somari
dall'altra. Una certa gelosia sarà inevitabile, e anzi mi meraviglio che non
si sia già manifestata, perciò non devo far niente per accrescerla; una nave
felice è l'unica nave che può combattere con efficacia. Ma, in quanto a
bruciare la polvere senza riguardo, per vedere se gli incapaci possono
essere trasformati in bravi cannonieri, sarebbe di gran lunga troppo
costoso.»
«Ascolta, amico mio», disse Stephen, «apprezzo il tuo desiderio di
risparmiare anche gli spiccioli nella nostra impresa comune, ma al tempo
stesso lo deploro, perché certi risparmi sembrano controproducenti; lo
sono, in verità, e talvolta mi sembra che tu sia eccessivamente spilorcio e
lesini oltre misura, oltre ciò che è effettivamente utile alla causa. Non sta a
me insegnarti la tua professione, certamente, ma se una dozzina di barili di
polvere al giorno può aiutarti a decidere in un senso o nell'altro su una
questione di tale importanza, ti prego di farmi la cortesia di usarli. Spesso
hai elargito alla nave di tasca tua la polvere da sparo, quando avevi
abbondanza di denaro delle prede; e, al momento presente, un contabile
imparziale giudicherebbe la spesa una bazzecola. E, in ogni caso, per
quanto concerne i cannoni e l'artiglieria, devi considerare l'enorme
risparmio conseguito grazie alla conoscenza che ha del mondo Tom
Pullings. Non è stato necessario comprare le carronate.»
La conoscenza che Tom Pullings aveva del mondo terrestre equivaleva
più o meno a quella del suo comandante, e anch'egli era stato ingannato
crudelmente prima di allora; tuttavia conosceva intimamente quello che
avrebbe potuto essere definito il mondo limicolo, l'ambiente dei funzionari
di basso e di medio rango, i quali vivevano con un piede sulla terraferma e

Patrick O'Brian 44 1988 - La Nave Corsara


uno in mare, i vicedirettori dell'arsenale e i loro aiutanti, gente dell'ufficio
d'armamento e degli uffici della marina, e, sebbene in tutte le questioni
ordinarie della vita fosse onesto come il sorgere del sole, come molti suoi
amici considerava la proprietà dello Stato una cosa a parte. Quando la
Surprise era stata venduta dalla marina, si era recato all'asta con Stephen;
aveva festeggiato con molti suoi compagni in porto e, non appena aveva
conosciuto la nuova destinazione della fregata, aveva parlato in privato
con le persone interessate, facendo presente che i suoi cannoni erano ormai
del tutto superati, che mai avrebbero potuto essere ridistribuiti tra le navi
da guerra, che la seconda ghiera e il rinforzo della bocca erano in ogni
caso diversi da quelli degli attuali pezzi regolamentari e che non si sarebbe
affatto sorpreso se, dopo un uso così prolungato, fossero in un ben triste
stato, bucherellati e buoni solo come ferri vecchi. I suoi amici lo
compresero perfettamente e, se non arrivarono a pagare la Surprise perché
portasse i suoi cannoni a Shelmerston, le concessero tuttavia, quale
compenso, una serie di carronate altrettanto scadenti, carronate che ora
facevano parte delle centosessanta tonnellate di zavorra, stivate in modo da
renderla stabile, nei gavoni a prua e a poppa della prima fila di botti.
«No, davvero», sussurrò Jack sorridendo; e dopo un momento continuò:
«L'idea della moralità in marina è piuttosto strana e, in certi casi, mi
sarebbe difficile definirla. Eppure credo che quasi ogni marinaio sappia
distinguere tra appropriazione indebita e accomodamento amichevole
secondo la tradizione; e dopotutto Tom ha distribuito a sufficienza perché
nessuno sia rimasto con le tasche vuote, perlomeno al prezzo di ferro
vecchio; non c'è niente di realmente criminale in questo, io penso. E mi
viene in mente un'altra cosa: le punizioni su una nave da guerra privata. Tu
sai qual è la mia opinione sul gatto a nove code. Detesto doverlo usare e
avevo pensato di seguire la pratica consueta sulle navi di questo tipo, di
lasciare cioè che fossero gli uomini a stabilire la sentenza».
«Difficilmente sarebbero molto severi con i loro compagni, immagino»,
osservò Stephen.
«Eppure lo sono, sai. Durante i grandi ammutinamenti del '97, gli
uomini mantenevano una disciplina molto rigida a bordo delle loro navi e
se qualcuno si comportava male, male, intendo, secondo il loro metro di
giudizio, facevano attrezzare il carabottino. Sentenze di due, tre e perfino
quattro dozzine di colpi di frusta non erano affatto insolite.»
«Mi sembra di capire che hai deciso di no.»

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«È così, infatti. Ho riflettuto che, se vi fosse cattivo sangue tra i nuovi e i
vecchi marinai, e tu sai quanto sia difficile per un equipaggio misto
amalgamarsi all'inizio, nel caso che un uomo della Surprise dovesse essere
punito, potrebbero decidere per una pena troppo dura; e che io sia dannato
se permetterò che uno dei miei uomini sia frustato così.»
«Speriamo che il fuoco costante dei cannoni li faccia diventare amici.
Ho osservato spesso che l'attività fisica e un frastuono di violenza estrema
si accompagnano allo spirito cameratesco e al buonumore.»

*
Per quanto riguardava l'attività fisica e il frastuono di violenza estrema,
il chirurgo della Surprise e il suo assistente furono serviti a dovere nei
giorni seguenti; Jack prese Stephen in parola, e non soltanto l'ultima parte
della guardia del mattino fu dedicata all'esercitazione ai cannoni, ma la
sera la chiamata ai posti di combattimento vedeva invariabilmente la nave,
sgombrata per l'azione, che, quale piccolo vulcano, ruggiva senza sosta,
talvolta con i cannoni di entrambi i bordi che sparavano
contemporaneamente, proiettando fiamme nella coltre di fumo spesso e
nero.
Martin era un uomo fondamentalmente mite e gentile e lo stesso poteva
dirsi di Maturin; a entrambi erano sgraditi i rumori eccessivi, non soltanto
lo schianto colossale delle ripetute esplosioni, ma anche il rombo dei pezzi
messi in batteria e ritirati, e il baccano rimbombante dei piedi che
correvano avanti e indietro dai depositi della polvere e delle munizioni; i
micidiali cannoni stessi erano loro sgraditi, e tutti e due tolleravano
particolarmente male il modo in cui la chiamata ai posti di combattimento
si prolungava fino a gaettone inoltrato proprio in un momento in cui la
nave stava raggiungendo acque particolarmente interessanti dal punto di
vista di un naturalista. Non soltanto la Surprise era circondata da un tale
fracasso che nessun uccello, nessuna medusa mobile o granchio pelagico si
azzardavano a restare entro il limite del suo orizzonte, ma i due erano
costretti a rimanere confinati nella stiva, al loro posto di combattimento e
in effetti anche di pratica chirurgica, perché erano numerosi gli uomini
trasportati nell'infermeria con escoriazioni, ustioni, dita dei piedi e delle
mani schiacciate e una volta perfino con una gamba rotta.
Ogni tanto Stephen riusciva a salire fino al boccaporto di maestra e a

Patrick O'Brian 46 1988 - La Nave Corsara


scrutare a prua e a poppa sul ponte indaffarato, e gli si allargava il cuore
nel vedere Jack Aubrey correre da un cannone all'altro nel fumo, talvolta
illuminato violentemente dalle grandi lingue di fiamma, talvolta simile a
un gigantesco spettro che istruiva le squadre, ruggendo in modo regolare
ed efficiente, e sospingere gli uomini più maldestri nella posizione giusta,
talvolta afferrando egli stesso un paranco per portare il cannone in batteria,
facendo forza su un palanchino per puntare il pezzo, sempre con la stessa
intensa, ardente concentrazione e uno sguardo di grave soddisfazione
quando il tiro andava a segno e la squadra acclamava esultante.
Un lavoro carico di tensione, una buona imitazione di un vero
combattimento, perché i cannoni facevano fuoco così rapidamente che
presto si surriscaldavano, saltando sugli affusti e rinculando con forza
spaventosa. Una volta, Jumping Billy ruppe sia le brache d'affusto sia il
paranco laterale posteriore ed essendovi un forte moto ondoso da sud-
ovest, tutta la massa letale del cannone e dell'affusto avrebbe devastato il
ponte se Padeen, il fortissimo Padeen, non lo avesse trattenuto con un
palanchino fino a quando i suoi compagni non furono riusciti ad
assicurarlo di nuovo. Si adoperarono più in fretta che poterono, ma per
tutto quel tempo Padeen dovette rimanere là in piedi con le mani escoriate
premute con forza sul cannone rovente, così rovente che il sangue sibilava
scorrendo sul metallo.
Bonden, capopezzo della squadra, accompagnò nell'infermeria il povero
Padeen che piangeva senza ritegno per il dolore e mentre scendeva lo
confortava a voce alta scandendo le parole, la voce usata con gli invalidi,
gli stranieri e le persone non del tutto normali (e Padeen in quel momento
era tutte e tre le cose): «Non pensarci, amico, il dottore ti rimetterà subito
in sesto... Certo che ne hai del fegato... Sembri una bistecca alla griglia,
marinaio... Vedrai che ti salverà anche quella povera mano tutta
insanguinata, ci scommetto... e comunque ti toglierà il dolore». E,
alzandosi sulla punta dei piedi, perché Padeen era molto più alto di lui, gli
asciugava con gentilezza le lacrime sulle guance.
Il dottore gli tolse il dolore, il dolore fortissimo, grazie a una dose eroica
di laudano, la tintura alcolica di oppio, uno dei suoi medicinali più
preziosi. «Ecco», disse in latino al suo assistente, tenendo in mano la
bottiglia di un liquido ambrato, «questa è la cosa più vicina a una panacea
che sia mai stata scoperta. In qualche occasione ne faccio uso anch'io e
trovo che risponda mirabilmente nei casi di insonnia, di ansia morbosa, nel

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dolore delle ferite, nel mal di denti e nel mal di testa, perfino
nell'emicrania.» Avrebbe potuto aggiungere anche nelle pene di cuore, ma
continuò: «Come avrete notato, ho regolato il dosaggio sul peso del
paziente e sull'intensità del dolore. Ben presto, a Dio piacendo, vedrete la
faccia di Padeen riprendere la sua solita benevolenza mansueta; e pochi
minuti dopo lo vedrete scivolare insensibilmente sull'orlo del coma
oppiaceo. Sì, è l'elemento più prezioso di tutta la farmacopea».
«Ne sono certo», convenne Martin. «E tuttavia non vi sono obiezioni
contro l'uso dell'oppio? Non tende a diventare un'abitudine?»
«Le obiezioni provengono soltanto da pochi esseri infelici, giansenisti
per la maggior parte, i quali condannano anche il vino, il buon cibo, la
musica, la compagnia femminile: per amor del Cielo, hanno obiezioni
perfino contro il caffè! Possono avere ragione soltanto nel caso di qualche
povera anima priva di forza di volontà, che diventerebbe vittima altrettanto
facilmente di liquori intossicanti: praticamente deficienti morali, spesso
schiavi di altre forme di depravazione; altrimenti non è più dannoso del
tabacco da fumo.» Rimise il tappo alla sua preziosa bottiglia, osservò che
aveva due piccole damigiane di riserva per riempirla, e continuò: «È un po'
di tempo ormai che hanno smesso con quel loro infernale baccano, perciò
penso che potremmo salire in coperta a fumarci un sigaro. Non dovrebbero
avere obiezioni a un altro pochino di fumo da quelle parti, io credo. Orsù,
Padeen, come ti senti?»
Il giovane, la mente alleviata dal latino e il dolore alleviato dalla droga,
sorrise senza rispondere. Stephen, dopo avergli ripetuto la domanda in
irlandese senza migliori risultati, pregò Bonden di legarlo con cura alla
branda così che il suo povero braccio non potesse dondolare e si avviò
verso il cassero.
Lo trovò vuoto e questo fatto lo lasciò sconcertato finché non vide il
signor West sulle sartie di mezzana intento a fissare la coffa di maestra
dove il comandante e Pullings avevano i loro cannocchiali puntati
sopravvento.
«Forse hanno avvistato una sterna maggiore», suggerì Martin. «Il signor
Pullings aveva notato l'illustrazione sul vostro Buffon - lo avevo sfogliato
nel quadrato - e ha detto che credeva di averne viste molto spesso a queste
latitudini.»
«Corriamo a riva e facciamo una sorpresa a tutti e due», propose
Stephen, preso da improvvisa gaiezza: ed era in verità una serata

Patrick O'Brian 48 1988 - La Nave Corsara


dolcissima, profumata, con un cielo dorato a occidente e l'onda lunga di un
blu intenso, bianca di spuma lungo le murate e sulla scia.
Parecchi vecchi marinai della Surprise, pazienti di Stephen nel corso
degli anni, si affrettarono a poppa lungo i passavanti, raccomandando:
«Non guardate in basso, signore... Non aggrappatevi alle griselle...
Tenetevi alle sartie, quelle grosse, con tutte e due le mani... Piano ora,
signore... Non mollate la presa al colmo del rollio, per carità!» Ben presto
mani ansiose ressero i loro piedi dal di sotto e su, su, fino a una grande
altezza, dal momento che la Surprise aveva un albero di maestra da nave
da trentasei cannoni; e poco dopo due facce raggianti si affacciarono sulla
coffa attraverso la buca del gatto.
«Non fate mosse brusche!» gridò Jack. «Non avete ancora acquistato il
piede marino. Non è il momento di fare acrobazie. Datemi la mano.»
Sollevò Stephen e Martin sulla piattaforma e una volta di più Stephen si
meravigliò della sua forza: se egli stesso pesava soltanto centoventicinque
libbre, non una gran cosa, Martin era invece di costituzione assai più
robusta e ciò nonostante fu issato così facilmente come se fosse stato un
cane di taglia media, preso per la collottola, tirato su di peso dalla buca del
gatto e deposto sui suoi piedi sulla coffa.
Non stavano guardando una sterna maggiore, bensì una vela, e una vela
a non grande distanza. «Quante arie si danno quelle corvette da diciotto
cannoni!» osservò Pullings in tono scontento. «Guarda come corre! Tra
poco spiegherà l'uccellina. Scommetto mezza corona che entro cinque
minuti perderà il coltellaccino di trinchetto.»
«Volete dare un'occhiata, signore?» domandò Jack, porgendo il
cannocchiale a Martin.
Il reverendo avvicinò il suo unico occhio allo strumento, registrò
silenziosamente la presenza di un uccello delle tempeste e dopo una pausa
esclamò: «Ha sparato un colpo di cannone! Vedo il fumo! Di sicuro non
avrà mai la temerarietà di attaccarci, non è vero?»
«No, no. È una delle nostre.» Il rombo li raggiunse. «Ci sta segnalando
di metterci in panna.»
«Non sarebbe possibile fingere la sordità e svignarcela nella direzione
opposta?» domandò Stephen, che paventava un altro incontro.
«Sì, la maggior parte delle navi da guerra private evitano i loro fratelli
della marina, se solo possono batterli in velocità, e in un primo momento
l'idea era venuta anche a me», rispose Jack. «Ma ha cambiato rotta così in

Patrick O'Brian 49 1988 - La Nave Corsara


fretta, stringendo il vento di cinque quarte, che deve averci riconosciuti, ne
sono certo; e se non ci mettessimo in panna dopo un colpo di cannone, e
questo è il secondo, e se dovesse fare rapporto su di noi, potremmo
facilmente perdere la nostra lettera di corsa. La Surprise è così
maledettamente riconoscibile... l'albero di maestra è talmente insolito...
s'individua a dieci miglia di distanza, come un orso con la zampa ferita.
Tom, credo che dovremmo usare l'alberetto di velaccio corto di riserva per
la navigazione ordinaria: possiamo sempre ghindare questo per un
inseguimento serrato.»
Pullings non rispose: era sempre più curvo sul suo cannocchiale
appoggiato alla battagliola, mettendo a fuoco con maggiore precisione,
finché a un tratto non esclamò: «Signore, signore, è la Tartarus!»
Jack afferrò il suo strumento e, dopo un istante, in un tono che per lui
era di contentezza, disse: «Proprio così. Riesco a vedere quell'assurda asta
di civada blu brillante». Un altro colpo di cannone e soggiunse: «Ha issato
il nominativo. Tra poco segnalerà: a William sono sempre piaciute le
bandiere». Dirigendo la voce verso il basso, chiamò: «Signor West, prego,
dirigiamoci sulla corvetta con tutta la velatura ordinaria; e che l'addetto ai
segnali si tenga pronto. Sì», continuò, rivolgendosi ai presenti sulla coffa
mentre compariva una lontana fila di bandierine, «ecco una bella sfilata
davvero. Tom, riuscite a leggere anche senza libro, non è vero?»
Pullings era stato ufficiale addetto ai segnali e ancora ne sapeva gran
parte a memoria. «Proverò, signore», rispose, e lentamente lesse:
«Benvenuto... ripeto, benvenuto... felice di vedere... prego comandante
cenare... ho messaggio... spero... Ora sta segnalando MID... evidentemente
l'allievo sbaglia l'ortografia...»
Sul cassero l'aiutante del quartiermastro addetto ai segnali, un uomo di
Shelmerston, stava dicendo: «Che vuol dire il brigantino con quel MID?»
«Vuol dire il nostro dottore; sarebbe che non è un chirurgo barbiere da
due soldi, ma un medico vero con tanto di certificato, parrucca e bastone
con il pomo d'oro zecchino.»
«Non lo sapevo», si giustificò il marinaio di Shelmerston, fissando con
attenzione la coffa.
«Un sacco di cose non sai, compagno», disse il quartiermastro, ma non
sgarbatamente.
«Il veliero che si sta avvicinando è al comando del signor Babbington.
Ricordate il signor Babbington, della partita di cricket?» chiese Stephen.

Patrick O'Brian 50 1988 - La Nave Corsara


«Oh, sì», rispose Martin, «ricordo parecchi suoi lanci a effetto; e mi
avete detto che aveva giocato per l'Hambledon. Sarei felice di rivederlo.»
Lo rivide poco dopo. Le navi erano in panna, con le gabbie a collo, non
molto vicine a causa del mare che si andava ingrossando: la Tartarus, con
grande cortesia, si era portata sottovento alla fregata e il suo comandante,
la faccia rossa e accesa per il piacere e l'esercizio fisico, stava insistendo
affinché Jack non calasse in mare la scialuppa: la Tartarus aveva all'anca i
bighi per le imbarcazioni, la Tartarus avrebbe calato il cutter in un istante.
«Mi farebbe molto piacere, William», lo ringraziò Jack, in un tono di
conversazione che superò agevolmente le cento iarde di mare, «ma dovrà
essere una visita breve: devo portarmi molto a sud e sembra che il tempo si
metta al brutto.»
Il cutter fu calato rapidamente, gli ospiti furono trasbordati e Jack,
dimenticando per un momento che non era in una posizione da dare ordini,
disse all'allievo al comando della scialuppa: «Murata di sinistra, prego»,
volendo evitare le cerimonie: ma quando la scialuppa fu sottobordo si
riprese e diede la precedenza a Pullings e a Stephen, entrambi ufficiali del
re. Il momento di imbarazzo fu superato grazie agli strilli indignati del
dottor Maturin alla vista del bansigo che era stato attrezzato per issarlo a
bordo con i piedi asciutti: «Perché mai questa distinzione ingiuriosa? Non
sono forse un marinaio incallito, un vero lupo di mare?» Tuttavia il tono
cambiò completamente quando fu deposto sul ponte e vide il suo vecchio
compagno di navigazione, James Mowett, pronto a riceverlo. «James
Mowett! Mio caro, come sono contento di vedervi! Ma come mai siete
qui? Credevo che foste stato nominato comandante in seconda
dell'Illustrious.»
«È così, infatti, signore. William Babbington mi sta solo offrendo un
passaggio fino a Gibilterra.»
«Certo, certo. E, ditemi, come va il vostro libro?»
La faccia allegrissima di Mowett si rannuvolò. «Be', signore, gli editori
sono la più infernale...» cominciò. Ma fu interrotto da Babbington che
voleva dare il benvenuto a bordo al dottore e che alla fine, ridendo e
chiacchierando, li condusse tutti alla sua cabina, dove trovarono la signora
Wray, una giovane dama scura di carnagione e piuttosto corta di gambe,
ma in quel momento addirittura graziosa mentre arrossiva per la
confusione, imbarazzata per essere stata vista e felice per aver visto.
Nessuno si meravigliò in modo particolare: tutti gli uomini presenti si

Patrick O'Brian 51 1988 - La Nave Corsara


conoscevano da molto tempo e intimamente - i tre più giovani avevano
condiviso l'alloggio degli allievi al tempo del primo comando di Jack
Aubrey - e tutti sapevano che Babbington era stato più attaccato a Fanny
Harte, come si chiamava prima del suo matrimonio con Wray, che a
qualsiasi altra delle sue numerose fiamme. Forse avrebbero potuto trovare
un pochino eccessivo navigare apertamente con la moglie del facente
funzione di secondo segretario dell'Ammiragliato, ma sapevano tutti che
Babbington era un ricco proprietario terriero e che la sua famiglia poteva
contare su voti sufficienti in Parlamento per proteggerlo da qualsiasi cosa
che non fosse una grave mancanza in servizio; inoltre tutti si erano fatti
una certa idea della reputazione di Wray. L'unica persona realmente
sorpresa, preoccupata e in ansia fu la stessa Fanny; aveva un vero terrore
del comandante Aubrey e si sedette il più possibile lontano da lui,
incuneata in un angolo alle spalle del dottor Maturin. Nel chiasso delle
voci sonore Stephen la udì bisbigliare: «... sembra così strano, non è vero,
compromettente quasi, così distante da terra... Mi sento terribilmente a
disagio... Sono venuta per motivi di salute, il dottor Gordon ha insistito per
un breve viaggio per mare... Naturalmente ho la mia cameriera con me.
Povera me: oh, sì... Così contenta di vedere che il povero comandante
Aubrey sta discretamente anche se, povera me, quel che il pover'uomo ha
dovuto sopportare... e in verità ha un'aria più vecchia ora e non c'è da
sorprendersi... e piuttosto severa anche... Dovrò sedermi accanto a lui a
cena? Ma William ha una lettera di sua moglie per lui e forse questo lo
addolcirà...»
«Mia cara Fanny, non ha nessun bisogno di essere addolcito»,
intervenne Stephen. «Gli siete sempre piaciuta; e se vi fossero pietre da
scagliare, non ne prenderebbe certamente una. Ma, ditemi: l'ultima volta
che ci siamo visti, parlando del comandante Babbington lo avete chiamato
Charles, il che mi ha incuriosito; anche se, non c'è dubbio, ha parecchi
nomi tra cui scegliere e preferisce questo agli altri.»
«No, no», rispose Fanny arrossendo di nuovo. «Quel giorno ero così
confusa... avevo la mente, se si può chiamare mente, tutta in agitazione.
Eravamo stati al ballo in maschera della signora Graham poco tempo
prima, io ero travestita da pecora scozzese e William da Giovane
Pretendente...* [* Il principe Carlo Edoardo Stuart (1720-1788), il Bonnie
Prince Charlie, nipote del deposto re d'Inghilterra Giacomo II. (N.d.T.)].
Come abbiamo riso, oh, Signore! Così ho continuato a chiamarlo Charles

Patrick O'Brian 52 1988 - La Nave Corsara


per giorni... Era così bello con il kilt! Voi penserete che io sia una povera
stupidella, temo. Però sono così contenta di quello che avete detto del
comandante, che non gli dispiaccio. Sarò felice di sedere accanto a lui.
Signore Iddio, spero proprio che il pudding di ribes sia ben cotto: William
ci tiene tanto per il comandante. Giura che con la pentola di Papin** [**
Denis Papin (1647-1712?), medico e scienziato francese, uno degli
inventori della macchina a vapore e ideatore della pentola a pressione che
porta il suo nome. (N.d.T.)] si può cuocere tre volte più in fretta; ma
ricordo che, quando io non ero ancora sposata, i pudding richiedevano
sempre ore e ore di cottura.»
La cena fu allegra, con un gran parlare e molte risate; e non fosse che dal
punto di vista puramente animale, rappresentò una vera festa rispetto al
regime spartano della Surprise. La fregata non aveva né il cuoco del
comandante, né quello della mensa ufficiali; Jack non aveva caricato a
bordo provviste private per motivi di economia, Stephen per distrazione e
il quadrato per semplice miseria; vivevano quindi tutti sulle scorte della
nave e, dal momento che questa era ancora in acque nazionali, non
bevevano grog ma birra leggera, più leggera ogni giorno che passava.
L'unico lusso della cabina era la prima colazione, per la quale aveva
provveduto Killick di sua iniziativa. Durante la cena, Babbington raccontò
che la Tartarus aveva inseguito per due giorni e una notte una goletta
americana straordinariamente veloce, certamente uno dei velieri che
forzavano il blocco e che tentava di entrare nel porto di Brest o di Lorient.
«Ho fatto issare gomene leggere e gherlini in testa d'albero come fate voi,
signore, e credo proprio che l'avremmo raggiunta se non avessimo perso la
gabbia e il parrocchetto, strappati contemporaneamente dai gratili.
L'abbiamo però costretta ad allontanarsi dalla sua rotta di tre o
quattrocento miglia verso sud e, prima di rivedere le coste della Francia,
dovrà ripercorrere tutto il tragitto.»
«Signor Mowett», disse Stephen, mentre la tavola veniva sparecchiata
per fare posto al pudding e si versava il vino adatto, Frontignan e Canary
in quel caso, «mi stavate parlando del vostro editore.»
«Sì, signore, e stavo per dire che gli editori sono la più infernale razza di
procrastinatori che...»
«Oh, ma è terribile!» esclamò Fanny. «Vanno nei... vanno in case
speciali oppure...»
«Intende dire che ritardano», intervenne Babbington.

Patrick O'Brian 53 1988 - La Nave Corsara


«Ah.»
«Sì. Il libro sarebbe dovuto uscire per il 'glorioso primo giugno';* [* Il
1° giugno 1794 la flotta britannica conseguì una vittoria sui francesi a
ovest dell'isola Ouessant (chiamata Ushant dagli inglesi), la prima dal
1782, perciò i contemporanei denominarono quel giorno il «glorioso primo
giugno». (N.d.T.)] poi è stato rimandato all'11 ottobre, anniversario della
vittoria di Camperdown, e adesso dicono che solo un'uscita al 21 ottobre,
giorno della vittoria di Trafalgar, sarebbe veramente adatto per catturare
l'attenzione del pubblico. Vi è un vantaggio, perlomeno: posso rifinire ciò
che è già pronto e aggiungere una nuova poesia che ho composto.»
«Vogliamo sentirla, Mowett», lo incitò Pullings.
«Sì, sì», esclamarono insieme Babbington e Fanny.
«Be'», bofonchiò Mowett con un misto di piacere e di modestia, «è
piuttosto lunga. Perciò, se posso, signora», continuò, inchinandosi a
Fanny, «reciterò soltanto i versi finali. Parla di una battaglia e qui si
mostra la carneficina al suo culmine:

Sull'onda corrono con le ali spiegate,


minacciose le squadre si sono avvicinate.
'Presto, sgombrate i ponti', grida forte il nostromo
e a sgombrare i ponti si affretta ora ogni uomo.
Pallidi i volti d'improvviso terrore,
ristanno tutti, muto lo sguardo e il cuore...»

Uno schianto da qualche parte a prua, non diverso dall'esplosione di un


pezzo da dodici libbre, lo interruppe, ma solo per un momento.

«Di nave in nave morte falciando va:


il suo dominio saldo su ogni poppa sta;
i demoni del sangue galoppano sui flutti,
la rossa spuma va sommergendo tutti...»

«Oh, signore, prego!» gridò un allievo alto e pallido comparso sulla


soglia della cabina. «I complimenti del signor Cornwallis, ma la pentola di
Papin è scoppiata!»
«Ci sono feriti?» domandò Babbington, alzandosi.
«Nessuno è proprio morto, signore, credo, ma...»

Patrick O'Brian 54 1988 - La Nave Corsara


«Perdonatemi, devo andare a vedere», si scusò Babbington con i suoi
ospiti.
«Come odio le invenzioni straniere», si lamentò Fanny.
«Non è morto nessuno», riferì Babbington, rientrando, «e il chirurgo
dice che gli ustionati non sono gravi, guariranno in un mese, più o meno,
ma sono desolatissimo di informarvi, signore, che il budino è sparso in
modo quasi uguale sul cuoco e sui suoi aiutanti, nonché sui bagli. La
cucina aveva pensato che sarebbe cotto più in fretta appoggiando un ferro
da stiro sulla valvola di sicurezza.»

*
«Un vero peccato per il budino», considerò Jack quando furono tornati
nella cabina della Surprise, «ma nell'insieme raramente ho goduto di più
una cena. E anche se Fanny Harte forse non è né Scilla né Cariddi, loro
due si vogliono molto, molto bene e alla fin dei conti è questa la cosa
davvero importante. Sulla strada di Pompey, William si è fermato ad
Ashgrove Cottage per chiedere notizie e Sophia gli ha dato una lettera per
me, nel caso ci fossimo incontrati: a casa stanno tutti bene e mia suocera è
una prova meno dura del previsto. Sostiene che sono stato trattato
malissimo e che Sophia e io meritiamo tutta la sua comprensione; non che
abbia pensato nemmeno per un momento che io fossi innocente, no, è che
approva in pieno ciò che crede io abbia fatto: se ne avesse avuto la
possibilità, la più piccola occasione, dice, avrebbe certamente agito nello
stesso modo, così come qualsiasi donna che avesse a cuore il dovere verso
il suo capitale... Non è per caso la Marsigliese, quella?»
Stephen aveva il violoncello tra le ginocchia e da un po' di tempo stava
accennando sommessamente due o tre frasi con variazioni, suonando quasi
senza accorgersene e senza che ciò gli impedisse di parlare e di ascoltare.
«No», rispose, «è o, meglio, dovrebbe essere, il brano di Mozart che senza
dubbio aleggiava nella mente del francese quando l'ha scritta. Eppure, mi
sfugge qualcosa...»
«Stephen!» esclamò Jack. «Non una nota di più, ti prego. L'ho
nell'orecchio, esattamente. Se solo non se ne vola via...» Tolse
rapidamente il telo che copriva la custodia del violino, accordò in fretta lo
strumento e suonò il motivo corretto. Dopo un po', Stephen si unì a lui e,
quando furono del tutto soddisfatti, s'interruppero, accordarono con

Patrick O'Brian 55 1988 - La Nave Corsara


precisione gli strumenti, passarono la pece greca sui crini dell'archetto e
ripresero il tema, con variazioni, inversioni, ricami, l'uno dapprima
lanciandosi in una serie di improvvisazioni, mentre l'altro seguiva, poi
scambiandosi i ruoli, continuando a suonare senza interrompersi finché
uno sbandamento sottovento non fece quasi cadere Stephen dal suo sedile,
strappando al violoncello un lugubre grido.
Il medico si riprese, archetto e corde intatti, ma il ritmo fluente era stato
distrutto e non suonarono più.
«Meglio così», commentò Jack, «ben presto avrei cominciato a stonare
maledettamente. Durante l'esercitazione ai cannoni ho corso avanti e
indietro senza una pausa, facendo ciò che fa in genere una mezza dozzina
di allievi, ognuno per la sua serie di pezzi... Non mi ero reso conto prima
d'ora che quei piccoli bruti fossero così utili; sono sfinito. Tienti forte,
Stephen!» esclamò, afferrando l'amico che stava per cadere di nuovo,
questa volta dalla posizione eretta. «Che ne è del tuo piede marino?»
«Non è affatto una questione di piede marino», ribatté Stephen. «La
nave si sta agitando in modo scomposto. Cadrebbe anche un coccodrillo in
queste circostanze, a meno di avere le ali.»
«Avevo detto che sarebbe stata una nottataccia, ma forse sarà peggiore
di quanto non avessi pensato», mormorò Jack, avvicinandosi al barometro.
«Sarà meglio sistemare per bene tutto quanto anche quaggiù. Killick!
Killick!»
«Signore?» disse Killick, affacciandosi immediatamente, con un panno
imbottito sotto il braccio.
«Il violoncello del dottore e il mio violino nel deposito del pane, insieme
con l'arnese.»
«Aye, aye, sir. Il violoncello del dottore e il violino nel deposito del
pane, sì, signore, insieme con l'oggetto.»
Nei primi tempi del loro matrimonio, Diana aveva regalato a Stephen
uno splendido quanto indefinibile esempio di ingegnosità e dell'arte
dell'ebanisteria: poteva essere, e in genere era questa la sua funzione, un
leggio per gli spartiti, ma si trasformava per mezzo di varie leve e
congegni in lavabo, in scrittoio, piccolo ma adeguato, in cassetta per
medicinali e in scaffale per libri; e aveva sette cassetti o scomparti segreti;
conteneva anche un astrolabio, una meridiana, un calendario perpetuo e
una quantità di piccole bottiglie di vetro molato, di spazzole e di pettini
d'avorio; ma ciò che piaceva realmente a Killick era il fatto che cerniere,

Patrick O'Brian 56 1988 - La Nave Corsara


bocchette delle serrature, maniglie, placche, tappi delle bottiglie e tutti gli
altri accessori e decorazioni fossero d'oro zecchino. Ne aveva una cura
idolatrica (il panno imbottito era soltanto il più interno dei tre strati di
protezione impermeabile) e trovava che il termine con il quale lo definiva
il comandante fosse improprio, irrispettoso e inadatto. Oggetto era la
parola giusta, una parola che non aveva la ben che minima associazione
con un vaso da notte, bensì, al contrario, con qualcosa di sacro: oggetto
sacro; e per anni, senza stancarsi, Killick aveva cercato d'imporla.
Jack rimase in piedi per qualche momento, seguendo con naturalezza il
movimento del rollio e del beccheggio, le labbra atteggiate come per
fischiare: ma in realtà non era la musica a occupare la sua mente, bensì una
serie di calcoli sulla posizione, le correnti, la forza del vento e il
cambiamento della pressione barometrica, il tutto considerato in rapporto
ai dati recenti e a numerose situazioni simili in quella parte dell'Atlantico.
Infilò la giubba cerata, salì sul cassero e riprese i suoi calcoli, questa volta
più istintivamente, sentendo il vento direttamente sul mare. Gli alberetti di
velaccio erano stati calati sul ponte, i boccaporti chiusi, i portelli fissati e
le scialuppe assicurate. Disse a Davidge: «Quando sarà chiamata la
guardia di sinistra sarà bene terzarolare le gabbie. Chiamatemi se il vento
dovesse cambiare. Vi darà il cambio il comandante Pullings, mi sembra.»
«Sì, signore.»
«Allora riferitegli ciò che vi ho detto. Buonanotte a voi, signor
Davidge.»
«Buonanotte, signore.»
Di nuovo nella cabina, Jack disse a Stephen: «Potrebbe essere questa la
burrasca di cui parlavo, quando dicevo che un combattimento o un
fortunale potevano amalgamare meravigliosamente un equipaggio. Spero
di non aver parlato come uno sciocco. Spero di non aver fatto pensare che
desiderassi una tempesta davvero violenta».
«La trisnonna del mio padrino viveva ad Avila, in una casa che mostrerò
a te e a Sophia quando la guerra sarà finita; aveva conosciuto santa Teresa
e la santa le aveva detto che si spargevano più lacrime per le preghiere
esaudite di quante non si fossero mai sparse per quelle non esaudite.»

CAPITOLO III

Patrick O'Brian 57 1988 - La Nave Corsara


In verità fu proprio la burrasca invocata e il vento girò in senso
antiorario, rinfrescando continuamente fino a provenire il terzo giorno da
est nord-est, soffiando a burrasca stabile per due guardie di fila senza
variare di una sola quarta; dopodiché si fece vorticoso, ancora più violento
e imprevedibile, e la Surprise corse con la trinchettina terzarolata e con lo
straglio di mezzana ridotto.
A quel punto, già avanti nella seconda comandata, alle tre del mattino
passate e con una pioggia che rovesciava in coperta vere muraglie d'acqua,
Tom Pullings lasciò la sua branda, indossò l'incerata e salì la scaletta per
vedere come se la stesse cavando Davidge. Gli uomini di guardia erano
quasi tutti nella parte centrale della nave, a ridosso della paratia frontale
del cassero, per ripararsi dagli spruzzi più violenti e dagli scrosci d'acqua,
ma i quattro uomini alla ruota e l'ufficiale in piedi dietro di loro con un
braccio intorno all'albero di mezzana erano investiti in pieno e,
semisoffocati, tenevano la testa bassa per riuscire a respirare. Davidge era
un marinaio capace e pieno di esperienza, e a suo tempo aveva conosciuto
mari terribili, eppure, mentre rispondeva alla domanda di Pullings,
urlandogli nell'orecchio e facendosi megafono con le mani: «Abbastanza
bene, grazie, signore», non poté fare a meno di aggiungere: «Ma stavo
pensando di chiamare il comandante. Ogni volta che viene un po' all'orza,
il timone ha una specie di sobbalzo, come se i frenelli sfittassero sul
tamburo o si stessero usurando».
Pullings si fece largo tra gli uomini alla ruota, tutti di Shelmerston in
effetti, afferrò le caviglie, aspettò che la Surprise venisse al vento dopo un
colpo di mare che le aveva spostato la prua sottovento, sentì l'esitazione
familiare, sorrise e gridò: «È solo uno dei suoi vezzi con un tempo come
questo. L'ha sempre fatto. Possiamo lasciar dormire in pace il
comandante».
Una serie di lampi singolarmente prolungati e vividi illuminò le nuvole
nere e basse e la nave inondata d'acqua; un enorme tuono scoppiò
vicinissimo e il vento girò senza il minimo preavviso, riempiendo al
massimo la vela di straglio e facendo orzare la Surprise di quattro quarte,
portandola a dirigersi a velocità molto maggiore dritta contro i marosi
altissimi. Il primo tuffo seppellì tutto il castello sotto una massa di acqua
verde. L'intera nave beccheggiò con un tale angolo e con tale violenza che
Jack, il quale dormiva come un sasso sulla sua branda sospesa dopo
trentasei ore trascorse sul ponte, fu scaraventato brutalmente contro i bagli.

Patrick O'Brian 58 1988 - La Nave Corsara


«Dubito che si risolleverà mai», disse Pullings a se stesso: e il bagliore
della lanterna di chiesuola rivelò la stessa cupa aspettativa sui volti degli
uomini alla ruota. Pareva che tutto stesse accadendo con grande lentezza:
nel vortice di spuma il bompresso e parte del castello s'innalzarono scuri
come il dorso di una balena, poi la gigantesca massa d'acqua che riempiva
la parte centrale della nave si riversò a poppa, inondando il cassero e
sfondando la paratia della cabina. Alla luce dei lampi quasi ininterrotti si
distinguevano gli uomini stretti fra loro e aggrappati alle cime di sicurezza
da molto tempo tese da prua a poppa tra i cannoni; e prima che l'acqua
fuoriuscisse dagli ombrinali del cassero, si vide Jack Aubrey arrampicarsi
sulla scaletta in camicia da notte.
«Sta manovrando?» gridò e, senza aspettare la risposta, si mise alla
ruota. La sottile corrente di vibrazioni tra un assalto e l'altro delle onde sul
timone gli disse che tutto era a posto, che la sua nave rispondeva bene
come aveva sempre fatto. Mentre si chinava sulla bussola, però, il sangue
che colava sul vetro rese la luce di chiesuola rossa.
«Siete ferito, signore», disse Pullings.
«Al diavolo», ribatté Jack, facendo forza sulla ruota per sventare le vele.
«Imbroglia la trinchettina. A prua, laggiù, muoversi. Uomini ai
caricascotte di trinchetto.»
In effetti quel colpo di vento fu l'ultimo dei più spaventosi capricci della
tempesta. Al cambio del turno di guardia, il vento, girando di nuovo a est
nord-est, strappò via le nuvole dalla luna, rivelando uno spettacolo
piuttosto lugubre: asta di controfiocco, pennone e buttafuori di civada
portati via, bompresso e pennone di trinchetto spaccati e boma della randa
spezzato, così come una buona quantità di cordame; lugubre, ma niente
affatto disperato: nessuna vittima tra gli uomini, poca acqua imbarcata e,
sebbene la cabina fosse nuda, umida, disadorna e, data la perdita delle
paratie, privata di ogni riservatezza, all'ora della prima colazione la nave
stava filando con le sole gabbie a cinque nodi, una velocità onorevole in
una burrasca moderata e che andava scemando, i fuochi delle cucine erano
in piena attività e Killick aveva recuperato il macinino del caffè dalla
sentina dove era stato scaraventato da una raffica insensata quando
l'aiutante del carpentiere era sceso per controllare il pozzo.
Jack Aubrey aveva intorno alla testa una benda rossa di sangue che gli
copriva un occhio; in genere portava i lunghi capelli biondi ben intrecciati
e annodati con un nastro largo sulla nuca, ma non aveva ancora avuto il

Patrick O'Brian 59 1988 - La Nave Corsara


tempo di lavar via le pinte di sangue coagulato e i riccioli induriti
formavano una raggiera intorno al capo che gli conferiva un aspetto
disumano; tuttavia egli era compiaciuto del modo in cui si era comportato
l'equipaggio: nessun lamento sulle razioni, benché per tre giorni non
avessero avuto che gallette, formaggio e birra leggera, nessuno aveva
cercato di ritirarsi quando era stato necessario correre a riva, nessuno si era
imboscato sottocoperta e non c'erano state occhiate storte; il suo unico
occhio perciò aveva un'espressione benigna. «È un fatto interessante che,
in tanti anni sul mare, io non abbia mai trovato un carpentiere
incompetente», osservò a colazione. «Un nostromo, sì, perché spesso
fanno i tiranni e rendono gli uomini maldestri. Perfino i cannonieri, che
sovente non riescono ad accettare il minimo cambiamento. Ma non i
carpentieri: sembra che siano nati con il mestiere addosso. Il nostro signor
Bentley ha quasi finito il buttafuori di civada di sinistra e il bompresso è
già lapazzato; possiamo... Che diavolo sta succedendo laggiù?»
Chinandosi e guardando verso prua al di sotto della lunga sporgenza del
cassero, vide gli uomini mandati ad aggiustare le rizze delle imbarcazioni
tutti in piedi che gridavano in direzione della vedetta in testa d'albero.
«Chiedo scusa per non avere bussato, signore, ma non c'è niente su cui
bussare», disse Pullings. «Una vela sottovento, signore. Scafo ancora
nascosto.»
«Scafo ancora nascosto? In questo caso abbiamo il tempo di finire il
nostro caffè. Sedetevi, Tom, e permettetemi di versarvi una tazza. Ha un
sapore un po' strano, ma perlomeno è caldo e liquido.»
«Caldo e liquido, certamente, signore», confermò Pullings. E a Maturin:
«Temo che abbiate trascorso una notte piuttosto faticosa, dottore. La vostra
cabina è un gran macello, se posso usare quest'espressione».
«A un certo punto ammetto di essere stato profondamente a disagio»,
ammise Stephen. «Mi era sembrato, nel sogno, che una mano criminale
avesse lasciato la porta aperta, esponendomi all'umidità dell'atmosfera; poi
mi sono accorto che la porta non esisteva più, mi sono tranquillizzato e ho
ripreso a dormire.»
Subito dopo colazione, la Surprise issò gli alberetti di velaccio. Era
apparso ben presto evidente che la preda non era di grande interesse, ma
Jack cominciò ugualmente a spiegare con metodo la velatura finché la
nave non sollevò una bella onda prodiera e l'acqua non cantò lungo le
murate in una lunga curva, tracciando una scia perfetta e incalzante come

Patrick O'Brian 60 1988 - La Nave Corsara


se la nave stesse inseguendo il galeone di Manila. Con il vento in quel
momento al giardinetto di dritta poteva reggere soltanto i coltellacci bassi
di sopravvento. Era la prima volta che Jack la faceva correre davvero da
quando avevano lasciato Shelmerston; la prima volta che i nuovi a bordo
potevano vedere di che cosa fosse capace la fregata. La velocità piaceva a
tutti e non solo la velocità, ma anche l'ardimento spavaldo della nave, il
modo in cui accoglieva le onde sotto i masconi e le lanciava via. Sebbene
fosse calato, il vento soffiava ora contro la corrente e contro il moto
ondoso restante, sconvolgendolo malamente; eppure la nave correva
attraverso il mare corto e incrociato con una facilità straordinaria e quando
venne gettato il solcometro ai quattro colpi della guardia del mattino e
furono registrati dieci nodi netti, si levò un'acclamazione generale.
Pur non prevedendo di incontrare difficoltà, Jack mandò gli uomini a
cena presto, una guardia dopo l'altra; e la maggior parte di loro tornò
subito in coperta, mangiando ciò che aveva potuto portare con sé, per non
perdere niente di ciò che si andava preparando. La preda si era rivelata ben
presto un veliero a vele auriche, danneggiato, e la probabilità che si
trattasse della goletta di cui aveva parlato Babbington si faceva via via
sempre più forte. L'albero di trinchetto era intatto e la goletta aveva
spiegato la trinchettina, la randa di trinchetto e una bella serie di fiocchi,
mentre i suoi uomini stavano lavorando indefessamente su un albero
maestro di fortuna. Ma non sarebbe servito: anche se fossero riusciti a
spiegare la gabbiola, sarebbero stati ben presto raggiunti comunque. Intatta
e navigando di bolina, quella nave era riuscita a battere la Tartarus in
velocità, ma danneggiata e soprattutto navigando al gran lasco non poteva
competere con la Surprise. «E così quella sarebbe una goletta», disse
Martin, osservandola dal castello con Stephen. «Da che cosa la si
riconosce?»
«Ha due alberi. Stanno cercando in questo momento di innalzare il
secondo.»
«Ma anche brigantini, tartane, galeotte hanno due alberi. Qual è la
differenza?»
«Anche i chiurli maggiori e minori si assomigliano ed entrambi hanno
due ali; eppure a tutti, tranne agli osservatori più superficiali, è evidente la
differenza.»
«Nel caso dei chiurli vi è una differenza nelle dimensioni, nel vertice
striato e nel verso.»

Patrick O'Brian 61 1988 - La Nave Corsara


«Fatta eccezione per il verso, più o meno lo stesso vale per quei velieri a
due alberi. L'occhio abituato», spiegò Stephen non senza un certo
compiacimento, «distingue subito l'equivalente del vertice striato, delle
bande sulle ali e dei piedi semipalmati.»
«Forse un giorno riuscirà anche a me», mormorò Martin. «Ma vi sono
anche i trabaccoli, i pescherecci a vele latine...» E, dopo aver riflettuto per
un po', riprese: «Eppure non è curioso che, a parte qualche imbarcazione
per la pesca delle sardine al largo del Lizard e due navi da guerra, sia
questo il primo veliero che abbiamo incontrato in tanti giorni? Ricordo
l'imboccatura occidentale della Manica come un tratto di mare molto
frequentato... grandi convogli, talvolta estesi per miglia o singole navi o
piccoli gruppi di navi».
«Credo che per il marinaio le rotte si allunghino nell'oceano secondo il
vento e il tempo», ipotizzò Maturin, «e queste rotte egli percorre senza
darsi nessun pensiero, come un cristiano potrebbe a Dublino percorrere
Sackville Street, attraversare il ponte di Carlisle, superare il Trinity
College e di lì arrivare a Stephen's Green, quel riparo di driadi, l'una più
elegante dell'altra. Il comandante Aubrey, d'altro canto, ha evitato con cura
queste vie del mare; così come fanno in verità i contrabbandieri ai quali
dava la caccia quello sgradevole cutter. Non ho dubbi che quel bastimento
laggiù, quella goletta, sia uno di questi.»
Il dottor Maturin era in errore: certamente la goletta era stata costruita
per la velocità e avrebbe potuto in effetti fare contrabbando; ma un occhio
più esperto avrebbe visto che, anche se il suo poco numeroso equipaggio
stava lavorando furiosamente ai paterazzi e al pennone di gabbiola, un
altro gruppo di uomini e tre donne radunati all'impavesata agitavano la
mano e chiamavano: esattamente il quadro di una preda ricatturata o
piuttosto di una preda in procinto di essere ricatturata.
La Surprise si avvicinò, affiancandosi e togliendo il vento alle vele della
goletta: sparò un colpo di cannone sopravvento e la goletta ammainò i
colori.
«Marinai», disse Jack Aubrey con voce forte, «conoscete tutti i termini
del nostro accordo: se qualcuno dovesse dimenticare se stesso fino al
punto di derubare o maltrattare un prigioniero o saccheggiare la goletta,
sarà cacciato dalla nave. Calate in mare la scialuppa.»
E tuttavia la goletta, la Merlin, non si rivelò una preda ricatturata; né,
checché dicesse il suo comandante, un americano di lingua francese della

Patrick O'Brian 62 1988 - La Nave Corsara


Louisiana, una nave corsara che agiva da sola: dalla testimonianza
enormemente prolissa, ma concorde, dei prigionieri liberati apparve chiaro
che essa era la nave di scorta di una nave assai più temibile, la Spartan,
armata da un consorzio franco-americano per depredare il commercio
alleato con le Indie Occidentali.
Jack conosceva la Spartan molto bene davvero, avendola inseguita per
due giorni e due notti con il bello e con il cattivo tempo. Molto cattivo. Pur
avendo la più alta opinione del suo comandante come marinaio, fu tuttavia
sorpreso di apprendere che aveva catturato ben cinque prede durante quella
missione: due navi di Port Royal con un carico di zucchero, così lente che
erano state separate dal loro convoglio durante la notte, e altri tre
mercantili provenienti dalle Antille con carichi ancora più preziosi di
indaco, caffè, legno di campeggio, ebano, Chlorophora tinctoria e pelli,
navi che, essendo veloci, avevano rischiato la traversata senza protezione;
e fu ancora più stupito di apprendere che tutte e cinque erano state
ormeggiate nella rada di Horta, a Fayal, mentre i loro comandanti, le mogli
di alcuni di essi, abituati a navigare in conforto coniugale, e i
rappresentanti dei loro agenti erano stati spediti in Francia sulla goletta,
per cercare il modo di farsi riscattare con navi e carico.
«In nome di Dio, perché non si è diretta in patria il più in fretta possibile
con un bottino così prodigioso?» domandò Jack. «Non ho mai saputo che
una nave da guerra privata abbia guadagnato tanto in una sola breve
crociera: e nemmeno in una lunga, in quanto a questo.»
La risposta era abbastanza ovvia, ma nessuno la indovinò fino a quella
sera. Il comandante della goletta non rivelò nulla e la sua piccola ciurma
non poté farlo, essendo completamente all'oscuro del progetto generale,
mentre Jack e Pullings erano troppo presi dai prigionieri liberati, dai
prigionieri attuali e dal raddobbo della preda per andare in fondo alla
questione.
Il comandante americano, i rappresentanti e le loro mogli erano saliti a
bordo subito e, stando alle consuetudini, Jack avrebbe dovuto invitarli a
cena: l'ora del pranzo degli ufficiali si stava avvicinando rapidamente. Ma
al momento non aveva una cabina dove ospitarli; e, anche se la cabina
fosse esistita, non aveva niente da mettere in tavola.
«Signor Dupont, signore», disse al comandante americano, il quale era
stato portato a poppa in una parte della nave relativamente appartata per
mostrare i documenti della Merlin, «voi potreste rendermi un grandissimo

Patrick O'Brian 63 1988 - La Nave Corsara


favore, se voleste acconsentire.»
«Sarei lieto di fare tutto ciò che è in mio potere, signore», rispose
Dupont, guardando con aria dubbiosa la figura che gli stava davanti: i
comandanti delle navi armate per la guerra di corsa avevano una solida
reputazione di brutale rapacità e Jack Aubrey, alto, sparuto, sudicio, con la
barba bionda non rasata che luccicava, con la benda rossa, ancora più
insanguinata a causa della recente attività e con i capelli induriti dal sangue
che gli circondavano la faccia come una parrucca femminile orribilmente
tinta, appariva una figura dalla quale le mogli dei mercanti si erano ritirate
in silenzioso orrore, pur essendo abituate alla vita sul mare. «Qualsiasi
cosa nei limiti delle mie misere possibilità.»
«Il fatto è che siamo a corto di provviste. Per amore della mia nave e
mio, sarei desolatissimo se fossi costretto a offrire a voi e a queste signore
un pranzo che consistesse di carne salata, piselli secchi e una birra così
leggera da essere quasi imbevibile.»
«Disponete pure di me, signore, prego!» esclamò Dupont, il quale aveva
temuto qualcosa di ben più grave. «Le mie scorte non sono irrilevanti,
sebbene il tè sia quasi finito; e anche se il mio cuoco è nero, non è però
senza abilità: l'ho comprato da un uomo che aveva il culto del proprio
ventre.»
Una forma erronea di culto, indubbiamente, ma dopo una tale burrasca e
dopo tanti giorni con poco più delle gallette di bordo, il comandante e gli
ufficiali della Surprise furono inclini a credere che vi fosse qualcosa di
buono in quel culto. Perfino i loro ospiti rimasero piacevolmente sorpresi,
perché il cuoco negro, pur essendo stato con loro sempre all'altezza della
situazione, si esibì in quell'occasione con straordinaria profusione: i suoi
vol-au-vent fecero strabuzzare gli occhi alle signore e la sua torta di mele
si rivelò degna del Fladong's.
Gli uomini della Surprise attribuirono ciò alla sua gioia e alla sua
gratitudine, perché, non appena era salito a bordo, Killick, il quale, come
famiglio del comandante, era naturalmente incaricato di questi rapporti, lo
aveva preso per un braccio e gli aveva detto, parlandogli lentamente
nell'orecchio forse incapace di comprendere: «Tu Uomo Libero Ora.
Huzzay!» Parole accompagnate dal gesto di liberare qualcuno dalle catene,
intendendo con ciò che il negro, avendo messo piede su una nave
britannica, non era più uno schiavo. «Tu...» ripeté, puntandogli il dito sul
petto, «Uomo Libero.»

Patrick O'Brian 64 1988 - La Nave Corsara


«Scusa, signore, ma mi chiamo Smith», disse il negro. Parlò tuttavia con
tale dolcezza per timore di recare offesa che, nel mezzo dell'allegria
chiassosa, le sue parole non ebbero la minima influenza sugli astanti.
Il banchetto ebbe luogo nel quadrato, con Jack Aubrey, ripulito e
presentabile, a un capo della lunga tavola e con Pullings all'altro; e quando
fu terminato, Stephen e l'uomo seduto alla sua destra passeggiarono sul
lato sottovento del cassero, fumando piccoli sigari di carta alla maniera
spagnola. E conversarono in castigliano, perché il suo compagno, Jaime
Guzman, era spagnolo, originario di Avila nella Vecchia Castiglia, un
socio della ditta di Cadice che aveva comprato la parte maggiore della
Chlorophora tinctoria della catturata William and Mary: conosceva un
poco l'inglese commerciale, ma da parecchio tempo non parlava più con
gli altri prigionieri. Per natura era un individuo dotato di comunicativa e,
essendo stato privato per settimane e settimane della parola, stava ora
recuperando lo svantaggio con una loquacità delle più allarmanti.
«Quelle donne, quelle donne odiose, odiose», sibilò, espirando il fumo
dalla bocca e dal naso, «non mi hanno mai concesso questo piacere
nemmeno nel viaggio di andata. Civette impudiche. Ma, a parte questo,
trovo tutti quanti profondamente sgradevoli. A un certo punto avevo
creduto di poterli aiutare a migliorarsi, ma ho riflettuto che a lavare la testa
a un asino, come si dice, si perde il ranno e il sapone. Nessuna di queste
persone sarebbe mai stata ricevuta ad Avila: la nonna del vostro padrino
non l'avrebbe mai ricevuta.» La descrizione dell'Avila della giovinezza di
Guzman portò il discorso sulla città di Almadén, dove il fratello di
Guzman si occupava del lato commerciale delle miniere d'argento, e su
Cadice, dove Guzman viveva, una miserabile città depravata e negletta.
«Come voi, don Esteban, io sono un vecchio cristiano stagionato e sono
ghiotto di prosciutto, ma a Cadice non esiste prosciutto», spiegò. «E
perché non esiste? Perché gli abitanti sono rimasti mezzi mori o mezzi
ebrei, anche se dicono di essere cristiani. Non si può trattare con loro,
come ha scoperto il mio povero fratello. Sono disonesti in modo
impressionante, falsi, avidi e, come la maggior parte degli andalusi,
bramosi di denaro in modo disumano.»
«Chi vuole arricchire in un anno sarà impiccato in sei mesi», osservò
Stephen.
«Non potranno mai essere impiccati troppo presto o troppo spesso»,
affermò Guzman. «Prendete il caso del mio povero fratello, per esempio.

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L'argento vivo deve essere mandato nel Nuovo Mondo, naturalmente: non
si può estrarre l'oro altrimenti. Quando l'Inghilterra e la Spagna erano in
guerra, veniva spedito sulle fregate; ma di frequente venivano catturate,
per via del tradimento di perfidi impiegati di Cadice, che informavano gli
ebrei di Gibilterra sui movimenti delle navi e perfino sul numero dei
sacchi: perché dovete sapere, don Esteban, che l'argento vivo è imballato
in sacchi di pelle di pecora di cinquanta libbre l'uno. Ora che la guerra è
cambiata, nessuna fregata è più disponibile, ancor meno i vascelli di linea
e così, dopo aver aspettato anni, il mio povero fratello, pressato e incalzato
da tutte le parti, ha noleggiato la corsara più potente e affidabile della
costa, una nave che si chiama Azul, più o meno della stazza di questa, per
trasportarne centocinquanta tonnellate fino a Cartagena. Centocinquanta
tonnellate, don Esteban, seimila sacchi! Riuscite a immaginare seimila
sacchi di mercurio?» Seguirono parecchi giri durante i quali i due
immaginarono seimila sacchi, dopodiché Guzman riprese: «Ma temo che
la stessa perfidia sia entrata in gioco anche in questo caso. La Spartan
sapeva bene che l'Azul avrebbe fatto vela otto giorni fa e che avrebbe fatto
scalo alle Azzorre. Per questo si è messa ad attenderla. Forse l'ha già
catturata. Ma il punto fondamentale è che, alla fine del mese - lo so, perché
i giovani ufficiali della Spartan sono stati molto meno discreti del signor
Dupont -, alla fine del mese la fregata americana Constitution e una
corvetta passeranno dalle Azzorre, provenienti da sud: la Spartan e la sua
flotta di prede si uniranno a lei e faranno ritorno negli Stati Uniti in tutta
sicurezza».

*
Jack Aubrey aveva la rara virtù di saper ascoltare un racconto senza
interrompere e in quella occasione aspettò perfino l'epilogo: «Te lo
riferisco, Jack, così come l'ho ricevuto. Ho ragione di credere che le parole
di Guzman sugli ebrei di Gibilterra non siano vere; probabilmente agogna
il ritorno del Santo Uffizio con tutto il suo zelo ardente, ma non ritengo
affatto improbabile che questa impresa franco-americana sappia della
spedizione di mercurio. E mi sembra che la buona fede di Guzman sia
fuori discussione. Che ne pensi di quanto ha detto della Constitution?»
«Se la comanda ancora il comandante Hull, probabilmente sarà puntuale
quanto è umanamente possibile; nella loro marina ha la fama di essere

Patrick O'Brian 66 1988 - La Nave Corsara


regolare quanto il tempo. Noi non possiamo nemmeno avvicinarci a lei,
naturalmente: ha quarantaquattro cannoni da ventiquattro libbre, una
bordata da settecentosessantotto libbre, e strutture da vascello di linea. La
chiamano Vecchia Corazza. Tuttavia...» Non finì la frase e con gli occhi
della mente contemplò una carta dell'Atlantico tra i trentacinque e i
cinquanta gradi nord, con le Azzorre al centro. La Spartan probabilmente
stava incrociando tra Sào Miguel e Santa Maria, sopravvento, così da
avere il vantaggio del vento rispetto all'Azul quando questa fosse
comparsa; e in quel periodo dell'anno sopravvento voleva dire ovest o un
poco a nord di ovest. Era più che possibile che la tempesta recente avesse
costretto l'Azul a mettersi alla cappa, anche se non era inverosimile che
l'avesse al contrario fatta avanzare più velocemente; d'altro lato aveva
certamente trattenuto la Constitution e questo era un elemento essenziale
nel piano che si andava formando nella sua mente, il piano di indurre la
Spartan a credere che la Surprise fosse l'Azul perlomeno il tempo
necessario perché lo scontro fosse inevitabile. Le date, le condizioni del
tempo negli ultimi giorni, la probabile velocità di un'Azul efficiente ma
priva di un sentimento di urgenza e la posizione attuale della Surprise si
presentarono nell'ordine dovuto; e, se il vento fosse rimasto favorevole e se
la nave avesse potuto fare centoventicinque miglia al giorno, gli parve che
esistesse la possibilità di arrivare in tempo. Non una grande possibilità, ma
tale da meritare ogni sforzo.
Se il vento fosse rimasto favorevole. Il barometro era salito e sceso nel
modo più capriccioso e non si potevano fare previsioni: non restava,
dunque, che fare a meno delle previsioni e agire in tutta fretta.
Una volta di più Stephen udì le parole «non c'è un momento da perdere»,
poi Jack corse in coperta per dire a Pullings di mettere tutti gli uomini al
raddobbo della Merlin con la massima celerità. Al suo ritorno disse a
Stephen: «Saresti così gentile da farmi da interprete mentre interrogo quel
gentiluomo a proposito dell'Azul?»
Grazie alle sue relazioni e al suo mestiere, Guzman sapeva sulle navi
assai più dei comuni terrazzani e la sua affermazione che l'Azul aveva tre
alberi, che era attrezzata a brigantino a palo e che aveva una stazza di circa
cinquecento tonnellate fu del tutto convincente. E lo fu anche la
descrizione che fece del suo aspetto, pitturata di blu e con i portelli neri
che sembravano proprio simili a quelli di una nave da guerra; ma le sue
parole resero Jack Aubrey molto pensieroso. Trasformare la Surprise in un

Patrick O'Brian 67 1988 - La Nave Corsara


brigantino a palo non presentava nessuna difficoltà, dal momento che
voleva dire essenzialmente eliminare la verga secca e il pennone di
contromezzana, così da avere solo vele auriche su quell'albero; ma quella
della Surprise avrebbe dovuto essere soltanto una navigazione di prova,
niente più, e le sue scorte erano molto ridotte. I portelli neri non
costituivano un problema, dal momento che li aveva già, non avendo mai
abbandonato la scacchiera di Nelson, ma in quanto alle murate blu, era
un'altra faccenda.
«Passa parola per il signor Bentley», chiamò; e quando il carpentiere fu
davanti a lui: «Signor Bentley, come stiamo a pittura blu?»
«Pittura blu, signore? Abbiamo quanto basta per un paio di mani al
cutter blu, pennellate sottili, sottili davvero.»
Jack rifletté per un momento, poi disse a Stephen: «Per cortesia,
domanda se il blu è scuro o chiaro». E quando risultò che era chiaro, in
realtà un celeste simile a quello del cielo mattutino, si rivolse al
carpentiere per sapere come stessero a pittura bianca. La risposta fu quasi
altrettanto scoraggiante: cinquanta misere libbre e forse anche meno.
«Bene, bene, faremo ciò che potremo», disse Jack. «Ditemi, signor
Bentley, come procede la goletta?»
«Oh, signore», rispose il carpentiere, illuminandosi in viso, «con il
nostro secondo albero di parrocchetto di riserva, con una ghiera calettata
intorno alla miccia e adattando la mastra, le abbiamo fatto un albero
maestro che meglio di così non si può. In questo momento il nostromo sta
attrezzando le sartie e, non appena le griselle saranno a posto, potremo
ghindare un albero di gabbia magnifico.»
«Siete stati molto indaffarati, voi e la vostra squadra, signor Bentley.»
«Indaffarati, signore? Le api non sono niente al confronto.»
Le api non furono niente al confronto nemmeno il giorno seguente,
perché, durante la sua passeggiata notturna sul cassero, Jack aveva trovato
una soluzione al problema dell'aspetto esteriore della Surprise. Sarebbero
state necessarie parecchie mani di blu, ben spesse, per coprire le strisce
nere al di sopra e al di sotto della banda bianca che conteneva i portelli
neri, e tutta la pittura in loro possesso non sarebbe bastata che per una
mano e per mezza murata soltanto: uno strato sarebbe stato sufficiente sul
bianco, ma sul nero era inutile. La pittura, però, si poteva stendere anche
sulla tela. Anzi, la pittura si stendeva benissimo sulla tela e su una tela
bianca una mente volenterosa avrebbe potuto far durare davvero molto un

Patrick O'Brian 68 1988 - La Nave Corsara


poco di blu.
Non appena gli uomini franchi dal servizio notturno furono chiamati in
coperta alle prime luci del mattino, Jack ebbe un lungo incontro con il
mastro velaio, per stabilire quale fosse la tela più sottile nel deposito, la
più bianca e di cui si potesse fare a meno più facilmente. Si dovette
sacrificare una certa quantità della buona tela da vele numero otto, ma per
la maggior parte la scelta cadde su un tessuto da poco e sottile, adatto
soltanto a riparare velacci o controvelacci, visto che la Surprise era stata
venduta con tutto il suo equipaggiamento e quelle vele, durante l'ultima
missione nel Pacifico, si erano consumate al sole dei tropici.
Quando i ponti furono asciutti, perché nulla tranne un'azione imminente
poteva sospendere le pulizie della nave già pulitissima, la tela venne
distesa, misurata, rimisurata, provata contro l'opera morta, segnata con
grande precisione, provata di nuovo e infine tagliata e pitturata. Il lavoro si
svolse sul cassero, un cassero protetto con grande cura. Con quel mare e
con quella velocità non si potevano porre impalcature esterne alle murate,
per attaccare la tela e poi pitturarla; il castello era troppo ristretto e la parte
centrale della nave, con le scialuppe sui tacchi, lasciava troppo poco spazio
libero, mentre i passavanti erano usati di continuo, dato che durante la
notte il benedetto vento da nord nord-est era girato sorprendentemente a
sinistra, un tempo molto instabile; e, pur essendo un buon vento da velacci,
soffiava ora poco oltre il traverso, e affinché la nave desse il meglio di sé,
era necessaria una continua attenzione ai bracci e alle scotte, nonché al
timone.
Quando Stephen salì in coperta, trovò quindi la parte poppiera della
fregata insolitamente affollata, insolitamente indaffarata. Come accadeva
spesso, aveva trascorso gran parte della notte pensando a Diana e
contemplando vivide immagini mentali di lei, in particolare una in cui lei
lanciava il cavallo contro una barriera altissima davanti alla quale molti
uomini si erano ritirati e che Diana aveva saltato senza un istante di
esitazione; poi, verso le due del mattino, aveva preso la sua pozione
abituale, aveva dormito fino a tardi e si era svegliato completamente
intontito. Il caffè lo aveva in una certa misura riscosso e sarebbe rimasto
seduto a sorseggiarlo anche più a lungo, se un'occhiata all'orologio non gli
avesse rivelato che il dovere lo chiamava nell'infermeria, per visitare i
pazienti con Martin, mentre Padeen, in funzione di infermiere, batteva su
un catino di rame davanti all'albero maestro, cantando:

Patrick O'Brian 69 1988 - La Nave Corsara


I malati si posson radunare
dal dottore per farsi visitare,

perché, sebbene balbettasse terribilmente nel parlare, cantava molto


bene.
Per prima cosa, tuttavia, Stephen desiderava dare uno sguardo al cielo,
salutare i suoi compagni di navigazione e vedere se la Merlin fosse ancora
lì; ma aveva appena salito la scaletta, aveva appena ricevuto soltanto
un'impressione generale di calore, di sole brillante, di cielo limpido e di
una piramide di vele bianche che s'innalzavano verso di esso che un grido
di disapprovazione universale gli spazzò via il sorriso dalla faccia.
«Signore, signore, venite via di lì!»
«State indietro, dottore, per amor del Cielo, state indietro!»
«Cadrà nel recipiente!»
La veemenza dei nuovi era pari a quella dei vecchi marinai della
Surprise, i primi assai più rudi, tuttavia - uno lo chiamò «Buaccione» -,
perché avevano capito ben presto ciò che bolliva in pentola e niente
avrebbe potuto superare la loro smania di scontrarsi con la Spartan, né il
loro zelo nel prepararsi allo scontro, per quanto ipotetico fosse.
«Tienti saldo», gli raccomandò Jack, afferrandolo per i gomiti. «Non
muoverti. Padeen, Padeen! Un altro paio di scarpe per il vostro padrone,
mi avete sentito?»
Arrivò il nuovo paio di scarpe. Stephen vi infilò i piedi, contemplò le
strisce dipinte di azzurro che si stendevano fino al coronamento, guardò le
facce severe, ma non più così implacabili rivolte verso di lui, e disse a
Jack: «Oh, come mi dispiace. Non avrei mai dovuto guardare il cielo», e
poi, dopo un momento: «Padeen, ci risiamo con la faccia, vedo».
Era così, infatti: la guancia del poveretto era così gonfia che la pelle
luccicava e Padeen rispose quasi con un gemito.
Suonarono i cinque colpi. Padeen batté sul suo catino e cantò la sua
canzoncina con voce strozzata; eppure, sebbene la Surprise avesse a bordo
il consueto numero di ipocondriaci, l'attività sul ponte era così intensa, così
entusiasta e concentrata che non si presentò un solo paziente
nell'infermeria, a parte lo stesso Padeen. Stephen e Martin lo guardarono
seri: da qualche tempo sospettavano un dente del giudizio incluso, ma non
c'era niente che nessuno dei due potesse fare e il dottor Maturin, dopo aver

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tastato il polso di Padeen e avergli esaminato un'altra volta la bocca e la
gola, gli versò una dose generosa del solito medicamento, gli avvolse la
faccia in una benda annodata sulla testa e lo esentò dal lavoro.
«È quasi una panacea per voi», osservò Martin, accennando al laudano.
«Perlomeno ha qualche effetto», disse Stephen, alzando le spalle e
allargando le braccia. «E siamo così impotenti...» Una pausa. «Mi sono
imbattuto in una parola straordinaria l'altro giorno, affatto nuova per me:
psicopannichia, ovvero il sonno notturno dell'anima. Oso dire che a voi
sarà ben nota, dati i vostri studi sulla divinità.»
«L'associo al nome di Gauden»,* [* John Gauden (1605-1662), vescovo
di Exeter, ritenuto il vero autore di Eikon Basilike, un libro di meditazioni
che il re Carlo I avrebbe scritto poco prima della sua esecuzione nel 1649.
(N.d.T.)] disse Martin, «credo che egli la considerasse erronea.»
«Io l'associo al pensiero del conforto», spiegò Stephen, accarezzando la
bottiglia. «Un conforto profondo, duraturo; anche se, ammetto, non ho
nessuna idea se la condizione in se stessa sia dottrina sicura o no. Andiamo
a passeggiare sul castello? Non credo che ci perseguiteranno laggiù.»
Non li perseguitarono: erano troppo occupati con la loro tela da vele e
con la pittura della banda bianca sulla murata sopravvento della nave a
poppavia del parasartie di prua, e si sporgevano pericolosamente dai
portelli dei cannoni. Il ponte del castello era inclinato di undici o dodici
gradi verso il sole e il calore era meravigliosamente gradevole dopo un
lungo e desolato inverno inglese. «Mare blu, cielo blu, nuvole bianche,
vele bianche, tutto quanto pieno di luce: che può esserci di meglio?»
chiese Stephen. «Qualche spruzzo di spuma allegra dall'onda prodiera non
conta. In verità rinfresca. E il sole penetra fino alle ossa.»
Dopo pranzo, un pasto frettoloso e frammentario, consumato con poco
appetito, gli uomini ripresero il loro lavoro, i chirurghi la loro
contemplazione, questa volta con la comodità di un paglietto di riserva sul
quale sedere.
La Merlin, che navigava diligentemente sulla scia della fregata fin
dall'alba a una gomena di distanza, si andava avvicinando rapidamente,
dato che faceva otto nodi contro i sei della Surprise, essendo molto più
veloce di bolina, e quando si fu affiancata comunicò alla voce per
informare che stavano pescando sgombri a decine. Ma nemmeno questo, il
divertimento preferito degli uomini, preferito soprattutto in tempi di
razioni ridotte, li distolse dal lavoro.

