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Lorenzo Milani nasce a Firenze nel 1923 in una ricca e colta famiglia
Fiorentina, cresce in un ambiente culturalmente fecondo improntato alla
libertà intellettuale ad un radicato laicismo e ad una forte apertura
internazionale.
Entra in seminario nel novembre del 43’. Ordinato sacerdote nel luglio
1947 è subito assegnato alla parrocchia di Calenzano, qui don Lorenzo
fonda una scuola popolare per operai e contadini senza distinzioni di età,
ceto sociale, credo religioso o politico.
Questo periodo sarà poi raccontato nel libro “esperienze pastorali” del
1958 ritirato ben presto dal commercio per ordine del santo Uffizio per il
suo atteggiamento aperto nei confronti dei dogmi, in netto contrasto con
una chiesa ufficiale con posizioni estremamente intransigenti.
Alla morte del priore di Calenzano fu deciso dalle gerarchie ecclesiastiche,
di allontanare Lorenzo in un luogo sperduto fra i Monti del Mugello: la
parrocchia di Sant'Andrea Barbiana.
A Barbiana vi era solo una chiesetta e case di contadini sparse sulla
montagna né corrente elettrica né una strada che arrivasse fino alla
chiesa.
Don Lorenzo trova qui un ambiente di povertà estrema e di
emarginazione, e proprio a Barbiana decide di mettersi al servizio degli
ultimi per sostenerli nel costruire, attraverso lo studio, una coscienza
orgogliosa della propria dignità e dei propri diritti.
“non cè motivo di considerarmi tarpato se sono qui, la grandezza di una
vita non si misura dalla grandezza del luogo in cui si è svolta ma da
tutt'altre cose, e neanche le possibilità di far del bene si misurano dal
numero dei parrocchiani”.
I primi allievi della scuola sono sei ragazzi per i quali Don Milani organizza
una scuola da 12 ore al giorno Per 365 giorni all'anno riuscendo ad
entusiasmare quei piccoli Montanari.
Nel 1966 iniziò inoltre assieme ai suoi ragazzi la scrittura del libro “lettera
una professoressa” pubblicato un mese prima della sua morte.
Motivo ispiratore del testo fu la bocciatura di due ragazzi di Barbiana
all'esame di ammissione all'istituto magistrale.
il libro inizia proprio come una lettera:
“cara signora lei non ricorderà nemmeno il mio nome, ne ha bocciati
tanti” e continua poi accusando la scuola di non svolgere il compito
affidatole dalla costituzione: “articolo 3 tutti i cittadini sono uguali
davanti alla legge senza distinzione di razza, lingua, condizioni personali o
sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine
economico e sociale che limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei
cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva
partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica economica e
sociale del paese.”
Alla base di questo testo c’è una rigorosa ricerca statistica svolta dagli
stessi ragazzi di Barbiana sulla realtà della scuola dell'obbligo e sulla
selezione che in essa si fa a favore delle classi più abbienti.
“La scuola resta tagliata su misura dei ricchi, di quelli che la cultura
l'hanno in casa e vanno a scuola solo per mietere diplomi. La scuola ha un
problema solo: i ragazzi che perde. La vostra scuola dell'obbligo ne perde
per strada 462 000 l'anno. A questo punto gli unici incompetenti di
scuola siete voi che li perdete e non tornate a cercarli. Una professoressa
crede di essere dalla parte della giustizia dicendo “siano figli di contadini o
di ricchi se fanno un compito da quattro io gli do quattro”, e non capiva
poveretta che era proprio di questo che era accusata perché non c’è nulla
che sia ingiusto quanto farne parti uguali fra disuguali”
La scuola poi deve avere senso, i ragazzi devono sapere perché si sta
studiando, qual è il senso di ciò che si fa. Il fine della scuola deve essere
alto e nobile: cambiare il modo ingiusto, equilibrare il mondo sbagliato.
Gli esami alla scuola di barbiana consistono in un viaggio all'estero a
lavorare che i ragazzi fanno all'età di 14, 15 anni restando qualche mese
a lavorare per fare esperienza.
Si trattava di un qualcosa di fondamentale per questi ragazzi di campagna.
È una prova di fiducia nel priore da parte dei loro genitori che
acconsentivano a mandare i figli in paesi lontani in grandi città che anche
per loro erano sconosciute e spesso avvertite come minacciose.
I ragazzi svolgono lavori che servono alla loro vita quotidiana costruiscono
sedie e tavoli, e la strada per poter arrivare fino alla parrocchia, una
piccola piscina per imparare a nuotare e vincere la paura dell’acqua.
Insegna loro anche a sciare perché possano muoversi in montagna e
raggiungere la scuola anche d'inverno.
Un'altra materia che a barbiana è importante è l'educazione civica, la
conoscenza della costituzione, delle leggi, delle organizzazioni politiche e
sindacali.
“cercarsi un fine bisogna che sia onesto, grande, che non presupponga nel
ragazzo null'altro che d'essere uomo cioè che vada bene per credenti e
atei. Il fine giusto è dedicarsi al prossimo”
Per don Lorenzo questa scuola è la massima realizzazione della sua vita, il
suo essere maestro e sacerdote, tanto che nel suo testamento scrive ai
suoi ragazzi “ho voluto più bene a voi che a Dio, nella speranza che lui non
stia attento a queste sottigliezze e abbia scritto tutto al suo conto. Un
abbraccio, vostro Lorenzo”
L’educazione, il senso della pedagogia sta nel far fiorire la coscienza degli
individui che come tali hanno il compito morale di contestare le ingiustizie
per far progredire l’umanità. Milani sottolinea l’importanza della
disobbedienza a leggi e ordini ingiusti. Lo fa apertamente difendendo la
posizione degli obbiettori di coscienza che si rifiutano di andare in guerra.
“Era nel '22 che bisognava difendere la Patria aggredita (dal golpe
fascista). Ma l'esercito non la difese. Stette a aspettare gli ordini che non
vennero. Se i suoi preti l'avessero educato a guidarsi con la Coscienza
invece che con l'Obbedienza «cieca, pronta, assoluta» quanti mali
sarebbero stati evitati alla Patria e al mondo.”[...]
“Quella scuola vile, preparava milioni di soldati obbedienti. Obbedienti
agli ordini di Mussolini. Anzi, per essere più precisi, obbedienti agli ordini
di Hitler. 50 milioni di morti.”[...]
“A dar retta ai teorici dell'obbedienza e a certi tribunali tedeschi,
dell'assassinio di sei milioni di ebrei risponderà solo Hitler. Ma Hitler era
irresponsabile perché pazzo. Dunque quel delitto non è mai avvenuto
perché non ha autore.
C'è un modo solo per uscire da questo macabro gioco di parole.
Avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per cui
l'obbedienza non è ormai più una virtù, ma la più subdola delle
tentazioni, che non credano di potersene far scudo né davanti agli uomini
né davanti a Dio, che bisogna che si sentano ognuno l'unico responsabile
di tutto.
A questo patto l'umanità potrà dire di aver avuto in questo secolo un
progresso morale parallelo e proporzionale al suo progresso tecnico.”