Vorrei fare un po' di luce sull'interrogante piantato la scorsa settimana
nell'aspetto femminile, alla presenza di Sophia, attaccata al simbolo di Cristo.
In Spagna siamo abituati a vedere le chiese cattoliche mentre ricevono l'Eucaristia, e non è consuetudine bere vino nel fiele, se non in tante occasioni diverse, non so se sarà lo stesso in Italia. Da bambino, quando andavo in chiesa, mi chiedevo sempre: E non posso bere il vino? Può farlo solo il prete? Con l'Eucaristia il mio cuore si è sollevato sentendo la presenza di questa immagine di Cristo che ho interiorizzato, ma non ho capito il significato del vino, l'ho associato alla sofferenza di Cristo e alla sua richiesta di perdono dei nostri peccati, e ho pensato bisognava soffrire per crescere... spero di non dire sacrilegio, perché comunque è curioso vedere come il calice ha la forma di una V che rappresenta simbolicamente l'utero femminile e il vino il colore del sangue, è il simbolo della rigenerazione che periodicamente si materializza nelle mestruazioni femminili. Da allora, mentre sentivo quel contatto con Cristo attraverso l'Eucaristia, di tanto in tanto guardavo la Vergine accanto all'altare e sentivo che mancava qualcosa. La serena vergine Maria che ha nutrito Gesù per opera dello Spirito Santo, figura dello Spirito Santo concepita fin dall'Antico Testamento come forza femminile, elemento che unisce il divino e la terra. E poi mi viene in mente la figura della pieta di Michelangelo, per la tristezza che apre il suo sguardo, sembra sereno e pieno di sciabola. Fu Maria madre ad accompagnare Cristo nel suo sacrificio e sarà un'altra donna, la Maddalena la discepola più avanzata, la prima a vedere Cristo risorto. Ci sono scene che in qualche modo mi ispirano l'unione tra Cristo e Sofia. Cristo come principio attivo e creativo che mi eleva con la luce calda e amorosa del padre e Sofia come principio passivo, serena saggezza, vuoto e quiete che mi mostra l'evoluzione ciclica e che mi ricorda da dove vengo, donandomi la calma necessaria per evocare l'originaria unità divina. I primi cristiani dovevano tenere presente questa unione, e negli ambienti gnostici è considerata uno dei sacramenti più importanti: la camera nuziale. Parlo delle prime volte in cui le donne partecipavano ai riti e agli insegnamenti. Il contatto del divino attraverso il femminile è qualcosa di molto presente in molte tradizioni. Bisogna tenere presente che già nel Paleolitico e nel Neolitico la maggior parte delle figure rituali pervenute fino a noi erano femminili e man mano che gli studi archeologici procedono, confermano l'importanza della presenza del "femminile". Grazie alla comparsa della scrittura intorno al 3000 a.C., viene confermata l'importanza di questa unione, cosa che è evidente nei Ching cinesi, nei culti delle dee Shakti in India, o nel culto di Iside in Egitto. ad Innana/Ishtar in Mesopotomia dove il Re o l'uomo doveva scendere agli inferi alla ricerca della dea per poi risorgere e unirsi al divino accompagnato da questa emanazione femminile. Qualcosa che continuò nei Misteri Orfici ed Eleusini in Grecia e poi a Roma.
La tradizione ebraica è diretta erede di queste tradizioni, infatti in Canaan
sono state trovate iscrizioni che collegano Yaweh alla dea Ashera. Il nome di Yaveh, che è il simbolo del Dio padre duale, è formato da quattro lettere che la Cabala nello Zohar considera quattro principi, due maschili e due femminili. Yod è il padre, è la madre, Vau è il figlio, e il secondo è la figlia. In tutta la Bibbia potremmo leggere molti riferimenti a questo principio femminile, dovremmo fermarci a leggerlo attentamente, perché forse c'è una conoscenza nascosta.
Cosa avrebbero fatto i primi patriarchi senza le loro copie? Abramo ha
raggiunto tutta la sua ricchezza grazie a Sara, e ciò che Mosè avrebbe fatto senza Sephora. Forse anche la scoperta della Vergine Maria, della Maddalena, della Sophia è qualcosa che ci porta alla scoperta di una parte divina che ci abita