Patrick O'Brian 71 1988 - La Nave Corsara


Parecchi tra i nuovi conoscevano la navigazione; la maggior parte dei
vecchi marinai della Surprise aveva un'idea piuttosto chiara del punto in
cui dovesse trovarsi la nave per avere la possibilità di incontrare la
Spartan in tempo: tutti avevano visto gli ufficiali osservare l'altezza del
sole a mezzogiorno e tutti, con grande soddisfazione, avevano udito
Davidge dire: «Mezzogiorno in punto, signore, prego; e 43° 55' nord»,
mentre il comandante rispondeva: «Grazie, signor Davidge: segnate
mezzogiorno».
Ciò significava che per quanto riguardava la latitudine dovevano
percorrere soltanto sei gradi in tre giorni; forse occorreva portarsi ancora
un po' a ovest, ma anche in questo caso una velocità media di cinque nodi
avrebbe dovuto essere ampiamente sufficiente; e fino a quel momento il
solcometro non aveva mai indicato meno di sei nodi. Il giovedì seguente
avrebbero potuto ingaggiare un combattimento, un combattimento
remunerativo, e mettere a repentaglio la possibilità di raggiungere la
Spartan per amore di qualche sgombro, spagnolo per giunta, sarebbe stato
ben stupido.
Ciò nonostante, tra una pennellata e l'altra, Bonden corse a prua con un
cesto di lenze e Stephen e Martin, dividendosi le striscioline di un
fazzoletto rosso come esca, cominciarono a tirar su i pesci dal mare. Il
cesto era stato riempito a metà, avevano avvistato palamite che
inseguivano gli sgombri e le loro speranze erano alle stelle, quando
udirono il grido: «Un uomo in mare!»
«Fila le scotte!» gridò Jack, scavalcando i teli e saltando sulle brande
all'impavesata. Gli uomini si diressero il più rapidamente possibile alle
loro cime, pur con la massima precauzione, e dopo un minuto vi fu un
universale ruggito di vele che sbattevano e schioccavano sventate: un
suono orribile. Jack non perdeva di vista l'uomo in mare, uno dei pittori
che si era sporto troppo in avanti, e vide che stava nuotando: vide anche la
Merlin mettere la barra a sinistra e calare una scialuppa dalla gru di poppa
e si riabbottonò la giacca che stava per togliersi. «Parrocchetto a collo»,
disse, e la Surprise perse l'abbrivo, una strana sensazione a bordo dopo
tutta quella vita pulsante e veloce. L'imbarcazione della Merlin con l'uomo
salvato a bordo raggiunse la nave e, avvertita da grida veementi di non
toccare la murata, si agganciò a poppa. Pullings salì la biscaglina, poi
furono passati alcuni sacchi dopo di lui e alla fine arrivò l'infradiciato
oggetto della loro sollecitudine, un anziano marinaio della Surprise di

Patrick O'Brian 72 1988 - La Nave Corsara


nome Plaice, Joe Plaice: non fu il benvenuto a bordo, sebbene non gli
mancassero gli amici e perfino i parenti sulla fregata; nessuno si
congratulò con lui per lo scampato pericolo. «Scommetto che quel
buonannulla ha lasciato cadere anche il suo fottuto pennello», borbottò uno
dei compagni mentre Plaice gli passava accanto, a capo chino per la
vergogna.
«Farete bene ad andare a cambiarvi, Plaice», gli disse Jack freddamente,
«ammesso che le vostre abitudini imprevidenti vi abbiano lasciato qualche
indumento asciutto», e, alzando la voce, diede la serie di comandi che
rimisero progressivamente la nave in moto: qualsiasi manovra brusca
avrebbe messo in pericolo i velacci, anche se il vento, pur essendo fresco,
mostrava già gli sgradevolissimi segni di voler calare.
«Come manovra, Tom?» domandò Jack accennando alla Merlin.
«Oh, non potrebbe manovrare meglio, signore», rispose Pullings.
«Asciutta, boliniera e risponde bene al timone. Ma le signore a bordo
stanno creando una brutta situazione davvero... insistono per essere
riportate subito in Inghilterra... faranno rapporto, avremo noie con la legge,
saremo trasportati a Botany Bay.»
«Mi era parso di sentirle strillare quando ci avete chiamato a proposito
degli sgombri», disse Jack. «Potete dir loro che sarà tutto finito molto
presto. Non possiamo restare in mare oltre giovedì, a meno di mangiarci le
cinture e le suole delle scarpe. In ogni caso domani dovrò mettere tutti a
mezza razione. E se dovessimo restare in mare, non credo che avremmo
qualche possibilità di trovare la Spartan dopo giovedì. Sì, giovedì è il
limite massimo; forse anche oltre il limite massimo.»
«In quanto alle cinture e alle suole delle scarpe, signore, mi sono
azzardato a portare qualche genere di conforto in quei sacchi. Sono offerte
volontarie», soggiunse Pullings, vedendo l'espressione severa di Jack e
sentendo che forse la parola «saccheggio» gli aveva sfiorato la mente.
«Grazie, Tom», disse Jack distrattamene. Si diresse a prua, fischiettando,
e grattò un paterazzo. «Se il vento gira a nord di nuovo, e rinfresca, spero e
prego che...»
«Amen, signore», interloquì Pullings, grattando anch'egli il paterazzo.
«... allora probabilmente vi lasceremo indietro. Non forzate l'andatura al
di là del ragionevole per restare vicino... niente oltre le gabbiole; ma
l'appuntamento è a 37° 30' nord e 25° 30' ovest. E grazie per i generi di
conforto.»

Patrick O'Brian 73 1988 - La Nave Corsara


«37° 30' nord e 25° 30' ovest, signore», ripeté Pullings scavalcando il
coronamento.
A dispetto del fischiare e grattare i paterazzi, e nessuno a bordo mancò
di seguire l'esempio del comandante, il vento calò in modo scoraggiante
per tutto il giorno e per tutta la notte, tanto che la Merlin, lungi dal restare
indietro, fu obbligata a lasciare soltanto la trinchettina terzarolata per
mantenere la posizione.
«È stranissimo», disse Davidge nel quadrato. «Da come si era presentata
la giornata, avrei giurato che il vento girasse a nord; e lo avrebbe giurato
anche il comandante, nonostante il su e giù del barometro. Ma forse un
brindisi a Borea potrebbe essere di aiuto.» Versò il punch nei bicchieri (i
generi di conforto di Pullings avevano incluso anche una bottiglia di
brandy per ogni ufficiale) ed esclamò: «Signori, a Borea!»
«A Borea», ripeté West. «Ma con moderazione. Non voghamo gabbie
terzarolate nella seconda comandata.»
«A Borea, certamente», si associò Stephen. «Però, se volesse restare
assente per un'oretta la mattina, il signor Aubrey avrebbe la consolazione
del nuoto e il signor Martin e io avremmo quella di raccogliere campioni
con la barca. Siamo passati in mezzo a una flottiglia di meduse sconosciute
e da qui non è stato possibile prenderne nemmeno una con il retino.»
«Vi siamo molto grati per gli sgombri e le palamite», disse West, «ma
non credo vi sia un solo uomo sulla nave che cederebbe un miglio verso
sud in cambio di tutte le meduse del mondo: no, nemmeno cento iarde,
anche se doveste prendere un barile di ostriche per ogni mensa.»
Eppure il sole del martedì, sorto su un mare opalescente senza quasi un
tremore sulla sua superficie tranne dove la barca tracciava la sua
insignificante scia, illuminò i due chirurghi intenti a scrutare le profondità
translucide o a raccogliere piccoli organismi e alghe galleggianti. Jack
Aubrey non si consolò con il nuoto in realtà, pur avendone una gran voglia
dopo una notte insonne, trascorsa a sospingere la nave con la forza di
volontà nella brezza morente, mentre a ogni lancio del solcometro, a
intervalli di due clessidre, la sagola ritirata era sempre più corta, sino a
quando, alla fine, non passò più nemmeno un nodo nonostante tutto l'aiuto
che il quartiermastro cercò di dargli.
Niente nuoto. Non appena la luce fu sufficiente, cominciò a porre le
impalcature alle murate e poco dopo l'ora di colazione la nave, per quanto
ogni sua vela fosse afflosciata, era nuovamente un alveare di attività.

Patrick O'Brian 74 1988 - La Nave Corsara


«Così è perfetto», gridò a Pullings sulla Merlin, di là dalla distesa
d'acqua immobile, notando che era un quarto di miglio al traverso e che
ruotava derivando lentamente. «È proprio ciò che avevo sperato.»
«Che Dio ti perdoni», mormorò Killick, qualche piede sotto di lui nella
cabina ormai risistemata.
«Possiamo finire la banda nera superiore e poi passare a quella inferiore:
possiamo arrivare dritti fino al rame.»
Forse qualcuno dei più sempliciotti tra gli uomini di Shelmerston si
lasciò ingannare, ma quanti avevano navigato a lungo con il comandante
Aubrey si scambiarono cenni del capo o sorrisero sotto i baffi; sapevano
benissimo che in certe occasioni un ufficiale comandante doveva parlare
così, come un pastore doveva predicare la domenica. Non gli credettero
nemmeno per un momento; ma questo non influì sulla loro alacrità e,
sebbene la calma di vento una guardia dopo l'altra avesse smorzato il loro
entusiasmo, continuarono a lavorare cocciutamente. Se vi fosse stata la
minima possibilità di portare la barchetta all'altezza delle Azzorre per il
giovedì seguente, non sarebbe stata loro la colpa di non averla preparata in
tempo; e in verità a mezzogiorno entrambe le strisce nere inferiori erano
state rivestite di tela da vele fissata con una fila di chiodi di rame al di
sopra e al di sotto della linea di galleggiamento, i cannoni trasportati prima
su un lato poi sull'altro per far sbandare la nave. La pittura blu era stata
applicata fino all'ultima goccia, stesa parsimoniosamente per coprire il più
possibile la superficie. Il colore non arrivava proprio fino all'acqua, ma ciò
non aveva importanza, dato che si stemperava in una striscia di sudiciume
e di grasso di cucina, com'era normale sul mare. In ogni caso Guzman
riferì dalla barchetta di Stephen che la fregata e l'Azul erano adesso uguali
come due piselli usciti dallo stesso baccello.
Restava da trasformarla in un brigantino a palo e calare sul ponte il suo
alto alberetto di velaccio troppo riconoscibile; ma era un'operazione che
Jack intendeva lasciare per ultima, dal momento che la nuova alberatura
avrebbe ridotto la velocità della nave e nella situazione presente la velocità
era tutto.
Era tutto, certamente: e a mezzogiorno la fregata stava lì immobile,
avendo percorso meno di ottanta miglia dall'ultima osservazione. E
crudele, ancora più crudele, fu il vento, quando si levò finalmente,
bisbigliando da sud dritto in prora e rinfrescando di ora in ora.
La Surprise navigò diligentemente un bordo dopo l'altro; ma era con la

Patrick O'Brian 75 1988 - La Nave Corsara


morte nel cuore che gli uomini bracciavano a ventaglio i pesanti pennoni e
regolavano le vele per stringere al massimo.
Stephen e Martin salirono in coperta al secondo grido di: «Tutti gli
uomini pronti a virare» dopo una lunga seduta con i loro crostacei pelagici,
alcuni di sicuro di una specie sconosciuta alla scienza. «Che piacere
muoversi di nuovo!» esclamò Stephen. «Sentite come fila, la nave.» Poi
colse la cupa espressione di esasperazione contenuta di Jack, le sue labbra
serrate; notò le facce scure dei marinai di mezza nave e poppieri, il silenzio
generale; e al ruggito: «Vieni all'orza!» mormorò: «Scendiamo di nuovo
sottocoperta».
Sedettero davanti ai loro campioni alla luce della grande vetrata di
poppa e, quando Killick entrò nella cabina, Stephen gli domandò: «Killick,
qual è la situazione, prego?»
«Be', signore, per come la vedo io, sarebbe che possiamo fare i bagagli e
tornarcene a casa. Siamo qui a bordeggiare che più non si potrebbe,
faticando come dannati, tutti gli uomini a virare ogni due clessidre e che ci
guadagniamo? Neanche un miglio verso sud in un'ora. E se il vento
rinfresca davvero e dobbiamo ammainare i velacci, perderemo distanza. La
barchetta è buona boliniera, sì, ma scarrocciare scarroccia anche lei e se si
mette a soffiare di brutto, te lo saluto, il sud.»
«Però», intervenne Martin, «se questo vento trattiene noi, tratterrà anche
l'Azul, non è così?»
«Oh», esclamò Killick in una specie di ululato, «ma non vedete che
l'Azul o come si chiama sta andando a ovest? Non a sud come noi, ma a
ovest? Che va da Cadice a San Michele? Perciò sarebbe che ha il vento al
suo traverso, al traverso», sottolineò, indicando il lato della nave per
maggiore chiarezza, «e perciò quei leccapalle se ne stanno lì con le scotte
ben tesate, a girarsi i pollici e a sputare sottovento come i padroni del
creato, e fanno sei o sette nodi facile come dire buongiorno e buonasera
per portarci via la preda che spetta a noi...» L'indignazione lo soffocò.

*
Eppure fu lo stesso Killick a presentarsi davanti a Stephen la mattina
seguente, il mercoledì mattina, con la faccia raggiante, scuotendo le cime
alle quali era appesa la branda e ripetendo: «I complimenti del comandante
e il dottore vuole vedere una vista magnifica? I complimenti del

Patrick O'Brian 76 1988 - La Nave Corsara


comandante e il dottore vuole vedere...»
Stephen si lasciò scivolare giù dalla branda e notò che il pagliolo era
inclinato di almeno venticinque gradi: appoggiandosi con precauzione
contro la paratia, infilò le brache, si gettò addosso un vecchio pastrano
malridotto ed emerse strizzando gli occhi nella luce brillante del giorno.
La Surprise sbandava tanto che la spuma bianca scorreva lungo tutta
l'impavesata sottovento, sollevando alti spruzzi dal capone; il vento forte
era un po' troppo stretto per poter inferire i coltellacci, ma grazie al
vecchio trucco di Jack Aubrey di far portare gherlini e gomene leggere in
testa d'albero quali paterazzi di rinforzo supplementari, erano stati spiegati
i velacci e la nave stava correndo a un'andatura inebriante: marinai felici
lungo tutto il passavanti sopravvento, risate sul castello.
«Ben arrivato, dottore!» gridò Jack. «Buongiorno. Non è magnifico? Il
vento è girato in un groppo nero poco dopo che ti sei ritirato e ha
cominciato a soffiare da ovest sud-ovest durante la diana; e io credo che
possa girare ancora a ovest nord-ovest. Ma vieni... attento a dove metti i
piedi.» Guidò al coronamento uno Stephen ancora lento e con gli occhi
semichiusi e disse: «Ecco! Per questo ti ho fatto svegliare».
All'inizio Stephen non riuscì a capire: poi si rese conto che sottovento il
mare vicino era pieno, pieno di balene, un immenso branco di capodogli
che avanzava in un'unica direzione, passando sopra, sotto e in mezzo a un
altro branco di balenidi che nuotava nella direzione opposta. Ovunque
guardasse, scure forme colossali si sollevavano, soffiavano, talvolta
restando a fior d'acqua, più spesso rituffandosi quasi subito, mostrando nel
farlo gli enormi lobi al di sopra della superficie. Alcune erano così vicine
che udiva il loro respiro, l'espulsione violenta, quasi esplosiva dell'aria e
l'inspirazione profonda.
«Dio! Dio! Quale splendore del creato!» esclamò alla fine.
«Sono così contento che tu abbia potuto vederle», disse Jack. «Ancora
cinque minuti e sarebbe stato troppo tardi.»
«Come vorrei aver chiamato Martin!»
«Oh, era già alzato. È sulla coffa di mezzana, come puoi vedere.»
Era davvero lassù, l'intrepida creatura. Si salutarono agitando il
fazzoletto e mentre riponeva il suo in tasca, Stephen lanciò di soppiatto
un'occhiata al sole: era a sinistra, non molto al di sopra dell'orizzonte,
perciò la nave stava correndo verso l'agognato sud; poté quindi dire senza
tema di sbagliare: «Mi rallegro per il vento propizio».

Patrick O'Brian 77 1988 - La Nave Corsara


«Grazie tante», rispose Jack, sorridendo, ma scuotendo il capo. «Meglio
tardi che mai, certamente. Su, andiamo a bere il nostro caffè.»
«Hai poche speranze, temo», disse Stephen una volta nella cabina,
tenendo la tazza in equilibrio meglio che poteva.
«Non molte, lo confesso. Ma se il vento dovesse girare a nord e
rimanere costante, allora esiste una possibilità che recuperiamo la distanza.
Sempre che non perdiamo qualche asta», soggiunse, toccando il ripiano del
tavolo.
Non avevano ancora perso niente alle osservazioni di mezzogiorno,
quando si scoprì che la Surprise aveva percorso ottantasette miglia verso
sud quasi tutte dopo la diana. Il vento, pur leggermente meno forte, stava
girando ancora e poco dopo pranzo comparvero i primi coltellacci
sopravvento. Tutti gli uomini osservarono con la massima attenzione il
modo in cui portavano e poco dopo, quando fu gettato il solcometro, il
rapporto: «Dieci nodi e tre braccia, signore» fu accolto con un ridacchiare
soddisfatto lungo tutto il passavanti sopravvento fino al castello.
La nave era piena di speranza rinnovata, esuberante: soltanto Padeen
non ne era contagiato. La mattina Stephen gli aveva applicato un semplice
cataplasma, tentando di curare con questo mezzo un possibile ascesso; a
mezzogiorno lo aveva imboccato con qualche cucchiaiata di minestra,
rinnovando il cataplasma; ma nel pomeriggio il dolore aumentò e Padeen,
alzatosi dalla branda, andò alla cassetta dei medicinali, si versò una dose di
laudano e rimase a contemplare la bottiglia, lunga e sottile, con tacche sui
lati. Dopo aver meditato per un po' tra gli spasmi del dolore, s'infilò la
bottiglia sotto la giacca e si diresse alla cabina del signor Martin: quella
parte della nave era deserta, ma, anche se vi fosse stato qualcuno, Padeen
sarebbe passato inosservato, dal momento che egli si occupava di Martin
come si occupava del dottore. Una volta lì, prese la bottiglia di brandy di
Martin, versò il liquore in quella del laudano riportandone il livello al
segno precedente, riempì la bottiglia di brandy con acqua e infine rimise al
loro posto le due bottiglie e se stesso nella branda. Era assolutamente solo,
non soltanto perché la maggior parte dei marinai si stava godendo la corsa
della fregata, ma anche perché il grido di: «Vela in vista!» dalla testa
d'albero aveva richiamato di corsa chi era impegnato altrove, dai
magazzini delle provviste, dal deposito delle gomene o dal lavarello.
La nave era già visibile dal ponte, circa cinque miglia sottovento, ma
con lo spiegamento di vele della Surprise e con il castello spazzato così

Patrick O'Brian 78 1988 - La Nave Corsara


regolarmente dal mare, non era facile averne un'immagine chiara,
nemmeno dalle coffe; appollaiato in alto sulle crocette di maestra, però, al
di sopra del velaccio, un posto familiare per lui fin dalla prima giovinezza
quando era allievo su quella stessa nave, Jack dominava l'intero cerchio
dell'orizzonte. Il veliero sconosciuto, sebbene armato a nave, non era
certamente la Spartan: a parte ogni altra considerazione, era di gran lunga
troppo a nord. A dispetto dei colori spagnoli, era probabilmente inglese,
uscito da un arsenale britannico a giudicare dalla poppa quadrata: molto
probabilmente una nave della Compagnia delle Indie. Aveva spiegato tutte
le vele che poteva portare fin da quando aveva avvistato la Surprise e ora,
mentre Jack la osservava, l'albero di contromezzana le fu strappato via e la
nave prese a collo in un orribile sbattimento di vele.
Se avesse voluto, la Surprise avrebbe potuto avvicinarsi e affiancarsi in
una mezz'ora; ma anche fosse stata una preda legittima, quella mezz'ora
era troppo preziosa. Jack scosse il capo, si girò sulle crocette e puntò il
cannocchiale a nord. La Merlin era stata in vista durante la guardia del
mattino, ma ormai non si vedeva più nemmeno un puntolino all'orizzonte.
Ridiscese in coperta e le sottili sartie di velaccio si curvarono sotto il suo
peso; mentre passava dall'impavesata a una carronata e da quella sul
cassero, l'equipaggio fissava in silenzio il suo volto. Si diresse alla
chiesuola, guardò la bussola e disse: «Molto bene, alla via così». La rotta
non sarebbe stata modificata, dunque. Vi fu in certo modo un sospiro, una
specie di acquiescenza mesta, un suono generale non dissimile dal respiro
di due o tre balene piuttosto vicine alla nave, ma nessuna traccia di
disaccordo o di scontento.
Con l'avanzare del pomeriggio il vento scemò ulteriormente, girando
tuttavia ancora di più e stabilizzandosi da nord nordovest, quasi al
giardinetto; e con l'indebolirsi del vento la Surprise spiegò altre vele:
coltellacci alti e bassi, controvelacci, la vela di controcivada, raramente
vista ma utile, tutti i fiocchi che poteva portare e una nuvola di vele di
straglio. Un nobile spettacolo che riempì di piacere l'animo di tutti i
marinai come per qualcosa di eccellente in se stesso, non soltanto come
mezzo per un fine. Jack stava contemplando i coltellacci volanti quando il
sole, abbassandosi a occidente verso uno spesso strato di nubi lontane a
dritta, gli fece capire che così non poteva durare. Ben lungi, anzi: un gran
numero di vele sarebbe stato ammainato prima del nuovo turno di guardia,
in modo che nessun rafforzamento improvviso del vento lo obbligasse a

Patrick O'Brian 79 1988 - La Nave Corsara


chiamare tutti gli uomini in coperta nel mezzo della notte; la brezza,
infatti, pur sembrando ben stabilizzata da nord-ovest, avrebbe potuto
certamente rinfrescare. Una notte di riposo era di primaria importanza.
L'equipaggio aveva faticato fin dalla violenta tempesta della settimana
precedente e, sebbene in generale il morale degli uomini fosse ancora alto,
non era certamente quale sarebbe stato dopo un inseguimento di tre giorni
con il nemico in vista, uno stato d'animo che avrebbe fatto lavorare gli
uomini anche senza cibo e senza riposo; e Jack aveva già visto qualche
segno di sfinimento. Il timoniere del suo armo, per esempio, pareva
ingrigito e invecchiato. I gabbieri dormivano già poco senza che quel poco
dovesse essere interrotto durante il riposo sottocoperta; e ciò era ancora
più vero prima di un combattimento.
La probabilità di un'azione l'indomani era sempre stata scarsa e in quel
momento lo era di più; ma soltanto uno sciocco l'avrebbe ridotta
ulteriormente, ridotta sino al punto di farla svanire, dopo tanti sforzi e
dopo una corsa così esaltante. Tuttavia si poteva anche peccare di eccesso
di cautela: perché quella probabilità esistesse, infatti, il giorno seguente la
Surprise avrebbe dovuto trovarsi in qualche punto sopravvento alla
congiungente di Sào Miguel con Santa Maria. «Tutti questi fattori devono
essere soppesati con cura», disse a se stesso Jack, passeggiando avanti e
indietro; e il risultato di quel soppesare fu che la Surprise navigò nella
notte con i velacci spiegati, laddove ordinariamente li avrebbe serrati e
avrebbe preso una mano di terzaroli alle gabbie. Si era comportata molto
bene durante la giornata e, se fosse riuscita a fare cinque nodi costanti
nella notte, avrebbe potuto percorrere le sue duecento miglia da un
mezzogiorno all'altro e l'indomani mattina avrebbe avvistato terra al
mascone di dritta, l'alta punta rocciosa di Sào Miguel.
«Jack», disse Stephen, alzando gli occhi dalla sua carta da musica
quando la porta si aprì, «ho appena finito di trascrivere un duo di
Sammartini* [* Giovanni Battista Sammartini (1700-1775), compositore e
organista italiano, considerato un precursore della sonata classica.
(N.d.T.)] per violino e violoncello. Ti andrebbe di provarlo dopo cena?
Killick ci promette sformato di piselli dalla cucina, seguito dal suo
formaggio alla griglia.»
«È lungo?»
«No.»
«Allora ne sarei molto felice. Ma ho intenzione di ritirarmi presto. Dal

Patrick O'Brian 80 1988 - La Nave Corsara


momento che Tom è sulla goletta, farò io il turno della seconda
comandata.»

*
Come molti marinai, Jack Aubrey aveva acquisito presto l'abitudine di
addormentarsi quasi immediatamente dopo aver posato la testa sul
guanciale; ma quella notte rimase sveglio almeno per una parte del tempo.
Non perché il suo animo si torturasse di nuovo con i ricordi
particolareggiati della sua disgrazia e nemmeno con i problemi legali
lunghi e potenzialmente rovinosi che incombevano su di lui, ma piuttosto
perché, fisicamente e mentalmente stanchissimo, rasentava per così dire la
superficie del presente immediato; ascoltava il suono dell'acqua che
scorreva lungo la murata e la voce composita, onnipresente, che proveniva
dal vento tra le sartie tesate a ferro e dal gioco dello scafo, mentre al tempo
stesso e più consapevolmente seguiva la trama della musica che avevano
suonato, appisolandosi ogni tanto, ma udendo sempre il suono della
campana nella successione dovuta e sempre consapevole del vento. Era
una condizione strana, molto rara per lui, riposante quasi come il sonno e
assai più simile a un benessere quieto di qualsiasi stato d'animo avesse
conosciuto dopo il processo.
Era in piedi e vestito quando Bonden venne a chiamarlo e si diresse
senza indugio in coperta. «Buongiorno, signor West», salutò, guardando la
luna gibbosa, chiara in un cielo leggermente maculato.
«Buongiorno, signore», disse West. «Tutto bene, anche se il vento cala
un po'. La vostra puntualità nel darmi il cambio è straordinaria, signore.»
«Gira la clessidra», disse allora il quartiermastro alla ruota; e Plaice,
riconoscibile dai suoi starnuti, si diresse a prua e suonò gli otto colpi.
Jack studiò il mostrarombi: durante il succedersi delle guardie, il vento
non era mai girato di una singola quarta, anche se era calato, come Jack
sapeva molto bene, e le registrazioni di meno di sei nodi erano le più
numerose.
Era una notte tiepida, benché la brezza soffiasse da nordovest, e,
andando a poppa verso il coronamento, vide con piacere che la scia era
luminosa, una lunga traccia fosforescente, la prima che avesse visto
quell'anno.
Ascoltò i consueti rapporti: sei pollici d'acqua nel pozzo di sentina, una

Patrick O'Brian 81 1988 - La Nave Corsara


quantità modesta davvero dopo una simile burrasca; ma la Surprise era
sempre stata una nave asciutta. E l'ultimo dato del solcometro: quasi sette
nodi. Forse il vento stava rinfrescando.
Il turno di guardia non avrebbe potuto essere più tranquillo: nessuna
necessità di toccare una scotta e un braccio, nessun movimento se non
quello degli uomini alla ruota, dei quartiermastri e delle vedette che si
davano il cambio, il solcometro che veniva gettato, il suono della campana.
Ogni tanto un uomo andava a prua fino alla latrina, ma la maggior parte
rimaneva nella parte centrale della nave, qualcuno chiacchierando a bassa
voce; quasi tutti, però, si erano scelti una tavola comoda per schiacciare un
sonnellino.
Jack trascorse il tempo contemplando l'ipnotica scia che si allungava un
miglio dopo l'altro e osservando le stelle familiari seguire il loro corso. Il
vento rinfrescò effettivamente in diversi momenti e una volta Jack poté
annotare con il gesso sette nodi e due braccia; ma non rinfrescò tanto da
giustificare un cambiamento nell'assetto della velatura, né cambiò in nulla,
se non per aggiungervi una certa soddisfazione profonda, quella
navigazione illuminata fiocamente dalla luna e dalle stelle, una
navigazione sognante su un mare scuro.
Alle quattro del mattino, Jack passò le consegne a Davidge e alla
guardia di dritta, diede ordine di essere chiamato con gli uomini esentati
dalle guardie notturne, scese sottocoperta e sprofondò nel suo consueto
sonno di piombo.
Le prime luci dell'alba lo videro di nuovo sul ponte. La brezza era più o
meno come l'aveva lasciata, sebbene leggermente più da ovest, il cielo
limpido, salvo per qualche nuvola e una foschia a dritta. Gli uomini franchi
dal lavoro notturno si erano già adunati intorno alle pompe, un gruppo
maleodorante, squallido, non ancora lavato e pettinato; e ben al di sopra
dell'orizzonte a sinistra, Venere sorta da poco nel suo Olimpo azzurro
chiaro sembrava ancora più pura per contrasto. Dopo aver augurato il
buongiorno al cassero, Jack annunciò: «Signor Davidge, questa mattina
faremo lavare i ponti soltanto con le redazze, poi, con gli uomini che sono
ora alle pompe, un lavoro che non richiederà più di dieci minuti, credo che
potremo cominciare a fare vela».
Era quello uno dei vantaggi di un simile equipaggio: fatta eccezione,
un'eccezione notevole, per il chirurgo e il suo assistente, tutti gli uomini
che pure venivano esentati dai turni di guardia notturni erano marinai

Patrick O'Brian 82 1988 - La Nave Corsara


molto capaci oltre a essere altamente qualificati nei loro compiti
particolari, il mastro velaio e i suoi aiutanti, l'armaiolo, gli aiuti cannonieri,
la squadra del carpentiere, il bottaio e tutti gli altri artigiani specializzati.
Un altro vantaggio, rifletté Jack Aubrey, mentre saliva sulle sartie
sopravvento fino alla coffa di maestra e più su, arrampicandosi agilmente,
senza fretta, quasi senza pensare al suo cammino aereo, come chi salisse
nel solaio della propria casa; un altro vantaggio era il desiderio singolare
degli uomini di compiacere, non per una disciplina imposta, ma per evitare
di essere mandati via dalla nave: una cosa a lui assolutamente sconosciuta
nella sua vita in marina. Entro un'ora o giù di lì le brande sarebbero state
portate in coperta, sistemate nelle impavesate, arrotolate con cura, il tutto
in cinque o sei minuti, senza bisogno di incitamenti, di insulti o di frustate:
non molte navi della marina britannica potevano vantarsi di fare
altrettanto.
«Buongiorno, signor Webster», disse alla vedetta sulle crocette di
velaccio.
«Buongiorno, signore», rispose Webster, scendendo di qualche passo
lungo le sartie sottovento, per lasciare libero il posto. «Non ho avvistato
niente a ovest, ma forse con il vostro cannocchiale...»
Era uno strumento eccellente, un Dolland acromatico;* [* John Dolland
o Dollond (1706-1761) e il figlio Peter realizzarono le lenti acromatiche,
migliorando così le prestazioni dei cannocchiali. (N.d.T.)] e, seduto sulle
crocette, Jack lo mise a fuoco con cura sull'orizzonte occidentale,
seguendolo per tutto il semicerchio. Ma dove avrebbe dovuto trovarsi Sào
Miguel, si vedeva soltanto un banco di nubi, scuro, tetro, di un grigio
violaceo e impenetrabile. Dopo qualche minuto, richiuse il cannocchiale,
se lo mise a tracolla, fece un cenno del capo alla vedetta e ridiscese sul
ponte.
Una volta là, mentre la sua mente calcolava e ricalcolava le cifre della
corsa notturna, cominciò a spiegare altre vele. Parecchio tempo prima che
le brande venissero portate in coperta, la Surprise stava facendo un po' più
di otto nodi e quando Jack fu ritornato nella cabina per rifare i calcoli una
volta di più e trasferirli sulla carta nautica, tenendo conto della deriva e dei
possibili errori, disse a se stesso: «È assurda, tanta inquietudine. Sto
diventando per davvero una vecchia zitella ansiosa».
«Ponte!» gridò Webster dalla testa d'albero. «Terra a tre quarte al
mascone di dritta!»

Patrick O'Brian 83 1988 - La Nave Corsara


La voce acuta superò il baccano generale di entrambe le guardie che si
muovevano e parlavano assai più di quanto sarebbe stato permesso su una
nave del re: penetrò attraverso la porta aperta della cabina e Jack, con la
carta distesa davanti a sé e la bussola sospesa al baglio sopra la testa, vide
che la punta Ribeira di Sào Miguel avrebbe dovuto trovarsi infatti poco
oltre sud-ovest, esattamente a tre quarte al mascone di dritta.
Un colpetto sullo stipite ed entrò il signor West. «Terra, signore», riferì.
«Tre quarte al mascone di dritta. Per un attimo l'ho intravista dal ponte, la
foschia si sta diradando, e mi è parsa a circa dieci leghe di distanza.»
«Vi ringrazio, signor West, tra poco verrò a darle un'occhiata», disse
Jack.
Un momento dopo, il nostromo chiamò gli uomini a colazione e, come
se avesse atteso il trillo del fischietto, Stephen entrò in fretta. «Che Dio ti
benedica, Jack», esclamò, alzando la voce per coprire il rimbombo
soffocato dei piedi sopra le loro teste. «Che terra è? Non è per caso il
nostro vecchio amico capo Volavia?»
«A meno che capo Volavia si trovi esattamente circa dieci leghe a sud
sud-ovest, quella dovrebbe essere la punta nordorientale di Sào Miguel»,
rispose Jack, mostrandogli la carta, con le parallele lungo la linea della
posizione.
«Non mi sembri entusiasta», commentò l'amico.
«Sono soddisfatto, certo, però, no, non sono quel che si dice entusiasta. I
sentimenti sono strani, vanno e vengono. E in ogni caso questo è solo un
piccolo passo, resta ancora molta strada da fare.»
«Se non dispiace a lor signori», annunciò Killick, «ci sarebbe un paio di
pesci volanti appena saliti a bordo che bisogna mangiare caldi.»
«Trovo in un pesce volante veramente fresco un'untuosità deliziosa»,
osservò Stephen, attaccando il suo piatto. «Posso disturbarti per il cestino
del pane? Dimmi, Jack, hai detto la punta nord-orientale dell'isola, ho
capito bene?»
«Sì. Si chiama Ribeira. Sulla cima del promontorio c'è una croce alta,
come spero di vedere tra un'ora o due.»
«Però io avevo pensato che, se fossimo stati tanto fortunati da trovare
Sào Miguel, un semplice bruscolino nella vastità dell'oceano, avevo
pensato che avremmo costeggiato il suo lato occidentale, così da
raggiungere un punto intermedio tra Sào Miguel e Santa Maria, anche se
un po' sopravvento.»

Patrick O'Brian 84 1988 - La Nave Corsara


«Sì, è quello il punto verso cui miriamo, certamente. Ma dobbiamo
raggiungerlo da est, come se stessimo provenendo da Cadice. La mia idea
è di portarci a 37° 30' nord o poco al di là, e poi, evitando le Formigas,
virare a ovest, bordeggiando lentamente come se volessimo fare scalo a
Horta, nella speranza che la Spartan ci stia aspettando. O piuttosto stia
aspettando l'Azul.»
«Come valuti le nostre probabilità attuali?»
«Quasi tutto dipende dal vento da sud che ci è stato contrario martedì. Se
ha soffiato anche qui e non tanto forte da costringere l'Azul a mettersi alla
cappa, allora l'avrà sospinta più velocemente verso ovest e per noi sarà
troppo tardi. Se invece qui non ha soffiato, o ha soffiato più da ovest che
da sud, deviato dalle isole, allora è possibile che troviamo la Spartan ad
aspettarci. Ma, in un caso o nell'altro, tu potrai vedere Sào Miguel e, se
costeggeremo le isolette basse e le scogliere delle Formigas, potrai trovare
qualche alga e qualche creatura prodigiosamente curiosa. Dimmi,
Stephen...» riprese dopo una pausa, e stava per dire: «Hai mai provato la
sensazione che quanto stai facendo non sia del tutto reale... di recitare una
parte, che il cosiddetto presente non sia davvero importante? È una cosa
comune? O è qualcosa di malsano, l'inizio della follia?» Ma gli balenò il
pensiero che ciò fosse troppo simile a un lamento sulla sua sorte e disse
invece: «Come sta il tuo Padeen?»
«Ha la faccia ancora penosamente gonfia, ma ha la virtù della fortezza.»
«Che ne dite di un altro pesce volante, signore?» domandò Killick.
«Stanno saltando a bordo a convogli.»
Durante tutta la guardia del mattino, quando non stavano regolando
l'assetto delle vele o esercitandosi ai cannoni in un finto fuoco, la maggior
parte degli uomini contemplò Sào Miguel che si avvicinava sempre di più,
sempre più chiara, e a mezzogiorno, esattamente al traverso, l'alta croce sul
promontorio si stagliò netta contro il cielo.
Il vento era girato verso ovest; al tempo stesso era diminuito, così che
l'ultima misurazione del solcometro aveva segnalato soltanto cinque nodi.
Ma ciò non abbatté il morale di nessuno, perché le osservazioni di
mezzogiorno, e il rapporto fu ascoltato da tutti, senza il minimo tentativo
di dissimulazione, avevano rivelato che da un mezzogiorno all'altro
avevano percorso duecentodieci miglia. Una volta di più l'entusiasmo fu
generale; e una volta di più Padeen non udì niente, essendo molto in basso,
nel ponte di stiva, intento a riporre la bottiglia di laudano, riempita con il

Patrick O'Brian 85 1988 - La Nave Corsara


brandy.
«Dopo pranzo dovremo pensare ad attrezzare l'albero di gabbia al modo
di un brigantino a palo», disse Jack all'ufficiale di guardia. «Il signor
Bulkeley ha già molte idee in mente e ha messo da parte cordame e
bozzelli: non credo che ci vorrà troppo tempo.»
Occorreva anche cambiare l'alberetto di velaccio e, non appena il pranzo
fu terminato, iniziò il lavoro di tirar fuori le aste necessarie, un'incombenza
tediosa dal momento che bisognava portare fuoribordo, sospendendole ai
pennoni di maestra e di trinchetto, le scialuppe che erano rizzate sopra di
esse. Stephen e Martin, i quali avevano il dono geniale di stare sempre tra i
piedi durante le manovre di questo genere, ma che non volevano scendere
sottocoperta in una giornata così bella, in particolare in prossimità di tanti
uccelli che nidificavano sulle pareti rocciose, portarono i loro paglietti e le
loro lenze sul castello. «Come abbiamo rallentato l'andatura!» osservò
Martin.
«Ho rivolto la stessa osservazione al comandante, ma mi ha suggerito di
non preoccuparmi: è solo perché siamo a ridosso dell'isola», spiegò
Stephen. «Tra un'ora o giù di lì staremo di nuovo filando allegramente.»
Nel lasso di tempo necessario a portare le scialuppe a rimorchio a poppa,
la Surprise aveva doppiato la punta Madrugada e là apparve alla vista una
tonniera di Sào Miguel dai colori vivaci che correva con il vento in poppa
su una rotta che l'avrebbe portata ad attraversare quella della fregata.
«Parrocchetto a collo!» gridò Jack, e la Surprise perse gran parte del suo
abbrivo. Il peschereccio modificò la rotta in risposta a quell'ovvio invito.
«Passa parola per il dottore.» E a Stephen: «Sono sicuro che sai parlare il
portoghese».
«Moderatamente.»
«Allora abbi la compiacenza di comprare del pesce, se ne hanno», disse
Jack, «e poi domanda com'è stato il vento da queste parti durante la
settimana: puoi chiedere notizie della Spartan, se lo ritieni conveniente,
ma è il vento che interessa veramente, soprattutto il vento martedì.
Soffiava da sud? Era forte?»
L'imbarcazione si affiancò alla murata: salirono cesti di pesce, palamite
argentee lunghe circa tre piedi, e discesero monete, contate ad alta voce e
chiaramente, così che non vi fossero errori. Seguì poi una conversazione
alquanto confusa tra Maturin e la tonniera, mentre West e Davidge
facevano calare in mare la lancia ed entrambi i cutter.

Patrick O'Brian 86 1988 - La Nave Corsara


Jack scese sottocoperta e là Stephen gli diede la brutta notizia: il vento
aveva soffiato forte da sud il martedì e il giorno precedente lo zio della
tonniera aveva visto un brigantino a palo fare rotta a ovest, in apparenza
come se provenisse da Cadice per Fayal. Era vero, però, che il vecchio
gentiluomo non aveva dato un nome al bastimento, né lo aveva descritto, a
parte osservare che portava i colori spagnoli.
«E va bene», commentò Jack. «Era comunque una scommessa persa in
partenza, per così dire. Ma beviamoci un po' di birra per festeggiare i
pesci: non c'è niente di meglio di un filetto di palamita alla griglia. Killick!
Killick, due boccali di birra e galletta per aiutarci a mandarla giù.»
La birra fresca non era sgradevole a quell'ora del giorno e mentre la
sorseggiavano Jack osservò: «Se fossi superstizioso, direi che me la sono
tirata addosso, gracchiando così forte per vantarmi, a proposito della corsa
di ieri, di un atterraggio così preciso e in un tempo così breve».
«Non ti ho mai sentito gracchiare.»
«Tu no, ma il fato sì. Credimi, Stephen, in queste cose c'è qualcosa di
più dei racconti delle donnette e del non passare sotto una scala. A me
sembra che si debba trattare il destino o la fortuna o qualunque sia la
parola giusta con il dovuto rispetto. Non bisogna vantarsi o fare i
presuntuosi, ma non bisogna nemmeno disperarsi, perché sarebbe
maleducazione; perciò anche se tu riderai sotto i baffi, io intendo cambiare
ugualmente la nostra attrezzatura e incrociare tra Sào Miguel e Santa
Maria per il resto della giornata. Poi, domani, dopo aver fatto tutto nel
migliore dei modi, possiamo tornare a casa; e, se vuoi, passeremo dalle
Formigas e ti sbarcheremo a terra per mezza marea.»

*
La Surprise, ora un brigantino a palo, avanzava lentamente sopravvento
alle due isole. A metà del primo gaettone si trovava nella posizione che
secondo il suo comandante era ideale; ma non avvistò nessuna Spartan. Né
vi era tra gli uomini la minima aspettativa di vederla, dal momento che
molti di loro capivano un po' il portoghese e le loro conoscenze riunite li
avevano portati a una conclusione precisa; e la diceva lunga sul loro
rispetto per Jack Aubrey che il cambiamento nell'attrezzatura della fregata
fosse stato portato a termine con tanta diligenza e rapidità, e che non vi
fossero svogliatezza né mormorazioni per quell'incrociare avanti e

Patrick O'Brian 87 1988 - La Nave Corsara


indietro, uno stancante andirivieni, più lento, più lungo, ma non del tutto
dissimile da quello del suo comandante che macinava un miglio dopo
l'altro tra il coronamento e un certo golfare subito a poppavia del
passavanti, un golfare che il suo tacco, girando, aveva da lungo tempo reso
lucidissimo.
Quella sera non vi fu la chiamata ai posti di combattimento e in questi
casi il secondo gaettone era in genere un tempo di musica e di danze sul
castello. Ma allora gli uomini rimasero seduti nel tepore della sera,
conversando quietamente.
Il sole tramontò, lasciandosi dietro una luce rosea; le brande furono
portate sottocoperta, il turno di guardia cambiò e la nave si adattò alle
abitudini notturne, dirigendoli lentamente a nord e a sud con le gabbie
terzarolate e le scialuppe a rimorchio. Stando alla lettera della sua legge
privata, Jack Aubrey avrebbe dovuto issarle a bordo; ma poiché tutto ciò
che era stato cambiato nel pomeriggio avrebbe dovuto essere cambiato di
nuovo l'indomani per la traversata di ritorno e poiché gli uomini stanchi,
scoraggiati avrebbero dovuto eseguire quel lavoro pesante e inutile due
volte, lasciò le cose come stavano.
Seduto alla scrivania della cabina, Jack cominciò un nuovo foglio della
lettera a puntate che scriveva a Sophia, una specie di diario privato da
condividere con lei.
«Eccoci qui, mia carissima Sophia, a sud di Sào Miguel in un mare
tiepido come il latte: quanto spero che il tempo a casa sia mite la metà del
nostro! Se fosse così, la rosa gialla sul muro a sud starebbe sbocciando
magnificamente. Spero di rivederti tra una settimana circa, perché domani
torniamo indietro. La nostra navigazione non è stata fortunata come avevo
sperato, ma abbiamo comunque una piccola e bella preda nella Merlin,
come sai già, e i nuovi uomini dell'equipaggio stanno venendo su assai
bene. Fatta eccezione per Padeen che ha male a una guancia, Stephen dice
di aver visto raramente un equipaggio più sano, e questa condizione la
spiega con la scarsità di cibo e con il fatto di non avere niente altro da bere
se non birra leggera. In questo momento è con il signor Martin sulle
scialuppe rimorchiate a poppa, a pescare insetti luminosi con reticelle e
filtri; e io devo confessare...»
A quel punto la lettera s'interruppe bruscamente, perché Jack aveva
udito un rumore così simile a un colpo di cannone da fargli posare la
penna. Dopo un momento il rumore si ripeté e Jack corse in coperta.

Patrick O'Brian 88 1988 - La Nave Corsara


Davidge e West erano chini sui loro cannocchiali appoggiati all'impavesata
di sinistra. «Dritto al traverso, signore», annunciò West. «Eccolo di
nuovo.» E chiaramente, sotto il buio del cielo a oriente, Jack vide i lampi
delle cannonate, separati da un ampio tratto.
«Sono a dieci miglia», disse Davidge, quando il rombo li ebbe raggiunti.
«E perlomeno a mezzo miglio di distanza l'uno dall'altro», suggerì West.
Una lunga pausa mentre studiavano l'orizzonte a oriente con attenzione
estrema, una pausa durante la quale il cannone a sinistra sparò due volte e
quello a destra, quello più a sud, tre volte.
«Signor Davidge, portate la nave con il vento in poppa», ordinò Jack.
«Devo far issare le scialuppe?» domandò Davidge.
«Non ancora. Ma riportate a bordo il dottore, prego», rispose Jack,
affrettandosi sottocoperta per prendere il suo cannocchiale.
La nave ruotò lentamente con la brezza gentile, mettendo alla fine la
prua a est, e, dal pennone di trinchetto, Jack dominò una vasta distesa di
mare. Gli era già stato chiaro e gli fu ora assolutamente certo che nel suo
cannocchiale notturno stava inquadrando un combattimento in corso tra
due navi, con l'inseguitrice circa mezzo miglio dietro e sulla scia della
nave inseguita, e che entrambe stavano facendo fuoco con grande
deliberazione con due cannoni in caccia l'una e due cannoni in fuga l'altra
e forse con un terzo sul cassero. La luna non si sarebbe levata ancora per
alcune ore, ma vi era un certo chiarore diffuso allo zenit, e Jack poté
stabilire, mettendo a fuoco il più perfettamente possibile il bagliore delle
cannonate, che la nave in testa era un brigantino a palo. Il lampo del
cannone sul cassero, perché davvero un cannone era montato sul suo
cassero, illuminava la randa poppiera e rivelava la totale assenza di una
contromezzana. Controllò due volte, poi chiamò: «Ponte! Tutti gli uomini
a fare vela».
Ovviamente le due navi avrebbero potuto appartenere alla marina da
guerra di due nazioni nemiche, francese e inglese, americana e inglese,
francese e spagnola, e la sua intima convinzione che si trattasse dell'Azul e
della Spartan era unicamente il frutto del suo ardente desiderio che fosse
così: eppure l'attrezzatura a brigantino a palo era virtualmente sconosciuta
nella marina britannica e rarissima nelle altre; e, in ogni caso, se si fosse
sbagliato, non avrebbe perso se non una notte di sonno.
Sotto di lui la voce del nostromo ululava e muggiva, e Jack riusciva a
udire le grida di: «Fuori tutti, fuori tutti, in piedi, in piedi, dormiglioni!»

Patrick O'Brian 89 1988 - La Nave Corsara


Scese dal pennone e prese il comando dal ponte: sapeva con assoluta
precisione ciò che amava la Surprise con quel vento, il solo in cui la
mancanza di una contromezzana non sarebbe stato uno svantaggio per lei;
e ben presto essa correva con la brezza esattamente in poppa e con la
civada, la trinchettina con i coltellacci su entrambi i lati, la gabbia e il
velaccio, entrambi con i loro coltellacci; e al di sopra di tutto il
controvelaccio.
«E le scialuppe, signore?» domandò Davidge preoccupato. «Volete che
le issiamo a bordo?»
«No. Con il vento dritto in poppa, perderemmo più tempo di quanto non
ne risparmieremmo. Ma il dottore è qui, vedo. Stephen, vuoi salire sulla
coffa a vedere lo spettacolo? Bonden, date una mano al dottore e portatemi
il mio cannocchiale di prossimità che è nella sua custodia.»
Con il parrocchetto terzarolato, dalla coffa di trinchetto la vista era
perfetta. «Laggiù!» esclamò Jack. «Hai visto? Non ha contromezzana:
significa che è un brigantino a palo, perché, con il vento al traverso o
appena a poppa del traverso, certamente l'avrebbe spiegata, se l'avesse. È
un ragionamento sensato. Vuoi che ti dica che cosa credo sia successo,
sempre supponendo che la mia idea balzana sia giusta?»
«Certamente.»
«Io credo che l'Azul si sia messa alla cappa quel martedì, che la Spartan
si sia diretta a est per cercarla, portandosi più a nord di quanto non fosse
giusto, e che si siano avvistate reciprocamente nel tardo pomeriggio di
oggi. L'Azul ha poggiato ed è fuggita a quella che è la sua andatura
migliore, suppongo; ma la Spartan è più veloce e da poco è arrivata a tiro.
Da quel momento hanno fatto fuoco regolarmente nella speranza di
portarsi via qualcosa.»
«Come dovrebbe andare a finire, secondo te?»
«Se l'Azul non riesce a buttar giù niente, la Spartan la supererà e allora
entreranno in gioco i cannoni delle sue murate, dopodiché tutto dipenderà
dalla loro artiglieria. Ma se la Spartan riesce ad avvicinarsi senza aver
perso qualche asta importante, le sue carronate da quarantadue libbre
faranno sputare anche la stoppa al brigantino a palo, su questo non c'è
dubbio.»
«Noi non saremo spettatori oziosi, non è vero?»
«Spero proprio di no. Dubito che possiamo raggiungerle prima che la
Spartan... prima che la cosiddetta Spartan abbia superato l'Azul, perché

Patrick O'Brian 90 1988 - La Nave Corsara


abbiamo il vento esattamente in poppa, non la migliore andatura per
nessuna nave, nemmeno per la Surprise. Ma, con un po' di fortuna,
potremmo impegnarla in combattimento non molto dopo, perché, vedi,
mentre corrono verso sud e noi le seguiamo, così facendo, ci portiamo il
vento più al giardinetto e possiamo perciò spiegare altre vele. Potremmo
impegnarla in combattimento e potremmo prenderla.» Una pausa. «Sono
contento di non aver sostituito i cannoni con le carronate, come avevo
pensato di fare una volta: preferirei di gran lunga bombardarla da una certa
distanza che avvicinarmi ai suoi micidiali pezzi da quarantadue libbre. In
caso d'inseguimento, farò mollare le scialuppe con Bonden e qualche
bravo marinaio nella barcaccia. Ma naturalmente le possibilità sono
centinaia, capisci. L'Azul potrebbe stringere il vento, attraversare la rotta
della Spartan, spazzarle i ponti e abbordarla nel fumo. Possono accadere
centinaia di cose.»
A quel punto, rimasero in silenzio, così come gli uomini che si
affollavano sul castello sotto di loro, per osservare il duello lontano che si
spostava lentamente nel mare a occidente in una notte resa ancora più nera
dai lampi delle cannonate. Una volta, l'inseguitrice accostò per sparare una
bordata e il bagliore vivo rivelò che era armata a nave. «Cento sterline che
è la Spartan», borbottò Jack.
«Che cos'è un cannocchiale di prossimità?» domandò Stephen.
«Oh, è uno strumento, diviso in due, per dare due immagini», rispose
Jack distrattamente. «Quando le immagini si separano, vuol dire che la
nave si allontana; quando si sovrappongono vuol dire che si avvicina.»
Trascorsero un'ora, un'ora e mezzo e lentamente, lentamente
l'inseguitrice recuperò la distanza perduta con l'accostata e cominciò a
guadagnare. Ora stava facendo fuoco con i cannoni prodieri; e a quel
punto, rispetto alla Surprise, le due navi erano a metà distanza
dall'orizzonte.
Lo schianto e il rimbombo delle cannonate divennero pressoché continui
mentre le due navi si trovavano ormai quasi affiancate; e il fumo si
spostava in una nube compatta giusto a poppa dell'Azul. Perché era l'Azul.
Nel chiarore della bordata della Spartan, una bordata lunga e in
successione, Jack aveva visto distintamente le sue murate chiare. La
Spartan era a mezzo miglio di distanza sopravvento e si stava avvicinando
sempre di più, quando tutt'a un tratto parve che l'Azul mettesse il timone
alla banda, ruotando con straordinaria velocità come se volesse portarsi il

Patrick O'Brian 91 1988 - La Nave Corsara


vento in poppa per poi tornare all'orza per un tratto sull'altro bordo. La
Spartan le spazzò subito la poppa esposta al fuoco, ma parve a Jack che la
distanza fosse eccessivamente grande perché le carronate facessero troppi
danni; né gli parve che la corsara fosse manovrata così bene come si
sarebbe aspettato dopo il loro ultimo incontro: stava impiegando un tempo
irragionevole a regolare le vele per inseguire l'Azul sulla nuova rotta.
«Forse il brigantino a palo ce la farà», disse Jack a mezza voce, «forse la
Spartan ha perso un'asta.» Ma qualcosa non andava. Pareva che l'Azul non
stesse avanzando. La inquadrò con il cannocchiale di prossimità:
l'immagine era ferma, la nave immobile. E non era tutto, luci si
muovevano sul suo ponte e, sebbene la Spartan si stesse finalmente
avvicinando, pareva che l'Azul stesse calando in mare una scialuppa. Due
scialuppe.
«Perdio!» gridò Jack. «Si è incagliata sulle Formigas!»
Per tutto quel tempo la caccia si era diretta a sud ed egli aveva regolato
la velatura di conseguenza; ora la ridusse ai trevi di trinchetto e di maestra
soltanto, quanto di meno appariscente la fregata poteva portare, e modificò
la rotta di mezza quarta.
In piedi, le mani strette con forza sul bordo della coffa, osservò il duello
che continuava, assai più vicino ora. La luna si levò, illuminando i vasti
strascichi di fumo bianco e, con sua sorpresa, Jack vide la Spartan dirigersi
dritta per lanciare i rampini e andare all'arrembaggio sull'altro lato
dell'Azul, sulla murata di dritta, dalla parte opposta a quella della Surprise.
Ridiscese rapidamente sul ponte, ordinò che fossero portate in coperta le
casse delle armi leggere e di spegnere le poche luci rimaste; poi corse al
mascone. Lontano sull'acqua il fuoco stava raggiungendo il massimo
d'intensità: tre bordate complete e tonanti dall'una e dall'altra nave, le
ultime due quasi simultanee, poi uno o due colpi di cannone, qualche sparo
di moschetto e di pistola; infine il silenzio, e Jack riuscì a vedere gli
uomini che saltavano dai portelli illuminati dell'Azul nelle scialuppe vicine
alla murata di sinistra. Li vide allontanarsi a remi, apparentemente nascosti
alla vista della Spartan. Di nuovo sul cassero, alzò la voce e chiamò:
«Tutti gli uomini a poppa». Quando l'equipaggio fu riunito, disse:
«Marinai, l'Azul è andata a incagliarsi sulle Formigas. La Spartan si è
affiancata e l'ha rampinata. Noi prenderemo lei e la sua preda con le
scialuppe. Signor West, l'armaiolo distribuirà pistole, sciabole e asce
d'arrembaggio, secondo la scelta di ciascuno. Io guiderò la spedizione sulla

Patrick O'Brian 92 1988 - La Nave Corsara


lancia, seguito dal signor Smith sul cutter blu e dal signor Bulkeley sul
cutter rosso, e abborderemo l'Azul, badate bene, l'Azul, ai parasartie di
trinchetto; il signor Davidge prenderà la pinaccia, il signor Bentley la iole
e il signor Kane il battellino di servizio e abborderanno l'Azul ai parasartie
di mezzana. Le scialuppe si terranno vicine, con una cima a prua e a
poppa. Noi abbordiamo l'Azul, attraversiamo il ponte... - ricordatevi del
ponte di Nelson! - e attacchiamo gli uomini della Sparlati prendendoli di
fronte e alle spalle. Non un rumore, non un solo rumore mentre ci
avviciniamo, ma, quando sarete saliti a bordo, urlate: e, una volta a bordo,
il grido di guerra è: 'Surprise'. Ora», continuò alzando la voce al primo
mormorio, «non un'acclamazione, non un suono finché non saremo là.
Signor West, mi dispiace dirvi che dovrete restare a bordo con dieci
uomini, per avvicinarvi quando segnalerò con tre lanterne; ma non più di
mezzo miglio. Ci muoviamo tra cinque minuti».
Scese sottocoperta per prendere la spada e le pistole, scrisse gli ordini
per il signor West nel caso dovesse essere ucciso o la spedizione dovesse
finire in un disastro e scese sulla lancia. L'oscurità era piena di bisbigli e
questo accentuava la straordinaria sensazione di ansiosa anticipazione che
sentiva tutt'intorno a sé; aveva partecipato a non poche spedizioni del
genere, mai però in una tale atmosfera di eccitazione feroce. Anche se
«feroce» non era proprio il termine giusto. «Pronti?» domandò a ciascuna
scialuppa, e ogni scialuppa rispose: «Pronti, aye, pronti, signore».
«Via», ordinò.
Il moto ondoso da sud era agevole, il vento li favoriva e le scialuppe
avanzarono veloci sull'acqua, senza un solo rumore che non fossero il
cigolio dei banchi e degli scalmi e lo sciabordio dei remi. Sempre più
vicino, più vicino e più vicino ancora, le scialuppe a poca distanza l'una
dall'altra: nelle ultime cento iarde, Jack fu quasi certo che un fuoco di
mitraglia sarebbe piovuto loro addosso dal ponte di batteria dell'Azul ben
illuminato, dove si vedevano gli uomini muoversi avanti e indietro. Si
sporse in avanti e disse a bassa voce: «Arranca ora, arranca, per la barba di
Nettuno!»
Sguainò la spada e, non appena Bonden ebbe fatto accostare
silenziosamente la lancia all'Azul, saltò sul parasartie di trinchetto,
scavalcò l'impavesata e con un grido terribile balzò sul castello, deserto a
parte tre caduti. Immediatamente fu sospinto dagli uomini che si
ammassavano dietro di lui e nello stesso momento udì le grida selvagge

Patrick O'Brian 93 1988 - La Nave Corsara


delle altre squadre che salivano a bordo e il ruggito: «Surprise! Surprise!»
Alcune facce inorridite guardarono in su dai boccaporti illuminati e
immediatamente si ritirarono, scomparendo alla vista.
«Avanti! Avanti, muoversi!» gridò Jack, correndo lungo il passavanti e
al di sopra dei rampini, per balzare sulla Spartan. L'attacco era stato
assolutamente, completamente inatteso, tuttavia una trentina di uomini
della Spartan fece resistenza sul cassero, un gruppo risoluto e compatto,
con le armi che aveva avuto il tempo di afferrare. Un colpo di moschetto
strappò la spada di mano a Jack, la punta di una picca lo ferì di striscio sul
collo e una specie di colosso gli sferrò un pugno sotto il mento,
mandandolo a cadere all'indietro su un cadavere. Si rialzò, rotolando su un
fianco, sparò con la pistola sul colosso, afferrò un pesante pezzo di legno
dell'impavesata fracassata lungo sei piedi e si scagliò sul gruppo di uomini,
usando l'arma improvvisata con forza spaventosa.
Gli uomini ricaddero all'indietro, calpestandosi a vicenda, e in
quell'istante Jack sferrò un terribile fendente che ne abbatté tre. Stava per
colpire di nuovo quando Davidge gli afferrò un braccio, gridando:
«Signore, signore! Si sono arresi!»
«Davvero?» esclamò Jack, ansimante, la faccia che andava pian piano
perdendo il pallore di una furia quasi folle. «Tanto meglio. Bene così.
Sospendete il combattimento laggiù», queste ultime parole dirette a una
zuffa sul castello. Lasciò cadere l'arma, una specie di alto stipite di
quercia, e domandò: «Dov'è il loro comandante?»
«Morto, signore», rispose Davidge. «Ucciso dall'Azul. Questo è l'unico
ufficiale sopravvissuto.»
«Rispondete dei vostri uomini, signore?» domandò Jack al giovane dalla
faccia pallida che gli stava davanti.
«Sì, signore.»
«Allora devono scendere subito nella stiva, tranne i feriti. Dove sono gli
uomini dell'Azul?»
«Se ne sono andati con le loro scialuppe, signore, prima che
l'abbordassimo. Non ne erano rimasti molti.»
«Signor Davidge, tre lanterne dal ponte di batteria, prego, da appendere
alle sartie.»
Le lanterne illuminarono una scena di grande distruzione. L'artiglieria
dell'Azul doveva aver sparato con una mira eccezionalmente precisa,
mentre il metallo pesante della Spartan a distanza ravvicinata non poteva

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non aver devastato tutto ciò che aveva incontrato. I morti dovevano quindi
essere stati necessariamente molti, soprattutto tra i ponti; ma da ciò che
poté vedere mentre camminava tra i cadaveri, nessuno dei suoi era stato
ucciso, sebbene Webster, boccheggiante, fosse piegato in due per una
ferita al ventre e gli aiutanti del capocannoniere gli stessero mettendo un
braccio sanguinante al collo.
«Signore», disse il giovane ufficiale, «posso pregarvi di mollare il
brigantino a palo? Non starà a galla altri cinque minuti. Noi stavamo solo
aspettando di aver preso l'ultimo sacco di argento vivo.»

*
«Mi dispiace che ve la siate persa, Tom», disse Jack Aubrey, seduto a
colazione nella sua cabina con Pullings, il quale, puntuale
all'appuntamento, era comparso poco dopo il sorgere del sole. «È stata la
piccola sorpresa più riuscita che potreste immaginare. E non c'era altro
modo di farlo, perché certamente non avrei portato la nave su quei fondali
bassi di notte. Scogliere orribili: l'Azul è affondata in dieci braccia d'acqua
non appena abbiamo portato via i feriti. Come abbia fatto quel giovane
incosciente ad affiancarlesi senza conseguenze non lo capirò mai.»
«Ma sono desolato che siate stato ferito, signore», disse Pullings, «spero
solo che non sia così grave come sembra.»
«No, no, è una sciocchezza: lo dice lo stesso dottore, e io non me ne
sono mai nemmeno accorto: un colpo di picca, un colpo di picca obliquo.
Abbiamo avuto pochissimi feriti. Ma, che Dio mi fulmini, come si sono
maciullate, la Spartan e l'Azul! Un scontro piccolo ma cruento come non
ne ho mai visti, i ponti di batteria di entrambe le navi erano sommersi dal
sangue. Sommersi. dell'Azul restavano soltanto due scialuppe di uomini in
grado di camminare e non credo che abbiamo preso più di una quarantina
di prigionieri della Spartan, a parte i feriti. È vero che avevano mandato
via molti uomini nelle loro cinque grosse prede, ma è stato un massacro
impressionante lo stesso.»
«C'è il nostromo, signore», annunciò Killick.
«Accomodatevi, signor Bulkeley», lo invitò Jack. «Volevo sapere
questo: abbiamo bandiere francesi in abbondanza?»
«Non più di tre o quattro, signore, credo.»
«Allora potreste considerare di confezionarne qualche altra. Non ho

Patrick O'Brian 95 1988 - La Nave Corsara


detto che dovete confezionarle, signor Bulkeley, perché sarebbe un po'
eccessivo; dico solo che potete tenerlo presente.»
«Aye, aye, signore. Tenerlo presente, sì, signore», disse il nostromo,
accomiatandosi.
«Ora, Tom», riprese Jack, «tornando alle prede, non c'è un minuto da
perdere. Il dottore darà in escandescenze, lo so», aggiunse, accennando
attraverso la vetrata di poppa a un isolotto sul quale Stephen e Martin si
stavano muovendo carponi dopo aver affidato i feriti ai rispettivi chirurghi
di bordo, «ma, non appena la Spartan sarà in grado di fare vela, e non le
mancano cime e scorte di ogni genere, dobbiamo fare rotta per Fayal il più
in fretta possibile, correndo da far sfinire tutti quanti di nuovo, perché la
fine del mese e la Constitution si avvicinano ogni giorno di più. Dobbiamo
dirigere su Fayal. Le cinque prede della Spartan sono all'ancora nel porto
di Horta. La Spartan compare al largo, accompagnata da qualcosa che
assomiglia molto all'Azul. Naturalmente la Spartan non vuole addentrarsi
nella lunga baia e perdere tempo per liberarsi dalla costa orzando; ma la
Merlin, la Merlin così familiare, entra in rada, le saluta con un paio di
cannonate e issa il segnale di partenza; le prede salpano immediatamente e
ci raggiungono in mare aperto, dove noi sostituiamo gli equipaggi di preda
e le riportiamo a casa, issando i colori francesi a bordo di ognuna, per
ingannare la Constitution, se mai fosse avvistata. Capite ciò che voglio
dire, Tom?»

CAPITOLO IV
Nella bottega di un farmacista il dottor Maturin e il suo assistente
controllavano i loro acquisti per le scorte della Surprise.
«A parte la minestra secca, il doppio divaricatore e un paio di pinze per
estrarre le pallottole di moschetto, e li troveremo da Ramsden, credo
proprio che sia tutto.»
«Non avete dimenticato il laudano?»
«Niente affatto. Ne rimane una quantità ragionevole a bordo; ma grazie
per avermelo ricordato.»
La quantità ragionevole si trovava in piccole damigiane ognuna pari a
quindicimila dosi ospedaliere normali, e Stephen indugiò sul tema con un
certo compiacimento.

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«La tintura alcolica di oppio somministrata con giudizio è una delle
droghe migliori in nostro possesso, e tengo particolarmente a non restarne
mai privo», osservò. «Qualche volta, d'altronde, la utilizzo io stesso come
amabile sedativo. Epperò», soggiunse, mentre scorreva un'ultima volta la
lista, tenendola sotto la luce, «epperò, vedete, Martin, ho constatato che
l'effetto diminuisce. Signor Cooper, come state?»
«Come state voi, signore?» lo salutò il droghiere con una nota di piacere
insolito nella voce e sul viso giallo e dalla bocca sdentata. «State in modo
sorprendente, a quanto ho saputo, ah, ah, ah! Quando mi hanno detto che il
chirurgo della Surprise era in bottega, ho detto alla signora Cooper: 'Vado
di sotto a rallegrarmi con il dottor Maturin per le sorprese della sua
prospera missione'. 'Oh, Cooper', ha detto lei, 'non ti prenderai mica la
libertà di scherzare con il dottore?' 'Mia cara', ho detto io, 'noi ci
conosciamo da tanti anni, non si offenderà per la mia piccola battuta.'
Perciò mi rallegro, mi rallegro di tutto cuore.»
«Grazie, signor Cooper», disse Stephen stringendogli la mano, «vi sono
obbligato per le vostre amabili parole.»
Quando furono di nuovo in strada, proseguì: «Sì, il suo effetto
diminuisce in modo notevole: non so spiegarmelo. Il signor Cooper è la
precisione fatta persona sotto ogni punto di vista e io ho utilizzato la sua
tintura un viaggio dopo l'altro, sempre la stessa, sempre uguale a se stessa,
sempre mischiata con un brandy decente anziché con alcol puro. La
risposta deve trovarsi altrove, ma dove non saprei dirlo; e così, poiché
sono risoluto a non superare mai una dose moderata, salvo in caso di
grande urgenza, di tanto in tanto devo rassegnarmi a una notte senza
sonno».
«Qual è la dose considerata moderata, Maturin?» domandò Martin per
pura curiosità.
Sapeva infatti che la quantità abituale era di venticinque gocce e aveva
visto Stephen somministrarne sessanta a Padeen per attutire un dolore
estremo; ma sapeva anche che l'uso abituale poteva condurre a un grado di
assuefazione notevole e desiderava sapere dove si situasse quel grado.
«Oh, niente di prodigioso, per una persona abituata alla sostanza. Non
superiore... non superiore, diciamo, alle mille gocce, più o meno.»
Martin soffocò l'esclamazione inorridita e, per nasconderne perfino
l'apparenza, chiamò con un gesto una vettura a nolo che era di passaggio.
«Pensiamoci», obiettò Stephen, «ha smesso di piovere, il cielo è limpido

Patrick O'Brian 97 1988 - La Nave Corsara


e abbiamo soltanto un miglio da percorrere, un miglio inglese: collega, non
rischiamo di essere spendaccioni?»
«Mio caro Maturin, se foste stato così povero, e così povero per tanto
tempo come lo sono stato io, anche voi vi dilettereste nei lussi della bella
vita, una volta diventato ricco. Suvvia, è un animo ben misero quello che
non gode mai.»
«Be'», ribatté Stephen, deponendo il pacco nella vettura prima di salirvi,
«mi auguro che non diventiate orgoglioso in modo eccessivo.»
Si fermarono da Ramsden per ordinare le provviste mancanti e infine si
separarono, Martin per trovare un taglio di seta marezzata per sua moglie e
Stephen per andare al club.
I portieri del Black erano tutti dotati di discrezione, ma non c'era da
sbagliarsi sui sorrisi significativi, sui cenni del capo e sul piacere con il
quale gli augurarono una buona giornata, porgendogli un biglietto
amichevole di Sir Joseph Blaine, tornato al suo incarico di capo del
Servizio d'informazioni della marina, un biglietto in cui Sir Joseph gli dava
il benvenuto a Londra e gli confermava l'appuntamento per quella sera.
«Alle sei e mezzo», ripeté Stephen, lanciando un'occhiata al grande
orologio Tompion dell'atrio. «Ho giusto il tempo di fare un saluto alla
signora Broad.» Al portiere disse: «Ben, custodite questo pacco fino al mio
ritorno, prego, e non lasciatemi andare da Sir Joseph senza». Al cocchiere:
«Conoscete il Grapes, nel territorio libero del Savoy?»
«La locanda che è bruciata e che stanno ricostruendo?»
«Precisamente.»
In una giornata di nebbia, come accadeva spesso nei pressi del Tamigi a
sera inoltrata, il Grapes avrebbe potuto essere scambiato per quello di
sempre, essendo stato ricostruito esattamente com'era, senza il più piccolo
cambiamento, e Stephen avrebbe saputo trovare la sua camera a occhi
chiusi; ma i mattoni nuovi non avevano ancora avuto il tempo di acquisire
la patina di sudiciume londinese, mentre le finestre dei piani superiori
senza vetri conferivano al luogo un aspetto sinistro assolutamente
immeritato; e soltanto quando fu entrato nella saletta della taverna,
Stephen si sentì veramente a casa. Là tutto era sempre stato di una pulizia
immacolata e, a parte l'odore di intonaco fresco, il fatto che fosse nuovo
non faceva nessuna differenza. Stephen conosceva bene la locanda dove
aveva tenuto una camera per anni, un posto tranquillo, comodo per la
Royal Society, per le società entomologiche e per le altre istituzioni colte,

Patrick O'Brian 98 1988 - La Nave Corsara


e una locanda la cui proprietaria godeva della sua particolare stima.
In quel momento, però, la considerazione di Stephen per la signora
Broad era alquanto scossa: dai piani superiori giungeva la sua voce
acutissima e veemente. Gli strilli di una donna lo mettevano sempre a
disagio e Stephen rimase lì in piedi, con le mani allacciate dietro la
schiena, il capo chino e un'espressione d'infelicità sulla faccia; le urla
avevano prodotto evidentemente lo stesso effetto sui due vetrai che in quel
momento scendevano rapidamente le scale, rivolgendo parole di
sottomissione al torrente dietro e sopra di loro. «Sì, signora, certamente,
signora, subito, signora, senza fallo.» Giunti sulla soglia, si raddrizzarono i
cappelli di carta sulla testa, si scambiarono uno sguardo allucinato e si
allontanarono in fretta.
La signora Broad continuò a borbottare, mentre scendeva le scale:
«Bestie maligne e fannullone, tutti radicali, giacobini buoni a nulla,
gentaglia», e nel momento di entrare nella saletta la voce si fece di nuovo
acuta: «Nossignore, non possiamo servirvi, la locanda non è ancora aperta
e nemmeno lo sarà mai con quei perfidi individui... Oh, Signore Iddio, ma
è il dottore! Che Dio vi benedica, signore! Accomodatevi, vi prego». La
faccia per solito allegra si fece raggiante come sole sbucato da una scura
nube purpurea e la signora Broad allungò le braccia corte e grassocce
verso una poltrona. «E così siete a Londra, signore? Abbiamo saputo di voi
dalla gazzetta, e nelle vetrine di Gosling hanno messo manifesti e
un'immagine in trasparenza. Signore Iddio, quali avvenimenti! Spero che
non sia stato ferito nessuno... e il caro comandante? Oh, mi metterei a
piangere dalla rabbia... le finestre dei piani superiori, anche quelle della
vostra camera, avrebbero dovuto essere pronte tre settimane fa, secondo le
promesse di quei cani malvagi, tre settimane fa, e siamo ancora qui senza
niente. E la pioggia entra e rovina i pavimenti lucidati dalle ragazze: ce n'è
abbastanza da far piangere una povera donna. Ma voi siete qui senza nulla
da bere! Che cosa posso servirvi, signore, per brindare alla salute del
nuovo Grapes?»
«Per festeggiare casa e padrona di casa, berrò volentieri un goccetto di
whiskey, signora Broad», rispose Stephen.
La signora Broad tornò con l'animo rasserenato e con i bicchieri, una
torta su un vassoio, un cordiale ai mirtilli per sé - si sentiva la gola un
pochino secca - e con un pacchetto avvolto in carta velina sotto il braccio;
e, seduti ai lati del caminetto dopo il brindisi solenne del dottor Maturin, la

Patrick O'Brian 99 1988 - La Nave Corsara


signora Broad domandò con molta gentilezza se avesse avuto notizie dal
Nord.
La signora Broad e Diana avevano cercato entrambe di tenere Stephen in
buona salute, ben nutrito, con la biancheria pulita e gli abiti in ordine,
come si conveniva alla sua posizione, e nel corso della loro lunga battaglia
infruttuosa erano diventate amiche: per la verità, tra loro era nata un'intesa
fin dall'inizio. La signora Broad aveva un'idea molto chiara di come
stessero le cose tra il dottor Maturin e la moglie, ma una tacita finzione
voleva che Diana fosse andata al Nord per ragioni di salute, mentre
Stephen scorrazzava sui mari di tutto il mondo.* [* Cfr. Patrick O'Brian, Il
rovescio della medaglia, Longanesi, Milano, 2001. (N.d.T.)]
«Non ne ho, ma esiste la possibilità che io sia da quelle parti abbastanza
presto», disse Stephen.
«Io le ho avute per l'ultima festa di Nostra Signora», precisò la signora
Broad. «Un gentiluomo della legazione mi ha portato questa», disse,
scartando una bambola vestita di pelliccia. «E il biglietto diceva di riferire
al dottore che era stata ordinata per lui una mantella cerata da Swainton e
che la signora aveva dimenticato di ricordarglielo. Doveva essere
confezionata con un tessuto speciale e ormai dovrebbe essere pronta. La
pelliccia è vero zibellino», soggiunse accarezzando la bambola dai capelli
biondissimi.
«Davvero?» Stephen si alzò e si mise a guardare fuori della finestra. «Di
zibellino?» Quanto sarebbe stata più saggia una rottura definitiva con
Diana e non girare portandosi in tasca come un talismano il suo assurdo,
enorme diamante e sentirsi elettrizzato in ogni sua fibra al solo sentir
pronunciare quel nome! Stephen aveva pur amputato gambe e braccia a
sufficienza nella sua vita e non soltanto materialmente. Sul marciapiedi di
fronte vide il suo vecchio amico, il cane del macellaio, seduto sulla soglia,
che si grattava un orecchio con ammirevole perseveranza canina.
Prese un pezzo di torta e uscì. Il cane si fermò con la zampa a mezz'aria,
scrutò con occhi miopi a destra e a manca, annusò l'aria, vide Stephen e
attraversò la strada scodinzolando per andargli incontro. Stephen
accarezzò il muso che l'animale protendeva verso di lui in una specie di
grottesco sorriso, osservò il velo che la vecchiaia gli aveva steso sugli
occhi, gli batté qualche colpetto affettuoso sui fianchi massicci e gli porse
il pezzo di torta che il cane prese delicatamente tra i denti, dopodiché i due
si separarono, il cane per tornare alla bottega, dove, dopo essersi guardato

Patrick O'Brian 100 1988 - La Nave Corsara


attentamente intorno, nascose il pezzo di torta ancora intatto dietro un
mucchio di spazzatura e si sdraiò; Stephen per rientrare al Grapes dove
disse alla signora Broad: «Per quanto riguarda la mia camera, non dovete
darvi nessun pensiero. Non è per me che sono qui, ma per il mio servitore
Padeen. Domani all'ospedale Guy* [* L'ospedale Guy, tuttora esistente, fu
voluto da Thomas Guy (1645?-1724), libraio, speculatore e ricchissimo
filantropo. (N.d.T.)] devono estrargli un dente, un intervento molto brutto
e difficile, ahimè, e non vorrei lasciarlo in una corsia. Voi avete una stanza
da basso, mi pare.»
«Un dente da togliere? Oh, povera anima! Ma sicuro, c'è la stanzetta
sotto la vostra, l'hanno finita proprio ora; oppure Deb potrebbe trasferirsi
da Lucy, che forse è meglio, perché la sua camera è stata più arieggiata.»
«È un bravo giovane, signora Broad, un irlandese della contea di Clare;
ma non parla bene inglese e quel poco balbettando terribilmente: impiega
cinque minuti per tirar fuori una parola e, quando lo fa, spesso sbaglia. Ma
è mansueto come un agnello e praticamente astemio. Mi accorgo che devo
lasciarvi, ora, perché ho un appuntamento dall'altra parte del parco.»
La camminata lo portò lungo l'affollato Strand verso un'ancora più
affollata Charing Cross, dove alla confluenza di tre flussi di traffico
incalzante era caduto un cavallo da tiro, causando un ingorgo di carri, di
vetture e di carrozze intorno al quale cavalieri, portantine e veicoli leggeri
cercavano di farsi largo tra i passanti, mentre il conducente del carretto
sedeva immobile sulla testa dell'animale, in attesa che il suo aiutante
riuscisse a liberare il cavallo dai finimenti. Una folla allegra, quella che
Stephen attraversava lentamente e i curiosi intorno al ragazzo e al cavallo
non risparmiavano i consigli faceti, una folla costituita da una varietà di
tipi straordinariamente ampia e di uniformi per lo più rosse: una
tonificante ondata di vita, soprattutto per chi era sbarcato da poco sulla
terraferma. Spinte e urtoni erano però eccessivi e Stephen entrò con un
certo sollievo nel parco e di lì, passando per il Black a ritirare il suo
pacchetto, si diresse a Shepherd Market dove Sir Joseph abitava in una
casa poco appariscente, con il portoncino verde, un curioso paio di doppi
spegnitoi e un battente di metallo brunito finto oro in forma di delfino.
Stephen alzò la mano verso la coda della splendida creatura, ma, prima
che potesse toccarla, la porta si spalancò e sulla soglia comparve Sir
Joseph, la larga faccia pallida soffusa di un'emozione più viva di quanto
avrebbe mai potuto immaginare la maggior parte dei suoi colleghi.

