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Questa è la storia di Hassan, un ragazzo diciottenne, che viveva in Nigeria, un paese del centro-ovest

dell’Africa, poverissimo e devastato dalle guerre civili. Hassan viveva con la sua famiglia, composta dalla
madre e dai suoi sette fratelli, nella baraccopoli della capitale Lagos. Il padre era morto in un combattimento
tra fazioni opposte durante la guerra civile, lasciando la sua famiglia nella povertà assoluta. Per questo
Hassan era stato costretto a lavorare fin da piccolo nei campi sottraendo tempo alla scuola, che lui amava
frequentare. La fatica per il giovane Hassan era diventata insostenibile e per questo aveva cominciato a
pensare di raggiungere l’Europa in cerca di una vita migliore. Infatti, in quelle occasioni in cui era riuscito a
navigare su internet, aveva saputo che lì avrebbe potuto vivere libero, lontano dalla guerra e avrebbe potuto
trovare un lavoro per guadagnare da vivere per sé e per la sua famiglia. Hassan sapeva che arrivare in Europa
dalla Nigeria con un permesso di soggiorno era praticamente impossibile, per cui l’unica opzione era quella
di tentare un viaggio da clandestino. Questo significava trovare i soldi per pagare i trafficanti di persone,
attraversare il deserto per raggiungere la Libia, dove avrebbe dovuto viaggiare su una barca di fortuna o su
un gommone per arrivare in Italia. Il viaggio era molto pericoloso: il solo pensiero di potere annegare o la
possibile mancanza di acqua e cibo durante la traversata, o la possibilità di incontrare condizioni del mare
avverse terrorizzavano Hassan. Nonostante ciò, egli voleva andare fino in fondo e decise di mettere dei soldi
da parte.

Passato qualche mese, Hassan raggiunse la cifra di denaro necessaria per pagare i trafficanti, e organizzò la
sua partenza. Preparò uno zaino, nel quale mise un giubbotto, i documenti, dell’acqua e del cibo. Mentre
stava per salutare la sua famiglia, la madre in lacrime gli consegnò una foto del suo compleanno in cui c’era
anche il padre, e disse ad Hassan di custodirla durante tutto il viaggio e di guardarla nei momenti di difficoltà
e di sconforto. Hassan prese la foto e la chiuse in una busta di plastica, per proteggerla durante il viaggio,
abbracciò a lungo la madre e si allontanò con un nodo in gola.

Il giovane si mise in viaggio e raggiunse a piedi il gruppo nella piazza in cui si faceva il mercato, dove trovò
i trafficanti, che fecero salire tutti su un enorme furgone malandato. Viaggiarono in condizioni disumane: le
persone erano tutte ammassate, e il motore del furgone non era affidabile, ma Hasaen non aveva molta scelta
e ormai non poteva tirarsi indietro nonostante la sua enorme paura.

Il viaggio durò diversi mesi e le difficoltà che si trovò ad affrontare furono tante. Lungo il deserto libico le
condizioni climatiche erano tremende: il caldo torrido e la sabbia del deserto che si alzava col vento rendeva
l’aria irrespirabile; nonostante ciò, nessuno dei passeggeri osava lamentarsi, le uniche voci che si sentivano
erano le urla dei trafficanti che intimavano loro di stare immobili sul mezzo.

Finalmente Hassan arrivò nel porto di Tripoli; tutti i passeggeri furono fatti scendere dal furgone e radunati
in prossimità del molo da cui doveva partire l’imbarcazione. Hassan, nonostante fosse sfinito, era felice
perché pensava che il suo sogno stesse per avverarsi. Per non dare all’occhio i trafficanti aspettarono la notte
per imbarcare tutte le persone e, una volta completate le operazioni d’imbarco, lasciarono lentamente la costa
libica. Ma purtroppo la gioia di Hassan durò poco: la guardia costiera libica, infatti, intercettò il barcone e lo
riportò al porto. Qui iniziò l’incubo: tutti i migranti vennero derubati e arrestati. Ad Hassan fu tolto il
cellulare e una collanina di cuoio a cui teneva molto, ma gli era rimasta la cosa più preziosa, la foto della sua
famiglia.