Patrick O'Brian 101 1988 - La Nave Corsara


«Bentornato, bentornato a casa! Sono stato a spiare il vostro arrivo dalla
finestra del salotto. Entrate, mio caro Maturin, entrate!» Lo condusse nella
biblioteca al piano superiore, la stanza più piacevole della casa, dalle pareti
tappezzate di libri e di cassettiere per le collezioni entomologiche. Fece
sedere Stephen su una comoda poltrona accanto al fuoco e si sistemò di
fronte a lui, contemplandolo con rinnovato piacere fino a quando la prima
domanda di Stephen: «Quali nuove di Wray e di Ledward?» non gli ebbe
cancellato il sorriso dalla faccia.
«Sono stati visti a Parigi», rispose. «Mi vergogno di confessarvi che
sono riusciti a svignarsela. Con tutti i nostri Servizi coinvolti, mi direte,
siamo stati davvero una manica di imbecilli a farceli sfuggire, e non posso
negare che la nostra prima mossa di quella sera al Button sia stata
orribilmente condotta. Ma le cose stanno proprio così. E il coinvolgimento
di tutti i nostri Servizi d'informazioni ha aperto la porta a tutte le
possibilità, compresa naturalmente quella di mera idiozia.»
Stephen fissò Blaine per un momento: conosceva abbastanza il suo capo
da capire che Sir Joseph aveva voluto fargli intuire non soltanto la sua
mancanza di fiducia nella discrezione e nella competenza di alcuni Servizi
d'informazioni operanti nel Regno Unito, ma anche la sua convinzione che
Ledward e Wray avessero un protettore in una posizione elevata in seno
all'amministrazione. Considerando tutto ciò sottinteso tra loro, si limitò a
dire: «Comunque sia, voi siete di nuovo padrone in casa vostra, io credo.»
«Spero proprio di sì», rispose Sir Joseph, sorridendo. «Ma il Servizio era
in condizioni pessime, come sapete molto bene, e deve essere ricostituito
di sana pianta. Inoltre, per quanto la mia posizione nell'Ammiragliato sia
più solida di prima, non sono per nulla soddisfatto di alcuni nostri associati
e corrispondenti, e... No, non vi proporrò certamente nessuna missione sul
continente, per il momento. In ogni caso, le vostre osservazioni sulle
potenzialità dell'America del Sud sarebbero molto più preziose per noi.»
«Ho fatto queste domande indiscrete in parte perché interessano me
personalmente, ma in parte perché hanno a che fare direttamente con il
reinserimento nei ruoli del comandante Aubrey.»
«Jack Aubrey il Fortunato», esclamò Blaine, sorridendo di nuovo con
vivo piacere. «Perdio, si era mai vista un'impresa simile? Come avete
lasciato quel caro uomo?»
«L'ho lasciato in seno alla famiglia e molto contento per quanto riguarda
la sua tasca: ma, sapete, ciò non è nulla per lui in confronto alla possibilità

Patrick O'Brian 102 1988 - La Nave Corsara


di essere reintegrato nella marina.»
«In quanto alle procedure formali, naturalmente non potranno essere
avviate finché il tribunale non avrà condannato Wray e Ledward, e finché
Aubrey non sarà stato perdonato per ciò che non ha mai fatto... fino a
quando la sentenza non sarà stata revocata. Ma vi sono anche le procedure
informali, per così dire, e, sotto questo aspetto, Aubrey avrà tutto il mio
appoggio, ovviamente; ma anche da questo punto di vista il mio sostegno è
di scarsa importanza e, in una faccenda come questa, addirittura di
nessuna. Aubrey può contare su protezioni ben più importanti della mia;
ma altri suoi sostenitori, come il duca e qualche ammiraglio legatissimo
con i Whig, potrebbero recargli più danno che vantaggio. In quanto al
sentimento generale, un sentimento molto forte in marina e nell'opinione
pubblica, è che Jack Aubrey sia stato vittima di un'ingiustizia terribile. La
festa con cui è stato accolto il suo recente successo ne è una chiara
dimostrazione. A proposito, sapevate che il comitato non ha voluto
accettare le sue dimissioni dal club?»
«Non lo sapevo. Ma, ditemi, il suo recente successo non avrà nessuna
conseguenza... non porterà a nessun mutamento nella posizione ufficiale?
Per amor del Cielo, è stata un'impresa strepitosa davvero, come avete
osservato voi stesso.»
«Un mutamento! Oh, povero me, no. Per la mentalità ufficiale, i successi
di una nave armata per la guerra di corsa non contano per quanto riguarda
la nazione e la marina britanniche. No. È stato commesso uno sbaglio
orribile, lo sanno tutti; e quando, tra vent'anni forse, sarà passata la
generazione attuale di funzionari e naturalmente il governo attuale, è
probabile che si possa fare un gesto in questo senso. Ma, per il momento,
Wray non può essere portato davanti a un tribunale, e mi permetto di
aggiungere che sarebbe di estremo imbarazzo per il governo se così fosse,
con tutti gli scandali che verrebbero alla luce; perciò Wray non può essere
incolpato e l'unico modo in cui le autorità potrebbero salvare la faccia
sarebbe un'azione di guerra di evidente importanza nazionale che
giustificasse il perdono reale, che giustificasse una revisione, una
restaurazione. Se, per esempio, il comandante Aubrey dovesse impegnare
in combattimento una nave della marina francese o di quella americana,
una nave che potesse figurare di potenza pari o maggiore alla sua, e se
riuscisse a catturarla o fosse ferito gravemente o entrambe le cose, non
sarebbe impossibile un suo reinserimento nei ruoli di qui a un anno,

Patrick O'Brian 103 1988 - La Nave Corsara


pressappoco, piuttosto che, diciamo, alla prossima incoronazione o
addirittura alla successiva. Altrimenti sarebbe impossibile, perché, come
ho detto o come avevo intenzione di dire, la guerra di corsa ha in se stessa
la sua ricompensa. E quale ricompensa in questo caso! Signore Iddio,
Maturin, con il mercurio ai prezzi attuali, Aubrey deve essere uno degli
uomini più ricchi sul mare, per non parlare del resto del bottino. Ma a chi
ha sarà dato: ho saputo che i mercanti delle Indie Occidentali intendono
offrirgli un servizio da tavola d'argento, come ringraziamento per la cattura
della Spartan.»
«Certamente non deve più temere di essere arrestato per debiti»,
convenne Stephen, «tanto più che, non appena arrivato a casa, ha appreso
che la corte d'appello ha deciso in suo favore una causa difficilissima che
gli stava procurando molti affanni e con costi che solo il buon Dio
conosceva. Una causa intentata contro gli eredi e gli aventi diritto di un
vile farabutto, una questione legale che si trascinava da anni, fin da...»
«Signore Iddio, quale impresa!» esclamò di nuovo Sir Joseph, senza
ascoltare e contemplando il fuoco. «Ne ha parlato tutto il Servizio, ne ha
parlato tutta la città. Jack Aubrey il Fortunato che va in mare per una
crociera di prova e in un periodo di assoluta carestia, per mesi e mesi mai
nulla da catturare se non qualche piccolo bastimento costiero o qualche
trabaccolo di tanto in tanto, ed eccolo che ritorna con sette grasse prede al
suo seguito e con le stive piene da scoppiare del carico di un'ottava. Ah!
Ah! Ah! Mi fa bene al cuore pensarci.» Blaine ci pensò per un momento,
ridacchiando tra sé, poi chiese: «Ditemi, Maturin, come avete fatto a
indurre le prede della Spartan a uscire da Horta?»
«Avevo interrogato come al solito i prigionieri che parlavano francese»,
raccontò Stephen, «e, avendo scoperto che uno di loro era quartiermastro
ai segnali della Spartan, l'ho preso da parte e gli ho fatto presente che, se
mi avesse rivelato i segnali concordati, perché, come sapete, Horta è in
fondo a una baia profonda e difficile ed era assodato che le due parti
avrebbero comunicato a distanza; se me li avesse rivelati, dicevo, avrebbe
avuto la libertà e una ricompensa, mentre, se non lo avesse fatto, avrebbe
dovuto sopportare le conseguenze del suo rifiuto, conseguenze che non gli
ho specificato. Il marinaio ha riso e mi ha risposto che sarebbe stato ben
contento di compiacermi e di ottenere tanto in cambio di così poco, e con
la coscienza tranquilla per giunta, perché si trattava semplicemente del
consueto segnale di partenza accompagnato da un colpo di cannone

Patrick O'Brian 104 1988 - La Nave Corsara


sopravvento, il che certamente noi avremmo provato subito anche senza
saperlo. Ed è stato così: la goletta è entrata nella baia con un vento quasi
contrario, ha sventolato la sua bandiera, ha sparato un colpo di cannone e
le prede sono uscite al massimo della loro velocità.»
«Chissà come vi avranno rallegrato il cuore, ah, ah, ah!»
«È stato un momento di gioia, certamente, ma ci siamo rallegrati con
grande discrezione, per paura che una parola, un gesto, uno sguardo
potessero portarci sfortuna. Ci siamo mossi in punta di piedi, per così dire,
era tutto così precario e insicuro, il ghiaccio così sottile... Ogni preda ha
dovuto essere assicurata, mandando a bordo un equipaggio, così che siamo
rimasti con una folla impressionante di prigionieri furiosi e decisi, e con
pochissimi uomini per tenerli a bada, dovendo al tempo stesso pensare alle
manovre della nave. E due prede, la John Busby e la Pretty Anne, si sono
rivelate maledettamente tarde, goffe e stupide, tanto che hanno dovuto
essere rimorchiate, mentre da un momento all'altro poteva venire avvistata
la Constitution. Oh, sono stati giorni difficili, anche se il vento ci ha
favorito per la maggior parte del tempo; ma non abbiamo tirato il fiato se
non dopo aver superato la secca di Shelmerston, quando abbiamo fatto
fuoco con tutti i cannoni e finalmente siamo sbarcati.»
«Gli uomini saranno stati ben riconoscenti al comandante Aubrey.»
«Molto riconoscenti, sì. Hanno impavesato la nave e lo hanno acclamato
durante tutto il trasbordo fino alla banchina e, tranne quei pochi che ha
mandato via per saccheggio o per mala condotta, a Shelmerston è
praticamente adorato.»
«Ah, sarebbe stato acclamato anche qui, se fosse venuto a Londra»,
disse Blaine, «avvisi e manifesti a dozzine per le strade. Ne ho tenuti
alcuni per voi.»
Sir Joseph si diresse verso un mucchio di carte su un tavolino basso e
Stephen notò che nel prenderle aveva lasciato cadere un foglietto sul quale
era raffigurato un pallone aerostatico. Stephen aveva avuto in mente le
mongolfiere da quando aveva attraversato Pall Mall nel recarsi da Blaine.
Alcuni uomini stavano riparando le condutture che portavano il gas
illuminante ai lampioni e si era domandato se non fosse possibile utilizzare
quella sostanza maleodorante in luogo dell'idrogeno, più pericoloso
ancora. Stava per fare quell'osservazione, ma vide che Sir Joseph
nascondeva lestamente il foglietto, spingendolo sotto il tavolo con il piede;
gli porse allora il pacchetto e disse: «Aubrey ha preferito non venire a

Patrick O'Brian 105 1988 - La Nave Corsara


Londra, ma mi ha pregato di darvi questo, con i suoi omaggi. È il giornale
di bordo della Spartan e penso che ne ricaverete qualche informazione su
agenti francesi e americani. La Spartan ha trasportato spesso questi
signori. E nel confezionare il pacchetto vi ho unito i miei interrogatori dei
prigionieri, che non sono privi d'interesse».
«Che gesto squisito da parte del signor Aubrey», disse Blaine,
prendendo voglioso il pacchetto. «Vi prego di ringraziarlo da parte mia di
tutto cuore: e i miei ossequi rispettosi, se lo riterrete opportuno, a sua
moglie, che ricordo dal tempo di Bath, una delle fanciulle più graziose che
io abbia mai conosciuto. Scusatemi per un momento, mentre scorro il
diario di bordo per il mese di luglio dell'anno scorso, quando io credo
che...»
Sir Joseph non terminò la frase, ma di sicuro aveva in mente qualcosa di
spiacevole mentre sfogliava le pagine sotto la lampada dal paralume verde;
nel frattempo Stephen si allungò sulla poltrona, contemplando i riflessi
della fiamma sul parafuoco di ottone, sul tappeto turco e sui libri negli
scaffali, una fila dopo l'altra di volumi rilegati in marocchino sotto gli
stucchi eleganti e particolarmente leggeri del soffitto. In gioventù, Stephen
aveva visto soffitti gotici e romanici capaci di trattenere la frescura umida
durante le torridi estati catalane, e nella sua breve vita matrimoniale con
Diana, a meno di un furlong di distanza da lì, in Half Moon Street, aveva
conosciuto stucchi elaborati che s'intonavano alle piccole sedie dorate e ai
numerosi ricevimenti; ma la maggior parte della sua vita l'aveva passata in
alloggi precari, per lo più locande e navi, e non aveva mai vissuto
nell'eleganza solida, sobria, enormemente confortevole di una stanza come
quella. Perfino Melbury Lodge, la casa che aveva diviso per un certo
tempo con Jack Aubrey durante la pace, non aveva posseduto quella specie
di eleganza e Stephen stava meditando sulle condizioni necessarie a
crearla, quando la governante entrò per informare Sir Joseph che la cena
sarebbe stata in tavola di lì a cinque minuti, prego.
Una cena elegante ed enormemente confortevole, nonché relativamente
sobria: aragosta lessa, uno dei piatti preferiti di Sir Joseph, con un
bicchiere di Muscadet; animelle e asparagi accompagnati da un piacevole
bordeaux; e torta alle fragole. Durante il pasto, Stephen combatté di nuovo
la battaglia al solito modo della marina, con pezzettini di pane disposti
sulla tovaglia; una volta di più, descrisse l'esaltazione degli uomini della
Surprise nel puntare i cannocchiali e vedere le prede salpare e uscire dal

Patrick O'Brian 106 1988 - La Nave Corsara


porto di Horta, «'agnelli condotti al mattatoio', come aveva osservato
Aubrey»; e di nuovo Sir Joseph esclamò: «Signore Iddio, quale impresa!
L'argento vivo da solo avrebbe pagato la nave dieci volte. E senza nessuna
quota dell'ammiraglio! Ma mi accorgo che una specie di cupidigia e di
piacere del guadagno per interposta persona mi rende grossolano:
perdonatemi, Maturiti. E tuttavia spero che questo accesso di fortuna non
interferisca con il progetto sudamericano».
«Non sia mai. Aubrey non potrebbe vivere contento sulla terraferma, per
quanto ricco, a meno di essere reintegrato nella marina; ma anche se così
non fosse, ha dichiarato in modo molto leale di sentirsi assolutamente
impegnato con la nave per questa missione, che desidera portare a termine
comunque, e mi prega di vendergli la Surprise, una volta tornati. Il mio
assistente, il signor Martin, che forse ricorderete...»
«Il cappellano che ha scritto quello sciagurato libello sui maltrattamenti
in marina?»
«Proprio costui, e un eccellente ornitologo anche; ha espresso lo stesso
senso di obbligo, d'impegno, sebbene si sia sposato di recente e benché
oggi possieda quella che si compiace di definire una fortuna, sufficiente a
vivere confortevolmente: un gesto che ho apprezzato molto, da entrambi.»
«Ne sono certo. Caro Maturin, scusatemi se torno a essere volgare e a
parlare di denaro. So benissimo che si tratta di un soggetto improprio, ma
io lo trovo stranamente interessante e mi piacerebbe in modo particolare
sapere che cosa il signor Martin reputi una fortuna.»
«La consistenza del capitale mi sfugge, ma il mio banchiere qui a
Londra, che noi abbiamo consultato, ha assicurato che, investito nei fondi,
avrebbe reso duecentoventicinque sterline l'anno, lasciando qualche
centinaio in più per equipaggiamento e menus plaisirs.»
«Be', è più della rendita media di un curato di campagna, io credo;
certamente molto più di quanto non potrebbe mai sperare un coadiutore. E
tutto ottenuto in una spedizione privata di quindici giorni! Che Dio lo
benedica. Andando di questo passo, sarà presto arcivescovo.»
«Non credo di seguirvi del tutto, Blaine.»
«Nella gaiezza del mio animo ho parlato scherzosamente, forse troppo,
trattandosi di un ufficio sacro: ma è un fatto che il dottor Blackbourne,
arcivescovo di York al tempo di mio padre, era stato bucaniere nel golfo
del Messico. E, dopotutto, voi e il signor Martin vi troverete in quelle
stesse latitudini. Vogliamo tornare in biblioteca? Ho una bottiglia di tokai

Patrick O'Brian 107 1988 - La Nave Corsara


che vorrei farvi assaggiare, dopo il nostro caffè; e la signora Barlow ci
porterà qualche pasticcino.»
Durante la loro assenza, la signora Barlow o il possente uomo nero che
era l'unico altro servitore residente avevano riacceso il fuoco, e Stephen e
Sir Joseph, essendosi interrotto il filo della conversazione, rimasero per un
po' a contemplarlo come due gatti. Poi Stephen disse: «Sono stato
enormemente addolorato per la morte di Duhamel».
«Anch'io. Un uomo di capacità notevolissime.»
«E di grande rettitudine», aggiunse Stephen. «Non ve lo avevo detto al
momento, ma mi ha riportato il diamante che Diana era stata costretta a
lasciare a Parigi, la pietra chiamata Blue Peter.» La tirò fuori della tasca.
«Ricordo che, una sera in cui foste tanto gentili da invitarmi a Half
Moon Street, lei lo indossava come pendente. E ricordo chiaramente le
circostanze in cui venne lasciato a Parigi. Non mi aspettavo di rivederlo
più. Un gioiello magnifico: però, Maturin, non dovrebbe trovarsi nella
cassaforte di una banca?»
«Forse sì», convenne Stephen; e dopo una pausa: «Ho riflettuto a lungo
e avrei deciso, se mi fosse possibile prolungare l'esenzione
dall'arruolamento forzato, di andare in Svezia e restituire la pietra prima di
fare vela per l'America del Sud».
«Certamente», acconsentì Sir Joseph.
«Ditemi, Blaine», domandò Stephen guardandolo dritto in faccia con i
suoi occhi chiarissimi, «avete qualche notizia sulla situazione là?»
«Non ho raccolto nessuna informazione sulla signora Maturin,
assolutamente nessuna informazione a titolo professionale», rispose Blaine
non senza una certa severità. «Nessuna. Ma, a titolo non ufficiale, in
quanto comune persona sociale, naturalmente ho raccolto i soliti
pettegolezzi di Londra; e talvolta qualcosa di più.»
«Stando ai pettegolezzi, mia moglie sarebbe fuggita in Svezia con
Jagiello in conseguenza della mia infedeltà nel Mediterraneo, non è così?»
«Sì», ripose Blaine, osservandolo con grande attenzione.
«Non potete dirmi assolutamente nulla su Jagiello?»
«Posso dirvi qualcosa», disse Sir Joseph. «Dal punto di vista del
Servizio d'informazioni, è del tutto a posto: la sua influenza, come potete
immaginare, è trascurabile, ma quel poco che ha è totalmente a favore
dell'alleanza con noi. Per restare più vicini all'argomento immediato, posso
dirvi qualcosa che non ha niente a che vedere con i comuni pettegolezzi,

Patrick O'Brian 108 1988 - La Nave Corsara


qualcosa che ho saputo da una persona della legazione: pare che Jagiello
stia per sposare una giovane dama svedese. Ho anche creduto di capire,
sebbene questo non sia stato espresso direttamente e io non possa asserire
che le mie deduzioni siano corrette e potrebbero invero essere errate, ho
creduto di capire che le relazioni tra lui e la signora Maturin non fossero di
natura... non fossero come si era pensato comunemente. D'altro canto, non
credo di sbagliare molto quando dico che attualmente lei non è affatto
ricca; anche se, certamente, si possono fare ascensioni in pallone
aerostatico per puro spirito d'avventura.» Sir Joseph si diresse al tavolino,
cercò con la mano sotto di esso e tirò fuori il cartoncino che vi aveva
nascosto. L'illustrazione mostrava un pallone azzurro tra nuvole gonfie,
circondato da grandi uccelli rossastri, forse aquile; nella navicella una
donna con i capelli gialli e le guance rosse, in sella a un cavallo blu,
brandiva le bandiere inglese e svedese, ben distese: e dal testo cosparso di
punti esclamativi di ammirazione balzava alla vista il nome di Diana
Villiers, tre volte ripetuto a lettere maiuscole. Era il nome con il quale
Stephen l'aveva conosciuta e con il quale la chiamava mentalmente, perché
il loro matrimonio a bordo di una nave da guerra, senza ombra di un
sacerdote nei paraggi, non lo aveva convinto più di quanto non avesse
convinto lei.
Meditò per qualche minuto sull'immagine, sul disegno accurato delle
corde che avvolgevano il pallone e che trattenevano la navicella, sulla
figura legnosa e sulla faccia inespressiva, sulla posa rigida, teatrale: e, per
quanto assurdo fosse, vi riconobbe qualcosa di Diana. Sua moglie era una
splendida amazzone e certamente non si sarebbe mai seduta in sella così,
nemmeno su quell'incrocio blu tra un asino e un mulo, né avrebbe mai
assunto una posa tanto istrionica, tuttavia la totale improbabilità della cosa,
il simbolo del cavallo e l'assoluta disinvoltura del personaggio suggerivano
realmente un legame con lei.
«Grazie, Blaine», disse dopo un po'. «Vi sono profondamente obbligato
di questa informazione. C'è qualche altra cosa, sia pure minima, che
possiate aggiungere?»
«No. Assolutamente nulla. Ma potreste considerare abbastanza
significativa l'assenza di voci e di chiacchiere in un luogo come la Svezia
di oggi.»
Stephen annuì, osservò l'immagine ancora per qualche momento, cercò
di capire qualcosa del testo svedese. «Mi piacerebbe fare un'ascensione in

Patrick O'Brian 109 1988 - La Nave Corsara


pallone», commentò alla fine.
Blaine ribatté: «Quando ero in Francia, prima della guerra, ho assistito a
quella di Pilàtre de Rozier* [* Jean-François Pilàtre de Rozier (1756-1785)
e il marchese d'Arlandes riuscirono per primi ad ascendere con successo in
una mongolfiera senza corde di sicurezza. De Rozier morì nel 1785,
quando il pallone con il quale tentava la traversata della Manica prese
fuoco e precipitò. (N.d.T.)] e di un suo amico. Avevano due palloni, un
piccolo Mongolfier proprio sopra la navicella e al di sopra un altro più
grande, gonfiato con il gas. Si sono innalzati rapidamente, ma a tre o
quattromila piedi tutto l'insieme ha preso fuoco: Icaro non avrebbe potuto
sfracellarsi di più». Sir Joseph rimpianse quelle parole non appena le ebbe
pronunciate, ma qualsiasi tentativo di spiegarle, di mitigarne l'effetto,
avrebbe soltanto peggiorato le cose e quindi si limitò a prendere il vino e a
versarlo nei bicchieri.
Parlarono di tokai e di vino in generale sino a quando non furono a metà
bottiglia, dopodiché Stephen disse: «Avete accennato alla Svezia come a
un luogo dove corrono molte voci».
«Non sorprende che sia così, a pensarci bene: Bernadotte può, sì, essere
stato eletto principe ereditario e in seguito essersi rivoltato contro
Napoleone, ma è pur sempre un francese e i francesi non disperano di
attirarlo di nuovo dalla loro parte. Possono offrirgli la Finlandia, la
Pomerania... una quantità di terre, e hanno modo di fare leva su di lui: una
mezza dozzina di figli naturali a Pau, a Marsiglia, a Parigi. E, se ciò non
fosse sufficiente, vi è sempre la legittima famiglia reale, gli esautorati
Vasa, che possono contare su molti sostenitori e che potrebbero tentare un
coup d'état. Inoltre, il trattato di Abo è assai malvisto dagli svedesi
migliori, e naturalmente i russi e i danesi sono anch'essi direttamente
interessati, così come gli Stati tedeschi del Nord; perciò, a dispetto delle
attuali alleanze, Stoccolma è piena di agenti di ogni specie, che cercano di
influenzare Bernadotte, il suo entourage, i suoi consiglieri e i suoi vari
oppositori, effettivi o potenziali; e le loro imprese o presunte tali danno
origine a una prodigiosa quantità di chiacchiere. Non è il nostro campo,
grazie a Dio, ho visto Castlereagh curvo sotto il peso delle pratiche, ma
naturalmente veniamo a sapere parecchie cose.»
Il piccolo orologio a pendolo sul muro batté un colpo e Stephen si alzò
dalla poltrona. «Non vorrete lasciare una bottiglia a mezzo riflusso, per
così dire?» esclamò Blaine. «Vergogna! Sedetevi.»

Patrick O'Brian 110 1988 - La Nave Corsara


Stephen sedette, anche se, per quanto lo riguardava, il vino avrebbe
potuto essere cioccolata e, quando fu versato l'ultimo bicchiere, chiese:
«Volete che vi riferisca un esempio strano del potere esercitato dal
denaro?»
«Ve ne prego.»
«Il mio servitore, Padeen, che voi conoscete, soffre moltissimo per un
dente del giudizio incluso. L'intervento è al di là delle mie capacità e
quando l'ho accompagnato dal migliore cavadenti di Plymouth si è rifiutato
categoricamente di aprire la bocca; ha preferito soffrire. Invece qui a
Londra, dal signor Cullis del Guy, le cose cambiano: ecco che apre la
bocca allegramente e si fa tastare, sondare, perforare senza un lamento; e
non perché Cullis è sergente-dentista del principe reggente, cosa del tutto
priva di significato nella contea di Clare, ma perché l'operazione costerà
sette ghinee, e mezza ghinea per l'assistente. Spendere una tale somma, più
di quanto Padeen abbia mai visto in tutta la sua vita prima del colpo di
fortuna con la Surprise, non solo conferisce una certa dignità sociale, ma
deve necessariamente comportare un grado di benessere straordinario.»
«Volete dire che non vi sta aspettando da basso?» domandò Blaine, il
quale talvolta poteva essere deludente. «Volete dire che ritornerete da solo
a piedi? E per giunta con quell'assurdo diamante enorme in tasca? Non mi
è difficile credere che la compagnia di assicurazione declinerebbe ogni
responsabilità in questo caso.»
«Quale assicurazione?» «Non mi direte che non siete assicurato?» «È
possibile.»
«Tra poco mi direte anche che nemmeno la nave è assicurata.»
«Ah, esiste anche l'assicurazione marittima, è vero: ne ho sentito parlare
spesso», esclamò Stephen, colpito dall'idea. «Forse dovrei fare qualche
accordo.»
Sir Joseph alzò le mani, sconsolato, ma si limitò a dire: «Su, vi
accompagnerò fino all'angolo con Piccadilly. Vi si trovano sempre
parecchi portalanterne. Due vi scorteranno fino a casa e altri due
riaccompagneranno me». E durante il cammino, disse: «Accennando alla
possibilità che Aubrey impegni in combattimento una nave della marina da
guerra nemica di forza più o meno pari, le mie parole non erano poi così
campate per aria come avrebbe potuto sembrare. Sono in errore
supponendo che conosca particolarmente bene il porto di Saint-Martin?»
«L'ha perlustrato due volte e l'ha bloccato per un lungo periodo.»

Patrick O'Brian 111 1988 - La Nave Corsara


«Allora potrebbe esservi la possibilità... potete fermarvi in città per una
settimana?»
«Sicuro; e mi si può trovare sempre al Black. Ma in ogni caso ci
rivedremo giovedì alla cena del club della Royal Society, prima della mio
intervento. Porterò con me il signor Martin.» «Sarò molto felice di
incontrarlo.»

*
L'incontro procurò in verità molto piacere a entrambe le parti. Stephen
fece sedere Martin tra sé e Sir Joseph e i due conversarono fittamente sino
all'inizio dei brindisi. Per sua stessa ammissione, Martin non aveva
prestato ai coleotteri tutta l'attenzione dovuta, ma si dava il caso che
conoscesse abbastanza bene i costumi, se non le forme, delle famiglie
sudamericane, avendole studiate da vicino sul loro suolo nativo; e gli
insetti, specialmente gli insetti luminosi, unitamente al progetto di Blaine
per una loro classificazione sulla base di principi realmente scientifici,
costituì il loro unico argomento.
Seguì la riunione della Royal Society e Stephen lesse il suo rapporto
sull'osteologia degli uccelli marini nel suo solito borbottio sommesso, e
quando ebbe finito - e dopo che i membri che erano riusciti a udire e a
capire qualcosa si furono congratulati con lui -, Blaine lo accompagnò
nella vasta corte e, prendendolo un po' da parte, gli domandò notizie di
Padeen. «Oh, è stata una cosa tremenda», rispose Stephen, «ringrazio Dio
di non aver tentato io stesso. È stato necessario frantumare il dente ed
estrarre uno per uno i pezzetti di nervo visibili. Ha sopportato il dolore
meglio di quanto non avrei creduto, ma soffre ancora molto. Cerco di
aiutarlo meglio che posso con la tintura di laudano; e certamente fa mostra
di una notevole forza d'animo.»
«Ha avuto il corrispettivo delle sue sette ghinee, povero diavolo»,
commentò Blaine; e, cambiando completamente tono: «Parlando di
marinai, non sarebbe male se il vostro amico si tenesse pronto a partire per
un breve viaggio con un preavviso ancora più breve».
«Mi state dicendo che volete che gli mandi un messaggio espresso?»
«Purché riusciate a essere sufficientemente evasivo: potrebbe trattarsi
soltanto di una falsa interpretazione... di una semplice fandonia. Ma
sarebbe un peccato non essere preparati, se dovesse risultare vera.»

Patrick O'Brian 112 1988 - La Nave Corsara


*
Nessuno avrebbe mai potuto definire Ashgrove Cottage una residenza
invidiabile, dal momento che la costruzione bassa sorgeva su un pendio
freddo e umido, rivolto a nord, su un terreno povero e spugnoso, senza
altro accesso se non un sentiero infossato, sommerso dal fango per gran
parte dell'anno e impercorribile dopo una forte pioggia. Ma dalla cima del
pendio, presso l'osservatorio, si vedevano Portsmouth, Spithead, l'isola di
Wight, la Manica al di là e il numerosissimo naviglio; inoltre, nei periodi
di alta marea delle sue fortune, Jack Aubrey aveva piantato una grande
quantità di alberi e aveva più che raddoppiato le dimensioni della casa. La
terra spoglia dei primi giorni era ormai rivestita quasi interamente di
boschi giovani e, sebbene il cottage stesso non potesse rivaleggiare con la
nobile corte della scuderia, con la sua doppia rimessa per le carrozze e le
file di poste per i cavalli, possedeva però qualche stanza molto
confortevole. In una di queste, la saletta della prima colazione, Jack
Aubrey e Sophia erano seduti amichevolmente davanti a una caffettiera
supplementare. Pur essendo trascorsi alcuni anni da quando Sir Joseph
l'aveva vista a Bath, Sophia poteva ancora essere definita una delle giovani
donne più graziose di sua conoscenza: sebbene, infatti, la vita con un
marito in certo modo difficile, irruente ed eccessivamente ottimista, con
scarsissimo senso degli affari, un marito che poteva restare lontano da casa
per anni, facendo del suo meglio per rischiare la vita e le membra su mari
lontani, sebbene la vita con lui e l'avergli dato tre figli l'avessero messa a
dura prova e la sua radiosità fosse stata spenta dall'infame processo e dalla
conseguente disgrazia, era rimasta intatta la bellezza singolare delle forme,
degli occhi e dei capelli, mentre l'intensa attività mentale e spirituale
necessaria per tenere in piedi la casa durante l'assenza del marito e per
trattare con uomini d'affari, talvolta privi di scrupoli, aveva eliminato ogni
traccia di insulsaggine o di debolezza dai suoi tratti. Tuttavia la recente
marea sizigiale di denaro, che aveva riportato la vita nella casa - era
difficile crederlo in quel momento, ma solo poco tempo prima quella
stanza calda, luminosa, allegra, vissuta, era stata chiusa come molte altre
della casa, con le tende tirate e i mobili coperti da teli - aveva fatto anche
prodigi per la sua carnagione, simile ora a quella di una fanciulla in fiore.
Ma Sophia Aubrey non era una sciocca. Pur sapendo che, a meno di una

Patrick O'Brian 113 1988 - La Nave Corsara


sconfitta in quella guerra eterna e di un crollo dello Stato, quasi certamente
non avrebbero più avuto preoccupazioni materiali in futuro, sapeva anche
che Jack non sarebbe mai stato felice davvero, se il suo nome non fosse
stato reinserito nei ruoli della marina. Jack era abbastanza allegro in
superficie, contento di essere con lei e con i bambini, e ovviamente il
sollievo dalle preoccupazioni per le questioni legali apparentemente senza
fine aveva avuto un grande effetto su di lui; Sophia, però, era
perfettamente consapevole che il suo entusiasmo di vivere era molto,
molto minore di un tempo: un esempio tra i tanti, la scuderia ospitava
ancora soltanto due insulsi cavalli per puro scopo utilitaristico ed egli non
aveva intenzione di andare a caccia; e, per molti altri aspetti della sua vita,
Jack era per così dire con la carne viva esposta. Ricevevano molto poco e
non pranzavano quasi mai fuori di casa: ciò era in parte dovuto al fatto che
la maggior parte dei vecchi compagni di navigazione si trovava in mare,
ma ancor più perché egli rifiutava tutti gli inviti, tranne quelli dalle
persone verso cui era particolarmente in obbligo e che gli avevano
dimostrato inequivocabilmente la loro amicizia durante il processo.
Si sentiva ferito facilmente, e solo pochi giorni prima Sophia aveva
incontrato parecchie difficoltà con i rappresentanti del comitato dei
mercanti delle Indie Occidentali, i quali le avevano parlato del loro regalo
e soprattutto dello stemma e dell'iscrizione che vi sarebbe stata incisa,
perché l'argenteria si trovava già nella bottega di Storr. Sophia li aveva
pregati di omettere «un tempo della Royal Navy» e «in precedenza nave di
Sua Maestà», nonché le ripetute menzioni della parola «corsara»; ma quei
signori erano così soddisfatti della loro composizione e così fortemente
inclini a ritenere che non potesse essere migliorata che Sophia dubitava
venisse modificata.
Una squadra di marinai si mosse a passi felpati sotto la finestra per
sottoporre il salotto al trattamento navale; vale a dire, svuotarlo di tutto il
mobilio e lavare e lucidare tutto quanto per poi rimettere ogni cosa
esattamente come prima, sedie, tavoli e scaffali di libri disposti con
assoluta precisione. Dal momento che nel corso ordinario degli eventi così
facevano ogni giorno all'alloggio del loro comandante quando erano in
mare, trovavano naturale fare lo stesso al suo alloggio sulla terraferma; e,
dalla fine della loro settimana di licenza e di bagordi a Shelmerston,
avevano ridipinto tutte le parti in legno di Ashgrove e imbiancato le pietre
che fiancheggiavano il viale e i sentieri del giardino.

Patrick O'Brian 114 1988 - La Nave Corsara


Se n'erano appena andati quando un merlo cominciò a cantare su un
albero in fondo al prato. Il merlo era molto lontano, ma, nonostante tutti i
suoi inconvenienti, il cottage aveva il merito di essere un luogo
ragionevolmente quieto e quindi si udiva il canto in tutta la sua gloriosa
purezza. «Come vorrei cantare così», mormorò Jack rapito.
«Mio carissimo», protestò Sophia, stringendogli la mano, «tu canti
molto, molto meglio.»
L'uccello s'interruppe a metà gorgheggio e si udirono le grida dei
bambini che si andavano avvicinando.
«Oh, spicciati, George, specie di natica cicciuta. Muoversi, muoversi,
laggiù, mi hai sentito?» gridò Charlotte.
«Sto venendo, no? E voi dovete aspettarmi!» strillò George di rimando,
una vocetta debole per la lontananza.
«Charlotte, non devi urlare così vicino a casa. Non è educato e poi ti
sentiranno», berciò Fanny, anch'ella in un urlo da gabbie terzarolate. Un
estraneo avrebbe forse trovato la loro conversazione rozza e aggressiva,
oltre che di un volume orribilmente alto; ma i bambini erano cresciuti per
lo più con i marinai, che ad Ashgrove Cottage sostituivano la servitù, e in
genere, quando erano in libertà, usavano un linguaggio da ponte di
batteria. Le reciproche violenze verbali erano tuttavia quasi interamente
convenzionali e i piccoli erano in realtà attaccatissimi l'uno all'altro, come
apparve ovvio quando comparvero alla finestra, le due bambine con il
fratellino per mano, tutti e tre saltando di gioia.
«È arrivato! È arrivato!» gridarono, ma non all'unisono: un suono
discordante.
«È arrivato, signore. È arrivato, signora», annunciò a sua volta Killick,
spalancando la porta. Svolgeva ad Ashgrove quelle che riteneva le
mansioni di un maggiordomo; e, secondo il suo modo di pensare, un
maggiordomo aveva tutto il diritto di ridacchiare e di indicare con il
pollice al di sopra della spalla. «Sarebbe che è in un carro coperto con due
tizi con i tromboni e con il cocchiere nel cortile della scuderia, signore.
C'era anche un gentiluomo per fare il discorso, ma si è sborniato... scusate,
ha bevuto troppo a Godalming e così sono venuti da soli. Il discorso è
scritto su un foglio, comunque, perciò lo potete leggere da voi. Possono
portare qui le casse, dicono, signore?»
«No», rispose Jack. «Portatele in cucina; ma dovranno scaricare i
tromboni prima di mettere piede in casa. E offrite birra e pane, formaggio

Patrick O'Brian 115 1988 - La Nave Corsara


e prosciutto e il pasticcio di maiale. E con Bonden portate dentro le casse,
con un cacciavite e una piccola leva.»
Le casse fecero il loro ingresso, scortate dai bambini vocianti: «Oh,
papà, possiamo aprirle subito?» dal corridoio della cucina.
«George», disse suo padre, osservando le casse ben sigillate e assicurate
con bande metalliche, e con la scritta J. Aubrey, Ashgrove Cottage, Hants,
Esquire, MANEGGIARE CON CURA pitturata sul coperchio, «fa' un
salto nella camera della nonna, da bravo, e dille che è arrivato qualcosa da
Londra.»
Prima che la signora Williams potesse indossare un vestito decente,
aggiustarsi i capelli e scendere le scale con precauzione, il coperchio della
prima cassa era stato sollevato e una straordinaria quantità di paglia e di
trucioli aveva invaso tre quarti della stanza: la signora Williams lanciò un
grido di orrore e la sua voce acuta riempì la saletta della colazione. Ma
Jack Aubrey aveva raggiunto gli strati di carta velina che nascondevano il
nocciolo della questione e le sue mani stavano cercando un interstizio tra i
pacchi ben sistemati. Sophia lo osservò con trepidazione sollevare un
oggetto voluminoso, scartarlo con delicatezza, rivelandone la forma
scintillante - una zuppiera -, e porgerlo alla moglie mentre diceva in un
tono di voce che soffocò del tutto l'indignazione della suocera: «Un
momento, signora». La zuppiera, una cosa elegante in stile moderno,
pesava tanto che per poco non sfuggì di mano a Sophia; ma, afferrando
l'altro manico, lei riuscì a frenarne la caduta e ancor prima di averla
raddrizzata si rese conto che l'iscrizione era quale aveva desiderato che
fosse... Lesse ad alta voce: «All'eminentissimo e distintissimo comandante
navale, John Aubrey, Esquire, questo servizio da tavola è offerto
dall'Associazione dei mercanti delle Indie Occidentali in riconoscenza per
il suo indefettibile sostegno e protezione del Commercio della Nazione (la
sua linfa vitale) a tutte le latitudini e nelle due guerre, e in particolare
riconoscimento per la brillante cattura della Spartan, la più rapace e
pericolosa nave armata per la guerra di corsa e la più grande della sua
classe». Al di sotto dell'iscrizione stavano le parole DEBELLARE
SUPERBOS con due leoni rampanti rivolti verso di esse ai due lati.
«Davvero ben espresso!» esclamò la signora Williams. «'Linfa vitale',
molto ben espresso. Mi congratulo con voi, signor Aubrey.» Gli strinse la
mano con genuina cordialità; e, prendendo la zuppiera dalle mani della
figlia, osservò: «Peserà almeno centocinquanta once».

Patrick O'Brian 116 1988 - La Nave Corsara


«Oh, signore», gridò Charlotte, stando in punta di piedi e scrutando
dentro la cassa, «credo che ce ne sia un'altra uguale. Per favore, per favore,
posso tirarla fuori io?»
«Ma certamente, mia cara», acconsentì Jack.
«È assolutamente troppo pesante e preziosa per una bambina»,
intervenne la signora Williams, facendosi largo e sollevando dalla cassa la
seconda zuppiera, «ma potrà prendere il coperchio che vedo lì accanto.»
«Non tocca a me, ora, papà?» bisbigliò Fanny, tirandolo per la manica.
Giustizia voleva che fosse così e ben presto l'operazione si trasformò in
una specie di pesca miracolosa, ognuno frugando nella cassa a turno e
pronunciando, o perfino gridando, il nome di ogni oggetto: salsiera,
mestolo piccolo, mestolo grande, piattino, coperchio, un mostruoso centro
tavola e via di seguito fino alle decine di piatti, grandi e piccoli, finché le
superfici dei tavoli non furono sommerse e non vi fu più posto dove posare
i piedi senza calpestare paglia e trucioli, per non parlare della carta velina e
dell'ovatta da gioielliere, e finché il posto non assunse l'aspetto di
un'immaginaria tana di banditi; perché i mercanti delle Indie Occidentali
avevano fatto le cose per bene, davvero per bene.
«Occorrerà un aiuto o due per lucidarli», disse Jack a Killick, il quale
sgranava gli occhi in una specie di rapimento idiota davanti al numero di
superfici che avrebbe potuto attaccare con gesso e pelle scamosciata: come
molti marinai, il famiglio aveva una vera passione per far brillare i metalli
e, a furia di lucidarlo, aveva già ridotto il precedente servizio d'argento di
Jack a qualcosa di non molto diverso dalla carta argentata.
«Ora bisogna lavare tutto quanto con acqua calda e sapone, per via delle
mani sporche dei bambini», affermò la signora Williams, «e quando sarà
perfettamente asciutto, dovrà essere avvolto in garza e chiuso in cassaforte.
È troppo bello per poterlo usare.»
«Charlotte, ecco un cucchiaio per te, soltanto tuo», disse Jack. «Ed
eccone uno anche per Fanny.»
«Oh, grazie, signore!» esclamarono le bambine, facendo la riverenza e
arrossendo di gioia: erano gemelle e l'unisono perfetto della voce,
dell'espressione, del movimento, del rossore era particolarmente assurdo e
toccante.
«E questo è per te, George. Ti servirà quando t'imbarcherai sulla tua
prima nave.»
La signora Williams espresse la sua opinione sull'educazione navale,

Patrick O'Brian 117 1988 - La Nave Corsara


osservazioni ben note, data la frequente ripetizione sin da quando George
aveva cominciato a indossare i pantaloncini, ma Jack l'ascoltò con l'animo
distaccato.
«Mamma», disse Fanny, osservando l'iscrizione sulla prima zuppiera,
«non hai letto DEBELLARE SUPERBOS in fondo. Che cosa vuol dire?»
«È latino, mia cara, e questo è tutto ciò che so», rispose Sophia. «Dovrai
aspettare il dottor Maturin o Miss O'Mara.» Miss O'Mara, figlia di un
ufficiale ucciso ad Abukir, era la governante annunciata il cui nome
riempiva in genere di apprensione le giornate delle bambine ogni volta che
lo sentivano pronunciare; ma in quel momento Fanny quasi non se ne
accorse. «Chiederò a papà.»
«Salotto, ehilà!» gridò Dray, il cui stivale infangato (non ne aveva che
uno, l'altra gamba essendo di legno) lo teneva confinato in cucina.
«Ho!» rispose Killick con voce altrettanto possente.
«Espresso per il comandante!»
«C'è un espresso per voi, signore», annunciò Killick.
«Un espresso! Che può mai essere?» esclamò la signora Williams,
portandosi il fazzoletto alla bocca.
«Fai un salto in cucina a prenderlo, George», disse Jack.
«Il ragazzo è caduto da cavallo sul sentiero. È coperto di sangue!»
annunciò al suo ritorno George, con una certa soddisfazione. «E anche la
lettera.»
Jack si ritirò nell'ampio vano della finestra e, nella quiete prodotta dalla
sorpresa, perché un corriere espresso era un evento raro ad Ashgrove
Cottage, udì la suocera bisbigliare a Sophia: «Che orribile presagio! Spero
tanto che non sia per dire che la banca del signor Aubrey è fallita. Sangue
sulla lettera! Sì, sono sicura che la banca del signor Aubrey è fallita.
Nessuna è più sicura oggigiorno, fanno bancarotta a destra e a manca».
Jack rimase in piedi a riflettere per qualche momento. Era vero che si
stava già lavorando a quel poco raddobbo di cui necessitava la Surprise, e
se il bravo, affidabile, sicuro Tom Pullings fosse stato a bordo, era certo di
trovarla pronta a prendere il mare in poche ore. Tuttavia Tom non si
sarebbe presentato prima di martedì e, sebbene Davidge e West fossero
ufficiali capaci ed esperti, non li conosceva ancora bene e non poteva
fidarsi soltanto del loro giudizio quando si trattava di preparare la nave a
un'azione: perché Stephen non avrebbe parlato di una breve missione né di
un preavviso ancora più breve, se non vi fosse stata la probabilità di un

Patrick O'Brian 118 1988 - La Nave Corsara


combattimento.
Mentre soppesava le possibilità, divenne consapevole che il suo silenzio
e i bisbigli della signora Williams stavano gettando un'ombra sulla
riunione; i bambini avevano assunto un'aria solenne. «Sophia», disse,
infilandosi il biglietto in tasca, «credo che domattina andrò a dare
un'occhiata alla nave, invece di aspettare fino a martedì. Ma nel frattempo
portiamo tutta questa argenteria in sala da pranzo e apparecchiamo la
tavola come per un banchetto.»
Con due prolunghe, la tavola da pranzo poteva accogliere comodamente
quattordici persone e quelle quattordici persone richiedevano un'enorme
quantità di argenteria. Benché il servizio fosse più panciuto, riccioluto e
complicato di quello che Jack o Sophia avrebbero mai scelto, perfino
apparecchiata a metà la tavola era uno spettacolo leggermente ostentato
eppur grandioso, in particolare perché le tende erano state tirate e le
candele accese per accrescere lo scintillio; e i bambini stavano ancora
andando avanti e indietro come formiche, estasiati, quando udirono il
rumore di una carrozza e, scrutando attraverso le tende, scorsero un tiro a
quattro.
Stephen scese dalla carrozza, curvo e anchilosato per il lungo viaggio,
seguito da Padeen con una borsa: i bambini gridarono con quanto fiato
avevano in gola che il dottor Maturin era arrivato in un tiro a quattro e uno
dei cavalli era coperto di schiuma e Padeen aveva ancora la faccia bendata,
dopodiché si precipitarono fuori, sovreccitati.
«Stephen!» gridò Jack, scendendo di corsa le scale. «Come sono
contento di vederti! Non avresti potuto scegliere un momento migliore:
stiamo per dare un banchetto. Padeen, state meglio, spero? Killick vi
aiuterà a portare i bagagli del dottore nella sua camera.»
La vettura a nolo si allontanò per fermarsi al Goat and Compasses fino
all'arrivo degli ordini per il postiglione e Stephen entrò in casa, baciò
Sophia e le due faccine protese verso di lui e scambiò un inchino con
George. «Sono felice di trovarti qui», disse a Jack nell'ingresso, «temevo
che tu ti fossi precipitato a Shelmerston ieri o addirittura l'altro ieri.»
«Ho ricevuto il tuo espresso solo un'ora fa.»
«Buon pomeriggio a voi, signora», disse Stephen, inchinandosi alla
signora Williams nel salotto. «Credereste mai a una cosa simile? Ho
spedito un corriere espresso dalla città di Londra, non da un remoto
Ballymahon o da un Cambridge-sulla-Palude, da Londra due giorni fa, ed

Patrick O'Brian 119 1988 - La Nave Corsara


ecco che arriva soltanto due ore prima di me. Una sterlina, sedici scellini e
otto pence di pura perdita, per non parlare della mezza corona di mancia al
ragazzo.»
«Oh, non faccio nessuna fatica a crederlo, signore», esclamò la signora
Williams. «Fa tutto parte del disegno del governo per rovinare il nostro
Paese. Siamo in mano a gente malvagia, signore. Malvagia.»
«Ho un cucchiaio d'argento solo per me», lo informò George sorridendo.
«Volete vederlo?»
«Sophia», disse Jack, «è un'occasione meravigliosa per battezzare il
nuovo servizio. Stephen non ha pranzato. Noi non abbiamo pranzato. La
tavola è pronta per una stramaledetta ispezione di un ammiraglio. Non
potremmo preparare uno o due piatti semplici... è avanzata la testina di
maiale in salamoia, lo so... e pranzare in gloria?»
«Ma certamente, mio caro», rispose Sophia senza la minima esitazione.
«Datemi un'ora di tempo e ci sarà perlomeno qualcosa sotto ogni
coperchio.»
«Nel frattempo, Stephen, andiamo nella sala da fumo a berci un
bicchiere di madera: oso dire che non ti dispiacerebbe un sigaro dopo il
viaggio.» Nella sala da fumo osservò: «Il tuo Padeen ha l'aria di essere
stato in guerra. L'operazione è stata molto dolorosa?»
«Sì. È stata dolorosissima e lunga. Ma quei lividi e quelle scorticature se
le è fatte al Black in una rissa. Nella stanza dove si ritrovano i servitori, tre
uomini lo hanno preso in giro per la benda sulla faccia: suo padre era un
somaro o un coniglio? Li ha letteralmente distrutti. A uno ha rotto una
gamba: tibia e perone, una frattura composta; il secondo lo ha scaraventato
nel camino, uno di quei vecchi camini grandi, e ce lo ha tenuto per un po',
e ha inseguito il terzo finché il poveretto non è saltato dentro il laghetto del
parco di St. James, dove Padeen non si è tuffato per non sciupare il
bell'abito nero. Per fortuna alcuni membri del club sono magistrati del
Middlesex e ho potuto portarlo via.»
«Non è prudente mettersi contro di lui. È la specie di agnello che giace
con il leone in abiti da lupo. Ho visto come si è battuto sulla Spartan.»
«Proprio così.» Stephen si avvicinò al caminetto, accese il sigaro e disse:
«Ascoltami, Jack: abbiamo la possibilità di una vera azione navale, vale a
dire attaccare una fregata della marina francese. Mi si assicura che un
successo e perfino una sconfitta onorevole in un tale scontro potrebbero
avere un effetto favorevole su un tuo eventuale reinserimento nei ruoli».

Patrick O'Brian 120 1988 - La Nave Corsara


«Perdio, darei il mio braccio destro per questo!»
«Prego, non dire una cosa del genere, amico mio, sarebbe tentare la
sorte», lo ammonì Stephen. «Il mio amico naturalmente non può garantire
nulla, ma è un fatto che, per la mentalità ufficiale, un combattimento
contro una nave da guerra di una marina nazionale conta, laddove una
battaglia altrettanto dura contro una nave da guerra privata non conta. Ora,
molto succintamente, la situazione è questa: tra le navi alla fonda a Saint-
Martin si trova una fregata nuova, la Diane, da trenta cannoni. È stata
progettata e attrezzata in particolare per una missione non dissimile dalla
nostra nell'America del Sud, in Cile e in Perù, e forse nei mari del Sud, per
attaccare le nostre baleniere laggiù. Le sue scorte sono già quasi tutte a
bordo, così come i rappresentanti francesi più o meno ufficiali; e dovrà
salpare con la stanca di marea la notte del tredici, con la luna nuova, in
modo da essere fuori della Manica prima dell'alba. La Diane e qualche
altra nave sono state bloccate a Saint-Martin per un certo tempo da una
piccola squadra costiera che includeva la Nymph, perfettamente in grado di
misurarsi con lei e con gli eventuali brigantini o le barche cannoniere che
fossero accorsi in suo aiuto. Tuttavia le esigenze della situazione attuale
sono tali che durante questo periodo critico né la Nymph, né la Bacchante
che spesso l'accompagna possono essere distolte da un'operazione più
importante in altro luogo, e la squadra è ridotta alla Tartarus e alla
decrepita Dolphin. Si cercherà di occultare questa deficienza con la nave
da carico Carnei e con un altro bastimento, ma il nemico è al corrente
delle nostre mosse e intende mettere in atto il suo piano. Al mio amico è
perciò venuto in mente che un intervento della Surprise potrebbe essere
benefico per tutti.»
«Perdio, Stephen», esclamò Jack, «non avresti potuto portarmi una
notizia più bella! Posso dirlo a Sophia?»
«Nossignore, non puoi; né a lei, né a nessun altro finché non saremo in
mare o sul punto di piantare l'ancora... voglio dire, di issare il boma. Ora,
Jack, stammi a sentire, vuoi? Mi sono preso la responsabilità di dare il tuo
consenso...»
«E bene hai fatto, ah, ah, ah!»
«... all'operazione, alla tentata operazione e alla sua veste ufficiale in
certo modo tortuosa. Noi abbiamo concesso o noleggiato la nave alla
corona e l'Ammiragliato ha fornito un documento che ci permetterà di
risolvere gli eventuali problemi che si presentassero nel caso qualche

Patrick O'Brian 121 1988 - La Nave Corsara


ufficiale in servizio attivo si rivelasse difficile o legalistico. Dal momento
che l'ufficiale con maggiore anzianità presente sul luogo è il caro William
Babbington, la probabilità di un disaccordo sembra abbastanza remota; ma
è sempre bene avere quel documento, che potrebbe rivelarsi la copertura o
protezione migliore anche per la nostra missione in America del Sud.
Comincia con: 'Dai Lord Commissari per l'esecuzione delle funzioni di
Primo Lord dell'Ammiragliato della Gran Bretagna, eccetera' ed è
indirizzato agli: 'Ufficiali superiori, ai Capitani, ai Comandanti delle navi
di Sua Maestà ai quali sarà esibito'. Poi il testo continua: 'Avendo noi
istruito John Aubrey, Esquire, a procedere con la nave noleggiata a Sua
Maestà, la Surprise, in una particolare missione, Vi si richiede e istruisce
con il presente atto di non esigere da lui la visione degli ordini che ha
ricevuto da noi in merito allo svolgimento di detta missione, né per
qualsiasi motivo di trattenerlo, ma al contrario di offrirgli ogni assistenza
di cui possa avere necessità, alfine di metterlo nelle condizioni di eseguire
la missione che gli è stata affidata'. È firmato da Melville e da altri due
Lord dell'Ammiragliato e, su loro ordine, da quel nero farabutto di Croker.
E, come vedi, è datato e timbrato.»
Jack prese il documento con la reverenza dovuta a una sostanza
infinitamente più sacra: gli salirono le lacrime agli occhi e Stephen,
sapendo quanto gli inglesi fossero inclini a far mostra di emozioni
imbarazzanti, si affrettò a dire in tono aspro: «Devo dirti, però, che la
Diane è comandata da un ufficiale di capacità eccezionali, il fratello di
quel Jean-Jacques Lucas che ha combattuto così nobilmente con la
Redoutable a Trafalgar. Gli è stato concesso di scegliersi il suo equipaggio
e ha addestrato gli uomini con i metodi del fratello; la loro agilità nel
cambiare le vele e simili ha stupito gli osservatori qualificati e ancor più lo
hanno fatto la rapidità e la precisione del loro fuoco con le armi leggere e
con i cannoni. È probabile che la nave abbia a bordo qualche civile nonché
i suoi documenti, e sarebbe un vero colpo maestro se potessimo prenderli
intatti. Ora, hai una carta, una mappa, perché possiamo immergerci nello
studio di quei luoghi?»
«Ho la carta che ho disegnato io», rispose Jack, «la seconda. Vogliamo
andare in quella che io chiamo assurdamente biblioteca? Porta il bicchiere
con te.»
Jack Aubrey era singolarmente ordinato e metodico in questioni del
genere e, dopo due minuti, aveva spiegato sul tavolo una carta leggermente

Patrick O'Brian 122 1988 - La Nave Corsara


ingiallita, osservando che l'aveva disegnata nel '97, con l'aiuto del signor
Donaldson, il nocchiere della Bellerophon, il miglior idrografo della
marina britannica: da allora la declinazione magnetica era variata di
trentun secondi a est e sarebbe stato necessario rivedere alcuni dati delle
profondità, ma Jack si sarebbe sentito di portare la nave a Saint-Martin e
ormeggiarla sotto le batterie senza l'aiuto di un pilota.
La carta mostrava un porto stretto e profondo, largo meno di un quarto
di miglio all'imboccatura e profondo due miglia, con una batteria da sei
cannoni sul fondo, l'ingresso reso più stretto da un frangiflutti. Entrambe le
coste erano piuttosto alte, ma quella a sud, che si protendeva in un
promontorio elevato sul quale sorgeva un faro, era molto più alta tranne
dove si univa alla terraferma e, in quel punto, l'istmo basso era protetto da
considerevoli fortificazioni. La cittadina si stendeva sulla maggior parte
del promontorio a est del faro e sull'altro lato del porto; le navi da guerra
erano ormeggiate lungo una bella banchina di pietra sul lato sud; i
mercantili, in genere, ma non sempre, si trovavano sul lato opposto,
mentre il piccolo naviglio e le barche da pesca si tenevano sul fondo. La
cittadina poteva contare quattro o cinquemila abitanti e aveva una
guarnigione e tre chiese. E naturalmente i ben noti arsenali e magazzini.
«Qui», disse Jack, indicando l'istmo, «siamo sbarcati all'inizio della
guerra e li abbiamo presi alle spalle, incendiando gli arsenali e una nave da
ventun cannoni in costruzione. Signore Iddio, che fiammata! Catrame,
pittura, legni e tela da vele: bruciava tutto quanto, ruggiva nel vento forte
da sud... ci si vedeva abbastanza da leggere, chiaro come il giorno. Fu
dopo quell'impresa che piazzarono questa batteria. Come vedi, i banchi di
sabbia rendono difficile entrare e uscire per una nave di pescaggio pari a
quello di una fregata e, dal momento che la Diane non vuole ritrovarsi in
mezzo alla squadra che incrocia al largo a nord e dal momento che deve
fare subito rotta a sud-ovest, dovrà uscire con la bassa marea, così. E qui»,
disse indicando l'altro lato del capo, «dobbiamo attenderla, con tutte le luci
spente. Noi lo chiamiamo capo Balena.» Continuò con qualche
osservazione sui venti che avrebbero dovuto aspettarsi, sulle maree e
sull'effetto del vento su di esse.

Patrick O'Brian 123 1988 - La Nave Corsara


Alla fine, quando Stephen ebbe ben chiari in mente il porto i suoi
paraggi e le alture circostanti Jack ripose la carta e rimase in piedi a
guardare dalla finestra il pendio che saliva fino al piccolo osservatorio
astronomico, con la sua cupola di rame. Aveva scoperto che 1 opinione dei
suoi figli aveva per lui un'importanza enorme: il piacere di esibire per loro
l'argenteria dei mercanti delle Indie Occidentali era stato molto più grande,
di un peso assai più ragguardevole di quanto non avrebbe mai immaginato
prima di sperimentarlo. Loro sapevano qualcosa di ciò che era successo al
loro padre, ma quanto sapessero e che cosa ne pensassero, non sarebbe

Patrick O'Brian 124 1988 - La Nave Corsara


stato in grado di dire; non fosse che per quel motivo, tuttavia, sapeva che
sarebbe valsa la pena di perdere il braccio destro pur di essere reinserito
nei ruoli della marina, soltanto il pensiero gli faceva girare la testa. Stava
per accennare alle sue riflessioni in modo generale, impersonale, quando
Killick, nella sua tenuta da cerimonia, aprì la porta e annunciò: «Pranzo
servito, signore, prego».
La signora Williams non era dotata di grande intuito, ma rimase
stupefatta come sua figlia nel vedere la faccia di Jack alle spalle di Stephen
e bisbigliò: «Se Killick non terrà la bottiglia lontana dal signor Aubrey,
temo che questa sera dovremo lasciare molto presto i signori da soli».

CAPITOLO V
A Jack Aubrey non era mai piaciuta l'abitudine, per nulla insolita nella
marina, di salire a bordo senza avvertire, per cogliere di sorpresa la gente
della nave; ma ora, non avendo a portata di mano né scialuppa, né
timoniere, non aveva scelta. E ne fu contento, perché, mentre un battellino
di Shelmerston stava trasportando lui e Stephen, vide che la Surprise era
un modello di industriosità del tutto veritiero. Impalcature erano state
sistemate lungo le murate; l'ultima traccia di pittura celeste era svanita
sotto una bella mano di bianco; il signor Bulkeley e i suoi aiutanti si
arrampicavano sulle sartie come enormi ragni, rinnovando le fasciature e
fissando un rivestimento di cuoio rosso sugli stroppi più grandi, un tocco
molto grazioso; e, sebbene il suo assetto non fosse quello che avrebbe
desiderato - la nave era leggermente appruata -, era evidente che l'acquata
era praticamente completa. L'acqua di Shelmerston era la migliore a sud
del Tamigi per le lunghe spedizioni in Paesi lontani, ma non era facilmente
reperibile ed evidentemente, durante la sua assenza, gli uomini della
Surprise avevano dovuto fare un andirivieni faticoso con le scialuppe.
Mentre contemplava la nave, Jack ascoltava distrattamente il barcaiolo,
il cui figlio, come molti altri nella cittadina, avrebbe desiderato molto
imbarcarsi con il comandante Aubrey: era un marinaio provetto, aveva
fatto tre traversate fino a Canton e una fino a Botany Bay, era stato
classificato abile fin dalla prima, e aveva una mano come ce n'erano poche
con il violino; non beveva e non era per nulla litigioso, tranne che sul
ponte di una nave nemica; Chiesa d'Inghilterra e, con grande enfasi,

Patrick O'Brian 125 1988 - La Nave Corsara


sempre obbediente agli ordini.
«Ay», disse Jack, «sono sicuro che sia un bravo giovane. Tuttavia
l'equipaggio è già al completo, sapete. Quando arriverà il resto del denaro
delle prede, però, e quando sarà stato distribuito, potrebbe esserci qualche
posto vuoto: credo che alcuni uomini abbiano intenzione di mettersi in
proprio o di comprare una taverna.»
«Ma quei poco di buono che avete mandato via, vostro onore?»
«Che Dio vi benedica, sono stati rimpiazzati quella stessa sera. No.
Mandate il vostro ragazzo da me o dal comandante Pullings quando sarà
stato sistemato tutto quanto, tra una quindicina di giorni, e gli daremo
un'occhiata. Come si chiama?»
«Abel Hayes, signore, prego. Abel. Non Set», insistette il barcaiolo, con
uno sguardo particolarmente significativo: significato che andò
completamente perduto per Jack, il quale disse: «Fatemi fare il giro della
nave, per favore, prima di affiancarvi».
La barca passò sotto la poppa della fregata a una gomena di distanza
circa e avanzò lungo l'immacolata murata di dritta: immacolata tranne per
il nome Set pitturato con grande precisione sulla banda bianca a metà
nave, tra i portelli neri dei cannoni numero dodici e quattordici. Jack non
aprì bocca, ma la sua faccia, che durante il viaggio fino a Shelmerston
aveva riacquistato qualcosa della gaiezza rosea di un tempo, s'indurì,
ridiventando grigia e priva di allegria. «Ai parasartie di sinistra», disse
dopo una pausa: e giunto, s'inerpicò su per la murata fino al cassero che
salutò secondo l'usanza, avendo avuto ogni cassero un crocefisso fino a
trecento anni prima e anche meno: il saluto fu ricambiato da Davidge, da
West e da Martin, il quale era salito a bordo di sabato, per evitare il
viaggio di domenica, cosa che non aveva disturbato né Jack né Stephen.
Vestiti tutti e tre molto meglio di quando si erano imbarcati sulla Surprise
la prima volta, erano chiaramente assai più prosperi; eppure avevano
un'espressione ansiosa, preoccupata. «Buonasera, signori», li salutò Jack.
«Vado sottocoperta, signor Davidge, e sarò lieto di avere il vostro rapporto
tra cinque minuti.»
Nella cabina lo aspettavano parecchie lettere e molti messaggi, per la
maggior parte di uomini che volevano essere presi a bordo, ma altri erano
congratulazioni e auguri di vecchi compagni di navigazione, alcuni
provenienti fin dall'ospedale di Greenwich. Stava ancora leggendo uno di
questi, quando Davidge entrò, dicendo: «Signore, sono veramente desolato

Patrick O'Brian 126 1988 - La Nave Corsara


di riferire su un ammutinamento a bordo».
«Un ammutinamento, eh? Ma dall'aspetto della nave presumo che non
sia generale.» Mentre saliva a bordo aveva in realtà notato l'assenza di voci
allegre e di risate e la presenza di occhiate cupe e piene di apprensione; ma
nulla che assomigliasse a un atteggiamento ribelle. Da adulto e da ragazzo
aveva conosciuto personalmente parecchi ammutinamenti, per non parlare
della grande ribellione dello Spithead e del Nore, e aveva saputo di molti
altri, essendo gli ammutinamenti sorprendentemente comuni nella marina
britannica; mai però a bordo di una nave prospera e in attività, con
abbondanza di permessi a terra e disponibilità di tutte le delizie che il
denaro poteva comprare. «Chi sono gli uomini implicati?»
«Slade, i fratelli Brampton, Mould, Hinckley, Auden e Vaggers,
signore.»
«Oh, povero me.» Si trattava di alcuni tra i migliori uomini di
Shelmerston, due di loro quartiermastri, uno aiuto cannoniere e gli altri
tutti marinai capacissimi, tranquilli, solidi: gente scelta. «Sedetevi, signor
Davidge, e fatemi un breve resoconto della faccenda.»
Davidge risultò tuttavia incapace di fare un breve resoconto che fosse
anche conseguente, coerente e completo; la sua mente non funzionava
così. Pur essendo un ufficiale competente, che non avrebbe esitato un
secondo nel dare una serie di comandi rapidi per affrontare una situazione
pericolosa con il brutto tempo e in prossimità di una costa sottovento, si
smarrì miseramente nel racconto e Jack non si sentì affatto sicuro di aver
afferrato il quadro d'insieme, quando le ripetizioni e le parentesi di
Davidge furono giunte a una conclusione imbarazzata. Ciò che credette di
capire fu che la domenica mattina i sette uomini, tutti adoratori di Set
(«Chi sono gli adoratori di Set, signor Davidge?» «Oh, una specie di
metodisti o Ranters,* [* La setta dei «Ranters», nata nella seconda metà
del XVII secolo, analogamente ai seguaci di Lodowick Muggleton [vd.
nota a p. 151], metteva in discussione ogni forma di autorità religiosa e si
basava sulla coscienza individuale. (N.d.T.)] credo, signore; non ho
chiesto.»), tutti di Old Shelmerston, un paese dell'interno, erano andati alla
loro riunione. Poi avevano pranzato a terra e, tornando alla nave, qualcuno
di loro o tutti quanti erano scesi sull'impalcatura di dritta e avevano dipinto
la parola offensiva.
Davidge non se n'era accorto subito, perché il quadrato aveva invitato a
cena la signora Martin, alla sua prima visita alla nave; ma, facendo ritorno

Patrick O'Brian 127 1988 - La Nave Corsara


alla nave dopo aver accompagnato i Martin a terra, naturalmente aveva
visto la scritta, visibile a grande distanza dato che la fregata si era girata
con il cambiamento della marea, e aveva immediatamente ordinato di
cancellarla. Sembrava che nessuno sapesse niente e nessuno sembrava
disposto a raschiare la scritta o a passarvi sopra la pittura; scuse a non
finire: i pennelli erano stati puliti, gli abiti migliori della domenica,
stavano andando alla latrina, mal di pancia per aver mangiato gran chi.
Alla fine Auden aveva ammesso di aver dipinto quel nome, ma si era
rifiutato di cancellarlo, non poteva farlo par ragioni di coscienza, aveva
detto, e gli altri sei lo avevano appoggiato. Non era stato violento, né
aveva usato un linguaggio sconveniente e nemmeno era palesemente
ubriaco, tuttavia aveva affermato, e i suoi compagni con lui, che, se
qualcuno avesse cercato di cancellare quel nome, la sua prima pennellata
sarebbe stata anche l'ultima. Davidge e West non avevano avuto nessun
appoggio dal nostromo, dal capocannoniere o dal carpentiere e ancor meno
dai marinai, i quali, pure non dimostrandosi in nessun modo riottosi,
avevano affermato che non avrebbero fatto nulla che potesse portare
sfortuna alla nave. Per tema di peggiorare ulteriormente le cose, Davidge
non aveva dato perciò nessun ordine esplicito, inequivocabile: né, non
essendovi naturalmente i fanti di marina a bordo, aveva fatto mettere ai
ferri i sette. Dal momento che non si potevano applicare gli Articoli di
Guerra e dal momento che la nave non era in navigazione, sia Davidge sia
West erano stati incerti sul partito da prendere. Davidge aveva però
sospeso quegli uomini dai loro doveri in attesa dell'arrivo del comandante
e aveva proibito loro di salire in coperta. Forse avrebbe dovuto rispedirli
subito a terra; se aveva sbagliato, ne era sinceramente dispiaciuto, ma
faceva appello all'imparzialità del comandante Aubrey.
«Avete consultato il signor Martin?» domandò Jack.
«No, signore. È tornato a bordo solo pochi minuti prima di voi.»
«Capisco. Be', ritengo che abbiate agito piuttosto bene in una situazione
difficile. Prego, domandate ai dottori se possono dedicarmi un momento.»
Durante la breve attesa, varie possibilità gli attraversarono la mente, ma gli
argomenti pro e contro si bilanciavano ancora quando la porta della cabina
si aprì. «Signor Martin», disse, «senza dubbio avete saputo del problema
attuale. Per cortesia, ditemi tutto ciò che sapete su questa setta. Io non ne
avevo mai sentito parlare.»
«Be', signore, discendono dalla setta gnostica di Valentino, ma la

Patrick O'Brian 128 1988 - La Nave Corsara


discendenza è così lunga, remota e oscura che non avrebbe senso tentare di
ricostruirla. Nella loro forma attuale sono piccole comunità indipendenti
senza, io credo, nessun organo di governo; ma è difficile esserne sicuri, dal
momento che sono stati così a lungo perseguitati come eretici che hanno
un naturale riserbo; e quasi un'aria di società segreta. Credono che Caino e
Abele siano stati posti in essere dagli angeli, mentre Set, il quale, come
ricorderete, era nato dopo l'assassinio di Abele, sarebbe pura creazione
dell'Altissimo, e non soltanto l'antenato di Abramo e di tutti i viventi, ma il
prototipo di Nostro Signore. Hanno per lui una venerazione grandissima e
credono che si prenda una cura particolare dei suoi fedeli. Degli angeli,
però, hanno una scarsa opinione, sostenendo che a causa delle loro, come
dire, delle loro impurità naturali, abbiano provocato il diluvio universale
che avrebbe dovuto far scomparire tutti i loro discendenti, ma alcuni sono
riusciti a entrare nell'arca e sarebbero questi, non Set, gli antenati dei
malvagi.»
«È strano che non ne abbia mai sentito parlare. Vanno spesso per
mare?»
«Immagino di no. La maggior parte dei pochi che mi è capitato
d'incontrare e dei quali ho saputo qualcosa viveva in piccoli gruppi sparsi
in remote regioni interne dell'Ovest. Qualche volta incidono il nome di Set
sulle loro case, e si dividono in due scuole, ostili l'una all'altra, la vecchia
scuola che scrive la S alla rovescia e la nuova che la scrive come noi. A
parte questo e una certa riluttanza a pagare le decime, hanno fama di essere
molto uniti tra loro e onesti, sobri e affidabili, un poco come i quaccheri.
Ma, a differenza dei quaccheri, non sono contro la guerra.»
«Ma sono cristiani, non è vero?»
«In quanto a questo, tra gli gnostici ve ne sono alcuni che stupirebbero
san Pietro», rispose Martin, guardando Stephen.
«Gli gnostici di Valentino furono abbastanza buoni da affermare che i
cristiani potevano essere salvati», osservò Stephen. «Forse potremmo
restituire il complimento.»
«In ogni caso», continuò Martin, «questa gente ha lasciato la gnosi di
Valentino a una distanza infinita: del tutto dimenticata. I loro libri sacri
sono gli stessi nostri. Credo che possiamo certamente definirli cristiani,
anche se eterodossi su alcuni punti della dottrina.»
«Sono contento di sentirlo; e vi sono obbligato, signore, per tutto ciò che
mi avete spiegato», lo ringraziò Jack. «Maturin, nessuna osservazione da

Patrick O'Brian 129 1988 - La Nave Corsara


fare?»
«Nemmeno una parola. Non sta a me insegnare la teologia a Martin, un
dottore in religione.»
«Allora facciamo un giro in coperta e poi parlerò a questi adoratori di
Set.»
Fece il suo giro nella sera dolcissima; ma non aveva ancora scelto una
chiara linea di condotta al suo ritorno nella cabina, quando mandò a
chiamare gli ammutinati. Nelle relazioni umane non era un Machiavelli e
fu con assoluta sincerità che disse loro: «Abbiamo un bel problema
davvero, parola mia. Che cosa diavolo... che cosa, in nome del Cielo, vi ha
spinto a scrivere il nome di Set sulla murata?»
I sette uomini rimasero fermi in piedi, allineati con precisione sulla tela
a scacchi che copriva il pagliolo; avevano la luce dell'ampia vetrata di
poppa in pieno viso e Jack, in piedi di fronte a loro, li vedeva con la
massima chiarezza: uomini seri, solidi, in ansia per l'occasione e forse un
po' allarmati, ma niente affatto astiosi e ancor meno ostili. «Suvvia», li
incitò. «Slade, voi siete il più anziano. Ditemi com'è successo.»
Slade guardò a destra e a sinistra i suoi compagni, che annuirono tutti, e
parlò, con il suo accento strascicato dell'Ovest: «Be', signore, noi siamo di
quelli che sono chiamati setiani».
«Sì, il signor Martin me ne ha appena parlato: una rispettabile comunità
cristiana.»
«Proprio così, signore. E domenica siamo andati alla nostra riunione a
Old Shelmerston...»
«Subito dopo il fabbro ferraio», spiegò il più sempliciotto dei fratelli
Brampton.
«... e là ci è venuto in mente che Set...» - e nel sentir pronunciare quel
nome tutti e sette alzarono il pollice verso l'alto e di lato - «... era stato
parecchio buono con noi nell'ultima spedizione.»
«Giusto, giusto», dissero i suoi compagni.
«E, mentre mangiavamo da William, abbiamo pensato che da secoli e
secoli la nostra gente ha sempre messo il suo nome sulle case, per via di
una benedizione particolare, sarebbe quello che chiamiamo testimonianza
di ringraziamento. E così, quando siamo ritornati a bordo, lo abbiamo
messo sulla nave.»
«Capisco. Ma quando vi è stato detto di toglierlo, non lo avete fatto.»
«No, signore. Per noi quel nome è sacro. Non può mai essere toccato.

Patrick O'Brian 130 1988 - La Nave Corsara


Non c'è nessuno di noi disposto a metterci mano.»
«Giusto!» esclamarono gli altri.
«Capisco il vostro punto di vista», disse Jack. «Ma certamente non
avrete mangiato senza bere nulla e, con i soldi in tasca, è logico che non vi
siate accontentati di acqua o di siero di latte: che cosa avete bevuto
esattamente?»
La loro spiegazione, di una scrupolosità religiosa in questo caso, diede
come risultato poco più di un quarto di birra o di sidro ciascuno, tranne
Slade e Auden che si erano divisi una bottiglia di vino.
«Una quantità abbastanza moderata, in tutta coscienza», commentò Jack.
«Eppure è sorprendente quello che possono farci due bicchieri di vino
senza che ce ne accorgiamo. Se non aveste bevuto, avreste ricordato che la
Surprise è una nave da guerra privata e che perciò deve poter passare
inosservata e ingannare il nemico. Ma come potrebbe passare inosservata e
ingannare il nemico con quel nome così visibile a metà nave? E poi ogni
cristiano sa che non deve fare agli altri quello che non vorrebbe fosse fatto
a se stesso. Voi avete un centinaio di compagni e anche più a bordo: è
giusto che siano privati della possibilità di guadagnare il denaro delle
prede per via della vostra particolare usanza? Chiaramente non è giusto e
nemmeno onesto o corretto. Il nome deve sparire. No, no», continuò,
vedendo le espressioni abbattute e testarde, «non intendo dire che deve
essere raschiato e nemmeno coperto dalla pittura e neanche toccato. Lo
copriremo con un bel pezzo di tela da vele come abbiamo fatto quando
eravamo sulla rotta per Sào Miguel: poi, forse, daremo una mano di pittura
sulla vela per proteggerla in caso di cattivo tempo; ma il nome rimarrà e
rimarrà anche la sua buona influenza. Dopotutto, la sua buona influenza
c'era anche quando eravamo pitturati di celeste.»
Vide che la maggior parte degli uomini annuiva e quando poi Slade
guardò a destra e a sinistra, tutti rialzarono il capo in segno di assenso.
«Be', signore, se la cosa è così, per noi va bene», disse Slade, «e vi
ringraziamo, signore, per averci ascoltato.»
«Mi sarebbe dispiaciuto davvero dover lasciare a terra dei bravi
marinai», dichiarò Jack. «Ma rimane un'altra cosa da fare. Voi avete
risposto rudemente al signor Davidge e avete mormorato. Dovete
chiedergli scusa.»
Dopo qualche momento di esitazione, con gli uomini che si guardavano
l'un l'altro dubbiosi, Auden disse: «Il guaio è che si tratta di un gentiluomo

Patrick O'Brian 131 1988 - La Nave Corsara


così fine, signore; noi siamo gente ignorante e non sappiamo che cosa
dirgli».
«Dovete andare da lui, togliervi il cappello, come è giusto, e uno di voi
deve dire: 'Vi chiediamo scusa, signore, per aver risposto male e aver
mormorato'», spiegò Jack.

*
«È un po' strano non avere Killick qui fino a domani», confidò Jack
Aubrey a Stephen, servendogli una grossa fetta del pasticcio di vitello e
prosciutto che Sophia aveva ammannite per la loro cena, «ma questa sera
non lo avrei voluto intorno nemmeno per cento sterline. È alquanto incline
a origliare, sai, e, anche se ho parlato ai setiani in tutta sincerità, avrei
avuto qualche difficoltà a discutere di dovere morale e cose del genere con
lui a portata d'orecchio.»
«Quando rivedremo gli uomini di Ashgrove?» domandò l'amico.
«Verso le quattro del pomeriggio, credo, se tutto andrà bene e se la
carrozza non si ribalterà. Arriveranno più o meno alla stessa ora di
Pullings.»
«Be', questa è un'orrida notizia, parola mia. Ho dimenticato di prendere
una camicia pulita e la scorsa settimana mi ero scordato di cambiare
questa, e, nel loro orgoglio smisurato e nella loro gloria ora che hanno due
soldi da far ballare nelle tasche, gli ufficiali vogliono invitarci a pranzo
domani, così che tu possa conoscere la signora Martin. Ho grande stima di
lei e non vorrei comparirle davanti come uno straccione prelevato da
qualche territorio libero dove non si corre il rischio di essere arrestati per
debiti.» Guardò i polsini della camicia, già malridotti prima della lunga
nottata in una vettura sudicia e che erano adesso una vera onta per la nave.
«Che tipo sei, Stephen!» esclamò Jack. «Dopo tutti questi anni in mare,
ancora non hai idea della vita a bordo. Dai la camicia a qualche vecchio
marinaio della Surprise che hai curato per il vaiolo o il mal di pancia,
qualsiasi uomo della Surprise, Warren, Hurst, Farrell, di' tu un nome, e te
la laverà con l'acqua dolce del barilotto di coperta, te l'asciugherà nella
cucina e domattina te la restituirà. Nel frattempo girerai in veste da
camera. Mi farà piacere conoscere la signora Martin finalmente, in
particolare perché è difficile sentirti lodare una donna. Che tipo è?»
«Oh, non ha nessuna pretesa di essere bella, no. Nessuna pretesa di

Patrick O'Brian 132 1988 - La Nave Corsara


nessun genere, se è per questo, né intellettuale, né artistica, né mondana.
Non è alta né snella e ogni tanto porta gli occhiali; ma è di un'educazione
perfetta e ha una natura così dolce e un tale fondo di buonumore da essere
una compagna preziosa.»
«Ricordo che mi avevi raccontato come avesse curato Martin con grande
devozione quando tu gli avevi aperto la pancia. Sarò felice di poterla
vedere a pranzo, perché qualche ora dopo sarebbe troppo tardi e non vorrei
dare l'impressione di mancare di riguardo verso di lei. Ma, non appena
Pullings, Bonden, Killick e gli altri saranno saliti a bordo, credo che
potremo prendere il mare: è possibile che ci sia ancora qualcosa da
caricare in fatto di provviste e forse mi riuscirà di trovare un cuoco,
tuttavia la prossima marea o quella dopo certamente ci vedrà al largo nella
Manica.»
«Mi stupisci, fratello: sono sbalordito. La Diane non salperà che il
tredici e oggi, se non vado errato, è soltanto il quattro. Potremmo arrivare
in meno tempo a nuoto a Saint-Martin, o piuttosto nel punto dell'oceano
dove intendi intercettarla.»
Jack stappò un'altra bottiglia di vino e, dopo un po', disse: «Durante la
notte, mentre venivamo qui, ho pensato e ripensato a tutta la faccenda e ho
continuato a rifletterci, tenendo a mente quel che mi hai detto sul suo
comandante e sul suo equipaggio scelto. E mi sembra che invece di
aspettare al largo del capo che venga da noi, con tutti i rischi di cattivo
tempo, di brezze sfavorevoli, di svantaggio del vento, la cosa giusta da fare
sia andare noi a cercarla. Inoltre è molto probabile che sia scortata fuori
della Manica da una corvetta o da un brigantino. Quando l'artiglieria
francese è buona, è molto buona, e anche se i vecchi della Surprise
potrebbero farcela, con il nostro equipaggio attuale non possiamo fare
fuoco bene come vorrei, con i cannoni di entrambi i bordi insieme».
«E non puoi ingaggiare altri uomini allora, per amor del Cielo? Forse
che non ci fermano per strada, per pregarci di prenderli?»
«Credimi, Stephen, non servirebbe. Non si forma un cannoniere in una
settimana e nemmeno in una quantità di settimane. E poi, non possiamo
girare per la città a chiamare con un fischio i fanti di marina. Tu mi dirai
che dopotutto sono soltanto soldati, il che è verissimo, ma sono anche
uomini affidabili, addestrati, disciplinati, e la trentina che avevamo a bordo
era preziosa durante un'azione. Basta che ricordi il loro fuoco di
moschetteria.»

Patrick O'Brian 133 1988 - La Nave Corsara


Per un momento a Stephen venne in mente di domandare come mai la
Surprise non avesse tutti gli effettivi di un tempo, compreso l'equivalente
di quei fanti di marina, qualsiasi fosse il nome con cui sarebbero saliti a
bordo; ma la risposta era ovvia: in questo, come in molte altre cose, Jack
cercava di risparmiare il denaro dell'amico.
«Santo Iddio», riprese Jack, sorridendo, «ti ho appena detto di essere
stato assolutamente sincero con i setiani e certamente credevo a ogni
parola che ho detto, ma devo ammettere che il fatto di essere
maledettamente riluttante a separarmi da sette uomini scelti mi ha reso più
mite di quanto non sarei stato con gli effettivi al completo e con gli
Articoli di Guerra dietro di me. E, d'altro canto, bisogna dire che usare la
mano pesante in un caso come questo sarebbe davvero il modo di mettere
di malumore un equipaggio, un effetto peggiore di ufficiali duri, eccesso di
punizioni e nessuna franchigia, molto peggiore.»
«Hai agito per il meglio, certamente: gli uomini salgono sul patibolo per
nomi molto meno rispettabili di quello di Set», considerò Stephen. «E così
vuoi prendere il mare, vedo.»
«Sì. Perché a me sembra che la cosa migliore sia catturare la Diane in
porto, cercare di catturarla in porto, durante la notte. Si può incrociare alla
ricerca di una nave con la più grande assiduità e in vicinanza della costa e
tuttavia non riuscire a vederla; ma, se si entra in porto prima che abbia
levato l'ancora, perlomeno si è sicuri di trovarla, il che è il necessario
inizio di qualsiasi battaglia.»
«Non lo negherò di sicuro, fratello.»
«Così, vedi, intendo salpare domani al più tardi, spiegare agli uomini la
situazione, far capire la posizione, la natura, i rilevamenti e i fondali di
Saint-Martin su una grandissima carta che disegnerò, facendo vedere dove
si trova la Diane e dove saremo noi, e poi nascondermi a Polcombe o in
un'altra caletta solitaria della costa inglese, secondo il tempo che farà,
ormeggiare la nave e, una notte dopo l'altra, esercitare gli uomini alla
cattura di una nave in porto con le scialuppe, finché ognuno non saprà
esattamente dove dovrà stare e che cosa dovrà fare.»
«Plaudo moltissimo al tuo piano», commentò Stephen. «E, se durante le
esercitazioni, la nave potesse evitare ogni comunicazione con la
terraferma, sarebbe davvero magnifico; è così facile mandare all'aria i
progetti di questa specie, in particolare su una costa dove fiorisce il
contrabbando, dove c'è un grande andirivieni. Sarebbe forse fuori luogo

Patrick O'Brian 134 1988 - La Nave Corsara


suggerire d'ingaggiare appositamente per questa operazione qualche
energumeno pronto a tutto?»
«Condivido pienamente quanto hai detto sulla comunicazione e anch'io
l'avevo pensato; ma, in quanto a ingaggiare gente prezzolata, sono sicuro
che William e i suoi compagni ci daranno tutti i volontari che le loro
scialuppe potranno contenere, uomini abituati alla disciplina navale. La
mia sola paura è che...» - diede un colpo di tosse - «... è che siano troppi e
che possano parlare o fare rumore.»
Un bicchiere di vino, come aveva detto qualche ora prima, poteva
influenzare la capacità di ragionare ed egli era stato sul punto di confessare
la sua tremenda paura che lo zelo e il sentimento di amicizia di
Babbington, un sentimento del tutto travisato in questo caso, potessero
indurlo a unirsi alla spedizione: perché, nell'eventualità di un successo, la
Diane sarebbe stata «catturata in porto dal comandante Babbington della
nave di Sua Maestà Tartarus, con l'aiuto di scialuppe di altre navi da
guerra al suo comando e di una nave armata per la guerra di corsa».
L'offerta che paventava non avrebbe potuto essere rifiutata, dal momento
che la cattura della Diane in combattimento avrebbe fatto di William
Babbington, ora semplice comandante di fregata, un capitano di vascello,
passo essenziale verso un'ulteriore promozione e verso un alto comando.
Per poco, Jack non aveva detto tutto ciò a Stephen; ma non poteva essere.
William avrebbe dovuto capirlo da solo o niente. Jack non aveva il minimo
dubbio sull'affetto e sulla lealtà di Babbington, ampiamente dimostrati,
tuttavia un cuore eccellente non si accompagnava sempre a un'intelligenza
brillante, alla capacità di stabilire immediatamente il valore relativo di una
promozione già quasi certa da un lato e la remota possibilità di un
reinserimento nei ruoli dall'altro. Eppure Babbington, ben introdotto, con
forti protezioni in Parlamento, poteva essere sicuro di una rapida
promozione in ogni caso, laddove a Jack un'opportunità come quella
poteva non presentarsi mai più in tutta la vita. Guardò Stephen, seduto a
tavola di fronte a lui, il quale sentenziò: «Questa tua idea delle
esercitazioni notturne è in verità magnifica».
«Spero che dia un risultato. Perlomeno sarà meglio che precipitarci
come un toro in un negozio di porcellane, senza aver fatto nessun piano.
Con la Spartan era diverso, là si trattava di dare addosso al nemico corpo a
corpo. Qui non solo dobbiamo dare addosso al nemico, ma anche portare
la sua nave fuori del porto sotto il fuoco delle batterie e delle altre navi da

Patrick O'Brian 135 1988 - La Nave Corsara


guerra presenti. Deve essere fatto per bene o non essere fatto per nulla.
Dimmi, Stephen, secondo te, William Babbington ha un'intelligenza pronta
e vivace?»
Per poco Stephen non si mise a ridere: sbuffando divertito, rispose:
«Voglio bene a William Babbington, ma non penso che qualcuno possa
giudicarlo di un'intelligenza, di una capacità di comprensione, di un
intelletto pronto e vivace, tranne forse la signora Wray. Nel rude sport
della guerra e nei pericoli immediati dell'oceano senza dubbio è
eminentemente pronto, ma per una rapida valutazione di temi più
complessi sarebbe meglio cercare altrove. Per queste tue esercitazioni
notturne, però, per saltare da un punto ben determinato a un altro nel
bagnato e nel buio con uno scopo preciso, sarebbe adattissimo. Come ho
detto, la trovo un'idea magnifica».
L'opinione del dottor Maturin fu condivisa da tutti a bordo. Studiarono
con la massima attenzione la grande mappa che Jack aveva tracciato con il
gesso tra l'albero di mezzana e il coronamento, mentre la nave correva a
vele spiegate verso Polcombe; parecchi uomini che erano stati a Saint-
Martin durante la pace confermarono la disposizione immutata del porto,
dell'arsenale, dei canali navigabili. E, come tutti gli altri marinai presenti,
furono d'accordo con Jack che il punto più preoccupante della manovra di
avvicinamento era costituito dal frangiflutti che proteggeva il porto dai
marosi da ovest: si spingeva in fuori dal lato a sud, sotto la scogliera del
faro, e sentinelle pattugliavano i suoi bastioni. La scialuppe avrebbero
dovuto per necessità passare a portata di voce. Ma, per fortuna, la Surprise
aveva a bordo due marinai di Jersey, Duchamp e Chevènement. «E se
saremo interpellati», disse Jack, «potranno gridare qualcosa di breve e di
rapido, come: 'uomini e viveri per la Diane!'»
Una volta raggiunto Polcombe, il vento cessò, eppure, durante la stanca
della marea, riuscirono a rimorchiare la nave così addentro alla cala che
sicuramente avrebbero dovuto farla uscire a rimorchio, dal momento che
non solo le alte scogliere fermavano qualsiasi brezza che le avrebbe
permesso di spiegare le vele, ma il riflusso si abbatteva con violenza sugli
scogli dell'Old Scratch, l'isolotto roccioso che custodiva l'entrata della cala
- in realtà piuttosto una piccola baia -, riparandola dai marosi da sud e da
sud-ovest. Là, osservata da un migliaio di pecore che scrutavano dalle
zolle erbose in alto e da un pastore allucinato, la nave fu ormeggiata con
l'aggiunta di traversini, e gli uomini cominciarono a piazzare le boe che

Patrick O'Brian 136 1988 - La Nave Corsara


delimitavano il porto di Saint-Martin alle distanze e agli angoli che
l'ufficiale Aubrey aveva misurato così esattamente tanti anni prima.
Furono perfino in grado di sistemare segnali abbastanza accurati per
rappresentare la punta del capo, il faro e il frangiflutti con l'insidioso
bastione: a quel punto, la sera era già inoltrata, ma gli uomini erano così
eccitati che le scialuppe si raccolsero intorno alla lancia di Jack e, con la
libertà che scaturiva dal buonumore generale, gli uomini lo pregarono di
lasciarli arrivare a remi fino al punto in cui la Surprise si sarebbe trovata,
al largo, e di «fare una prova».
«Molto bene», acconsentì Jack, «ma che sia fatta come si conviene:
allineamento poppa contro prua; muoversi con regolarità, e tutti dovranno
remare senza far rumore e senza spruzzi, per non bagnare gli inneschi dei
compagni; non una parola, non un solo stramaledetto bisbiglio; non siamo
alla fiera, e il primo che aprirà bocca potrà tornarsene a casa a nuoto.»
Le scialuppe si allontanarono finché a Jack non parve che fossero
arrivate al punto in cui aveva intenzione di calare l'ancora, al largo di capo
Balena. Là ripeté le istruzioni tre volte, senza la minima variazione: in che
punti le scialuppe avrebbero dovuto abbordare la nave e che cosa avrebbe
dovuto fare ogni gruppo di uomini; e ripeté le raccomandazioni sul
silenzio assoluto con enfasi ancora maggiore. Le stelle si stavano già
affacciando nel cielo limpido e, con Vega e Arturo come bussola, Jack
guidò la fila di scialuppe fino al segnale che indicava il capo e poi, dopo
un percorso a zig zag sino al frangiflutti, dove Duchamp gridò: «Altri
uomini per la Diane!» e puntò dritto sulla nave priva di sospetti. Remarono
con regolarità, un miglio dopo l'altro, con la marea tranquilla che
cominciava a montare, fino a quando Jack non mormorò: «Mollare e
allargarsi», e le scialuppe, libere dalla cima che le aveva tenute unite, si
lanciarono verso i punti di attacco, la palmetta, i parasartie di trinchetto, i
parasartie di maestra e di mezzana e il barcarizzo di poppa, e invasero la
nave contemporaneamente con uno spaventoso ruggito. Una squadra di
gabbieri particolarmente attivi corse a riva per mollare i trevi e le gabbie;
Padeen e un nero ugualmente possente si precipitarono alle gomene
brandendo un'ascia immaginaria; due quartiermastri s'impadronirono del
timone; Jack Aubrey balzò nella cabina, non tanto per fingere di bloccare
il comandante, i civili e i loro documenti quanto per controllare l'ora.
«Credo che abbiamo impiegato un'ora e quarantatré minuti», valutò. «Ma
non sono sicuro dell'ora d'inizio. La prossima volta, porterò una lanterna

Patrick O'Brian 137 1988 - La Nave Corsara


cieca. Le nostre urla sono giunte inattese?»
«Completamente», rispose Stephen.
«Una sorpresa totale», confermò Martin.
«Vi siete spaventati?»
«Forse avremmo avuto paura, se l'allegria fosse stata minore. Si
riconosceva chiaramente a grande distanza la risata chioccia del vecchio
Plaice.»
«Un attacco improvviso e silenzioso non sarebbe ancora più
sconcertante?» domandò Martin. «Una violenza senza provocazione, senza
che sia annunciata, in contraddizione con ogni contratto sociale che
richiede almeno un grido di sfida? E tuttavia l'assalto ha terrorizzato il
vostro nuovo cuoco, signore. Gli stavamo parlando a proposito di un pilaf
per la vostra cena quando è scoppiato l'inferno: ha gettato un grido in una
lingua che forse era armeno ed è scappato via, rannicchiandosi in modo
assurdo.»
«Pilaf? Che idea formidabile! Mi piace moltissimo un buon pilaf. Ci
offrirete il piacere della vostra compagnia, signor Martin?»

*
I giorni che seguirono furono assai piacevoli. I compiti quotidiani
vennero ridotti al minimo e, a parte i due assalti notturni alla nave, gli
uomini dedicarono la maggior parte dei loro sforzi concentrati e pieni di
ardore nell'esercitarsi con le sciabole o le asce e nel tirare con la pistola. Il
resto del tempo, poiché le giornate erano soleggiate, i marinai se ne
stavano sul castello e sui passavanti perfettamente a loro agio, con una
libertà raramente riscontrabile su una nave da guerra, regia o privata che
fosse. La nave stupì i curiosi che si erano uniti alle pecore lassù in alto e i
villaggi vicini appresero che un pirata si era ormeggiato nella cala di
Polcombe, con l'intenzione di razziare la costa e di portare le fanciulle in
Barberia. A quella notizia, le giovani donne per qualche miglio all'intorno
si affrettarono sul bordo del precipizio, per dare un'occhiata ai loro rapitori
e forse per implorare pietà; mentre un cutter della dogana, sospettando
merci non dichiarate, entrò nella cala e dovette sottostare all'umiliazione
massima di essere strappato agli scogli dell'Old Scratch da due gomene,
intugliate e portate al cabestano della Surprise.
Jack era fisicamente attivissimo, dal che traeva grande giovamento:

Patrick O'Brian 138 1988 - La Nave Corsara


durante gli assalti notturni, spesso prendeva la barca di Stephen e
accompagnava la fila di scialuppe, prestando grande attenzione al modo in
cui su ciascuna si remava e controllando al secondo i tempi dei vari stadi
dell'operazione. E, dopo il primo assalto, fatto più che altro per
divertimento, organizzò una specie di resistenza. Ai difensori non fu
concesso niente di più letale di una redazza, ma il tempo in cui riuscirono a
trattenere gli assalitori gli fece valutare con maggiore precisione la
probabile durata dell'azione. Per amor di giustizia, le squadre furono
mescolate e cambiate ogni mezza guardia e, due volte per notte, Jack
Aubrey fu di volta in volta assalitore e difensore. Tutti gli uomini
consumavano un'immensa quantità di energia, e il loro comandante,
com'era giusto, ne consumava ancora di più. Era un nuotatore formidabile
e, durante la sua carriera navale, raramente una spedizione era finita senza
che avesse salvato qualche fante di marina o qualche marinaio caduti in
mare, e a bordo si trovava ora perlomeno una mezza dozzina di vecchi
della Surprise che senza il suo intervento sarebbero morti; in quella
circostanza, però, superò se stesso, perché nel respingere gli assalitori
spesso i difensori li scaraventavano in mare e, in una sola nottata, Jack ne
tirò fuori cinque dall'acqua, così, semplicemente, con un braccio che si
protendeva come quello di una scimmia dai parasartie o dalla falchetta di
una scialuppa e li sollevava di peso.
L'intensa attività fisica fu molto salutare per lui, naturalmente, dato che
la sua struttura possente aveva bisogno di esercitarsi assai più di quanto la
vita quotidiana a bordo di una nave non potesse offrirgli ordinariamente;
ma fu ancora più salutare per il cuore e la mente feriti, dal momento che
non gli restava il tempo per l'infelicità dell'introspezione, né per i
corrispondenti miraggi di un successo molto poco realistico, miraggi che
così spesso lottavano per trovare un'espressione.
La combinazione fece rinascere in lui in parte anche l'appetito che aveva
sempre avuto prima del processo: e sarebbe stato un vero peccato
altrimenti, visto che Killick aveva provveduto alle provviste del
comandante in una quantità da lui ritenuta confacente al loro nuovo stato
di ricchezza, e il cuoco del comandante, Adi, avrebbe fatto onore alla nave
ammiraglia di Lucullo. Era un omino timido e gentile, grigio bruno di
pelle, grassoccio e unto, incline alle lacrime: era del tutto inservibile come
combattente, dato che né con le buone né con le cattive aveva potuto
essere indotto a difendere o ad attaccare la nave; tuttavia era padrone

Patrick O'Brian 139 1988 - La Nave Corsara


dell'intera gamma della cucina navale da Costantinopoli a Gibilterra; e,
sebbene i suoi pasticcini alla crema fossero più orientali che londinesi,
andavano giù magnificamente, mentre il suo budino allo strutto era più che
decente.
Anche per Maturin quelli furono giorni beati di vacanza. Non poteva
occuparsi dei suoi piani futuri, essendo privo di contatti con Londra come
se si trovasse sul Pacifico; e benché avesse Diana sempre presente alla
mente e portasse sempre in tasca il suo talismano, la sua attuale
preoccupazione era di prendere tutto il sole che le sue magre forme
potevano assorbire. Ne aveva sofferto la mancanza così a lungo, durante
l'inverno inglese, che in quei giorni soleggiati rimpiangeva ogni momento
trascorso sottocoperta o all'ombra.
Stephen e Martin non facevano parte né della squadra dei difensori né di
quelle degli assalitori e sarebbero stati lasciati a immalinconirsi sulla nave,
se non vi fosse stato l'Old Scratch, una delizia sia per il naturalista sia per
l'adoratore del sole. Un tempo vi erano stati introdotti conigli e pecore: le
pecore erano scomparse da un pezzo, ma i conigli erano ancora là e sui
loro prati esposti a mezzogiorno e dall'erba rasata Stephen si crogiolava al
sole quando non era preso con Martin da altre delizie: le pozze d'acqua
lasciate dalla marea, le foche che abitavano le grotte a settentrione, le
piante non comuni come la Aegopodium podagraria, i pulcinella di mare
che nidificavano nelle tane dei conigli e le procellarie di cui si udiva
l'amichevole verso nelle remote fessure muschiose tra le rocce.
In uno di quei pomeriggi perfetti, con l'onda lunga da sud-ovest che
batteva lenta, profonda, misurata sul lato dell'Old Scratch rivolto verso il
mare, i due uomini sedettero sull'erba, contemplando la serie di piccole
onde che seguivano ogni impatto del mare e che si propagavano nella cala
in semicerchi allargati e decrescenti con regolarità perfetta finché non
lambivano la nave, un disegno a ventaglio d'insolita bellezza.
«La nave contiene un numero sorprendente di credenze religiose»,
osservò Martin. «Senza dubbio, altre della stessa grandezza ne contengono
altrettante, ma certamente non così varie, perché devo confessare che, pur
essendo preparato agli gnostici, agli anabattisti, ai setiani, ai
muggletoniani* [* Membri della setta fondata intorno al 1651 da
Lodowick Muggleton e da John Reeve e basata sulla credenza che i due
iniziatori fossero i due Testimoni citati in Apocalisse 11, 3-6. (N.d.T.)] e
perfino ai seguaci di Joanna Southcott** [** Joanna Southcott, figlia di un

Patrick O'Brian 140 1988 - La Nave Corsara


contadino del Devon, mistica e autrice di scritti profetici, ebbe numerosi
seguaci, i Nuovi Israeliti. Riteneva che Napoleone fosse l'incarnazione
della Bestia dell'Apocalisse. (N.d.T.)] e così pure a qualche ebreo e
maomettano, sono rimasto del tutto sconcertato di scoprire che abbiamo a
bordo un adoratore del diavolo.»
«Un autentico, dichiarato, letterale adoratore del diavolo?»
«Sì. Non gli piace nominare il Maligno, se non in un bisbiglio al riparo
della mano, ma si riferisce a lui chiamandolo il Pavone. Nei loro templi
hanno un'immagine del pavone.»
«Sarebbe indiscreto chiedere chi dei nostri compagni di navigazione ha
queste opinioni eccentriche?»
«Niente affatto, niente affatto. Non me ne ha parlato confidenzialmente.
È Adi, il cuoco del comandante.»
«Credevo che fosse armeno, un cristiano gregoriano.»
«Anch'io, ma sembra in realtà che sia un dasni, della regione che sta fra
l'Armenia e il Kurdistan.»
«Non crede nemmeno un poco in Dio, l'animale?»
«Oh, sì. Come la sua gente, crede che Dio abbia creato il mondo; costoro
ritengono che Nostro Signore abbia una natura divina, riconoscono
Maometto come profeta e Abramo e i patriarchi; ma sostengono che Dio
ha perdonato a Satana caduto e lo ha rimesso al suo posto. Secondo il loro
punto di vista, è dunque il diavolo a governare il mondo per quanto
riguarda le cose materiali, perciò sarebbe una perdita di tempo adorare
qualcun altro.»
«Eppure sembra un ometto mite, amabile; e certamente è un cuoco
eccelso.»
«Vero: mi ha detto tutto ciò mentre mi stava mostrando come preparare
gli autentici lukum turchi - Deborah ne è ghiotta in modo quasi
peccaminoso -, e me lo diceva nel modo più gentile. Mi ha parlato anche
delle montagne desolate della regione dei dasni, dove la gente vive in case
parzialmente sotterranee, perseguitata dagli armeni da una parte e dai curdi
dall'altra. Ma sembra che le famiglie siano molto unite, sostenute da un
affetto profondo che si estende ai più lontani parenti. È evidente che i
dasni non mettono in pratica ciò che predicano.»
«Chi lo fa, in verità? Se Adi conoscesse a fondo il credo che noi
professiamo e lo paragonasse al nostro modo di vivere, guarderebbe noi
con la stessa sorpresa con cui noi guardiamo lui.» Stephen pensò di

Patrick O'Brian 141 1988 - La Nave Corsara


chiedere a Martin se non scorgesse una certa analogia tra l'idea che i
setiani e i dasni avevano degli angeli, ma si sentiva istupidito dal benessere
e dal calore del sole, perciò si limitò a dire: «Un pulcinella di mare sta
volando con tre pesci nel becco: non riesco a capire come abbia fatto a
prendere il secondo e il terzo».
Martin non aveva nessun suggerimento utile da dare e i due rimasero in
silenzio a contemplare il sole finché non fu scomparso dietro il lontano
promontorio; allora si voltarono di comune accordo a guardare la nave, che
si trovava impegnata in una delle manovre più strane che un uomo di mare
avesse mai sperimentato. Portare le scialuppe fuoribordo, sollevandole
prima dalle taccate, issandole di là dall'impavesata e poi calandole per
mezzo di paranchi posti alla varea dei pennoni di trinchetto e di maestra,
era sempre stata una faccenda laboriosa, da tempi immemorabili
accompagnata da un bel po' di grida, di tonfi e di spruzzi, il chiasso
accresciuto ora dall'abitudine degli uomini di Shelmerston di cantare «issa,
oh» forte e chiaro ogni volta che afferravano una cima. In una notte
tranquilla, con la brezza che soffiava verso terra, era possibile che quel
chiasso anche dal largo potesse mandare all'aria una spedizione preparata
con la più grande cura e per il resto silenziosa, e Jack Aubrey stava quindi
cercando di rendere tutta l'operazione priva di rumori; ma ciò contrastava
con abitudini radicate, con ogni tradizione conosciuta, e rendeva gli
uomini lenti, innervositi e goffi, così goffi in verità che la poppa della
lancia toccò l'acqua con un tonfo orrido mentre i suoi masconi erano
ancora a un braccio dalla superficie del mare, e il ruggito colossale del
comandante: «A prua, laggiù! Molla quella dannata cima!» riempì la cala
finché non fu sovrastato da una risata ancora più colossale, all'inizio
soffocata e repressa, poi incontrollabile e universale.
Fu quello quasi l'ultimo sole che Stephen vide nella cala di Polcombe e
quasi l'ultima risata che udì. Il brutto tempo arrivò da sud-ovest, portando
la pioggia, talvolta scrosciante, talvolta fortissima e quasi accecante; e il
mare ingrossò, sollevando con l'alta marea grandi marosi solenni e, durante
il riflusso, turbando malamente la superficie con una brutta maretta.
Durante tutto quel periodo, gli uomini della Surprise e i loro ufficiali
continuarono ad attaccare e a difendere la nave due volte per notte: ma
andare all'abbordaggio in giubbe e pantaloni cerati, quasi senza il più
piccolo lume e dopo aver remato avanti e indietro su un mare così, non era
impresa facile; e, dopo parecchi incidenti e un uomo quasi annegato, Jack

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fu costretto a ridurre sia il tragitto sia la difesa.
Ciò nonostante gli incidenti aumentarono, per lo più strappi muscolari,
stinchi malamente escoriati e costole incrinate, causati da cadute nelle
scialuppe dalle murate bagnate e scivolose, ma anche ossa rotte, come il
femore del giovane Thomas Edwards, una frattura composta che diede
molto da pensare a Stephen e a Martin. Era uno dei gabbieri e aveva avuto
il compito di salire a riva non appena a bordo, correre sul pennone e
mollare le gabbie: ma non si era aspettato che i difensori avessero tolto il
marciapiedi ed era caduto all'indietro, precipitando a testa in giù finché lo
strallo di mezzana non aveva frenato la caduta proprio sopra il cassero,
salvandogli la vita, ma spezzandogli la gamba.
Stephen e Martin si davano il cambio nell'infermeria e, una notte dopo
l'altra, in quell'aria umida e fetida (per la maggior parte del tempo i
boccaporti restavano chiusi), arrivavano i feriti, nessuno grave come
Edwards - la cui gamba avrebbe dovuto essere amputata al primo segno di
cancrena -, eppure nessuno banale.
A quel punto, Maturin era cordialmente stufo di quelle esercitazioni e si
stupiva che perfino Jack, sia pure con una posta così alta in gioco,
insistesse in quel disagio tremendo, con i marinai sempre fradici, in
pericolo, nel freddo, quando ogni uomo a bordo aveva ripetuto fino
all'inverosimile tutta l'azione in ogni sua possibile variante. Si
meravigliava ancor più degli uomini, i quali avevano da guadagnare
soltanto denaro e probabilmente nemmeno tanto, certamente di gran lunga
meno della loro ultima impresa gloriosa; si meravigliava che mostrassero
tanto zelo: non si divertivano più ormai, eppure in apparenza non erano
ancora stanchi.
Fece quell'osservazione a Martin, mentre sedevano accanto a Tom
Edwards, la mano sinistra di Stephen sulla ferita, per sentire l'eventuale
freddo della cancrena, la destra sul polso regolare e speranzoso del
paziente: la fece in latino e nella stessa lingua del marinaio, o piuttosto
nella sua comica versione inglese; Martin rispose: «Forse voi siete così
abituato al vostro amico che non vedete più quale grande figura sia per i
marinai. Se il loro comandante può saltare e correre di notte nella pioggia
battente, sfidando gli elementi, si vergognerebbero di non fare altrettanto,
anche se ho visto qualcuno quasi sul punto di piangere al secondo assalto o
all'ennesima esercitazione con la sciabola. Dubito che lo farebbero per
altri. È una qualità che solo alcuni uomini possiedono».

Patrick O'Brian 143 1988 - La Nave Corsara


«Direi che avete colto nel segno», convenne Stephen. «Tuttavia, se
dovesse chiedere a me di calarmi in una barca a remi in una notte come
questa, sia pure imbacuccato nella tela cerata e con un salvagente di
sughero, declinerei.»
«Io non avrei mai il coraggio morale. Che dite di questa gamba?»
«Nutro grandi speranze», rispose Stephen. Si chinò sulla ferita,
annusandola. «Grandi speranze davvero.» E in inglese disse a Edwards:
«Andiamo molto bene, mio caro. Per ora sono veramente soddisfatto.
Signor Martin, vado nella mia cabina. Se arrivassero nuovi feriti dopo il
secondo assalto, non esitate a chiamarmi. Non dormirò di certo».
Il dottor Maturin poteva anche essere soddisfatto della frattura
composta, ma erano ben poche le altre cose di cui era soddisfatto. Il tempo,
non molto diverso da quello a sud di capo Horn, ma senza la possibilità di
avvistare gli albatri, lo aveva tenuto lontano dall'Old Scratch proprio
quando si stavano per schiudere le uova di una beccaccia di mare; il suo
laudano stava facendo sempre meno effetto e, dal momento che era deciso
a non aumentare la dose, trascorreva gran parte della notte a meditare, di
rado felicemente; e non era contento di Padeen. In realtà non vedeva un
granché il suo servitore, completamente preso dalle esercitazioni nella
parte di assalitore armato di ascia, ma quel poco che ne vedeva non gli
piaceva affatto. Non molto tempo prima lo aveva sorpreso mentre tornava
da una visita alla cassa dei medicinali, riposta nella stiva, con una bottiglia
di brandy sotto la giacchetta. Per quanto gli fu dato di capire data la
balbuzie, la sua giustificazione era stata che «era soltanto una bottiglia»,
ma il rossore verginale rivelava che essa era piena di colpa fino all'orlo.
Lo spirito non era ammesso sulle navi di Sua Maestà se non nella forma
del grog regolamentare: Stephen non aveva idea se la stessa legge valesse
anche sulle navi corsare e nemmeno gli interessava saperlo; ma sapeva ciò
che il bere poteva fare ai suoi compatrioti e, da quel momento, aveva
cercato di escogitare il modo per tenere il solitamente astemio Padeen
lontano dall'alcol. Già il comportamento del giovane era cambiato; la sua
condotta continuava a essere ineccepibile, ma in lui si notava una certa
inclinazione a dare confidenza, una caratteristica non certo amabile nel
senso irlandese della parola; e a tratti si mostrava esilarato in uno strano
modo sognante.
In realtà, Padeen era ormai un mangiatore d'oppio conclamato o
piuttosto un bevitore d'oppio, un uomo da sessanta gocce al giorno.

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Quando era sceso a terra, aveva cercato di comprarsi una scorta personale
della sostanza, ma, non avendo afferrato che la parola «tintura» e dato che
non sapeva né leggere né scrivere, non aveva avuto successo. «Esistono
centinaia di tinture, marinaio», gli avevano detto i farmacisti. «Quale
vuoi?» E non aveva avuto altre risposte. Per l'alcol era stato più facile. Fin
dall'inizio della sua conoscenza con la tintura, il giovane aveva sentito
osservare dal dottor Maturin che essa era composta con un brandy
rispettabile e, al momento, era con il miglior brandy disponibile nella
bottega che la dose di Stephen veniva costantemente diluita:
costantemente, ma così gradualmente che egli non lo sospettò mai, non più
di quanto non sospettasse che la cassa dei medicinali fosse stata aperta.
Eppure niente era più facile per chi possedesse una forza non comune.
All'inizio della sua vita sul mare, la Surprise era stata la francese Unité e la
cassa dei medicinali, inserita nella sua struttura, aveva lo sportello
massiccio montato su perni come usava in Francia: un individuo dotato di
forza eccezionale poteva sollevarlo e sfilarlo facilmente dai cardini.
L'insoddisfazione di Stephen svanì la mattina seguente, tuttavia. Si alzò
molto presto, perfettamente lucido, cosa rara per lui anche se in certo
modo più abituale ora che l'effetto della sua droga serale era tanto
diminuito. Un rapido giro dell'infermeria gli rivelò che la gamba di
Edwards poteva dirsi quasi certamente salva e che nessun altro caso
presentava aspetti di urgenza, così Stephen salì in coperta; là trovò l'aria
tiepida e immobile, il cielo purissimo con le tracce della notte sopra la
terraferma e l'intera cupola a oriente di un violetto delicato che si
stemperava in azzurro chiaro sull'orizzonte. Le redazze, già al lavoro,
avanzavano verso di lui; avevano ormai raggiunto il filareto e Tom
Pullings, l'ufficiale di guardia, era seduto al cabestano con i pantaloni
arrotolati per evitare l'incombente marea. «Buongiorno, dottore», lo salutò.
«Venite, unitevi a me su un terreno neutrale.»
«Buongiorno a voi, comandante Pullings, amico mio», rispose Stephen.
«Ma vedo che la mia barchetta è attaccata a quelle gru là dietro e ho una
gran voglia di...»
La forma della Surprise non le permetteva di avere i bighi delle
imbarcazioni all'anca, di uso ormai quasi generale e presenti su tutte le
navi moderne delle sue stesse dimensioni, però ne aveva un paio al di
sopra della poppa e a essi era assicurato in quel momento il battellino del
dottore.

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«Basta con le redazze e cala la scialuppa del dottore!» gridò Pullings.
«Dottore, salite al centro e restate seduto senza muovervi. Via così, ora.
Piano, così.»
Lo deposero delicatamente sulla superficie liscia e Stephen remò verso
l'Old Scratch, remò, vale a dire, nel suo strano sistema, guardando verso la
direzione in cui voleva andare e spingendo sui remi: si giustificava
sostenendo che fosse molto meglio guardare costantemente verso il futuro
piuttosto che contemplare senza tregua il passato, ma in realtà era quello
l'unico modo in cui riusciva a evitare di girare in tondo.
All'isoletta il cattivo tempo non aveva fatto male: anzi. Anche prima
della pioggia, nessuno avrebbe potuto definirla un luogo polveroso o che
necessitasse di essere lavato e ora brillava addirittura di un lindore
straordinario: l'erba aveva assunto un tono di verde molto, molto più vivo e
sotto i raggi del sole ormai già tanto alto da aver superato la ripida
scogliera che formava la sua costa verso il mare, innumerevoli migliaia di
margherite mostravano le loro facce innocenti, la loro prima avventura,
una delizia per l'animo. Stephen risalì il pendio fino all'orlo della parete
rocciosa e là, tutt'intorno a lui, contemplò la distesa del mare
incommensurabilmente vasto e calmo. Non era molto in alto rispetto alla
sua superficie, ma abbastanza perché più in basso gli operosi pulcinella di
mare che andavano verso il largo e tornavano con la loro preda nel becco
sembrassero molto piccoli mentre se ne stava là seduto tra l'Armeria
maritima, con le gambe spenzolanti nel vuoto. Contemplò per qualche
tempo gli uccelli, qualche gazza marina, urie, i pulcinella di mare -
stranamente pochissimi gabbiani -, i genitori delle beccacce di mare (era
certo che i piccoli stessero bene, avendo visto le buone condizioni dei
gusci che avevano infranto), alcuni piccioni selvatici e una piccola banda
di gracchi corallini. Poi il suo sguardo vagò sul mare e sui sentieri che si
disegnavano sulla sua prodigiosa superficie, non seguendo in apparenza
una trama precisa e diretti in nessun luogo, e sentì nascere nel cuore la
felicità che aveva spesso conosciuto da ragazzo e che di tanto in tanto
provava ancora, specialmente all'alba: l'azzurro madreperlaceo del mare
non ne era la causa, per quanto gli procurasse godimento, né lo erano le
altre migliaia di circostanze che avrebbe potuto nominare, ma proveniva
da qualcosa di assolutamente gratuito. In un angolo della mente avvertì il
bisogno di approfondire la natura di quel sentimento, tuttavia era
estremamente riluttante a farlo, in parte per timore di essere blasfemo (le

Patrick O'Brian 146 1988 - La Nave Corsara


parole «stato di grazia» peggio che grottesche, applicate a un uomo nella
sua condizione), ma ancor più per il desiderio di non fare nulla che potesse
turbare quel sentimento.
Non ne ebbe tuttavia l'opportunità. Un piccione che stava planando
placidamente davanti a lui all'improvviso scartò, volando molto
velocemente verso nord: un falco pellegrino, piombando dall'alto col
rumore di un razzo, strappò una nuvola di piume dal piccione e se lo portò
sulla scogliera della terraferma di là dalla Surprise. Mentre osservava il
volo del falco, più pesante ma ancora rapido, Stephen udì suonare a bordo
gli otto colpi, seguiti dai fischietti remoti che chiamavano gli uomini a
colazione e dal rumoreggiare molto più enfatico dei marinai affamati. Un
attimo dopo, vide Jack Aubrey, nudo come l'aveva fatto sua madre, tuffarsi
dal coronamento e nuotare verso l'Old Scratch, i lunghi capelli biondi
fluttuanti. Quando fu a metà percorso, due foche lo raggiunsero, animali di
natura estremamente curiosa che talvolta s'immergevano, riemergendo
davanti a lui per guardarlo in faccia, quasi a portata della sua mano.
«Mi rallegro per le foche, fratello», disse Stephen, mentre Jack
camminava nell'acqua bassa verso la spiaggetta dorata dove il battellino
era adesso alto, asciutto e inamovibile. «È opinione universalmente
condivisa dai buoni e dai saggi che non vi sia niente di più fortunato della
compagnia delle foche.»
«Mi sono sempre piaciute», commentò Jack, sedendosi sulla falchetta,
gocciolante. «Se potessero parlare, sono certo che direbbero qualcosa di
simpatico. Ma, Stephen, hai dimenticato la colazione?»
«No. Da parecchio tempo la mia mente si gingilla con pensieri di caffè,
porridge, budino bianco, bacon, pane tostato, marmellata e altro caffè.»
«Eppure, sai, non avresti fatto colazione, se non verso sera, perché la tua
barca è arenata e dubito che saresti riuscito a nuotare fino alla nave.»
«Il mare si è ritirato!» esclamò Stephen. «Sono sbalordito.» «Da queste
parti lo fa due volte al giorno, mi dicono», gli fece notare Jack. «Un
fenomeno tecnicamente noto come marea.»
«Che la tua anima possa marcire all'inferno, Jack Aubrey», protestò
Stephen, cresciuto sulla sponda del Mediterraneo, mare senza maree.
Toccandosi la fronte, esclamò: «Dev'esserci qui una forma di imbecillità,
di debolezza. Ma può darsi che col tempo io mi abitui alle maree. Dimmi,
Jack, tu hai notato che la mia barca era per così dire naufragata e per
questo hai deciso di tuffarti?»

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«Credo che la cosa sia stata notata più o meno universalmente a bordo.
Su, agguanta la falchetta e spingiamola in acqua. Riesco quasi a sentire da
qui l'aroma del caffè.»

*
Verso la fine della seconda caffettiera, Stephen udì le note acute di un
violino a non grande distanza a prua e, dopo i primi cigolìi, le voci
profonde degli uomini di Shelmerston intonarono:

Falla virare, via così, oh!


Eccola che vira, vìa così, oh!

In qualche recesso della mente al limite del ricordo, il medico doveva


aver sentito il grido: «Tutti gli uomini pronti a virare!» e i trilli familiari
dei fischietti, perché a un tratto osservò: «È mia convinzione che stiano
tirando su l'ancora, le care creature».
«Ah, Stephen!» esclamò Jack. «Ti chiedo scusa. Intendevo dirtelo non
appena a bordo, ma la ghiottoneria mi ha sopraffatto. L'idea al momento è
di levare l'ancora, far rimorchiare la nave con la fine del riflusso e dirigerci
a est con quel poco di brezza che c'è. Che ne pensi?»
«La mia opinione in merito avrebbe lo stesso valore della tua
sull'amputazione della gamba di Edwards, amputazione che, tra parentesi,
è probabile non sia necessaria, con l'aiuto di Dio; ma capisco che hai
parlato per pura gentilezza. La mia unica osservazione in merito è che,
dovendo la Diane salpare il tredici, mi ero aspettato altre due di queste
notti infernali.»
«Sì, è vero, deve salpare il tredici», convenne Jack. «Tuttavia tu sai
quante volte siamo stati bloccati dal vento su questo lato della Manica, in
particolare a Plymouth, e mi si spezzerebbe il cuore, credo, se arrivassimo
troppo tardi. E poi, durante la seconda comandata, mi è venuto in mente
che gli ufficiali e gli allievi anziani della Diane, ammesso che siano anche
solo un po' come i nostri, passeranno la sera del dodici a terra con gli amici
e questo dovrebbe rendere la cattura in porto, se non più facile, perlomeno
leggermente meno difficile. E meno cruenta, forse, molto meno cruenta.»
«Tanto meglio. Hai pensato al modo di procedere?»
«Non ho fatto quasi altro da quando abbiamo lasciato Shelmerston.

Patrick O'Brian 148 1988 - La Nave Corsara


Come credo tu sappia, la squadra si tiene sotto costa di giorno e al largo di
notte. Io spero di raggiungerla la sera dell'undici e di consultarmi con
Babbington. Se sarà d'accordo, all'alba la squadra si dirigerà verso terra
come al solito e noi ci terremo un po' più al largo, passando la giornata a
sostituire i cannoni con le carronate. La sera del dodici le navi della
squadra si ritireranno, con tutte le lanterne di bordo accese; noi ci uniamo
di nuovo alla squadra, prendiamo a bordo i volontari e puntiamo verso
terra con le luci spente per dare ancora in venti braccia d'acqua più o meno
all'altezza del faro, molto vicino alla costa, ma appena fuori della portata
dei cannoni del forte. Prima, però, la fila delle scialuppe si sarà allontanata
nel buio e, non appena avremo avuto il loro segnale, cominceremo a
bombardare l'estremità orientale dell'abitato, come se volessimo prendere
terra sull'istmo nello stesso modo dell'altra volta, per incendiare l'arsenale.
E mentre noi faremo fuoco con tutta la rapidità di cui saremo capaci, ad
alzo zero, per non far crollare le case sulla testa degli abitanti, una cosa che
non mi è mai piaciuta, le scialuppe porteranno a termine la loro opera.
Vedo così l'operazione nelle sue linee generali; ma non mi è possibile
definire i particolari finché Babbington non avrà espresso la sua idea. In
verità è anche possibile che non sia d'accordo su questo piano.»
«Non dubiterai della buona volontà di William Babbington, per amor del
Cielo?»
«No», rispose Jack. E dopo una pausa: «No. Ma la posizione non è più
come una volta, quando Babbington era un mio diretto subordinato».
Nel silenzio che seguì, Stephen udì il grido dai masconi: «A picco,
signore!» e la risposta, la voce molto più vicina: «Ala ancora, a tutta
forza».
Pochi momenti dopo si affacciò Pullings, il viso sorridente, e riferì che
la nave aveva levato gli ormeggi, che la lancia ed entrambi i cutter la
stavano portando a tonneggio e che al largo pareva stesse nascendo una
brezza da ovest.
«Molto bene», si compiacque Jack. «Procedete pure, signor Pullings,
prego.» E poi, esitante e con un sorriso incerto: «Favorevole, il vento è
favorevole per la Francia».

CAPITOLO VI

Patrick O'Brian 149 1988 - La Nave Corsara


I1 giovedì seguente, nella foschia della sera, la Surprise mandò a riva
una vedetta e, dal pennone di parrocchetto, il marinaio gridò: «Ponte!
Credo di vederle!»
«Dove?» domandò Jack.
«Una quarta al mascone di dritta. A non più di due o tre miglia.»
La nave correva con le vele basse e con una scarsa brezza incostante
quasi al giardinetto; dalle coffe non si poteva vedere granché e Jack, il
cannocchiale notturno a tracolla, salì sulle sartie tese e bagnate dalla
rugiada fino alle crocette di maestra. Scrutò per qualche tempo senza
vedere nulla finché la foschia non si fu diradata ed ecco, là, molto più
vicino di quanto non si fosse aspettato, un allineamento di quattro navi,
ognuna alla stessa distanza precisa dall'altra, che procedevano di bolina
stretta con mure a sinistra: senza dubbio la squadra di Saint-Martin. In
quella notte tiepida e con quel mare calmo, la maggior parte dei portelli era
aperta e la luce s'irradiava all'esterno. Jack contò i portelli ed ebbe il tempo
di constatare che la terza nave della linea era la Tartarus, da diciannove
cannoni, prima che la nebbiolina confondesse le navi sino a farle sembrare
quattro barre giallastre e le facesse infine scomparire del tutto. Quando le
navi furono di nuovo visibili, tutti i portelli più a prua erano bui, perché gli
otto colpi erano già stati suonati a bordo della Tartarus e non si scorgeva
nessuna luce, se non quelle dei portelli del quadrato e della lanterna di
poppa. La vecchia campana consumata della Surprise suonò gli otto colpi
e Jack udì il fischietto dell'aiuto nostromo che ordinava di spegnere le luci
sottocoperta; e, al cambio della guardia, era di nuovo sul ponte.
«Qualcuno deve aver frustato la clessidra della Tartarus», disse a
Pullings, dopo aver stabilito la rotta. «Sono avanti rispetto a noi di due o
tre minuti.» Ed entrando nella cabina: «Signore Iddio, Stephen, come mi
sento sollevato! Abbiamo avvistato la squadra a nord-est: gli scafi sono già
visibili e tra un'ora potremo comunicare alla voce».
«Sono felice che la tua preoccupazione non abbia più motivo di
esistere», rispose Stephen, alzando gli occhi dallo spartito che stava
correggendo. «Ora forse potrai sederti e mangiare in pace, a meno che tu
non preferisca aspettare per invitare a cena William Babbington e Fanny
Wray. Adi ha preparato una superba bouillabaisse e ce ne sarà per quattro,
se non addirittura per sei.»
«No. Il consiglio di guerra deve aver luogo necessariamente sulla
Tartarus.»

Patrick O'Brian 150 1988 - La Nave Corsara


«Giustissimo. E, in ogni caso, un po' di cibo subito contribuirà a calmarti
lo spirito. Ti ho visto in ben triste stato, fratello, impaziente come non
mai.»
«Be'», disse Jack, sorridendo mentre si lasciava cadere sulla sedia,
«credo che qualsiasi comandante avrebbe trovato la giornata di oggi
singolarmente dura.» Pensò di fare un tentativo di spiegare a Stephen
almeno qualcuna delle difficoltà che la Surprise aveva dovuto affrontare,
l'assenza di vento per la maggior parte del tempo e le forti correnti
contrarie. Le maree sizigiali erano vicine e in quelle acque il flusso
contrastava fortemente l'avanzata della nave, tanto che, pur dando
l'impressione di essere rimorchiata a una discreta andatura, con tutte le
scialuppe in mare e gli uomini che remavano con sforzi eroici, il suo
movimento in avanti era solo in rapporto alla superficie, mentre l'intero
corpo del mare, con la nave e le scialuppe su di esso, scivolava in realtà
all'indietro rispetto alla terra, invisibile per ore di fila; e sempre nella
mente di Jack, come un frangente, si abbatteva il pensiero terrorizzante che
la Diane, consapevole della forza reale della squadra, avesse fatto vela già
da qualche giorno. Si erano aggiunti poi il cielo coperto e la pioggia fine;
impossibile fare il punto a mezzogiorno, impossibile avvistare la costa per
controllare una posizione che doveva essere esatta in vista dell'incontro
notturno: nulla, se non una posizione stimata, orribilmente complicata
dalle correnti e dai frequenti cambiamenti di rotta, per approfittare delle
brezze leggere e variabili. E non era nemmeno possibile sapere con
esattezza quale rotta avrebbe seguito Babbington quella sera: se la
Surprise avesse mancato l'incontro con la squadra, avrebbe dovuto cercarla
la mattina seguente, spingendosi sotto costa al largo di Saint-Martin,
perfettamente visibile da qualsiasi marinaio francese, da qualsiasi soldato o
civile in possesso di un cannocchiale, cosa che avrebbe fatto perdere
l'elemento per Jack importantissimo e forse perfino decisivo della sorpresa.
Ma quelle erano regioni dove Stephen non sarebbe stato in grado di
seguirlo: nessuno che fosse digiuno di educazione nautica avrebbe potuto
comprendere tutti gli aspetti sottili della frustrazione contro la quale aveva
dovuto combattere; nessuno che fosse privo di un'intima conoscenza del
mare avrebbe potuto rendersi conto dell'infinità di cose che potevano
andare storte in una traversata apparentemente semplice come quella o
dell'importanza estrema di riuscire a farle andare tutte per il verso giusto;
non che, nel caso presente, farle andare per il verso giusto e incontrarsi con

Patrick O'Brian 151 1988 - La Nave Corsara


la squadra al largo fosse in se stesso un successo, ma il sollievo per aver
raggiunto perlomeno quello stadio era qualcosa che soltanto chi avesse una
posta in gioco altrettanto alta poteva comprendere pienamente.
Eppure gli dispiacque di aver lasciato trapelare la sua impazienza, quasi
una furia che in certi momenti non lo aveva per poco strozzato, e,
allungando la mano verso la bottiglia di cristallo del madera, propose: «Ti
dirò una cosa, Stephen: mangiamoci la nostra bouillabaisse dopo aver
bevuto un bicchiere di questo vino e poi, finché non saremo a portata di
voce della Tartarus, suoniamo il tuo pezzo».
«D'accordo», disse Stephen, un piacere ingenuo sulla sua faccia per
solito niente affatto ingenua. «Killick, ehilà! Ehilà. Che il banchetto
cominci non appena Adi avrà fritto i suoi croùtons.»
Il pezzo, una variazione di Stephen su un tema di Haydn, era corretto e
scorrevole, ma non particolarmente interessante sino all'ultimo foglio dello
spartito, dove Stephen e Haydn si univano in una curiosa frase esitante le
cui due pause di silenzio erano singolarmente toccanti. Il violino la suonò
per primo e, mentre il violoncello rispondeva, udirono il richiamo a non
grande distanza: «Ehi della nave! Che nave è?» e la risposta sonora sopra
le loro teste: «Surprise!»
Il violoncello fece la sua pausa, completò la frase e i due unirono le loro
voci per avviarsi verso la fine del brano. La porta si aprì e Pullings
comparve con le notizie: Jack annuì, ma continuò a suonare con Stephen in
un finale profondamente soddisfacente.
«La Tartarus è qui sopravvento, signore», annunciò Pullings, quando
ebbero deposto gli archetti.
«Sono più che felice di sentirlo», disse Jack. «Prego, fate calare il
battellino del dottore - Stephen, mi presterai la tua barca, non è vero? - e
Bonden mi porterà là. Killick, la mia giacca buona.» Prese la carta di
Saint-Martin dallo stipo e sussurrò: «Stephen, non dovresti venire anche
tu?»
«Credo di no», rispose l'amico. «Non devo enfatizzare il tenue
collegamento che ho con il Servizio d'informazioni; qualsiasi particolare si
debba decidere sotto questo aspetto, potremo deciderlo tra noi. Ma in
questa occasione mi piacerebbe accompagnare l'attacco, se vi accorderete
per farlo.»

Patrick O'Brian 152 1988 - La Nave Corsara


«Benvenuto a bordo di nuovo, signore!» esclamò Babbington.
«Doppiamente benvenuto, dal momento che non mi aspettavo di vedervi
con questa marea.»
«E per poco non è stato così», disse Jack Aubrey. «Un ago in un pagliaio
non è niente al confronto, con una notte simile; ma un punto dato a tempo
ne fa risparmiare cento, come sapete molto bene anche voi, e dunque ci
siamo mossi presto. Vogliamo scendere sottocoperta?»
Nella piccola cabina di Babbington, Jack cercò rapidamente con lo
sguardo i segni della presenza di Fanny Wray, ma non ne vide nessuno, se
non un pezzo di tela da vele con le parole «Dio Protegga i Nostri Marinai»
in un punto croce un po' tremolante. «E così mi aspettavate?»
«Sì, signore. Un cutter mi ha riferito da parte dell'ammiraglio che
sarebbe stato possibile, vento e tempo permettendo, che voi compariste il
tredici e che io avrei dovuto collaborare con voi in qualsiasi operazione
avreste potuto contemplare contro la Diane, attualmente nel porto di Saint-
Martin.»
«È ancora là, non è vero? Non ha fatto vela?»
«Oh, no, signore. È là, ormeggiata di poppa e di prua. Non intende
salpare fino alla luna nuova, il tredici.»
«Siete sicuro di questo, William? Che sia ormeggiata là, intendo.»
«Oh, sì, signore. La mattina, quando ci dirigiamo sotto costa, io vado
spesso a riva e la osservo. Ha incrociato i pennoni già da una settimana e
anche più. E in quanto al tredici, be', noi non interferiamo mai con le
barche da pesca e al crepuscolo, prima che ci allontaniamo per la notte,
qualcuna viene sottobordo, accostando alla murata verso il largo, e ci porta
granchi, aragoste e magnifiche sogliole. Sanno molto bene che cosa vale la
povera Dolphin, nonostante tutta la sua pece, la sua pittura fresca e le sue
dorature, e sanno come sono armate la nave da trasporto Carnei e la nave
magazzino Vulture, perciò ci hanno consigliato di tenerci bene al largo il
tredici e di far finta di non vedere, perché la Diane è nuova e veloce e ha
strutture come quelle di una nave da quaranta cannoni, una potenza di
fuoco formidabile, affonderebbe una delle nostre con una sola bordata, e
l'equipaggio è addestrato benissimo sia ai cannoni sia alle armi leggere: le
coffe sono gremite di tiratori come quelli della Redoutable, che hanno
ammazzato Lord Nelson. E, in ogni caso, una corvetta pesante l'aspetterà
al largo del capo e la scorterà fuori della quota scandaglio nel caso dovesse

Patrick O'Brian 153 1988 - La Nave Corsara


imbattersi nell'Euryalus, che deve arrivare da Gibilterra verso la metà del
mese. È possibile che esagerino un poco sulla nostra sorte, ma credo che
abbiano parlato per genuina bontà. Sono molto affezionati a Fanny, che ha
fatto quasi sempre da interprete in francese: un accento splendido, proprio
come quello di Parigi, mi hanno detto.»
«Avrò il piacere di vederla questa sera?»
«Oh, no, signore. L'ho spedita via con il cutter. Non avrei potuto in tutta
coscienza portarla in combattimento, non è vero, signore? Ricordo
chiaramente, anche se è stato un'infinità di tempo fa, quando eravamo sulla
Sophie, che il dottor Maturin mi diceva come non ci fosse niente di peggio
per l'organismo femminile delle cannonate. Mi dispiace tanto che lui non
sia venuto.»
«Ha pensato che sarebbe stato fuori posto in un consiglio di guerra.»
«Avrei voluto dare a tutti e due voi la bella notizia. Ma forse vorrete
essere così gentile da riferirgliela da parte mia.»
«Ne sarei felicissimo, se mi direte di che si tratta.»
«Be', signore, mi vergogno di menzionare la cosa prima di altre molto
più importanti, ma il fatto è, signore, che sarò promosso capitano di
vascello.» Scoppiò a ridere di pura felicità, soggiungendo: «Con anzianità
dal primo del mese prossimo!»
Una vita sul mare aveva messo al riparo la sua testa dai bagli bassi sopra
di essa e Jack saltò su di scatto e afferrò la mano di Babbington. «Me ne
rallegro con tutto il cuore, William!» esclamò. «È tanto che non sento
qualcosa che mi abbia fatto un piacere così grande. Non possiamo brindare
alla vostra futura insegna?»
Davanti al bicchiere, Babbington confessò: «So molto bene che lo devo
soprattutto ai miei appoggi in Parlamento... Avete saputo che mio zio
Gardner è stato fatto pari d'Inghilterra la scorsa settimana? Mio Dio, il
governo dev'essere davvero in difficoltà. Ma anche così, per me è stata una
grandissima gioia. È stata una grandissima gioia anche per la cara Fanny».
«Ne sono certo. Ma non parlate tanto di quegli appoggi in Parlamento.
Siete un marinaio molto migliore e un ufficiale molto migliore della metà
almeno dei nomi che si trovano sui ruoli.»
«Siete troppo gentile, signore, troppo gentile davvero. Ma non ho
intenzione di stare qui a ciarlare delle mie faccende personali. Posso
chiedervi, signore, se contemplate la possibilità di un'azione contro la
Diane e, in questo caso, come posso collaborare con voi nel modo

Patrick O'Brian 154 1988 - La Nave Corsara


migliore?»
«Sì, contemplo certamente un'azione, la contemplo molto seriamente da
un po' di tempo. Vi esporrò le linee generali del mio piano, e posso parlare
senza nessuna riserva, visto che sarete promosso capitano di vascello. E
tuttavia, William, vi dirò questo: siete voi l'ufficiale più alto in grado della
squadra e, se in questo piano qualcosa non vi convincesse per quanto
riguarda le vostre navi e i vostri uomini, ditemelo francamente.
Sistemeremo le cose tra noi prima del consiglio generale.»
«Molto bene, signore. Comunque sarebbe strano davvero se non fossimo
d'accordo.»
Jack lo guardò con affetto. Ciò che Babbington aveva detto era vero; ma
lo era ancor più adesso che poteva dirsi sicuro della promozione. «Be',
vediamo», cominciò, «la mia idea è di catturarla in porto: tanto più ora che
mi avete parlato della corvetta che deve unirsi a lei al largo del capo.»
Spiegò la mappa. «Se avete nella squadra un nocchiere intelligente,
William, fategli controllare questi fondali: è probabile che siano le sole
cose cambiate da allora. Dunque, vediamo, noi ancoriamo la Surprise qui»
- indicando il lato a mezzogiorno di capo Balena - «facendo un afforco; e
se potessimo portarla esattamente al punto giusto... quando arriveremo ai
particolari dovrete dirmi le condizioni precise delle maree sotto costa
durante la giornata del dodici...»
«Il dodici, signore?»
«Sì. Spero che la sera prima di salpare la maggior parte degli ufficiali sia
occupata ad annaffiarsi il becco sulla terraferma, il che impedirà loro di
ricevere una botta in testa e d'incitare gli uomini a compiere atti estremi.»
«Brillante», commentò Babbington, il quale non poteva concepire
nessun altro modo di trascorrere la sera prima di fare vela anche solo fino a
Margate.
«Se riusciamo ad ancorarla nella posizione giusta, dunque, questo
terreno elevato la proteggerà dal forte che difende l'istmo. Noi diamo
ancora, diciamo, a tre quarti del flusso di marea. Le scialuppe doppiano il
capo e, all'altezza del frangiflutti, qualcuno potrebbe intimare l'alt.
Probabilmente riusciranno a passare, ma, se non riescono e se noi sentiamo
un colpo di moschetto, cominceremo a bombardare l'istmo: o meglio, lo
farà Tom Pullings, dal momento che intendo comandare personalmente la
squadra d'arrembaggio. Pullings lo farà comunque quando io e le scialuppe
spareremo un razzo azzurro, per comunicare che stiamo per abbordare la

Patrick O'Brian 155 1988 - La Nave Corsara


nave. La Surprise farà fuoco e fiamme per distogliere l'attenzione del
nemico dalla Diane, perché in passato era stato l'istmo il bersaglio del
nostro attacco, e darà alle scialuppe il tempo di catturare la Diane in porto,
di portarla fuori tiro delle batterie in fondo alla baia se il vento sarà
favorevole o di rimorchiarla se non lo sarà. In verità, sarà rimorchiata
comunque, perché questo genere di cose va fatto rapidamente. A quell'ora
la marea sarà all'inizio del riflusso e questo ci aiuterà molto. Ciò che vorrei
dalla vostra squadra è che vi avvicinaste per darci aiuto in caso di
emergenza e che ci forniste quattro scialuppe per aiutarci a rimorchiare la
nave.»
«Non possiamo anche andare all'arrembaggio?»
«No, William; perlomeno non al primo assalto. Gli uomini della
Surprise si sono esercitati in tutti i particolari dell'operazione di
abbordaggio di una fregata due volte per notte da tanto tempo che pare
un'eternità, quasi; sanno esattamente che cosa fare, ogni uomo ha il suo
compito e la presenza di altra gente servirebbe soltanto a distrarli. Ma
naturalmente, se la Diane dovesse rivelarsi un osso particolarmente duro,
potremo sempre chiedere aiuto.»
Babbington rifletté per qualche momento, guardando in faccia il suo
comandante di un tempo, poi disse: «Ebbene, signore, a me sembra un
piano formidabile e certamente non saprei suggerire nessun
miglioramento. Devo chiamare gli altri comandanti, ora?»
«Se non vi dispiace, William. E mi stavo quasi dimenticando un punto:
quando domani voi vi avvicinerete al porto, io resterò ancora più al largo.
Poi domani sera voi farete in modo di allontanarvi dalla costa con molte
luci a bordo: quando sarete al largo, io scivolerò in mezzo a voi senza un
lume acceso, prendendo a rimorchio le vostre scialuppe nel passare. Non
ho bisogno di dire che, se una delle barche da pesca che vi portano le
aragoste saprà della Surprise, tanto vale che ce ne torniamo a casa, senza
nemmeno la più piccola speranza di trovare la Diane impreparata.»
«Me ne occuperò io, signore.»
«Ma con discrezione, William, con discrezione. Non trattateli in modo
scortese né mandateli via o mangeranno la foglia e capiranno che c'è sotto
qualcosa.»
«Chiacchiererò io stesso con loro, signore, e non permetterò a nessun
altro di parlare.»
Salì in coperta per dare gli ordini sul segnale e, quando fu tornato, Jack

Patrick O'Brian 156 1988 - La Nave Corsara


disse: «Ricordo quando il dottore parlava delle donne e del fuoco
dell'artiglieria: è stato al largo di capo Creus durante l'ultima guerra,
quando prendemmo una corvetta francese con un carico di polvere da
sparo. Il nocchiere aveva con sé la moglie che stava per avere un
bambino... lo ha fatto nascere il dottore. Povero me, quelli erano bei tempi!
L'ammiraglio ci affidava una missione dopo l'altra».
«E noi catturavamo una preda dopo l'altra. Oh, è stato un periodo
glorioso. E poi la Cacafuego! Ricordate come ci eravamo anneriti la faccia
nella cucina noi della guardia di dritta? E come abbiamo abbordato la nave
urlando come gatti sulla graticola? Mowett scrisse una poesia
sull'impresa.»
Stavano ancora conversando entusiasti dell'ultima guerra quando la
prima scialuppa si accostò sottobordo, seguita quasi immediatamente dalle
altre.
«Signore», disse Babbington, dopo i suoni che accompagnarono
l'accoglienza regolamentare, l'annuncio dell'allievo e la processione su per
la scaletta, «signore, permettetemi di presentarvi il comandante Griffiths
della Dolphin, il signor Leigh, comandante della Carnei e il signor Strype
della Vulture.»
«Buonasera, signori», li salutò Jack, osservandoli con attenzione:
Griffiths era un giovane piccolo di statura, dagli occhi vivaci e dalla testa
rotonda, appena nominato comandante di una corvetta vecchissima che
non avrebbe nemmeno dovuto essere in mare; Leigh, alto, anziano, con un
braccio solo, un ufficiale senza la minima speranza di promozione, era
comunque più felice di stare al comando di una nave da trasporto piuttosto
che vivere sulla terraferma con una numerosa famiglia e con meno di cento
sterline l'anno; Strype, della Vulture, della nave magazzino Vulture, era
così silenzioso e pallido da sembrare quasi inesistente: faceva una strana
impressione vederlo indossare l'uniforme della marina del re.
«Dunque, signori», esordì Babbington, e Jack si meravigliò del suo tono
di autorità, naturale e senza traccia di presunzione: si stupì, perché la loro
conversazione gli aveva riportato alla mente con grande chiarezza
l'immagine del bambinetto dell'alloggio degli allievi della Sophie, che non
sapeva ancora soffiarsi il naso da solo. «I miei ordini sono di collaborare
con il signor Aubrey della Surprise in un'operazione che egli intende
portare a termine contro la Diane. Lo pregherò di esporci a grandi linee il
suo piano per vostra informazione, ma prima devo osservare che il signor

Patrick O'Brian 157 1988 - La Nave Corsara


Aubrey e io siamo interamente d'accordo sulla strategia generale. Sarete
perciò così gentili da ascoltare senza commenti fino a quando non
solleciterà le vostre osservazioni, che si riferiranno soltanto a punti quali le
correnti, le profondità o le posizioni del nemico delle quali voi possiate
avere informazioni particolari. Signor Aubrey, signore, permettetemi di
avvicinare un poco la lampada.»
Jack spiegò di nuovo il suo piano, indicando le varie posizioni sulla
carta, e terminò dicendo: «Se qualche ufficiale ha domande od
osservazioni da fare, sarò lieto di ascoltarlo».
Seguì un lungo silenzio, interrotto soltanto dallo sciabordio delle onde
contro la murata della Tartarus, fino a quando l'ufficiale brizzolato non si
alzò e, mettendo il suo uncino sul frangiflutti, dichiarò: «L'unica
osservazione che sento di dover fare è che alla colma e alla giosana si
forma qui una corrente che porta verso il bastione del frangiflutti. Ben più
di una volta ho visto piccole imbarcazioni costrette a scostarsi dal muro o
sfiorarlo nell'entrare in porto. Forse vorrete tenerlo presente per le
scialuppe, signore, se vogliono passare inosservate».
«Grazie, signore», disse Jack. «Un punto di grandissimo valore.
Comandante Griffiths, desiderate parlare?»
«Solo per dire che, con il permesso del comandante Babbington, sarei
lieto di comandare la squadra delle scialuppe, signore.»
Babbington replicò immediatamente: «Il signor Aubrey e io abbiamo
deciso di comune accordo che i comandanti devono rimanere sulle loro
navi. La squadra si dirigerà verso terra poco dopo l'inizio delle operazioni
e potrebbero presentarsi decisioni importanti da prendere nell'eventualità
di... se non tutto andasse bene».
«Che Dio ti benedica, William», pensò Jack, «non avrei mai immaginato
che fossi così pronto.» E ad alta voce, in risposta alle domande silenziose
che aleggiavano nella cabina, disse: «Il comandante Pullings, che mi
accompagna come volontario e che è l'ufficiale di marina più alto in grado
in queste acque, prenderà il comando della Surprise durante la mia
assenza. Signor Strype, avete qualche osservazione da fare?»
«Sì», rispose quello, e per la prima volta apparve chiaro che era ubriaco,
un'ubriachezza pallida da gin solitario. «Come ci regoleremo per il denaro
delle prede?»
Queste parole furono pronunciate con un sorrisetto d'intesa
particolarmente cinico e gli altri arrossirono di vergogna. Jack lo fissò

Patrick O'Brian 158 1988 - La Nave Corsara


freddamente. «Questo è certamente vendere l'orso... è certamente contare
gli orsi...» Esitò, poi riprese: «In ogni caso, la questione è prematura e
parlarne rischia di portare sfortuna. Naturalmente sarà affrontata secondo
la tradizione del mare. Coloro che rimorchiano la nave divideranno in parti
uguali con quelli che andranno all'abbordaggio».
«Direi che sia equo», commentò Leigh. «Così si è fatto nell'ultima
guerra e anche nella guerra americana prima di quella.»
«E ora che siamo tornati all'argomento delle scialuppe», riprese Jack,
«sarò più preciso. Il comandante Babbington e io abbiamo deciso che le
più grandi di ogni nave, lancia, barcaccia o pinaccia, saranno da preferirsi.
Dovranno essere completamente equipaggiate, con rematori di riserva dato
il lungo tragitto, e gli uomini dovranno essere ben armati per
l'abbordaggio, anche se spero che il loro intervento non sia necessario.
Dovranno avere cime con rampini e tutto il cordame che serve, e sarebbe
buona cosa che fossero comandati dal nostromo o da un aiuto nocchiere
anziano. Ma, e questo è più importante, dev'essere loro fatto capire che il
silenzio è assolutamente essenziale, scalmi e scalmiere fasciati,
naturalmente, ma soprattutto nessuno dovrà aprire bocca: non una sola
parola. Le scialuppe dovranno stare pronte alla voga quando le mollerò e
non dovranno muoversi e parlare finché non saranno chiamate per nome,
sia per rimorchiare sia per dare una mano per sopraffare la resistenza. Dal
momento che potrebbero partecipare all'abbordaggio, gli uomini
dovrebbero avere una fascia bianca da mettere all'ultimo momento sul
braccio, la stessa che avranno gli uomini della Surprise; la parola d'ordine
è 'Buon Natale' e la risposta è 'Buon Anno'. Credo che sia tutto, signori.»
Si alzò: aveva assistito a troppi incontri del genere resi vaghi e oscuri da
un'interminabile discussione su punti che avevano poco o niente a che fare
con l'argomento principale e gli pareva cosa migliore lasciare il piano nella
sua forma più semplice. Ma quando gli altri comandanti se ne furono
andati, Jack rimase con Babbington e il nocchiere della Tartarus a
controllare profondità e posizioni, nonché l'ordine delle navi francesi
ormeggiate lungo la banchina: un brigantino di nessun conto, due barche
cannoniere armate con pezzi da trentadue libbre, la Diane e due mercantili
di discrete dimensioni che di recente si erano spostati dal fondo del bacino,
presumibilmente con l'intenzione di scivolare fuori del porto sulla scia
della fregata. Le navi, insieme con i fondali bassi da evitare lasciando il
porto, furono disegnate su tre mappe, e Jack e Babbington scrissero un

Patrick O'Brian 159 1988 - La Nave Corsara


sommario dei successivi stadi dell'operazione esprimendosi nel modo più
semplice e meno ambiguo che riuscirono a elaborare; e quando tutti e tre
ebbero finito, Jack Aubrey disse: «Ecco. Credo che abbiamo fatto tutto il
possibile. Se vorrete distribuire questi come parte degli ordini, William,
lasciando che i vostri comandanti ci ragionino su tutto domani, per
impararli a memoria e insegnarli alle ciurme delle scialuppe finché non li
sappiano parola per parola, mi renderete un grande servizio. Ora vi lascio,
porto la nave al largo. Raccoglierò le scialuppe domani nel passare e, se
tutto andrà bene, spero di vedervi verso mezzanotte o poco dopo. Ma se
non lo farò, William, se la mia impresa andrà male, voi non dovrete,
ripeto, non dovrete, seguirmi o lasciare che lo faccia qualcuna delle vostre
navi. Se la cosa si trascinerà a lungo dando ai francesi il tempo di ritrovare
la loro presenza di spirito e di capire che l'istmo non è affatto attaccato,
faranno un fuoco tale su quello stretto passaggio che nessuna potrà uscire
di lì. Ho detto la stessa cosa a Tom Pullings, che ha accettato».
«D'accordo, signore, farò come dite», acconsentì con riluttanza
Babbington, «ma vorrei tanto venire con voi.»
Durante il breve trasbordo fino alla sua nave, Jack studiò il cielo con la
massima attenzione: i veli di bruma, ancora visibili, si stavano diradando
però rapidamente e in alto il cielo era quasi sgombro, con qualche straccio
di cirri alti che si muovevano lenti da ovest sud-ovest tra le stelle.
«Speriamo che non diventi brutto prima di mattina», disse a Bonden a
mo' di scaramanzia.
«Certo che no, signore», rispose Bonden, «mai vista una nottata più
bella.»
Dopo aver dato gli ordini che avrebbero portato per un paio d'ore la
Surprise verso nord-ovest, per incrociare al largo durante il resto della
notte, Jack si ritirò nella cabina, che trovò illuminata ma vuota. Stephen
era già andato a dormire, lasciando alcuni appunti medici, tre volumi con
un segnalibro inserito, uno spartito scritto a metà e, accanto a una lente di
ingrandimento, tre taralli di Napoli già attaccati dai topi. Jack gettò i taralli
fuoribordo, prese la lente e studiò il barometro sospeso: era salito di un
pollice e il mercurio mostrava una decisa convessità, confermando la sua
opinione. Aprì lo scrittoio, dove la sua lettera a puntate a Sophia era
ancora spiegata dal giorno prima, si sedette e scrisse: «Mia cara, sono
appena tornato dalla Tartarus: William è stato fatto capitano di vascello! È
così felice e lo sono anch'io. È una notte tra le più belle che abbia mai

Patrick O'Brian 160 1988 - La Nave Corsara


visto, con il vento da ovest sud-ovest o appena a sud di ovest e un
barometro che sale dolcemente. Che Dio ti benedica, mia cara: sono sul
punto di ritirarmi, è stata una giornata davvero attiva oggi e spero che
domani lo sia molto di più». Accese la lanterna a mano e andò a letto. La
lanterna si agganciava in un piccolo alloggiamento di fianco alla branda e,
con lo sportello chiuso quasi completamente, lasciava trapelare non più di
un raggio sottile di luce morbida che illuminava un breve tratto dei bagli
sopra la sua testa. Contemplò quel raggio durante forse due minuti con
l'animo leggero: gli pareva di aver fatto tutto quanto stava in lui e, se il
tempo fosse stato favorevole, le speranze di un successo l'indomani non
sarebbero state infondate: l'impresa era assolutamente giustificabile anche
se molto meno fosse dipeso da essa; vi si sarebbe accinto in ogni
circostanza. Sapeva che i suoi colleghi potevano sbagliare, che l'ordine più
semplice poteva venire male interpretato o disatteso e che la sfortuna più
grottesca poteva sempre metterci lo zampino; ma i dadi erano stati gettati
ormai e occorreva attenersi ai risultati. Contemplando il raggio di luce,
avvertiva confusamente i suoni vivi della nave che correva sulla sua rotta a
nord-est su un mare leggermente in poppa, il ronzio soddisfatto del
sartiame ben tesato, non troppo rigido, l'occasionale cigolio della ruota e
l'odore complesso, fatto di pagliolo ben lavato, di aria di mare fresca, di
acqua stagnante nella sentina, di cordame incatramato e di tela da vele
umida.