Dopo giorni passati in cella, alcuni prigionieri pensarono di raccogliere i pochi soldi che le guardie non gli
avevano sottratto per corrompere i vigilanti e cercare ritornare al porto, per tentare di imbarcarsi
nuovamente. Hassan, rovistando in una tasca nascosta del suo zaino, trovò qualche spicciolo che diede subito
ai suoi compagni. La notte seguente il gruppo offrì i soldi alla guardia di turno, che vigilava l’entrata del
carcere e riuscirono a corromperlo. La guarda finse di essere stato aggredito e gli apri la porta consentendo la
loro fuga. I ragazzi si catapultarono fuori dal carcere e corsero senza mai fermarsi si diressero verso il molo
per imbarcarsi. Cercarono gli scafisti nello stesso posto dove li avevano incontrati nel primo tentativo di
imbarco, e il caso volle che uno di loro fosse proprio lì a sistemare il motore di una vecchia barca. Così si
avventarono verso di lui e con le minacce lo costrinsero a partire. Nella foga di salire sull’imbarcazione, ad
Hassan cadde lo zaino dove custodiva la foto. Per un attimo pensò che non valesse la pena correre il rischio
di scendere per recuperarlo, ma la foto era l’unica cosa che gli ricordava la sua famiglia e che lo legava al
suo passato, per cui non poteva rinunciare. E per questo si lancio dalla barca verso il molo e con un balzo
recuperò la sua borsa. Fortunatamente il motore non era ancora partito e Hassan riuscì a ritornare a bordo e
finalmente a partire.

Avevano trovato in un cofanetto sulla barca dei giubbotti di salvataggio, che indossarono per evitare di
annegare in caso di incidenti, visto non tutti (Hassan compreso) sapevano nuotare. La prima parte del viaggio
fu tranquilla anche se la tensione era alta e nessuno osava fiatare.
Quando erano a poche miglia da Lampedusa si alzò il vento e onde enormi facevano oscillare
pericolosamente l’imbarcazione. Hassan era terrorizzato e non poteva fare altro che stringere a sé il suo
zaino. Un’onda spinse il gommone contro gli scogli e nell’urto molti dei passeggeri furono sbalzati in acqua.
Anche Hassan, senza accorgersene si trovò in acqua a nuotare e a lottare contro le onde. Riuscì con molta
fatica ad arrivare sulla terra ferma e provò un grande sollievo. Tuttavia, la gioia durò poco perché si accorse
di avere perso lo zaino. Ma era esausto e non riusciva ad alzarsi per cercarlo. Si accasciò a terra e perse quasi
i sensi. Finalmente arrivarono i soccorritori, che gli diedero una coperta e una bevanda calda e raccolsero gli
oggetti dei migranti dispersi sulla riva al momento dell’impatto.

Hassan, preso dalla commozione, non riusciva a smettere di piangere per la gioia di essersi salvato anche se
avere perso lo zaino gli provocava una sensazione di dolore che lo faceva soffrire. Trovò poi la forza di
rialzarsi, per raggiungere il pullman che lo avrebbe portato al centro di accoglienza dell’isola. Mentre
camminava gli si avvicinò un soccorritore che aveva con sé lo zaino di Hassan, che vedendolo si precipitò a
recuperarlo. Hassan immediatamente verificò che la foto fosse in buone condizioni e vedendola ancora
intatta si commosse nuovamente.

La foto per Hassan rappresentava l’unico legame con il passato che poteva aiutarlo ad affrontare il futuro
incerto che lo aspettava in un paese, che gli offriva più possibilità di migliorare la sua vita ma in cui sarebbe
stato da solo.

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