*
Nella seconda parte della guardia del mattino del dodici, una giornata
grigia e tranquilla con una brezza leggera costante da ovest sud-ovest,
l'unico luogo confortevole della Surprise era la coffa di mezzana. I ponti
erano interamente occupati dalle squadre impegnate a issare le ultime
carronate dalla stiva, a calarvi i cannoni e ad assicurare il tutto in vista del
bombardamento notturno; poiché con le carronate non soltanto era
possibile fare fuoco molto più rapidamente che con i cannoni lunghi,
producendo così un fracasso anche più forte, ma erano pure necessari solo
due uomini per pezzo, contro i sei, otto dei cannoni. La cabina era
occupata dal comandante, dai suoi ufficiali e dai timonieri delle scialuppe,
intenti a definire una quantità di particolari. Gli uomini di medicina erano
saliti dunque sulla coffa molto presto, con libri, cannocchiali e scacchi.

Patrick O'Brian 161 1988 - La Nave Corsara


Una scacchiera era stata intagliata con precisione sul pagliolo della coffa e
su questa avevano appena finito di giocare una partita non molto
combattuta, terminata alla pari, e in quel momento se ne stavano sdraiati
sui coltellacci ripiegati.
In un volo sparpagliato di gabbiani, che risalivano faticosamente il
vento, le ali ad angolo, Stephen aveva individuato quello che riteneva
quasi certamente un Larus canus, abbastanza comune sulle coste irlandesi
della sua gioventù, parte della quale era stata trascorsa nell'ovest, dove
questi nidificavano in grande quantità sulle scogliere e sulle spiagge più
solitarie, e stava per dire: «Credo di aver avvistato una gavina», quando
Martin domandò: «Come rendereste peripeteia?»
«Be', sicuramente con 'rovescio di fortuna'. Senza dubbio voi intendete
in senso drammatico: ma non si può dire così anche in inglese? Il francese
ha certamente péripétie, anche se lo usano in modo lato, nel senso delle
vicissitudini ordinarie.»
«Credo di aver incontrato peripeteia in inglese. Ma è poco usato e non
credo che sarebbe di utilità per Mowett.» Porse a Stephen un volumetto
sottile, la Poetica di Aristotele, e disse: «Gli ho promesso che l'avrei
tradotta per lui».
«Ben gentile da parte vostra.»
«Lo sarebbe stato più veridicamente se mi fossi reso conto della
difficoltà; ma non è stato così. L'avevo letta all'università con il mio tutore,
un uomo eccellente, che Dio lo benedica, uno studioso con il grande dono
di far capire un testo alle menti più tarde e perfino di farlo amare. Con il
suo aiuto, ne avevo afferrato e trattenuto l'essenza; ma ora, tradurla in un
inglese che sia accurato e passabilmente scorrevole, un inglese quale
potrebbe essere parlato da un cristiano, temo che sia un compito superiore
alle mie capacità.»
«Da ciò che ricordo della natura mutevole e strana e dei molti tecnicismi
dell'opera, sarebbe superiore anche alle mie.»
«L'orgoglio e la precipitazione mi sono stati fatali. Quando Mowett mi
ha esposto la sua intenzione di scrivere un pezzo molto ambizioso
intitolato Tragedia di un ufficiale di marina, fondato sulla carriera del
comandante Aubrey, sulle sue vittorie e sulle sue sfortune, io gli ho detto
che speravo in un lieto fine. 'Non è possibile', ha ribattuto. 'Dal momento
che è una tragedia, deve finire in un disastro.' Io mi sono scusato per non
essere d'accordo con lui, ma avevo l'appoggio della maggiore autorità del

Patrick O'Brian 162 1988 - La Nave Corsara


mondo erudito, gli ho detto, di Aristotele in persona, il quale sosteneva che
la tragedia, pur dovendo trattare necessariamente delle gesta di uomini e
donne di animo grande in modo serio ed elevato, non doveva per questo
finire sempre male; e gli ho citato le poche righe che mi sono azzardato a
tradurre così: 'La natura dell'azione tragica ha sempre richiesto che la
portata sia la più ampia possibile senza oscurare la trama, e che il
numero di eventi che costituiscono una sequenza probabile o necessaria
tale da cambiare lo stato di un uomo dall'infelicità alla felicità o dalla
felicità all'infelicità debba essere il più piccolo possibile', e l'ho pregato di
notare che non soltanto nella tragedia era sovranamente possibile il
mutamento da uno stato di male a uno di bene, ma che Aristotele lo
indicava per primo.»
Due colpi della campana. La Surprise aveva ammorbidito molti rigori
della vita navale: nessun ufficiale o aiuto nostromo incitava gli uomini a
muoversi più rapidamente usando la canna o il capo di una cima; portare le
brande all'impavesata ogni mattina di bel tempo non era una corsa da
rompersi il collo; nessuno veniva frustato per aver lasciato per ultimo il
pennone; e gli uomini si muovevano sulla nave con libertà, parlando o
masticando tabacco, a seconda dei loro gusti. Ma rimaneva il culto
braminico della pulizia; le guardie e la successione dei turni continuavano
a essere sacre e lo era anche la cerimonia dei pasti. Verso la fine della
partita a scacchi, spezzando completamente la concentrazione, sotto di loro
si era scatenato il pandemonio della chiamata alle mense, seguito dai colpi
battuti sui gamellini e sui piatti, mentre la carne salata veniva portata dalla
cucina verso poppa, e dal rombo di tuono soffocato dei boccali di cuoio
catramato, mentre la birra arrivava dal barile al posto presso il boccaporto
di prua; perché la nave non era ancora in acque da grog e gli uomini
dovevano accontentarsi del tradizionale gallone di birra al giorno,
suddiviso in due volte, e che sulla Surprise, amante delle tradizioni, veniva
servito in quei boccali. E in quel momento il tamburino vicino al
cabestano, non più un fante di marina ma un marinaio prodiero
sufficientemente dotato, dopo un rullo preliminare, si lanciò nella sua
versione di Roast Beef of Old England, l'equivalente della campana per gli
ufficiali, l'avvertimento che molto presto il pranzo di questi ultimi sarebbe
stato in tavola.
I due balzarono in piedi e, mentre raccoglievano libri, carte e scacchi,
Stephen disse: «Sono così contento di quello che mi avete detto di

Patrick O'Brian 163 1988 - La Nave Corsara


Aristotele. Avevo dimenticato quelle parole o le avevo saltate, in verità ho
letto tutta l'opera con uno spirito distratto e ostile, avendocela con lui in
quei giorni lontani per le sue mediocri osservazioni sugli uccelli e per
essere stato il maestro di quell'animale pieno di sé, di quell'emerito
seccatore pubblico non diverso dal nostro Buonaparte. Ma, naturalmente,
era l'uomo più erudito del mondo». Si calò dalla buca del gatto e,
sostenendosi sui gomiti e cercando con il piede la grisella, disse a se
stesso: «Stanotte forse per Jack comincerà la sua vera peripezia. Dio mio,
spero tanto che questa tragedia possa finire bene e che...» A quel punto
mani premurose gli afferrarono le caviglie, guidandole fino a un solido
appoggio.
Nella cabina fu impressionato nel vedere Jack Aubrey, che lo aspettava
in piedi, insolitamente alto, grave e severo, vestito in un bell'abito verde
bottiglia e con una cravatta candida perfettamente annodata. «Davvero,
Stephen, sei proprio un bel tipo. Siamo invitati a pranzo nel quadrato e ti
presenti con l'aspetto di un individuo appena arrivato da una nave prigione.
Padeen! Passa parola per Padeen.» E a Padeen: «Fate la barba al vostro
padrone e rimettetelo subito in ordine; fategli indossare la sua giubba
migliore, brache di raso nere, calze di seta, scarpe con le fibbie d'argento.
Dovrà essere qui tra cinque minuti».
Cinque minuti dopo era lì, sanguinante per tre piccoli tagli sul mento e
con un'aria alquanto confusa. Jack gli asciugò il sangue con il fazzoletto,
gli raddrizzò la parrucca e il panciotto e lo condusse rapidamente nel
quadrato, dove furono accolti dai loro ospiti nel momento in cui la
campana suonava i tre colpi della guardia del pomeriggio.
Si dava il caso che quello fosse il primo invito da parte degli ufficiali da
quando la fregata era diventata una nave da guerra privata. Prima della
cattura della Spartan e delle sue prede, essi erano stati troppo poveri per
poterlo invitare e, durante i giorni estenuanti nella cala di Polcombe, non
era stata possibile nessuna specie d'intrattenimento. Quello fu perciò un
pasto splendido più del solito, anche perché il cuoco della mensa degli
ufficiali era deciso a surclassare Adi. Eppure, benché la tavola fosse
imbandita di delizie quali aragoste, gamberi, granseole, sogliole e cozze, il
tutto ottenuto con la corruzione dalla Tartarus, tra i commensali vi erano
spazi disperatamente vuoti. Jack era stato ospite a quella tavola molte volte
durante tutti quegli anni e l'aveva sempre vista affollata e talvolta con i
convitati gomito a gomito; ma ora non erano presenti ufficiali dei fanti di

Patrick O'Brian 164 1988 - La Nave Corsara


marina, non c'erano nocchiere, né commissario di bordo, né cappellano, né
invitati dall'alloggio degli allievi o da altre navi ed egli occupava un lato
tutto da solo, alla destra di Pullings. Di fronte a lui sedevano Stephen e
Davidge, mentre Martin era all'altro capo della tavola. E fu un impegno
faticoso, perlomeno all'inizio. Jack Aubrey, pur conoscendo West e
Davidge e apprezzando la loro competenza professionale, non li aveva mai
frequentati fuori del servizio e con loro non si sentiva a suo agio; né lo era
più con nessun estraneo, dopo il processo. In quanto ai due ufficiali, egli li
intimidiva; anche loro, inoltre, erano stati sconvolti dalla perdita del loro
brevetto e, con questa, dei mezzi di sostentamento, del futuro e di gran
parte della loro identità. E coloro che non dovevano partecipare alla
spedizione di cattura in porto erano acutamente consapevoli del fatto che
entro poche ore gli altri sarebbero partiti, ancor più consapevoli dei diretti
interessati, e sentivano che la gaiezza sarebbe stata fuori luogo. Vi era
tensione anche tra quanti avrebbero partecipato alla spedizione e, nel caso
di Jack Aubrey, si trattava di una tensione quale mai aveva sperimentato
prima di quel momento, pur avendo partecipato a più azioni di guerra della
maggior parte dei marinai della sua età. Osservò con stupore che il
pezzetto di aragosta sulla sua forchetta, in attesa che Davidge finisse la
frase, stava tremando. Mandò giù in fretta il boccone e, la testa piegata
sulla spalla e un sorriso educato sulla faccia, continuò a prestare attenzione
al racconto errabondo che si stava trascinando con grande lentezza verso
un finale inconcludente: Davidge aveva viaggiato in Francia durante la
pace; aveva avuto il desiderio di cenare in una famosa trattoria tra Lione e
Avignone, ma il locale era pieno e qualcuno gliene aveva suggerito un
altro, nei pressi della cattedrale. Lì era stato l'unico avventore e aveva
attaccato discorso con il padrone della locanda; avevano parlato di quella
cattedrale e di altre cattedrali, e Davidge aveva osservato che a Bourges
era stato colpito dalla bellezza straordinaria di un ragazzo del coro. Il
padrone, un pederasta, aveva frainteso le sue parole e gli aveva fatto una
proposta a malapena velata; Davidge però era riuscito a dire di no senza
offenderlo e l'uomo l'aveva presa così bene che si erano lasciati in ottimi
termini, e il pagamento dello splendido pasto era stato rifiutato
risolutamente. Ma Davidge, avendo finalmente raggiunto il Rodano dopo
innumerevoli parentesi, intuì all'improvviso che la sodomia, per quanto
divertente in se stessa e giustificazione di ogni specie di aneddoto, per
quanto lungo, non era adatta a quel comandante grave e attento, e cercò di

Patrick O'Brian 165 1988 - La Nave Corsara


dare al suo racconto una piega diversa che non fosse completamente
sciocca, un tentativo vano dal quale lo salvò la successiva portata,
consistente in una testina di maiale in salamoia (uno dei piatti preferiti di
Jack) e in una sella di montone che fu affidata a Martin per il taglio.
Martin, celibe frequentatore di trattorie modeste fino al suo recente
matrimonio, non aveva mai affettato una sella di montone in vita sua; non
lo fece neanche in quell'occasione, perché, con una poderosa spinta della
forchetta, la fece volare dritta in grembo a Davidge, il quale fu salvato così
dal suo impiccio, sebbene a costo delle brache: un prezzo modesto da
pagare, pensò Davidge. La sella di montone fu passata in silenzio a
Stephen, che la tagliò con perizia chirurgica.
Era un buon montone, ben frollato e arrostito a puntino, e con esso
arrivò in tavola un bordeaux veramente superbo, che piacque tanto a Jack
Aubrey da fargli tornare alla mente dopo il primo bicchiere uno dei pochi
ricordi dell'educazione ricevuta sulla terraferma. «Nunc est bibendum»,
declamò, guardando con un certo trionfo Stephen e Martin, «e, sul mio
onore, non si potrebbe trovare facilmente un vino migliore per alzare il
gomito.»
Dopo di ciò il pranzo proseguì più agevolmente, sebbene non fosse
possibile eliminare del tutto la tensione, dal momento che erano state
portate in coperta due mole sulle quali l'armaiolo e il suo aiutante stavano
affilando sciabole e asce d'arrembaggio, e il loro stridore acuto richiamava
alla mente il pensiero del futuro. Il banchetto non era per altro realmente
conviviale, visto che si erano formati due gruppi: Aubrey e Pullings
conversavano a bassa voce di vecchi compagni di navigazione e di
missioni passate, mentre Stephen e Davidge parlavano delle difficoltà di
restare vivi da studenti del Trinity College di Dublino: un cugino di
Davidge era stato ferito tre volte, due di spada e una con un colpo di
pistola.
«Non sono litigioso, né incline a offendermi, eppure credo di essermi
battuto una ventina di volte durante il primo anno», ricordò Stephen.
«Oggi la situazione è migliorata, penso, ma a quei tempi era una
disperazione.»
«Così diceva mio cugino. E quando veniva a trovarci in Inghilterra, mio
padre e io gli davamo qualche lezione di scherma. Replica, controreplica,
parata, terza, per tutta l'estate; ma perlomeno è sopravvissuto.»
«Siete uno spadaccino provetto, a quanto vedo.»

Patrick O'Brian 166 1988 - La Nave Corsara


«No, io no. Ma lo era mio padre e mi ha reso abbastanza competente. Mi
è stato utile in seguito, quando mi sono trovato in difficoltà, avendo
lasciato la marina, perché Angelo* [* Domenico Angelo Malevolti
Tremamondo (1716-1802), italiano stabilitosi in Inghilterra, fondò una
celebre scuola di scherma, portata avanti dal figlio Henry Angelo e dal
nipote. (N.d.T.)] mi ha impiegato per un certo tempo nella sua salle
d'armes.»
«Davvero? Mi fareste realmente una cortesia se voleste scambiare
qualche stoccata con me dopo pranzo. Sono alquanto fuori esercizio e mi
dispiacerebbe farmi infilzare come un sempliciotto, stasera.»
Stephen non era l'unico a bordo della Surprise ad avere avuto quell'idea
e quando i commensali salirono in coperta per prendere una boccata d'aria
sul cassero, udirono gli spari regolari degli uomini che si esercitavano nel
colpire con la pistola bottiglie a distanza ravvicinata, perché le carronate
erano ormai tutte al loro posto, le scialuppe a rimorchio, due per due, e le
armi erano state distribuite. Il mare, il vento, il cielo erano più o meno
immutati, dolci, grigi, calmi: un giorno senza tempo.
Jack studiò il mostrarombi, fischiettando piano tra sé, poi disse
all'ufficiale di guardia: «Signor West, agli otto colpi abbatteremo e faremo
rotta a est sud-est, con tutte le vele a riva». Dopo un giro o due del cassero,
andò a prendere nella cabina la sua spada, una pesante sciabola da
cavalleria, menò qualche fendente in aria e infine la portò dall'armaiolo per
farla affilare.
«Allora, dottore», disse Davidge, «vogliamo provare?»
«Ne sarò felicissimo», lo ringraziò Stephen, gettando in mare il
mozzicone di sigaro che sibilò per un istante.
«Queste sono invenzioni brevettate di Angelo», spiegò Davidge quando
furono entrambi pronti, le giacche piegate sul cabestano e le cravatte
allentate. «Si fissano sulla punta, in modo che si possa usare la propria
spada. Molto, molto superiori a qualsiasi altra forma di bottone da
fioretto.»
«Grazie a Dio», disse Stephen.
Salutarono e rimasero in posa per un momento, eseguendo minuscoli
movimenti minacciosi quasi impercettibili con la punta o con il polso; poi
Stephen, battendo due volte il piede come un torero, si lanciò su Davidge
con straordinaria ferocia. Davidge parò e i due girarono l'uno intorno
all'altro rapidamente, incrociando le spade ora in alto ora in basso, talvolta

Patrick O'Brian 167 1988 - La Nave Corsara


quasi sfiorandosi, talaltra distanti due braccia.
«Fermo!» gridò Stephen, facendo un salto indietro e alzando la mano.
«La fascia delle mie brache è distrutta. Martin, volete essere così gentile da
riallacciare la fibbia?»
Una volta riallacciata la fibbia, si salutarono di nuovo e di nuovo, dopo
un'immobilità da rettile, Stephen si gettò sull'avversario, gridando: «Ha!
Ha!» Ancora una volta le stesse parate, le stesse piroette e lo stesso cozzo
di spade, così veloci che solo i due spadaccini potevano seguirne il
movimento, di nuovo il battere dei piedi e il respiro ansante, gli affondi, la
stessa straordinaria agilità, poi si avvertì un cedimento del ritmo, un errore
impercettibile e la spada di Davidge finì nelle brande all'impavesata.
Davidge si contemplò la mano vuota per un momento, profondamente
impressionato, ma, nell'acclamazione generale, si diede rapidamente un
contegno e gridò: «Ben fatto! Ben fatto! Sono un uomo morto... un altro
dei vostri cadaveri, suppongo».
Poi, dopo aver recuperato la spada e constatando che non era stata
danneggiata, chiese: «Posso vedere la vostra?» Stephen gliela porse e
Davidge la rigirò tra le mani, la soppesò, osservando attentamente il
guardamano e l'impugnatura. «Una guardia a molla?» domandò alla fine.
«Proprio così. Aggancio la lama dell'avversario qui; è sufficiente
cogliere il momento giusto e fare leva.»
«Un'arma letale.»
«Dopotutto, le spade sono fatte per uccidere. Ma vi ringrazio di cuore,
signore, di questo esercizio; siete la compiacenza in persona.»
Suonarono gli otto colpi: immediatamente si udì il comando: «Tutti gli
uomini pronti a virare!» e la Surprise cominciò la lunga, rapida curva che
portò la sua prua a est sud-est e sulla rotta verso il punto in cui avrebbe
intercettato la squadra di Babbington diretta al largo. Il sole sarebbe
tramontato durante il secondo gaettone e tutti sapevano che quello sarebbe
stato l'ultimo bordo prima che gli uomini si calassero nelle scialuppe per la
lunga remata intorno a capo Balena. Benché i gabbieri più giovani, poco
più che ragazzi, si lanciassero sulle sartie in alto, inseguendosi da una
formaggetta all'altra e dalle crocette alla trinca dell'asta di fiocco,
l'atmosfera a bordo era grave.
Jack e Stephen presero tutte le disposizioni abituali prima di un
combattimento e consegnarono i documenti a Pullings; tutti gli ufficiali
della nave lo avevano fatto molto spesso, era una cosa scontata prima di

Patrick O'Brian 168 1988 - La Nave Corsara


un'azione di guerra, eppure ora sembrava qualcosa di più di una
precauzione diligente, qualcosa di più di un formale inchino al fato.
I colpi della campana si susseguirono; il sole si abbassò finché non fu al
di sotto del pennone di trinchetto; gli uomini furono chiamati alle mense.
«Perlomeno non è stato necessario calare tutto quanto nella stiva», disse
Stephen a se stesso, fissando uno spartito sul leggio-scrittoio di Diana.
Suonò alcuni accordi profondi che fecero tremare la vetrata, poi cominciò
a tastare il terreno di un pezzo per lui nuovo, una sonata di Duport. Era
ancora all'andante, con il naso che quasi toccava lo spartito, quando Jack
entrò e disse: «Ma, Stephen, sei completamente al buio. Così ti rovinerai
gli occhi. Killick, Killick, muoversi con la lampada!»
«Il sole è tramontato, suppongo.»
«Lo fa, di tanto in tanto, mi dicono. Il vento è rinfrescato e navighiamo
con le sole vele di straglio.»
«È una cosa buona?»
«Significa che, se per caso qualche ficcanaso a spasso lungo capo
Balena nel mezzo della notte ci scorgesse in lontananza, nel buio ci
scambierebbe per una robetta a vele auriche, di nessuna importanza. Vado
a cambiarmi.»
«Forse dovrei farlo anch'io. E devo senz'altro occuparmi della rivoltella
che mi ha dato Duhamel. Sono ancora addolorato per il povero Duhamel,
un uomo di qualità così amabili. Perdio, me n'ero quasi dimenticato!»
esclamò, battendosi la mano sulla tasca delle brache. Si affrettò a scendere
nella cabina di Pullings e disse: «Tom, prego, attaccate questo al pacchetto
che vi ho dato, se, Dio non voglia, doveste consegnarlo voi. E, per favore,
abbiatene grande cura, non toglietelo mai di tasca, è un grossissimo,
prodigioso gioiello».
«Lo terrò qui, al sicuro, nel taschino dell'orologio», lo rassicurò Pullings.
«Ma sono certo che lo riavrete prima di domattina.»
«Spero di sì, mio caro, spero proprio di sì. Ditemi, ora, che cosa sarebbe
appropriato indossare in un'occasione come questa?»
«Stivali, pantaloni comodi, una robusta giacchetta di lana, il cinturone
della spada e una fascia alla vita per le pistole. Signore Iddio, dottore,
come vorrei venire con voi!»
Tornato nella sua cabina, Stephen esaminò il suo magro guardaroba alla
ricerca di un equivalente di tali indumenti, con un successo mediocre;
dibatté anche tra sé, ma in questo caso con maggiore successo, se la

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presente congiuntura gli permettesse di fare un'eccezione alla regola e di
assumere una dose di laudano in più, non in verità come soporifico, ben
lungi anzi, ma quale mezzo per eliminare l'illogico disagio puramente
istintivo che avvertiva e perciò rendere la sua mente più agile nel fare
fronte a ogni contingenza. Se invece della sua tintura di laudano avesse
avuto quelle benedette foglie di coca che aveva sperimentato nell'America
del Sud, non avrebbe avuto dubbi: quelle certamente gli avrebbero
stimolato l'intero sistema, rinforzando muscoli e nervi; laddove, al
contrario, doveva ammettere che la tintura di laudano aveva la lieve
tendenza a produrre una disposizione di spirito più contemplativa. Ma da
un bel pezzo aveva già mangiato, o piuttosto masticato, tutte le sue foglie
di coca, e restava il fatto che, in caso di emergenza, la tintura aveva dato
sempre buoni risultati - le sue virtù essendo superiori ai suoi trascurabili
difetti - e, comunque, la stimolazione esterna che un tale genere di evento
doveva necessariamente produrre avrebbe più che contrastato qualsiasi
impercettibile traccia di narcosi. La destinazione della Diane rivelava con
certezza che a bordo vi sarebbe stato un agente importante; la sua cattura
era dunque di primaria importanza; trascurare anche il più piccolo passo
che potesse accrescere le possibilità di successo sarebbe stato un grande
errore; nessun ragionamento era più debole che supporre una
contraddizione tra dovere e inclinazione personale.
Finì il suo bicchiere di laudano con piacere, anche se non con piena
soddisfazione, e si accinse al lavoro metodico e preciso di caricare la
rivoltella, mentre Killick e i suoi aiutanti si davano un gran da fare nella
cabina per preparare le lanterne cieche. Quando salì in coperta era già
buio. A sud-est si scorgeva la squadra che si dirigeva verso il largo, le
lanterne di poppa e i portelli dei cannoni brillanti, le navi allineate con
mure a dritta: e al di là delle navi, molto al di là, il lampo intermittente e
regolare del faro di capo Balena.
Tutti gli ufficiali erano sul cassero e osservavano in silenzio le navi:
Jack, solo, in piedi all'impavesata sopravvento, teneva le mani dietro la
schiena, dondolandosi per contrastare il beccheggio e il rollio. Nessuna
luce a bordo, a parte il fioco lume della chiesuola, e poca luce anche dal
cielo, la luna vecchia ormai all'ultimo giorno era già tramontata e la bruma
leggera nascondeva tutto tranne le stelle più brillanti, anch'esse un
semplice baluginio: una notte straordinariamente oscura. Sebbene la costa
fosse ancora molto lontana, sembrava naturale a quei pochi che parlavano

Patrick O'Brian 170 1988 - La Nave Corsara


di farlo in tono sommesso. Si udiva la sgradevole voce nasale di Killick
che litigava con il cuoco del comandante, giù in basso nelle viscere della
nave: «Tu fai il tuo fottuto patté come ti ho detto, marinaio, e io farò il mio
formaggio e pane tostato all'ultimo momento mentre tu sbatti l'uovo nel
marsala. Il dottore ha detto che bisogna ripararlo dall'umidità dall'alto,
come diciamo noi; ma non scenderà prima che abbiamo raccolto le
scialuppe».
Killick aveva ragione. Nulla, tranne il Giudizio universale, avrebbe
allontanato Jack Aubrey dall'impavesata prima di avere preso a rimorchio
le scialuppe della squadra. Di tanto in tanto chiamava: «Attenti a prua,
lassù!» al marinaio sulle crocette, e una volta l'uomo avvertì il ponte:
«Credo di aver visto una luce scendere dalla murata della Tartarus».
Passò mezz'ora, e la linea delle navi si avvicinò sempre di più finché
Jack, riempiendosi i polmoni, non gridò a gran voce: «Ehilà della
Tartarus!»
«Surprise?» giunse la risposta. «Le scialuppe si scosteranno subito e si
dirigeranno a sud-est. Volete mostrarci un lume?» Jack aprì per un attimo
la sua lanterna cieca e udì il comando: «Scialuppe via!» E poi, mentre le
due navi si incrociavano, un'altra voce, quella di Babbington: «Dio vi
benedica, signore».
La squadra proseguì sulla sua rotta, e ben presto sulle scialuppe
s'intravidero le lanterne schermate per non essere visibili dalla costa
lontana. Grida soffocate e pressanti mentre gli uomini nelle sei scialuppe
della Surprise assicuravano le nuove arrivate, e Jack chiamò al di sopra del
coronamento: «I comandanti delle scialuppe a bordo!» I suoi occhi abituati
al buio li distinguevano senza difficoltà al riflesso della luce della bussola:
un muscoloso aiuto nocchiere della Tartarus di circa trent'anni e i nostromi
delle altre tre, marinai di grandissima esperienza che conosceva e stimava.
Indicarono le loro navi e il numero di uomini imbarcati sulle scialuppe;
dalle loro risposte si capiva benissimo che avevano perfettamente
compreso ciò che dovevano fare e il loro aspetto suggeriva che molto
probabilmente lo avrebbero fatto.
«Gli uomini hanno avuto un buon pasto prima di lasciare la nave?»
domandò Jack. «In caso contrario potranno mangiare qui. In una faccenda
come questa, una pancia piena vale mezza battaglia.»
«Oh, sì, signore», risposero. Era stata servita carne di maiale fresca e
sulla Tartarus il budino con l'uvetta.

Patrick O'Brian 171 1988 - La Nave Corsara


«Ora, signore, prego», disse la voce querula e scontenta di Killick alle
sue spalle, «il vostro patté è pronto e il formaggio si rovina a non
mangiarlo caldo.»
Jack considerò la costa lontana, annuì e scese sottocoperta. Stephen era
già nella cabina, seduto alla luce di un'unica candela. «Non è molto diverso
dall'essere su un palcoscenico e aspettare che si alzi il sipario», osservò.
«Mi domando se gli attori abbiano lo stesso senso distorto del tempo, di un
presente che avanza, certo, ma solo come l'ombra su una meridiana:
impercettibilmente. E che può anche tornare indietro.»
«Forse sì», mormorò Jack. «Mi hanno detto che i banchetti sulla scena
sono tutti di cartapesta: salsicce di cartapesta, cosciotti di montone di
cartapesta, prosciutto di cartapesta, di cartapesta anche i bicchieri nei quali
fanno finta di bere. Perdio, Stephen, questo pàté di Strasburgo è
assolutamente magnifico. Lo hai assaggiato?»
«No.»
«Lascia che ti serva.»
In generale l'oppio toglieva l'appetito a Stephen al punto che, dopo una
dose considerevole, non gustava più il cibo, ma ora disse: «Squisito», e
porse il piatto per averne ancora. Arrivò poi in tavola il formaggio alla
griglia, con il quale si divisero una bottiglia di Hermitage; amavano
entrambi il vino e sapevano che quella avrebbe potuto essere la loro ultima
bottiglia. Se così fosse stato, perlomeno avrebbero avuto un nobile finale,
perché quello era un superbo vino nel fiore dei suoi anni, un vino che
sopportava di essere sballottato sul mare: lo sorseggiarono lentamente,
senza quasi parlare, ma restando seduti in un silenzio amichevole alla luce
della candela mentre la nave si andava progressivamente avvicinando alla
costa.
Durante quell'ultima ora non era suonata la campana a bordo, ma Jack
udì dare il cambio alla ruota alla fine del turno. Vuotò il bicchiere e, con il
sapore del vino ancora sul palato, prese una bussola azimutale di sua
invenzione. «Vado a fare il punto», disse a Stephen.
Lontano a poppa si distinguevano le navi della squadra, solo vagamente,
però, essendo stato dato il comando di spegnere le luci poco dopo il loro
incontro; dritto a prua si elevava l'alto capo Balena, nero, nerissimo, a
circa tre miglia di distanza. Ogni due minuti il promontorio svaniva,
quando il raggio del faro colpiva in pieno l'osservatore, accecandolo; ma
una volta passato, vi era tempo sufficiente per riacquistare la visione

Patrick O'Brian 172 1988 - La Nave Corsara


notturna e individuare le luci sulla terraferma e qualcosa della costa a nord
nord-est di capo Balena. Ben presto sarebbe stata visibile la linea bianca
della risacca, specialmente ai piedi del capo, perché il moto ondoso era
notevole e la marea ormai crescente. Jack conosceva bene il profilo della
costa, grazie alla sua eccezionale memoria visiva e avendola studiata per
ore sulla carta; sapeva quindi che entro mezz'ora sarebbe stato in grado di
tracciare la rotta per l'ancoraggio che aveva in mente, un fondale buon
tenitore molto vicino a terra, dove la fregata sarebbe stata al riparo al fuoco
dei cannoni che difendevano il vulnerabile istmo.
«Signor Pullings, l'ancora è a pennello?» domandò nel silenzio.
«Sì, signore: è pronta anche la gomena per l'afforco.»
«Allora caliamola un pollice alla volta dall'occhio di cubia: poi potremo
mollarla senza far rumore. Vado a dare un'occhiata alle scialuppe.»
Affidò la sua bussola al quartiermastro e andò a poppa. Era a casa sua
sulla Surprise come lo era ad Ashgrove, forse anche più, e, scavalcato il
coronamento, scese dalla biscaglina di poppa senza pensarci un momento.
Percorse la fila di scialuppe fino alla lancia della Tartarus: «Salute,
Tartarus», disse a bassa voce. «Salute, signore», risposero tutti, altrettanto
sommessamente. Sentì al tatto gli scalmi imbottiti e commentò: «Bene,
molto bene. Ci avvieremo molto presto, perciò, ricordate: non una parola,
non una parola, e remate senza far rumore. Quando vi mollerò, state pronti
alla voga, mettete la fascia al braccio e tenetevi pronti ad arrancare da eroi
quando vi darò il segnale, ma non un momento prima».
«Siamo pronti, aye, signore.»
Gli uomini della Dolphin, della Carnei e della Vulture ricevettero lo
stesso saluto, lo stesso messaggio, e anch'essi parvero convinti della
necessità di non far rumore. Quando fu di nuovo a bordo, Jack si accinse a
rilevare la posizione: poteva vedere la risacca ormai e, con la tesa del
cappello a riparargli gli occhi, il raggio di luce del faro lo aiutò molto. In
piedi accanto alla ruota, diede istruzioni e, quando i punti di rilevamento
furono allineati, ridusse la velatura: così la nave scivolò sull'acqua con la
corrente di marea e con le sole vele di straglio di trinchetto e di maestra, la
brezza gentile appena al lasco. In un silenzio di morte passarono sotto l'alta
scogliera del faro, così vicini alla costa da essere quasi sull'orlo dei
frangenti, così vicini che gli uomini trattennero il respiro; e anche quando
ebbero superato la sporgenza del capo, il frangersi regolare delle onde
rimase un tiro di pistola a sinistra. Erano ormai all'ombra della scogliera

Patrick O'Brian 173 1988 - La Nave Corsara


dove non poteva raggiungerli nemmeno il raggio di luce diffusa del faro,
che illuminava tuttavia l'altura, il riparo vitale da quel lato del forte. Jack
mollò in bando le scotte e mormorò: «Pronti a dare ancora». La Surprise
continuò ad avanzare con la marea; di nuovo il raggio di luce passò,
illuminò l'altura; la nave era esattamente dove doveva essere e a voce alta
Jack ordinò: «Fondo!» L'ancora scivolò silenziosamente in diciotto braccia
d'acqua; gli uomini filarono una buona lunghezza di gomena con mezze
parole e gesti, poi, quando l'ancora ebbe fatto testa, disposero l'afforco in
modo che la nave mostrasse il bordo all'istmo, sul quale si scorgevano
parecchie luci, la parte più meridionale dell'abitato.
Jack guardò l'orologio alla luce di chiesuola e disse: «Via il cutter blu».
Da mezz'ora la ciurma del cutter era adunata sul passavanti di dritta e gli
uomini sfilarono davanti a lui con il nostromo; poi fu la volta di quelli del
cutter rosso dal passavanti di sinistra, comandati dal capocannoniere; dopo
di loro, alternandosi sui passavanti, sfilarono i marinai della pinaccia con
Davidge, della iole con West, della scialuppa con Bentley, il carpentiere, e
per ultimo quelli della sua lancia. Mentre Bonden passava, Jack lo prese
per un braccio e gli disse a bassa voce: «Restate molto vicino al dottore
quando andremo all'abbordaggio». Poi scese nella cabina dove Stephen
stava giocando a scacchi con Martin alla luce tremolante della candela, la
spada posata sul tavolo di fronte a lui. «Vuoi venire?» gli domandò.
«Stiamo andando.»
Stephen si alzò, sorridente, e si mise il cinturone a tracolla. Martin glielo
allacciò dietro la schiena, un'espressione terribilmente preoccupata in
volto. Jack li precedette sul cassero, fino al coronamento, dove Pullings e
Martin li avevano seguiti per dire loro: «Dio sia con voi», poi Jack e
Stephen discesero la biscaglina di poppa. Le scialuppe avevano già
formato la lunga fila che la lancia del comandante doveva guidare; e
quando Jack l'ebbe raggiunta, ultimo della squadra, Bonden scostò e Jack
disse piano: «Via così».
All'inizio dovettero remare contro la corrente di marea, contro il moto
ondoso e contro la brezza moderata, ma lo zelo fece superare tutto durante
i primi tre quarti d'ora. A quel punto, già al largo della punta di capo
Balena, ben lontani dai frangenti, remavano con forza e regolarmente, non
un solo cigolio dalle scalmiere, non un solo rumore, se non un colpo di
tosse subito soffocato. Da capo Balena, Jack guardò verso il largo: la
squadra non era in vista. Babbington si stava probabilmente dirigendo

Patrick O'Brian 174 1988 - La Nave Corsara


verso terra, silenzioso.
Lungo l'estremità del capo e ancor più quando piegarono a est, la
corrente di marea li favorì: Jack controllò l'impeto dei rematori e diede il
passa parola per la sostituzione delle squadre ai remi.
Altri venti minuti e l'imboccatura del porto cominciò ad aprirsi davanti a
loro, con una discreta luminosità al di sopra di essa. Ben presto si scoprì
tutto il lato verso nord, le luci sul fondo della baia e, di un'importanza
infinitamente maggiore, il frangiflutti. Più vicino, ancora più vicino,
remando piano e una volta doppiato il frangiflutti, si vide una piccola luce
che si alzava e si abbassava, avvicinandosi rapidamente. Forse si trattava
soltanto di una barca che usciva per la pesca notturna. Jack aprì la lanterna
cieca.
«Ohé, du bateau», chiamò la barca.
«Ohé», rispose Stephen, la mano di Jack sulla sua spalla. «La Diane, où
est-ce qu'elle se trouve à présent?»
«Au quai toujours, nom de Dieu. T'es Guillaume?»
«Non. Etienne.»
«Bon. Je m'en vais. Qu'est-ce que tu as là?»
«Des galériens.»
«Ah, les bougres. Bon. Au plaisir, eh?»
«Au plaisir, et je te souhaite merde, eh?»
Continuarono a remare, il ritmo leggermente meno regolare; e ora il
frangiflutti, con le luci che brillavano dalle feritoie del suo bastione
all'estremità verso terra, era in piena vista. E una festa si stava
evidentemente svolgendo nel bastione, canti, risate, una specie di musica.
Jack prese la barra dalle mani di Bonden, sentì la corrente - era appena
cominciato il riflusso - e accostò, tenendosi il più lontano possibile dal
frangiflutti senza rischiare però di trovarsi sui banchi di sabbia dall'altra
parte. Nessuno intimò l'alt alla lancia. Nessuno intimò l'alt alla seconda
scialuppa e nemmeno alla terza: nessuno. Erano passati, erano dentro il
porto: forse dentro una trappola. E, parlando in modo da farsi sentire al di
sopra delle risate provenienti dal bastione, Jack disse a Bonden: «Pronti
con il razzo blu». Egli stesso era in piedi e nella luce soffusa riusciva a
distinguere qualcosa della banchina, con il naviglio ormeggiato lungo di
essa: silenziosamente si avvicinarono ancora ed ecco che si vide
chiaramente un brigantino, qualche altro bastimento, la Diane e due
mercantili. Ancora più vicino, pagaiando ormai, e la massa che

Patrick O'Brian 175 1988 - La Nave Corsara


s'intravedeva a prua della Diane divenne riconoscibile: due barche
cannoniere, ormeggiate l'una di fianco all'altra.
«Molto bene», disse Jack. «Tartarus, Dolphin, Carnei, Vulture, pronti
alla voga. Bonden, il razzo blu.»
Bonden avvicinò l'esca accesa e, all'inizio con volo incerto, poi sempre
più deciso, il razzo salì, salì, ed esplose in una grande stella azzurra che
fluttuò sottovento con il suo fumo bianco. Dopo un secondo dallo scoppio
tutto il cielo a meridione s'incendiò: la Surprise aveva risposto con una
bordata.
«Via e arranca!» gridò Jack e, mentre le imbarcazioni si lanciavano in
avanti, il rombo profondo delle carronate li raggiunse, riecheggiando da un
lato all'altro del porto.
Le scialuppe si diressero veloci verso le loro postazioni e, quando la
lancia urtò con violenza contro la murata all'altezza dei parasartie di
maestra, una voce indignata gridò: «Mais qu'est-ce qui se passe?» e un
uomo si sporse dall'impavesata. Ma fu all'istante sopraffatto dalla squadra
degli arrembatoti, mentre la magra guardia di porto fu scaraventata nei
boccaporti dagli uomini che avevano abbordato la nave a prua e poppa.
Stephen, seguito da Bonden, non si precipite nella cabina, ma nel posto
dove sarebbe stato egli stesso in condizioni simili: e là, seduto a un tavolo
e intento a scrivere, trovò un uomo di mezz'età che alzò il capo con stupore
irato. «Immobilizzatelo, Bonden», ordinò Stephen, puntando la pistola alla
testa dell'uomo. «Legategli le mani e gettatelo in una scialuppa. Non deve
dare l'allarme e non deve fuggire.» Nel frattempo Padeen e Darkie
Johnson, discesi di corsa gli scalandroni di prua e di poppa, passarono
dalla nave alla banchina e tranciarono le cime; i gabbieri corsero a riva e
mollarono il parrocchetto, tagliando simultaneamente i caricaboline e gli
imbrogli di mezzo; nel ponte di batteria gli arrembatori di tre scialuppe
stavano intanto sopraffacendo gli uomini della guardia sottocoperta,
buttandoli giù dalle brande, trascinandoli con le loro donne nella stiva e
bloccando subito dopo i boccaporti. E durante tutto quel tempo la Surprise
ruggiva e tuonava come un vascello di linea, mentre le campane delle
chiese di Saint-Martin suonavano all'impazzata, i tamburi rullavano da una
dozzina di punti diversi, le trombe suonavano e file di torce si affrettavano
verso l'istmo.
Gli arrembatori in coperta e sottocoperta circondarono gli ultimi della
Diane: qualche scaramuccia, uno sparo o due di pistola e gli uomini della

Patrick O'Brian 176 1988 - La Nave Corsara


Diane furono scortati nella stiva, dove fu aperto il boccaporto di poppa per
lasciarli passare.
«Signor Bulkeley», disse Jack, in piedi accanto agli uomini designati a
stare al timone, «capocannoniere, prendete i cutter e rimorchiatela per
liberare la prua.»
Le ciurme si calarono in un momento nei cutter e portarono fuori una
cima, remando splendidamente; ma il loro zelo e una sfortunata raffica
nella gabbia spiegata fecero incastrare la prua della Diane tra le due barche
cannoniere ormeggiate davanti a lei. Jack corse a prua e scrutò in basso
nell'acqua nera. «Signor West», chiamò, «saltate giù con una squadra e
portate nella corrente la barca cannoniera esterna.»
«Signore!» gridò West, ritornando a bordo inzuppato, ansimante e scuro
in faccia. «È ormeggiata con una catena a prua e a poppa.»
«Molto bene», disse Jack, vedendo Davidge accanto a lui e uomini
lungo entrambi i passavanti. «Voi due prendete le vostre squadre e spostate
i due mercantili a poppa. Non credo che vi daranno grossi problemi.»
Non diedero problemi. Ma, nel momento in cui le due navi si mossero
verso la corrente, la scena cambiò completamente. Da una strada che
scendeva dall'altura fino al centro della banchina arrivò un gruppo di
marinai a cavallo, gli ufficiali della Diane, seguiti dai marinai in
franchigia, mentre una truppa di soldati avanzava a passo di corsa
sull'acciottolato.
Jack si sporse dall'impavesata di dritta e gridò forte e chiaro: «Davidge,
West, liberatele la poppa e muoversi, muoversi, mi avete sentito?» Non ci
fu tempo per altro. La Diane aveva ancora gli scalandroni che la univano
alla banchina e, pur essendo libera a poppa, il suo mascone di sinistra era
ancora incuneato tra le barche cannoniere, strettamente ormeggiate alla
banchina; e il riflusso la stava incastrando ancora più profondamente.
L'ufficiale in testa al drappello fece saltare il cavallo sul cassero della
fregata, la pistola puntata contro l'uomo al timone; ma l'animale inciampò
e cadde. Jack afferrò il cavaliere e lo scaraventò in mare. Ma altri lo
avevano seguito, cinque cavalli almeno, e uomini a piedi sciamavano a
bordo dagli scalandroni a prua e a poppa; alcuni cercarono di tesare i
caricaboline e gli imbrogli di mezzo per serrare le vele, solo per trovarli
tagliati, mentre altri si gettavano sui passavanti per unirsi alla lotta
violentissima e confusa sul cassero: cavalli caduti scalciavano
furiosamente e formavano una barriera, ma quando due di essi riuscirono a

Patrick O'Brian 177 1988 - La Nave Corsara


rialzarsi, lasciarono spazio sufficiente per un attacco singolarmente
accanito condotto dal comandante della Diane. Jack, bloccato al cabestano
dalla folla incalzante, vide Stephen sparare freddamente, colpire l'uomo
alla spalla e trapassargli il corpo con la spada. Seguì una lotta furibonda,
un corpo a corpo ancora più confuso, con colpi avvertiti ma non visti,
uomini della Surprise che da sottocoperta e dalle scialuppe gridavano:
«Buon Natale!» e si lanciavano nella ressa con le sciabole corte e le asce
d'arrembaggio. Ma ora i francesi sulla banchina erano più numerosi. Quelli
della Surprise erano di forze inferiori e la marea agiva contro di loro;
venivano respinti contro la ruota, l'albero di mezzana, l'impavesata
all'estremità della poppa.
Jack si era aperto la strada fino alla prima linea, al centro; là non vi era
posto per le finezze, per giocare di spada; era una zuffa furiosa di colpi di
sciabola, clangore di lame come sull'incudine del fabbro, fino a quando un
cavallo impazzito non si lanciò tra i due schieramenti. Attraverso il varco
così aperto un soldato francese, rialzandosi dal pagliolo sul quale era
scivolato, vibrò una sciabolata dal basso in alto, colpendo Jack sopra il
ginocchio. Gli altri, premendosi alle sue spalle, lo calpestarono di nuovo e
uno di loro si lanciò in avanti in un affondo rapido e violento; Jack parò,
ma lievemente in ritardo, e la punta della lama gli penetrò
nell'avambraccio. Lo slancio portò l'uomo a portata di Jack che lo afferrò
con la sinistra, lo stordì con l'elsa della spada e lo scagliò contro i suoi
compagni con tale forza che tre di loro caddero. In quell'attimo
d'intervallo, Jack fece per girarsi e chiamare le scialuppe della squadra e,
mentre si voltava, avvertì un colpo da dietro, come un calcio. «Un
cavallo», pensò, e si riempì i polmoni per chiamare, ma ora le grida
selvagge degli uomini della Diane e dei soldati si erano mutate in urla di
avvertimento: «Via, via finché si può!» Era quasi troppo tardi. Davidge e
West erano riusciti a fare davvero presa sulla poppa della fregata: tirarono,
e prima lo scalandrone di poppa e poi quello di prua si staccarono dalla
banchina e caddero lungo la murata della nave. Alcuni della Diane
saltarono prima che la distanza dal molo si facesse troppo grande, altri li
seguirono, ma caddero in mare, altri ancora lottarono con le spalle al
coronamento fino a quando, ormai inferiori di numero, non gettarono le
armi.
Dal molo continuava però il fuoco dei moschetti e delle pistole, e Jack,
chiamando: «Plaice, Killick, qui!», corse a prua alle carronate del castello,

Patrick O'Brian 178 1988 - La Nave Corsara


pezzi a pietra focaia, fece ruotare i corti cannoni per puntarli sui soldati e,
benché il sangue gli scorresse a rivoli dal braccio, tirò il cordino. La
carronata era caricata solo a palla, non con la più mortale mitraglia, ma
fece saltare i ciottoli del selciato e la facciata di una casa, disperdendo
completamente gli uomini.
«E a questo punto, che io sia dannato se non ci prenderemo anche le
barche cannoniere», tuonò Jack. Mentre pronunciava queste parole la
batteria in fondo al porto entrò finalmente in azione, ma la mira degli
artiglieri era impedita dal naviglio in porto e le cannonate danneggiarono
soltanto la capitaneria e parte della banchina. La visuale di Jack, al
contrario, era perfettamente libera. «Ferma, laggiù!» gridò agli uomini che
rimorchiavano la fregata da poppa, e la carronata successiva fu puntata
dritta sulla bitta d'ormeggio. Di nuovo Jack tirò il cordino e il cannone
ruggì, la sua lunga lingua di fiamma quasi a contatto con il bersaglio;
quando il fumo si fu dissipato, la bitta non si vedeva più, le barche
cannoniere si erano allontanate dal molo sulla corrente di marea e la catena
si era staccata.
«Signor Bentley», disse al carpentiere, «prendete la scialuppa e i vostri
uomini e occupatevi delle barche cannoniere.»
La Diane aveva abbrivo, ormai; gli uomini sul cassero avevano liberato
la ruota, gabbie e trinchetta erano state spiegate e, aiutata dalla corrente di
marea, rimorchiata dai cutter e sospinta dalla brezza leggera, la fregata si
stava allontanando lentamente dal molo. Allora Jack chiamò gli uomini
della Tartarus, della Dolphin, della Carnei e della Vulture in attesa; cinque
prede erano lì pronte e occorreva portarle fuori del porto prima che i
francesi trasportassero di gran carriera l'artiglieria da campagna fino alla
banchina.
Nessun pezzo di artiglieria da campagna; e le navi uscirono lentamente,
una solenne processione che si faceva tuttavia sempre più veloce mentre il
riflusso e la brezza agivano insieme; un nutrito fuoco di moschetteria alla
stretta imboccatura, subito scoraggiato dalla bordata della Diane, e furono
in mare aperto, sollevandosi sull'onda familiare, con il raggio impassibile
del faro che percorreva l'aria sopra di loro, mentre la Surprise e le navi
della squadra si avvicinavano, a meno di un miglio di distanza ormai, le
lanterne splendenti sulle coffe.

Patrick O'Brian 179 1988 - La Nave Corsara


CAPITOLO VII
Aiutato da Bonden che lo spingeva da dietro, Jack Aubrey riuscì a salire
la biscaglina di poppa, ma il pallore d'avorio del suo volto alla luce della
lanterna impressionò terribilmente Tom Pullings e la sua espressione di
felicità selvaggia, di trionfo, svanì. «State bene, signore?» gridò, facendo
un balzo avanti per sorreggerlo.
«Un po' tagliuzzato, niente di più», rispose Aubrey, percorrendo il
cassero, il sangue che gli sprizzava dagli stivali a ogni passo. «Questo che
cos'è?» domandò, guardando un grande squarcio nell'impavesata e nella
murata di sinistra, quasi a poppa.
«Una bomba, signore. Hanno portato un mortaio sull'altura proprio
quando stavamo levando l'ancora; ma hanno colpito soltanto il giardinetto,
nessun danno sottocoperta.»
«Allora potremo...» cominciò Jack, voltandosi verso i rottami. Ma quel
movimento infelice gli causò un dolore così lancinante che dovette
aggrapparsi a un paterazzo per non cadere, e passò qualche momento
prima che potesse continuare: «... sistemare una gru all'anca, finalmente».
«Venite, signore, dovete scendere subito sottocoperta», disse Pullings,
sostenendolo fermamente. «Il dottore è a bordo da mezza clessidra,
impegnato nell'infermeria con il signor Martin. Bonden, datemi una
mano.»
Jack non poté opporsi, disse soltanto: «Dirigete a piene vele sulla
Tartarus», e si lasciò portare nell'infermeria illuminata vivamente, dove
Stephen e Martin si stavano occupando di un ferito. Sedette su una branda
arrotolata, rannicchiandosi nell'unica posizione che gli dava un leggero
sollievo: probabilmente perse conoscenza, perché, quando ebbe ripreso del
tutto i sensi, era disteso nudo sulle casse da marinaio coperte di tela e
Stephen e Martin gli stavano esaminando la schiena all'altezza delle reni.
«Non è lì che mi duole», disse con voce sorprendentemente forte. «È
nella stramaledetta gamba.»
«Sciocchezze, mio caro», ribatté Stephen. «Quello è soltanto un dolore
riflesso del nervo sciatico. Siamo sul punto preciso. È una pallottola di
moschetto conficcata tra due vertebre.» Batté un colpetto sulla zona.
«Là? Credevo che fosse stato il calcio di un cavallo... non mi ha fatto un
gran male al momento.»
«Tutti possiamo sbagliare. Ora ascoltami, Jack, vuoi? Dobbiamo estrarla

Patrick O'Brian 180 1988 - La Nave Corsara


subito e dopo, con l'aiuto di Dio, andrà tutto a posto, un certo irrigidimento
per una settimana, niente di più. Ma quando la sonda raggiungerà la
pallottola e la sposterà, sentirai un dolore fortissimo, più di quanto il tuo
corpo non possa sopportare senza muoversi; perciò devo legarti. Ecco qui
un pezzo di cuoio da tenere tra i denti. Bene, così sei perfettamente legato.
Ora, Jack, mordi con tutte le tue forze e cerca di rilasciare i muscoli della
schiena il più possibile. Il dolore forte non durerà a lungo. Martin, volete
passarmi la pinza lunga?»
Lungo o breve, parve che il dolore annunciato non avesse nessun
rapporto con l'agonia che seguì quelle parole: lo pervase tutto, torcendogli
le membra sotto le catene ricoperte di cuoio, e, a dispetto della sua
eccezionale forza d'animo, Jack udì un colossale, rauco suono animalesco
provenire dalla sua gola, ancora e ancora. E tuttavia la prova ebbe una fine
ed ecco che Martin gli stava togliendo le catene mentre Stephen gli levava
il pezzo di cuoio dalla bocca e gli asciugava con delicatezza il sudore che
colava sulla sua faccia. Il dolore ancora presente gli riecheggiava in vaste
ondate in tutto il corpo, ma era soltanto il ricordo di ciò che era stato e a
ogni ondata si faceva meno lacerante, una marea che andava calando.
«Ecco, mio caro», disse Stephen, «è tutto finito. La pallottola è uscita
magnificamente: se così non fosse stato, non avrei dato un granché per la
tua gamba.»
«Grazie, Stephen», sussurrò Jack, ansimando ancora come un cane
mentre veniva fasciato intorno alla vita e girato sul fianco perché le altre
ferite potessero essere medicate: una all'avambraccio destro, superficiale
ma impressionante, e uno squarcio profondo nella coscia. Gli avevano
fatto perdere una grande quantità di sangue, sebbene al momento non se ne
fosse quasi accorto, una particolare specie di insensibilità che stava
sperimentando ancora; era consapevole della sonda, dell'ago, del filo,
poteva vedere, udire e vedere Stephen al lavoro, ma quasi come se la cosa
non lo riguardasse.
«Com'è il conto del macellaio?»
«Piuttosto alto, per uno scontro così breve», rispose Stephen. «Non
abbiamo avuto morti, ma tre ferite all'addome non mi piacciono affatto e il
signor Bentley si è escoriato malamente inciampando in un secchio ed è
caduto dal boccaporto di maestra; e molti hanno ricevuto calci e morsi dai
cavalli, un numero insensato per un'azione navale. Prendi un sorso di
questo.»

Patrick O'Brian 181 1988 - La Nave Corsara


«Che cos'è?»
«Una medicina.»
«Sa di brandy.»
«Meglio così. Padeen, con Bonden occorre trasportare il comandante su
questo lenzuolo. Non deve piegarsi, ma deve stare disteso sulla sua branda.
Avanti il prossimo paziente.»

*
Da lungo tempo, Stephen era abituato all'umor nero che assaliva il suo
amico dopo l'eccitazione della battaglia e, durante la seconda comandata,
trovandolo sveglio nell'entrare nella cabina con una lanterna in mano, per
vedere come stesse, disse: «Jack, date le tue angosce recenti, la perdita di
sangue e il dolore attuale, perché le suture danno sempre un certo fastidio,
potresti sentirti abbattuto; ma devi considerare che hai catturato una
fregata della marina da guerra francese di forze superiori alle tue, nonché
due barche cannoniere, anche queste della marina nazionale, con i loro
preziosi cannoni, e ben due grassi mercantili appartenenti al nemico».
«Caro Stephen», disse Jack, e il bagliore dei denti scintillò nella
semioscurità, «ho pensato proprio a questo fin da quando sei stato così
gentile da ricucirmi; e perciò non sono riuscito a dormire. Ma, Signore
Iddio, Stephen», soggiunse dopo una pausa, «ho pensato sul serio di aver
perso il numero della mensa, stavolta. Sul momento non ho sentito quasi
niente e poi, tutt'a un tratto, stavo morendo; o così credevo.»
«Il dolore dev'essere stato forte davvero, ne sono certo; ma ora che la
pallottola è stata estratta, non hai più niente da temere. È uscita
esattamente come era entrata, nessuna deviazione, nessun brandello di
tessuto nella carne, nessuna lacerazione; c'è stato un lodevole flusso di
sangue pulito e la ferita è ora una cosetta da poco. In quanto alle altre, sì,
gli squarci sono brutti, ma ne hai ricevuti almeno una dozzina di molto
peggiori senza risentire nessun effetto duraturo; e se berrai questa, se
calmerai lo spirito e dormirai, potresti sentirti un pochino meglio fin da
domani mattina; e potresti essere in grado di riprendere la tua attività,
un'attività moderata, non appena avremo tolto i punti. Quasi sempre le tue
ferite cicatrizzano subito.»
Raramente il dottor Maturin aveva fatto una previsione più azzeccata. Il
pomeriggio del tredici, Jack Aubrey fu trasportato sul cassero su una sedia

Patrick O'Brian 182 1988 - La Nave Corsara


con i braccioli e là sedette nel sole tiepido, per contemplare la fila delle
prede e per ricevere le congratulazioni. «Perdio, signore», gli disse
Babbington, «questo vale la Cacafuego! Non avreste potuto avere un
successo più completo, ma spero che non abbiate pagato un prezzo troppo
alto.»
«No, no, il dottore stesso dice che si tratta di una sciocchezza.»
«Be', se definisce queste una sciocchezza», osservò Babbington,
accennando al braccio al collo, all'imponente fasciatura sulla gamba e alla
faccia cerea, «che Dio ci aiuti, se mai ci dirà che siamo stati feriti
gravemente.»
«Amen», disse Jack. «William, che ne pensate della Diane?»
«Una gran bella nave, signore, con una prua sottile molto elegante, come
le sue linee, anche se è così bassa sull'acqua che non sembra possa trovarsi
a suo agio sul mare appena mosso.»
«Be', ha a bordo provviste per dodici o perfino per diciotto mesi: stava
andando lontano, molto lontano. Ma quel che volevo dire è: tutte quelle
giovani donne che passeggiano sul suo ponte, che ne pensate?»
«Oh, le ho viste, sì, signore», affermò Babbington, creatura lubrica che
le aveva osservate con il cannocchiale fin da quando avevano cominciato
ad apparire in coperta. «Ce n'è una particolarmente graziosa vestita di
verde proprio a poppavia della battagliola anteriore del cassero.»
«Siete sempre stato un infernale cacciatore di gonnelle, William»,
commentò Jack, senza tuttavia assumere un tono di superiorità morale: non
poteva permetterselo, essendo ben noto in tutto il servizio che durante la
sua gioventù era stato degradato per aver nascosto, al largo del capo di
Buona Speranza, una ragazza negra nel deposito delle gomene della
Resolution; mentre da ufficiale, da comandante di fregata e da capitano di
vascello non si era mai dimostrato un modello di castità. «Ricordo che
avevate a bordo un intero harem di fanciulle greche sullo Ionio,* [* Cfr.
Patrick O'Brian, Duello nel mar Ionio, Longanesi, Milano, 2000. (N.d.T.)]
quando eravate al comando della Dryad. Ma la mia intenzione era
piuttosto di suggerire che le rispediste a casa loro sotto la protezione di una
bandiera bianca, insieme con i feriti.»
«Certamente, signore», convenne Babbington, senza decidersi a staccare
gli occhi dalla giovane donna in verde. «Un'idea brillante. Senza dubbio il
dottore mi dirà quali feriti possono essere spostati; ma ora che ci penso,
non l'ho visto stamani.»

Patrick O'Brian 183 1988 - La Nave Corsara


«E nemmeno lo vedrete, suppongo, non prima di mezzogiorno,
comunque. Povero dottore: ha combattuto da eroe nella spedizione in
porto, ha sparato al comandante francese nel modo più pulito che si possa
immaginare, e poi ha trascorso il resto della notte a ricucire i francesi che
aveva infilzato, oltre ai nostri feriti. Dopo di me, ha operato un
quartiermastro francese: a quel poveretto il sangue sgorgava a fiotti dai
polmoni.»
«Che cosa ha fatto a voi, signore?»
«Be', mi vergogno di dire che mi ha estratto una pallottola dalle reni.
Deve essere stato quando mi sono voltato per chiamare in aiuto altra
gente... grazie a Dio non l'ho fatto. Al momento ho creduto che a colpirmi
fosse stata una di quelle vili bestie che caracollavano a poppa della ruota.»
«Oh, signore, certamente un cavallo non avrebbe mai sparato un colpo
di pistola.»
«Eppure è stato sparato: e il dottore ha detto che era incuneato contro il
nervo sciatico.»
«Che cos'è il nervo sciatico?»
«Non ne ho idea. Ma quando il mio si è riavuto dopo essersi preso, per
così dire, una botta in testa e dopo che io ho fatto malauguratamente girare
la pallottola, avvicinandogliela ancora di più, la faccenda si è... non
cercherò nemmeno di descrivere quanto sia stata sgradevole finché il
dottore non ha estratto il proiettile.»
Babbington scosse il capo, con aria molto seria; e dopo un po' disse:
«Gli americani parlano di un paterazzo 'sciatico', che va dalla testa
dell'albero di maestra a quello di trinchetto».
«Già. Senza dubbio fissarlo deve causare loro una tremenda agonia. Ma
ecco il signor Martin: vi dirà quali feriti francesi possono essere spostati.»
Mezz'ora più tardi tutta la squadra e le prede, un imponente gruppo di
dieci vele su un tratto di mare di due miglia circa al largo di capo Balena,
si dirigevano a sud-ovest, con mure a sinistra, sospinte da un vento da
ovest nord-ovest, avanzando a una velocità sufficiente per manovrare. Le
scialuppe andavano e venivano, trasportando con grande cura i feriti alla
lancia della Tartarus sotto la sorveglianza del suo chirurgo di bordo,
mentre le ragazze e una sgradevole vecchia, ritenuta la mezzana, venivano
calate, con molto maggiore divertimento dei marinai, nella pinaccia della
Surprise. Le due imbarcazioni armarono gli alberi, issarono le vele e si
allontanarono verso Saint-Martin, sventolando una bandiera bianca.

Patrick O'Brian 184 1988 - La Nave Corsara


La squadra aveva abbattuto due volte, stava di nuovo attraversando
l'imboccatura del porto e si vedevano le scialuppe di ritorno all'altezza del
frangiflutti, quando il dottor Maturin salì in coperta, con una tazza di caffè
in mano. Dopo aver augurato il buongiorno ai suoi compagni di
navigazione e aver domandato a Jack notizie della sua salute («Mi sento
straordinariamente bene, grazie, finché resto fermo e seduto: e ti sono
infinitamente obbligato per la cura che ti sei preso di me. Vuoi dare
un'occhiata alla bella Diane, a poppa?»), si girò e disse: «Comandante
Pullings, amico mio, posso avere una barca per andare a vedere il mio
prigioniero sulla Diane? Ho chiesto a Bonden di metterlo nella stiva con
gli altri, perché non creasse problemi sulla scialuppa mentre rimorchiavano
la nave».
«Vi accompagnerà Bonden. Passa parola per Bonden.»

*
Una volta di più, Stephen Maturin prese una portantina dal Grapes a
Shepherd Market; una volta di più, Sir Joseph aprì la porta per dargli il
benvenuto; ma in questa occasione dovettero trasportare entrambi
documenti e pacchi di carte nella biblioteca.
«Accomodatevi, mio caro Maturin, e beviamo un bicchiere di madera
mentre ripigliamo fiato. Ma prima lasciate che mi congratuli con voi e con
Aubrey per la grandiosa vittoria. Ho visto soltanto il brevissimo rapporto
trasmesso dall'Ammiragliato, ma, leggendo tra le righe, ho capito che
dev'essere stata una di quelle spedizioni brillanti e audaci nelle quali il
nostro amico eccelle; e naturalmente ho sentito il fragore dell'applauso
pubblico. Eppure dalla vostra aria seria e in verità, perdonatemi,
malinconica, se la faccenda è certamente servita ad Aubrey, temo che per
voi non sia stato così. Forse la Diane non era come io vi avevo detto?»
«No, niente affatto. Era realmente destinata alla missione nelle colonie
spagnole, la nostra stessa missione, e ci avrebbe preceduto; e queste carte
rivelano i nomi di tutti coloro con i quali gli agenti francesi avrebbero
potuto mettersi in contatto con profitto, insieme con una quantità di altre
informazioni, quali le somme già sborsate a vari funzionari e via
discorrendo. Vi è anche una pletora di altre cartelle che non ho decifrato,
probabilmente valutazioni sulla situazione locale da parte di corrispondenti
sul posto.»

Patrick O'Brian 185 1988 - La Nave Corsara


«Ebbene, mio angelico dottore, che altro potreste desiderare di più?»
esclamò Sir Joseph, accarezzando le cartelle con mano voluttuosa e
scorrendo rapidamente le intestazioni. «Qui c'è tutto il nostro lavoro già
fatto, i loro agenti tutti smascherati, i loro piani svelati. Come potete essere
così triste?»
«Perché avrei potuto portarvi anche l'Ammiraglio Rosso, l'autore della
metà di queste note.» L'Ammiraglio Rosso era un ufficiale di marina
francese di nome Ségura, il quale si era distinto nei massacri dopo
l'evacuazione di Tolone da parte degli alleati e si era unito a uno dei
Servizi d'informazioni. Non era in realtà un ammiraglio, ma un individuo
singolarmente crudele e sanguinario, e in quel momento uno dei membri
più importanti della sua organizzazione. «Era in mio potere, legato mani e
piedi, sul fondo della lancia già nei primi minuti dell'attacco: poi, quando
la Diane ha dovuto essere rimorchiata, l'ho fatto rinchiudere nella stiva con
gli altri prigionieri. Là, con una leggerezza criminale, l'ho lasciato fino al
giorno seguente: e nel frattempo il perfido cane, indossando una gonna e
con un panno insanguinato avvolto intorno alla testa, è sceso a terra con le
donne e i feriti meno gravi. Abbiamo frugato, frugato dappertutto e, alla
fine abbiamo trovato le sue brache, e sulla cintura era scritto: Ségura,
Paul.»
«Chissà come avrete imprecato, caro Maturin. La cosa deve avervi
afflitto sino in fondo al cuore. Credo che io sarei andato vicino a tagliarmi
la gola o a pagare qualcuno perché m'impiccasse. Ma quando avrete avuto
il tempo di riflettere, non potrete non rendervi conto che, a parte la
soddisfazione personale, la sua presenza non avrebbe avuto una reale
importanza, mentre la sua assenza non avrebbe sminuito in nulla il vostro
trionfo. Anche sottoposto a forti pressioni, non avrebbe potuto dirci molto
più di quanto non si trova in queste carte; perché, se non mi sbaglio di
grosso, queste devono contenere la totalità delle riflessioni del suo intero
dipartimento sulla questione, oltre alle istruzioni agli agenti.»
«Forse saremmo riusciti a indurlo a rivelare dov'erano state nascoste le
somme destinate a convincere i funzionari nell'America del Sud,
l'equivalente di quel mostruoso mucchio di quattrini che avevo recuperato
nell'ultima missione. Molto probabilmente con l'ammontare avrebbe
potuto essere costruito un vascello di linea, come minimo; e mi sarebbe
piaciuto pensare di aver potuto offrire alla marina una nave così.
Dopotutto, Jack Aubrey affondò un loro vascello quando aveva il comando

Patrick O'Brian 186 1988 - La Nave Corsara


della vecchia orrenda Leopard, il che è più o meno la stessa cosa al
contrario.»
«Allora potete tranquillizzarvi a questo proposito. La Diane sarà
certamente comprata dalla marina e i carpentieri la setacceranno da cima a
fondo, la pettineranno con un pettine molto fitto. In effetti abbiamo due
uomini particolarmente abili in questo genere di cose e sarebbe strano che
la loro mente non funzionasse come quella dei francesi.»
«Voi siete un vero conforto, caro Sir Joseph: sono stato stupido a non
pensare a questo.» Stephen sorrise, annuendo tra sé e sorseggiando il suo
madera; poi soggiunse: «Quest'espressione, pettinare con un pettine molto
fitto, è ben curiosa, mi è difficile capire come possa essere applicata a una
nave da guerra... Ma non sono molto brillante in questo momento e mi è
anche difficile capire la situazione attuale per quanto riguarda il
comandante Aubrey: posso chiedervi d'illuminarmi?»
«Se fosse stato ancora nei ruoli, l'impresa avrebbe significato un titolo,
sarebbe stato fatto baronetto, e così sarebbe stato anche al tempo della
Waakzaamheid, se il suo vecchio, deplorevole genitore non avesse tanto
attaccato il governo alla camera dei Comuni; e tuttavia, subito dopo il
colpo delle Azzorre, ha suscitato un vero entusiasmo in marina e, ciò che
più conta per i nostri scopi, tra la gente. Per le strade circolano già diverse
ballate su di lui. Eccone una che ho comprato ieri: l'autore pensa che
Aubrey dovrebbe essere fatto addirittura duca, o la corona di foglie di
fragola è il simbolo anche di titoli nobiliari meno elevati?»
«Ho idea che possa valere per il titolo di semplice conte, ma non ne sono
certo», rispose Stephen, prendendo il testo che cominciava:

Mantello d'ermellino, la corona dorata


e le foglie di fragola, oh,
chi è il marinaio che Londra ha risvegliata?
È il comandante Aubrey, oh.
Chi li ha sgominati, chi li ha sbaragliati?
E le foglie di fragola, oh,
quei francesi, chi li ha umiliati?
È il comandante Aubrey, oh.

Nel porto di Martino l'altra notte,


e le foglie di fragola, oh,

Patrick O'Brian 187 1988 - La Nave Corsara


chi li ha presi orrendamente a botte?
È il comandante Aubrey, oh.

«Be'», disse, «non si può che approvare tale sentimento. Ma


permettetemi d'interrompervi per chiedervi se si hanno notizie del generale
Aubrey.»
«Non c'è niente di certo, ma quel vostro Pratt, quell'uomo così acuto,
pertinace, intelligente, crede di essere sulla pista giusta finalmente, su nel
Nord.»
«Tanto meglio. Ora possiamo tornare alla situazione attuale? Capisco
perfettamente come un semplice civile, qual è ora Jack Aubrey, non possa
ambire a un titolo nobiliare, che, detto tra parentesi, probabilmente non
vorrebbe, ma non può almeno sperare in un reinserimento nei ruoli, e
questo, sì, lo desidera con tutto il cuore e con tutta l'anima?»
«Maturin», disse Sir Joseph, dopo una pausa di riflessione, «vorrei
potervi rispondere: 'Sì, e in un prossimo futuro anziché alla prossima
incoronazione', tuttavia c'è qualcosa di maledettamente strano in tutta la
faccenda.» Avvicinò la sedia a Stephen e continuò abbassando la voce.
«Qualche tempo fa vi ho detto che non ero soddisfatto del modo in cui
Wray e Ledward erano stati ricercati dopo che abbiamo mandato all'aria
così goffamente la loro cattura. Lasciare il Paese avrebbe dovuto essere
impossibile per loro, eppure lo hanno lasciato. Sospetto che abbiano un
alleato in una posizione molto elevata: questo alleato naturalmente si
opporrebbe ad Aubrey, e la sua presenza spiegherebbe l'animosità nei
riguardi del nostro amico: un'animosità che va ben al di là dell'avversione
del governo che lo ha trattato così male, al di là dell'odio verso i radicali
associati a suo padre, al di là dell'estrema riluttanza che hanno ad
ammettere di aver commesso un errore. D'altro canto, personaggi che
erano mal disposti verso di lui sono oggi ben disposti, Melville e qualche
altro tra i Lord più giovani, per esempio, e questo vale anche per parecchi
rispettabili membri del Parlamento: e naturalmente c'è la grande forza
dell'opinione pubblica. La mia impressione è che, al momento, la bilancia
sia più o meno in equilibrio e se noi...» Il piccolo orologio d'argento sulla
parete batté l'ora e Sir Joseph si alzò. «Perdonatemi, Maturin», si scusò,
«ma non ho pranzato e sto letteralmente svenendo dalla fame. Inoltre, ho
pregato Charles di riservarci il tavolo d'angolo accanto alla finestra e, se
non ci affrettiamo, glielo porteranno via.»

Patrick O'Brian 188 1988 - La Nave Corsara


Si avviarono verso il loro club e, una volta di più, Stephen notò i gesti, i
cenni discreti, i sobri: «Rallegramenti, signore», rivolti a lui in quanto
partecipe di una splendida vittoria.
Il tavolo d'angolo in fondo alla saletta della cena, accanto alla finestra e
sufficientemente appartato, li stava aspettando e nei pochi minuti che
trascorsero prima della comparsa del pollo in salsa d'ostriche, il suo piatto
abituale alla sera, Sir Joseph mangiò avidamente pezzetti di pane. «Come
senza dubbio saprete», disse, «il dispaccio, o piuttosto il rapporto ufficiale,
era straordinariamente laconico: diceva soltanto che la Surprise, avendo
avuto l'onore di ricevere istruzioni d'intercettare la Diane, si è diretta al
porto di Saint-Martin e l'ha prelevata agli ormeggi nella notte del dodici,
insieme con le navi e le imbarcazioni nominate a margine; tutte queste
sono state rimorchiate fuori del porto con l'assistenza di scialuppe di navi
della marina britannica e infine consegnate al comandante del porto a
Plymouth. Naturalmente sui giornali sono stati pubblicati resoconti non
autorizzati, l'uno più mirabolante dell'altro, nonché il rapporto veritiero
sulla consegna a Plymouth; ma sarei ben contento di...» A quel punto il
pollo fu portato in tavola e Blaine, dopo aver servito Stephen, stava per
gettarsi su una coscia, quando il duca di Clarence venne rapidamente verso
di loro, ancora più imponente del solito nell'uniforme blu con la stella della
Giarrettiera scintillante sul petto virile.
Entrambi scattarono in piedi e il duca li salutò con la sua voce possente.
«Maturin, ehilà! Come state?» chiese, stringendogli la mano. «Sir Joseph,
buonasera a voi. Mentre stavo uscendo, Joe mi ha detto che il dottore era
qui e così ho pensato di fargli un saluto, anche se non ho nemmeno un
minuto di tempo.» Blaine gettò uno sguardo disperato sul pollo e si
asciugò una goccia di saliva. «Voi eravate là, Maturin? Eravate con
Aubrey a Saint-Martin?»
«Sì, signore.»
«Davvero? Davvero? Un sedia, presto. Portate una sedia, Arthur. Sedete,
signori, e fatemi sentire tutto fra un boccone e l'altro. Mio Dio, Maturin,
come vorrei esserci stato anch'io; una faccenda perfetta, da quanto ho
saputo. Anche se voi non avrete visto molto dall'infermeria.» Un uomo
vestito di nero si avvicinò dalla porta e mormorò qualcosa all'orecchio
ducale. Clarence si alzò. «Mi stanno aspettando», disse, «e devo andare a
Windsor domani mattina presto. Ma vi dirò una cosa, dottore: riferite ad
Aubrey che mi farà molto piacere vederlo quando sarà a Londra. I miei

Patrick O'Brian 189 1988 - La Nave Corsara


complimenti e sarei felicissimo di sapere tutto dalle sue labbra la prossima
volta che verrà in città.»
«Altri cinque minuti e mi sarei inquietato», disse Sir Joseph, pulendosi
la bocca qualche momento più tardi. «In verità, avrei potuto arrivare alla
lesa maestà. Ora, Maturin, se vi sentite leggermente meno affamato, mi
farete cosa gradita dandomi un resoconto completo dell'impresa, tenendo
presente che io non sono un grande marinaio.»
Ascoltò attentamente, osservando i pezzettini di pane esplicatori con
acuta comprensione; e, alla fine, sospirò e, scuotendo la testa, osservò:
«Come ha detto il duca, è stata una cosa perfetta».
«Una perfetta cattura in porto, sì, se non fosse stato per quelle infernali
barche cannoniere e per il riflusso di marea. Se quei pochi minuti non
avessero dato il tempo di sopraggiungere agli uomini della Diane a terra e
ai soldati, credo che saremmo riusciti a portarla via senza versare
nemmeno una goccia di sangue.»
«Dev'essere stato davvero un combattimento molto accanito prima che
gli scalandroni si staccassero. Non avete accennato al numero delle
perdite, credo, e io ho dimenticato di domandarvelo, travolto dal trionfo
generale.»
«Non abbiamo avuto morti, ma i feriti sono stati numerosi, alcuni di loro
gravi.»
«Voi non lo siete stato, non è vero?»
«Nemmeno un graffio, grazie; ma Aubrey si è preso una pistolettata a un
pollice di distanza dal midollo spinale e ancora più vicina al nervo
sciatico.»
«Buon Dio! Non mi avevate detto che era stato ferito.»
«Be', non è più niente di grave ora, anche se ha rischiato di essere la sua
ultima ferita. Abbiamo estratto la pallottola con un intervento molto ben
riuscito e il piccolo foro, poiché non era niente di più, si sta cicatrizzando
come avevo sperato. Ma ha ricevuto anche due ferite di sciabola, alla
coscia e all'avambraccio, che gli sono costate almeno la metà di tutto il suo
sangue, data l'attività frenetica di quel momento.»
«Che cosa mi dite mai, Maturin! Poveretto. Avrà sofferto molto, temo.»
«L'estrazione del proiettile e il periodo prima dell'estrazione sono stati
crudeli davvero. Ma in quanto al resto, sapete, la sensibilità si attutisce
molto nel calore della battaglia. Ho visto ferite orribili delle quali i pazienti
non si erano nemmeno accorti.»

Patrick O'Brian 190 1988 - La Nave Corsara


«Bene, bene», disse Blaine meditabondo. «Deve dare un qualche
conforto, suppongo. Ma, avendo perduto tanto sangue, sarà molto pallido,
immagino.»
«Il volto ha il colore della pergamena.»
«Tanto meglio così. Non pensate che io sia senza cuore, Maturin, ma un
eroe pallido è assai più interessante di un eroe rubicondo. Può essere
spostato?»
«Certo. Non l'ho forse fatto trasportare ad Ashgrove Cottage, dove in
questo momento passeggia tranquillamente tra le sue rose, spruzzandole
con acqua saponata contro gli afidi verdi?»
«Credete che potrebbe essere portato a Londra, viaggiando in comode
tappe, forse? Lo chiedo, perché a me pare che questo sia proprio il
momento adatto per presentarlo agli sguardi del pubblico e, ancor di più,
agli sguardi di qualche personaggio che potrebbe influire sulle eventuali
decisioni in alto loco. Ma forse ritenete che il viaggio sia troppo faticoso
per lui?»
«Niente affatto. Con carrozze ben molleggiate e guidate con attenzione
sulle moderne strade a pedaggio, è un po' come stare in poltrona. No:
tuttavia l'ho tenuto a una dieta strettissima e gli ho proibito vino, spirito e
liquori di malto, con l'eccezione di un cucchiaio da tavola di porto prima di
ritirarsi; e poi mostra qualche segno dell'irritabilità nervosa tipica dei
convalescenti e potrebbe non rendere giustizia a se stesso in una riunione
affollata.»
«Potrei limitarla a una semplice dozzina di persone.»
«E io potrei somministrargli una discreta dose del preparato che
assicurerebbe una tranquillità benigna, se non un elevato grado di acume
nella conversazione. E tuttavia fino a che punto il medico ha il diritto di
manipolare il paziente quando non si tratta di questioni strettamente
cliniche? Forse vorrete permettermi di rifletterci su per un po'.»
Presero il caffè nella biblioteca e, mentre erano lì seduti comodamente,
Stephen disse: «L'irascibilità di un invalido può insorgere molto presto. Ne
abbiamo avuto un esempio a Shelmerston. Le navi catturate erano andate a
Plymouth per essere giudicate buone prede e la Surprise era sola quando
una corvetta della Royal Navy è entrata in porto, gremita di uomini. La sua
intenzione era semplicemente quella di scortare e fors'anco di portare la
Surprise in arsenale, dove il comandante del porto desiderava che fosse
riparata a spese del re; ma gli uomini, molti dei quali rischiavano di essere

Patrick O'Brian 191 1988 - La Nave Corsara


trattenuti per una quantità di motivi, non ultimo la diserzione, non lo
sapevano ed erano decisi a far uscire subito la corvetta dal porto: gli
ufficiali non erano presenti, tutti sulle prede. In quel momento il
comandante Aubrey stava preparando il suo rapporto, ma non appena ha
udito le voci alterate è uscito in coperta in preda a una vera furia e li ha
ridotti al silenzio: stramaledetti cialtroni, buoni a nulla, nemmeno adatti a
un pontone di Margate, mai più sulla sua nave, cento colpi di frusta a tutti
quanti, che potessero cadere gli occhi a tutti quanti, che potessero
azzopparsi, leccapalle dal primo all'ultimo, la scialuppa doveva accostarsi
sottobordo immediatamente, il guardamano per il giovane gentiluomo,
subito, non sapevano che cosa fosse dovuto alla divisa del re?, branco di
porci scansafatiche, tutti scaraventati a terra entro un'ora».
«Sono rimasti molto impressionati?»
«No. Sapevano di dover assumere un'aria confusa, impaurita, costernata
per essere stati cacciati e l'hanno fatto al meglio delle loro possibilità. Alla
fine li ha perdonati e ha consigliato a quelli che avrebbero fatto meglio a
non farsi vedere a Plymouth di scendere subito a terra.»
«E così la Surprise è al raddobbo in arsenale: be', è stato un bel gesto da
parte di Fanshawe. Ha subito grossi danni?»
«Un obice le ha portato via la latrina poppiera sinistra, niente di più; non
ha grande importanza, essendocene un'altra a dritta, e la sua assenza
permetterà la sistemazione di una specie di gru, una gru desiderata, a
quanto pare.»
Sir Joseph annuì, e dopo una pausa disse: «Eppure non posso fare a
meno di pensare che se Aubrey partisse per l'America del Sud proprio
ora... perché immagino che lo dichiarerete presto in grado di riprendere il
servizio, non è vero?»
«Una volta terminate le riparazioni e caricate le abbondantissime scorte,
può fare vela tranquillamente, soprattutto con un comandante in seconda
come Tom Pullings.»
«Molto bene, tuttavia se dovesse partire ora per l'America del Sud, si
allontanerebbe troppo dagli occhi del pubblico; farebbe vela per l'oblio e,
anche se dovesse sconfiggere tutte le navi francesi e americane in quelle
acque rimettendoci il braccio destro e un occhio, non potrebbe rientrare in
patria in tempo per approfittare della sua gloria, in termini di entusiasmo
pubblico, intendo dire, e delle sue conseguenze ufficiali. Dopo due o tre
mesi la gloria si sarebbe raffreddata. Non si ripeterebbe mai più la stessa

Patrick O'Brian 192 1988 - La Nave Corsara


favorevole combinazione di circostanze. Avrebbe perso la sua marea!»
«Davvero è una considerazione molto grave», rifletté Stephen. Durante
tutta la sua vita nella marina aveva sentito ripetere quelle parole, in senso
letterale e in senso figurato, talvolta pronunciate con tale profonda
preoccupazione da far pensare che fossero riferite al peccato definitivo,
imperdonabile; e acquistavano così un valore cupo e grandioso, come
quelle usate in incantesimi e maledizioni. «Se dovesse perdere la sua
marea, sarebbe un gran male davvero.»

*
La sala da pranzo raramente usata di Sir Joseph appariva impeccabile:
antiquata, noce invece di legno satin o mogano, ma la donna di casa più
bisbetica e severa non sarebbe riuscita a trovarvi un granello di polvere. Le
dodici sedie lucidissime, dal sedile largo, erano allineate con precisione, la
tovaglia era candida come neve appena caduta e altrettanto liscia, perché la
signora Barlow non voleva saperne di quelle pieghe il cui rigore sciupava
così spesso il puro fluire del lino; e naturalmente l'argento brillava. Eppure
Sir Joseph si agitava, spostava leggermente una forchetta qui, un coltello là
e chiedeva alla signora Barlow se fosse sicura che le portate sarebbero
state ben calde, si raccomandava di non scarseggiare con il pudding, «... il
signore è particolarmente ghiotto di budino, e lo è anche Lord Panmure»,
finché le risposte non si erano fatte sempre più secche. Infine disse: «Ma
forse dovremmo cambiare tutta la disposizione. Il signore è ferito a una
gamba e senza dubbio dovrebbe poterla stendere sul poggiapiedi della
biblioteca, ma per farlo comodamente dovrebbe stare a capotavola. Ma
quale gamba e quale capotavola?» «Se la cosa va avanti per altri cinque
minuti», disse tra sé la signora Barlow, «butterò tutto quanto dalla finestra,
brodo di tartaruga, aragoste, contorni, budino e compagnia bella.»
Ma prima che i cinque minuti fossero trascorsi, prima che Blaine avesse
avuto modo di spostare più di due sedie a mo' di esperimento,
cominciarono ad arrivare gli ospiti. Un insieme interessante di personaggi:
a parte due colleghi di Whitehall, quattro erano membri della Royal
Society, uno era un vescovo impegnato in politica, altri gentiluomini di
campagna con notevoli proprietà terriere, i quali controllavano i loro
distretti elettorali o rappresentavano le loro contee; e dei due uomini della
City, uno era un eminente astronomo. Nessuno di loro apparteneva

Patrick O'Brian 193 1988 - La Nave Corsara


all'opposizione, ma d'altro canto nessuno di loro occupava un posto
importante o brigava per avere una decorazione; nessuno dipendeva dal
ministero e quanti sedevano in Parlamento, alla camera dei Comuni o dei
Lord, potevano astenersi o perfino votare contro il governo su un
argomento sul quale fossero in forte disaccordo con la politica ufficiale. E
coloro che non avevano un seggio in Parlamento erano tuttavia uomini la
cui opinione aveva un certo peso in seno all'amministrazione.
Per occasioni di quella specie, Sir Joseph ingaggiava il personale di
Gunter* [* Robert Gunter (1783-1852), famoso cuoco e pasticcere di
Londra. (N.d.T.)] e lo splendido maggiordomo aveva introdotto nove di
quei gentiluomini prima di annunciare: «Il dottor Maturin e il signor
Aubrey». Gli invitati guardarono con grande interesse verso la porta e là,
accanto alla figura sottile di Maturin, videro un uomo eccezionalmente
alto, dalle spalle ampie, magro nel suo abito nero, pallido e severo. Parte
del pallore e della severità era causata dalla fame, perché lo stomaco di
Jack era abituato agli orari navali e a pranzare parecchie ore prima di
quella in voga a Londra, ma anche le ferite avevano un certo peso sul suo
colorito, mentre la severità era quasi completamente un'armatura contro il
minimo accenno di mancanza di rispetto.
Blaine si affrettò verso di loro con le congratulazioni, i ringraziamenti
per la visita e la speranza ansiosa che le ferite del signor Aubrey non gli
causassero eccessivo disturbo: avrebbe gradito un poggiapiedi? Fu seguito,
più rapidamente di quanto l'etichetta non lo consentisse, da un signore
rotondo e roseo in un abito color ciliegia, la cui faccia irradiava
benevolenza e amicizia. «Non vi ricorderete di me, signore», disse costui,
con un inchino particolarmente accattivante, «ma ho avuto l'onore
d'incontrarvi una volta al capezzale di mio nipote William, il figlio di mia
sorella maritata Babbington, quando fu ferito durante la vostra azione
gloriosa nel 1804, una delle vostre azioni gloriose di quell'anno. Il mio
nome era Gardner fino all'altro giorno. Ora è Meyrick.»
«Ricordo perfettamente, my lord», rispose Jack. «William e io
parlavamo di voi non più tardi di quindici giorni fa. Posso porgervi le mie
più vive congratulazioni?»
«Per carità, per carità!» esclamò Lord Meyrick. «Sono io che mi
congratulo con voi. Passare da una Camera all'altra non può essere
paragonato alla cattura di una fregata, mi pare.» Disse altre cose tutte
molto gentili e, benché la maggior parte delle sue parole fosse soffocata

Patrick O'Brian 194 1988 - La Nave Corsara


dai saluti degli uomini che Jack già conosceva e dalle presentazioni che Sir
Joseph faceva degli altri, la loro evidente sincerità non poteva non fare
piacere. Nessuno dei presenti fu del tutto all'altezza di Lord Meyrick,
mancavano della sua assoluta spontaneità, e tuttavia i loro rallegramenti
cordiali, privi di affettazione, avrebbero soddisfatto anche chi avesse avuto
dei propri meriti un'opinione ben più alta di Aubrey. Il suo riserbo e la sua
severità, mai naturali in lui fino a quegli ultimi mesi, svanirono
completamente; e il cambiamento fu accelerato ulteriormente dallo sherry
di Sir Joseph, che diffuse un amabile calore nelle sue viscere vuote e
temporaneamente astemie.
Lo zio di Babbington insistette per dargli la precedenza e Jack sedette
alla destra di Blaine in una piacevole disposizione d'animo e nella viva
attesa del brodo di tartaruga che il suo naso esercitato aveva riconosciuto
da un bel pezzo. Il vescovo rese grazie; la promessa divenne realtà, nel
brodo nuotarono i pezzetti gelatinosi verdi e color ambra della carne vicino
al carapace e al piastrone; e, dopo qualche momento, Jack disse a Blaine:
«Quei signori classici hanno potuto ciarlare dell'ambrosia sino a farsi
scoppiare le vene del collo, ma non sapevano quel che dicevano. Non
avevano mai assaggiato il brodo di tartaruga».
«Non esistono le tartarughe nel Mediterraneo, signore? Voi mi stupite.»
«Oh, sì, ma soltanto la caretta e la specie che si utilizza per il guscio. La
vera tartaruga, dal punto di vista dell'ambrosia, è quella verde; e per
trovarla occorre andare nelle Indie Occidentali o all'isola dell'Ascensione.»
«L'isola dell'Ascensione!» esclamò Lord Meyrick. «Quali visioni
richiama alla mente! Quali oceani di vasta eternità! Nella mia giovinezza
sognavo di viaggiare, signore; sognavo di vedere la Grande Muraglia della
Cina, l'ùpas, quell'albero mortale, il flusso e il riflusso del favoloso Nilo, i
coccodrilli in lacrime; ma nella traversata fino a Calais mi resi conto che
non lo avrei mai fatto. Il mio organismo non avrebbe sopportato il
movimento. Aspettai in quella città infame sino a una giornata di mare
piatto come una tavola, una giornata veramente paradisiaca, e mi feci
trasportare dolcemente a remi in Inghilterra, ancora mezzo morto e in
preda alla malinconia. Da quel giorno ho viaggiato, ho combattuto, ho
sofferto, sono sopravvissuto e ho conquistato soltanto nella persona di
William. Quali cose mi racconta, signore! Come voi, con la Sophie, da
quattordici cannoni, abbiate preso la Cacafuego, da trentadue cannoni...» E
continuò con un resoconto accurato delle battaglie del comandante Aubrey

Patrick O'Brian 195 1988 - La Nave Corsara


- e Aubrey era stato particolarmente favorito sotto questo aspetto - fino a
quando i due gentiluomini di campagna seduti all'altro lato della tavola
non guardarono Jack con accresciuto rispetto, perfino con stupore, perché
si trattava in realtà di una serie di imprese fuori del comune e raccontate
con assoluta sincerità.
«Signor Aubrey», mormorò Blaine, interrompendo il flusso nel
momento in cui la Surprise stava affondando una nave turca nello Ionio,
«credo che il vescovo voglia brindare alla vostra salute.»
Jack guardò in fondo alla tavola e in effetti il vescovo gli stava
sorridendo, il bicchiere alzato. «Un brindisi con voi, signor Aubrey», gli
disse.
«Con il più grande piacere, eccellenza», rispose Jack, inchinandosi.
«Bevo alla vostra grandissima felicità.»
Il brindisi fu seguito da parecchi altri con altri signori e Stephen, seduto
al centro sull'altro lato, notò che il colore stava tornando sulla faccia di
Jack, forse più di quanto non sarebbe stato auspicabile. Qualche momento
dopo notò anche che il suo amico si era lanciato in un aneddoto. Di rado
gli aneddoti di Jack Aubrey avevano successo, il suo talento non si
esplicava in quel campo, ma conosceva il suo ruolo di ospite e, con un
sorriso di piacere ingenuo rivolto ai suoi vicini di posto, cominciò:
«Quando ero bambino, c'era un vescovo dalle nostre parti, il vescovo
prima del dottor Taylor; e in occasione della sua nomina fece un giro del
suo comando... della sua diocesi. Andò dappertutto e, arrivato a Trotton,
non riuscì a credere che un villaggetto così sparpagliato, solo poche
capanne di pescatori lungo la costa, vedete, potesse essere una parrocchia.
Disse al pastore West, un pescatore formidabile, tra l'altro: mi ha insegnato
a pescare le anguille... disse al pastore West...» Jack aggrottò leggermente
la fronte e Stephen si torse le mani: era il punto in cui l'aneddoto avrebbe
potuto crollare miseramente. «... disse: 'Avete successo con i sermoni,
qui?' E il pastore West rispose: 'No, signore, solo con le trote'.» Jack
Aubrey, soddisfatto della gentile accoglienza fatta al suo raccontino,
compiaciuto di essere arrivato sino in fondo senza problemi e di aver
compiuto i suoi doveri mondani almeno per un po', si dedicò all'eccellente
montone mentre la conversazione scorreva intorno a lui. Qualcuno, vicino
al vescovo, parlò della curiosa ignoranza dei francesi a proposito dei titoli
e degli usi inglesi, e uno degli uomini di Whitehall disse: «Sì. Quando
Andréossy era qui come inviato di Napoleone, scrisse al Primo Lord

Patrick O'Brian 196 1988 - La Nave Corsara


indirizzando semplicemente la lettera a 'Sir Williamson, Esquire'. Ma fece
di peggio; aveva complottato con la moglie di uno dei nostri colleghi, una
francese, e, avendo saputo che i duchi del Devonshire erano in ristrettezze,
la mandò dalla duchessa per offrirle, così, spudoratamente, diecimila
sterline in cambio di segreti del governo. La duchessa lo riferì a Fox».
«Sarà l'ignoranza a far perdere questa guerra ai francesi», osservò il suo
vicino. «Hanno cominciato col tagliare la testa al povero Lavoisier,
sostenendo che la repubblica non aveva bisogno di scienziati.»
«Come potete parlare di ignoranza dei francesi, quando basta il
confronto tra il loro atteggiamento verso i palloni aerostatici e il nostro?»
protestò l'uomo seduto di fronte a lui. «Non potete aver dimenticato che
sin dall'inizio i francesi hanno avuto un reparto aerostatico e che hanno
vinto la battaglia di Fleurus quasi interamente grazie alle informazioni
precise ottenute con palloni situati a un'altezza immensa al di sopra del
nemico. Le sue forze, la sua disposizione, i suoi movimenti erano
perfettamente conosciuti. Ma noi che cosa facciamo con i palloni
aerostatici? Niente.»
«La Royal Society si è dichiarata contraria», precisò il vescovo.
«Ricordo in particolare la risposta all'offerta del re di pagare per qualche
esperimento, perché ero presente quando è arrivata: 'Non possiamo
aspettarci niente di utile da questi esperimenti, ha detto la Società.»
«Una parte della Società», corresse seccamente uno dei suoi membri.
«Una parte molto piccola, un comitato composto per lo più da matematici
e da archeologi.»
Gli altri membri presenti espressero prontamente il loro disaccordo su
ciò e tra di loro; ma Aubrey e Maturiti, pur molto attaccati alla Royal
Society, erano spesso all'estero, sapevano ben poco dei suoi dibattiti
politici interni spesso appassionati, provavano al riguardo ben poco
interesse e nessuno dei due prese parte alla discussione. Stephen dedicò
tutta la sua attenzione al suo vicino di destra, il quale aveva fatto
un'ascensione, un'ascensione gloriosa, al tempo degli entusiasmi iniziali
prima della guerra. Era troppo giovane e sciocco a quel tempo, disse, e non
si era interessato come avrebbe dovuto ai dettagli tecnici, ma aveva sempre
presente quel primo senso vivissimo di stupore, di timore reverenziale, di
meraviglia e di delizia quando l'aerostato, dopo un lento, grigio e ansioso
passaggio attraverso la nebbia, era emerso alla luce del sole: ovunque sotto
di loro e da ogni lato erano purissime montagne di nubi bianche, creste

Patrick O'Brian 197 1988 - La Nave Corsara


candide e gonfie e pinnacoli; e al di sopra di tutto un vasto cielo di un
azzurro profondo, molto più profondo di qualsiasi altro avesse mai visto
sulla terra. Un mondo totalmente diverso e un mondo senza suoni. Nel sole
l'ascensione si era fatta più rapida, sempre più rapida: si vedeva l'ombra
del pallone sul mare di nubi. «Mio Dio, vedo ancora tutto e come vorrei
saperlo descrivere!» esclamò. «Quell'enorme gioiello scintillante in alto, lo
straordinario mondo in basso e la nostra traccia fugace su di esso: una
sensazione stranissima di intrusione.»

*
La tovaglia era stata ritirata: si avvicinava il momento dei brindisi e Jack
lo aspettava con un certo timore. Le ferite, la sua recente dieta a latte e
acqua e la mancanza di esercizio fisico avevano indebolito la sua
resistenza e la pur moderata quantità di vino bevuto gli aveva già dato alla
testa. Non avrebbe dovuto preoccuparsi, tuttavia. Dopo aver bevuto alla
salute del re, Sir Joseph rimase seduto per qualche momento, pensieroso,
cercando di far combaciare due gusci di noce: alla sua sinistra Lord
Panmure disse: «Non molto tempo fa questo brindisi sarebbe rimasto in
molte gole, in un numero straordinario di gole. Non più tardi di ieri la
principessa Augusta diceva a mia moglie di non aver mai veramente
creduto al suo rango fino all'estinzione degli Stuart, con la morte del
cardinale di York».
«Povera signora», commentò Blaine. «I suoi scrupoli le fanno onore,
anche se mi sembrano molto vicini all'alto tradimento; ma può riposare
tranquilla, ormai. A voi non sarebbe rimasto in gola, non è vero, signore?»
domandò a Jack.
Tuttavia quest'ultimo stava ancora seguendo il resoconto della
descrizione che Babbington aveva fatto dello scontro tra la Leopard e un
iceberg nell'Antartico e delle riparazioni di fortuna sull'isola della
Desolazione;* [* Cfr. Patrick O'Brian, L'isola della Desolazione,
Longanesi, Milano, 1998. (N.d.T.)] fu perciò necessario attirare la sua
attenzione e ripetere la domanda. «Oh, no», ripose allora. «Ho sempre
seguito il consiglio di Nelson in questo come in ogni altra cosa, secondo le
mie possibilità. Brindo al re con totale convinzione.»
Blaine sorrise e soggiunse rivolto a Lord Panmure: «Che ne dite di
prendere il caffè nel soggiorno? Si circola molto più liberamente là e so

Patrick O'Brian 198 1988 - La Nave Corsara


che molti di questi signori vogliono parlare con il signor Aubrey».
Molti di loro parlarono con Aubrey, in effetti, e con il prolungarsi della
serata Stephen vide Jack diventare sempre più pallido. «Sir Joseph, amico
mio», disse alla fine, «devo portare via il mio paziente e metterlo a letto. È
possibile avvertire il suo servitore di cercargli una portantina, prego?»
Il servitore in questione, Preservato Killick, era ubriaco, ubriaco perfino
secondo i criteri navali, incapace di muoversi, ma Padeen era a portata di
mano e sobrio, e a tempo debito trovò due portantine con portatori
irlandesi, gli unici dai quali era riuscito a farsi comprendere. Nel frattempo
uno degli uomini di Whitehall, il signor Soames, aveva preso da parte Jack
per domandargli dove alloggiasse; e gli aveva anche chiesto se potesse
avere l'onore di fargli visita: aveva un paio di cosette di cui parlargli.
«Ma certamente, mi farà molto piacere», aveva risposto Jack; ma se
n'era scordato completamente il giorno seguente, quando la signora Broad
del Grapes annunciò: «Il signor Soames per voi, signore».
Jack lo accolse con sufficiente urbanità, sebbene il cibo e il vino del
giorno prima avessero lasciato tracce nel suo organismo non più abituato,
mentre la gamba ferita gli prudeva terribilmente, e il suo animo fosse
rimasto inquieto dopo un colloquio con un cupo e cocciuto Killick, il
quale, tra le altre cose, aveva perduto o dimenticato di confezionare il
pacchetto di un libro promesso a Heneage Dundas, libro che avrebbe
dovuto essere affidato a un amico diretto alla base nordamericana.
Si scambiarono osservazioni sulla serata, sul vino superbo di Sir Joseph,
sulla pioggia che quasi certamente sarebbe caduta più tardi nel corso della
giornata e infine: «Incontro una certa difficoltà ad abbordare l'argomento
della mia visita», disse il signor Soames, guardando preoccupato l'alta
figura di fronte a lui, «non vorrei soprattutto sembrare indiscreto».
«Niente affatto», lo rassicurò Jack in tono riservato.
«Il fatto è che mi è stato richiesto di scambiare qualche parola con voi a
titolo ufficioso sulla possibilità di un esito favorevole nell'eventualità di
una corretta sollecitazione del perdono.»
«Non vi capisco, signore. Perdono per che cosa?»
«Be', signore, per quella... per quella sfortunata faccenda al Guildhall,
che aveva a che fare con la Borsa.»
«Ma sicuramente, signore, saprete che io non mi sono dichiarato
colpevole e che ho dichiarato sul mio onore di essere innocente.»
«Sì, signore, lo ricordo perfettamente.»

Patrick O'Brian 199 1988 - La Nave Corsara


«Allora perché, in nome di Dio, dovrei essere perdonato per una cosa
che non ho fatto? Come è concepibile che io solleciti il perdono quando
sono innocente?» Jack aveva cominciato il colloquio in uno stato d'animo
di forte irritazione, indefinibile e diffusa; era adesso pallido di collera:
«Non capite che, chiedendo perdono, riconoscerei di avere mentito?»
continuò. «Proclamando che vi è qualcosa da perdonare?»
«Non si tratta che di una formalità, potrebbe quasi essere definita una
finzione legale; e può essere importante per un vostro futuro
reinserimento.»
«No, signore», disse Jack, alzandosi. «Non posso assolutamente vedere
la cosa come una formalità. Sono consapevole che né voi né i gentiluomini
che hanno sollecitato questo colloquio abbiate avuto la minima intenzione
di recarmi offesa, ma devo pregarvi di porgere loro i miei omaggi e di
riferire che vedo la questione in modo del tutto differente.»
«Signore, non volete rifletterci, chiedere un parere?»
«No, signore; queste sono cose che un uomo deve decidere da solo.»
«Ne sono desolatissimo. Devo dunque riferire che non prenderete in
considerazione il suggerimento?»
«Proprio così, signore, temo.»

CAPITOLO VIII
Ha perso la sua marea», sentenziò Sir Joseph. «Raramente sono stato
tanto contrariato.» «Soames ha condotto la cosa da sciocco», affermò duro
Stephen. «Se solo avesse affrontato la questione in tono più leggero, se
solo avesse cominciato parlando delle quotidiane bugie di cortesia, 'non è a
casa', 'vostro umile servitore' e via discorrendo e se fosse poi passato alle
varie formule dei trattati destinate a salvare la faccia, considerandole
sciocchezze di nessuna importanza quali sono in realtà, e poi gli avesse
chiesto di mettere la sua firma sulla domanda, già stilata, probabilmente
Aubrey avrebbe firmato con l'animo pieno di riconoscenza, traboccante di
felicità.»
«È una maledettissima faccenda», si rammaricò Sir Joseph, seguendo il
filo dei suoi pensieri. «Nonostante tutte le suscettibilità delle quali
occorreva tenere conto, di Quinborough e dei suoi alleati, per nominarne
soltanto alcuni, per un momento la bilancia si era inclinata in favore di

Patrick O'Brian 200 1988 - La Nave Corsara


Aubrey, quel tanto che sarebbe stato sufficiente a un'azione decisiva. Non
potreste persuaderlo a dire a Soames che, dopo matura riflessione,
eccetera? Dopotutto, come ogni altro marinaio, è abituato a non giudicare
troppo male una bonaria corruzione. Spariscono vaste quantità di scorte,
uomini deceduti e famigli inesistenti continuano a percepire la paga; e so
con certezza che egli stesso si è reso colpevole di tre registrazioni false,
iscrivendo nel ruolo di equipaggio figli di amici allo scopo di far loro
avere l'anzianità di servizio, mentre in realtà quei ragazzi erano a scuola
sulla terraferma. Ma se perfino il fantasma del suo fratellastro era a bordo
della vostra nave l'ultima volta che siete stati nel Pacifico!»
«Corruzione bonaria, sì; e se questo fosse stato l'approccio, forse
avrebbe potuto cambiare mure, come dicono i marinai, ma ora che la
questione è diventata una questione di alti principi morali, ogni bonarietà
scaraventata fuori della finestra, non riuscirei mai a fargli cambiare idea;
né mi attenterei a farlo.»
«Be', come dicevo, è una maledettissima faccenda. Essere così vicini al
successo e...»
Dopo una pausa, Stephen azzardò: «Suppongo che non sarebbe possibile
un atto di clemenza non sollecitato formalmente».
«No. In questo momento, Aubrey ha un buon numero di sostenitori e
perciò una buona quantità di appoggi, ma non basta. Ne occorrerebbero
molti di più.»
«Questo non fa nessuna differenza?» Stephen indicò le pagine vergate
con cura in cui Pratt aveva riferito di aver trovato il generale Aubrey morto
in un canale di scolo accanto a una taverna nella quale era vissuto sotto il
nome di comandante Woolcombe.
Blaine scosse la testa. «No», rispose. «Per il governo il generale e i suoi
amici radicali erano già stati eliminati al momento del processo, quando
non si erano presentati: politicamente avevano già cessato di esistere.
Perfino i giornali dell'opposizione più screditati si sono rifiutati di
occuparsene; e non avrebbe fatto differenza se il generale fosse morto
allora anziché adesso. E non fa differenza nemmeno dal nostro punto di
vista, dato che Pratt e i suoi colleghi hanno frugato dappertutto tra le sue
carte senza trovare il minimo accenno a un contatto con Ledward e Wray.»
«È ovvio. Non poteva esserci stato nessun contatto.»
«D'altro lato», osservò Blaine, «si potrebbe dire che questa morte
costituisce effettivamente in qualche misura un bene per Aubrey, in quanto

Patrick O'Brian 201 1988 - La Nave Corsara


elimina in modo definitivo ogni suo involontario legame con i radicali; ma
è un bene assolutamente insufficiente, ahimè e ahimè. Che cosa vi
proponete di fare ora, Maturin?»
«Manderò a Pratt le istruzioni necessarie perché si occupi della salma e
domani andrò da Aubrey. Poi, dal momento che la Surprise dev'essere
preparata e provvista delle vaste quantità di scorte per la missione
nell'America del Sud, credo che andrò in Svezia e lo aspetterò là. Prenderò
il postale da Leith.»
«Non credete che la morte di suo padre farà cambiare i piani di
Aubrey?»
«Mi sorprenderebbe se ne fosse davvero addolorato. Il generale non era
un uomo da ispirare grande affetto o stima.»
«No. Ma il suo patrimonio era notevole, mi dicono.»
«Ne so ben poco, se non che è tristemente gravato di debiti; ma anche se
fosse grande come mezza contea, non credo che terrebbe Aubrey lontano
dal mare. Si è impegnato per questa missione; e in ogni caso ho sentito
dire che gli americani hanno mandato una o forse due fregate della nostra
classe a doppiare capo Horn.»

*
Molte generazioni di Aubrey erano sepolte a Woolhampton e la chiesa
era piena di gente. Jack fu sorpreso e commosso nello scoprire che un così
gran numero di persone era venuto a onorare il funerale, dal momento che
ormai da lungo tempo Woolcombe House non vedeva più nessuna delle
antiche, solide famiglie così spesso invitate quando la madre di Jack era
viva. Qualche faccia mancava, naturalmente, ma molte, molte meno di
quanto Jack non si fosse aspettato; e la congregazione non comprendeva
soltanto vecchi amici e parenti degli Aubrey, ma anche affittuari,
contadini, uomini e donne che vivevano nelle casette sparpagliate nella
campagna e che, a quanto pareva, avevano dimenticato i maltrattamenti,
gli affitti esosi e l'appropriazione tirannica delle terre comuni di
Woolhampton Common. Un'altra cosa lo commosse particolarmente e cioè
il fatto che le donne del paese, molte delle quali erano state al servizio di
sua madre e perfino di sua nonna, si fossero affrettate a mettere in ordine
Woolcombe House per accogliere tanti ospiti. La casa era stata lasciata
andare tristemente anche prima che il generale scappasse nel Nord per

Patrick O'Brian 202 1988 - La Nave Corsara


timore di essere arrestato; ma ora il viale era pulito come non mai, le
stanze di rappresentanza almeno erano state spazzate, i pavimenti lavati,
era stata data la cera d'api ai mobili, mentre si era provveduto ad
apparecchiare le tavole per dar da mangiare a chi era arrivato da lontano.
Una di queste tavole, doverosamente allungata, era sistemata nella sala da
pranzo e un'altra, che sarebbe stata presieduta da Harry Charnock, di
Tarrant Gussage, primo cugino di Jack, era montata su cavalietti nella
biblioteca.
La vedova del generale non partecipò a tutto questo. Non appena giunta
la notizia che la bara era arrivata a Shaftesbury, la donna si era messa a
letto e non si era più mossa di lì. Furono avanzate varie ipotesi sul suo
comportamento, ma in nessuna fu mai fatta menzione di un dolore
eccessivo; qualsiasi fosse la causa, Jack ne fu ben contento. Era stata
mungitrice a Woolcombe, una bella forosetta vivace, con gli occhi neri,
incline a tornare tardi dalie fiere e dai balli, e molto conosciuta dai
giovanotti locali, compreso Jack. Pur avendo provato una certa
indignazione morale quando suo padre l'aveva sposata, l'indignazione era
svanita presto; non la considerava affatto una poco di buono: per esempio,
non credeva alle chiacchiere che la volevano a letto perché sotto vi era
nascosta l'argenteria di famiglia; però non aveva scordato le notti nel
fienile e la cosa rendeva imbarazzanti i loro incontri; e doveva ammettere
che, nelle rare occasioni nelle quali era venuto a Woolcombe, si era sentito
ferito nel vederla seduta al posto di sua madre.
La signora Aubrey era rimasta dunque a letto e Sophia, non volendo
essere inopportuna o dare l'impressione di sentirsi la padrona di casa, era
rimasta nello Hampshire; ma il figlio della signora Aubrey, Philip, era
stato richiamato da scuola. Troppo giovane, un bambino ancora, per
provare sentimenti molto profondi, all'inizio non era stato sicuro se si
trattasse di una celebrazione o no; ben presto, però, si era adeguato al tono
di Jack e ora, nel suo abito nero nuovo, seguiva il suo alto fratellastro e
ringraziava con lui gli ospiti per essere stati così gentili da partecipare al
funerale, riecheggiando il suo: «Grazie, signore, dell'onore che ci fate».
Parlava chiaramente, né troppo sicuro di sé né troppo timido, e Jack era
soddisfatto di lui. Da quando Philip aveva cominciato a portare i calzoni, si
erano visti forse una mezza dozzina di volte, ma Jack si sentiva in certo
modo responsabile nei suoi confronti e, nel caso un giorno avesse
desiderato di scegliere la marina invece dell'esercito, aveva fatto iscrivere

Patrick O'Brian 203 1988 - La Nave Corsara


il suo nome nei ruoli di varie navi negli ultimi anni, mentre Heneage
Dundas (molto presto di ritorno dall'America del Nord) aveva accettato di
portarlo in mare non appena ne avesse avuto l'età. Jack riteneva che il
ragazzo gli avrebbe fatto onore.
Ma non ebbe molto tempo per riflettere sul futuro di Philip, perché
mentre cercava d'indurre gli ospiti a sedersi, vide un vecchio, un uomo
molto vecchio in verità, esile, alto benché camminasse curvo, entrare
lentamente nella sala da pranzo e guardarsi intorno nella stanza affollata.
Era una delle facce assenti, comprensibilmente assenti, delle quali aveva
sentito la mancanza in chiesa: il signor Norton, un proprietario terriero
notevolmente ricco, che viveva sull'altra riva dello Stour. Sebbene la
parentela con gli Aubrey fosse alquanto remota, la sua esistenza e gli
stretti rapporti tra le due famiglie avevano fatto sì che Jack fosse cresciuto
chiamandolo cugino Edward. Era stato il cugino Edward a nominare il
padre di Jack per il minuscolo distretto elettorale di Milport, che si trovava
su una delle sue proprietà e che il generale aveva rappresentato in
Parlamento prima come Tory e poi come estremista radicale, a seconda di
ciò che aveva ritenuto suo interesse. Echi delle liti furiose risultanti da quel
cambiamento e in verità da tutta la condotta del generale avevano
raggiunto Jack all'altro capo del mondo, causandogli un grosso dispiacere;
tornato a casa, aveva scoperto che quegli echi erano stati molto vicini alla
realtà e non avrebbe quindi mai pensato di rivedere il signor Norton a
Woolcombe.
«Cugino Edward!» esclamò, affrettandosi ad andargli incontro. «Come
siete stato buono a venire!»
«Mi dispiace di essere tanto in ritardo, Jack», si scusò il signor Norton,
stringendogli la mano e guardandolo in faccia con aria grave, «ma
quell'imbecille del mio cocchiere mi ha ribaltato dall'altra parte di Barton e
ho impiegato un tempo lunghissimo ad arrivare fin qui.»
«Temo che siate rimasto molto scosso, signore», disse Jack. Invitò gli
altri a prendere posto: «Signore, prego, accomodatevi senza cerimonie.
Signori, vi prego di sedervi». Condusse il cugino Edward a una sedia, gli
versò un bicchiere di vino e finalmente il pasto cominciò.
Un pasto lungo e tedioso, con tutto il disagio insito in tali occasioni; ma,
come Dio volle, giunse alla fine e nell'insieme andò molto meglio di
quanto Jack non avesse creduto. Dopo che ebbe accompagnato l'ultimo
ospite alla sua carrozza, rientrò nel piccolo soggiorno, dove trovò il cugino

Patrick O'Brian 204 1988 - La Nave Corsara


Edward sonnecchiante sulla poltrona dallo schienale alto, uno dei pochi
pezzi antichi sfuggiti alla modernizzazione di Woolcombe House. Usci in
punta di piedi e nel corridoio s'imbattè in Philip, che gli domandò: «Non
dovrei salutare il cugino Edward?»
«No. Rimarrà qui per la notte: la sua carrozza si è ribaltata dall'altra
parte di Barton e si è rotta una ruota. E ha risentito dell'incidente. È molto
vecchio.»
«Più vecchio di mio padre... di nostro padre, signore?»
«Oh, molto più vecchio. Era coetaneo di mio nonno.»
«Che cosa vuol dire coetaneo?»
«Che ha la stessa età: ma in genere si dice di persone con le quali si è
stati ragazzi insieme, compagni di scuola, eccetera. Perlomeno io intendo
questo. Il cugino Edward e mio nonno erano coetanei e grandi amici.
Possedevano insieme una muta di cani quando erano giovani. Cacciavano
la lepre.»
«Voi avete molti coetanei, signore?»
«No, non sulla terraferma. Non conoscevo bene nessuno della mia età a
parte Harry Charnock. Sono andato in mare così presto, ero poco più
grande di te.»
«Ma vi sentite a casa qui, non è vero, signore?» domandò il ragazzo con
una curiosa ansia e perfino con preoccupazione.
«Non vi sembra di non poter essere mandato mai via da questo posto?»
«Sì», rispose Jack, non soltanto per fargli piacere. «E ora vado a dare
un'occhiata alla serra e all'orto. Là dietro da ragazzo giocavo a palla a
muro, mano destra contro mano sinistra. Ma, ora che ci penso, dal
momento che siamo fratelli, probabilmente dovresti chiamarmi Jack, anche
se sono tanto più vecchio di te.»
Philip disse: «Sì», e arrossì, ma non parlò più finché non furono nella
serra, in disuso ormai, così come lo era stata al tempo di Jack e là gli
mostrò una rana, addomesticata, si diceva, nella vasca di pietra
perennemente traboccante in uno sgocciolio musicale. L'orto circondato da
muri era cambiato ancora meno, se possibile; gli stessi filari ordinati di
ortaggi, di legumi, gli stessi cespugli di uva spina, di ribes, gli stessi
sostegni per i cetrioli e i meloni, così fragili se colpiti da una palla, e lo
stesso odore di bosso delle siepi, mentre contro il muro di mattoni rossi
albicocche e pesche stavano cambiando colore. In verità tutta la parte
posteriore della casa, le scuderie, la lavanderia, la rimessa delle carrozze,

Patrick O'Brian 205 1988 - La Nave Corsara


tutte le parti lasciate come erano state un tempo gli erano infinitamente
familiari, risalivano alle primissime cose che Jack aveva conosciuto,
familiari come il canto del gallo, tanto che a tratti si sentì un bambino,
molto più del ragazzino che correva di qua e di là nel suo incongruo abito
nero.
Quando rientrarono in casa, i pipistrelli si mescolavano alle rondini che
sfioravano l'abbeveratoio dei cavalli e il signor Norton era già andato a
letto. Jack non lo rivide che la mattina seguente sul tardi.
Il legale di Dorchester si era appena congedato, portandosi via la sua
borsa di documenti, quando comparve il cugino Edward. «Buongiorno a
te, Jack», disse. «Hai avuto una lunga seduta, temo. Ho visto arrivare
Whiters mentre mi stavo radendo la barba. Spero che non significhi
difficoltà o contestazioni.»
«No, signore, è andato tutto bene, anche se abbiamo dovuto definire
molti particolari», rispose Jack. Gran parte delle lungaggini era stata
causata in realtà dal fatto che la sua matrigna aveva dimostrato un'estrema
riluttanza a rivelare di non essere in grado di scrivere il suo nome, ma non
era quello un punto che Jack desiderava sollevare. Chiese: «Vogliamo
prenderci un caffè in soggiorno?»
«Non riesco più a orientarmi in questa casa», disse Norton, entrando
nella stanza. «A parte la mia camera e la biblioteca, è tutto cambiato da
quando sono stato qui l'ultima volta: perfino la scala.»
«Sì. Ma intendo rimettere almeno l'atrio com'era una volta, e le stanze di
mia madre», lo informò Jack. «Ho trovato quasi tutti i rivestimenti
ammucchiati nel granaio, dietro il fienile.»
«Hai intenzione di vivere qui?»
«Non so. Dipenderà da Sophia. La nostra casa nello Hampshire è
terribilmente scomoda, ma Sophia è sempre vissuta là da quando ci siamo
sposati e ha molti amici nei dintorni. In ogni caso, mi piacerebbe che
Woolcombe tornasse ad avere più o meno l'aspetto del tempo in cui io ero
ragazzo. La mia matrigna non desidera vivere qui, il posto è troppo grande
per lei e si sentirebbe sola. Pensa di stabilirsi a Bath, dove ha qualche
parente.»
«Be', sono contento che tu tenga almeno un piede nella contea», disse il
cugino Edward con un'occhiata significativa; e quando il caffè fu servito,
riprese: «Jack, sono felice che siamo qui da soli». Dopo una pausa
continuò in un tono molto diverso, come se stesse recitando frasi preparate

Patrick O'Brian 206 1988 - La Nave Corsara


in precedenza con una certa cura, forse variandole più volte; ed era
palesemente nervoso. «Oso dire che ti ha sorpreso vedermi ieri. So che
Caroline si è meravigliata e anche Harry Charnock, così come qualcun
altro; e in circostanze normali non sarei venuto.» Un'altra pausa. «Non
intendo vilipendere tuo padre, Jack, anche se tu sai molto bene come mi
abbia trattato.» Il cenno del capo di Jack avrebbe potuto significare
qualsiasi cosa. «Ma il motivo per cui sono venuto è parzialmente il
desiderio di fare ciò che è giusto per la famiglia: dopotutto tuo nonno e io
eravamo grandi amici e volevo molto bene a tua madre; ma soprattutto
sono qui per esprimere il mio sentimento su ciò che ti è dovuto per la tua
splendida impresa a Saint-Martin e ancor più per l'orribile ingiustizia di cui
sei stato vittima a Londra.»
La porta si aprì e Philip entrò di corsa. Nel vedere il cugino Edward, si
arrestò di colpo, poi avanzò con passo esitante. «Buongiorno, signore»,
disse, arrossendo; e poi: «Fratello Jack, il calesse è venuto a prendermi. Ho
già salutato la mamma».
«Verrò a vederti partire», disse Jack. E nell'atrio: «Ecco qui una ghinea
per te».
«Oh, grazie mille, signore. Ma sarei molto maleducato se vi dicessi che
preferirei avere qualcosa di vostro, un mozzicone di lapis o un vecchio
fazzoletto o un pezzo di carta con il vostro nome, da mostrare ai miei
compagni a scuola?»
Jack frugò nel taschino del panciotto. «Senti che cosa ti dico, puoi
mostrare questa. È la pallottola che il dottor Maturin mi ha estratto dalla
schiena a Saint-Martin.» Sollevò di peso il ragazzo sul calesse e disse:
«Durante le prossime vacanze, se la tua mamma potrà fare a meno di te,
devi venire nello Hampshire a conoscere i tuoi nipoti. Sei più giovane di
qualcuno di loro, ah, ah, ah!»
Si salutarono con la mano finché il calesse non ebbe girato l'angolo, poi
Jack tornò in soggiorno. L'imbarazzo si era dissipato e il cugino Edward,
perfettamente a suo agio, domandò: «Ti fermerai per un po'? Spero di sì,
non fosse che per le tue ferite».
«Oh, in quanto alle ferite, mi hanno dato fastidio per un po', ma io
guarisco in fretta come un cucciolo di cane e ora che i punti sono stati tolti
quasi non ci penso più. No: non appena avrò fatto il mio giro di
ringraziamenti in paese e nelle campagne, partirò. La Surprise si prepara
per una lunga traversata e ci sono migliaia di cose da fare, oltre al

Patrick O'Brian 207 1988 - La Nave Corsara


raddobbo. Il mio chirurgo è molto soddisfatto di me, a condizione che io
viaggi in carrozza e non a cavallo.»
«Non potresti passare un pomeriggio a Milport, per incontrare gli
elettori? Non sono molti e quei pochi sono tutti miei affittuari, perciò è più
che altro una formalità; ma bisogna conservare una certa decenza. Il
mandato sarà reso pubblico molto presto.» Poi, vedendo l'espressione
stupefatta di Jack, continuò: «Intendo offrirti il seggio».
«Davvero, perdio?» esclamò Jack; e, rendendosi conto della portata,
dell'importanza, del significato di ciò che suo cugino aveva appena detto,
aggiunse subito: «Lo ritengo un gesto straordinariamente bello da parte
vostra, signore; ve ne sono riconoscente più di quanto non riesca a
esprimere». Strinse vigorosamente la mano fragile e vecchia del signor
Norton e per un po' rimase a fissarlo in silenzio: possibilità che non osava
nemmeno nominare gli attraversavano luminose la mente, come una flotta
in azione.
Il cugino Edward disse: «Ho pensato che potesse rafforzare la tua
posizione nei confronti del ministero. Non vi è gran merito a essere
membro del Parlamento, a meno di rappresentare la propria contea, forse;
ma perlomeno un deputato che di meriti ne abbia di propri è nella
posizione di farli riconoscere. Può mordere, oltre che abbaiare».
«Proprio così. È armato. L'altro giorno è venuto a trovarmi un uomo che
ha a che vedere con il ministero, per parlarmi in via non ufficiale: se mi
fossi prostrato a faccia in giù e avessi implorato grazia, mi ha detto, forse
mi sarebbe stata concessa. E ha detto, o lasciato intendere, non ricordo
esattamente, che, se mi fosse stato concesso il perdono, avrei potuto essere
reinserito nei ruoli. Ma io gli ho risposto che chiedere perdono per un
crimine significava necessariamente che il crimine fosse stato commesso e,
per quanto mi riguardava, non era stato commesso nessun crimine. In
effetti gli ho detto che è il cane guasto a mangiare l'osso affamato... cioè, è
il cane affamato a mangiare l'osso guasto; ma in questo caso io non ero
abbastanza affamato o l'osso era troppo guasto e l'ho pregato di volermi
scusare. La cosa è rimasta lì; e io ero convinto di aver distrutto per sempre
le mie possibilità. Ma se fossi stato un membro del Parlamento, non penso
che avrebbe abbordato la questione in quel modo, o, se lo avesse fatto, non
si sarebbe fermato lì.»
«Sono certo di no, in particolare se tu fossi stato un membro del
Parlamento affidabile, moderato, sostenitore della Chiesa e dello Stato,

Patrick O'Brian 208 1988 - La Nave Corsara


senza esaltazioni retoriche, come sono certo sarai. Non che ti ponga
nessuna condizione, Jack: tu voterai come riterrai giusto, purché non sia
per abbattere la corona.»
«Dio ci scampi, signore! Dio ci scampi!»
«Ciò nonostante, anche così stando le cose, non era il modo di parlare a
un uomo della tua reputazione.»
«Non credo che le sue intenzioni fossero cattive. Ma è un funzionario di
Whitehall, e io ho sempre notato che quelle persone credono davvero di
appartenere a una categoria molto più elevata, come se fossero nate nel
ruolo degli ufficiali superiori.»
Entrò il maggiordomo e, rivolgendosi al signor Norton, disse: «Signore,
Andrew mi prega di riferirvi, con i suoi ossequi, che la ruota è stata
riparata; la carrozza in questo momento è nel cortile e: la desiderate subito,
prego, o deve mettere i cavalli nella scuderia?»
«La desidero subito», rispose il signor Norton e, non appena la porta si
fu richiusa: «Suvvia, Jack, concedimi una giornata di propaganda
elettorale, vuoi? Lo Stag di Milport ci offrirà un pranzo decente e dopo
potremo berci un punch con gli elettori. Tutta forma, naturalmente, ma ne
saranno contenti. Senza dubbio cianceranno sulla situazione politica più di
quanto non sarebbe accettabile, ma è giusto far loro questa cortesia e tu
potrai comunque essere a casa mercoledì. O il sacrificio è troppo grande?
La politica di campagna può essere una gran noia, lo so».
«Sacrificio, cugino Edward?» esclamò Jack, scattando in piedi. «Voi
potreste chiedermi molto, molto di più, parola mia d'onore. Darei il braccio
destro per essere di nuovo nei ruoli della marina o anche solo a metà
strada!»

*
Nella stanza del Grapes, confortevole, vissuta, tappezzata di libri, il
dottor Maturin e Padeen contemplavano con soddisfazione il bagaglio. Un
collo, di dimensioni ridottissime, impacchettato come una salsiccia,
conteneva il necessario per il viaggio di Stephen fino a Edimburgo, da
solo, perché Padeen avrebbe fatto vela verso nord con la Surprise. Ma il
loro vero trionfo era la cassa da marinaio del dottore: Padeen aveva tratto
grande profitto dalla sua amicizia con Bonden, un autentico prodigio con il
cordame, e in quel momento il baule era in mezzo alla stanza, avvolto in

Patrick O'Brian 209 1988 - La Nave Corsara


una complessità di linee diagonali, una sorta di rete che avrebbe riempito
di ammirazione qualsiasi marinaio: i cordoni a ogni estremità terminavano
con un bel piè di pollo e tutto l'insieme era sormontato da un magnifico piè
di pollo doppio.
«La mia pozione non è stata dimenticata, non è vero, Padeen?» domandò
Stephen. Preferì non essere più preciso, ma con pozione intendeva il suo
conforto notturno, il laudano, come Padeen sapeva molto bene, essendo
diventato a quel punto anche il suo, di conforto, al punto che avrebbe
piuttosto dimenticato la camicia (anche se in verità, avendo continuato a
diluirlo costantemente con il brandy, in dosi ancora maggiori ora a motivo
della loro temporanea separazione, assumerlo era poco più di un atto di
fede). «No, signore», rispose. «Forse che non è proprio sotto il coperchio?
E protetta come una reliquia?»
Un passo pesante su per le scale, e la signora Broad, spingendo il
battente con il gomito, entrò con due pile di biancheria di bucato sulle
braccia, tenute ferme sotto il mento. «Ecco qui!» annunciò a voce
altissima. «Tutte le camicie con gli jabot stirate alla perfezione, con il
miglior ferro per arricciare che si sia mai visto. La signora Maturin le
faceva sempre portare a Cecil Court», soggiunse, rivolta a Stephen in
particolare e poi, forte e chiaro, come se Padeen fosse in testa d'albero:
«Nel mezzo, Padeen, tra le lenzuola di ricambio e le mutande lunghe di
lana».
Padeen si toccò ripetutamente la fronte in segno di sottomissione e, non
appena la padrona della locanda se ne fu andata, aiutato da Stephen, portò
due sedie ai piedi di un armadio alto. Pur sulla sedia, però, Stephen non
arrivava in cima e fu costretto a restare là a passare a Padeen pagine del
Times, poi camicie, poi altre pagine, dando consigli su come dovevano
essere sistemate le camicie; ed era in quella posizione e stava dicendo:
«Non preoccupiamoci dei pizzi, basta che il collo non si veda», quando la
snella Lucy dal piede leggero entrò in gran fretta, annunciando: «Un
espresso per il dottore... oh, signore!» Le bastò un secondo per capire: li
guardò inorridita, con un'espressione di profonda disapprovazione. I due
parvero miseramente confusi, colpevoli, goffi; non trovarono niente da
dire fino a quando Stephen non borbottò: «Le stavamo mettendo lì solo per
un momento».
Lucy strinse le labbra: «Ecco la vostra lettera, signore», disse, posandola
sul tavolo.

Patrick O'Brian 210 1988 - La Nave Corsara


«Non occorre che ne parliate con la signora Broad, Lucy», azzardò
Stephen.
«Non sono mai stata una spiona», ribatté Lucy. «Ma, Padeen, con le
mani sporche di polvere, anche! Che vergogna!»
Stephen prese la lettera, e la sua espressione di colpevolezza nervosa si
rasserenò nel riconoscere la scrittura di Jack Aubrey. «Padeen», disse,
«lavati le mani e fai un salto giù a farti dare una brocca di orzata al
limone.» Tirò la sedia con i braccioli vicino alla finestra e ruppe il sigillo
familiare:

Ashgrove Cottage
Mio caro Stephen,
rallegrati con me! Nella sua grande bontà, mio cugino Edward
mi ha offerto il seggio del distretto di Milport, sua proprietà:
siamo andati là e abbiamo trascorso una giornata o quasi con gli
elettori, un'amabile compagnia. Sono stati tanto gentili da dirmi
che, per via di Saint-Martin e delle Azzorre, avrebbero votato per
me anche se il cugino Edward non avesse consigliato loro di farlo.
Mentre eravamo lì, è arrivato con la vettura postale un
messaggero del governo, latore di proposte per mio cugino; ma
Edward ha detto che non poteva prenderle in considerazione,
perché si era già impegnato con me: il messaggero ha assunto
un'espressione vacua ed è ripartito.
Così, dopo un altro giorno dal cugino Edward - voleva
assolutamente che io vedessi le sue rose al massimo del loro
splendore ed era il minimo che io potessi fare -, sono tornato a
casa e stavo dando a Sophia la notizia per la ventesima volta, con
tutto ciò che speravo potesse comportare, forse, quando è arrivato
Heneage Dundas.
Sapevo che l'Eurydice era ritornata, ma non avevo avuto il
tempo di andare a Pompey a dargli il benvenuto, e quando avevo
mandato a invitarlo a pranzo avevano detto che era partito per
Londra, così non ci siamo meravigliati troppo di vederlo; abbiamo
pensato che stesse facendo ritorno alla sua nave e che avesse fatto
una deviazione per venirci a trovare.
Ma ci siamo molto meravigliati quando, dopo aver detto cose
assai belle davvero sulla Diane ed essersi fatto raccontare la

Patrick O'Brian 211 1988 - La Nave Corsara


cattura in porto in tutti i particolari, ha cominciato a diventare
strano, intimidito, sfuggente; e dopo un po' ha detto di essere
venuto non solo come amico, ma anche come emissario. Al
ministero, ha detto, si era saputo che avrei rappresentato Milport
in Parlamento; suo fratello si era rallegrato molto alla notizia,
perché quell'influenza supplementare in mio favore gli avrebbe
permesso di insistere presso i colleghi in modo ancora più
pressante affinché io fossi reintegrato nei ruoli senza necessità di
una domanda di perdono. Ma per poterlo fare nel modo più
efficace, Melville avrebbe dovuto essere in grado di rassicurarli
sul mio atteggiamento alla Camera. Non mi si chiedeva di
appoggiare il governo a tutta forza, ma Melville sperava di poter
garantire almeno che non mi sarei opposto violentemente e
sistematicamente, che non sarei stato un membro veemente o
eccessivamente entusiasta. Ho guardato Sophia, che conosceva
perfettamente i miei pensieri; ha fatto cenno di sì e io ho detto a
Heneage che era del tutto improbabile un mio intervento in
Parlamento su qualcosa che non riguardasse questioni
strettamente navali, perché avevo visto anche troppi ufficiali di
marina presi a collo per essersi immischiati nella politica; ho detto
che in linea generale sarei stato felice di votare a favore di
qualsiasi misura proposta da Lord Melville, per il quale avevo una
grandissima stima e con il cui padre avevo un debito di
gratitudine così grande. E, in quanto all'entusiasmo e alla
veemenza verbale, nemmeno il mio peggior nemico avrebbe
potuto accusarmi sotto questo aspetto. Heneage si è dichiarato
d'accordo con me e ha detto che niente lo avrebbe reso più felice
che riferire un tale messaggio; in caso di una risposta favorevole,
gli aveva spiegato Melville, la pratica sarebbe stata avviata
immediatamente e, pur occorrendo qualche mese perché
percorresse tutti i canali appropriati, mentre l'annuncio ufficiale
non avrebbe potuto essere fatto se non in concomitanza con una
vittoria in Spagna o, meglio ancora, sul mare, egli avrebbe
provveduto affinché il mio nome e il mio attuale comando fossero
iscritti in un ruolo speciale così che io non avrei perduto
l'anzianità di servizio.
Signore Iddio, Stephen, siamo così felici! Sophia gira per casa

Patrick O'Brian 212 1988 - La Nave Corsara


cantando, dice che darebbe qualsiasi cosa perché tu fossi qui a
condividere la nostra gioia, perciò ecco che scribacchio in tutta
fretta nella speranza che questa mia ti raggiunga prima che tu
parta per Leith. Ma, se così non fosse, allora avrò il piacere di
dirti tutto quando ci vedremo in Svezia. Vorrei suggerire un solo
cambiamento nei nostri programmi e cioè vorrei spingermi fino a
Riga, dato che saremo già nel Baltico, per rifornirmi di cordame,
di aste e specialmente di tela da vele per la nostra spedizione: la
migliore tela che io abbia mai visto in tutta la mia vita veniva da
Riga. Che Dio ti benedica, Stephen. Sophia mi ordina di mandarti
tutto il suo affetto.
Tuo affezionatissimo
Jno Aubrey

«Che c'è ancora?» esclamò Stephen, facendo scivolare in fretta la lettera


sotto un libro.
«Prego, signore», disse la signora Broad, il cui viso placido era del tutto
ignaro dell'armadio, «c'è Sir Joseph da basso e chiede se potete riceverlo.»
«Ma certamente, fatelo salire, prego.»
«Cielo, Maturin, come sono contento di avervi trovato», disse Blaine,
«temevo che foste già partito.»
«La vettura postale non parte che alle sei e mezzo.»
«La vettura postale? Pensavo che avreste noleggiato una carrozza.»
«A quattordici pence al miglio? No, signore», disse Stephen, con un'aria
accorta ed esperta.
«Bene», disse Sir Joseph sorridendo, «posso risparmiarvi non soltanto la
spesa mostruosa della vettura postale, ma anche lo strazio degli scossoni,
stipato notte e giorno in una scatola senz'aria, con un mucchio di
sconosciuti più o meno puliti a seconda dei casi, i pasti affrettati,
l'incessante 'non dimenticatevi del cocchiere, signore', e perfino la noia
crudele di dover correre da Edimburgo a Leith e poi d'imbarcarvi sul
postale a un costo ancora più elevato per la borsa e per lo spirito, a quel
punto ormai del tutto sfinito.»
«Come vi proponete di ottenere questa bella cosa, mio prezioso amico?»
«Mettendovi a bordo del cutter Netley domattina presto. Deve portare
messaggi e messaggeri a un certo numero di navi al Nore; tra queste,
Maturin, come ho appreso grazie al telegrafo semaforico soltanto un'oretta

Patrick O'Brian 213 1988 - La Nave Corsara


fa, alla Leopard, diretta a Gefle.»
«Non la vecchia orrenda Leopard che ci ha trasportato nella Nuova
Olanda, facendoci affogare, naufragare e affamare lungo il percorso!»
esclamò Stephen.
«La stessa: ma ora è priva di quasi tutti i suoi cannoni e naviga per conto
del Comitato dei trasporti. In effetti, il suo umile compito attuale è di
andare a prelevare scorte marine a Gefle, prendendo il posto di un'altra
nave da carico catturata da un paio di americane nello Skagerrak. L'ho
saputo soltanto questo pomeriggio, quando è arrivato il rapporto del
sovrintendente: con diligenza, la Leopard avrebbe potuto fare vela domani.
Mi trovavo per caso lì e, non appena ho sentito che la sua destinazione era
Gefle, mi sono detto: 'Devo avvertire subito Maturin; la Leopard può
sbarcarlo a Stoccolma senza fargli perdere nemmeno un minuto e
risparmiandogli tutta quella sfacchinata, la compagnia sgradevole e il cibo
peggiore, oltre a un bel mucchio di quattrini'. Sono uscito di corsa, vi ho
cercato al Black, vi ho cercato al Museo britannico, vi ho cercato a
Somerset House e alla fine vi ho scovato qui, dove avrei dovuto cercarvi
prima di tutto. Avrei evitato caldo e agitazione a non finire per farmi strada
tra le orde lente di villici. Londra è piena di villici in questa stagione
dell'anno: si guardano intorno come bovi.»
«Siete stato buono ad affaticarvi tanto per me, Sir Joseph, e vi sono
obbligatissimo per il vostro interessamento. Gradite un bicchiere di orzata
al limone o preferite un boccale rorido di birra scura?»
«Un boccale di birra, per cortesia, e non sarà mai abbastanza rorido per
me. Devo essere calato di quindici libbre nella mia corsa affannosa. Ma ne
è valsa la pena. Oh, povero me, Maturin, come sono contento di avervi
trovato! Il mio umore sarebbe rimasto alterato per un mese, se non fossi
riuscito a farvi avere il mio messaggio.» Bevve metà della sua birra, trasse
un gran respiro e riprese: «Inoltre, non avrei potuto invitarvi a sentire un
affascinante Figaro questa sera. La giovane persona che interpreta
Cherubino raggiunge una perfezione androgina con le brache; e ha una
voce!» Continuò parlando degli altri cantanti, in particolare di una gloriosa
Contessa: tuttavia Stephen, osservandolo, si rese conto che stava
accarezzando il segreto di un'altra notizia e poco dopo infatti la notizia si
annunciò. «Ma, nonostante l'importanza di invitarvi ad ascoltare la musica
e dirvi del passaggio a bordo della Leopard, farvi partire con l'animo
tranquillo era molto più importante per me», disse Blaine.

Patrick O'Brian 214 1988 - La Nave Corsara


Sir Joseph non era sposato e non aveva parenti prossimi; e, pur
frequentando moltissimi conoscenti, quasi non aveva amici intimi, mentre
la sua professione non lasciava grande spazio alle virtù più gentili. Ma
quella era una delle rare occasioni in cui l'amicizia e in verità l'interesse
del Servizio si univano ed egli guardò con affetto Stephen per qualche
momento prima di riprendere. «Jack Aubrey rappresenterà Milport in
Parlamento, ah, ah, ah!» Si alzò, batté la mano sulla spalla di Stephen e si
mise a passeggiare su e giù per la stanza. «Milport! Non ne siete
stupefatto? Io lo sono stato, ve lo confesso. La circoscrizione di suo padre!
Non ho mai saputo di un tale grado, di una tale vetta di magnanimità da
parte del proprietario di un distretto... soprattutto di quel distretto. Una
parentela lontana, forse? Conoscete il signor Norton, Maturin?»
«L'ho semplicemente visto al matrimonio di Jack Aubrey, un gentiluomo
alto, magro.»
«Questo cambia completamente le cose», disse Blaine, seguendo il filo
dei suoi pensieri. «E capita proprio al momento giusto. Naturalmente
avevo pensato a ottenere un distretto controllato, per dargli giusto il peso
necessario a spostare decisamente la bilancia a suo favore. Tendono a
essere costosi, i distretti, ma, date le circostanze, lo avrei suggerito, se solo
vi fosse stato un distretto libero, il che non era... Mai, nemmeno per un
momento, mi è passato per la mente che l'unico seggio disponibile gli
venisse versato in grembo, per così dire.»
«L'espressione non mi sembra corretta, Blaine.» «No, avete ragione. Ma
come si adatta bene all'occasione! Melville ha mandato suo fratello da lui e
sono sicuro che Heneage Dundas saprà regolare la cosa molto meglio di
Soames. Sono vecchi amici e, a parte ogni altra considerazione, qui si
tratta di una di quelle faccende delicate, che devono procedere da sole,
senza dover porre nessuna condizione esplicita; anche se Heneage Dundas,
io credo, parlando da marinaio a un altro marinaio, potrebbe persuaderlo a
non essere troppo duro con Melville e con i suoi colleghi.»
«Quanto mi rallegra ciò che mi dite, Blaine!» esclamò Stephen. «Non ho
nessun dubbio che Heneage Dundas sia il negoziatore perfetto. Da quanto
so dell'animo di Jack Aubrey, il suo amico non può non avere successo.
Tuttavia varrebbe la pena, forse, di suggerire ai vostri amici politici che il
solo modo assolutamente certo di far sì che un marinaio non intervenga
alla Camera con discorsi di lunghezza interminabile sugli abusi nella
marina o perfino su argomenti di cui non sa nulla di nulla è di mandarlo in

Patrick O'Brian 215 1988 - La Nave Corsara


missione molto lontano. Abbiamo la situazione nell'America del Sud,
certo; ma vi sono anche le complesse rivalità tra i sultani della Malesia,
che preoccupano tanto la Compagnia delle Indie, vi è tutto ciò che il
povero comandante Cook e il meno soddisfacente Vancouver hanno
lasciato in sospeso; e pensate all'entomologia inesplorata delle Celebes!
Stappiamo una bottiglia di champagne.»

*
Lo champagne e il suo affascinante effetto sullo spirito erano svaniti da
lunga, lunga pezza, quando la Leopard iniziò a costeggiare lo Swin
durante la seconda comandata del venerdì: a intervalli di un minuto
sparava un colpo di cannone nella nebbia e il tamburo rullava
continuamente sul castello, sebbene l'umidità assorbisse gran parte della
risonanza; l'uomo alle lande gettava lo scandaglio senza pausa e la sua
voce roca cantilenava. «Al segno sette, al segno sette, al fondo sei, e sei e
mezzo», talvolta più acuta e urgente quando la costa sottovento si faceva
più vicina: «Al segno cinque, e cinque e mezzo!» La nave faceva a
malapena due nodi nella bruma, ma i fondali cambiavano in fretta e
tutt'intorno, in direzioni e a distanze difficili da stabilire, risuonavano in
risposta grida e rullo di tamburi dei mercantili o delle navi da guerra che
risalivano o discendevano il Tamigi, mentre deboli luci apparivano e
scomparivano in una nebbia ancora più fitta quando erano in prossimità
ancora maggiore.
Un momento infelice per navigare in quelle acque frequentate e dai
fondali bassi, e il comandante, il nocchiere e gli uomini più esperti erano
ancora in coperta, come lo erano stati, con qualche raro intervallo, fin da
quando Stephen non era salito a bordo nell'ultima ora di bel tempo. La
Leopard era stata spedita in mare in gran fretta, con un equipaggio ridotto
e mal preparata; i ponti erano nel caos e l'accoglienza riservata al dottor
Maturin non aveva fatto onore a nessuno, anche se certamente Stephen non
avrebbe potuto scegliere un momento peggiore, con la nave impegnata a
levare l'ancora. Tuttavia il suo animo era abbattuto già da un pezzo, da
molto prima che gli giungesse l'irritato: «Sottocoperta, signore, scendete
sottocoperta. Togliete dai piedi questa dannata cassa». Da mezzo miglio di
distanza non aveva riconosciuto la nave e aveva pensato che l'allievo della
scialuppa lo stesse prendendo in giro; poi, mettendo insieme curve, masse

Patrick O'Brian 216 1988 - La Nave Corsara


e proporzioni, il tutto sistemato da qualche parte nella biblioteca non
catalogata della sua mente, aveva capito che quella vecchia nave da
trasporto era effettivamente la Leopard: si era inarcata e questo le dava
un'aria spiovente di estrema trasandatezza; le erano stati messi alberi da
fregata da trentadue cannoni per alleggerire il peso, deformandone tutta la
linea, immiserendola; e la pittura era un disastro.
Tutto ciò era abbastanza triste e altrettanto triste fu l'accoglienza a
bordo, ma soltanto quando si ritrovò nel quadrato assurdamente familiare,
familiare persino nel difetto della porta che s'inceppava e nel portello
difettoso del giardinetto con il suo chiavistello di ottone consunto, si rese
conto di quali ricordi dolci, caldi, persino affettuosi ne aveva conservato e
quanto lo facesse soffrire il suo attuale stato di degrado. Sudiciume e
trascuratezza ovunque, ovunque un cambiamento in peggio. Naturalmente
non poteva essere giudicata secondo i criteri di una nave da guerra, dove
un comandante severo e un comandante in seconda zelante avevano a
disposizione trecentoquaranta uomini per tenerla in perfetto ordine; ma,
anche stando ai criteri del normale traffico costiero, era una nave sudicia.
Sudicia e infelice.
Molto tempo prima di salire lungo la murata aiutato dall'allegro allievo
della scialuppa, Stephen aveva avuto un brutto presentimento; e, sebbene
la felicità o l'infelicità della nave fosse del tutto irrilevante per quanto
riguardava il suo senso di catastrofe personale, tale sentimento si rafforzò
non appena ebbe visto il comandante litigare con il nocchiere e tre ufficiali
frustare gli uomini alle barre del cabestano, imprecando con quanto fiato
avevano in gola.
Nemmeno la cena fu una cerimonia molto allegra. La nebbia,
l'acquerugiola, la brezza leggera e incostante, le correnti e i fondali
pericolosi e il rischio di una collisione avrebbero reso ansioso il pasto
perfino sulla Leopard di un tempo; ora fu anche barbaro. Il quadrato era
diviso in due gruppi ostili, gli amici del nocchiere e gli amici del
commissario; e, per quanto a Stephen era dato vedere, i due gruppi
parevano ugualmente decisi a mostrare la loro mancanza di rispetto nei
confronti del comandante, un uomo alto, magro, anziano, fragile, di umore
acido e dall'aspetto di uno scrivano, il quale si affacciava di tanto in tanto
nel quadrato. Sulla nave viaggiava anche qualche altro passeggero diretto
in Svezia, mercanti di generi navali; e ognuno di quei tre gruppi seguiva
una conversazione separata a voce bassa. I passeggeri, e Stephen

Patrick O'Brian 217 1988 - La Nave Corsara


apparteneva a quel gruppo più che agli altri, dal momento che il chirurgo
di bordo della Leopard era ubriaco fradicio nella sua cabina, non
interessavano minimamente ai marinai. Erano soltanto terrazzani, spesso
seccanti, spesso afflitti dal mal di mare, sempre tra i piedi, oggi qui e
domani chissà dove; ma servivano come tramite di comunicazione tra gli
schieramenti ostili. Parole in apparenza rivolte a un commerciante di
canapa di Austin Friars rimbalzavano da questi fino all'altra estremità della
tavola; e in quel modo Stephen apprese che un'ennesima carboniera aveva
segnalato la presenza di navi americane al largo degli Overfalls, dirette a
sud; perciò il Vecchio sarebbe passato tra i banchi di Ower e di Haddock.
Poco dopo tutti gli uomini furono chiamati in coperta per allontanare un
peschereccio olandese che era andato a finire contro l'anca della Leopard
nonostante le grida e i colpi di cannone. Stephen seguì i mercanti sul ponte
bagnato, scuro, scivoloso, si rese conto che non riusciva a vedere né a fare
niente e si ritirò, le urla di: «Scostatevi, culi di burro!» sempre più fioche
man mano che scendeva verso la sua cabina e chiudeva la porta.
Da quel momento era rimasto disteso sul dorso con le mani dietro la
testa in quella che era stata la cabina di Babbington durante la traversata
della Leopard verso le isole delle Spezie, passando dall'Antartico;* [* Cfr.
Patrick O'Brian, L'isola della Desolazione, Longanesi, Milano, 1998.
(N.d.T.)] e là dondolava con il dolce movimento della nave. Nel corso di
quelli che ormai ammontavano a molti anni sul mare, si era
impercettibilmente trasformato in un marinaio al punto di trovare quella
posizione e quel movimento vivo i più confortevoli che l'uomo conoscesse,
i migliori per dormire e per riflettere, a dispetto dei suoni e dei rumori
della nave, delle grida e dello scalpiccio sopra la testa e, in quell'occasione,
del rombo del cannone di segnalazione.
Durante la prima parte della notte, mentre aspettava che la sua pozione
facesse effetto, cercò di disporre la mente al sonno: i suoi pensieri
potevano dilettarsi in una vasta estensione di eventi: gli affari di Jack
Aubrey non avrebbero potuto essere più prosperi e, a meno di una sfortuna
veramente bieca, e a quel punto Stephen si fece il segno della croce, era
ben difficile che non fosse reintegrato nei ruoli pienamente e
pubblicamente entro i prossimi mesi. Probabilmente dopo la missione
nell'America del Sud gli avrebbero dato un comando; e forse gli avrebbero
affidato una missione indipendente: in quelle il suo genio si manifestava al
meglio. Era presumibile che potessero esplorare insieme le elevate

Patrick O'Brian 218 1988 - La Nave Corsara


latitudini settentrionali: interessantissime, senza dubbio, anche se
difficilmente potevano sperare nella fantastica ricchezza del Sud. La mente
di Stephen tornò all'isola della Desolazione, dove lo aveva portato quella
stessa nave, quegli stessi legni ora maltrattati e consunti: l'isola della
Desolazione, con i suoi elefanti marini e gli innumerevoli pinguini, le
procellarie di ogni specie e i gloriosi albatri, che si lasciavano toccare,
caldi e, se non proprio amichevoli, certamente non ostili. I falaropi, i
cormorani antartici! Le foche Lobodon carcinophagus, le foche leopardo,
le otarie!
I suoi pensieri, forse troppo coscienziosi nella loro ricerca della felicità,
tornarono alla serata trascorsa con Blaine, indugiando per un po' sul pasto
eccellente, sulla bottiglia di Latour, così morbido e rotondo, e riascoltò le
parole confidenziali di Sir Joseph mentre finivano di bere il vino:
«Ritirarmi in campagna, dedicarmi al giardinaggio e all'entomologia... non
ha funzionato; ho provato una volta: mai più». I pensieri notturni in una
mente non occupata, a quell'età, con la sua esperienza e con la sua
professione alle spalle, erano troppo sgradevoli: rimorsi diffusi, anche se
ogni caso poteva essere giustificato in modo soddisfacente... unica
soluzione l'attività e l'impegno nel perseguitare il nemico. E da lì si spostò
sull'opera, sull'esecuzione veramente brillante delle Nozze di Figaro,
brillante dalle prime note dell'ouverture fino a quello che Stephen
considerava da sempre il vero finale, prima del trambusto dei contadini, il
punto in cui, dopo un silenzio mortale, l'allibito Conte aveva attaccato
l'aria Contessa, perdono, perdono, perdono, in una tale infinita sottigliezza
d'intonazione. La ripeté interiormente parecchie volte, insieme con la
squisita risposta della Contessa e con le parole della folla annuncianti che
da quel momento in poi sarebbero vissuti tutti felici e contenti - «Ah, tutti
contenti saremo così» -, mai, però, con sua completa soddisfazione.
Si appisolò probabilmente, perché risvegliandosi si accorse che il turno
di guardia era cambiato e che la velocità della nave era aumentata di circa
un nodo. Il tamburo non rullava più sul castello, ma il cannone continuava
ad abbaiare rauco ogni minuto circa. E la sua voce interiore cantava
ancora: «Ah, tutti contenti saremo così»; le cadenze erano più corrette, ma,
oh, quanta minore convinzione ora nelle parole! Erano adesso puramente
meccaniche, una ripetizione distratta, perché nel sonno la sensazione di
un'estrema infelicità imminente era tornata e lo occupava ormai
interamente.

Patrick O'Brian 219 1988 - La Nave Corsara


Gli appariva evidente che la sua visita in Svezia sarebbe stata vista come
un'intromissione odiosa. Era vero che le stava riportando il suo diamante
azzurro, infinitamente prezioso per lei; ma avrebbe potuto farglielo avere
tramite un messaggero; tramite la legazione; il fatto che avesse voluto
portarlo di persona forse sarebbe stato considerato come una richiesta
particolarmente ingenerosa di gratitudine, destinandolo alla sconfitta per
quanto riguardava ciò che per lui era essenziale. Probabilmente Blaine
aveva ragione nel dire che Diana non era o non era più attaccata
sentimentalmente a Jagiello: Stephen lo sperava, perché provava simpatia
per quel giovane affascinante e non aspettava con nessun piacere il
convenzionale incontro cruento. Ciò non significava tuttavia che Diana
non fosse attaccata a qualche altro uomo, forse molto più povero, più
discreto, meno in vista. Diana era una creatura passionale e, quando si
attaccava a qualcuno, per solito lo faceva con slancio. Stephen sapeva
molto bene che nel loro rapporto il sentimento ardente era tutto dalla sua
parte: lei provava per lui una certa simpatia, provava amicizia e affetto, ma
certamente nessuna passione di nessuna specie. Risentimento appassionato
per la sua presunta infedeltà, forse, ma niente altro.
Nell'animo di Diana vi erano vaste e importanti regioni che gli erano
sconosciute, così come a lei lo erano le sue, ma di una cosa era sicuro:
l'amore di Diana per una vita vissuta in grande stile, per la ricchezza, era
più teorica che reale. Certamente non sopportava di essere nelle
ristrettezze, limitata in ciò che faceva, ma ancor più detestava essere
comandata. Poteva amare, sì, il lusso spensierato, ma non si sarebbe mossa
o quasi per raggiungerlo: sicuramente non avrebbe fatto nulla che andasse
contro le sue inclinazioni. Niente era per lei più prezioso della sua
indipendenza.
Che cosa aveva egli da offrire in cambio anche solo di una piccola parte
di questa, dell'apparenza di una piccola parte di questa? Denaro, sì; ma
naturalmente in quel contesto il denaro non contava affatto. Un bacio
comprato non era un bacio. Che altro poteva offrirle? Anche se avesse
posseduto diecimila sterline l'anno e un parco con i cervi, perlomeno un
potenziale parco con i cervi, nessuno sforzo d'immaginazione avrebbe
potuto indurre a definirlo un marito attraente. Nemmeno tollerabile. La sua
conversazione era tutto fuorché brillante, il suo fascino inesistente. L'aveva
offesa pubblicamente e gravemente: o così credevano Diana e i suoi amici,
il che era poi la stessa cosa.

Patrick O'Brian 220 1988 - La Nave Corsara


Più rifletteva su questo, cullato dal movimento del mare mentre la
Leopard faceva rotta verso la Svezia, più si convinceva che la sua
premonizione fosse fondata, che il suo viaggio fosse destinato soltanto a
un penosissimo fallimento. Al tempo stesso, la parte irrazionale del suo
animo bramava a tal punto il successo che il fisico ne risentì, e Stephen fu
preso da una specie d'irrigidimento che gli tolse il fiato. Si rizzò a sedere,
stringendosi le mani e dondolandosi avanti e indietro finché, contro ogni
suo proposito ragionevole, contro ogni risolutezza e coraggio, non aprì la
sua cassa, cercò affannosamente la bottiglia e bevve un'altra dose.
Si svegliò non tanto da un sonno indotto dal laudano, perché a quel
punto la tintura avrebbe avuto ben poco effetto anche su un bambino di
normale costituzione, ma da un enorme sfinimento mentale; ciò nonostante
era ancora così istupidito che avrebbe potuto essere imbottito di papavero,
di mandragola e di nepente, e passò qualche momento prima che
comprendesse il grido del famiglio: «Venite, signore, siamo affondati!»
L'uomo ripeté le parole, scuotendo al tempo stesso la branda, e Stephen
riconobbe a quel punto i tonfi ripetuti, lo sfregamento sotto la carena: la
nave si era incagliata, non sugli scogli, ma sulla sabbia. «Affondati?»
chiese, rizzandosi a sedere.
«Be', no, signore», spiegò il famiglio. «Era solo un piccolo scherzo per
svegliarvi, sarebbe a dire; ma quel piccolo leccapalle di un vecchio
malvagio ci ha portato sulla coda del Grab e il signor Roke va a terra per
cercare aiuto. Il comandante pensa che i passeggeri dovrebbero andare con
lui, nel caso la nave si sfasci del tutto.»
«Grazie, bravo giovane», disse Stephen, alzandosi e annodandosi la
cravatta, l'unico indumento che si era tolto. Chiuse a chiave la cassa e
soggiunse, porgendo al famiglio una corona: «Date questa a un marinaio,
prego, per calare il mio bagaglio nella scialuppa; e se poteste portarmi una
tazza di caffè, ve ne sarei obbligato».
In coperta trovò la luce debole e grigia del giorno: acquerugiola e niente
vento, mentre gli urti contro il fondo erano diminuiti man mano che la
nave si assestava con il riflusso. Il nostromo aveva bloccato il nocchiere
contro la ruota e il comandante lo insultava e lo colpiva con il capo di una
cima. Gli altri membri dell'equipaggio erano impegnati a calare con calma
in mare una scialuppa e non facevano caso alle grida del nocchiere.
Nessuna terra in vista, nulla se non una bruma di un grigio giallastro su un
mare di un grigio giallastro, ma sembrava che gli uomini sapessero dove si

Patrick O'Brian 221 1988 - La Nave Corsara


trovavano e non si avvertiva nessun particolare senso di urgenza.
E tuttavia, quando la scialuppa fu in mare e armata, cominciò a
imbarcare acqua: non si erano scostati da cinque minuti che già bagnava
loro i piedi. «Pompa con forza!» gridò il signor Roke rivolto a Stephen. E
a voce ancora più alta: «Dai con le braccia, ho detto!»
Un gentile aiuto nocchiere, non visto fino a quel momento, si chinò
sopra Stephen e cominciò a manovrare la pompa, su e giù. Sarebbero stati
a Manton prima che la marea cambiasse, spiegò; e se Stephen voleva
sistemarsi in una locanda confortevole, gli raccomandava il Feathers,
tenuto dalla sua zietta. Non avrebbe dovuto sostarvi a lungo, con ogni
probabilità. Avevano soltanto danneggiato il timone e perso un po' di
paramezzale, ma Joe Harris di Manton li avrebbe rimorchiati e avrebbe
riparato tutto quanto non appena fossero stati a galla. Sbarcavano i
passeggeri solo per via dell'assicurazione. Stephen non doveva avere
nessuna paura.
«Pompa con forza!» gridò il signor Roke.
«Manton è là, dritto a prua», disse il giovane quando Stephen ebbe più o
meno vuotato la scialuppa. Era un promettente paesaggio dell'East Anglia,
un piatto, piattissimo mescolarsi di elementi: nella mezza luce si
scorgevano frangiflutti in rovina, terre piatte allagate dall'alta marea,
canneti e si avvertiva l'odore dei gas di palude e di alghe.
«Conoscete il reverendo Heath, di Manton?» domandò Stephen.
«Il pastore Heath? Lo conoscono tutti a Manton. Gli portiamo sempre le
cose strane, come un cucciolo di foca o un re di aringhe.»
Il signor Roke si alzò, facendo dondolare l'imbarcazione. «Allora,
signore», disse a voce molto alta, «se non volete pompare, cambiate il
posto con me e lo farò io stesso.»

*
Nella sala affacciata sulla strada al primo piano del William's Head a
Shelmerston, Sophia lesse ad alta voce: «Pane in sacchi: 21.226 libbre; lo
stesso in barili: 13.440 libbre. Farina per pane in barili: 9000 libbre. Birra
in botti da 72 galloni imperiali: 1200 galloni. Spirito: 1600 galloni. Manzo:
4000 pezzi. Farina in luogo di manzo in mezzi barili: 1400 libbre. Strutto:
800 libbre. Uvetta: 2500 libbre. Piselli in barili: 187 bushels. Farina
d'avena: 10 bushels. Grano: 120 bushels. Olio: 120 galloni. Zucchero:

Patrick O'Brian 222 1988 - La Nave Corsara


1500 libbre. Aceto: 500 galloni. Crauti: 7860 libbre. Malto in barilotti: 40
bushels. Sale: 20 bushels. Carne di maiale: 6000 pezzi. Grani di mostarda:
160 libbre. Succo di limetta condensato: 10 botticelle. Sciroppo di limone:
15 botticelle. I prezzi sono sull'elenco accanto al calamaio. Ho controllato
tutti i totali tranne gli ultimi due che il dottor Maturin ha già pagato; forse
potremmo confrontare i risultati».
Mentre il signor Standish, il nuovo e inesperto commissario,
moltiplicava e divideva, Sophia guardò fuori della finestra la baia
illuminata dal sole. La Surprise, ormeggiata lungo il molo di Boulter,
caricava le grandi quantità di provviste registrate sui fogli posati sul
tavolo: la fregata non aveva il suo aspetto migliore, con i boccaporti
spalancati e i picchi di carico che scrutavano nelle sue viscere, mentre
sarebbe stata una follia darle l'ultima mano di pittura prima che il carico
fosse completo; ma l'occhio esperto di un marinaio avrebbe notato il nuovo
cordame di manila che qualsiasi nave del re avrebbe invidiato, per non
parlare dello scintillio della foglia d'oro sulla polena e sulle volute del
tagliamare dietro di essa. Nel corso della sua lunga carriera la nave era
stata chiamata Unité, Retaliation e Retribution, e la figura dall'aria
piuttosto corrucciata sulla sua prua si era adattata, più o meno, a tutti quei
nomi; ma ora qualcuno, dotato di un genio naturale, le aveva inarcato le
sopracciglia e contratto le labbra, così che davvero era la personificazione
della sorpresa, una sorpresa compiaciuta, con una grande abbondanza di
riccioli biondi e un petto tutt'altro che trascurabile.
Mentre Sophia contemplava la Surprise, vide i bambini correre: li vide e
soprattutto li sentì. I suoi figli non avrebbero mai potuto essere definiti
creature garbate, essendo cresciuti in gran parte con marinai dalla voce
forte e dal parlare rozzo dispostissimi a viziarli; ma ora che erano stati
lasciati liberi per un po' in un'intera comunità di corsari adoranti,
rimpinzati di dolcetti, di zucchero intinto nel gin, sommersi da coltellini da
tasca, da pappagalli e da teste rimpicciolite provenienti da luoghi esotici
non mancava loro molto per essere rovinati completamente. Bonden e
Killick erano nominalmente incaricati di sorvegliarli, ma in quel momento
erano rimasti molto indietro, avendo entrambi le braccia impegnate dagli
indumenti da sera di Jack Aubrey, perché gli Aubrey erano invitati a cena
dall'ammiraglio Russell. In risposta alle loro grida sempre più minacciose,
le due bambine si fermarono, in piedi sul muretto prospiciente la spiaggia,
e il loro fratellino seppe cogliere l'attimo in modo mirabile e diede a

Patrick O'Brian 223 1988 - La Nave Corsara


entrambe una spinta, facendole cadere da quattro piedi di altezza almeno
sul greto scoperto dalla bassa marea. Il bambino corse via in direzione
della nave con tutta la velocità consentita dalle sue gambette e le sue
sorelle furono raccolte da tre donne della cittadina, ripulite, consolate e
rassettate nel modo più gentile: il grembiule di Charlotte si era strappato.
Vennero anche ammonite con molta fermezza di non gridare al fratello
parole quali «brutto animale leccapalle figlio di una porcaccia», perché la
loro mamma non ne sarebbe stata contenta.
La loro mamma non era contenta e lo sarebbe stata ancor meno se non
avesse saputo che i suoi figli sapevano passare da un tipo di linguaggio a
un altro senza la minima difficoltà; tuttavia, girandosi verso la signora
Martin, intenta a rammendare le calze del marito, disse: «Mia cara signora
Martin, mi si spezzerà il cuore quando la nave avrà salpato, ma, se quei
bambini staranno qui ancora un po', temo che diventeranno dei veri
selvaggi».
«Due giorni in più non faranno loro un gran danno, e si tratta proprio di
due giorni, io credo», la rassicurò la signora Martin.
«Sì, purtroppo», confermò Sophia. «Hanno promesso i crauti per
domani, non è vero, signor Standish?»
«Sì, signora; e ho fiducia che li consegneranno», rispose il commissario,
ancora occupato con le sue somme.
Sophia sospirò. Naturalmente le dispiaceva, le dispiaceva infinitamente,
restare lontana dal marito e, per quanto prevista, per quanto inevitabile e
pur avendo in un certo momento pregato con tutto il cuore e con tutta
l'anima perché si realizzasse, la prospettiva la rattristava disperatamente;
eppure in piccolissima parte il suo dispiacere era anche dovuto al fatto di
dover lasciare Shelmerston. Aveva sempre vissuto una vita molto
tranquilla e ritirata e, sebbene fosse stata due volte a Bath, due volte a
Londra e parecchie a Brighton, Shelmerston era diversa da ogni altro luogo
che avesse visto o immaginato; in verità, una gentildonna inglese di
campagna non avrebbe mai avuto occasione di vederne uno così simile a
un covo di pirati dei Caraibi, in particolare perché il sole aveva brillato fin
dal primo giorno del suo arrivo. Tuttavia era un covo di pirati civilissimo,
dove poteva camminare liberamente, accolta da sorrisi e saluti, dove
poteva girare ed esplorare le viuzze sterrate senza la minima apprensione,
essendo la moglie dell'uomo più ammirato, più rispettato del porto, il
comandante di quella favolosa miniera d'oro che era la Surprise.

Patrick O'Brian 224 1988 - La Nave Corsara


All'inizio le prostitute e le donnine allegre l'avevano sconcertata: anche
se le era capitato di notarne qualcuna a Portsmouth, non ne aveva mai viste
infatti in sì gran numero, tale da costituire una parte considerevole della
popolazione, tranquillamente accettata, per altro. Tra loro vi era qualche
vecchia megera, ma nell'insieme erano giovani, graziose, ben vestite e
festose. Cantavano e ridevano e si divertivano molto, specialmente la sera,
quando ballavano.
Sophia ne era affascinata e, poiché le aveva ringraziate parecchie volte
apertamente e sinceramente per la gentilezza usata ai suoi bambini, loro
non le portavano nessun rancore per la sua virtù. In realtà tutta la cittadina
l'affascinava; vi accadeva sempre qualcosa e, se non si fosse presa
l'impegno di aiutare il signor Standish nei conteggi, raramente si sarebbe
allontanata dall'ampia finestra in aggetto che dominava tutto il porto, con i
moli, il naviglio e l'intera baia, un palco reale su uno spettacolo che non
finiva mai.
L'evento più importante di quel pomeriggio fu la comparsa della
carrozza del William's Head, un veicolo originariamente destinato al
comandante generale spagnolo del Guatemala e decorato sontuosamente
per impressionare gli indigeni di quei luoghi; durante la guerra dei Sette
anni era stato però preso come bottino da un corsaro di Shelmerston e
lasciato alla locanda in pagamento di un debito risalente a una cinquantina
di anni prima. I costruttori avevano previsto che vi fossero attaccati sei od
otto muli, ma ora, nelle rare occasioni in cui il veicolo usciva dalla
rimessa, era tirato da quattro stupefatti cavalli di una fattoria di Old
Shelmerston. E in quel momento, superato l'arco della stalla, questi
stavano trottando compostamente verso il molo di Boulter, accompagnati
dai bambini della città che li seguivano correndo e gridando; e Sophia si
affrettò a salire al piano superiore per indossare il suo abito di mussola a
fiori.
Da qualche tempo non era più un segreto nella marina che Jack Aubrey
sarebbe stato reintegrato nei ruoli; non rifiutava più gli inviti e anzi
riceveva numerosi amici, mettendo a dura prova le risorse della locanda,
ed era felicissimo di recarsi a cena dall'ammiraglio Russell. «L'unica cosa
che mi dispiace», disse mentre la carrozza avanzava sulla strada al di là di
Allacombe, «è che Stephen non sia qui. L'ammiraglio ha invitato il nuovo
medico della flotta e Stephen sarebbe stato ben contento di conoscerlo.»
«Caro Stephen», mormorò Sophia, scuotendo il capo. «Immagino che

Patrick O'Brian 225 1988 - La Nave Corsara


sarà in Svezia a quest'ora.»
«Suppongo di sì, se ha avuto una buona traversata.»
Si guardarono in volto gravemente e non parlarono più finché la
carrozza non ebbe superato il cancello della dimora dell'ammiraglio.

*
Stephen non aveva avuto una buona traversata. In verità, non era
avanzato più di trenta miglia in direzione di Stoccolma e anche quando la
Surprise ebbe preso il mare, due giorni più tardi, la Leopard, con il timone
e il paramezzale finalmente nuovi, aveva appena perso di vista il
campanile della chiesa di Manton. Dopo i primi giorni di attesa non
sarebbe più valsa la pena di proseguire verso nord via terra, dato che
Stephen non avrebbe mai potuto arrivare in tempo per imbarcarsi sul
postale; era rimasto perciò dov'era, sistemandosi al Feathers e trascorrendo
molte ore della giornata con il suo amico, il reverendo Heath. Ammetteva
con se stesso che non gli dispiaceva poi troppo quel ritardo dovuto a un
naufragio, un atto di Dio o un evento che realmente sfuggiva al suo
controllo; e, su un piano completamente diverso, era contento di
familiarizzarsi con gli uccelli combattenti, maschio e femmina. Aveva
visto spesso passare quei volatili abbastanza insipidi sulle lagune del
Mediterraneo durante le migrazioni, ma, conducendolo a un capanno
d'avvistamento un giorno dopo l'altro, Heath gli aveva mostrato dozzine e
perfino centinaia di combattenti maschi in tutto lo splendore del loro
piumaggio del corteggiamento, combattenti che danzavano, tremavano, si
beccavano, esibendo la straordinaria varietà dei collari nei combattimenti
rituali, tutti apparentemente in uno stato di irrefrenabile eccitazione
sessuale.
«Un istinto possente, Maturin, pare a me», aveva detto Heath.
«Possente davvero, signore. Possente davvero.» L'istinto delle femmine,
sebbene certamente meno spettacolare, era forse ancora più forte. Benché
fossero state lasciate del tutto sole dai loro compagni, nonostante l'ardore
dei predatori che sopravvivevano soltanto grazie alla loro efficienza e
nonostante alcuni periodi di un tempo eccezionalmente freddo, Stephen e
Heath avevano osservato tre di quei coraggiosi uccelli portare a buon fine
le loro covate, mentre una quarta stava cominciando a schiudersi proprio
quando un ragazzo del coro era venuto a riferire che la Leopard stava

Patrick O'Brian 226 1988 - La Nave Corsara


uscendo dall'arsenale.

*
Conosciuti meglio, gli uomini della Leopard migliorarono leggermente.
Ciò fu dovuto in parte al buon vento da velacci che le riempì le vele non
appena la nave fu uscita a rimorchio dal porto di Manton, facendola
correre a sei e addirittura a sette nodi, un'andatura splendida nelle sue
attuali condizioni e tale da mettere di buonumore perfino il tetro signor
Roke; in parte fu dovuto al fatto che un uomo non più abile al servizio, un
tempo marinaio prodiero della Boadicea e ora impiegato nell'arsenale di
Manton, aveva riconosciuto il dottor Maturin, mentre al tempo stesso il
rivestimento di tela recante l'indirizzo provvisorio: S. Maturin, passeggero
per Stoccolma, inchiodato intorno alla sua cassa da marinaio, si era
strappato quando la cassa era stata di nuovo caricata a bordo, rivelando i
nomi delle navi sulle quali Stephen aveva prestato servizio, dipinti sul
frontale secondo la tradizione della marina e sbarrati con una sottile linea
rossa alla fine di ogni missione.
Stephen aveva notato che gli uomini di mare, anche se nell'insieme
piuttosto creduloni e ignoranti delle cose del mondo, si mostravano spesso
saccenti, sospettosi, diffidenti nei momenti sbagliati; ma non era possibile
resistere a quella doppia testimonianza indipendente, e il primo giorno di
navigazione, durante il pranzo, il signor Roke, dopo un silenzio generale,
disse: «E così sembra che voi siate stato un 'leopardo', signore.»
«Proprio così», confermò Stephen.
«Perché non ce lo avete detto quando siete salito a bordo?»
«Non me lo avete chiesto.»
«Non voleva mettersi in mostra», disse il commissario.
Gli altri meditarono su queste parole, poi il chirurgo disse: «Voi dovete
essere il dottor Maturin delle Malattie dei marinai».
Stephen accennò un inchino. Il commissario sospirò, scuotendo il capo,
e osservò che gli uffici funzionavano sempre così: ti mandavano un
biglietto: «Ricevete a bordo il tale, vitto e alloggio, fino a Stoccolma»,
senza una parola sulla sua qualità; avrebbe potuto trattarsi di Agamennone
o di Nabucodonosor e tu non ne sapevi niente. «Credevamo che foste un
commerciante che andava nel Baltico per affari, come questi signori»,
soggiunse indicando i mercanti, i quali abbassarono gli occhi sulla tovaglia

Patrick O'Brian 227 1988 - La Nave Corsara


macchiata.
«Era ancora una nave da guerra quando voi eravate a bordo, non è
vero?» domandò Roke.
«Era la sua ultima missione come nave da cinquanta cannoni, la
missione durante la quale, nelle elevate latitudini meridionali, affondò la
Waakzaamheid, un vascello olandese da settantaquattro cannoni. L'azione
non ebbe grande risonanza, perché in quelle acque non potevano esserci
resti, né prigionieri; credo che non sia stata nemmeno riportata sulla
stampa.»
«Oh, raccontateci come andò, dottor Maturin, per cortesia!» esclamò
Roke, la faccia illuminata d'improvvisa gloria riflessa, e gli altri marinai
accostarono le sedie. «Una nave da cinquanta cannoni che affonda un
vascello da settantaquattro?»
«Dovete capire che io mi trovavo sottocoperta e, pur avendo sentito le
cannonate, non vidi niente: posso dirvi soltanto ciò che mi riferirono quelli
che erano presenti.» Non aveva nessuna importanza, dissero; ascoltarono
avidamente, insistendo per avere tutti i particolari, chiedendogli di ripetere
i vari episodi in modo da avere in mente un quadro perfettamente chiaro:
perché la Leopard, sebbene non più nel suo stato di grazia, era pur sempre
la loro nave. Era quello il punto fondamentale. Si mostrarono
educatamente interessati a proposito delle recenti imprese di Jack Aubrey,
indignati anche per ciò che gli era stato fatto, ma tutto ciò apparteneva a un
piano diverso e in certo modo lontano: solo la Leopard, la tangibile
Leopard, contava veramente.
Durante i giorni seguenti, Stephen raccontò più volte l'episodio, o alcuni
momenti particolari di esso; qualche volta nella cabina del comandante
dove fu invitato a pranzo e dove indicò il punto esatto in cui i cannoni di
fuga erano stati fissati e dove si potevano scorgere ancora le loro tracce;
qualche altra sul cassero dove i suoi ascoltatori lo correggevano
immediatamente quando apportava un sia pur minimo cambiamento di
epiteti o di ordine; e tutto ciò mentre il vento si manteneva costante,
portandoli a nord nord-est a una velocità invidiabile. Troppo grande per
Stephen. Con il cuore stretto avvistò i primi uccelli del Nord, edredoni
dello Skagerrak. Una moderata brezza da ovest li sospinse lungo il
Kattegat e infine attraverso il Belt. Non una sola pausa fino a quando la
rottura dell'albero di parrocchetto non li rallentò leggermente a nord di
Oland; da quel momento in poi la loro avanzata fu lenta e gli uomini della

Patrick O'Brian 228 1988 - La Nave Corsara


Leopard persero del tutto la speranza di una traversata eccellente, il che fu
causa di imprecazioni irritate; ma per Stephen la traversata non poteva
essere troppo lenta e quelle ore di ozio furono un sollievo da una tensione
che aumentava di continuo.
E tuttavia il giovedì mattina, quando fu avvistata la Surprise, salì a
bordo della fregata non appena gli fu possibile.
Era uscito in coperta prima del solito, avendo dormito male e non
essendo più in grado di sopportare un altro starnuto volutamente comico
nel quadrato: il suo collega, il chirurgo della Leopard, non era un cattivo
giovane, ma si era convinto che fosse molto buffo esagerare il rumore
degli starnuti; la cosa era diventata ormai un'abitudine e ogni volta, molto
spesso in verità, si guardava intorno in cerca di approvazione divertita.
Stephen era dunque salito in coperta molto presto e là aveva trovato il
comandante e la maggior parte degli ufficiali intenti a scrutare
ansiosamente un vascello sopravvento, lo scafo visibile all'anca di dritta.
«Non ha fiamma, non può essere una nave da guerra», osservò il
comandante.
«No. È una nave armata per la guerra di corsa, certamente, una nave
americana», disse il nocchiere.
«Se solo aveste ghindato l'albero di parrocchetto ieri sera, saremmo
riusciti ad arrivare a Vestervik. Ormai non c'è speranza: guardate i baffi di
prora.»
Una magnifica onda prodiera: con i velacci e con i coltellacci
sopravvento la nave stava già facendo più di dieci nodi e i masconi
sollevavano la spuma bianca su entrambi i lati.
Durante i rimproveri reciproci, perché naturalmente il nocchiere aveva
ribattuto scaricando la colpa sul comandante, l'aiuto nocchiere giovane e
simpatico, di nome Francis, chiese in prestito il cannocchiale di Roke.
Osservò a lungo, attentamente, poi, con un'espressione preoccupata sul
viso, passò lo strumento a Stephen.
«Tranquillizzatevi, signor Francis», gli disse il dottor Maturin, quando
fu sicurissimo di non sbagliare, «quella è la Surprise, comandata dal signor
Aubrey. Dovevamo incontrarci a Stoccolma. Comandante Worlidge, posso
pregarvi di mettervi in panna e di sventolare una bandiera per segnalare
che vogliamo comunicare con loro? La Surprise mi porterà a Stoccolma,
con grande risparmio di tempo.»
Stephen, il quale aveva ormai acquistato una grande autorità in quanto

Patrick O'Brian 229 1988 - La Nave Corsara


«leopardo» più anziano di tutti a bordo, aveva parlato con una sicurezza
stupefacente; e l'alternativa era così poco allettante che Worlidge, dopo
aver detto di essere sempre pronto a compiacere un ufficiale del re, fece
mettere a collo la gabbia.

*
Nessuno avrebbe potuto contemplare il volto del nuovo rappresentante
di Milport senza sentirsi rincuorato: non che Jack Aubrey fosse esultante o
colmo di ovvio piacere, e anzi per un certo tempo dopo che si fu messo in
panna vicino alla Leopard il suo volto rimase corrucciato; ma possedeva
una luce interiore, una sua particolare armonia, e lo strano torpore quasi
paralizzante che era calato su di lui negli ultimi mesi era ormai quasi
scomparso. L'allegria era stata la sua caratteristica naturale fino a quando
ogni gioia non era stata cancellata dal suo viso, un bel viso colorito le cui
rughe e le cui linee erano state formate dalle risate e dai sorrisi; ora
sembrava tornata essenzialmente la stessa, se mai ancora più rubizza e
illuminata dagli occhi che parevano di un celeste ancora più brillante.
Stephen sentì la tristezza, la disperazione quasi, ritirarsi, svanire
addirittura mentre parlavano, parlavano del gesto straordinariamente
nobile del cugino Edward Norton, della camera dei Comuni, dove furono
d'accordo che la condotta più saggia di Jack avrebbe dovuto essere il
silenzio tranne nel caso di una sua convinzione assoluta a proposito di un
qualche punto navale e un appoggio generale ma niente affatto
incondizionato al ministero: o perlomeno a Lord Melville. Poi, dopo aver
ascoltato un resoconto abbastanza particolareggiato dell'arenamento della
Leopard, Jack, con Pullings e Martin, mostrò a Stephen il nuovo sartiame
di manila e l'inclinazione leggermente più accentuata che avevano dato
all'albero di trinchetto. «Credo che così possa guadagnare qualche decimo
di nodo», concluse Jack.
«Certamente è veloce come un cavallo che corra a un buon trotto», disse
Stephen, guardando al di sopra dell'impavesata il rapido movimento
scorrevole del mare che scopriva il rame della parte centrale della nave; e
mentre parlava si rese conto che ogni ora che passava lo portava più vicino
a Stoccolma di dieci miglia e che il giorno seguente probabilmente lo
avrebbe visto sulla terraferma.
«Non mi fiderei di questo vento, però», disse Pullings. «Non ha fatto che

Patrick O'Brian 230 1988 - La Nave Corsara


girare per tutta l'ultima guardia e dubito che i coltellacci resisteranno oltre
gli otto colpi.»
Durante il pranzo, quella visione del presente nella sua corsa per
diventare futuro si radicò sempre più nella mente di Stephen e, quando
ebbero detto tutto il possibile sul Parlamento, su Ashgrove, su
Woolcombe, sui bambini, su Philip Aubrey e sui nuovi barili di ferro per
l'acqua della Surprise, i suoi pensieri cominciarono a vagare. A dispetto
della soddisfazione invero profonda di vedere l'antico Jack Aubrey all'altro
capo della tavola, la sua ansia si fece più forte.
Jack sapeva perché Stephen era venuto nel Baltico, naturalmente, e
verso la fine del pasto si accorse che l'amico sembrava non solo
miseramente malato, ma anche più vecchio di dieci anni; tuttavia non era
quello un terreno dove potesse avventurarsi senza essere stato invitato e,
dopo un lungo silenzio carico d'imbarazzo, del tutto insolito tra loro, capì
che non poteva tornare a parlare delle sue faccende, che si era dimostrato
già abbastanza egoista e insensibile. Chiese dunque un'altra caffettiera e
cominciò a parlare di Standish e di musica. «Da quando ci siamo visti
l'ultima volta», disse, «sono contento di poter dire che abbiamo acquistato
un commissario. Non ha affatto esperienza, non è mai stato in mare e a
tirare le somme l'ha aiutato Sophia, ma è un gentiluomo, un amico di
Martin e suona meravigliosamente il violino.»
Standish apparteneva a una famiglia di tradizioni navali, anche se non
eminenti - suo padre era morto semplice ufficiale -, e aveva sempre
desiderato la vita sul mare; ma i suoi erano stati risolutamente contrari e,
per rispetto dei loro desideri, il giovane aveva fatto studi adatti alla carriera
ecclesiastica, nella quale un cugino avrebbe potuto aiutarlo. I suoi studi,
però, si erano indirizzati alla navigazione e ai classici più che alla teologia,
e non gli era nemmeno venuto in mente di leggere i Trentanove Articoli*
[* I Trentanove Articoli della Chiesa d'Inghilterra raccolgono gli elementi
di base della dottrina anglicana. (N.d.T.)] con vera attenzione prima che
gli fosse chiesto di sottoscriverli. Aveva scoperto allora con suo grande
sconcerto di non poterlo fare in tutta coscienza; e, non avendolo fatto, non
poteva diventare pastore di una comunità. A quel punto era stato libero di
andare per mare, l'unica cosa che desiderava davvero; ma ovviamente era
ormai troppo vecchio per fare la sua comparsa sul cassero di una nave da
guerra. L'unico modo di entrare in marina era come commissario e,
nonostante la sua inesperienza, dato che la maggior parte dei commissari

Patrick O'Brian 231 1988 - La Nave Corsara


cominciavano da ragazzi come segretari del comandante, un vecchio
compagno di navigazione di suo padre aveva usato la sua influenza sul
Consiglio della marina per ottenere la sua nomina. Ma un commissario, sia
pure di una nave di sesta classe, doveva depositare una cauzione di
quattrocento sterline almeno e Standish, avendo contrariato la sua
famiglia, non possedeva nemmeno quattrocento pence.
«Ho pensato che potevamo rinunciare alla cauzione in cambio del
violino», disse Jack. «Ti assicuro che ha un orecchio perfetto e un tocco
delicatissimo, né molle né asciutto, capisci quel che intendo dire, e, dal
momento che Martin se la cava abbastanza bene con la viola, mi è venuto
in mente che avremmo potuto tentare un quartetto. Che ne dici di un punch
e d'invitare il giovanotto a berlo con noi? Potremmo dirlo anche a Tom e a
Martin.»
«Sarei ben felice di conoscere quel gentiluomo», rispose Stephen, «ma è
molto, moltissimo tempo che non tocco il mio violoncello e devo prima
scambiare due parole con lui.»
Andò nella sua cabina e, dopo i cigolìi stridenti dell'accordatura, suonò
qualche frase sommessamente e chiamò Jack: «La riconosci?»
«Eccome. È alla fine del Figaro, una cosa incantevole.»
«Non riuscivo a cantarla proprio nel modo giusto», disse Stephen, «ma
viene meglio con l'archetto.» Chiuse la porta e qualche momento dopo
quella parte della nave, in genere quieta con il vento in poppa e con un
moto ondoso moderato, fu riempita da un grande, profondo, ruggente Dies
irae che continuò, continuò, lasciando stupefatto il cassero.
Più tardi, molto più tardi, dopo il punch, le presentazioni e molte
chiacchiere, la cabina risuonò di nuovo, ma questa volta senza quella
stessa terribile convinzione, più sommessamente, più gentilmente, mentre i
quattro avanzavano esitanti nel Mozart in re maggiore.
Stephen si coricò tardissimo quella notte, gli occhi arrossati e lacrimanti
per lo sforzo di leggere uno spartito poco conosciuto alla luce della
lampada, ma con la mente meravigliosamente rinfrescata, al punto che,
una volta raggiunta la beata soglia del sonno, vi sprofondò sempre di più
fino a un vividissimo mondo di sogni, per ridestarsi soltanto quando Jack
disse: «Scusami se ti ho svegliato, Stephen, ma il vento è girato di nove
quarte e non posso entrare a Stoccolma. Sottobordo c'è una barca pilota a
remi che ti porterebbe fin là, o forse potresti venire a Riga con me e
fermarti a Stoccolma al ritorno. Che cosa preferisci?»

Patrick O'Brian 232 1988 - La Nave Corsara


«La barca, prego.»
«D'accordo. Dirò a Padeen di portarti l'acqua calda.»
Mentre aspettava, Stephen affilò il rasoio; ma quando tutto fu pronto, si
accorse che la mano gli tremava troppo per tentare di radersi. «Sono
ridotto in un ben misero stato, davvero», si disse e, per rimettersi in sesto,
allungò la mano verso la sua pozione. Gli cadde di mano prima di averne
versata una sola goccia nel bicchiere. Un odore di brandy più che di
laudano riempì la cabina e, per un momento, Stephen contemplò i
frammenti di vetro, consapevole della contraddizione, eppure incapace di
risolverla per mancanza di tempo e di energia mentale. Scendendo nella
stiva e tirando fuori una grossa damigiana e una piccola bottiglia, avrebbe
potuto rimpiazzare la perdita. «Al diavolo», disse tuttavia, «me ne
procurerò dell'altra a Stoccolma e andrò anche dal barbiere.»
«Ecco qui, Stephen», disse Jack, guardandolo preoccupato. «Sarà un
lungo tragitto a remi, temo. Non porti con te Padeen?» Stephen fece segno
di no. «Volevo soltanto dirti, prima che tu salga in coperta... volevo
soltanto pregarti di assicurare la cugina Diana del nostro affetto.»
«Grazie, Jack. Non lo dimenticherò.»
Salirono insieme la scaletta del cassero. «Questo vento non durerà»,
disse Jack, aiutandolo a calarsi lungo la murata dove Bonden e Plaice lo
prelevarono per depositarlo nell'imbarcazione. «Saremo di ritorno da Riga
in men che non si dica.»

CAPITOLO IX
Sebbene la Surprise si fosse avvicinata il più possibile. addentrandosi tra
le innumerevoli isole, gli uomini dovettero remare a lungo prima che la
barca depositasse Stephen sulla larga banchina nel cuore della città.
Una volta sorto il sole, la giornata apparve fresca e limpida, e la brezza,
per quanto contraria, piena di vita; raggiunta la terra asciutta, Maturin si
sentì distaccato quasi completamente da quell'altro mondo, il mondo del
sogno, con la sua straordinaria bellezza e la sua potenziale angoscia, la sua
minaccia indistinta di un pericolo estremo incombente.
Il pilota, un uomo grave e rispettabile, che parlava perfettamente inglese,
lo accompagnò in un albergo grave e rispettabile, altrettanto eccellente in
inglese. Là Stephen ordinò caffè e ciambelle, e, ben rifocillato, si recò dal

Patrick O'Brian 233 1988 - La Nave Corsara


corrispondente del suo banchiere, il quale, avendolo ricevuto con la
deferenza che egli cominciava a ritenere dovutagli (o perlomeno che
cominciava a non trovare più così comica), lo rifornì di denaro svedese e
dell'indirizzo del miglior farmacista della capitale, «una persona colta, un
uomo di una cultura enciclopedica, allievo del grande Linneo in persona»,
la cui bottega non distava che un centinaio di iarde di lì. Il dottor Maturin
non doveva che voltare due volte a destra ed era arrivato.
Il dottor Maturin voltò due volte a destra e fu là davvero: non era
possibile sbagliare sulla vetrina, riempita non soltanto dei soliti grandi vasi
colmi di un liquido verde, rosso o blu, trasparenti come gemme, e di mazzi
di erbe seccate, ma anche di una grande varietà di mostri e di strani
animali sotto spirito, insieme con scheletri, uno dei quali appartenente a un
oritteropo. Entrò. La bottega sembrava deserta e Stephen stava osservando
attentamente il feto di un canguro, e in effetti aveva allungato la mano per
girare il vaso, quando un omino sbucò da dietro il bancone e, con una voce
da Troll, gli domandò bruscamente che cosa cercasse.
Stephen intuì che la cultura enciclopedica non comprendeva né l'inglese
né il francese, perciò disse in latino: «Vorrei del laudano, prego: una
bottiglia di dimensioni medie, facilmente trasportabile», al che il
farmacista rispose: «Certamente» in tono di maggiore benevolenza.
Durante la preparazione della tintura, Stephen domandò: «Prego, è in
vendita l'oritteropo in vetrina?»
«No, signore, appartiene alla mia collezione», rispose il farmacista. E
dopo una pausa: «Avete riconosciuto l'animale, deduco».
«Per un certo periodo ho avuto rapporti stretti con un oritteropo»,
rispose Stephen. «Una creatura affettuosissima, anche se timorosa. Ero al
capo di Buona Speranza. E ho visto lo scheletro di un esemplare
appartenuto a Monsieur Cuvier, a Parigi.»
«Ah, signore, siete un grande viaggiatore, vedo», disse il farmacista,
afferrando la bottiglia con entrambe le mani e sollevandola all'altezza della
testa.
«Sono un chirurgo della marina e la mia professione mi conduce in
molte parti del mondo.»
«Viaggiare è sempre stato il mio sogno, ma sono legato alla mia
bottega», spiegò il farmacista. «Però incoraggio i marinai a portarmi quello
che trovano e incarico gli assistenti chirurghi più intelligenti di cercarmi
campioni botanici e droghe straniere, tè curiosi, infusioni e simili; così

Patrick O'Brian 234 1988 - La Nave Corsara


viaggio per interposta persona.»
«E può essere che lo facciate con più soddisfazione di me. Finché non la
si prova, non si può concepire la frustrazione che attende il naturalista su
una nave. Non ha nemmeno cominciato a orientarsi, diciamo, tra le termiti,
che gli si dice che il vento è cambiato o che la marea è favorevole e deve
tornare subito a bordo, se non vuole essere immancabilmente abbandonato.
Ero nella Nuova Olanda, una volta, e avevo visto quelle creature», disse,
indicando un canguro, «che giocavano su una piana erbosa: mi fu concesso
forse un cavallo per avvicinarmi o, che dico, un cannocchiale? No,
signore, non mi fu concesso: fui informato che, se non mi fossi trovato
sulla spiaggia entro dieci minuti, una fila di fanti di marina sarebbe stata
mandata a prendermi. Laddove voi, signore, avete centinaia di occhi e
l'unico inconveniente di restare fisicamente nello stesso luogo, pur
lasciando scorrazzare la mente lontano. Possedete una considerevole
collezione», soggiunse, guardandosi intorno.
«Questo è il vero balsamo di Gilead», spiegò il farmacista, «e questa è
lana di salamandra: qui c'è la mandragora nera di Kamchatka.» Gli mostrò
molte altre rarità, principalmente di natura medica, e, dopo qualche
minuto, Stephen domandò: «Nessuno dei vostri giovanotti vi ha mai
portato la foglia di coca o cuca dal Perù?»
«Oh, sì», rispose il farmacista. «Ce n'è un sacchetto dietro la camomilla.
Si dice che dissolva gli umori grassi e tolga l'appetito.»
«Siate così gentile da pesarmene una libbra», disse Stephen. «E, infine,
potete dirmi dove si trova il sobborgo di Christenberg? Mi piacerebbe
recarmici a piedi, se non è troppo lontano.»
«Non impiegherete più di un'ora. Vi disegnerò una mappa. Qui c'è un
prato pieno di Iris pseudocorus e subito dietro, sulla sponda vicino al
ponte, si può vedere il nido di un cigno selvatico.»
«Il nome della proprietà che desidero trovare è Koningsby.»
«È qui, dove metto la croce.»

*
L'intenzione di Stephen era di individuare il luogo dove Diana viveva e
di assimilare un poco dell'ambiente circostante: intendeva poi fare ritorno
in albergo, convocare un barbiere, cambiarsi la camicia (ne aveva tre, oltre
a una cravatta e a un gilet di ricambio), pranzare e mandarle un messaggio

Patrick O'Brian 235 1988 - La Nave Corsara


per chiedere se potesse farle visita. Non voleva affatto presentarsi alla sua
porta senza una parola di avvertimento.
Attraversò i ponti necessari e superò l'ospedale Serafimer, osservandolo
attentamente mentre passava; presto le abitazioni si fecero più distanziate e
poco dopo si trovò a camminare su una strada in mezzo ai campi, una
campagna dolce e ondulata, pascoli per lo più, con boschi ai due lati: una
gradevole impressione di verde. Qualche fattoria modesta, qualche villetta
e qua e là una grande dimora con il suo parco. Notò con soddisfazione le
cornacchie grigie del tipo prevalente in Irlanda.
Il traffico era scarso sulla strada pur ampia e ben tenuta: due carrozze,
un occasionale calesse e un carro agricolo e forse una dozzina di uomini a
cavallo: qualcuno a piedi. Tutti lanciavano un saluto nel passare e Stephen,
influenzato dal verde e dalle cornacchie, rispondeva in irlandese: Dio, la
Vergine e san Patrizio vi accompagnino.
Traffico scarso sulla strada principale e ancor meno quando Stephen,
dopo aver controllato di nuovo la mappa del farmacista, voltò a destra in
una stradina fra i prati, tutta fiancheggiata da paletti e staccionate
malridotte, come se appartenessero a una proprietà vasta ma trascurata,
impressione rafforzata da qualche tratto del lungo muro di un parco.
Aveva trovato i prati acquitrinosi di iris e aveva visto il cigno sul suo
nido quando udì un rumore di zoccoli che gli veniva incontro; i cavalli
erano nascosti alla sua vista da un boschetto di ontani, ma erano
certamente vicini e certamente stavano tirando un veicolo a una buona
andatura. Si guardò intorno in cerca di un punto dove lasciare la strada,
ancora più stretta ora tra fossati larghi con sponde alte e una staccionata in
cima. Scelse il tratto meno largo del fosso di destra, strinse il pacchetto tra
i denti, spiccò un salto, riuscì ad afferrare la staccionata e rimase lì in posa
sul terrapieno. Quando la vettura comparve alla vista, notò che si trattava
di una carrozza scoperta, un phaéton tirato da un paio di sauri; e un attimo
dopo il cuore gli si arrestò nel petto. Diana era alla guida.
«Oh, Maturin, che Dio ti benedica!» gridò, tirando con forza le redini.
«Oh, come sono felice di vederti, mio caro!» Il groom si precipitò ad
afferrare la testa dei cavalli e Diana saltò giù sul ciglio verde. «Salta!» lo
incitò, tendendo la mano, «riuscirai facilmente a superare il fosso.» Lo
trattenne mentre atterrava, gli prese il pacchetto e lo baciò su entrambe le
guance. «Sono così felice di vederti!» disse di nuovo. «Sali, ti porto a casa.
Non sei cambiato affatto», continuò quindi, facendo partire i cavalli.

Patrick O'Brian 236 1988 - La Nave Corsara


«Tu sì, mia cara», ribatté Stephen con voce abbastanza ferma. «La tua
carnagione è migliorata enormemente: sei une jeune fitte en fleur.» Era la
verità: il clima più freddo e umido del Nord e la dieta svedese avevano
giovato meravigliosamente alla sua pelle. Il suo genere di bellezza dai
capelli neri e dagli occhi azzurri richiedeva una carnagione splendida per
risaltare al meglio e Diana era adesso fiorente come Stephen l'aveva vista
raramente.
Arrivarono a un cancello su un campo e là Diana fece voltare il phaéton
con la consueta abilità, guidando sulla stradina a una velocità esilarante,
tanto più che in alcuni punti le ruote erano a meno di sei pollici dal bordo e
un cavallo aveva la tendenza a scuotere la testa e a scartare, richiedendo
una mano fermissima e grande attenzione: troppa per fare conversazione.
Ripassarono davanti al boschetto di ontani, s'immisero in una strada più
larga - «È la strada di Stadhagen», disse Diana - e arrivati davanti a un
cancello di ferro i cavalli voltarono senza essere incitati.
Il viale pieno di erbacce, dopo un paio di curve tra gli alberi, si biforcava
e un ramo conduceva attraverso il parco fino a una grande casa, piuttosto
bella ma cieca e senza vita, essendo quasi completamente chiusa. «E la
villa della contessa Tessin», spiegò Diana, «la nonna di Jagiello. Io vivo
là.» Indicò con il frustino un edificio in fondo al parco, più piccolo e molto
più antico, con una torre: la residenza di una vedova, pensò Stephen; ma
non disse nulla.
Il phaéton si fermò; il groom saltò a terra e lo condusse via. «È per caso
un finlandese, quell'uomo?» domandò Stephen.
«Oh, no», rispose Diana, divertita, «è un lappone, uno dei lapponi di
Jagiello: ne possiede una dozzina almeno.»
«Sono schiavi?»
«No, non proprio; più servi della gleba, direi. Entra, Stephen.»
La porta si aprì e una cameriera alta, curva, anziana sorrise e fece la
riverenza. Diana le disse qualcosa in svedese parlandole a voce alta
nell'orecchio e condusse Stephen nell'atrio. Aprì una porta, la richiuse
dicendo: «Troppo squallida» e ne aprì un'altra che dava in una stanza
piccola e quadrata, accogliente, con un pianoforte, scaffali di libri, una
grande stufa di maiolica, due o tre poltrone e un divano; la finestra si
affacciava su un albero di limetta. Diana sedette su una poltrona e disse:
«Siediti dove posso vederti, Stephen. Siediti sul sofà». Lo guardò con
affetto. «Mio Dio», disse, «non ti vedo da tanto tempo e abbiamo tante

Patrick O'Brian 237 1988 - La Nave Corsara


cose da dirci che non so da dove cominciare.» Una pausa. «Oh, ti dirò
qualcosa di Jagiello. Non che ti debba una spiegazione, Maturin, lo sai»,
aggiunse con molta dolcezza, «ma sarà qui presto e non voglio che tu ti
senta obbligato a tagliargli la gola. Poverino, sarebbe davvero troppo!
Quando gli ho detto che sarei stata felice di mettermi sotto la sua
protezione per andare in Svezia, intendevo esattamente questo: protezione
dagli insulti, dalle persecuzioni, dai maltrattamenti e niente di più, come
gli ho spiegato molto chiaramente. E naturalmente avrei pagato per il mio
mantenimento. Volevo protezione nel senso comune della parola, non un
compagno di letto. Non mi ha creduto: in verità, anche mentre mi
assicurava del suo massimo rispetto, dei suoi sentimenti fraterni e così via,
ammiccava, come ammiccano gli uomini, temo. Per molto tempo non sono
riuscita a convincerlo che parlavo sul serio, ma alla fine ha dovuto
credermi; gli ho detto che non sarebbe servito a niente, che avevo giurato a
me stessa di non permettere mai più a un uomo di farmi del male. Non
avere quell'aspetto così catastrophié, Stephen: è tutto passato ormai, il mio
cuore è intero, e spero in Dio che non saremo tanto idioti da permettere
che questo ci impedisca di volerci molto, molto bene. Ma, come stavo
dicendo, ha dovuto credermi e ora siamo di nuovo amici, anche se cerca
sempre di proibirmi le ascensioni in pallone. Sta per sposarsi con una
fanciulla graziosissima che lo adora: non molto intelligente, ma di ottima
famiglia e con una dote favolosa. Ho contribuito a combinare il
matrimonio e la nonna di Jagiello è così contenta di me... quando se ne
ricorda, cioè, il che non avviene sempre.»
«Sono felicissimo di ciò che mi dici, Villiers cara», cominciò Stephen,
ma fu interrotto dalla domestica con la quale Diana urlò con quanto fiato
aveva in gola, per dire poi, piuttosto rauca: «Ulrika dice che in casa ci sono
soltanto uova e trota affumicata, stavo andando a fare la spesa quando ci
siamo incontrati. Vuol sapere se al signore piacerebbe carne secca di renna
all'uso lappone». Ulrika studiò la faccia di Stephen e, vedendo il suo
sorriso compiaciuto, se ne andò ridacchiando.
«Bene, questo è tutto per quanto riguarda Gedymin Jagiello», riprese
Diana. «Ma, a proposito, dovremo parlare in francese quando saranno qui;
l'inglese della nonna di Jagiello è ancora peggiore. Ora cominciamo dal
principio: da dove vieni?» «Dall'Inghilterra, con la Surprise, con Jack
Aubrey.» «È a Stoccolma?»
«È andato a Riga, ma sarà qui tra un giorno o due. Ti manda il suo

Patrick O'Brian 238 1988 - La Nave Corsara


affetto... il loro affetto. Ha detto espressamente: 'Assicura alla cugina
Diana il nostro affetto'.»
«Caro Jack. Mio Dio, come eravamo furiosi per quel mostruoso
processo! Jagiello è costantemente alla legazione e riceve tutti i giornali
inglesi. È stato molto duro per Jack?»
«Durissimo, davvero. Durante la penultima traversata, mentre facevamo
rotta per le Azzorre, non sembrava più lo stesso uomo: freddo, mai un
sorriso, nessun contatto umano con i nuovi ufficiali o con i marinai, pochi
anche con i vecchi compagni di navigazione. Incuteva a tutti una
soggezione terribile. Ho notato che su una nave non si può recitare a lungo
una parte, gli altri scoprono presto qualsiasi falsità, ma riconoscono anche
i veri sentimenti e in questo caso il suo stato d'animo li terrorizzava.»
«Eppure è stato alle Azzorre che ha catturato tutte quelle prede. Di sicuro
questo avrà migliorato il suo umore, non è così?»
«Oh, è stato sollevato per Sophia e per i bambini, le cose erano in un
triste stato ad Ashgrove, io credo; ma il denaro delle prede, anche se è
scorso a fiumi, non è arrivato al cuore. A farlo è stato Saint-Martin.»
«Oh, sì, sì! Come siamo stati contenti! Alla legazione il comandante
Fanshawe ha detto che è stata l'azione di questa specie più riuscita di tutta
la guerra. Sarà reintegrato nei ruoli ora, non è vero?»
«Credo che sia possibile: tanto più che suo cugino Norton gli ha offerto
un seggio in Parlamento per Milport, un distretto di sua proprietà
nell'Ovest.»
«Questo rende certa la cosa, con le elezioni così vicine. Sono felice per
tutti e due; voglio molto bene a Sophia. Stephen, scusami un momento:
devo occuparmi di quella renna. Può darsi che il lappone crei qualche
difficoltà a Ulrika. Non appartiene alla casa, capisci, Jagiello me lo ha solo
prestato, con il phaéton, per accompagnare la nonna in chiesa e qualche
volta in città... ma con me s'intende benissimo.»
Rimasto solo, Stephen rifletté. A un certo momento aveva pensato che le
ascensioni in pallone di Diana fossero un divertimento per lei, ma ora gli
sembrava più probabile che fosse giusta la sua prima idea, sua e di Blaine.
Il suo tenore di vita attuale forse non era dei più miseri, ma certamente era
ben lontano dalla ricchezza. I pensieri si rincorrevano nella sua mente nel
tentativo di conciliare la fretta estrema e l'agitazione dell'animo, di trovare
un modo coerente e persuasivo di esprimersi. Tirò fuori della tasca la
bottiglietta del farmacista e stava per rompere il sigillo di cera sull'involto

Patrick O'Brian 239 1988 - La Nave Corsara


quando Diana rientrò, con un pacchetto in mano. «Stephen», disse, «hai
lasciato questo nella carrozza, Pishan l'ha portato in cucina.»
«Oh, grazie», esclamò Stephen, rimettendosi in tasca la bottiglia, «sono
le foglie di coca che ho comprato a Stoccolma.»
«A che servono?»
«Danno sollievo alla fatica e, somministrate correttamente, fanno sentire
intelligenti e perfino geniali. Te ne avevo mandata una certa quantità
dall'America del Sud.»
«Ahimè, non sono mai arrivate. Non mi sarebbe dispiaciuto sentirmi
intelligente e perfino geniale.»
«Mi dispiace tanto. Le cose non vanno sempre nel modo giusto. Dimmi,
hai mai ricevuto la lettera che ti avevo scritto da Gibilterra, prima di fare
vela per l'America del Sud? L'avevo affidata ad Andrew Wray che tornava
in Inghilterra via terra.»
«Per amor del Cielo, Maturin, non ti sarai per caso fidato di quel verme
di Wray, non è vero? L'ho incontrato una o due volte dopo il suo ritorno e
allora mi disse di averti visto a Malta, ascoltavate musica insieme...
Sembrava che ti stessi divertendo prodigiosamente con una campana da
immersioni e con le altre delizie di La Valletta. Non mi ha mai accennato a
una lettera o a un messaggio. Spero che non fosse niente di confidenziale.»
«Niente che un estraneo potesse capire», rispose Stephen, alzandosi,
perché a quel punto una vecchia signora aveva aperto la porta. La contessa
Tessin. Diana fece le presentazioni, parlando in francese e precisando che
Stephen era un amico di Gedymin: Monsieur Maturin y Domanova, il che
era perfettamente corretto anche se non del tutto onesto. Ma non avrebbe
dovuto preoccuparsi: la vecchia signora era un po' confusa e, avendo
appreso che Jagiello non sarebbe venuto che dopo cena, volle ritornare a
casa sua, nonostante le insistenze affinché rimanesse.
«Posso darvi il braccio, signora?» domandò Stephen.
«Siete molto gentile, signore, molto amabile; ma Axel mi sta aspettando
ed è così abituato al mio passo.»

*
«Se mai diventerò vecchia», disse Diana durante la cena, «spero di
riuscire a seguire i cambiamenti nel valore del denaro.»
«Non molti riescono a farlo.»

Patrick O'Brian 240 1988 - La Nave Corsara


«No. La contessa Tessin non c'è riuscita; e il cambiamento l'ha fatta
diventare... be', non mi piace dire avara, perché in realtà è molto generosa.
Ma dice di dover stare attenta anche agli spiccioli e ha mandato via quasi
tutta la servitù. Mi fa pagare una pigione esorbitante e ha dato in affitto
quasi tutti i terreni a pascolo, così che non mi è rimasto che un misero
paddock. Avevo tanto sperato di allevare cavalli arabi, ma non ho spazio
sufficiente. Stephen, non stai mangiando. Ho una coppia... una cavallina
incantevole che devo mostrarti dopo cena... ma se solo avessi qualcosa di
simile a quella bella distesa di erba corta nella tenuta di Jack Aubrey, sul
pendio, di cavalli potrei averne una ventina.»
«Temo che la mia agitazione le si stia comunicando», pensò Stephen,
«non è questo il suo comportamento normale.» Si sforzò di mangiare con
un'apparenza di appetito e ascoltò le sue osservazioni sulle lezioni
d'inglese (non le servivano a molto, dato che tanti svedesi parlavano
inglese comunque); e sull'assurdo impresario che la pagava davvero molto
per le ascensioni in pallone. «Vuole che la prossima volta io abbia un abito
con i lustrini», disse.
Raramente Stephen era stato meno padrone delle sue emozioni, meno
capace di conversare; sentì che quello stato d'animo lo stava sopraffacendo
e benedisse sinceramente il movimento sbagliato di Diana che mandò la
caraffa a infrangersi sul pavimento.
«Fine del vino», disse Diana con un sorriso. «Ma perlomeno posso farti
un caffè decente. Nel campo dei lavori domestici questa è una cosa in cui
sono brava.»
Il caffè era davvero eccellente. Lo bevvero seduti in una terrazza esposta
a mezzogiorno e la cavallina araba venne a trovarli, avvicinandosi con
passi educati ed esitanti finché non fu certa dell'accoglienza. Rimase ferma
con la testa posata sulla spalla di Diana, guardandola con i grandi occhi
lustri. «Mi segue come un cagnolino», disse Diana, «e, quando può, anche
dentro casa, su e giù dalle scale. È l'unico cavallo con il quale mi
azzarderei a entrare nella navicella di una mongolfiera.»
«Dubito di aver mai visto in vita mia una creatura più bella e simpatica»,
considerò Stephen. La bellezza dell'animale esaltava quella di Diana e la
coppia da loro formata gli riempì il cuore di gioia e di turbamento.
Quando ebbero visto le scuderie, l'altro cavallo arabo - «solo un
castrone», osservò Diana - e quando ebbero condannato senza esitazione il
paddock, tornarono verso la casa. La tensione si era allentata e riuscivano a

Patrick O'Brian 241 1988 - La Nave Corsara


parlare senza imbarazzo: le cugine di Diana, i bambini di Sophia, la
ricostruzione del Grapes, la prosperità della signora Broad. «Mia cara»,
disse Stephen nell'atrio, «posso ritirarmi? E posso anche avere un
bicchiere? Devo prendere la mia pozione.»
Là seduto contò le gocce del laudano, il pollice esperto sull'imboccatura
delle bottiglietta: una dose adatta all'occasione. Il primo sorso lo fece
sussultare. «Gesù, Giuseppe e Maria», disse, «il Troll deve aver usato
l'acquavite.» Si abituò ben presto al nuovo sapore, tuttavia, una differenza
che attribuì esclusivamente al diverso tipo di spirito usato nella tintura, e
quando ebbe finito di bere, si tolse le brache e non senza difficoltà staccò il
diamante azzurro che aveva assicurato con una benda. Ripulì la pietra
calda, la contemplò con rinnovata ammirazione e la infilò nel taschino del
gilet.
Mentre scendeva le scale cominciò ad avvertire l'effetto della mistura ed
entrando nella stanza si sentiva già sufficientemente padrone di sé, deciso
a giocarsi la sua felicità con un solo colpo di dadi.
Diana si girò a guardarlo sorridendo. «Devo far accordare questo piano»,
disse, suonando una cascatella di note con la destra. «Ricordi quel brano di
Hummel che Sophia studiava con tanto accanimento, tanto, tanto tempo
fa? Mi è tornato in mente, ma sbaglio una nota qui...» disse, accennandolo,
«... una che manda tutto quanto all'aria.»
«Nota traditrice», disse Stephen. Le sue dita vagarono sui tasti, ripresero
il tema di Hummel, variandolo, improvvisando, e infine suonò l'aria di
Almaviva Contessa, perdono. Non si azzardò a cantarla, la voce gli
sarebbe uscita di gola ridicola, stonata o entrambe le cose; ma, richiudendo
il piano, disse: «Diana, sono venuto per essere perdonato».
«Ma, carissimo, tu sei perdonato. Lo sei da lungo tempo. Io ti voglio
molto bene. Non c'è in me un briciolo di rancore o di risentimento o di
malevolenza verso di te, lo giuro.» «Non è esattamente quello che intendo,
tesoro.» «Oh, in quanto al resto, Stephen, il nostro matrimonio è stato
assurdo fin dall'inizio. Non potrei mai essere la moglie adatta a te. Ti amo
teneramente, ma riusciremmo soltanto a ferirci... siamo assolutamente
incompatibili, tutti e due indipendenti come gatti.» «Non chiederei che la
tua compagnia... ho guadagnato molto con le prede; ho ereditato ancora di
più. Lo dico soltanto perché significa che potresti avere tutto lo spazio che
vuoi per i tuoi cavalli arabi, potresti avere metà del Curragh di Kildare,
potresti avere una gran quantità di praterie inglesi.»

Patrick O'Brian 242 1988 - La Nave Corsara


«Stephen, tu sai che cosa ho detto a Jagiello: non mi metterò mai più in
potere di nessun uomo. Ma se mai dovessi vivere con un uomo come sua
moglie, questo saresti tu: non c'è nessun altro, nessuno. Ti prego di
considerarla la mia risposta.»
«Io non ti importunerei, mia cara», ribatté Stephen. In piedi davanti alla
finestra contemplò il verde perfetto dell'albero di limetta. Dopo qualche
momento si voltò con un sorriso non del tutto naturale e disse: «Vuoi che ti
racconti un sogno straordinariamente vivido che ho fatto stamattina,
Villiers? Aveva a che fare con una mongolfiera». «Ad aria calda o a gas?»
«Credo che fosse un pallone a gas: mi sarei ricordato del fuoco. In ogni
caso io ero nella navicella, sopra le nuvole, un vasto strato di nubi bianche,
cupole gonfie e immense in se stesse, ma che formavano tutte un unico
piano sotto di me. E al di sopra il cielo incredibilmente puro e di un
azzurro scurissimo.»
«Oh, sì, sì!» esclamò Diana.
«Tutto questo l'ho avuto da un uomo che aveva fatto un'ascensione,
perché io non mi sono mai staccato da terra. Ma ciò che non ho preso da
lui è la straordinaria sensazione di intensità della vita, la profondità
palpabile del silenzio universale, l'acutissima percezione della luce e del
colore di questo altro mondo, un mondo così altro, così diverso, una
diversità accentuata dal fatto che ogni tanto, attraverso un varco tra le
nuvole, si vedeva il nostro mondo ordinario, con i fiumi d'argento molto,
molto in basso e le strade. E poi questo si è trasformato in rocce e
ghiaccio, ancora più in basso, e nella mia vivissima delizia si è mescolato
un senso indefinito di terrore, immenso come il cielo stesso; non era
semplicemente la paura di morire, ma qualcosa di peggio: forse quella di
essere completamente e interamente perduto, corpo e anima.»
«Come è finito?»
«Non è finito. Jack stava ruggendo che l'imbarcazione era sottobordo.»
«Jagiello ha continuato a raccontarmi storie tragiche di gente trasportata
sempre più in alto, sempre più lontano, spazzata via, morta di freddo, di
fame, mai più ritrovata. Ma io salgo soltanto in un pallone a gas, con una
valvola che si aziona per far uscire quella roba e scendere; e abbiamo
un'ancora attaccata a una corda lunga. C'è sempre Gustav con me; è
espertissimo, molto forte, e non saliamo mai molto in alto.»
«Cara Villiers, non sto cercando di spaventarti o di scoraggiarti, Dio non
voglia. Era solo un sogno, non una parabola o una lezione. A me ha fatto

Patrick O'Brian 243 1988 - La Nave Corsara


un'impressione profondissima, in particolare l'acuito senso del colore... la
mongolfiera stessa era di un magnifico rosso, e l'ho raccontato in parte per
questa ragione, anche se Dio sa quanto il mio racconto sia stato misero,
incapace di toccare il cuore dell'esperienza, e in parte per mettere uno
spazio tra quello di cui stavamo parlando e ciò che sto per dire. Uno spazio
che fosse un simbolo della totale indipendenza delle due conversazioni.
Ricordi d'Anglars, a Parigi, l'amico di La Mothe?»
«Sì», rispose Diana, e la sua espressione in certo modo di sfida, distante,
si mutò in una di curiosità.
«Aveva promesso di farti riavere il tuo grandioso diamante, il Blue
Peter: aveva promesso che ce lo avrebbe mandato in un secondo tempo.
Ha mantenuto la sua parola e un messaggero me l'ha portato subito dopo il
processo di Jack. Eccolo qui.»
Non l'aveva mai vista perdere la sua compostezza fino a quel punto.
Mentre le porgeva la pietra nuda sotto i raggi del sole, vide il suo viso
mostrare dubbio, stupore, delizia e perfino una specie di paura prima che
tutto si dissolvesse in un pianto dirotto.
Stephen ritornò alla finestra e lì rimase finché non l'ebbe udita tirar su
con il naso e soffiarselo. Era seduta, con il diamante tra le mani; Stephen
osservò che aveva le pupille dilatate, al punto che gli occhi azzurri
sembravano neri. «Non pensavo che l'avrei mai più rivisto», disse Diana
con voce tremula. «E lo amavo tanto; oh, lo amavo in modo peccaminoso.
Lo amo ancora in modo peccaminoso», sussurrò, rigirandolo sotto la luce.
«Non so dirti quanto io ti sia grata. E sono stata così odiosa con te,
Stephen. Perdonami.» Una voce dall'esterno chiamò: «Diana!» «Oh, Dio,
gli Jagiello!» esclamò, guardandosi rapidamente in giro; ma non c'era via
di uscita e dopo un istante la porta si aprì. Fu la cavallina araba a entrare,
però, seguita qualche momento dopo dagli Jagiello.
Sebbene Stephen fosse in piedi con le spalle alla luce viva, Jagiello lo
riconobbe subito; per un attimo la sua prima espressione di gioia stupefatta
si mutò in una di estremo riserbo, ma a quel punto il suo potenziale
avversario si fece avanti, gli strinse affettuosamente la mano, lo ringraziò
della sua gentilezza verso Diana e si congratulò per le prossime nozze e
per la promozione: perché la bella uniforme color malva di Jagiello era
quella di un colonnello ora e gli speroni erano dorati.
Diana aveva un grande senso dei doveri sociali e, dopo aver condotto via
il cavallo e aver fatto ciò che poteva per una faccia molto alterata dalle

Patrick O'Brian 244 1988 - La Nave Corsara


lacrime - devastata non era un termine eccessivo in questo caso, poiché
Diana non piangeva facilmente, né senza tracce -, fece del suo meglio per
intrattenere gli ospiti. Ma Lovisa, la fidanzata di Jagiello, era davvero
troppo giovane; si era sempre sentita in soggezione con Diana, che Jagiello
le portava a paragone; e ora la giovinezza, l'imbarazzo, la naturale e
schietta stupidità si combinarono con l'ignoranza del francese e la
sensazione che l'atmosfera fosse turbata, rendendola un peso molto grande
davvero. Jagiello fu un poco meglio, ma si era reso conto che la sua
abituale loquacità gaia sarebbe stata fuori luogo in quel contesto e,
sconcertato da tutta la situazione, non riuscì a trovare prontamente
un'alternativa. Stephen, le cui capacità mondane non avrebbero brillato in
nessun luogo, dopo aver detto qualche parola gentile a Lovisa, una
fanciulla di una bellezza davvero eccessiva, ricadde nel silenzio, mentre
Diana riferiva a Jagiello le ultime notizie di Jack Aubrey. Da qualche
minuto, Stephen si sentiva strano, una cosa che attribuì all'intensità delle
sue emozioni: quale fosse con precisione la natura di quelle emozioni, a
parte l'ovvia delusione per il suo fallimento, non avrebbe saputo dirlo; vi
scorgeva un'analogia con le ferite riportate in battaglia: si sapeva di essere
stati colpiti e grosso modo dove, ma se di spada, di picca, di pallottola o di
scheggia non si era in grado di dire e nemmeno se la ferita fosse grave o
no, fino a quando non la si poteva esaminare e definire. Desiderava però
ardentemente che quelle persone se ne andassero, in modo da poter
prendere una seconda dose, una dose che avrebbe acquietato il suo cuore e
gli avrebbe permesso di ripercorrere la strada per Stoccolma almeno con
un'apparenza di serenità.
Alla fine Diana ebbe l'ispirazione di dire a Jagiello che sua nonna era
venuta lì prima di cena e di suggerire che sarebbe stato prudente andare
subito da lei nella casa padronale per impedirle di uscire di nuovo. La
contessa Tessin li aveva certamente visti arrivare e la doppia passeggiata
l'avrebbe stancata eccessivamente.
Jagiello la ringraziò riconoscente; aveva cominciato a sentirsi di troppo
dopo i primi minuti senza essere capace di trovare una scusa plausibile per
prendere congedo. Ma dopo lo scambio di saluti e quando la porta di casa
era già aperta, Lovisa cominciò a parlare con Diana dell'abito di nozze.
Continuò, continuò, in svedese per lo più, e Stephen indietreggiò,
indietreggiò finché, dopo un inchino finale, non riuscì a sparire su per le
scale.

Patrick O'Brian 245 1988 - La Nave Corsara


Di nuovo si stupì della potenza della tintura e questa volta gli passò per
la mente il pensiero che la differenza stesse nell'oppio anziché nell'alcol.
«Eppure», disse a se stesso scendendo le scale, «non ho mai saputo che vi
fossero diversità sensibili nella farmacopea dei diversi Paesi sotto questo
aspetto. Entro un margine di qualche grano per oncia, la tintura è la stessa
in qualsiasi farmacia seria di Parigi, Dublino, Boston o Barcellona.»
«Mio Dio, Maturin», disse Diana, «credevo che non se ne sarebbero più
andati. Quella graziosa ochetta stava ancora parlando del pizzo sulla gonna
quando abbiamo visto in lontananza la contessa Tessin. A quel punto ho
dato una spinta a Jagiello, che finalmente l'ha portata via.»
«C'è molto da dire in favore di Jagiello.»
«Sì. E questa volta non ha pronunciato nemmeno una parola contro le
mongolfiere, anche se sa benissimo che sabato farò un'ascensione.»
«Il prossimo sabato?»
«Sì. Hanno già cominciato a gonfiare il pallone.»
«Posso venire anch'io?»
«Certamente. È il pallone rosso questa volta, perciò non mancherà il
posto nella navicella. Ti piacerebbe vederlo?» Stephen non rispose e Diana
ripeté: «Ti piacerebbe vederlo?» Stephen alzò gli occhi, vagamente
stordito, e rispose: «Sarebbe magnifico. Lo tieni qui?»
«Oh, no, no. È una cosa grandissima, enorme. Ma lo stanno gonfiando
alla fonderia, usano la limatura di ferro e il vetriolo per ottenere l'aria
infiammabile, capisci; e lo si vede dalla torre. Stephen, sei sicuro di sentirti
bene?»
«Mi sento un pochino strano, mia cara, devo confessarlo; ma sono in
piedi da prima dell'alba. Riuscirò perfettamente a salire sulla torre.»
«Lo faremo con calma. C'è un cannocchiale sullo scaffale dietro di te.»
Fece strada lungo un corridoio a volta dietro l'ingresso e fino al torrione
scuro, assai più antico dell'edificio attuale. «Stai molto attento, Stephen»,
lo avvertì mentre saliva la scala a chiocciola. «Tienti attaccato al muro,
non c'è ringhiera dopo la prima metà.»
Girando e girando nella semioscurità arrivarono in cima, dove una
porticina si apriva sulla luce brillante del giorno. Erano sorprendentemente
in alto e tutta l'isola si stendeva sotto di loro. «Da questa parte», disse
Diana, conducendolo al parapetto rivolto a oriente: il centro antico di
Stoccolma era là, a un'ora di cammino, e un po' di lato s'innalzavano le
ciminiere delle officine. Diana aveva tenuto sempre in mano il Blue Peter;

Patrick O'Brian 246 1988 - La Nave Corsara


ora lo avvolse in un fazzoletto, lo mise in tasca e puntò il cannocchiale.
«Ecco», disse, «metti a fuoco la ciminiera alta che fuma, spostalo un po' a
sinistra e là nel cortile vedrai la metà superiore di una grande cosa rotonda
rossa. Quello è il mio pallone!»
«Che Dio lo benedica», disse Stephen, restituendole il cannocchiale.
«Credo che dovremmo scendere e prenderci una tazza di tè», propose
Diana, scrutandolo in viso. «Sei pallido, grigio addirittura. Vai avanti, io ti
seguo; so dove trovare i chiavistelli al tatto.»
Stephen aprì la porta, disse qualcosa di indistinto a proposito del sabato
e precipitò a testa in giù nel vuoto.

*
Nonostante incomprensibili ritardi e disguidi, parve che l'ascensione
fosse stata rimandata più che cancellata; perlomeno, come esibizione
pubblica, doveva essere stata molto modesta dal momento che non
rammentava né la folla, né il chiasso. Aveva, sì, vaghi ricordi di cadute, di
lesioni indeterminate, di confusione intorno a lui che soffocavano il
passato immediato, ma ora si erano innalzati sopra le nubi, un parallelo
ben adatto allo snebbiamento progressivo della sua mente, ora si trovavano
nella pura aria superiore con quel blu stranamente familiare sopra e
dappertutto intorno a lui, a meno di sporgersi dal bordo della navicella e
guardare le fantastiche circonvoluzioni e la geografia in lento mutamento
del mondo sottostante: il tutto molto più puro e più intenso perfino del suo
sogno, che ricordava perfettamente. E sebbene nel sogno i colori fossero
stati straordinariamente vividi, non lo erano stati fino a quel grado
miracoloso; la navicella di vimini possedeva un'infinità di bellissime
sfumature, dal bruno scuro a un qualcosa di più chiaro della paglia, mentre
le corde che salivano alla rete intorno all'involucro stesso avevano una
qualità tutta loro: era come non aver mai visto prima una corda o come
aver recuperato la vista dopo anni di cecità, e quando si girò a guardare
Diana, la perfezione della sua guancia gli tolse il respiro. Era seduta là in
un abito da equitazione verde, le mani in grembo; guardava il suo
diamante, gli occhi socchiusi nascosti dalle lunghe ciglia.
Tacevano entrambi - quello era un mondo di silenzio -, eppure egli era
consapevole dell'armonia perfetta tra loro e sapeva che niente di quanto
avrebbero potuto dirsi li avrebbe mai avvicinati di più. Rifletté sull'altezza,

Patrick O'Brian 247 1988 - La Nave Corsara


sull'effetto dell'altezza: fino a che punto era questa a infondere quella
sensazione acuta di vitalità? Ripercorse mentalmente la lunga arrampicata
sul fianco della Maladetta, il punto più elevato che avesse mai raggiunto
sulla terra. Un mulo nel buio dell'alba da Benasque, su, su per tutta la
mattinata fino ai pascoli più alti, con i getti d'acqua che sgorgavano grossi
come canne di fucile direttamente dalla roccia nuda a lato del sentiero, una
sosta alla capanna, salendo poi a piedi tra vaste distese di rododendri bassi
che cedevano il posto alle genziane, innumerevoli genziane sulle zolle
sottili, su, su fino al limite roccioso del ghiacciaio, dove schiere di alte
primule si ergevano in tutta la loro perfezione, disposte in un disegno
preciso, come se fossero stati al lavoro i giardinieri del re; tutte queste
cose, il branco di camosci in fuga sotto di lui e una coppia di aquile che
volteggiavano in alto, aveva percepito con grande acutezza nell'aria fine e
viva. Ma non con una simile chiarezza; e vi era anche un'altra differenza.
Durante quella lunga giornata era sempre stato consapevole del trascorrere
del tempo, non fosse che perché doveva evitare di essere sorpreso dalla
notte sulla parete della montagna: ora il tempo non esisteva. O, meglio,
esisteva in quanto vi era una successione, in quanto un gesto o un pensiero
seguiva il suo predecessore, ma non vi era nessuna sensazione di durata.
Avrebbe potuto essere là a fluttuare con Diana da ore o perfino da giorni.
E poi, pur essendo la Maladetta un luogo fisicamente pericoloso, non
aveva nulla dell'indefinibile minaccia presente in quell'immensità.
Diana doveva essersi appisolata ed egli non parlò; non disse niente
nemmeno della foschia alta che stava velando il cielo e dava al sole un
doppio alone, producendo due bei pareli prismatici. Si sentiva in realtà
enormemente assonnato egli stesso e ben presto chiuse gli occhi.
All'inizio fu in grado di dire «sto sognando», ma la sua percezione del
sogno svanì quasi subito e si sentì preso da un'ansia grandissima, come se
non avesse mai avuto idea che ciò fosse soltanto l'effetto del turbamento di
una mente immersa nel sonno. Gli era chiaro adesso che si stavano
muovendo spinti dal vento favorevole verso Spitzbergen, dove certamente
si sarebbero imbattuti nei cacciatori di balene che si adunavano là in quel
periodo dell'anno e dove avrebbero contemplato le meraviglie dell'Artico
così ben descritte da Mulgrave,* [* Constantine John Phipps (1744-1792),
barone di Mulgrave, commodoro, esplorò l'Artico con la nave Racehorse
nel tentativo di trovare un passaggio a nord-ovest dall'Atlantico al
Pacifico. (N.d.T.)] nonché la muraglia di ghiaccio che gli aveva sbarrato a

Patrick O'Brian 248 1988 - La Nave Corsara


nord la via verso il Polo. Ma vi era stato qualche disaccordo e, pur avendo
intravisto una volta un paesaggio roccioso, non avevano fatto nessun
tentativo di discesa e ora non si vedeva null'altro se non l'oceano grigio da
un orizzonte all'altro.
Sogno dentro il sogno; e questo si dissolse in una stanza sconosciuta.
Diana era là, non più nel suo abito da amazzone, ma in un semplice abito
grigio; e Jagiello era con lei e con due uomini vestiti di nero e con le
parrucche, medici ovviamente, uno dei due sciocco e l'altro di
un'intelligenza eccezionale. Parlavano con Diana in svedese, che Jagiello
traduceva, lo svedese di lei essendo appena sufficiente a disbrigarsi nelle
normali faccende domestiche; e discutevano tra loro del caso in latino. Ben
presto furono raggiunti da un terzo medico, che essi trattarono con grande
deferenza - portava la decorazione di un ordine -, e l'uomo raccomandò le
ventose: la gamba, disse, non presentava problemi particolari; aveva visto
molte fratture di quella specie che avevano sempre reagito positivamente
al metodo Basra di Andersen, purché il paziente fosse in uno stato di salute
ragionevolmente buono. Qui, certamente, si era in presenza di abitudini
malsane, di un certo grado di denutrizione e di quella che egli non avrebbe
esitato a definire melanconia incipiente; occorreva però notare che la
struttura, sebbene esile, era ben costruita e vi indugiavano ancora le tracce
della giovinezza.
Stephen li osservò per qualche momento mentre eseguivano i gesti gravi
del consulto medico, una parte della gravità diretta agli astanti, una parte
agli altri medici; ma quel genere di riunioni gli erano troppo familiari per
provare un grande interesse e ben presto la sua attenzione si spostò su
Diana e su Jagiello. La peculiare intuizione propria dei sogni gli diceva
che quella era la camera di Diana, il suo stesso letto e che lei trascorreva le
ore sulla poltrona, accudendolo con grandissima tenerezza. Sapeva anche
che Jagiello aveva chiamato a consulto il medico del re, l'uomo con la
decorazione, il quale stava dicendo in quel momento che, quando fosse
stato in condizioni di assumere cibo solido, al paziente non avrebbe dovuto
essere permesso di mangiare carne di manzo o di montone, ancor meno di
maiale, ma piuttosto carne di francolino di monte bollita con appena un
pochino di orzo.
«Francolino di monte», disse Stephen a se stesso. «Non ho mai visto un
francolino di monte; eppure, se il consiglio di questo brav'uomo sarà
seguito, ne incorporerò presto uno. Sarò in parte un francolino, con tutte le

Patrick O'Brian 249 1988 - La Nave Corsara


virtù che questo può possedere.» Rifletté su Finn MacCoul e sul suo
salmone* [* Leggendario eroe irlandese che catturò e assaggiò il «salmone
della conoscenza», acquistando così poteri magici. (N.d.T.)] e mentre
rifletteva, là, nel crepuscolo, furono accese alcune lampade; stava ancora
riflettendo quando le lampade furono spente, tutte tranne una, la fiammella
molto bassa; e ora la luce principale della stanza proveniva da un fuoco
sulla sua destra, un bagliore vivo e tremolante sul soffitto. Senza dubbio
dovevano essere stati scambiati saluti discreti e qualcuno aveva
sicuramente prescritto qualcosa; ma Diana era sola adesso, seduta sulla
poltrona accanto al letto. Posò la mano su quella di lui, mormorando: «Oh,
Stephen, Stephen, come vorrei che tu mi sentissi, mio caro!»
Ma era di nuovo nella perfida navicella ora, sperimentando però questa
volta la sensazione del trascorrere del tempo, perché sapeva con
spaventosa certezza che l'ascensione durava da ore e che si stavano adesso
innalzando ancora più velocemente. E mentre si lanciavano verso
quell'assoluta purezza di cielo, la minaccia incombente, percepita all'inizio
solo in parte, lo colmò di un orrore quale non aveva mai conosciuto. Diana
indossava il suo abito verde e a un certo punto doveva essersi tirata su il
colletto, perché ora il rosso della parte inferiore contrastava in modo
impressionante con il pallore del viso, con il biancore affilato del naso e
con il gelo livido delle labbra. Il volto non aveva nessuna espressione: lei
era, per così dire, assolutamente sola e, come aveva già fatto, teneva il
capo chino, curvo sul grembo dove le mani, strette con minor forza ora,
tenevano il diamante, molto simile a un frammento brillante di quello
stesso cielo.
Diana respirava, ma quasi impercettibilmente, mentre la navicella
s'innalzava sempre più nell'aria rarefatta; respirava, ma appena: un
movimento molto lieve davvero. Poi anche quello cessò; i sensi
l'abbandonavano, l'abbandonavano; la testa ciondolò in avanti e il
diamante cadde; ed egli si alzò di scatto, gridando: «No, no, no!» in un
rifiuto appassionato ed estremo.
«Buono, Stephen», disse Diana, prendendolo tra le braccia e
adagiandolo piano nel letto. «Buono, ora», come se stesse parlando a un
cavallo; e poi, come se stesse parlando a un uomo: «Devi stare attento alla
tua povera gamba, mio caro».
Stephen si lasciò andare nel suo calore, riattraversando numerose realtà
fino a quella presente, pur senza grande certezza della sua esistenza. La

Patrick O'Brian 250 1988 - La Nave Corsara


certezza si fece più forte, tuttavia, mentre giaceva là nella notte,
osservando il bagliore della fiamma e ascoltando un orologio battere le
ore; e ogni tanto lei si muoveva per la stanza, metteva altra legna sul fuoco
o si occupava degli squallidi bisogni di lui; lo faceva con un'efficienza e
con una tenerezza che lo commuovevano profondamente: e in quei brevi
scambi egli parlava in modo intelligibile e a proposito.
Si conoscevano da tanti anni, ma i loro rapporti non avevano mai
richiesto tenerezza da parte di lei e Stephen avrebbe detto che non facesse
parte del suo carattere: coraggio, spirito, determinazione, sì, ma niente che
si avvicinasse alla tenerezza più della generosità e di una certa bontà
naturale. Si sentiva debole, essendo stato molto tartassato nella sua caduta
fisica e metafisica e non avendo mangiato più niente da allora, debole e in
certo modo querulo e, riflettendo su questa nuova dimensione, pianse
silenziosamente nel buio.
La mattina la udì muoversi e disse: «Diana, gioia mia, sei sveglia?»
Diana si avvicinò, lo guardò in faccia, lo baciò e disse: «Sei di nuovo in
te, grazie a Dio. Avevo tanta paura che tu ripiombassi nei tuoi incubi di
mongolfiere».
«Ho parlato molto?»
«Sì, mio povero innocente. Non c'era modo di darti conforto... è stato
così penoso. E così lungo!»
«È durato ore?»
«Giorni, Stephen.»
Rifletté su questo e sulle acute fitte di dolore alla gamba. «Senti», disse,
«sarebbe possibile avere un caffè? E un pezzo di galletta, forse? Muoio di
fame. E, dimmi, la bottiglia che avevo in tasca è sopravvissuta?»
«No. Si è rotta. Ti ha quasi ucciso: uno squarcio orribile sul fianco.»
Quando Diana fu uscita, si osservò la gamba, incastrata nel gesso
secondo il metodo Basra, e guardò sotto le bende che gli cingevano il
ventre. Il vetro rotto doveva essere penetrato molto vicino al peritoneo.
«Se fossi in uno stato di debolezza ancora maggiore, lo considererei un
cattivo presagio, un avvertimento», disse.
Avevano terminato la colazione e stavano parlando amichevolmente
quando il dottor Mersennius, il più intelligente dei tre medici, venne a
visitare il paziente e a cambiargli la fasciatura. Stephen accennò al dolore
nella gamba.
«Confido che non mi chiederete di prescrivervi il laudano, collega»,

Patrick O'Brian 251 1988 - La Nave Corsara


disse Mersennius, guardandolo negli occhi. «Ho visto casi in cui qualche
goccia presa dopo una dose massiccia, accidentale o no, aveva causato un
gravissimo disturbo mentale, simile a quello di cui avete appena sofferto
ma più duraturo, che talvolta aveva portato alla pazzia e alla morte.»
«Avete motivo di credere che avessi preso il laudano?»
«Le vostre pupille, naturalmente; e l'etichetta del farmacista era ancora
sul vetro rotto. Un medico prudente non aggiungerebbe una goccia di
laudano a un organismo già sovraccarico, così come un cannoniere non
entrerebbe con una fiaccola accesa in un deposito di polvere da sparo.»
«Molti uomini di medicina usano la tintura per alleviare il dolore e i
turbamenti emotivi.»
«D'accordo. Ma in questo caso sono convinto che faremmo meglio a
sopportare il dolore e a contrastare l'agitazione di spirito con una dose
moderata di elleboro.»
Stephen ebbe la tentazione di congratularsi con Mersennius per la sua
fortezza d'animo, ma non lo fece e i due si salutarono civilmente. Entro i
limiti di ciò che sapeva, Mersennius aveva ragione; ovviamente pensava
che il suo paziente fosse un oppiomane e non aveva modo di sapere, come
sapeva al contrario Stephen, che il suo uso frequente e in verità abituale
della sostanza non costituiva una vera dipendenza, ma solo il lato giusto di
essa. I confini erano difficili da definire e non si poteva biasimare
Mersennius per il suo errore, visto anche che in quel momento Stephen
avvertiva qualcosa di più di una traccia di quella brama che era il segno
distintivo di chi si era spinto troppo avanti. E tuttavia il suo attuale stato di
instabilità emotiva doveva essere controllato. Poteva sopportare il dolore,
ma non si sarebbe mai perdonato se avesse pianto davanti a Diana o se
avesse mostrato segni di debolezza.
Diana rientrò. «È così contento di te e della tua ferita», disse. «Ma non
devo assolutamente darti il laudano.»
«Lo so. Crede che potrebbe danneggiarmi.»
«E Jagiello chiede se vuoi che ti mandi il suo valletto a farti la barba e se
ti senti abbastanza in forze da riceverlo.»
«Ne sarò felice. Davvero gentile da parte sua. Diana, mia cara, potrei
avere quel pacchettino che avevo portato con me?»
«Le foglie che ti fanno sentire intelligente e geniale? Stephen, sei
proprio sicuro che non ti facciano male?»
«Sicurissimo, anima mia. I peruviani e i loro vicini masticano coca

Patrick O'Brian 252 1988 - La Nave Corsara


giorno e notte; è per loro abituale come il tabacco.»

*
Quando il valletto di Jagiello ebbe finito di radergli il mento, Stephen
aveva già un piacevole pizzicorino in bocca; e quando Jagiello si fu
congedato dopo una breve ma cordialissima visita, le foglie di coca gli
avevano tolto del tutto il senso del gusto: un piccolo prezzo da pagare per
la calma e la forza di spirito. La perdita del gusto non avrebbe potuto
capitare in un momento migliore, poiché dopo che Stephen ebbe
contemplato per un po' l'effetto indubitabile della coca sulla gamba, Diana
entrò con una pozione mandata da Mersennius: un'emulsione di una
perfidia spettacolare.
Né avrebbe potuto capitare in un momento migliore il rafforzamento
della sua mente, ora fermamente installata sulla sua base, perché tre giorni
dopo, tre giorni di un affetto instancabile che lo aveva attaccato a lei più
che mai, mentre suonavano le dieci, Diana gli si avvicinò con bottiglia e
cucchiaio e, dopo avergli fatto prendere la medicina, si aggirò per la stanza
in un bizzarro modo inconcludente prima di sistemarsi sulla sua poltrona.
«Maturin», disse in tono imbarazzato, «che cosa sia accaduto alla mia
intelligenza il giorno in cui ci siamo incontrati non lo so. Non sono mai
stata capace di ricordare con precisione gli anni o la storia o l'ordine dei
fatti, ma questo supera davvero... Soltanto ora, mentre scendevo di corsa le
scale, un lampo di buon senso mi ha illuminato e mi sono detta: 'Ma,
Diana, scema che non sei altro, forse era la sua risposta'.»
Stephen preferì non far vedere che aveva capito immediatamente; spostò
le foglie di coca nell'altra guancia, rifletté per un momento, poi disse: «La
lettera che avevo affidato a Wray era la risposta a una delle tue nella quale
non ti mostravi molto soddisfatta... nella quale mi chiedevi di dare una
spiegazione su quanto si diceva in giro, che io mi stessi pavoneggiando su
e giù per il Mediterraneo con un'amante italiana dai capelli rossi».
«Era la tua risposta allora! Mi avevi risposto! Stephen, non dovrei
stancarti con la storia antica in un momento come questo, ma hai un così
bell'aspetto, mangi così volentieri e il dottor Mersennius è così contento
del suo elleboro da farmi credere di poter accennare a questo, per
dimostrarti che non sono insensibile né completamente stupida.»
«Non ho mai pensato che tu fossi né l'una né l'altra cosa, anima mia»,

Patrick O'Brian 253 1988 - La Nave Corsara


disse Stephen, «anche se sapevo che il tuo senso della cronologia era di
poco migliore del mio; per ricordare quanti anni ho, devo prendere penna e
calamaio e fare una sottrazione. La lettera era realmente la mia risposta, e
una risposta difficile davvero da scrivere. Tanto per cominciare doveva
essere scritta in fretta, perché avevamo avuto gli ordini di partenza, perché
volevo che tu la ricevessi il più rapidamente possibile e perché il
messaggero via terra stava aspettando. In secondo luogo, io mi ero
pavoneggiato con una signora dai capelli rossi su e giù per il
Mediterraneo... o perlomeno su per il Mediterraneo, diciamo, da La
Valletta a Gibilterra, costeggiando l'Africa; e certamente sembrava che
fosse la mia amante. Tuttavia non lo era. Il fatto è che... ma, Diana, questo
deve rimanere tra noi due, il fatto è che la signora in questione era
coinvolta nei Servizi d'informazioni della marina; in quel momento i
francesi avevano alcuni agenti segreti molto pericolosi a Malta e la città
stessa era un covo di traditori; a un certo punto, una situazione critica ha
reso necessario trasferirla immediatamente. Il trasferimento certamente le
ha salvato la vita, ma ha compromesso la sua reputazione tra coloro che
non erano collegati con i Servizi d'informazioni. Perfino Jack si è lasciato
ingannare dalle apparenze, il che mi ha sorpreso: credevo che mi
conoscesse meglio.»
«È stato così anche per Wray. E per moltissima altra gente. Non sentivo
ripetere altro, dappertutto. Ah, era esasperante sentirsi trattata con quella
specie di riguardo odioso! E da te nemmeno una parola. La Theseus,
l'Andromache e la Naiad erano tornate e tutte avevano messaggi per
Sophia e non una parola per me. Ero furiosa.»
«Ne sono sicuro. Eppure la lettera era stata scritta: e, come ti dicevo, era
stata difficile da scrivere, perché sarebbe stata un'imprudenza criminale
accennare a questioni che riguardavano i Servizi d'informazioni in uno
scritto che poteva cadere nelle mani sbagliate; e, senza farlo, difficilmente
avrei potuto discolparmi, perché, con mia meraviglia, una semplice
asserzione da parte mia non aveva peso. La gente sorrideva e assumeva
l'aria di chi la sa lunga: forse dipendeva dai capelli rossi, all'estero circola
ogni sorta di strane idee sulle donne con i capelli rossi. Anche se posso
aggiungere che il marito, l'ufficiale meno mari complaisant che tu possa
immaginare, non si è fatto ingannare: sapeva che capelli rossi e castità
erano perfettamente compatibili.» «Stephen, tu hai detto che non era la tua
amante?» «Sì. E lo giurerò di nuovo sulla santa Croce, se lo desideri.»

Patrick O'Brian 254 1988 - La Nave Corsara


«Oh, non farlo! Ma allora perché hai detto di essere venuto per farti
perdonare?»
«Perché avevo condotto le cose così malamente da indurti a pensare che
avevo bisogno di essere perdonato, perché ti avevo dato un dispiacere,
perché ero stato così stupido da non mandare una copia della mia lettera
con la Theseus, perché ero stato tanto idiota da non sospettare di Wray.»
«Oh, Stephen, ti ho trattato in modo barbaro, barbaro!» E dopo una
pausa Diana riprese: «Ma riuscirò a rimediare, se solo mi sarà possibile.
Rimedierò in tutti i modi che vorrai». Alzarono entrambi la testa nell'udire
il rumore di una carrozza. «Deve essere Mersennius», disse Diana. «Vado
ad aprirgli. Ulrika non sentirà di sicuro e il lappone sta tagliando la legna.»
Era Mersennius. Si sentiva particolarmente ben disposto nei confronti di
Stephen in quanto paziente che dimostrava gratitudine, che reagiva bene
alle cure e un esempio perfetto di ciò che poteva fare l'elleboro. Decantò
un'altra volta le sue virtù, e Stephen disse: «Certamente: lo prescriverò
anch'io. Ditemi, caro collega, avete obiezioni a che io lasci le vostre cure
tra un giorno o due? Una nave viene a prendermi, in verità potrebbe essere
già a Stoccolma in questo momento, e non vorrei farla aspettare».
«Obiezioni? No», rispose Mersennius, battendo un colpetto sulla gamba
di Stephen, «nessuna, con il mio bendaggio Basra, purché viaggiate in una
carrozza comoda e siate trasportato subito nella vostra branda. Vi
preparerò l'elleboro per il viaggio. La nave viene dall'Inghilterra?»
«No. Da Riga.»
«Allora potete mettervi l'animo in pace. Il vento è favorevole oggi, ma
per molti giorni è stato contrario e nessuna nave avrebbe potuto lasciare il
golfo di Riga se non avventurandosi lungo lo stretto di Suur. Possiedo una
piccola imbarcazione da diporto e seguo le condizioni del tempo molto
attentamente.»

*
«Perlomeno avrò il tempo di fare i bagagli», disse Diana e poi, in un
tono molto più allegro: «Stephen, che cosa farò mentre tu sarai
nell'America del Sud?»
«Starai da Sophia e cercherai una tenuta con un buon pascolo per i tuoi
cavalli arabi e una casa a Londra. Ho sentito dire che quella di Half Moon
Street era in vendita.»

Patrick O'Brian 255 1988 - La Nave Corsara


«Resterai lontano molto tempo, pensi?»
«Spero di no. Ma ti dirò una cosa, mia cara: finché la guerra non sarà
finita davvero e quel Bonaparte non sarà caduto, dovrò restare in mare,
perlomeno la maggior parte del tempo.»
«Naturalmente», disse Diana, che veniva da una famiglia di militari.
«Credo che mi piacerebbe stare da Sophia fino al tuo ritorno; e forse potrei
usare le scuderie di Jack, dato che sono vuote. Stephen, intendevi dire che
a Londra possiamo comprare una casa? Sono costosissime.»
«Così pare. Ma il mio padrino, che Dio benedica la sua anima, mi ha
lasciato un colossale mucchio di quattrini. Ho dimenticato quanto in
sterline inglesi, ma la parte che è già investita rende molto più della paga
di un ammiraglio della flotta. Quando la guerra sarà finita, potremo
comprare una casa anche a Parigi.»
«Oh, che gioia! Stephen, davvero potremo farlo? Mi piacerebbe tanto.
Che miseranda creatura venale sono! Il cuore mi batte forte per la felicità.
Ero già contenta di aver riavuto mio marito, ma scoprire che è anche
coperto d'oro dalla testa ai piedi mi manda addirittura in visibilio. Che
volgarità.» Saltò su dalla poltrona e cominciò a passeggiare avanti e
indietro con passo elastico, guardò fuori della finestra ed esclamò: «C'è
Jagiello nella sua carrozza. Mio Dio! Jack Aubrey è seduto a cassetta
accanto a lui!»

*
Jack entrò nella stanza in punta di piedi, con un'espressione ansiosa,
preoccupata sulla faccia, seguito da Martin e da Jagiello. Baciò Diana
distrattamente, da cugino, e afferrò la mano di Stephen in una stretta calda,
asciutta, gentile. «Povero amico mio», disse, «come stai?»
«Benissimo, grazie, Jack. Come sta la nave? Ha trovato la sua tela?»
«È in ottima forma. Ci ha portato fuori dello stretto di Suur con i velacci
spiegati, veloce come un cavallo da corsa, mure a dritta tesate, coltellacci
alti e bassi, a zig zag in quel dannato canale stretto di Wormsi: si poteva
lanciare una galletta sulla costa sottovento; e ha una dozzina di balle del
genere di tela che si usa in paradiso.»
Contento, Stephen scoppiò nella sua risata gracidante e disse: «Diana,
permettimi di presentarti il mio caro amico, il reverendo Martin, di cui hai
sentito parlare tanto. Signor Martin, mia moglie».

Patrick O'Brian 256 1988 - La Nave Corsara


Diana gli porse la mano con un sorriso accogliente. «Credo, signore, che
voi siate l'unico gentiluomo tra i nostri amici che sia mai stato morsicato
da un uistiti.»* [* Cfr. Patrick O'Brian, Ai confini del mare, Longanesi,
Milano, 2001 (N.d.T.)].
Parlarono per un po' di uistiti, di capibara e di scimmie platirrine; Ulrika
e il lappone servirono il caffè; e in una pausa Stephen domandò: «Jack, sei
ormeggiato lungo quel molo elegante nella città vecchia?»
«Sì, ormeggiato di prua e di poppa. Ma la nave è già pronta a salpare.»
«Andrebbe bene per te se ci imbarcassimo stasera?»
«Mi andrebbe benissimo», rispose Jack. «Non mi fido di questo vento,
non terrà per altre ventiquattro ore.»
«Davvero potete viaggiare con una gamba rotta?» domandò Jagiello.
«Mersennius ha detto di sì, purché io viaggi in carrozza. Jagiello, sareste
così gentile...?»
«Certamente, certamente. Vi trasporteremo da basso su una porta tolta
dai cardini e vi infileremo nella carrozza, con il signor Martin a tenervi
fermo. Guiderò a un trotto moderatissimo e avrete la scorta di un
colonnello, fornita dal mio reggimento.»
«Diana, mia cara, sei d'accordo? O preferiresti avere un paio di giorni
per fare i bagagli?»
«Datemi un paio d'ore», rispose Diana con gli occhi scintillanti, «e sarò
il vostro uomo. Signori, non muovetevi, prego, finite il vostro caffè. Vi
manderò Pishgan con qualche sandwich.»
I signori si mossero, tuttavia; o perlomeno Aubrey e Jagiello andarono a
cercare una porta che Jagiello ricordava di aver visto nel granaio della
nonna e a chiedere l'aiuto di una delle cameriere superstiti per preparare i
bagagli.
«Sono sicuro di aver sentito Bonden da basso», disse Stephen, rimasto
solo con Martin. «C'è anche Padeen?»
«Per dirvi la verità», rispose Martin, «non è qui. Sfortunatamente
abbiamo avuto una discussione stamani e il comandante Pullings lo ha
messo ai ferri. Detesto riportare le cose, ma, senza la minima intenzione di
coglierlo in fallo, l'ho sorpreso mentre prelevava il laudano da una
damigiana e sostituiva la tintura con il brandy...»
«Ma certo, ma certo», mormorò Stephen. «Che colossale imbecille sono
stato a non capirlo!» E quando Martin ebbe finito il triste racconto della
violenza con cui Padeen aveva reagito nel vedersi portare via la bottiglia,

Patrick O'Brian 257 1988 - La Nave Corsara


disse: «Sono davvero da biasimare per aver lasciato una sostanza del
genere a portata della sua mano. Dovremo occuparci seriamente della
questione, non possiamo abbandonarlo nel mondo dei mangiatori d'oppio».
Rimasero per un po' pensierosi, poi Martin fece a Stephen un resoconto,
molto lungo e dettagliato in verità, di ciò che avevano fatto a Riga e degli
usi e costumi dei lettoni e dei loro padroni russi. Aveva continuato
parlando di probabili svassi cornuti avvistati in lontananza sulla vasta
Dvina, quando Diana entrò, procurando a Stephen una scossa
straordinariamente violenta, tale che gli occorsero tutte le forze che era
riuscito a recuperare e le foglie di coca che stava masticando per
sopportarla, poiché indossava l'abito verde da amazzone del suo sogno.
«Stephen», disse la moglie, gli occhi più scintillanti di prima. «Ho
preparato tutto ciò che mi serve per il momento, un paio di bauli, il resto
può essere spedito via mare. La carrozza sarà pronta tra cinque minuti e
anche la porta della contessa Tessin. Ma io non verrò con voi. Tu hai
bisogno di un uomo per sorreggerti e non ci sarebbe posto per me nella
vettura. Perciò andrò a cavallo», terminò ridendo di pura felicità, «passerò
a prendere le tue cose in albergo e metterò dei fiori nella nostra cabina.»
«Mia cara, conosci una farmacia vicino all'albergo, con mostri in vetrina
e un armadillo imbalsamato?»
«E il farmacista è un ometto piccolissimo?»
«Precisamente. Ti prego di entrarci... hai qualcuno per tenerti il
cavallo?»
«Il lappone viene con me.»
«Compra tutte le foglie di coca che ha; gliene erano rimaste poche in
fondo a un sacco.»
«Stephen, dovrai darmi un po' di soldi.» E quando Stephen le indicò la
sua giacca, aggiunse: «Vedete, Martin, che sanguisughe diventiamo noi
mogli?»

*
Come Jack aveva detto, la Surprise era ormeggiata di prua e di poppa
lungo il molo. Il ponte aveva un'aria in certo modo deserta, perché Tom
Pullings e il commissario erano sottocoperta, cercando di fare ordine nei
conti complicati dei mercanti di Riga, e un buon numero di marinai era in
franchigia fino alle sei.

Patrick O'Brian 258 1988 - La Nave Corsara


L'unico ufficiale sul cassero era West e si dava il caso che la squadra di
uomini intenti a preparare baderne e paglietti a pennoni e manovre fosse
tutta di Shelmerston. West stava guardando distrattamente dal
coronamento quando vide una donna di straordinaria bellezza cavalcare
lungo la banchina, seguita da un groom. Giunta all'altezza della nave, la
donna smontò, porse le redini all'uomo, salì a bordo e scese
immediatamente sottocoperta.
«Ehilà!» gridò West, correndole dietro. «Questa è la cabina del dottor
Maturin. Chi siete, signora?»
«Sono sua moglie, signore, e vi prego di chiedere al carpentiere di
appendere qui una branda per me», soggiunse indicando il punto
desiderato. Poi, curvandosi e guardando dal portello, esclamò: «Eccoli! Per
cortesia, mandate gli uomini ad aiutarlo a salire a bordo: sarà disteso su
una porta». Trascinò West fuori della cabina e sul ponte, e là l'ufficiale e i
marinai stupefatti videro un tiro a quattro blu e oro, scortato da una truppa
a cavallo in uniformi color malva con le mostrine d'argento, avanzare
lentamente lungo la banchina, videro il comandante della loro nave e un
ufficiale svedese a cassetta, il loro chirurgo e il suo assistente affacciati ai
finestrini e tutti quanti, ora accompagnati anche dalla signora sul ponte,
cantavano: Ah, tutti contenti saremo così, ah, tutti contenti saremo,
saremo così, in una felicità a voce spiegata straordinariamente melodiosa.

FINE

TABELLE DI CONVERSIONE
MISURE DI LUNGHEZZA

1 pollice 2,54 cm
1 piede (12 pollici) 30,5 cm
1 iarda (3 piedi) 0,914 m
1 braccio (2 iarde) 1,829 m
1 miglio (di terra; 1760 iarde) 1,609 km
1 miglio (nautico; 2026 iarde) 1,853 km
1 lega (3 miglia nautiche) 5,559 km

Patrick O'Brian 259 1988 - La Nave Corsara


MISURE DI CAPACITÀ

1 pinta 0,568 1
1 quarto (2 pinte) 1,136 1
1 gallone (4 quarti) 4346 1
1 barile (36 galloni) 163,65 1

MISURE DI PESO

1 oncia 2835 g
1 libbra (16 once) 0,453 kg
1 hundredweight (112 libbre) 50,80 kg
1 tonnellata (inglese; 20 hundredweight) 1016 kg

GLOSSARIO DEI TERMINI MARINARESCHI


Abbattere Far ruotare la nave intorno al suo asse verticale in modo che
essa sia investita dal vento dal lato diverso dal precedente e in modo che
nell'evoluzione ponga la poppa nella direzione del vento stesso;
impropriamente si dice anche: virare in poppa.
Abbattuta Atto dell'abbattere. Impropriamente detta: virata in poppa.
Abbisciare Disporre una cima in ampie spire in modo che si possa
svolgere senza difficoltà.
Addugliare Disporre in duglie.
Alberetto Nome specifico del fuso superiore di ogni albero; è distinto
dalle vele che vi corrispondono: alberetto di velaccino, alberetto di
velaccio, alberetto di belvedere.
Albero Nome generico e comprensivo della struttura primaria destinata
a sorreggere la velatura; è distinto dalla sua posizione longitudinale
(albero di trinchetto, albero maestro o albero di maestra, albero di
mezzana) e dalle vele che, tramite i pennoni, vi sono connesse: albero di
parrocchetto, albero di gabbia, albero di contromezzana, etc.
Amantiglio (detto anche mantiglio) Cima o catena destinata a sostenere
parti mobili dell'alberatura: amantiglio del pennone, amantiglio del boma,

Patrick O'Brian 260 1988 - La Nave Corsara


etc.
Anca Parte laterale della nave, ove la murata è maggiormente incurvata
e quindi in prossimità della prua e della poppa: anca di prua, anca di
poppa.
Apostolo Parte superiore di ogni scalmo della zona prodiera delle navi
munite di bompresso. Il nome è rimasto indipendentemente dal numero,
che originariamente era di dodici.
Armo Designa il tipo di alberatura e di vele delle quali è dotata una
nave. Quando riferito a una piccola imbarcazione, ne indica invece
l'equipaggio {armo di lancia) e talvolta anche il capo di questo, ovvero il
timoniere.
Asta v. bastone.
Atterraggio Avvicinamento alla costa.
Aurico Tipo di armamento, o armo, costituito da vele trapezoidali per
tre lati inferite, cioè fissate, sull'alberatura e da vele triangolari.
Baglio Ogni trave lievemente ricurva (con la convessità verso l'alto) che
congiunge le murate di una nave e concorre a sostenere un ponte.
Banda Indica genericamente ciascun lato della nave. In locuzioni
specifiche (come capo di banda) ne designa un elemento strutturale e la
zona corrispondente.
Bando Nell'espressione in bando significa completamente rilasciato,
non legato, né trattenuto.
Bastone Ogni asta che serva a tenere spiegata una vela. Prende il nome
dalla vela cui serve; bastone di fiocco, bastone di coltellaccio, bastone di
scopamare, etc. (Ma anche asta di fiocco...)
Battagliola Sorta di ringhiera metallica costituita da aste verticali
(candelieri) e catenelle posta al limite di un ponte di coperta ove non vi sia
la protezione dell'impavesata.
Battello Denominazione generica di piccole imbarcazioni a remi di varia
forma e destinate a diversi usi e servizi.
Batteria Nella marineria velica ha designato ogni fila di cannoni
disposta lungo il fianco della nave, donde le locuzioni specifiche: ponte di
batteria, batteria di dritta, etc.

Patrick O'Brian 261 1988 - La Nave Corsara


Beccheggio Oscillazione longitudinale della nave impressale dal moto
ondoso.
Belvedere Nome specifico di una vela dell'albero di mezzana.
Bigo Nome marinaresco di ogni asta di carico o gru.
Bigotta Elemento di un rudimentale paranco privo di pulegge usato per
tendere il sartiame. È costituita da un pezzo di legno durissimo tagliato in
forma ovoidale e munito di tre o quattro fori ove è passata una fune (detta
corridore) che nello stesso modo è disposta in un identico pezzo
corrispondente. Con la trazione del corridore le bigotte tendono ad
avvicinarsi.
Bilancella Piccola tartana con un solo polaccone.
Bolina Cima di manovra usata per distendere il lato sopravvento di una
vela quadra. Siccome le boline erano particolarmente messe in forza
quando la nave procedeva con un moto che si avvicinava alla direzione del
vento, il loro nome è divenuto indicativo dell'andatura corrispondente:
andare di bolina, in bolina, etc.
Boma (pl. borni) Grossa asta orizzontale connessa tramite uno snodo
(detto trozza) a un albero e destinata a tenere esteso il lato inferiore (o
bordarne) di una randa.
Bombarda Nave a vela con due alberi: quello di maestra con vele
quadre a mezzanave e quello di mezzana con vele auriche molto vicino alla
poppa. Munita di bompresso con più fiocchi.
Bompresso Albero molto inclinato o quasi orizzontale che fuoriesce
dalla prua dei velieri e che consente lo spiegamento di diversi fiocchi.
Bonnetta Designazione generica delle vele di straglio.
Bordarne Lembo o lato inferiore di qualsiasi vela.
Bordare Mettere in tensione una vela.
Bordata Sparo simultaneo dei cannoni di una batteria.
Bordeggiare Navigare con il vento alternativamente a dritta e a sinistra
in modo da procedere verso la parte da cui esso spira.
Bordo Fianco di una nave e, per estensione, la nave stessa in locuzioni
come: sottobordo, etc. Indica, tuttavia, anche il tratto di rotta che viene
percorso mantenendo costante l'angolo tra essa e la direzione del vento.

Patrick O'Brian 262 1988 - La Nave Corsara


Bovo Veliero armato a tartana e munito di un piccolo albero di mezzana
con vela aurica o latina.
Bozza Pezzo di fune o di catena per trattenerne provvisoriamente un
altro finché non sia stabilmente fissato.
Bozzello Apparecchio per il rinvio di funi, costituito da una cassa
munita di gancio o di anello e contenente una o più pulegge.
Braca Legamento, in genere semiavvolgente, per sollevare, spostare o
trattenere in posizione oggetti voluminosi o pesanti. Nel linguaggio
marinaresco la braca (più raramente braga) designa apparati di ritenzione
permanente come braca di scialuppa, braca d'affusto (quest'ultima era
appunto destinata a trattenere i cannoni al termine del rinculo conseguente
allo sparo).
Bracciare Tendere i bracci dei pennoni per disporli secondo quanto
richiesto dall'andatura della nave, ossia dalla direzione del suo moto
rispetto a quello del vento.
Braccio Designazione specifica, benché comprensiva, di ogni sistema di
funi connesso alle estremità di ciascun pennone per ruotarlo e trattenerlo
nella posizione richiesta dall'andatura della nave. Il braccio è altresì
un'unità di misura, corrispondente a m 1,829, usata per le profondità
marine.
Bracciolo È un elemento angolare di congiunzione posto tra i bagli e gli
scalmi.
Brigantino Veliero con due alberi a vele quadre (di trinchetto verso
prua e di maestra a poppa) e bompresso. Sull'albero di maestra era
ordinariamente inferita anche una randa. Quando vi era un terzo albero (di
mezzana con vele auriche) si parlava di brigantino a palo.
Cabestano Nome marinaresco dell'argano, ossia dell'apparecchio di
trazione con asse verticale impiegato sulle navi per l'ancoraggio e per altre
manovre richiedenti grande forza.
Cala Ogni locale della nave destinato a deposito.
Candeliere Elemento di sostegno verticale delle battagliole.
Cappa Andatura di minima velocità o virtualmente stazionaria assunta
dai velieri per resistere al maltempo; era fatta con vele ridotte (vele di
cappa): mettersi alla cappa, prendere la cappa, etc. Spesso confusa con la

Patrick O'Brian 263 1988 - La Nave Corsara


panna.
Carronata Corto cannone navale in ghisa.
Cassero Negli antichi velieri parte (generalmente rialzata) del ponte di
coperta compresa tra l'albero di maestra e la poppa.
Castello Negli antichi velieri estremità prodiera rialzata del ponte di
coperta.
Caviglia Cavicchio mobile posto in un foro in un apparato (detto
cavigliere e situato presso ogni albero) perché vi siano fissate drizze,
scotte e altre cime di manovra. Si dice altresì caviglia ciascuna delle
maniglie o impugnature disposte radialmente attorno alla ruota del timone
per manovrarla più saldamente. Caviglia è anche il cavicchio conico con
cui si divaricano i legnoli, ossia gli elementi ritorti con i quali è costituita
una cima, per farvi giunte o gasse.
Chiesuola Protezione della bussola di rotta.
Chiglia Grossa trave che costituisce l'asse strutturale di ogni nave. Posta
in basso, al centro della carena, è spesso confusa con questa.
Cima Generico nome marinaresco di ogni fune o corda di media
dimensione; quelle più piccole sono dette sagole e quelle maggiori gomene
o gherlini.
Civada Parte centrale del bompresso da cui prendono nome attrezzature
e vele che hanno relazione con esso: picco di civada, pennone di civada,
vela di civada, etc.
Coffa Piattaforma di legno collocata alla sommità del fuso maggiore di
ogni albero.
Collo A collo: posizione di una vela che riceve il vento dalla parte
anteriore della nave e che non esercita forza propulsiva, contribuendo anzi
all'arretramento.
Colombiere Parte di ogni albero compresa tra la coffa e la testa di moro.
Coltellaccino Vela di straglio di forma trapezoidale affiancata ai velacci
quando il vento è debole.
Coltellaccio Vela di straglio di forma trapezoidale affiancata alle
gabbie.
Comandata Denominazione del turno di guardia sulle navi in

Patrick O'Brian 264 1988 - La Nave Corsara


navigazione o in porto.
Contro Nel linguaggio marinaresco, in composizione con altre parole,
indica contiguità, adiacenza, sovrapposizione di vele o di parti
dell'attrezzatura: controfiocco, controranda, controvelaccio, etc.
Corsa Guerra navale fatta da un veliero privato, ma munito di
un'autorizzazione sovrana (patente di corsa), contro il traffico marittimo di
uno Stato nemico.
Corvetta Nave da guerra con un solo ponte di batteria, che era quello di
coperta. Armata in genere con tre alberi a vele quadre, poteva averne
anche due ed essere quindi contemporaneamente un brigantino, come la
Sophie.
Crocetta Telaio formato da barre di legno (dette costiere e traverse)
destinato tramite le sartiette di velaccio a dare rigidità all'alberetto.
Deriva Scostamento di una nave dalla sua rotta quando viene investita
da una corrente che non è parallela od opposta al suo moto.
Dormiente Grossa trave corrente all'interno lungo ogni bordo della
nave, destinata al rinforzo delle murate e al sostegno del ponte di coperta.
Draglia Ogni fune (oggigiorno d'acciaio) su cui vengono inferiti, cioè
fissati, i fiocchi o le vele triangolari di straglio. Sono però dette draglie
anche le funi delle battagliole.
Drizza Ogni fune con cui si alza e si trattiene in posizione una vela. Le
drizze sono distinte dalle vele relative: drizza di fiocco, drizza di
controfiocco, drizza di randa, etc.
Duglia Spira in cui viene disposta una cima tenuta pronta per la
manovra.
Falchetta Bordo superiore delle piccole imbarcazioni su cui sono posti
gli scalmi per i remi.
Famiglio Nel linguaggio marinaresco designa genericamente l'addetto ai
servizi di alloggio e quindi ha un'accezione analoga a quella di
maggiordomo o di cameriere.
Feluca Veliero a due alberi con vele latine e qualche fiocco.
Filare Nel linguaggio marinaresco significa lasciare scorrere una cima o
una qualsiasi fune.

Patrick O'Brian 265 1988 - La Nave Corsara


Fil di ruota Si dice del vento quando investa la nave dalla parte
posteriore e con direzione parallela al suo asse longitudinale.
Fileggiare Indica lo sbattere delle vele quando ricevono il vento
parallelamente alla loro superficie.
Fiocco Ogni vela triangolare, inferita, cioè fissata, lungo un solo lato e
posta anteriormente all'albero o a quello più prossimo alla prua, quando ve
ne sia più di uno.
Fonda L'espressione alla fonda si riferisce a una nave che è legata con
un'ancora al fondo marino.
Fregata Veliero da guerra con due ponti di batteria e armato con tre
alberi a vele quadre.
Fuso Designazione generica e comprensiva di ogni tronco delle
alberature composte.
Gabbia Nome specifico di una vela dell'albero di maestra.
Gabbiere Nome generico di ogni marinaio addetto alle manovre delle
vele e più specificamente di quello che per esse saliva sull'alberatura.
Gaettone Turno di guardia di durata diversa dagli altri.
Gaffa Asta di legno munita di un uncino per afferrare funi o anelli nelle
manovre di accosto, ossia di avvicinamento delle imbarcazioni alle navi o
alle banchine.
Gallòcia Piccolo apparato di legno o di metallo costituito da un fuso
parallelo al piano di impianto e da uno o due sostegni, posto in luogo e in
modo che vi possa essere data volta, cioè che vi si possa fissare, una cima
di manovra.
Gassa Nel linguaggio marinaresco l'anello, o occhio, fatto più o meno
stabilmente in una fune di qualsiasi dimensione.
Gavone Locale di deposito situato nella parte inferiore dello scafo.
Gherlino Grossa fune generalmente usata per gli ormeggi e minore delle
gomene.
Ghia Nel linguaggio marinaresco nome generico di ogni fune adibita al
sollevamento dei pesi; può essere semplice, ossia passata in un bozzello o
in una sola via (con una sola puleggia), o doppia e in tal caso forma un
paranco.

Patrick O'Brian 266 1988 - La Nave Corsara


Giardinetto Anca poppiera della nave ordinariamente munita di una
sorta di balconatura decorata con piante (donde il nome). La voce è poi
passata a indicare genericamente le zone poppiere della nave e quanto
venga o si trovi nella loro direzione: vento al giardinetto, etc.
Giornale di chiesuola Brogliaccio su cui sono minuziosamente annotate
tutte le manovre e le evoluzioni della nave.
Goletta Nave con due alberi inclinati a poppa e dotati di vele auriche e
bompresso. Il tipo fondamentale (tuttora in uso nel diporto) ha avuto molte
varianti: nave goletta, con tre alberi, quello di trinchetto a vele quadre e gli
altri due a vele auriche, e bompresso; goletta a palo, con tre alberi tutti a
vele auriche e bompresso; brigantino goletta, con due alberi, quello di
trinchetto a vele quadre e l'albero maestro a vele auriche, e bompresso.
Gomena Grossissima fune usata per ormeggio, tonneggio o rimorchio.
Gratile Fune disposta a rinforzo di ogni lato di una vela; in quelle
auriche e nei fiocchi può designare particolarmente il lato lungo cui sono
inferite, cioè fissate.
Grisella Fune tesa orizzontalmente fra le sartie per costituire una scala
per la salita dei gabbieri sugli alberi.
Imbrogliare Raccogliere le vele quadre a festoni mediante alcune funi
predisposte, dette imbrogli. Le vele auriche sono raccolte con imbrogli che
ne contengono la discesa sul boma.
Impavesata Parapetto in legno che limita il ponte di coperta e, nella
maggior parte delle antiche navi, costituito all'interno dai cassoni nei quali
erano riposte le brande.
Impiombare Fare una gassa a una fune o congiungerla con un'altra
mediante intrecciamento dei legnoli (v. caviglia).
Intregnare Inserire tra i legnoli (v. caviglia) di una cima una sagola in
modo da riempire i loro interstizi e da renderne liscia la superficie esterna.
Lancia Leggera imbarcazione a remi (ma talvolta dotata di una vela
latina o a tarchia) usata dalle antiche navi per i servizi di bordo.
Landa Grossa spranga metallica attraverso la quale ogni sartia è
collegata allo scafo.
Lapazzare Riparare o consolidare una parte dell'alberatura (come un
pennone o un alberetto) mediante lapazze, ossia grosse tavole

Patrick O'Brian 267 1988 - La Nave Corsara


longitudinalmente incavate.
Lasco Si dice del vento che investe la nave a poppavia del traverso.
Gran lasco indica una direzione di provenienza ancor più prossima alla
poppa.
Latina Vela triangolare superiormente inferita in un pennone inclinato e
connesso all'albero poco oltre la sua metà e inferiormente trattenuta da una
mura e da una scotta.
Madiere Elemento dell'ossatura trasversale di ogni scafo in legno
costituito dal collegamento fatto immediatamente al di sopra della chiglia
fra gli staminali dei due lati.
Maestra Di maestra sono detti l'albero e la vela maggiori di ogni
veliero.
Maestro Sinonimo di albero di maestra (albero maestro).
Maniglione Nel linguaggio marinaresco denominazione generica di ogni
anello metallico apribile con la rimozione del perno passante nelle sue
estremità appositamente rinforzate e forate.
Marciapiedi Funi stabilmente distese sotto i pennoni sulle quali si
spostavano i gabbieri per compiere le manovre.
Masca Denominazione specifica dell'anca prodiera di una nave, più
comunemente detta moscone. Analogamente a giardinetto, la voce è
passata a indicare la corrispondente zona della nave e quanto si trovi o
provenga in direzione di essa: mare al mascone, etc.
Mastra Indica sia il battente, o riparo, posto attorno a ogni apertura del
ponte di coperta per ostacolare l'entrata dell'acqua, sia l'apertura con
robusto collare fatta in esso per il passaggio degli alberi.
Matafione Piccola fune con la quale si contiene la parte di vela sottratta
al vento quando si prendono i terzaroli.
Mezzanave Nel linguaggio marinaresco designa la zona che si trova alla
metà della lunghezza della nave. La voce entra in molte locuzioni
specifiche.
Mezzana Di mezzana è l'albero situato a poppavia di quello di maestra e
lo stesso nome generico prende tutto ciò che abbia attinenza con esso (vele
comprese).

Patrick O'Brian 268 1988 - La Nave Corsara


Mozzo Ragazzo che apprende il mestiere di marinaio ed è addetto ai
servizi più umili e ingrati.
Mura Ogni cima, o fune, che tiri una vela verso prua.
Murata Nome generico e comprensivo del fianco della nave, con
speciale riguardo alla sua parte emersa.
Nave Nell'antico linguaggio marinaresco nome generico del veliero a tre
alberi con vele quadre e bompresso. Usato anche come sinonimo di
vascello. Il veliero che, verso poppa, aveva un quarto albero (con vele
auriche) era detto a palo (dalla denominazione di quest'ultimo albero).
Navicello Veliero a due alberi, dei quali il primo, molto inclinato a prua,
con una vela trapezoidale bordata (v. bordare) in testa all'albero di
maestra, che ha vela latina o aurica. Aveva anche un'asta per il polaccone.
Nocchiere Ufficiale che sovrintendeva alla condotta e al governo
marinaresco della nave.
Nostromo Primo coadiutore del nocchiere, dirigeva l'esecuzione delle
manovre disposte da lui o dal comandante.
Ombrinale Foro praticato alla base dell'impavesata per far defluire
l'acqua dal ponte di coperta.
Ordinata Elemento della struttura trasversale dello scafo che dalla
chiglia raggiungeva i dormienti. Le ordinate, numerosissime, erano
costituite da vari pezzi denominati staminali, scalmi e scalmotti (v.
scalmo).
Ormeggiare Legare la nave alla banchina o, tramite l'ancora, al fondo
marino.
Orzare Avvicinare la prua della nave alla direzione del vento. Si dice
anche andare all'orza o venire all'orza.
Pagliolo Piano di calpestio che può essere posto in diverse zone di un
grande scafo o in prossimità del fondo di uno minore; distinto da un ponte
per la sua esiguità strutturale e perché non si distende con continuità da
una parte all'altra dello scafo stesso.
Panna Posizione di arresto in mare di una nave ottenuta con
un'opportuna regolazione delle vele di modo che alcune tendano a farla
indietreggiare mentre le altre, compensando l'effetto di queste, tendano a
farla avanzare. È spesso confusa con la cappa.

Patrick O'Brian 269 1988 - La Nave Corsara


Pappafico Altro nome del velaccino.
Paramezzale Rinforzo longitudinale della chiglia.
Paranco Apparecchio destinato alla moltiplicazione della forza di
trazione costituito da un sistema di carrucole a una o più pulegge.
Paratia Elemento continuo di separazione verticale all'interno di uno
scafo o a delimitazione delle sue sovrastrutture, come il cassero e il
castello.
Parrocchetto Nome di una vela dell'albero di trinchetto.
Paterazzo Grossa fune (ora d'acciaio) che fa parte del sartiame e che
concorre a sostenere lateralmente e verso poppa l'albero di gabbia.
Patta d'oca Sistema di funi (in genere tre) disposte a raggiera per
distribuire le sollecitazioni di una trazione.
Pennacchio Puntone di rinforzo posto al di sotto del bompresso detto
anche buttafuori di briglia.
Pennello Nome specifico di una bandiera da segnalazione avente forma
trapezoidale allungata e inferita, cioè fissata, lungo la base maggiore.
Pennone Lunga e robusta asta connessa alla sua metà a un albero
tramite uno snodo, detto trozza, e destinata a sostenere superiormente le
vele quadre. Ogni pennone prende poi nome dalla sua vela: pennone di
gabbia, pennone di parrocchetto, etc.
Picco Asta connessa alla sua estremità anteriore a un albero e destinata a
sostenere superiormente una randa aurica.
Poggiare Allontanare la prua dalla direzione del vento. Si dice anche
andare alla poggia o venire alla poggia.
Polacca Veliero con velatura varia e mista (cioè con vele quadre,
auriche, etc.) e per questo detto anche mistico.
Polaccone Vela triangolare disposta a prua di un albero a vela latina e
sostenuta da un'asta detta spigone.
Ponte Ogni struttura continua orizzontale che si estenda da una parte
all'altra dello scafo; quello superiore a ogni altro è detto di coperta o
semplicemente coperta.
Pontone a biga Zatterone munito di una sorta di gru (biga) in genere
usato per sollevare grossi carichi e per porre in posizione i fusi maggiori

Patrick O'Brian 270 1988 - La Nave Corsara


degli alberi dei velieri.
Puntale Elemento centrale di sostegno situato fra i ponti.
Quadrato Locale di raccolta e di ritrovo degli ufficiali dei velieri.
Quarta Ognuna delle 32 suddivisioni della tradizionale rosa della
bussola nautica e quindi ampia 11° 15'; è detta anche rombo.
Quartiermastro Sugli antichi velieri l'ufficiale incaricato di
sovrintendere alle guardie e di avviare i gabbieri alle manovre.
Randa Vela trapezoidale inferiormente inferita, cioè fissata, sul boma,
anteriormente all'albero e superiormente sostenuta dal picco.
Riggia Barra metallica che collega l'orlo della coffa all'albero sottostante
e che vi scarica la trazione delle sartie di gabbia e di velaccio.
Rilevamento Angolo sotto il quale un oggetto è traguardato rispetto al
nord (rilevamento azimutale) o rispetto all'asse longitudinale della nave
(rilevamento polare).
Ritenuta Fune o paranco che limita o impedisce le oscillazioni
accidentali di parti dell'attrezzatura o che trattiene o guida vele o altri
carichi durante l'ammainata, ossia la discesa.
Riva A riva, nel linguaggio marinaresco, designa tutto quanto sia in alto
sull'alberatura. Non si riferisce mai alla costa.
Rollio Oscillazione trasversale della nave impressa dal moto ondoso.
Ruota Organo di governo del timone, ma anche elemento costruttivo e
parte dello scafo: ruota di prua, ruota di poppa.
Saettia Veliero con tre alberi a vele latine.
Salpare Propriamente levare l'ancora dal fondo marino; è però usato
anche nel senso di mollare gli ormeggi, cioè di sciogliere i legamenti con i
quali una nave è trattenuta alla banchina.
Sartia Fune (oggigiorno d'acciaio) che dallo scafo o da un'altra robusta
struttura (come la coffa) sale a un albero per sostenerlo lateralmente.
Sbandare Verbo che indica l'azione della nave che si inclina
lateralmente per effetto del vento sulle vele.
Scalandrone Scala o passerella mobile per salire sulle navi dalle
imbarcazioni di servizio o dalle banchine.

Patrick O'Brian 271 1988 - La Nave Corsara


Scalmo Elemento centrale delle ossature trasversali di una nave; quelli
superiori si dicono scalmotti. Se è riferito a piccole imbarcazioni indica il
cavicchio fissato nella falchetta su cui è fissato e fa forza un remo.
Scarroccio Deviazione laterale dalla rotta per effetto del vento o del
moto ondoso.
Sciabecco Veliero con tre alberi e bompresso, armato con vele latine,
ma anche con vele quadre o di forma mista.
Scialuppa Nome generico e comprensivo delle imbarcazioni di servizio,
poco usato nel linguaggio marinaresco.
Scopamare Vela di straglio posta lateralmente al trinchetto.
Scotta Fune di manovra per tendere verso poppa qualsiasi vela; ogni
scotta prende nome dalla vela cui è connessa: scotta di randa, scotta di
fiocco, etc.
Sentina La parte più bassa all'interno di uno scafo.
Sequaro Può indicare sia il modo di trattenere una fune di manovra sia
la parte di essa che resta sempre a disposizione di chi deve maneggiarla.
Serrare Raccogliere e legare strettamente le vele alle parti delle
attrezzature che le sostengono.
Solcometro Strumento per misurare la velocità di una nave. Nei tempi
antichi era costituito da un apparecchio che, predisposto per restare
stazionario nel punto in cui era stato lanciato in acqua, con
l'allontanamento della nave svolgeva una sagola con nodi opportunamente
distanziati: dal numero dei nodi passati nell'unità di tempo si ricavava la
velocità. È per questo che tuttora, nell'uso marittimo, si usa esprimere la
velocità in nodi, ossia in miglia nautiche percorse in un'ora.
Sopravvento Indica tutto ciò che si trovi dalla parte dalla quale spira il
vento.
Sottovento Indica tutto ciò che si trovi nella parte verso la quale spira il
vento.
Spigone Asta leggera sulla quale erano inferite alcune vele di straglio.
Staminale Elemento inferiore delle ossature trasversali delle navi.
Straglio (detto anche strallo)
Fune (oggigiorno d'acciaio) che sostiene gli alberi verso prua. Siccome

Patrick O'Brian 272 1988 - La Nave Corsara


per lo più su di esso erano inferite, cioè fissate, le vele sussidiarie spiegate
quando il vento era debole, tutte le vele di tal genere ne hanno preso nome,
indipendentemente dal luogo in cui venivano poste.
Straorzare Avvicinare la prua alla direzione del vento in modo
eccessivo e involontario, in genere per effetto di una velatura
incompatibile con l'intensità del vento stesso.
Tangone Sulle antiche navi l'asta laterale protesa fuori della murata cui
venivano legate le imbarcazioni di servizio durante le soste e tramite la
quale i marinai salivano a bordo.
Tarchia Tipo di vela trapezoidale inferita, cioè fissata, all'albero lungo il
suo lato prodiero e sostenuta da un'asta (detta struzzo o livarda) inclinata,
che dal piede dell'albero sale fino al vertice poppiero della vela stessa.
Tartana Veliero a un solo albero con una grande vela latina e talvolta
con un fiocco o un polaccone.
Terrazzano Nel linguaggio marinaresco designava gli uomini inesperti
di navigazione e in genere imbarcati a forza.
Terzarolo Propriamente porzione di vela che può essere serrata per
ridurne la superficie. Tali porzioni sono usualmente distinte in mani,
numerate nell'ordine in cui si prendono, ovvero in cui avviene la riduzione
progressiva.
Terzo Con l'espressione al terzo s'intende un tipo di vela trapezoidale
superiormente sostenuta da un pennone connesso all'albero a un terzo della
sua lunghezza.
Testa di moro Elemento di giunzione e di connessione dei fusi degli
alberi.
Tonneggiare Spostare o far avanzare una nave tirandola da terra.
Trabaccolo Veliero con due alberi portanti vele al terzo e talora con
polaccone; in qualche caso con una randa in luogo di una delle vele al
terzo.
Traverso Con l'espressione al traverso si indica tutto ciò che si trova in
una posizione la cui congiungente forma un angolo retto con l'asse
longitudinale della nave.
Trevo Nome generico della vela bassa di maestra e del trinchetto.

Patrick O'Brian 273 1988 - La Nave Corsara


Trinca Salda e stabile connessione, in genere metallica, tra due parti
dell'attrezzatura.
Trincarino Primo corso esterno, in genere più largo degli altri, del
fasciame di un ponte e specialmente di quello di coperta.
Trincatimi Stretta legatura fatta con più passaggi di fune o di catena.
Trinchettina Nome specifico del più basso e più interno dei fiocchi.
Trinchetto Nome specifico della più bassa delle vele quadre dell'albero
che da essa prende nome.
Tromba Nel linguaggio marinaresco, nome generico della pompa.
Trozza Connessione a snodo che unisce agli alberi pennoni, borni e
picchi.
Varea Estremità di qualsiasi attrezzatura orizzontale, come pennoni,
borni, tangoni, etc.
Vascello Propriamente veliero a tre ponti di batteria.
Velacciere Veliero a tre alberi, con quello di trinchetto a vele quadre e
quelli di maestra e di mezzana con vele latine.
Velaccino Nome specifico di una delle vele superiori dell'albero di
trinchetto.
Velaccio Nome specifico di una delle vele superiori dell'albero di
maestra.
Virare Far ruotare la nave intorno al suo asse verticale in modo che essa
venga a essere investita dal vento dalla parte opposta alla precedente e
facendo passare la prua nella direzione del vento stesso.
Virata Atto del virare.
Zavorra Materiale pesante (pietrame o ferraglia) posto sul fondo di una
nave per aumentarne la stabilità. Navigare in zavorra significa procedere
senza carico di merci o di passeggeri.

ALBERATURA - 1. Albero di trinchetto. - 2. Albero di maestra. - 3. Albero


di mezzana. - 4. Albero maggiore di trinchetto. - 5. Albero di parrocchetto.
- 6 e 7. Alberetto di velaccino e di controvelaccino. - 8. Albero maggiore
di maestra. - 9. Albero di gabbia. - 10 e 11. Alberetto di gran velaccio e di
controvelaccio. - 12. Albero maggiore di mezzana. - 13. Albero di
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contromezzana. - 14 e 15. Alberetto di belvedere e di controbelvedere. -
16. Bompresso. - 17 e 18. Asta di fiocco e di controfiocco. - 19 Picco. - 20.
Boma. - 21. Pennacchio. - 22. Buttafuori di crocetta. - 23. Contropicco.
-24. Pennone di trinchetto. - 25. P. di basso parrocchetto. - 26. P. di
parrocchetto volante. - 27 e 28. P. di velaccino e di controvelaccino. - 29.
Pennone di maestra. - 30. P di bassa gabbia. - 31. P. di gabbia volante. - 32
e 33. P. di gran velaccio e di controvelaccio. - 34. Pennone di mezzana. -
35. P. di bassa contromezzana. - 36. P. di contromezzana volante. - 37 e
38. P. di belvedere e di controbelvedere.
SARTIAME - 39. Straglio di trinchetto. - 40, 41 e 42. S. di parrocchetto, di
velaccino e di controvelaccino. - 43. Straglio di maestra. - 44,45 e 46. S. di
gabbia, di gran velaccio e di controvelaccio. - 47. Straglio di belvedere. -
48, 49, 50. S. di contromezzana, di belvedere e di controbelvedere. - 51.
Sartie maggiori. - 52. Sartie di gabbia. - 53. Sardelle di velaccio. - 54.
Paterazzi. - 55. Paterazzetti. - 56 e 57. Draghe del fiocco e del
controfiocco. - 58 e 59. Brighe del bompresso. - 60. Venti del pennacchio.
- 61. Brighe.
VELE - a. Trinchetto. - b. Basso parrocchetto. - c. Parrocchetto volante. -
d. Velaccino. - e. Controvelaccino. - f. Maestra. - g. Bassa gabbia. - h.
Gabbia volante. - i. Velaccio. - k. Controvelaccio. - l. Bassa
contromezzana. - m. Contromezzana volante. - n. Belvedere. - o.
Controbelvedere. - p. Trinchettina. - q. Fiocco. - r. Controfiocco. - s, t, u,
v, w, x. Vele di straglio. - y. Randa.

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